Sulle
Anno 0 - Numero 7 Maggio 2012 Foglio di collegamento a cura del Servizio Diocesano Musica e Canto Diocesi di Napoli
ote dello Spirito
EDITORIALE
Area Carismatica 1. La musica dono o tentezione 2. La danza negli insegnamenti dei Padri della chiesa
Area Liturgico - Musicale 1. Dieci parole per la musica liturgica 2. Quando la preghiera diventa canto “Regina Coeli” 3. Il Papa e la musica
Area Tecnica 1. La corretta produzione delle vocali nel canto 2. Impariamo a suonare un canto 367. Alzati
Gli strumenti musicali nella Liturgia
Dalla Lettera circolare della Congregazione per il culto Paschalis sollemnitatis (16 gennaio 1988)
100. La celebrazione della pasqua continua nel tempo pasquale. I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di risurrezione alla domenica di pentecoste, si celebrano nella gioia come un solo giorno di festa, anzi come «la grande domenica» Il canto che sgorga dalla fede del popolo di Dio, riunito per celebrarne le lodi, è un canto di festa e di esultanza per la certezza della presenza del Padre Celeste in mezzo all’assemblea. Questo è il concetto dal quale si sviluppano le motivazioni di questo tempo di grazia che stiamo vivendo. Chiunque si separa dalla comunione dei santi non canta il cantico nuovo: segue infatti la via dell’animosità che è roba vecchia, non quella della carità, che è nuova.
1. Accompagnare i Salmi 2. Gli strumenti nella liturgia
“[…]Chi non canta nell’unità con tutta la terra canta il cantico vecchio, qualunque siano le parole che pronunzi la sua bocca.”
Animazione Domenicale
Così sant’Agostino, nella sua esposizione sul salmo 149, spiega il senso di questo pensiero. Dalla consapevolezza di ciò che lo Spirito Santo ha già compiuto nel passato nascono la speranza e il coraggio di chiedere ancora e di essere sempre più docili alla Sua azione. Nei versetti del salmo 103, il ricordo della provvidenza costante di Dio verso ogni creatura (Egli sazia ogni vivente, manda il suo soffio) diventa lode e ammirazione.
1. Canti per il Tempo Liturgico 2. Al Servizio della Parola: Salmodie
Inserto Speciale Manuale di improvvisazione per chi suona la chitarra ad orecchio
AREA CARISMATICA
Sulle note dello spirito
1. la musica dono o tentazione di Luciana Leone La musica e il canto, riflesso della realtà divina, via di contemplazione convertito anche dalla musica, Agostino si interroga rigorosamente sul rapporto tra preghiera e canto e sulla possibilità che la musica, creata per dare lode a dio, come tutte le cose create, possa invece costituire un godimento per se stessa o allontanarci da ciò che celebra. Uno degli elementi importanti della riflessione di Agostino è il rapporto tra la ricerca razionale dell’uomo e il dono di dio, tra l’intelligenza dell’uomo e il mistero della realtà divina che difficilmente può essere penetrata. Dopo la sua conversione Agostino si accorge che grazie all’ordine delle cose create, delle cose corporee e visibili, l’uomo può giungere a contemplare, anche co l’intelligenza, la perfezione del Dio invisibile: “E così, gradatamente, dal corpo passai all’anima che sente per mezzo del corpo e, più su, a quell’interiore facoltà a cui i sensi trasmettono le impressioni esterne indi alla forza raziocinante, cui appartiene il potere di trarre un giudizio da ciò che è fornito dai sensi fino all’intelligenza di me stesso e giunsi così all’Essere per se stesso esistente” (le Confessioni VII, 17). Dunque, Agostino, nella sua ricerca di Dio, procede dalle cose create (tra esse, quindi, si può annoverare anche la musica), all’anima, dall’anima alla ragione alla comprensione di sé e da qui alla contemplazione di Dio. Ache la musica, allora, in quanto creata da Dio, contribuisce a farci avvicinare a Lui, rappresenta un modo concreto per passare dalla conoscenza della creazione all’amore per il suo Creatore.
In guardia contro i pericoli: una preoccupazione pastorale La consapevolezza della bellezza della musica provoca in Agostino una preoccupazione di natura pastorale: egli sa, per averlo sperimentato personalmente prima della sua conversione, che se la musica può avvicinare a Dio, può anche allontanarvene pericolosamente, per almeno due ragioni: laddove il piacere che essa provoca, la gratificazione che essa dà allo spirito, può prevalere sullo scopo per cui essa è creata: la lode a Dio, laddove il piacere dell’udito possa occultare il contenuto biblico-teologico del canto. Queste preoccupazioni assillano il cuore di Agostino ormai divenuto vescovo, che afferma:
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“Talvolta poi mi sembra di concedere ad essi (i canti) più onore che non si convegna, quando ho l’impressione che le nostre anime siano spinte nella fiamma della pietà più devotamente e più ardentemente da quelle sante parole se accompagnate dal canto che non quando non lo sono” (Confessioni X,33).
La domanda è questa: saremmo così devotamente raccolti nella preghiera, così ferventi e trasportati nella contemplazione di Dio se non ci fosse la musica a risvegliarci da un punto di vista emotivo? Se pregassimo con la sola forza delle parole? Un pericolo da scongiurare o una opportunità per meglio pregare ? Agostino non manca di ricordare quanto i canti uditi nella chiesa di S. Ambrogio avessero contribuito alla sua conversione, all’intendimento delle cose divine, tuttavia, si chiede: “Così sono alquanto incerto tra il pericolo che può portare quel godimento e l’esperienza della sua utilità, e, pur senza voler dare un giudizio categorico, inclino ad approvare l’uso del canto nelle chiese, affinché il piacere delle orecchie risollevi gli animi alquanto deboli verso il fervore. Tuttavia, se mi accade di essere commosso dal canto più che dalle parole, confesso di peccare e di meritare punizione: allora preferirei non sentir più cantare” (Confessioni X,33). L’atteggiamento di Agostino potrebbe sembrare eccessivo ma, a ben vedere, può aiutarci molto. Il suo rigore è costruttivo: molte volte, infatti, siamo tentati di dire che la preghiera è meno bella e coinvolgente se non abbiamo un ministero di animazione musicale; oppure possiamo pensare che se possiamo far conto solo una vecchia chitarra, non saremo in grado di eseguire i brani come sul palco della Convocazione nazionale; o, ancora, se non abbiamo la musica, la preghiera sarà una “roba da vecchiette”. Sappiamo bene che il canto muove i cuori, riempie i momenti di silenzio, porta gioia dove c’è tristezza, fa sbocciare un sorriso o nascere una lacrima dalla compunzione del cuore; ma riflettiamo anche sul fatto che vivere la dimensione della preghiera anche quando non si è “aiutati” dal canto, può rappresentare un grande momento di crescita personale e comunitaria. Ovvero, quando mi trovo solo con Dio, faccia a faccia con Lui, cosa sono capace di dirgli, senza ricorerre a un aiuto che riempia i miei silenzi ? Quando davvero sarò capace di parlare cuore a cuore con lui, di esprimere la mia lode, di entrare in una relazione intima con lui, allora, soltanto allora, sgorgherà il canto, poi la danza, poi il giubilo, non prima. Non è da sottovalutare, poi, che un uso poco accorto della musica e del canto nella preghiera, può creare anche qualche disturbo. Pensiamo al giubilo nello Spirito Santo: spesso, l’insistenza della musica finisce con il sollecitare o il far concludere il canto in lingue, che prima nasceva spontaneamente, dall’assemblea, pensiamo a un canto eseguito subito dopo la proclamazione della parola di dio che finisce con il soffocare la profezia e la risonanza dei fratelli.
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AREA CARISMATICA
Il canto, riflesso e dono della sapienza divina Quanto poco avremmo da temere le tentazioni spirituali che possono derivare dal pregare superficialmente o distrattamente o poco sinceramente con la musica e il canto, se ci ricordassimo che tutto discende da Dio, è suo dono, grazia immeritata, gratuità insperata, persino la nostra bella voce o il perfetto diteggiare sulle corde della chitarra! Certo, ci ricorda Agostino, la musica è ordine fra i suoni, ma è Dio che è ordine perfetto fra le creature, la musica è misura dei tempi, ma Dio è il solo che è fuori dal tempo; la musica è succedersi di suoni, ma è Dio che li ha preordinati nel suono cosmico della creazione: “Tu stendi il cielo come una tenda, costruisci sulle acque la tua dimora, fai delle nubi il tuo carro, cammini sulle ali del vento hai fondato la terra sulle sue basi. L’oceano l’avvolgeva come un manto, le acque coprivano le montagne al fragore del tuo tuono sono fuggite” (cf Sal 104). E lo stesso canto del creato si realizza proprio perché tutto sussiste in Dio.
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AREA CARISMATICA
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2. la danza negli insegnamenti dei padri della chiesa continua dal mese di Marzo 2012 11. La danza che si celebra con tutto il cuore disarma e mette in fuga lo spirito maligno La riprensione fatta da Gesù quando diceva: Noi abbiamo cantato e voi non avete danzato (cf Le 7, 32), configura una immagine che si applica a tanti aspetti della nostra vita cristiana. Era un modo energico per ricordarci il dovere di dare una finalità salvifica a tutte le varie .vicende del nostro “pellegrinare verso il Signore”. Il canto o suono del flauto può considerarsi un invito a una danza che si celebra soprattutto nel nostro cuore, per il fatto che Dio continuamente ci da il perdono dei nostri peccati.
