Sulle
Anno 0 - Numero 6 Marzo 2012
ote dello Spirito Area Carismatica 1. La lode nel giubilo: il cuore si apre a una gioia senza parole e la gioia si dilata immensamente
Area Liturgico - Musicale 1. Dieci parole per la musica liturgica 2. Canto Gregoriano 3. Il Papa e la musica
Area Tecnica 1. 2. 3.
La classificazione delle voci in base all’estensione e al timbro La danza negli insegnamenti dei Padri della chiesa Impariamo a suonare un canto 58. Celebriamo il Signore
Gli strumenti musicali nella Liturgia 1. Quando vi sono due o più chitarristi
Gli strumenti musicali nella Bibbia 1. Gli strumenti musicali nella Bibbia
Animazione Domenicale 1. Canti per il Tempo Liturgico 2. Al Servizio della Parola: Salmodie
Foglio di collegamento a cura del Servizio Diocesano Musica e Canto Diocesi di Napoli
EDITORIALE “Ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno”, (Gl 2,13).
Carissimi leviti di Dio, all’inizio della Quaresima, con l’antico e austero rito delle Ceneri, “tempo forte” di quaranta giorni da vivere personalmente e comunitariamente come tempo di conversione. Nel tempo di Quaresima non si cantano il Gloria (OGMR 53) e l’Alleluia (OGMR 62 lett. b). Preferibilmente in canto l’atto penitenziale, l’anamnesi con la formula indicata e il canto alla frazione del pane. Dal Cerimoniale dei Vescovi 41. Dal mercoledì delle ceneri, fino al canto del Gloria a Dio nella veglia pasquale, e nelle celebrazioni dei defunti, il suono dell’organo e degli altri strumenti sia riservato soltanto a sostenere il canto. Tuttavia fanno eccezione la domenica Laetare (IV di quaresima), le solennità e le feste. 252. In questo tempo è proibito ornare l’altare di fiori, e il suono degli strumenti è permesso soltanto per sostenere il canto. Tuttavia fanno eccezione la domenica Lætare (IV di quaresima) e le solennità e le feste. Nella domenica Lætare, si può usare il colore rosaceo. La benedizione del Padre accompagni il nostro cammino di conversione e la luce del suo Spirito illumini i nostri cuori, perché possiamo ascoltare la voce di Gesù, Maestro e Salvatore che ci trasfigura in figli della Nuova Alleanza. S.E. Mons. Mariano Crociata
AREA CARISMATICA
Sulle note dello spirito
1. La lode nel giubilo: il cuore si apre a una gioia senza parole e la gioia si dilata immensamente Cantare in lingue e giubilare: aspetti della preghiera e della lode attraverso il canto che contengono un importante aggancio con la profezia, che trovano il loro fondamento nell’esperienza della primissima comunità cristiana, costituita dopo la Pentecoste, e che sono una delle caratteristiche peculiari della preghiera nel Rinnovamento nello Spirito approfondiamo il tema del cantare in lingue del giubilo, partendo dalla trattazione che ne fanno rispettivamente San Paolo e Sant’Agostino
Preghiera e canto in lingue: alcune precisazioni Il cantare e il parlare in lingue sono carismi che necessitano di una precisazione: come ci ricorda San Paolo, nella comunità dei credenti vi sono differenti manifestazioni dello Spirito Santo, il quale attribuisce a ciascuno carismi diversi: tra essi vi sono i carismi profetici, ovvero il dono della profezia, la varietà delle lingue, l’interpretazione delle lingue (cf 1 Cor 12,4-11). Il dono del parlare in lingue fa riferimento a quell’insieme di fenomeni carismatici che derivarono dalla discesa dello Spirito Santo sugli apostoli (cf At. 2,3-4; 10,44-46; 19,6). Se si guarda al primo episodio raccontato negli Atti degli Apostoli, si comprende bene che il parlare in lingue non è una sorta di fenomeno estatico nel quale si pronunciano suoni indistinti, ma l’esprimersi in lingue diverse dalla propria lingua… “Costoro che parlano non sono forse tutti Giudei ? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa ?” (cf At 2,5-12). San Paolo, invece, parlando del carisma delle lingue, sembra più propriamente riferirsi alla possibilità data dallo Spirito di lodare Dio attraverso suoni indistinti, che non sono regolati dall’intelletto, che non sono riconducibili a una lingua codificata e che, tuttavia, possono essere interpretati. Nel capitolo 14 della Prima lettera ai Corinzi, San Paolo fa una distinzione, affermando che chi parla con il dono delle lingue si rivolge a Dio, chi profetizza parla agli uomini, e sembra preferire nettamente il dono della profezia (cf 14,1 e ss.). In questo caso, il parlare in lingue non è assimilabile al parlare in una lingua codificata, nota ma mai studiata; è piuttosto un esprimersi attraverso suoni indistinti che solo Dio può comprendere: ecco perché il carisma non edifica l’assemblea ma chi lo riceve. Confortati da questi riferimenti, possiamo allora affermare che esistono almeno due modalità principali che riguardano il parlare o il cantare in lingue. Parlare o cantare in una lingua esistente mai studiata
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Si tratta del carisma che venne dato agli apostoli nel giorno di pentecoste e consiste nel parlare, sotto l’effetto dello Spirito,in una lingua codificata, antica o moderna. Questo dono profetico può essere interpretato o meno: nel primo caso edifica l’assemblea, nel secondo caso edifica chi lo riceve. Parlare o cantare con un idioma inesistente, attraverso suoni indistinti.
Si tratta di una preghiera che articola suoni incomprensibili, che non fanno riferimento a nessuna delle lingue antiche e moderne codificate. Anche questo dono può essere interpretato, e in questo caso edificare tutta l’assemblea, o non essere interpretato, e in questo caso edificare solo chi lo riceve. Giubilare: un moto interiore dell’anima Guardando alla trattazione che Agostino fa in merito al giubilo, e che si può desumere soprattutto dalle Enarrationes in Psalmos, sembrerebbe che il giubilare inteso dal Santo di Ipponia sia simile al parlare o cantare attraverso suoni indistinti di cui parla San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi. Riflette Agostino: “Quando puoi offrigli una così elegante bravura nel canto da non essere in nulla sgradito a orecchie così perfette ? Ecco che egli quasi intona per te il canto: non cercare le parole, quasi che tu potessi dare forma a un canto per cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Che significa giubilare ? Intendere senza poter spiegare a parole ciò che con il cuore si canta. Infatti coloro che cantano, sia mentre mietono, sia mentre vendemmiano, sia quando sono occupati con ardore in qualche altra attività, incominciano per le parole dei canti a esultare di gioia, ma poi, quasi pervasi da tanta letizia da non poterla più esprimere a parole, lasciano cadere le sillabe delle parole, e si abbandonano al suono del giubilo. Il giubilo è un certo suono che significa che il cuore vuol dare alla luce ciò che non può essere detto. E a chi conviene questo giubilo se non al Dio ineffabile ? Ineffabile è infatti ciò che non può essere detto: e se non puoi dirlo, ma neppure puoi tacerlo, che ti resta se non giubilare, in modo che il cuore si apra a una gioia senza parole, e la gioia si dilati immensamente ben al di là dei limiti delle sillabe ? Bene cantate a lui nel giubilo” (Enarrationes in Psalmos 32, II,8). Agostino sembra suggerirci che il canto esteriore, come lo intendiamo normalmente, per quanto sia ben eseguito, non potrà mai esprimere fino in fondo ciò che abbiamo nel cuore, il mistero ineffabile della presenza di Dio in noi. Come potremmo definire nel canto ciò che in noi è così misterioso ? Come potremmo codificare ciò che sfugge alla logica poiché di per sé indecifrabile? Il giubilo, pura gioia Nel salmo 47 si legge: “Ascende Dio tra il giubilo” (cf v. 6). Nella esposizione al salmo 47, Agostino collega questo verso con l’ascensione di Cristo davanti agli apostoli (cf At 9-11). In questo episodio, mentre Gesù ascende al cielo e viene sottratto allo sguardo degli apostoli da una nube, essi rimangono stupiti a fissare il cielo e gli Atti non riportano alcuna loro frase. Piuttosto, due angeli si presentano loro quasi svegliandoli dalla loro estasi: “Perché state a guardare il cielo? Quando Gesù… tornerà un giorno…” (Ibid.). gli apostoli non possono esprimere a parole l’estasi mistica che stanno vivendo e Agostino usa questo episodio per sottolineare che vi sono momenti dell’esperienza spirituale che non possono essere spiegati dalle parole: “Gli angeli avevano preannunziato l’ascensione del Signore; e videro i discepoli, mentre il Signore saliva al cielo, estatici, ammirati, stupefatti, senza una parola, ma col giubilo nel cuore” (s. Agostino, Enarrationes in Psalmos, 46,8). C’è dunque un giubilo per così dire, vocalizzato, e un giubilo interiore. Ma Agostino, in fin dei conti, sembra sempre preferire l’espressione vocalizzata della lode. Infatti, nella Enarratio 80,3 sottolinea come il giubilo nasca proprio dalla impossibilità di restare silenziosi o inattivi di fronte a Dio: “Se non potete spiegarvi con le parole non per questo abbia termine la vostra esultanza, se potete spiegare, gridate, se non potete giubilate.” . Naturalmente quando Agostino usa il termine “gridate”, vuole invitare a erompere di gioia, a esultare, ad acclamare, nell’accezione tipica dei Salmi e di tutta la Scrittura. Ma quando la gioia che abbiamo nel cuore non può essere manifestata
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AREA CARISMATICA
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nemmeno da queste espressioni, allora ecco nascere il giubilo, altrimenti saremmo degli ingrati, perché metteremo “un termine alla nostra esultanza” e non saremmo capaci di riconoscere la salvezza di Dio.