9. I credenti che soffrono per Cristo sono “come un esercito di danzanti alla volta di Dio”
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12. La danza fatta nella preghiera invoca su di noi l’effusione dello Spirito che ci consola
Musica e danza rivestono anche il significato di una invocazione, affinché la grazia dello Spirito si effonda in noi e ci disponga al conforto della dolcezza che Dio concede a coloro che, pentiti, ritornano a lui. Così come leggiamo nel Vangelo “che avvenne nella casa del Padre che aveva ritrovato il figlio”; mentre “risuonava 10. L’invito biblico alla danza è una verità la sinfonia che riempiva di gioia i partecipanti”. Il canto e “la danza del .corpo fatta in onore di piena di mistero Dio” (cf 2 Rè 6, 20) riempie di gioia coloro che Le parole del Signore: Abbiamo cantato per li praticano con cuore limpido e puro. Coloro, voi e non avete danzato (cf Le 7, 32) sembra che invece, che sono estranei all’esperienza dello facciano parte di un discorso di poca importanza Spirito, provano un senso di rifiuto per questo (vilis), ma, difatti, contengono verità piene di fenomeno dello Spirito. Come il fratello del figlio mistero. La danza alla quale si allude in queste prodigo: udì la musica e le danze, sì arrabbiò e parole è costituita da quei gesti che sono uniti a non voleva entrare (cf Le 15, 25 ss). sentimenti di pietà verso il Signore. È una danza che trae tutto il suo valore dal nostro cuore che 13. Per ogni vero credente, la danza fa parte esulta nel Signore. Non dobbiamo mai arrossire delle azioni che ci fanno adorare Dio quando anche i movimenti più umili del nostro Canto, danza, lamento, pianto sono parole corpo sono usati per aiutarci a praticare il culto che dobbiamo a Dio. Ogni volta che li usiamo che contengono in sé un significato ben più con questo fine, li liberiamo dalla loro inutilità e li profondo di quello che, a prima vista, possa trasformiamo in un mezzo che ci aiuta a rendere sembrare. Tutti i nomi che si possono dare ai nostri comportamenti corporei dinanzi al a Cristo l’onore che gli è dovuto. «Vide il fiore dei corpi che si adornarono di continenza e sobrietà, vide una corale che li spingeva come un esercito di danzanti alla volta di Dio» (Gregorio di Nissa, In Laudem 40 Martyrum, Sermo 2, PG 46,760).
Signore non hanno nulla da condividere con le manifestazioni più diffuse del divertimento o del dolore umano. La nostra danza o il nostro pianto sono atteggiamenti che si basano soltanto sul nostro senso di religiosità nei confronti del Signore, sono atti di adorazione. Danzare per gioia, come fece Davide dinanzi all’Arca (cf 1 Cr 15, 29), significa solo fare il miglior uso dell’agilità religiosa di cui godono la mente e il corpo quando si è pieni di sollecitudine per il Signore.
16. La danza proclama l’armonia nella quale tutti operiamo Le riunioni dei credenti che sono governate dallo Spirito di Pentecoste sono animate da un’armonia spirituale che coinvolge l’anima e il corpo di tutti coloro che vi partecipano. Si lascia che “il plettro dello Spirito moduli interiormente l’organo del corpo”. E, come fanciulli, cantiamo e invitiamo a danzare nel “Foro del Signore”. 17. Il canto, unito alla danza, agevola l’accoglienza della profezia La danza può considerarsi un dono che il Signore concede a coloro che sinceramente lo cercano. Questa ricerca talora non è esente da “eccessi di indolenza e di pigrizia”. Il Signore accoglie la nostra danza per risparmiarci la fatica che altrimenti ci toccherebbe affrontare per rendere più profonda la nostra comunione con lui.
14. La danza è un applauso al mistero della risurrezione Quando, seguendo la Scrittura, cantiamo al Signore con arte (cf Sai 46, 8), compiamo un atto che ben si collega con il “danzare con saggezza” a cui si allude nella profezia di Ezechiele (cf Ez 6, 11). Si tratta di una danza, che dice applauso ai misteri rivelati della risurrezione: una danza decorosa, nella quale l’anima tripudia e il corpo si eleva per mezzo delle opere buone. 15. La danza è un segno di amore appassionato per Cristo sposo della Chiesa
18. La danza che risponde a un inno divino ci fa deridere tutto ciò che passa in questa vita «Niente come una melodia sinfonica, niente come un inno divino, unito a un ritmo che invita alla danza, eleva talmente l’anima, da farla volare e staccare dai vincoli del corpo e riempirla di sentimenti saggi e farle deridere tutte le cose che passano in questa vita» (Giovanni Crisostomo †407. In Ps 41,1, PG 55,156B).
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AREA CARISMATICA
19. Ignazio di Loyola guarisce un infermo con la carità della danza
Pietro Ribadeneira (†611), uno dei primi compagni di sant’Ignazio di Loyola, ci ha lasciato La danza è uno dei modi con i quali si esprime un documento nel quale si attesta come questo il giubilo che si sprigiona dal cuore degli amanti Santo si servì della danza per ottenere la di Dio. Un segno delle “buone nozze con le quali guarigione di un suo figlio spirituale. Riportiamo l’anima si sposa al Verbo, la carne allo Spirito”. la descrizione di questo prodigio. «Una persona È questo il gesto di pietà al quale Davide allude molto rispettabile, che fu per un certo tempo in tanti salmi (cf Sai 80,2-3; 70, 22-23): Non discepolo spirituale di nostro Padre a Parigi, avverti il profeta che danza ? Non senti le voci mi raccontò che una volta in cui stette molto .dei citaredi, lo senti lo scroscio di coloro che male, si sentiva angosciato e afflitto da quella danzano? Accogli con fede le nozze. malattia; gli fece visita il nostro Padre che con
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grande carità gli chiese cosa avrebbe potuto rallegrarlo per togliergli quell’ansia e quella profonda tristezza che provava. Ma, poiché egli rispose che il suo dolore non aveva rimedio, Ignazio gli chiese di guardarlo bene e di pensare qualsiasi cosa potesse dargli sollievo e allegria. L’infermo, dopo aver pensato un poco, gli disse una cosa bizzarra. “Una sola cosa mi viene in mente: se cantaste qui un poco e ballaste come si usa nella vostra terra, come si usa a Vizcaya. Credo che, con questo, potrei ricevere sollievo e conforto”. “Questo vi farebbe molto piacere?” disse Ignazio. “Moltissimo”, rispose l’infermo. Allora Ignazio, poiché tale richiesta era di un uomo veramente malato, non volle aumentare la sua pena con il suo rifiuto, oltre a quella che aveva già dalla propria malattia, e così, mentre la carità vinceva sull’autorità e sulla serietà della sua persona, si decise di fare quello che gli si chiedeva e lo fece. Al termine, disse: “Badate di non chiedermi questo un’altra
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volta, perché non lo farò”. Ma fu così grande l’allegria che provò l’infermo per questa dolce carità di Ignazio, che iniziò ad allontanare da sé quella tristezza che logorava il suo cuore, e a migliorare, e dopo pochi giorni migliorò del tutto. Tutto questo dimostra che l’infermo seguì il suo desiderio nel chiedere quello che chiese e Ignazio nel concederglielo; lo fece per carità, per la quale nostro Signore diede la salute all’infermo» (Ribadeneira, Vita di S. Ignazio di Loyola, 1965; cf J. I. Tellechea Idigoras, Ignazio di Loyola, Boria, Roma, 221). Con questo gesto di estrema delicatezza, Ignazio, serio e zoppo, esaudì il desiderio del triste infermo, mantenne la parola data e dimostrò la sua vitale costanza nel mantenere il principio con il quale apre il libro degli Esercizi Spirituali: «L’uomo è creato per lodare, servire e far riverenza – coinvolgendo anche il corpo – a Dio nostro Signore (cf Esercizi Spirituali, n. 23).
1.
DIECI PAROLE PER LA MUSICA LITURGICA: “espandente”
di Aurelio Porfiri (Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. È professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. È socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL).Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese.)
Espandente. Al termine di queste dieci parole per la musica liturgica, ci troviamo a che fare con il termine “espandente”, che in effetti le sintetizza e riassume tutte. Ex-pandere, viene dal latino e significa praticamente “stendere, dilatare”. Certo, visto così il significato si approssima a quello di eccedente, ma io li vedo in modo diverso. Eccedere è uno scarto fra la cosa e quell’in più di cui possiamo godere, espandente è un processo di estensione interno alla cosa. In che senso la musica liturgica è espandente? Nel senso che la musica liturgica allarga gli spazi della nostra anima, quando essa è vera musica liturgica. La musica liturgica non ci deve confermare, come già detto innumerevoli volte, ma essa deve essere un porto da cui la nostra anima possa salpare verso altri approdi. La musica liturgica, nel suo intimo, è escatologica, è verso l’altrove. Non è il “qui” che ne costituisce l’animus, piuttosto è il “non ancora”. Qualche volta mi capita di ascoltare musica con testi cristiani, specie di gruppo americani. C’è un gruppo molto popolare chiamato “Point of Grace”. Queste donne cantano (anche bene) testi ispirati dal Vangelo, con musiche di chiara impronta pop. Le canzoni sono molto orecchiabili e piacevoli e trovano un vasto pubblico: ma non è musica liturgica, sarebbe fuori posto durante una liturgia. La musica delle “Point of Grace” (come molti altri gruppi) parla all’uomo e alla donna nel loro quotidiano, cerca di fare in modo che essi possano ascoltare messaggi diversi da quelli passati dallo stesso tipo di musica, ma con testi diversi. La musica liturgica vera ci porta via dal quotidiano, ci permette di affacciarci in una dimensione che ancora non ci appartiene. La musica liturgica ci permette di toccare il cielo, anche se solo per pochi momenti. Con la vera musica liturgica l’anima è sempre in viaggio. Ma c’è il problema vero: come fare perché questa musica liturgica possa essere sempre espandente? E qui entrano in gioco fattori legati molto alla quotidianità che rendono difficile il viaggio se non, a tratti, impossibile. Nella musica liturgica, si è passati improvvisamente dal professionismo al volontariato, proprio quando l’apporto di professionisti preparati sarebbe stato ancora più necessario per accompagnare la svolta. Professionisti formati alle nuove richieste che provenivano dai documenti conciliari e dai successivi aggiustamenti. Il musicista liturgico, così come chiunque opera in questo ambito, deve avere una preparazione veramente profonda non soltanto nel campo suo proprio, ma anche in altri, così da poter partecipare e contribuire più profondamente alla celebrazione. Ecco perché si richiede una preparazione professionale al musicista e come tale deve essere trattato. Questo è uno dei grandi mali della mentalità ecclesiale moderna: il musicista non deve essere pagato, figuriamoci chi suona in chiesa. Ma perché? Quando si fa questa domanda ti tirano fuori
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tutti i discorsi che si va in chiesa per fede, non per soldi e via dicendo. Ma tutti capiamo che questo discorso è molto mal posto. Certo nessuno deve pagarmi per pregare in chiesa, ma se io presto un servizio alla comunità, è giusto che la stessa mi metta nelle condizioni di poterlo fare liberamente. Tutti coloro che hanno studiato musica sanno quanto sia anche costoso dal punto di vista economico e come comporti un notevole dispendio di energie e tempo. In Italia la mentalità, specie, devo dire, in molto clero, non accenna a cambiare. Diverso è in altri paesi. Nei paesi di area anglosassone per esempio non è un problema il fatto che chi svolge un servizio professionale, anche nell’ambito della musica, deve essere stipendiato. Negli Stati Uniti molti vivono facendo questo mestiere (cosa da noi impensabile, me compreso). Sono pagati e pienamente coinvolti nella vita della loro parrocchia o cattedrale. Hanno spesso più di un coro e la musica che cantano è sovente di autori contemporanei. In Italia questo è quasi impensabile. Ogni autore è un’isola a sé, sempre pronto a giudicare con la parola “musicaccia” quello che non è fatto da lui. O nella migliore delle ipotesi mostra rispetto per altri autori ma sempre mantenendosene ben lontani. Credetemi, le eccezioni sono poche. Io penso ci voglia coraggio nel fare delle scelte e degli investimenti nella liturgia. Investimenti anche materiali. Allora occorrerà quel cambiamento di qualità della nostra musica liturgica, si creerà un repertorio (in parte esistono già molte composizioni di ottimo livello di vari autori, laici e sacerdoti) che potrà un giorno forse essere considerato un modello qualora anche il progetto rituale suggerito dal Concilio sarà modificato (magari da un altro Concilio, tra molti molti anni) per rendere la liturgia sempre più fedele al mandato di Gesù Cristo. A quel punto, forse, la musica liturgica sarà espandente. Ma purtroppo c’è sempre tanta ipocrisia che rende difficili i cambiamenti. Il Papa Benedetto XVI ci indica i documenti conciliari, quindi anche quello sulla liturgia, in continuità con la tradizione della Chiesa (vedi il famoso discorso alla Curia Romana del 2005). Tradizione che non va vista, parlando ancora di musica liturgica, come una collezione di repertori e brani mirabili ma piuttosto come la presenza di una costante che dà vita e senso a quello che si va svolgendo. Se gli autori della grande polifonia rinascimentale sono considerati parte della tradizione non è perché loro eseguissero solo i brani di gregoriano ma perché nei loro stessi brani, avevano trovato un criterio che garantiva la continuità con la tradizione precedente. La continuità attuale va quindi cercata nella riscoperta di questo criterio fondamentale che informerà tutti i tentativi che si fanno nel campo. Qual è questo criterio? È l’aderenza piena e assoluta al rito che si va svolgendo. Ma allora la bontà della composizione non è importante? Lo è proprio perché aderisce a questo criterio. I linguaggi liturgici (non solo quello verbale) comunicano per via emozionale qualcosa del mistero della celebrazione, ecco perché ci “espandono”. Non è la musica ma il suo contatto con il mistero che si celebra, la sua forte unione. Per essere a servizio di questa comunicazione, bisogna essere esperti e in grado di piegare la materia (sonora, visiva…) ad esigenze così alte. Quindi la bontà della composizione è importante non in se stessa ma in rapporto a questo discorso. Ci può essere un brano che è scritto benissimo ma che non è adatto alla celebrazione e non rappresenta quindi una continuità con la tradizione precedente. Pensiamo a certi salmi barocchi che durano più di mezz’ora. Quando li ascolto penso che sono bellissimi ma non possono avere oggi un ruolo nelle nostre celebrazioni. Sono stati composti per una diversa idea del rito, rispettabile ma non più attuale. Un’idea che anche tradiva l’essenza del rito romano straordinario (come lo chiamiamo oggi). Ma a che punto è la nostra ricerca di “un canto nuovo” da affiancare a quelli della grande tradizione che ancora rispondono alle esigenze attuali? Se gli operatori musicali nostrani provano a pensare ad autori contemporanei entrati effettivamente nell’uso delle comunità che celebrano l’eucarestia, penso che non possano non constatare la rarità. Togliendo i canti immediatamente successivi al Concilio, che andavano a riempire un vuoto per chi voleva celebrare in lingua vernacolare, pochi altri si sono imposti negli ultimi vent’anni. Certo, ci sono anche quegli autori che si esprimono con un linguaggio molto
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simile, se non uguale a quello della musica cosiddetta “leggera”, e le composizioni emanate dai movimenti ecclesiali. E gli autori più accademicamente preparati? Questi non brillano in genere per la loro diffusione. Onestà intellettuale vorrebbe che ci si domandasse: perché? Cosa non va in chi fruisce di queste musiche? E, soprattutto, cosa non va in chi le compone? Forse non riescono a farsi rappresentanti del senso orante di una comunità che prega nell’oggi e non rappresentano che se stessi? E già, perché sarebbe ora che onestamente ci si ponesse la domanda sul perché alcuni autori, pur ricolmi di sapienza accademica, non funzionano molto, non passano. Non è qui da dimenticare come ammonimento la massima napoleonica secondo cui spesso i popoli si governano facendo leva sui loro vizi più che sulle loro virtù. Ma alla fine dei conti, questa frase non toglie tutti i problemi che provengono da quell’interrogativo. Certo, è vero che ricalcando certi modelli musicali che si rifanno a quella che, prendendo a prestito la definizione data da un celebre semiologo, viene definita la “competenza musicale comune”, si ottiene un accesso più immediato alla massa delle persone. Ma noi che crediamo che la musica liturgica debba avere una funzione espandente, un arricchimento di chi la fruisce (arricchimento emotivo visto nella prospettiva di quello che si diceva sopra), ci chiediamo se questo stesso arricchimento viene lo stesso garantito facendo leva su facili emozionalismi. L’emozione non è il fine della liturgia ma un vettore fondamentale che ti permette di accedere ad altro. Suscitare un facile emozionalismo superficiale, senza un approfondimento compositivo, spirituale ed estetico è ugualmente utile a chi frequenta a vario titolo le celebrazioni? Le emozioni, in se stesse, sono un terreno pericoloso e molto scivoloso, bisogna maneggiarle con cura. Dunque perché alcuni non funzionano, pur se ottimamente preparati tecnicamente e preparati liturgicamente? Io credo sia dovuto a un corto circuito comunicativo. Se noi siamo appassionati di archeologia e frequentiamo le lezioni di un dottissimo professore che ci parla delle prime case sul Palatino con dovizia estrema di particolari ma con linguaggio ridondante, lungo nel periodare, baroccheggiante, noi, pur se interessati sconteremmo la pena di dover seguire un’esposizione percepita genericamente come “pesante”. Ma se lo stesso professore dicesse proprio le stesse medesime cose, con un linguaggio chiaro, coinvolgente e che, soprattutto, tiene bene a mente chi lo ascolta, che poi è lo scopo fondamentale per cui quel tizio sta lì a parlare, non ci sembrerebbe tutto ciò più invitante? Certamente, ne sono sicuro. Così per molti compositori. Talvolta sembrano non dare attenzione a chi poi, praticamente, dovrà fruire del loro lavoro. Io credo che un bravo compositore ai giorni nostri, per capire la gente che dovrà fruire del suo lavoro, debba guardare la televisione, andare al cinema, capire come i cantautori più interessanti costruiscono i loro testi, debba leggere i giornali, insomma debba essere un’esegeta del momento presente, l’unico che ci è dato vivere e che sconteremo per tutta la vita. Certo non deve fare solo quello, ma quello non gli deve essere ignoto. Io invece conosco molti musicisti per la liturgia chiusi all’esterno e alle sollecitazioni culturali dell’oggi, assolutamente contrari ad ogni contaminazione con la musica moderna e popolare. Molti grandi compositori del passato, fortunatamente non la pensavano come loro. Insomma, per molti è meglio dire che la massa è ignorante. Invece, cogliendo le sollecitazioni del mondo che ci circonda, con l’abilità di farle divenire arte, laddove possibile, si renderà quel servizio che ci qualificherà, oltre che come bravi artisti, anche come i servi “fedeli e saggi” (Vangelo di Luca 12, 41-48), citati dal Papa nel discorso alla Curia Romana del 2005. Si badi bene: io non dico che bisogna copiare da cinema o cantautori, ma credo sia interessante capire come essi comunichino e cosa possono insegnarci sulle persone che concretamente vanno ad assistere alle nostre liturgie. Talvolta chiudiamo la musica liturgica in un ghetto soffocante per paura di rovinarla con il risultato di farle mancare l’aria. Come far sì che la musica liturgica favorisca ancora quell’incontro mirabile tra il cielo e la terra che solo nella liturgia trova la sua massima espressione? Innanzitutto con l’adesione piena e completa al rito e alle sue dinamiche funzionali, come più volte ripetuto. Quando un giovane mi chiederà un consiglio e io sarò abbastanza vecchio da darglielo, su cosa sia la cosa più importante
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nella musica liturgica, forse gli dirò: “osserva e medita il rito”. È straordinario pensare a quante profonde implicazioni ci siano dietro alla dinamica rituale. La musica liturgica e il rito sono unite intimamente. Se solo avessimo occhi puri per guardare cosa vuol dire la forza di un rito, avremmo tutto quello che ci è necessario per esserne trasformati. [Conclusa la serie sulle “Dieci parole per la musica liturgica”, la rubrica riprenderà ora il suo normale ritmo quindicinale. Il prossimo articolo uscirà il 15 febbraio]
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quando la preghiera diventa canto “regina coeli”
Il “Regina Coeli”, in latino Regina del Cielo,o Regina del Paradiso, è una delle quattro antifone mariane. Questa gioiosa preghiera viene rivolta a Maria madre del Risorto e, dal 1742, viene tradizionalmente cantata o recitata nel tempo pasquale, cioè dalla domenica di Pasqua fino al giorno di Pentecoste in sostituzione dell’Angelus. Ogni domenica del tempo pasquale, viene recitata solennemente anche dal Papa, al posto dell’Angelus, preghiera mariana che viene recitata durante il resto dell’anno. Le altre tre antifone mariane sono: il Salve Regina, l’Alma Redemptoris Mater e l’Ave Regina Coelorum. Esse vengono tradizionalmente cantate al termine della compieta, la preghiera della Liturgia delle Ore recitata al termine della giornata.