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si domanda come cantare a Dio. Devi cantare a lui, ma non in modo stonato. Non vuole che siano offese le sue orecchie. Cantate con arte, o fratelli. Quando, davanti a un buon intenditore di musica, ti si dice: canta in modo da piacergli; tu, privo di preparazione nell’arte musicale, vieni preso da trepidazione nel cantare, perché non vorresti dispiacere al musicista; infatti quello che sfugge al profano, viene notato e criticato da un intenditore dell’arte. Orbene, chi oserebbe presentarsi a cantare con arte a Dio, che sa ben giudicare il cantore, che esamina con esattezza ogni cosa e che tutto ascolta così bene? Come potresti mostrare un’abilità così perfetta nel canto, da non offendere in nulla orecchie così perfette? Ecco egli ti dà quasi il tono della melodia da cantare: non andare in cerca della parole, come se tu potessi tradurre in suoni articolati un canto di cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: Cantare nel giubilo. Che (dal Commento sui salmi, di sant’Agostino, ve- cosa significa cantare nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta scovo, Salmo 32, Disc. 1, 7-8; CCL col cuore. Coloro infatti che cantano sia durante 38, 253-254) la mietitura, sia durante la vendemmia, sia du“Lodate il Signore con la cetra, con l’arpa a dieci rante qualche lavoro intenso, prima avvertono il piacere, suscitato dalle parole dei canti, ma, corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo!” (Salmo 32, in seguito, quando l’emozione cresce, sentono 2.3). Spogliatevi di ciò che è vecchio ormai; ave- che non possono più esprimerla in parole e alte conosciuto il nuovo canto. Un uomo nuovo, lora si sfogano in sola modulazione di note. un testamento nuovo, un canto nuovo. Il nuovo Questo canto lo chiamiamo “giubilo”. Il giubilo canto non si addice ad uomini vecchi. Non lo im- è quella melodia, con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E parano se non gli uomini nuovi, uomini rinnovati, verso chi è più giusto elevare questo canto di per mezzo della grazia, da ciò che era vecchio, giubilo, se non verso l’ineffabile Dio? Infatti è uomini appartenenti ormai al nuovo testamento, ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se che è il regno dei cieli. Tutto il nostro amore ad non lo puoi esprimere, e d’altra parte non puoi esso sospira e canta un canto nuovo. tacerlo, che cosa ti rimane se non “giubilare”? Allora il cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi Elevi però un canto nuovo non con la lingua, ma di parole, e la grandezza straordinaria della giocon la vita. Cantate a lui un canto nuovo, can- ia non conoscerà i limiti delle sillabe. Cantate a tate a lui con arte (cfr. Salmo 32, 3). Ciascuno lui con arte nel giubilo (cfr. Salmo 32, 3).
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DIECI PAROLE PER LA MUSICA LITURGICA: “educante”
di Aurelio Porfiri (Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. È professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. È socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL).Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese.)
Anni fa, parecchi anni fa, fui chiamato a suonare l’organo per una celebrazione domenicale in una bella chiesa del centro di Roma. Questo succedeva di tanto in tanto, per quella chiesa, in quanto avevo una certa dimestichezza con il rettore, un monsignore che lavorava in Curia. Ricordo che la messa della domenica sera era abbastanza frequentata. Ma mi sentivo un poco a disagio in quella chiesa. Infatti, la celebrazione era praticamente un pretesto per le spiegazioni del monsignore in questione. Non c’era parte che non veniva preceduta o seguita da un sermoncino che ci spiegava perché dovevamo sedere, alzarci, darci la mano, dire quella preghiera o quell’invocazione. Ogni messa, in questo modo, acquistava una lunghezza che andava ben al di là del necessario. Ma alcune persone erano affascinate da quest’ andazzo, probabilmente confondendo il protagonista nella liturgia, che non è il sacerdote, fosse pure il Papa, ma è Cristo. Quando il sacerdote diviene l’attrazione c’è senz’altro qualcosa che non va. Mi è venuta in mente questa situazione quando ho cominciato a riflettere sul modo in cui la musica liturgica è educante. In effetti il problema è nell’uso di questa parola. Che cosa significa educare? Possiamo senz’altro distinguere due accezioni del termine stesso, una quella che propriamente chiamiamo “educazione”, l’altra che definiamo “scolarizzazione”. Io credo che per la liturgia (e la musica che come ripeto sempre non può essere scissa dalla liturgia stessa), il primo termine è valido, mentre il secondo è deleterio, se non pericoloso. La “scolarizzazione” è quella fase delimitata nel tempo in cui siamo chiamati ad acquisire certe nozioni per il conseguimento di alcuni gradi scolastici. Certamente essa è parte dell’educazione ma non la esaurisce. La scolarizzazione è scandita su certi parametri che la società stabilisce ed ha un andamento standardizzato per tutti gli studenti. Essa non è negativa di per sé ma non ha senso se non è inserita nella idea molto più vasta e profonda di “educazione”. Ex-ducere, “condurre fuori”, è concetto molto più ampio e importante. Significa che l’insegnante ha l’abilità di risvegliare nello studente alcune potenzialità che già risiedono in lui, facendo in modo che questi elementi vitali diano senso ad alcune informazioni in grado di permetterne la crescita sana e armoniosa. Educazione non è un concetto scolastico, ma ha un significato molto più ampio. La pura scolarizzazione (che non dovrebbe esistere) procede da fuori a dentro (insegnante-studente), l’educazione procede da dentro a fuori (studente-insegnante). Nel primo caso il protagonista è l’insegnante, nel secondo è lo studente. Nel caso della messa di cui sopra, mi sembra evidente che il protagonista era colui che si inseriva in ogni momento possibile della stessa, spostando l’attenzione dal celebrato al celebrante. In un
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certo senso trattava l’assemblea come un manipolo di studenti da indottrinare, rendendoli passivi alla vera natura della celebrazione pur se ufficialmente richiamava sempre l’assemblea ad essere “più coinvolta”. Ma la domanda che io non ho mai posto è: più coinvolta in che cosa? Ecco, in un certo senso questo celebrante applicava un metodo puramente “scolastico” alla liturgia: il fedele andrebbe alla messa per ricevere nozioni più o meno catechistiche, per conseguire un certo corpus di conoscenza ritenuta necessaria. Ma la messa non è per questo scopo. La messa vuole risvegliare l’uomo interiore, la messa è in questo senso veramente “educante”. Così la musica per la liturgia non parla alle nostre menti ma parla alle nostre anime nella cui profondità il nostro io spirituale aspetta di essere richiamato alla vita. Ecco perché la musica per la liturgia non è musica mondana, essa è nel mondo ma non è di questo mondo. Se saremo capaci di riscoprire il significato profondo del termine “educazione”, credo non potremmo che capire sempre più in che modo la musica per la liturgia può essere “educante”. Nel rito straordinario della messa, la parte che oggi definiamo “liturgia della parola”, veniva definita “didattica”. Perché didattica? In quanto siamo in ascolto della parola di Dio. Infatti Dio parla a noi attraverso i suoi ministri. Ma l’attenzione non deve mai essere spostata sui ministri stessi, in quanto essi sono un tramite, non il termine ultimo. Ecco perché, anche nel canto, la Chiesa ha sempre consigliato di evitare eccessi solistici (pur se in varie epoche questi hanno finito per predominare). Il solista sposta l’attenzione sull’individuo piuttosto che sul corpo mistico che è la Chiesa, in un certo senso disturba una dinamica che è propria della liturgia. Certo questo non va esagerato ma va tenuto a mente. Le parole in questo senso di san Pio X nel suo celebre Motu Proprio del 1903 sono chiare: “Tranne le melodie proprie del celebrante all’altare e dei ministri, le quali devono sempre essere in solo canto gregoriano senza alcun accompagnamento d’organo, tutto il resto del canto liturgico è proprio del coro dei leviti, e perciò i cantori di chiesa, anche se sono secolari, fanno propriamente le veci del coro ecclesiastico. Per conseguenza le musiche che propongono devono, almeno nella loro massima parte, conservare il carattere di musica da coro. Con ciò non s’intende del tutto esclusa la voce sola. Ma questa non deve mai predominare nella funzione, così che la più gran parte del testo liturgico sia così eseguita; piuttosto deve avere il carattere di semplice accenno o spunto melodico ed essere strettamente legata al resto della composizione a forma di coro” (12).
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Questo passaggio che offre anche altri spunti che andrebbero discussi appropriatamente, credo ci dia una interessante visione di come la Chiesa vede il ruolo del solista nella celebrazione.
Come nella musica liturgica non si devono avere voci che predominino, così nella liturgia stessa nessuno è protagonista se non Cristo. Ecco in che modo la liturgia e la sua musica sono educanti. San Pio X fu senz’altro un Papa amante della musica, specialmente della musica liturgica. Ma vediamo anche cosa altri Papi hanno detto su questo argomento e sulla funzione educante della musica. Occupiamoci di Pio XI. In una bolla del 20 dicembre 1928, “Divini Cultus Sanctitatem” il Pontefice ritorna sul tema della musica liturgica sulla scia del Motu Proprio di san Pio X, reiterando l’importanza della educazione artistica dei giovani che si apprestano agli studi per il sacerdozio. Nella lettera decretale “Geminata Laetitia” (1 aprile 1934) con cui viene proclamato santo don Giovanni Bosco afferma: “coronò con l’insegnamento della musica l’educazione artistica dei giovani, e adottò nei suoi laboratori i macchinari più moderni e perfetti”. Bella questa immagine della musica come coronamento della formazione artistica. Questo sembra adombrare l’insegnamento della classicità greca sulla musica come strumento di educazione morale; per questo motivo Platone spesso metteva in guardia sui pericoli che da essa potevano derivare. E a questi pericoli ha pensato lo stesso Pio XI in una sua lettera enciclica che aveva come oggetto, pensate un pò, il cinema: “Inoltre, le vicende raffigurate nel cinema sono svolte da uomini e donne particolarmente scelti per le loro doti naturali e per l’uso di espedienti tali, che possono anche divenire strumento di seduzione, soprattutto per la gioventù. Il cinema vuole per di più, a suo servizio, il lusso delle scenografie, la piacevolezza della musica, il realismo inverecondo, ed ogni forma di capriccio nello stravagante” (Vigilanti Cura, 29 giugno 1936).
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Pio XII, Eugenio Pacelli, era un buon violinista, così si può dire a ragione che aveva un particolare interesse per l’arte musicale. Nella fondamentale enciclica “Mediator Dei” si occupa di musica sempre in connessione con la liturgia. Qualcosa di più centrato sulla musica in se stessa troviamo nell’enciclica sulla musica sacra “Musicae Sacrae Disciplina” del 25 dicembre 1955: “Fra i molti e grandi doni di natura dei quali Dio, in cui è armonia di perfetta concordia e somma coerenza, ha arricchito l’uomo, creato a sua ’immagine e somiglianza’ (cf. Gn 1, 26), deve annoverarsi la musica, la quale, insieme con le altre arti liberali, contribuisce al gaudio spirituale e al diletto dell’animo. A ragione così scrive di essa Agostino: ’La musica, cioè la dottrina e l’arte del ben modulare, a monito di grandi cose è stata concessa dalla divina liberalità anche ai mortali dotati di anima razionale’”. La citazione, tratta dall’epistola 161 del grande santo, ci riporta alla doppia dimensione della
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musica, concessa per il gaudio dello spirito e il diletto dell’animo ma pure diretta all’anima razionale. Paolo VI, in un discorso ai partecipanti alla manifestazione “Un colore al mondo” del 16 aprile 1971 diceva: “Fa sempre piacere a Noi ricevere giovani, specialmente se vengono da lontano e se, come voi fate, dedicano il loro talento artistico ad una buona causa, com’è quella di infondere nei coetanei, attraverso la musica e il canto, il senso della speranza, il sano ottimismo, il calore della fratellanza umana e cristiana”.
Nel Messaggio per la VII giornata delle comunicazioni sociali del primo maggio 1973, il Papa apre al tema della musica (con altre arti) come mezzo di diffusione del messaggio di verità, bontà e bellezza, cioè del messaggio cristiano. In occasione del quinto centenario della nascita di Michelangelo (29 febbraio 1976) il Papa dichiarava in una omelia: “Cioè l’arte, specialmente l’arte, come ogni attività umana, deve essere tesa in uno sforzo di sublimazione, come la musica, come la poesia, come il lavoro, come il pensiero, come la preghiera, deve rivolgersi in alto”.
L’arte (e quindi la musica) come purificazione dal di dentro, come sforzo di portare fuori le forze spirituali che spesso dormono in noi. Veniamo a Giovanni Paolo II. Non era certamente un musicista nel senso tecnico del termine, ma sappiamo che nella sua gioventù amava condurre il coro di canto gregoriano della sua parrocchia in Polonia: “Da studente don Karol Wojtyla era venuto a contatto con il movimento di rinnovamento liturgico, e a San Floriano si applicò a metterne in pratica alcune idee. Costituì un gruppo per discutere gli scritti del teologo Pius Parsch, che spiegavano ai cattolici, per i quali il culto era a volte difficile da mettere in rapporto con la vita quotidiana, la ricca trama della liturgia. Poi, in un’epoca in cui la ricca tradizione musicale della Chiesa in materia di canto era in genere riservata ai monasteri, avviò un coro studentesco cui insegnò, perché potesse cantare varie parti della messa, il canto gregoriano” (George Weigel, “Testimone della speranza” - Oscar saggi Mondadori, Milano 2001, 121). Nel maggio del 1951 questo coro cominciò a cantare per la prima volta eseguendo la Messa de Angelis. E il giovane Karol tentò anche di coinvolgere delle studentesse in questa esperienza. Insomma, la musica faceva certo parte del mondo di Karol Wojtyla, lui che era attore e drammaturgo sicuramente aveva per la stessa musica una sensibilità molto particolare. Durante l’Udienza del 17 settembre 1980, da Papa dunque, salutando un gruppo musicale proveniente dal Giappone dichiarava: “Attraverso la musica il cuore è innalzato al Creatore di tutte le cose, e quindi non c’è da meravigliarsi se la musica è stata curata e promossa nei templi del vostro paese”.
La musica, espressione di bellezza, ci riporta e richiama alla bellezza originaria, al Creatore. La nostra partecipazione è possibile per l’Incarnazione di Gesù, Figlio di Dio che ha assunto la natura umana e redento tutte le cose. Nella lettera agli artisti del 4 aprile 1999 ci offre una riflessione folgorante:
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“Un’esperienza condivisa da tutti gli artisti è quella del divario incolmabile che esiste tra l’opera delle loro mani, per quanto riuscita essa sia, e la percezione folgorante della bellezza percepita nel momento creativo: quanto essi riescono ad esprimere in ciò che dipingono, scolpiscono, creano non è che un barlume di quello splendore che è balenato per qualche
istante agli occhi del loro spirito. Di questo il credente non si meraviglia: egli sa di essersi affacciato per un attimo su quell’abisso di luce che ha in Dio la sua sorgente originaria”. Questo affacciarsi su un abisso di luce è quello che il musicista sperimenta, e l’intuizione del Papa in questo documento è veramente importante. Questo abisso di luce ha veramente carattere educante, è questo abisso di luce che per solo pochi istanti si posa nella nostra anima che ci permette un’esperienza che non saremmo capaci di compiere altrimenti; l’arte liturgica è la rivelazione di questo abisso di luce. Papa Benedetto XVI non è solo un’amante della musica, ma è anche un musicista, un appassionato pianista. Alla musica ha dedicato pagine anche nel suo precedente “mestiere” di cardinale. Da Papa ha spesso parlato della musica, anche rievocando la sua personale esperienza con essa: “Nel guardare indietro alla mia vita, ringrazio Iddio per avermi posto accanto la musica quasi come una compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia. Ringrazio anche le persone che, fin dai primi anni della mia infanzia, mi hanno avvicinato a questa fonte di ispirazione e di serenità. Ringrazio coloro che uniscono musica e preghiera nella lode armoniosa di Dio e delle sue opere: essi ci aiutano a glorificare il Creatore e Redentore del mondo, che è opera meravigliosa delle sue mani. Ecco il mio auspicio: che la grandezza e la bellezza della musica possano donare anche a voi, cari amici, nuova e continua ispirazione per costruire un mondo di amore, di solidarietà e di pace” (16 aprile 2007, in occasione di un concerto offerto per gli 80 anni del Papa). Parole ancora più impegnative in occasione di un altro concerto offerto in suo onore: “La musica, di fatto, ha la capacità di rimandare, al di là di se stessa, al Creatore di ogni armonia, suscitando in noi risonanze che sono come un sintonizzarsi con la bellezza e la verità di Dio – con quella realtà che nessuna sapienza umana e nessuna filosofia possono mai esprimere”(4 settembre 2007). Credo che questa meditazione vada al cuore di ciò che intendo esprimere. La vera musica liturgica fa risuonare in noi voci che giacciono spesso inascoltate nei recessi della nostra anima. Ecco come si fa educante, quando è bella e vera.