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Maria SS. Incoronata Regina autore ignoto del XVIII Chiesa Madre Santa Maria di Licodia (CT)
L’autore La sua composizione risale al X secolo, ma l’autore è sconosciuto. La tradizione vuole che papa Gregorio Magno, una mattina di Pasqua in Roma, udì degli angeli cantare le prime tre righe del Regina coeli, alla quale aggiunse la quarta. Un’altra infondata teoria afferma che l’autore sarebbe papa Gregorio V.La melodia in uso risale al XII secolo, ma è stata semplificata nel XVII. L’antifona trova la sua collocazione liturgica al Magnificat nei vespri del giorno di Pasqua e dell’ottava fin dal XII secolo. Dante, nel canto XXIII del Paradiso, descrive il coro dei diletti che si rivolgono alla Madonna con le parole del Regina coeli: E come fantolin che ‘nver’ la mamma tende le braccia, poi che ‘l latte prese, per l’animo che ‘nfin di fuor s’infiamma;
ciascun di quei candori in su si stese con la sua cima, sì che l’alto affetto ch’elli avieno a Maria mi fu palese. Indi rimaser lì nel mio cospetto, “Regina celi” cantando sì dolce, che mai da me non si partì ‘l diletto. Il testo latino Regina coeli, laetare, alleluia: Quia quem meruisti portare. alleluia, Resurrexit, sicut dixit, alleluia, Ora pro nobis Deum, alleluia. Al testo originale si può aggiungere: Gaude et laetare, Virgo Maria, alleluia. Quia surrexit Dominus vere, alleluia. Oremus: Deus, qui per resurrectionem Filii tui Domini nostri Jesu Christi mundum laetificare dignatus es: praesta, quaesumus, ut per eius Genitricem Virginem Mariam perpetuae capiamus gaudia vitae. Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen. Il testo italiano Regina del cielo, rallegrati, alleluia: Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia, è risorto, come aveva promesso, alleluia. Prega il Signore per noi, alleluia. Al testo originale si può aggiungere:
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Gioisci ed esulta, Vergine Maria, alleluia. il Signore è veramente risorto, alleluia. Preghiamo: O Dio, che nella gloriosa risurrezione del tuo Figlio hai ridato la gioia al mondo intero, per intercessione di Maria Vergine concedi a noi di godere la gioia della vita senza fine. Per Cristo nostro Signore. Amen.
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Sulle note dello spirito
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174. Regina Caeli Georges Aichinger (1565-1628)
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3.
“Questa Sinfonia è un grande inno di lode a Dio”
Discorso di Benedetto XVI al termine del Concerto offertogli dalla Gewandhausorchester CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 22 aprile 2012 .- Riprendiamo il discorso pronunciato venerdì sera da Benedetto XVI al termine del Concerto offerto dall’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia in occasione dell’85° compleanno del Papa. Diretta dal Maestro Riccardo Chailly, la Gewandhausorchester ha eseguito la Sinfonia n. 2 in Si bemolle maggiore op. 52 Lobgesang per Solisti, Coro e Orchestra di Felix Mendelssohn Bartholdy (1809–1847). Le parti in corsivo sono state pronunciate in tedesco. *** Signor Ministro Presidente, Distinti Ospiti dello Stato Libero di Sassonia e della Città di Lipsia! Signori Cardinali, Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio, Gentili Signori e Signore! Con questa splendida esecuzione della Sinfonia N. 2 «Lobgesang» di Felix Mendelssohn Bartholdy avete fatto un dono prezioso a me, in occasione del mio compleanno, nonché a tutti i presenti. Infatti, questa Sinfonia è un grande inno di lode a Dio, una preghiera con cui abbiamo lodato e ringraziato il Signore per i suoi doni. Anzitutto però vorrei ringraziare coloro che hanno reso possibile questo momento. In primo luogo, la Gewandhausorchester, che di per sé non ha bisogno di essere presentata: si tratta di una delle più antiche orchestre del mondo, con una tradizione di eccellente qualità esecutiva e di fama indiscussa. Un cordiale ringraziamento agli ottimi Cori e Solisti, ma in modo del tutto particolare al Maestro Riccardo Chailly per l’intensa interpretazione. La gratitudine si estende al Ministro Presidente e ai Rappresentanti dello Stato Libero di Sassonia, al Sindaco e alla Delegazione della Città di Lipsia, alle Autorità ecclesiastiche, come pure ai Responsabili del Gewandhaus e a tutti coloro che sono venuti dalla Germania. Mendelssohn, Sinfonia «Lobgesang», Gewandhaus: tre elementi legati non solo questa sera, ma fin dagli inizi. La grande Sinfonia per coro, soli e orchestra, infatti, che abbiamo ascoltato fu composta da Mendelssohn per celebrare il IV Centenario dell’invenzione della stampa e fu eseguita per la prima volta nella Thomaskirche di Lipsia, la chiesa di Johann Sebastian Bach, il 25 giugno 1840, proprio dall’Orchestra del Gewandhaus; sul podio c’era lo stesso Mendelssohn, che per anni fu direttore di questa antica e prestigiosa orchestra. Questa composizione è costituita da tre movimenti per sola orchestra senza soluzione di continuità e poi da una sorta di cantata con solisti e coro. In una lettera all’amico Karl Klingemann, lo stesso Mendelssohn spiegava che in questa Sinfonia «prima lodano gli strumenti nel modo loro congeniale, quindi il coro e le singole voci». L’arte come lode a Dio, Bellezza suprema, sta
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Sulle note dello spirito
alla base del modo di comporre di Mendelssohn e questo non solo per quanto riguarda la musica liturgica o sacra, ma l’intera sua produzione. Come riferisce Julius Schubring, per lui la musica sacra come tale non stava un gradino più in alto dell’altra; ognuna alla sua maniera doveva servire ad onorare Dio. E il motto che Mendelssohn scrisse sulla partitura della Sinfonia «Lobgesang» suona così: «Io vorrei vedere tutte le arti, in particolare la musica, al servizio di Colui che le ha date e create».
Il mondo etico-religioso del nostro autore non era staccato dalla sua concezione dell’arte, anzi ne era parte integrante: «Kunst und Leben sind nicht zweierlei», Arte e vita non sono due cose distinte, ma un tutt’uno, scriveva. Una profonda unità di vita che trova l’elemento unificante nella fede, che caratterizzò tutta l’esistenza di Mendelssohn e ne guidò le scelte. Nelle sue lettere cogliamo questo filo conduttore. All’amico Schirmer il 9 gennaio 1841, riferendosi alla famiglia, diceva: «Certo non mancano talvolta preoccupazioni e giorni seri… e tuttavia non si può fare nient’altro che pregare fervidamente Dio di mantenere la salute e la felicità che ha dato»;
e il 17 gennaio 1843 a Klingemann scriveva: «ogni giorno non posso fare nient’altro che ringraziare Dio in ginocchio per ogni bene che mi dà».