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il canto gregoriano e la liturgia tradizionale
di Raimondo Mameli
Prima di addentrarci nel discorso sulla musica sacra e i suoi libri liturgici, ricorderemo alcuni pronunciamenti del Magistero cattolico sul ministero liturgico del musicista. Nel 1903 il Papa San Pio X di venerata memoria ebbe a scrivere: “La musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e edificazione dei fedeli” e proseguiva “…i cantori hanno in chiesa vero
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officio liturgico”. Per quanto riguarda i musicisti di Chiesa, prescrisse: “…non si ammettano a far parte della cappella di chiesa se non uomini di conosciuta pietà e probità di vita, i quali, col loro modesto e devoto contegno durante le funzioni liturgiche, si mostrino degni del santo officio che esercitano. Sarà pure conveniente che i cantori, mentre cantano in chiesa, vestano l’abito ecclesiastico e la cotta…” . Il venerabile Pio XII, riallacciandosi al magistero di San Pio X, ...
che siano – allorquando siano deputati dalla competente autorità ecclesiastica al servizio dell’altare e all’esecuzione della musica sacra, svolgendo le loro funzioni in guisa conforme alle rubriche, esercitano un servizio ministeriale diretto ma delegato” (traduzione nostra).
Il Concilio Vaticano II ribadisce con forza che “tutti gli artisti, poi, che guidati dal loro talento intendono glorificare Dio nella santa Chiesa, ricordino sempre che la loro attività è in certo ... scrisse: “Infatti, quanti o compongono modo una sacra imitazione di Dio creatore e che musica, secondo il proprio talento artistico, o la le loro opere sono destinate al culto cattolico, dirigono, o la eseguono sia vocalmente sia per alla edificazione, alla pietà e alla formazione mezzo di strumenti musicali, tutti costoro senza religiosa dei fedeli” . Dal Motu Proprio de dubbio esercitano un vero e proprio apostolato, musica sacra del Sommo Pontefice San Pio X anche se in modo vario e diverso, e riceveranno “Tra le sollecitudini” (22 novembre 1903): ...[il] canto gregoriano è per conseguenza il canto perciò in abbondanza da Cristo Signore le proprio della Chiesa Romana, il solo canto ricompense e gli onori riservati agli apostoli, ch’essa ha ereditato dagli antichi padri, che nella misura con cui ognuno avrà fedelmente ha custodito gelosamente lungo i secoli nei adempiuto il suo ufficio. suoi codici liturgici, che come suo direttamente propone ai fedeli, che in alcune parti della liturgia esclusivamente prescrive e che gli studi più recenti hanno sì felicemente restituito alla sua integrità e purezza.
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Per tali motivi il canto gregoriano fu sempre considerato come il supremo modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme.
L’antico canto gregoriano tradizionale dovrà dunque restituirsi largamente nelle funzioni del culto, tenendosi da tutti per fermo, Essi perciò stimino grandemente questa che una funzione ecclesiastica nulla perde loro mansione, in virtù della quale non sono della sua solennità, quando pure non venga solamente artisti e maestri di arte, ma anche accompagnata da altra musica che da questo ministri di Cristo Signore e collaboratori soltanto. In particolare si procuri di restituire il nell’apostolato, e si sforzino di manifestare canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché anche con la condotta della vita la dignità i fedeli prendano di nuovo parte più attiva all’ di questo loro ufficio”. Nel 1958 la Sacra officiatura ecclesiastica, come anticamente Congregazione dei Riti pubblicò un’Istruzione solevasi. Le anzidette qualità sono pure sulla musica sacra e la Santa Liturgia, firmata possedute in ottimo grado dalla classica dal Card. Cicognani, dove si legge che “i laici polifonia, specialmente della Scuola Romana, di sesso maschile – bambini, ragazzi o adulti la quale nel secolo XVI ottenne il massimo
della sua perfezione per opera di Pier Luigi da Palestrina e continuò poi a produrre anche in seguito composizioni di eccellente bontà liturgica e musicale. La classica polifonia assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra che è il canto gregoriano, e per questa ragione meritò di essere accolta insieme col canto gregoriano, nelle funzioni più solenni della Chiesa, quali sono quelle della Cappella Pontificia. Dovrà dunque anche essa restituirsi largamente nelle funzioni ecclesiastiche, specialmente nelle più insigni basiliche, nelle chiese cattedrali, in quelle dei seminari e degli altri istituti ecclesiastici, dove i mezzi necessari non sogliono fare difetto. La Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium” sulla sacra liturgia (1963) prescrive: La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica, a norma dell’art. 30. Libri di canto Alla fine dell’Ottocento, circolavano delle ristampe del Graduale Mediceo (1614), fatto ristampare per iniziativa della Sacra Congregazione dei Riti (1868). San Pio X promulgò una nuova edizione del Graduale Romanum (1908) per il repertorio della Messa e l’Antiphonale Romanum (1912) per il repertorio dell’Ufficio Divino. Sino al Concilio Vaticano II, del Graduale Romanum restò in vigore l’editio typica promulgata sotto San Pio X, via via adattata alle riforme che si susseguivano nel corso degli anni. Non essendo semplice reperire un’edizione del Graduale Romanum aggiornata al 1962, i musicisti potranno invece procurarsi in una libreria antiquaria o su internet un Liber Usualis, celeberrima antologia di canti per la Messa e per l’Ufficio, secondo le rubriche ed i testi approvati dal Papa Giovanni XXIII il 25 luglio 1960, perfetto per la celebrazione cattolica tradizionale secondo l’indulto “Ecclesia Dei”.
Per quanto riguarda i riti della Settimana Santa, riformati da Papa Pio XII nel 1955 col decreto “Maxima redemptionis”, uno strumento indispensabile è l’Officium hebdomadae Sanctae, che contiene tutte le melodie dell’Ufficio e della Messa, dalla domenica delle palme (compreso il mattutino) sino a tutta l’ottava di Pasqua. Sebbene avessimo circoscritto la nostra analisi alla liturgia tradizionale, bisognerà ricordare che nel 1974 uscì, sotto Paolo VI, il nuovo Graduale Romanum, adattato alle riforme liturgiche postconciliari; accanto alla notazione quadrata (o “vaticana”) vi sono i neumi dei manoscritti di Laon e di San Gallo, in edizione interlineare – il cosidetto “Graduale Triplex”. Uno studioso serio non può non conoscere questo volume. La semiologia gregoriana dovrà essere uno strumento utile per la restituzione, anche e soprattutto nella liturgia tradizionale, delle melodie gregoriane. Ci limitiamo a queste poche, ragionevoli indicazioni; il repertorio gregoriano consta di oltre 5000 brani e sarebbe impensabile recuperarli tutti.
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3. IL PAPA RIBADISCE CHE IL CONCILIO VATICANO II IMPONE IL PRIMATO DEL CANTO GREGORIANO, IL QUALE NON PUÒ ESSERE CONSIDERATO SUPERATO di Massimo Introvigne L’autentico soggetto della Liturgia è la Chiesa: quindi non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia a poter disporre della Liturgia a propria discrezione o gusto personale
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BastaBugie n. 202 del 22 luglio 2011
La Santa Sede ha reso pubblica il 31 maggio la lettera, formalmente datata 13 maggio 2011, che Benedetto XVI ha inviato al Gran Cancelliere del Pontificio Istituto di Musica Sacra, il cardinale Zenon Grocholewski, in occasione delle celebrazioni del centenario di fondazione dell’Istituto. La pubblicazione di questo documento era molto attesa e segue alcune polemiche giornalistiche su un tema che, comprensibilmente, sta a cuore a molto fedeli e che ha visto purtroppo negli ultimi anni l’ampia diffusione di abusi. Il Papa, sempre attento agli anniversari, ha ricordato che «cento anni sono trascorsi da quando il mio santo predecessore Pio X [18351914] fondò la Scuola Superiore di Musica Sacra, elevata a Pontificio Istituto dopo un ventennio dal Papa Pio XI [1857-1939]. Questa importante ricorrenza è motivo di gioia per tutti i cultori della musica sacra, ma più in generale per quanti, a partire naturalmente dai Pastori della Chiesa, hanno a cuore la dignità della Liturgia, di cui il canto sacro è parte integrante (cfr Conc. Ecum. Vat II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 112)». Il Papa ha voluto specialmente ricordare che il Pontificio Istituto di Musica Sacra fa parte a pieno titolo del sistema delle università pontificie e ha un legame speciale con l’Ateneo Sant’Anselmo dei Benedettini, specializzato in liturgia. «Codesto Istituto – ha detto il Papa – che dipende dalla Santa Sede, fa parte della singolare realtà accademica costituita dalle Università Pontificie romane. In modo speciale esso è legato all’Ateneo Sant’Anselmo e all’Ordine benedettino, come attesta anche