Una fede, quindi, solida, convinta, nutrita in modo profondo dalla Sacra Scrittura, come mostrano, tra l’altro, i due Oratori Paulus ed Elias, e la Sinfonia che abbiamo ascoltato, piena di riferimenti biblici soprattutto dei Salmi e di san Paolo. È difficile per me richiamare qualcuno degli intensi momenti che abbiamo vissuto questa sera; vorrei solo ricordare il meraviglioso duetto tra i soprani e il coro sulle parole «Ich harrete des Herrn, und er neigte sich zu mir und hörte mein Fleh’n», tratto dal Salmo 40: «Ho sperato nel Signore e Lui si è chinato su di me e ha dato ascolto al mio grido»;
è il canto di chi pone in Dio tutta la sua speranza e sa con certezza di non rimanere deluso. Un rinnovato grazie all’Orchestra e al Coro del Gewandhaus, al Coro del Mitteldeutscher Rundfunk MDR, ai Solisti e al Direttore, come pure alle Autorità dello Stato Libero di Sassonia e della Città di Lipsia per l’esecuzione di questa «opera luminosa» – come la chiamò Robert Schumann –, che ha permesso a tutti noi di lodare Dio e io ho potuto ringraziare, in modo particolare, ancora una volta Dio per gli anni di vita e di ministero. Vorrei concludere con le parole che Robert Schumann scrisse nella rivista Neue Zeitschrift für Musik dopo aver assistito alla prima esecuzione della Sinfonia che abbiamo ascoltato e che vogliono essere un invito su cui riflettere: «Lasciate che noi, come suona il testo così splendidamente musicato dal Maestro, sempre più “abbandoniamo le opere dell’oscurità e impugniamo le armi della luce”». Grazie a tutti e buona sera!
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[© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana]
1.
La corretta produzione delle vocali nel canto
1.
Partire da una corretta pronuncia
Le vocali sono così chiamate perché sono “sonore”. Infatti le consonanti sono solo rumori, se non si accoppiano alle vocali (e perciò “con-suonano”). È naturale, dunque, che la vocale sia l’essenza del canto... Incominciamo con un percorso che prevede questa vocalizzazione: A-E-I-O-U 2.
Atteggiamenti fonatori Vocale “A”. Per ben pronunciarla occorre: 1. 2.
Abbandonare morbidamente la mandibola verso il basso, facendo attenzione a non portare il mento in avanti (figura 1) Allargare la gola a livello dell’arco palatino.
Quest’ultima situazione la si ottiene pensando di sbadigliare: infatti, se ci guardiamo allo specchio mentre compiamo questo atto naturale, noteremo che l’ugola si alza e anche il palato molle, di cui essa è il termine (l’ugola viene anche chiamata velo pendulo), forma quasi una “cupola” (figura 1) Ciò che non noteremo visivamente, ma che avverrà è un allungamento in senso anteroposteriore (cioè dall’avanti all’indietro) della parte alta della faringe, cioè dietro le tonsille. Ora proviamo a pronunciare la “A”, cercando di sentire questo sbadiglio “interno” (vedi quarto esercizio) Le immagini che seguono sono tratte da una dispensa ad uso scolastico di Padre Giovanni Maria Rossi.
Elevazione del velo palatino ed allargamento delle cavità di risonanza
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a) (- - - tratteggio), zone in cui si situano le sensazioni muscolari di allargamento. 1, ugola; 2, pilastro; 3, pilastro; 4, parete faringea; 5, lingua. b) sensazione muscolare a livello del velo palatino
Procediamo con la “E”.
Nel parlato ne esistono due tipi: è ed é. Nel canto sarà più utile la é chiusa. La “é” infatti è più morbida e più proiettata in avanti, oltre ad avere una maggiore brillantezza. Pronunciamola abbassando la mandibola e avvicinando le commessure delle labbra quasi come per la “i” (vedi esercizio quinto). Vocale “I”
È la vocale più difficile per molti studenti, per svariate ragioni. Prima di tutto è la più anteriore come posizione, e questo può provocarne una sua pronuncia a denti stretti oppure a gola stretta. Primo passo: pronunciamola senza sorridere, pensando quasi ad una “EU” francese, avvicinando le commessure delle labbra. Secondo passo: tenendola molto in maschera come posizione e cercando di mantenere la gola ampia come abbiamo già detto prima dovremmo pian piano trovare l’optimum (vedi esercizio sesto)
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Il grande foniatra e appassionato di canto Alfred Tomatis (cfr. “L’orecchio e la voce” Ed. Baldini e Castoldi), aveva individuato nella cavità orale anteriore, circoscritta dal palato duro superiormente e dalla lingua inferiormente, la cavità cosiddetta PARLANTE, ossia quella in cui la lingua articola le parole. La cavità orale posteriore, circoscritta dal palato molle e dalla faringe superiore e inferiormente dalla base della lingua, viene da lui definita cavità CANTANTE, perché è il luogo deputato non
all’articolazione linguistica, ma alla pura e semplice RISONANZA (vedi lezioni precedenti). In questo percorso A-E-I, dovrò avere la percezione che la proiezione dei suoni si sposti dal centro del palato duro verso la faccia posteriore degli incisivi superiori, man mano che procedo nella vocalizzazione. Vocale “O” Abbasso morbidamente la mandibola come nella “a”, ma le commessure della labbra sono ravvicinate. Per il canto è bene pensare alla “ò” chiusa. Intanto nella gola il velo palatino è alto, nella posizione dello sbadiglio, per formare quella cupola che dà ricchezza timbrica al suono (vedi esercizio settimo). La vocale “U” Le commessure delle labbra sono MOLTO ravvicinate, la laringe è nella sua posizione più bassa (vedi esercizio ottavo) N.B. In tutte le vocali la cavità orale posteriore o CANTANTE, è a forma di cupola come nello sbadiglio!! Come avrete notato, passando alla articolazione della O e della U, con la maggior apertura della bocca sembra che la loro posizione si sposti: questo non deve avvenire! Il “fuoco” della voce deve rimanere sempre fisso, in un punto che per me coincide con il centro del palato duro qualunque vocale si pronunci.
La proiezione immaginaria di questo punto di convergenza è: Per MASCHERA s’intende la porzione facciale del cranio (perché c’è anche la porzione non facciale o parietale). Nel canto lirico questa sensazione di suono “in maschera” è evidentissima sia per il cantante che per l’ascoltatore.
Sulle note dello spirito
AREA TECNICA
Questo modo di porgere il suono si può definire anche “raccolto”. Quando i suoni non sono raccolti o coperti, non hanno la ricchezza timbrica che ci si aspetterebbe e sono come “sfocati o slargati”. Riassumendo: 1. Fare attenzione che il velo palatino rimanga alto durante tutta la fonazione; 2. che la lingua sia libera, rilassata, morbidamente appoggiata sul fondo della bocca; 3. che la mandibola si abbassi e si alzi sempre nella rilassatezza, senza contrazioni, e che i denti non ostacolino la corretta pronuncia delle vocali (mai cantare “a denti stretti”!). Per concludere propongo alcuni esercizi per allenare i muscoli facciali e orbicolari (vedi nono esercizio).
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AREA TECNICA
Sulle note dello spirito
2.
IMPARIAMO A SUONARE UN CANTO CON LA CHITARRA
di Marcello Manco (musicista e compositore) In questa sezione di volta in volta verrà proposto un canto del libretto “Dio della mia lode” per aiutare tutti coloro che suonano la chitarra. Le frecce sono l’aiuto più immediato ed efficace. La freccia in basso (battere) rappresenta la pennata in basso, la freccia in alto rappresenta la pennata in alto (levare). Nel canto di specie, c’è anche una tablatura. I numeri sulla tablatura rappresentano i tasti della tastiera della chitarra mentre i numeri all’inizio della tablatura rappresentano invece le note.
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1.
accompagnare i salmi
È un altro ambito in cui la chitarra può svolgere un prezioso servizio. Si tratta di una pratica sempre più urgente perché, fortunatamente,’ in molti gruppi la preghiera dei salmi sta diventando una prassi abituale. Inoltre, nella messa, si sta sentendo sempre più la necessità di curare al meglio il niomento del salmo durante la liturgia della Parola, sia nella forma responsoriale che in altre forme. Sempre una musica di fondo L’inserimento di questo argomento dopo aver accennato alla musica di ambiente o di meditazione, ci ricorda che, anche quando si accompagna un salmo, la musica deve rimanere sullo sfondo, per lasciare completamente la ribalta alla Parola. Si tratta di creare un cuscino sonoro che faccia da supporto alla parola proclamata. Questo cuscino sonoro dovrebbe avere due obiettivi: a) sostenere la proclamazione (recitata o cantata) del salmista b) collegare le strofe al ritornello, che normalmente dovrebbe essere cantato. Sul ritmo della parola In questo caso non si tratta assolutamente di suonare una musica qualunque, ma di appoggiare la parola del salmo. Non c’è nessun ritmo da seguire se non quello delle frasi del salmo. La tecnica migliore consiste nell’eseguire alcuni accordi (spesso funzionano meglio in forma ridotta a tre corde) o dei bicordi (suonando Fondamentale e Quinta e saltando la Terza, oppure Fondamentale e Terza saltando la Quinta), all’inizio di ogni versetto o, comunque, nei punti chiave delle frasi. Mettersi. d’accordo prima!
Sulle note dello spirito
GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA
Condizione indispensabile per una buona esecuzione di questo accompagnamento è che ci sia una buona sintonia tra chi suona e il salmista. Entrambi devono studiarsi in anticipo, dapprima separatamente e poi insieme, il testo del salmo, devono individuarne i punti focali, devono trovarsi d’accordo sulla durata delle pause tra una frase e l’altra e all’interno delle singole frasi; infine devono provarlo concretamente. A queste condizioni l’accompagnamento riuscirà nel suo importantissimo compito che consiste non tanto nel far da cornice o da abbellimento, ma nel dare spessore, nel rendere ancora più vive le parole del salmo. Per dirla diversamente: anche attraverso l’accompagnamento strumentale la Parola si fa... carne! Evitare spunti solistici In questo tipo di accompagnamento sono del tutto fuori luogo spunti solistici o contrappuntistici. Tra i vari strumenti, in questo settore, forse ancora più dell’organo, che utilizza suoni tenuti, è preferibile il suono pizzicato della chitarra (o dell’arpa) perché lascia maggior spazio alla parola: dopo aver emesso il suono, si ritira sfumando, e la parola emerge.
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Sulle note dello spirito
Anche se la scrittura può sembrare semplice, qui il chitarrista dovrà allenarsi bene e perfezionare al massimo il cambio veloce tra le diverse posizioni e la tenuta massima dei suoni.. Ecco alcuni esempi:
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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA
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Per concludere, dopo gli esempi legati al salmo cantato nelle sue diverse forme, riportiamo ora due proposte di successione di accordi, per accompagnare e valorizzare la proclamazione fatta da un salmista-lettore. In questo caso il salmo va diviso in strofe di quattro versetti ciascuna (come la maggior parte dei salmi contenuti nei Lezionari liturgici); in ogni versetto vanno individuati tre accenti fondamentali, sui quali si appoggeranno gli accordi. Tocca poi a salmista e chitarrista trovare la giusta (e soprattutto comune!) velocità di esecuzione.
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Sulle note dello spirito
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Note: D. Stefani, Salmo 97, Cantate al Signore un canto nuovo, in La famiglia cristiana nella Casa del Padre, LCD, Leumann (TO) 51997, n. 121. 2 J. Gelineau, Salmo 26, Il Signore è la mia luce, in La famiglia cristiana nella Casa del Padre, n. 94. 3 D. Julien, Dn. 3,57-88, Benediciamo il Signore, in Famiglia cristiana nella Casa del Padre, n. 153. 1
24
2.
Gli strumenti musicali nella liturgia
A cura dell’ufficio liturgico nazionale CEI Cenni storici ( le origini – i padri – medio evo – oggi)
continua dal mese di Marzo 2012 Inoltre, alcune esclusioni di determinati strumenti, sono frutto di alcune connotazioni particolari che tali strumenti assumono, in riferimento all’ambiente culturale in cui la gente vive. Se per es. in una assemblea, il suono o addirittura la vista di un sassofono, richiama il night club, bisogna fare i conti con tali dati culturali e non escludere tale strumento con sufficienza o accettarlo con superficialità. Una prima conclusione: non esiste una innata capacità o incapacità strutturale di uno strumento ad essere inserito in un rito, né tantomeno valgono ragioni di carattere teologico o addirittura bibliche: sarà la pratica concreta del culto che farà cogliere e armonizzare tutta una serie di fattori tecnici, contestuali, celebrativi ed eventualmente anche simbolici in favore di un uso liturgico appropriato dei vari strumenti musicali. I documenti del magistero recente ♦ Il Motu proprio tra le sollecitudini di Pio X Il papa ricorda che l’organo non deve coprire la voce; gli altri strumenti sono tollerati: una scelta limitata, giudiziosa e proporzionata di strumenti a fiato. Non ammettere nessuno strumento “chiassoso o di carattere leggero”. ♦ Pio XI torna con severità sull’argomento. “Dobbiamo qui affermare che il canto con accompagnamento non costituisce affatto l’ideale della musica di chiesa, e non è quello che meglio conviene ai riti sacri. Più che gli strumenti, 1 è la voce quella che deve risuonare negli edifici sacri”. ♦ La “Musicae sacrae disciplinae” (MSD) di Pio XII
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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA
“Oltre l’organo vi sono altri strumenti che possono efficacemente venir in aiuto a raggiungere l’alto fine della musica sacra, purché non abbiano nulla di profano, di chiassoso, di rumoroso, cose disdicevoli al sacro rito e alla gravità del luogo. Tra essi vengono in primo luogo il violino ed altri strumenti ad arco, i quali, o soli, o insieme con altri strumenti e con l’organo, 2 esprimono con indicibile efficacia i sensi di mestizia o di gioia dell’animo.” ♦ L’Istruzione sulla Musica Sacra del 3 settembre 1958 “Data la natura, la santità e la dignità della sacra liturgia, l’uso di qualsiasi strumento musicale di per sé dovrebbe essere perfettissimo. Perciò è meglio che il suono degli strumenti (sia del solo organo, come degli altri strumenti) venga omesso del tutto, piuttosto che eseguirlo male; e generalmente è preferibile fare bene piccole cose che tentare cose maggiori, per le quali manchino mezzi proporzionati”. (n.60 a) “Bisogna tener presente la differenza, che passa fra la musica sacra e la profana. Vi sono degli strumenti musicali, che per loro natura e origine - come l’organo classico - sono ordinati 1 2
Pio XI, Divini Cultus, n. 7. Pio XII, Musicae sacrae disciplinae, n.27.
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direttamente alla musica sacra; ve ne sono altri, che facilmente si adattano all’uso liturgico, come alcuni strumenti ad arco; ci sono invece strumenti, che, a giudizio comune, sono propri della musica profana, che non si possono affatto adattare ad uso sacro.” (n.60 b). “Infine devono ammettersi nella sacra Liturgia solo quegli strumenti che vengono trattati con azione personale dell’artista, non quelli che vengono suonati in modo meccanico o automatico.” (n.60 c) “I suonatori degli strumenti, di cui ai nn. 61-64, è necessario siano sufficientemente esperti nella loro arte, sia per accompagnare i canti sacri, o i concerti, sia per suonare degnamente il solo organo; anzi, siccome molto spesso occorre di dover improvvisare, durante le azioni liturgiche, in determinati momenti convenienti alla stessa azione, devono conoscere, in teoria e in pratica, le leggi che riguardano in generale l’organo e la Musica sacra. Gli stessi si studino di custodire religiosamente gli strumenti loro affidati. Tutte le volte che siedono all’organo, nelle sacre funzioni, siano consci della parte attiva che esercitano a gloria di Dio e a edificazione dei fedeli.” (n.65).
Nelle azioni liturgiche, specialmente nei giorni più solenni, oltre l’organo si possono adoperare anche altri strumenti musicali – in primo luogo quelli ad arco – con o senza l’organo, sia per suonare solamente, che per accompagnare il canto, osservando però strettamente le norme che derivano dai principi sopra esposti (n. 60), le quali sono: a) che si tratti di strumenti musicali, che veramente si possono adattare all’uso sacro; b) che il suono di tali strumenti venga prodotto in tal modo e gravità, e quasi con religiosa purezza, da evitare qualsiasi clamore di musica profana e fomentare la pietà dei fedeli; c) che il direttore, l’organista e gli artisti conoscano bene l’uso degli strumenti e le leggi della Musica sacra. (n.68) ♦ La Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium” “Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri strumenti poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22 par. 37 e 40, purché siano adatti all’uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l’edificazione dei fedeli”. (n.120) “I musicisti animati da spirito cristiano, comprendano di essere chiamati a coltivare la Musica sacra e ad accrescere il suo patrimonio”. (n.121)
Dai documenti appare una evoluzione circa l’uso degli strumenti; analizziamo alcune idee presenti nei documenti anteriori al Vaticano II.
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a) I primi documenti intendevano gli strumenti quasi esclusivamente come sostegno al canto. È evidenziato il primato della Parola e quindi della voce umana. Ma, nel documento di Pio X MSD, la musica strumentale è vista come un mezzo per esprimere i sentimenti e favorire la devotio dell’assemblea e la preghiera liturgica. Si nota uno scollamento tra l’uso degli strumenti e l’azione liturgica, sembra che compito principale degli strumenti sia un aiuto di tipo psicologico; gli strumenti sono considerati quasi un abbellimento e ornamento di tipo estetico, ma non in rapporto alla parola e all’azione liturgica.