il fatto che la sua sede didattica sia stata posta, a partire dal 1983, nell’abbazia di San Girolamo in Urbe, mentre la sede legale e storica rimane presso Sant’Apollinare». Ma la celebrazione non basta. Senza dubbio anche a fronte delle polemiche recenti, il centenario secondo il Pontefice dev’essere occasione per «cogliere chiaramente l’identità e la missione del Pontificio Istituto di Musica Sacra». A questo scopo, «occorre ricordare che il Papa san Pio X lo fondò otto anni dopo aver emanato il Motu proprio “Tra le sollecitudini”, del 22 novembre 1903, col quale operò una profonda riforma nel campo della musica sacra, rifacendosi alla grande tradizione della Chiesa contro gli influssi esercitati dalla musica profana, specie operistica. Tale intervento magisteriale aveva bisogno, per la sua attuazione nella Chiesa universale, di un centro di studio e di insegnamento che potesse trasmettere in modo fedele e qualificato le linee indicate dal Sommo Pontefice, secondo l’autentica e gloriosa tradizione risalente a san Gregorio Magno [ca. 540-604]». I problemi di oggi, ha voluto spiegare il Papa, non sono – come capita in tanti altri campi – così nuovi come molti credono. Anche cento anni fa c’erano influssi indebiti della «musica profana» su quanto si cantava in chiesa, anche se allora ci si appassionava alle opere più che alle canzonette. Ma il Magistero è sempre dovuto intervenire. E per cento anni, ha ricordato Benedetto XVI, il Pontificio Istituto di Musica Sacra è stato chiamato a studiare e diffondere «i contenuti dottrinali e pastorali dei Documenti
pontifici, come pure del Concilio Vaticano II, concernenti la musica sacra, affinché possano illuminare e guidare l’opera dei compositori, dei maestri di cappella, dei liturgisti, dei musicisti e di tutti i formatori in questo campo». La musica sacra, ha messo in luce il Pontefice, non sfugge al criterio fondamentale che fin dagli inizi del suo pontificato va illustrando in tutti i campi dove sono sorte perplessità e controversie nei tempi tumultuosi del postconcilio: le innovazioni ci sono state, ma vanno interpretate secondo una ermeneutica della «riforma nella continuità», che comprende una «naturale evoluzione» ma esclude ogni rottura. «Un aspetto fondamentale, a me particolarmente caro, desidero mettere in rilievo a tale proposito – ha sottolineato il Papa –: come, cioè, da san Pio X fino ad oggi si riscontri, pur nella naturale evoluzione, la sostanziale continuità del Magistero sulla musica sacra nella Liturgia. In particolare, i Pontefici Paolo VI [1897-1978] e Giovanni Paolo II [1920-2005], alla luce della Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium”, hanno voluto ribadire il fine della musica sacra, cioè “la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli” (n. 112), e i criteri fondamentali della tradizione, che mi limito a richiamare: il senso della preghiera, della dignità e della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il legittimo adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo stesso, l’universalità del linguaggio; il primato del canto gregoriano, quale supremo modello di musica sacra, e la sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che fanno parte del patrimonio storico-liturgico della Chiesa, specialmente, ma non solo, la polifonia; l’importanza della schola cantorum, in particolare nelle chiese cattedrali». Questi, ha detto il Papa, «sono criteri importanti, da considerare attentamente anche oggi. A volte, infatti, tali elementi, che si ritrovano nella “Sacrosanctum Concilium”, quali, appunto, il valore del grande patrimonio ecclesiale della musica sacra o l’universalità che è caratteristica del canto gregoriano, sono stati ritenuti espressione di una concezione rispondente ad un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e
della creatività del singolo e delle comunità». Un errore: «il primato del canto gregoriano» è stato ribadito dal Concilio Ecumenico Vaticano II e non può essere considerato «superato». Per evitare gli errori correnti in tema di musica sacra e liturgia, ha detto il Papa, «dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività. La Liturgia, e di conseguenza la musica sacra, “vive di un corretto e costante rapporto tra ’sana traditio’ e ’legitima progressio’”, tenendo sempre ben presente che questi due concetti – che i Padri conciliari chiaramente sottolineavano – si integrano a vicenda perché “la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso” (Discorso al Pontificio Istituto Liturgico, 6 maggio 2011)». «Altre forme espressive» diverse dal gregoriano e dalla polifonia non sono dunque escluse. Ma senza che il primato del gregoriano, che il Papa qui chiaramente riafferma, sia messo in discussione. E senza cedimenti al cattivo gusto e alla sciatteria, anzi con un «adeguato discernimento della qualità delle composizioni musicali utilizzate nelle celebrazioni liturgiche».
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1. La Classificazione delle voci in base all’estensione e al timbro 1.
La classificazione delle voci in base all’estensione e al timbro: premessa
Questa lezione risulterà particolarmente utile a coloro che si occupano di un coro parrocchiale o che si accingono a farlo in futuro. Classificare le voci è impresa ardua e può comportare molti errori, data la vastità di tipi vocali. È bene perciò affidarsi al parere di una persona esperta, almeno fin quando non si acquisisce una certa esperienza “uditiva”. Per prima cosa lancio un messaggio: non improvvisiamoci “maestri di coro” o delle voci quando non sappiamo cantare decorosamente, e anche in possesso di un diploma di conservatorio in qualche strumento non sentiamoci di “diritto” competenti; conoscere la musica è certamente indispensabile ma diventa categorico conoscere il canto e perciò le esigenze tutte particolari che la voce, quale “strumento”, ha.
Non posso insegnare a suonare uno strumento se io stesso non sono in grado!! Ok?!
Nelle nostre comunità spesso chi ha un occhio diventa bravo in mezzo ai ciechi... Evitiamo perciò il pressappochismo e guardiamo in faccia i nostri “comprensibilissimi” limiti, ma teniamo ben presente che se svolgiamo un servizio lo facciamo per la gloria di Dio e a Dio daremo tutto il meglio di cui siamo capaci (oltre a farlo per tutti noi credenti). Bene, dopo la noiosa ramanzina (perdono!!) passiamo a fatti. Partiamo da questo schema:
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I riquadri grigi abbracciano l’estensione “standard” delle singoile voci: quelli bianchi indicano, al grave e all’acuto, le note “ estreme” cui ciascun registro può arrivare (con tutte le eccezioni che, in questo caso, una classificazione può comportare).
Come possiamo notare, la classificazione che vi propongo tiene presente come parametro di valutazione, l’ESTENSIONE delle voci. Da sottolineare che queste proposte non valgono come esempi assoluti, ma sono ciò che generalmente si osserva. Diciamo subito che per formare un coro polifonico parrocchiale basta individuare 4 categorie di voci in base all’estensione, e cioè: SOPRANI, CONTRALTI (ma io preferisco dire SOPRANI II), TENORI, BASSI. Vi chiarisco perché parlerei di soprani II; è raro (davvero raro) trovare oggigiorno una voce puramente contraltile. Questo sembra essere attribuibile alla nostra conformazione corporea e facciale, tipica dei popoli mediterranei o occidentali, con visi non troppo larghi. Infatti nei paesi dell’est asiatico e particolarmente nell’area russa, la forma del volto e la conformazione delle corde vocali sembra produrre con più frequenza rispetto a noi, voci scure, sia maschili sia femminili. Allora, se i compositori di musica liturgica continuano ad usare nelle loro composizioni il termine contralti per le voci femminili di mezzo, noi che operiamo concretamente e avremo a malapena qualche vero mezzosoprano (vedi schema precedente), non potremo che servirci di soprani dal timbro più scuro (questa è in sostanza la situazione che io ho sempre!!). Prima di far partire l’attività di un coro polifonico però, occupiamoci della preparazione vocale di tutti i coristi, ivi compresi coloro che “potenzialmente” sono soprani, ma ancora non hanno una sufficiente estensione. Dopo aver ottenuto un certo grado di sicurezza e qualche nota in più verso l’acuto, potremo suddividerli in soprani I e soprani II a seconda del timbro, più chiaro o più scuro.. Per le voci maschili “dubbie”, che sembrano non potersi collocare precisamente in nessuna categoria, bisogna usare la stessa pazienza e farle esercitare... Per riconoscere una voce può essere anche utile una visita foniatrica che valuti lo spessore e la lunghezza delle corde vocali e ci aiuti nella sua identificazione e un altro “indizio”, il passaggio di registro. Nell’estensione di una voce possiamo distinguere delle “zone” chiamate registri vocali. Ad esempio osserviamo quali registri possiamo individuare nella estensione di un soprano “allenato”:
Le note in rosso sono le cosiddette note di passaggio da un registro all’altro. Per meglio capire a cosa corrispondono pensiamo al cambio di un’automobile; le note di passaggio sono il momento esatto in cui dobbiamo inserire una nuova “marcia” per proseguire nell’ascesa verso l’acuto.
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2.
La classificazione delle voci in base al timbro
Tale classificazione non è troppo importante per quanto riguarda il canto liturgico; lo è invece per il Teatro d’opera cui le classiche suddivisioni in soprano, contralto, tenore e basso non bastano a causa della grande varietà di “personaggi” da interpretare sulla scena. Solo per dovere di cronaca e completezza sono di seguito qui elencate. Voci femminili Soprano: leggero, lirico, drammatico. Mezzosoprano: brillante, drammatico. Contralto: brillante, drammatico. Voci maschili Tenore: leggero, lirico. drammatico. Baritono: comico o” rossiniano”, “verdiano”. Basso: cantabile, profondo.