b) Un’altra idea predominante nei documenti: la musica strumentale è vista in funzione della solennità. Infatti prevalgono i concetti di splendor (8 volte), decus (3 volte), magnificentia (2 volte), decorare (2 volte). Tale modo di intendere la solennità è unilaterale e poco liturgico; quasi che la solennità dipendesse dall’impiego di mezzi e strumenti esteriori. La Istruzione del 1967 “Musica in sacra liturgia” invece stabilisce che “la vera solennità di una azione liturgica dipende non tanto dalla forma più ricca del canto e dell’apparato più fastoso delle cerimonie, quanto piuttosto dal modo degno e religioso della celebrazione, che tiene conto dell’integrità dell’azione liturgica, dell’esecuzione cioè di tutte le sue parti, secondo la loro natura” (N.11). c) Un altro problema è legato alla scelta degli strumenti cultuali. Non si possono dare giudizi e norme obbligatorie per tutti i luoghi e per tutte le epoche. L’aspetto sociale della prassi strumentale ne determina anche il giudizio, e così si spiegano anche le differenti valutazioni che sono state date nel corso della storia sullo stesso strumento. Così ci sarebbero strumenti che per “natura et origine” sarebbero ordinati al culto, come l’organo. Altri strumenti, si possono facilmente adattare (come gli archi). Altri invece sarebbero non adatti né adattabili alla liturgia. Non è stato evidenziato per niente il modo di suonare uno strumento; come non esistono strumenti sacri in se stessi, così non esiste un modo di suonare che sia sacro in se. O uno strumento è suonato bene secondo le proprie caratteristiche, oppure non avviene niente. Inoltre la categoria di sacro in opposizione a profano è poco precisata; essa non è una categoria aprioristica e stabilita fuori di un contesto celebrativo. È profana quella musica che “non corrisponde alle oggettive esigenze della liturgia”. Cambiamento di prospettiva Finalmente nella Istruzione del 1967 “De musica in sacra liturgia”, viene evidenziata la funzione ministeriale degli strumenti e le dirette conseguenze e applicazioni. Per la prima volta gli strumenti, sono trattati esclusivamente dal punto di vista della loro funzione ministeriale. Quindi non è più la qualità dello strumento o la sua letteratura a decidere qual è lo strumento adatto alla liturgia, ma chi decide è esclusivamente l’evento liturgico che è celebrato. Allora: qualunque strumento è idoneo al culto, purché risponda alle esigenze della liturgia. Ne consegue che l’inabilità di uno strumento al culto non è mai definitiva e completa: può essere già idoneo al culto o lo potrà diventare. Se per esempio, uno strumento viene utilizzato in ambiente extraliturgico in modo da provocare nei fedeli associazioni psicologiche disturbanti o sconcertanti (“fuori concerto”), vorrà dire che per ora tale strumento non è adatto all’uso liturgico per motivi psicologici o di associazioni evidenti ad ambienti profani. Appare evidente quindi lo spostamento di accento posto dal documento: non più gli strumenti visti come splendor et decus, ma visti in funzione dell’azione sacra. Qualcuno ha pensato, e lo ha scritto, che la Riforma Liturgica, pur non vietando l’uso degli strumenti, ha di molto limitato il loro utilizzo. Sono posizioni soltanto emotive e poco motivate. Il culto cristiano, per la legge dell’incarnazione, esige una partecipazione “piena, consapevole e attiva” alla liturgia; richiede perciò un ingresso totale nel mondo dei segni. Significa ed implica un impegno umano totale e concreto; utilizza ed esige forme espressive nella parola, nel suono, nei gesti, nei movimenti. Perciò, anche la musica strumentale, se ben inserita e rispettosa del rito, svolge un compito ministeriale degno e altamente simbolico; diventa parte viva e integrante dell’azione liturgica.
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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA
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Compiti liturgici degli strumenti A) A servizio della Parola
È fondamentale questo servizio svolto dagli strumenti: accompagnare e sostenere il canto e la declamazione. Facilitando e aiutando il canto, la musica strumentale facilita anche la partecipazione spirituale dell’assemblea. Con l’accompagnamento strumentale “è resa più profonda l’unità dell’assemblea”: questo principio per la prima volta, evidenzia l’aspetto ecclesiale della musica strumentale nel culto. Un altro aiuto, la musica strumentale lo può offrire nel sostegno alla declamazione, con interventi ritmici che evidenzino la tensione e la distensione nelle parole proclamate. Per esempio le percussioni leggere sono strettamente apparentate all’arte della proclamazione che passa da una declamazione solenne fino ad arrivare alla cantillazione o ad un recitativo secco o melodico. Si richiede naturalmente padronanza assoluta non solo degli strumenti, ma anche una sensibilità linguistica molto fine e una conoscenza delle varie tecniche di esecuzione liturgica. B) A servizio del rito
La musica strumentale può aiutare a capire e ad entrare nel regno dei segni liturgici, facendo comprendere il significato autentico. Ogni rito ha una sua impronta specifica una sua funzione particolare; la musica strumentale può rendere più manifesta tale funzione. È proprio questo il servizio che la musica strumentale rende al rito: dimenticare se stessa, umiliarsi fino a scomparire nel rito. Per raggiungere questo scopo occorrono alcune condizioni: ♦ Un linguaggio musicale adatto alle capacità percettive di una assemblea media.
Non è ammissibile un linguaggio da iniziati, o un linguaggio sperimentale d’avanguardia. L’arte per l’arte non è il fine della musica liturgica. Ma va detto che all’interno di una funzionalità ministeriale, va recuperata tutta la profondità, la bellezza e la ricchezza della musica strumentale; va recuperato l’ingegno e la tecnica esecutiva di un musicista, né può essere dimenticata o esclusa una estetica ricca, significativa, moderna. Funzionale al rito non significa soltanto “musica che funziona”, o peggio, musica banale e brutta; ma musica che sposa il rito e lo incarna, che aiuta la partecipazione, che innalza gli animi alla preghiera, e tutto ciò può avvenire soltanto con una musica-musica e non soltanto con quattro note o pochi accordi buttati sulla tastiera o su una chitarra. Come si vede, in una giusta comprensione delle norme liturgiche, la musica strumentale non è bandita, ma è collocata e inserita nel vivo della celebrazione, la musica non è soltanto un soprammobile o un oggetto di piacere, ma diventa ministeriale. Un soprammobile si può buttare, si può cambiare di posto, o si può farne a meno, ma quando è in funzione del rito, allora acquista molta più importanza e diventa indispensabile. ♦ Una seconda condizione: il musicista è chiamato non soltanto a padroneggiare lo strumento, ma deve adattare il modo di suonare alle diverse esigenze dei singoli riti. Come per il canto, così per la musica strumentale si richiede un di più; bisogna conoscere ed entrare in profondità nell’agire celebrativo. Per esempio: una musica per l’entrata sarà diversa da quella per la comunione; una musica che accompagna un inno sarà diversa rispetto ad una che sostiene la cantillazione.
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♦ Una terza condizione: per essere lodevolmente a servizio di un rito, l’esecutore strumentale deve conoscere e praticare bene l’arte dell’improvvisazione. Introdurre un canto e concluderlo; alternarsi con il coro o l’assemblea; riprendere il tema principale di un canto significativo di quella celebrazione; riempire eventualmente tempi morti di passaggio da un rito all’altro; introdurre una celebrazione con un brano organistico
ortarla a compimento richiamando i vari temi musicali presenti nei canti: sono tutte possibilità che richiedono grande perizia, competenza e studio. Non è possibile improvvisare tali “improvvisazioni”. Musica strumentale: come scegliere Una questione – come scegliere? - che rimanda ancora a polemiche pretestuose e aleatorie. A volte basterebbe un pò di buon senso pastorale per evitare battaglie contro o a favore di un particolare strumento. Il capitolo ottavo afferma l’utilità di tali strumenti a servizio della celebrazione, della musica e dell’assemblea. Non esistono strumenti sacri o profani, ma ogni strumento può essere utile, nella misura in cui può essere integrato nella liturgia per renderla più dignitosa ed espressiva. Il privilegio accordato all’organo va compreso alla luce del passato; considerando i canoni architettonici e ornamentali, oltre che fonici, tipici di epoche storiche. Va almeno riconsiderato tutto il problema, anche alla luce delle conquiste dell’elettronica che apre nuovi spazi sonori a volte utili alla celebrazione; Impasti sonori, timbriche inedite, possibilità ritmiche, amalgama di vari suoni: sono alcune delle possibilità che l’elettronica moderna può offrire al rito. Perciò una sola conclusione: le scelte a favore di uno strumento invece che di un altro vanno fatte con intelligenza, preparazione, dignità. Solo alcuni esempi: non si può accompagnare un inno durante la processione di ingresso in una grande chiesa o basilica soltanto con la chitarra; l’inno come forma musicale non è adatto a tale strumento e la sonorità della chitarra non può riempire tutto lo spazio né sostenere il canto di un’intera assemblea. Invece, la chitarra può benissimo accompagnare la salmodia di un solista oppure arpeggiare durante un momento di meditazione. Un altro esempio: durante una celebrazione all’aperto, un insieme di ottoni è molto adatto a sostenere grosse massi corali, orientando il canto con sonorità robuste e squillanti; Allora vi rendete conto che il problema non è degli strumenti, è sempre delle persone, della testa delle persone. È balordo vietare uno strumento solo perché non è stato mai utilizzato in chiesa; i criteri di valutazione, come abbiamo visto, devono essere ben altri: liturgici, pastorali, musicali. Gli strumenti appunto devono essere “strumenti” a servizio di... Ministerialità dell’organista I documenti ufficiali hanno parlato dell’uso dell’organo e della funzione degli organisti. Il Concilio Vaticano II, così si esprime: “Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere notevole splendore 3 alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti”. L’Istruzione Musicam Sacram del 1967, al n. 67, parla invece degli organisti:
Sulle note dello spirito
GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA
“È indispensabile che gli organisti e gli altri musicisti, oltre che a possedere una adeguata perizia nell’usare il loro strumento, conoscano e penetrino intimamente lo spirito della liturgia in modo che, anche dovendo improvvisare, assicurino il decoro della sacra celebrazione, secondo la natura delle varie parti e favoriscano la partecipazione dei fedeli”. Anche L’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGMR, 63) così si esprime: “Quello che si dice della SCHOLA CANTORUM vale anche, con gli opportuni adattamenti, per gli altri musicisti, specialmente per l’organista”. Continua sul prossimo numero 3
Concilio Ecumenico vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 120.
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ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALI
Sulle note dello spirito
1. CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI MAGGIO Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico. La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.