Con l’aggettivo leggero si intende riferirsi ad una voce dal timbro brillante, soave e svettante verso gli estremi acuti, avvezza a cantare repertori con molti passi di agilità. L’aggettivo lirico si riferisce alla voce “romantica” per eccellenza, che interpreta ruoli di “eroe” o “eroina”. Il colore è caldo e il canto è generalmente sensuale. L’aggettivo drammatico identifica voci scure e corpose, pur mantenendo una nobiltà d’accento, che in teatro interpretano ruoli materni, paterni o schiettamente drammatici. L’aggettivo brillante si usa per designare voci che nonostante il timbro oscuro sono capaci di compiere passi d’agilità o di ricoprire ruoli brillanti e schiettamente comici. Il termine rossiniano si riferisce alle opere del compositore Gioachino Rossini, conosciute dai melomani per la brillantezza della musica e la freschezza e briosità del canto. Al contrario, verdiano si riferisce ad un cantante che si presta molto bene ad interpretare i personaggi maschili e femminili nelle opere di Giuseppe Verdi. Sono voci generalmente scure e “taglienti”. Per la voce di basso i termini “cantabile” e “profondo” individuano voci versate per i ruoli teatrali “paterni” o per impersonificare “entità sovrannaturali”.
2.
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La danza negli insegnamenti dei padri della chiesa
I Padri della Chiesa hanno manifestato un grande rispetto per il carattere di lode che può assumere la danza come gesto umano da redimere a gloria del Signore. Riportiamo qui una sintesi dei titoli assiomatici sotto i quali si può raccogliere l’insegnamento contenuto nelle varie testimonianze che in nota riportiamo. Concluderemo riportando la descrizione di una esperienza di guarigione operata da sant’Ignazio di Loyola mediante la carità di una danza.
1. La danza tra le persone amanti del Signore è una fonte di continuo ringiovanimento Se si danza portando nel cuore il nome del Piglio di Dio e circondati e adorni delle grandi virtù cristiane, anche la danza può diventare un’esperienza del regno di Dio in terra. «Allora la vergine che sembrava la prima di esse cominciò a baciarmi e abbracciarmi. Le altre, vedendo che quella mi abbracciava, anch’esse cominciarono a baciarmi e a condurmi attorno alla torre e a giocare con me. E io, come una persona ringiovanita, mi misi anch’io a giocate con esse. Alcune, infatti, suonavano, altre danzavano, altre cantavano. Io, facendo silenzio, mi aggiravo con esse attorno alla torre ed ero gioioso con esse... [92] Dimmi, Signore, i nomi delle vergini... Ascolta, anzitutto, i nomi delle vergini più forti. La prima si chiama Fede, la seconda Continenza, la terza Fortezza, la quarta Pazienza. Ecco ora i nomi delle altre che stanno tra le prime: Semplicità, Innocenza, Purezza, Letizia, Verità, Sapienza, Concordia, Carità. Chi porta questi nomi, oltre al nome del Figlio di Dio, potrà entrare nel regno di Dio» (ERMA, †150 ca. II Pastore, Allegorìa nona 88 e 92). 2. La danza riempie di luce il cammino degli iniziati alla comunione con Gesù, l’immortale
liarità con Dio occorre un’anima pura e limpida perché possa diventare sempre più perfetto nella bontà. È molto con veniente che preghi pieno di mitezza e di umiltà e con persone altrettanto ben disposte. Infatti, è cosa rischiosa e malsicura associarsi con coloro con i quali si è nello stesso tempo in disaccordo perché peccano. Con le persone che di recente si sono convertite, lo gnostico pregherà insieme nei casi nei quali è bene anche condividere il loro operare. Tutta la sua vita è un santo festino. Così, anzitutto, le sue offerte consistono in preghiere e insieme in lodi. Per tale credente sono sacrifici le preghiere e le lodi e le letture delle Scritture che si fanno prima della mensa. Salmi e inni prima del pranzo e prima del riposo e di nuovo preghiere anche di notte. Mediante queste cose egli si unisce alla schiera dei danzatori di Dio; ricordando senza interruzione sempre le cose che. ci uniscono al Cielo» (Clemente d’Alessandria, Stremati 7,7, PG 9,456).
«O misteri veramente santi! O Luce illibata!... Questi sono i baccanali dei miei misteri! Se vuoi, anche tu fatti iniziato, e danzerai con gli angeli intorno all’ingenerato e all’imperituro e all’unico vero Dio, cantando insieme con noi il Verbo di Dio. Gesù, l’Immortale, l’unico grande Pontefice 4. La danza cristiana è una celebrazione fedell’unico Dio, Potenza dell’universo» (Clemente stosa dei misteri della salvezza d’Alessandria †220, Protreptico, 12,120, 2, PG 8, «Queste, o belle vergini, sono le celebrazioni 240-241, SC 2,190). festose dei misteri della risurrezione; queste le 3. La danza santa unisce l’anima del creden- cerimonie sacre di coloro che vengono iniziate te alla schiera degli “innamorati del Signo- al rito della verginità, questi i premi delle lotte immacolate della castità. Se sposato al Verbo, con re” il mio essere ricevo dal Padre corone e ricchez«La preghiera è un modo di comunicare con ze, la dote eterna della incorruzione; celebro il Dio, e anche se gli parliamo in silenzio, senza trionfo nei secoli, incoronato con i fióri splennemmeno aprire le labbra, con un sussurro den- didi e immarcescibili della saggezza; mi unisco tro gridiamo! A colui che è in uno stato di fami- in danza nel Ciclo con Cristo che elargisce i
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premi, con il Rè che non ha principio e sfugge martiri ci dimostrano? Ecco davanti ai nostri oca ogni corruzione» (Metodio di Olimpia †311, II chi uno spettacolo incredibile. Di nuovo si rende banchetto delle dieci vergini, 6,5, PG18,120). onore ai martiri; di nuovo accorrono i sacerdoti di Dio; di nuovo appaiono i cori che danzano e «Ho scritto queste cose, sorella carissi- le adunanze spirituali. Gloria a voi, o martiri, voi ma, a tè, che fai la danzatrice di Cristo, per avete attirato i sacerdoti di Dio; voi avete messo essere di consolazione e conforto dell’ani- alla guida di questo raduno coloro che danzano ma tua» (Atanasio †373, Sulla verginità, per impulso dello Spirito Santo» (Gregorio Na24-25, PG 28,281). ziazeno, Or. 35,1, PG 36,257). 5. La danza davanti al Signore rende più agile e versatile il nostro cammino verso il Ciclo «Se bisogna che tu danzi, quando fai parte di un incontro festivo e con amore partecipi alle feste, danza pure. Ma non imitando la danza disonesta di Erodiade, che procurò la morte al Battista. Imita, invece, la danza di Davide che saltava e danzava dinanzi all’arca del Signore (cf 2 Rè 6,14). Io considero questo modo di incedere come un mistero che simboleggia l’agilità e la versatilità del nostro cammino verso Dio» (Gregorio Naziazeno †390, Or. 5, PG 35,709-712). 6. La danza cristiana suscita in noi il desiderio “della danza etema” che ci attende «Resistiamo alla collera come a una belva, alla lingua come a una spada tagliente, spegniamo il piacere dei sensi come un fuoco... Temiamo solo di temere chiunque più di Dio... Quando ci riuniamo in assemblea con questi sentimenti, la nostra festa diventa una festa secondo Cristo, veramente cele briamo con danze la vittoria» (Gregorio Naziazeno, Or. 11,5, PG 35, 837).
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«Dinanzi alla grotta di Betlem porta i tuoi doni con i Magi, rendi gloria con i pastori, danza con gli arcangeli» (Gregorio Naziazeno, Or. 38,17, PG 36, 332). 8. La danza cristiana apre il cuore dei credenti a momenti intensi di gioia sulla terra La nostra esistenza sulla terra non può prescindere dai gemiti che ci fanno desiderare il Cielo. Ma non prescinde neanche da momenti di gioia intensa. È questo il senso del tempo per danzare, menzionato da Qoèlet (cf Qo 3, 4). E questo anche l’insegnamento che dobbiamo apprendere dalle parole del Vangelo: «Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto» (Mt 11,17).
«Un tempo per gemere, un tempo per danzare (Qo 3, 4). La danza significa la intensità della gioia. Apprendiamo questo anche dal Vangelo, nelle parole: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete danzato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto (Mt 11,17). La storia ci dice che gli Israeliti piansero, quando Mosè fu elevato all’altra esistenza; e ci dice anche che Davide «Bisogna vincere con Cristo per intendere danzava quando accompagnava solennemenla grande voce che dice: Venite, o benete l’Arca, mostrandosi con un’apparenza che detti del Padre mio, ricevete l’eredità del non gli era abituale. La Scrittura dice, in effetRegno che vi è stato riservato dove tutti ti, che egli produceva suoni sommessi di canti hanno la gioia di abitarvi e di danzare la armoniosi, usando strumenti di musica; e che danza etema» (Gregorio Naziazeno, Or. manifestava pubblicamente la sua disposizione 24,19, PG 35,1191). intcriore movendo in modo ritmato il corpo nel modo dettato dalla musica» (Gregorio di Nissa 7. La danza ispirata dallo Spirito è “uno †394, In Eccl Hom 6, 10, PG 44, 709-712). spettacolo incredibile” che ci unisce agli arcangeli «Quale parola è degna delle altezze che i
Continua prossimo mese
3.
IMPARIAMO A SUONARE UN CANTO CON LA CHITARRA
di Marcello Manco (musicista e compositore) In questa sezione di volta in volta verrà proposto un canto del libretto “Dio della mia lode” per aiutare tutti coloro che suonano la chitarra. Le frecce sono l’aiuto più immediato ed efficace. La freccia in basso (battere) rappresenta la pennata in basso, la freccia in alto rappresenta la pennata in alto (levare). Nel canto di specie, c’è anche una tablatura. I numeri sulla tablatura rappresentano i tasti della tastiera della chitarra mentre i numeri all’inizio della tablatura rappresentano invece le note.
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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA
Sulle note dello spirito
1.
quando vi sono due o più chitarristi
È la più consueta delle situazioni. Purtroppo, però, quasi sempre la soluzione adottata, apparentemente la più facile, è in realtà la meno redditizia ed efficace: quella di suonare insieme, da capo a fondo, lo stesso tipo di accompagnamento. Spesso, si sentono accompagnamenti incerti, con ritmiche confuse, dato che esse sono il risultato non di una ritmica comune, ma di diversi tentativi di andare insieme alla bell’e meglio.
Usare il capotasto mobile trasportando gli accordi
Tutta un’altra serie di soluzioni di buon effetto si può trovare se alcune chitarre utilizzano il capotasto mobile cambiando di conseguenza gli accordi da suonare. Se per esempio dobbiamo suonare -------- e gli accordi sono: do Sol La- Sol Do Fa Do Sol… mentre alcune chitare accompagneranno normalmente, altri possono sistemare il capotasto mobile al terzo tasto (alzando quindi Differenziare gli interventi l’accordatura di tre semitoni). Per poter accompagnare senza problemi La strada da percorrere è un’altra: quando ci sono due o più chitarre ognuno deve contribuire insieme con gli altri, basterà trascrivere gli con un diverso tipo di accompagnamento, a accordi abbassandoli di 3 semitoni. Così il gruppo di chitarre suonerà: seconda delle capacità personali e delle varie La Mi Faà- Mi La Re La Mi… esigenze dell’assemblea e del singolo canto. Le possibilità sono più di quante pensiamo: Le tonalità scomode - si può accompagnare in arpeggio, o fare La tecnica del trasporto degli accordi e l’uso il ritmo fondamentale; - si può eseguire una contro melodia del capotasto mobile, sono importanti anche in molte altre occasioni, indipendentemente dal oppure una ,linea di basso; - si può ipotizzare una parte del brano da fatto che a suonare siano più strumenti. Nella eseguire strumentalmente, così alcuni chitarra, infatti, ci sono alcune tonalità molto scomode e faticose da suonare. Se per esempio possono un canto è in Mib, la mano sinistra sarà costretta - suonare, da solisti, la melodia; - infime ci si può distribuire le varie parti del ad uno sforzo notevole perché praticamente brano, in modo che alcuni per esempio, tutti gli accordi sono in barrè. In questo caso accompagnino la strofa, mentre nel è sufficiente spostare il canto indietro di un semitono suonandolo quindi in Re, tonalità molto ritornello possono aggiungersi altri. più agevole, e applicando il capotasto in prima Ecco alcune soluzioni: posizione (cioè sul primo tasto). chit. 1= ritmo fondamentale/ chit. 2 arpeggio chit. 1= ritmo fondamentale/ chit. 2 controcanto (con funzione di chitarra solista) chit. 1= arpeggio / chit. 2 controcanto chit. 1= ritmo fondamentale/ chit. 2 controcanto / chit. 3 basso
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chit. 1= arpeggio / chit. 2 accompagnmaento con accordi “strappati”.
1.
Gli strumenti musicali nella bibbia
A cura dell’ufficio liturgico nazionale CEI Cenni storici ( le origini – i padri – medio evo – oggi) Cenni storici Parola, canto, musica: sono tre modi per esprimere un gesto umano, espressivo e comunicativo. La pratica tradizionale della chiesa ha introdotto quasi una gerarchia in questi tre modi musicali; al primo posto la parola, all’ultimo la musica; quasi che l’incontro fra il divino e l’umano sia meglio percepito attraverso la parola, e appaia invece in qualche modo appesantito o addirittura deviato, quando entra in gioco il suono di uno o più strumenti. ♦ Le origini Si dice spesso che gli strumenti sono nati dalla religione. La Bibbia, veramente, non lo dice. Il Genesi, al cap. 4 vers. 21, nota semplicemente: “il nome di suo fratello era Yubal: egli fu il capostipite di tutti quelli che suonano la lira e il flauto”. Il Vecchio Testamento parla degli strumenti una quarantina di volte. Vi è una gerarchia fra gli strumenti. I più nobili sono quelli sacerdotali: corni e trombe. Gli strumenti a fiato (per es. il shofar) sono più rituali che estetici: essi annunciano i grandi momenti del culto. Vengono poi gli strumenti di accompagnamento, a corde pizzicate, del genere arpa, il nebel; o il kinnor, una lira. Essi sono al servizio di un testo. Una terza categoria di strumenti sacri, sono le percussioni. Anche al di fuori del mondo ebraico, nel mondo greco per esempio, si ritrova la distinzione tra strumenti nobili (sacri ad Apollo) e strumenti lascivi (sacri a Dioniso).
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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA BIBBIA
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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA BIBBIA
Sulle note dello spirito
I Padri Sono ben note le posizioni di chiusura dell’epoca patristica nell’utilizzo degli strumenti. L’agape cristiana deve essere sobria, senza l’uso di strumenti che eccitano i desideri; inoltre il solo vero musicista è lo Spirito Santo e i fedeli sono come le corde di un’arpa che lo stesso Spirito suona. Gli strumenti dell’Antico Testamento, sono una tappa nella pedagogia divina, tale tappa è superata con la venuta di Cristo. “Non è il fatto di cantare, quello che caratterizza l’infantilismo, ma di farlo accompagnandosi con strumenti inanimati, danzando, o suonando crotali. Nelle chiese si è dunque rimosso dal canto l’uso degli strumenti e altre puerilità, ma si è conservato il canto stesso”. (Pseudo Giustino).
Il motivo di tale posizione negativa è ben evidente: in una situazione di opposizione e di critica nei confronti del mondo romano e pagano, la chiesa non sopportava che nel culto venissero utilizzati strumenti che richiamassero i vari giochi crudeli delle arene, gli spettacoli, i banchetti, la violenza guerriera e i culti idolatrici. Era sconveniente utilizzare gli stessi strumenti che servivano in situazioni di peccato. ♦ Nel Medio Evo ci fu un divieto soltanto verso alcuni strumenti (flauti, corni, tamburi...) che incarnavano un ruolo quasi diabolico.
Nei secoli successivi vi è stata un’alternanza di posizioni: da una parte il trionfo dell’organo barocco, l’utilizzo delle grandi orchestre settecentesche, dall’altra parte posizioni intransigenti di restaurazione di alcuni movimenti romantici; fino ad arrivare alle questioni tutt’ora aperte nei confronti di alcuni strumenti popolari o “leggeri”. Oggi In una realtà praticoempiristica di oggi, si è tentati di scegliere l’uno o l’altro strumento, solo in base a considerazioni di alcuni elementi fonici, quali il timbro, il volume, la tessitura, le dimensioni, e aggiungerei, oggi specialmente, il problema dei costi. Quindi non si parla più di valenze simboliche o connotazioni sacrali di un determinato strumento; se in una cattedrale c’è l’organo e un organista che lo suona, riesce a sostenere il canto di una massa di fedeli: quello sarà lo strumento che viene scelto. Se in una piccola cappella, ci si ritrova con un gruppo di giovani, si sceglierà la chitarra, perché più immediata, più a portata di mano, più utile di un grande strumento.
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Continua prossimo numero
1. CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI MARZO Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico. La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.