06 MAGGIO - V DOMENICA DI PASQUA (ANNO B) Ingresso 217 Canto al Vangelo 18 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 361
kyrie M Gialloreti Offertorio 196 Dossologia Agnello di Dio 219 Conclusione 304
Gloria 26 Santo 234 Padre Nostro 203 Comunione 371
13 MAGGIO - VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO B) Ingresso 356 Canto al Vangelo 15 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 219
Kyrie 347 Offertorio 280/342 Dossologia Agnello di Dio 137 Conclusione 131/345
Gloria 27 Santo 233 Padre Nostro 203 Comunione 298
20 MAGGIO - ASCENSIONE DEL SIGNORE (Anno B) Ingresso 47 Canto al Vangelo 23 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 132/320
Kyrie (Sorgente di salvezza) Offertorio 59 Dossologia Agnello di Dio (Sorgente di salvezza) Conclusione 354
Gloria 145 Santo 235 Padre Nostro (Sorgente di salvezza) Comunione 383
27 MAGGIO - PENTECOSTE (Anno B)
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Ingresso 27 Canto al Vangelo 162 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 333
Kyrie 352 Offertorio 03 Dossologia Agnello di Dio 279/64 Conclusione 294
Gloria 364 Santo ex 120 Padre Nostro 203 Comunione 143
2. AL SERVIZIO DELLA PAROLA La delicatezza del ruolo che il Lettore (salmista) è chiamato a svolgere sconsiglia l’improvvisazione dilagante nell’esercizio di tale ministero e pone l’accento sulla necessità di una formazione attenta e accurata. Il ministero del Lettore(salmista) è un servizio che si fa con impegno e che esige stabilità e continuità. Egli deve essere in condizione di esercitare con competenza, con misura e con stile tutta una serie di importanti meditazioni, per consentire alla Parola di Dio di giungere all’assembleae per far si che la Parola proclamata penetri con efficacia nel cuore dei fedeli. Il dinamismo rituale della Liturgia della Parola impegna in prima persona il Lettore (salmista) facendosi carico: a) di dare voce alla Parola scritta: colui che proclama la Parola di Dio si pone al servizio di essa e dell’assemblea. Perciò tutto acquista importanza: la qualità della lettura, il modo con cui si è preparato, il suo atteggiamento. Non si dovrebbe chiedere mai a nessuno di improvvisare un simile servizio, che esige sempre una preparazione interiore e psicologica. b) di dare soffio alla Parola scritta con la sua voce il lettore deve essere in grado di comunicare a tutti la convinzione che quanto si sta ascoltando è la Parola di Dio. non è, quindi una parola qualsiasi, che può essere ascoltata per abitudine o per conformismo. è una Parola mediatrice di salvezza, perché supera la contingenza e l’ambiguità delle parole umane. c) di dare corpo alla Parola scritta: il Lettore deve sforzarsi di far emergere il significato attualizzante di quanto egli proclama, deve far avvertire a tutti che la Parola di Dio è una realtà viva che interpella l’assemblea. La Parola di Dio non è un vago pensiero della mente, non è una realtà astratta. L’obiettivo fondamentale del ministero del Lettore sta nell’operare il passaggio dalla Parola scritta alla Parola viva. Egli offre la sua voce per l’iterazione dell’azione salvifica di Dio. Perciò è necessario che egli sia adeguatamente formato, “i lettori, siano veramente idonei e preparati con impegno” (OLM 55; IGMR 66). Il lettore deve essere un uomo di fede, deve essere preparato dal punto di vista liturgico e biblico di modo che il suo ministero risulti credibile e convincente, ma deve anche conoscere molto bene i problemi di ordine tecnico che condizionano il suo particolare ministero.
Sulle note dello spirito
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Sulle
ote dello Spirito
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Sulle note dello spirito
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SALMODIE
V Domenica di Pasqua - anno B Salmo Responsoriale (dal salmo 21)
V Domenica di Pasqua - anno B Salmo responsoriale (dal Salmo 21)
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1. Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fe - de - li. 2. Ricorderanno e torneranno al Si gno - re 3. A lui solo si prostre - ran - no 4. Ma io vivrò per lui, lo servirà la mia discen-den - za.
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1. loderanno il Signore quanti lo 2. davanti a te si prostre 3. davanti a lui si curve 4. annunceranno la sua giu -
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cer - cano; ran - no ran - no sti - zia;
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I poveri mangeranno e saranno sa tutti i confini della quanti dormono sotto Si parlerà del Signore alla generazione che
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il vostro cuore viva tutte le famiglie quanti discendono nel al popolo che nascerà diranno: "Ecco l'opera del
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zia - ti, ter - ra; ter - ra, vie - ne;
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sem - pre! po - poli. pol - vere. gno - re!".
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VI Domenica di Pasqua - anno B Salmo Responsoriale (dal salmo 97)
VI Domenica di Pasqua - anno B Salmo responsoriale (dal Salmo 97)
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Il Si - gno - re ha ri - ve
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1. Cantate al Signore un canto nuo - vo, 2. Il Signore ha fatto conoscere la sua sal -vez - za, 3. Tutti i confini della terra hanno ve - du - to
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1. Gli ha dato vittoria la sua 2.Egli si è ricordato del suo a 3. Acclami il Signore tutta la
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perché ha compiuto mera - vi - glie. agli occhi delle genti ha rivelato la sua giu-sti - zia. la vittoria del nostro Di - o.
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Sulle note dello spirito
ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALI
e il suo brac - cio san - to. della sua fedeltà alla casa d'I sra - e - le. gridate, esultate, canta - te in - ni!
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Sulle note dello spirito
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Ascensione del Signore - anno B Salmo Responsoriale (dal salmo 46)
Ascensione del Signore - anno B Salmo responsoriale (dal Salmo 46)
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1. perché terribile è il Signore, l'Al 2. Cantate inni a Dio, cantate 3. Dio regna sulle
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1. Popoli tutti, battete le 2. Ascende Dio tra le acclama 3. Perché Dio è re di tutta la
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tis - simo, in - ni, gen - ti,
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gio - ia, trom - ba. ar - te.
Acclamate Dio con grida di il Signore al suono di cantate inni con
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grande re su tut cantate inni al nostro re, can Dio siede sul suo
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terra. inni. santo.
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Pentecoste - anno B Salmo Responsoriale (dal salmo 103)
Pentecoste - anno B Salmo responsoriale (dal Salmo 103)
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Spi - ri - to, Si - gno - re,
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1. Benedici il Signore, anima 2. Togli loro il respiro: 3. Sia per sempre la gloria del Si
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1. Quante sono le tue opere, Si - gno-re! 2. Mandi il tuo spirito, sono cre-a - ti, 3. A lui sia gradito il mio can- to,
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Di - o! pol - vere. o - pere.
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Sulle note dello spirito
ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALI
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Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue cre - a - ture. e rinnovi la faccia del - la terra. io gioirò nel Si - gnore.
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Il prossimo numero sarà online nella prima settimana del mese di Giugno 2012
La festa di Pentecoste nella Chiesa cristiana All’interno del gruppo dei discepoli di Gesù Cristo, seguendo quanto narrato in Atti 2,1-11 la Pentecoste ha perso il significato ebraico per designare invece la discesa dello Spirito Santo, che viene come la nuova legge donata da Dio ai suoi fedeli, e come la nascita della Chiesa cominciando dalla comunità paleocristiana di Gerusalemme, o “comunità gerosolimitana” (At 2,42-48). La ricorrenza di tale evento è diventata un appuntamento fisso del calendario liturgico, è detta anche Festa dello Spirito Santo e conclude le festività del Tempo pasquale. Che Pentecoste sia nata nel periodo apostolico è dichiarato nel settimo frammento attribuito a Sant’Ireneo. In Tertulliano (De bapt. xix) la festa appare già ben definita. Il pellegrino gallico ci dà un resoconto dettagliato del modo solenne in cui veniva osservata a Gerusalemme (Peregrin. Silviæ, ed. Geyer, iv). Le Costituzioni Apostoliche (V, xx, 17) dicono che Pentecoste dura una settimana, ma in Occidente l’ottava si cominciò a celebrare in periodo più tardivo. In Berno di Reichenau (+ 1048) appare che era discusso ai suoi tempi se Pentecoste dovesse avere o no un’ottava. In passato i catecumeni che non potevano essere battezzati a Pasqua venivano battezzati durante la vigilia di Pentecoste, e per questo le cerimonie del sabato vigilia di Pentecoste erano simili a quelli del Sabato santo. La festa della Pentecoste - Domenica di Pentecoste, incluso il Lunedì di Pentecoste, quale giornata festiva a tutti gli effetti civili - è festeggiata con particolare rilevanza nell’Europa centrale: Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Francia, Olanda e Lussemburgo. In tutto l’Alto Adige, compreso il capoluogo Bolzano, anche il Lunedì di Pentecoste è ufficialmente giorno festivo. Nei paesi anglosassoni è chiamata domenica in bianco (Whitesunday) a causa delle vesti bianche indossate da coloro che venivano battezzati durante la vigilia. In passato durante l’intera settimana i tribunali non si riunivano e il lavoro servile era vietato. Il concilio di Costanza (1094) limitò tale proibizione ai primi tre giorni della settimana. Il riposo sabbatico del martedì fu abolito nel 1771, e in molte zone di missione anche quello del lunedì, fino ad essere abrogato per l’intera Chiesa da papa Pio X nel 1911. Prima della riforma liturgica il grado liturgico del lunedì e del martedì della settimana di Pentecoste era doppio di prima classe. Progetto grafico e impaginazione: Francesco Angioletti
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