4 MARZO - II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)
11 MARZO - III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)
18 MARZO - IV DOMENICA DI QUARESIMA (Anno B)
Sulle note dello spirito
ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALI
25 MARZO - V DOMENICA DI QUARESIMA (Anno B)
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Sulle note dello spirito
2.
al servizio della parola IL SALMO RESPONSORIALE
di Luigi Guglielmi “Alla prima lettura segue il salmo responsoriale, o graduale, che è parte integrante della Liturgia della Parola” (PNMR n. 36). Come genere musicale il SR è più vicino al canto sillabico dell’antico gregoriano che alla musica misurata moderna. Il problema che lo investe è come renderlo musicalmente: non si tratta semplicemente di farne un canto ma, attraverso la musica, dare risonanza alla Parola. La riflessione che segue è destinata direttamente agli animatori che, con una preparazione liturgico-musicale solitamente approssimativa, debbono affrontare ogni domenica una serie continua di piccoli, interessanti problemi, compreso questo che, se può risultare facile come rito, non lo è più quando lo si deve trasformare in evento sonoro. Cercheremo così di rispondere a poche domande con un linguaggio che eviti ogni complicazione: cos’è il salmo, come un salmo diventi ‘responsoriale’ e qual è la sua funzione rituale, per arrivare a dire a cosa serve un testo poetico collocato fra due letture e come di fatto possa essere realizzato anche in situazioni di scarsità di mezzi a disposizione. 1. I salmi e il salmo responsoriale Per arrivare a completare il repertorio dei suoi 150 componimenti, il Libro dei salmi ha impiegato non meno di sette secoli. Il Signore stesso, che li ha pregati nella Sinagoga, in un certo senso li ha consegnati direttamente ai suoi perché diventassero la preghiera della Chiesa, che ha potuto leggerli e pregarli soprattutto in chiave cristologica. Fedele al mandato del suo Signore, pur avendone mutato la pratica nel tempo – compresa l’ultima riforma del 1963, che ne ha escluso qualcuno dai libri liturgici – la Chiesa non ha mai cessato di utilizzarli in questa prospettiva. Il SR deriva dal modo antico di rispondere alla proclamazione di una lettura con un responsorio che ne prolungava l’eco con effetto interiorizzante. Ciò avveniva soprattutto – e l’uso è rimasto anche nella riforma – nell’ufficiatura. In altre parole, la proclamazione di un testo sacro genera il bisogno di una risposta: da qui il Graduale, che prende il nome dal ‘gradus’ (gradino) salendo sul quale il cantore eseguiva il suo canto. La recente riforma ha preferito la forma di Salmo responsoriale per la sua semplicità in quanto capace di coinvolgere più facilmente l’assemblea. La forma è quella che viene comunemente usata oggi dovunque: un solista proclama i versetti, tutti rispondono con il ritornello previsto dal Lezionario. 2. Il contesto rituale
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Farebbe bene, e non solo agli animatori, vedere la prima parte della Messa come un blocco unico di testi e di riti, dal saluto iniziale fino alla preghiera dei fedeli; ma per il nostro scopo è sufficiente tenere fissi gli occhi sui soli testi della Scrittura: Antico testamento. Salmo, Lettere degli Apostoli, Acclamazione e Vangelo. Per dire, in fondo, che il SR non è corpo isolato: è rito in se stesso, ma non a sé stante: anzi è collocato in mezzo a un variegato e ricco repertorio di proclamazione. In questo contesto esso potrebbe uscire dall’ombra di ‘testo secondario’ per assurgere a rito di primo piano, cioè di parola, come quella che precede e quella che segue, con in più la chiara componente lirica che lo caratterizza.
3. Come eseguirlo Per entrare subito nel vivo di alcune proposte rituali indichiamo alcuni modi di esecuzione. a. Proclamare: di per sé il SR è testo da ascoltare come le letture in mezzo alle quali è collocato. La vera differenza sta nel ritornello che impone l’entrata di tutti a ogni strofa. Proclamare il SR quindi è l’imperativo minimo cui tutti debbono attenersi, sicché a quelli che non hanno le forze per cantarlo, ricordiamo che il SR è già se stesso anche quando viene semplicemente proclamato, purché si tratti di vera. proclamazione; questo significa che non deve essere affidato a chiunque, se caso all’ultimo arrivato; troppo spesso viene semplicemente ‘letto’ da chi si improvvisa salmista solo perché dai banchi nessun altro si è alzato per andare all’ambone. b. Cantare: è la soluzione naturale per celebrarlo in modo conveniente. E doveroso qui ricordare il prezioso lavoro di J. Gelineau, con un’opera che ha anticipato di anni la riforma liturgica facendo da supporto a tutto ciò che sarebbe seguito su canto e cantillazione. Del suo pregevole lavoro sui salmi nelle lingue vive sono rimasti diversi esempi nel repertorio Nella Casa del Padre. Qualche suggerimento: - la Parola ha sempre il primato sul suono, dal quale non deve mai essere sovrastata, semmai sostenuta. È necessario quindi porgere con tutta l’attenzione possibile la Parola, senza glissare sulle sillabe, ma neppure sillabando in modo infantile il testo. - gli accenti tonici delle singole parole sono i punti fermi dello scorri - mento del testo, così come gli accenti di frasi e semifrasi. - l’amplifìcazione: divenuta di uso assolutamente universale, la sua funzione è tuttavia ancora sottovalutata. Di quanto viene proclamato non solo è necessario garantire il contenuto, ma occorre fare dell’ascolto un’operazione gradevole, capace di catturare l’assemblea, dosando il volume, cercando la distanza giusta dal microfono e altri piccoli accorgimenti che possano migliorare sensibilmente l’azione rituale.
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e. Cantare il ritornello: è il minimo richiesto. L’organo espone il motivo per intero, il salmista lo propone in modo chiaro, senza accompagnamento, tutti lo ripetono; a questo punto è facile che qualcuno lo abbia colto e l’assemblea possa già eseguirlo con sicurezza. Le strofe del salmo vengono proclamate con un eventuale, ben calibrato accompagnamento strumentale che sostenga il salmista. Il ritornello è bene sia incisivo, non troppo lungo, di facile apprendimento, non banale. d. Cantare tutto il salmo così come viene proposto dal Lezionario. E quanto richiesto dalla verità del rito: per intero, salmo e ritornello. Può essere proposto nei modi più diversi: il ritornello in battuta e il salmo in forma sillabica da un solista; utilizzando melodie più elaborate in ritmo misurato, anche a più voci, ma prestando sempre la massima attenzione alla Parola. Alcune proposte: * La forma litanica. Es.: Figli di Dio, acclamate al Signor (salmo 28) dove alle frequenti proposte del solista, tutti rispondono ‘Gloria al Signor’ (NCdP A7).
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* II salmo-corale. Cantato da tutta l’assemblea. Es.: Il Signore è il mio pastore (sai. 22: NCdP A3c). * La forma diretta, dove l’assemblea ascolta il salmo per esteso. * La forma-tropario, che prevede un ritornello spezzato in due parti che ritornano alternativamente, all’inizio e alla fine quella intera, nel corpo tra le strofe, quella più breve.
La polifonia è bene utilizzarla con discrezione o comunque solo quando si è in grado di garantire la chiarezza della Parola. Ma qui entriamo nel campo delle cose elaborate, che per la maggior parte delle assemblee sono di fatto impossibili e allora sospendiamo il discorso. Era solo per dire che per salvare la funzione del SR basterebbe variarlo con qualche accorgimento. Il Lezionario non prevede, salvo pochissimi casi, forme diverse da quelle comunemente in uso. Ed è proprio in questa formale ubbidienza alla lettera che si può appiattirlo, togliendogli freschezza e interiorizzazione, e forse neutralizzarlo nella sua efficacia rituale. Occorre anche sapere che il ritornello del SR è sostituibile con un altro già conosciuto o più facile, purché adatto al salmo e alla situazione liturgica. Oppure, in casi estremi, si può utilizzare lo stesso modulo, testo e musica, per tutto un periodo liturgico. Può essere necessario in Avvento o Quaresima. 4. L’accompagnamento strumentale L’organo è lo strumento più idoneo a sostenere il salmo, ma nulla impedisce l’impiego di altri strumenti, se servono il testo e sono in grado di sostenere la risposta corale dell’assemblea. All’organista non è richiesta una particolare competenza, ma almeno una buona capacità di adattamento, perché il testo è in continua mutazione: è parola viva con flessioni, accenti e andamenti nuovi. Ancora un consiglio per l’organista: se gli viene chiesto di esporre per esteso il ritornello con una cadenza invitante, in modo che il solista prima e l’assemblea di seguito lo possano riprendere agevolmente, perché al termine del salmo l’organo non potrebbe prolungare l’effetto dell’ascolto con una ampia cadenza finale? Anche qui si tratta non di quantità, ma di stile. 5. Altre indicazioni
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a) Un pò di fantasia. Se si vuole evitare che il SR diventi una mummia: evitare l’uso troppo frequente delle stesse melodie, nello stesso stile, e con il medesimo ritornello. b) Un’altra raccomandazione vorremmo fare: eseguire tutto con dignità e naturalezza, insieme alla tranquillità dei movimenti, compresi gli spostamenti fisici: si può chiedere, per esempio, al salmista di non muoversi dal suo posto, se non quando il lettore che lo ha preceduto abbia raggiunto il suo. Purtroppo siamo condizionati dalla fretta di andare avanti con i riti che seguono, perché altre cose incalzano e bisogna finire. E allora si sovrappongono i movimenti provocando nell’assemblea la distrazione di un andirivieni che serve solo ad aumentare la confusione. c) II canto del SR, nonostante i suoi nobili predecessori, gli antichi Graduale e Tratto, è ritualmente giovane, deve cioè ancora entrare nella logica celebrativa. La sua navigazione, partita timidamente, non ha ancora preso il largo, anche per il suo genere inconsueto: più Parola meno suono o comunque il suono in funzione della Parola. d) Se vale il principio che è meglio cantare la Messa che cantare nella Messa, il SR può diventare la palestra di quel fortunato slogan. È lecito, dunque, domandarsi perché tanto dispiegamento di forze in alcuni momenti, come il canto di ingresso e di comunione, men-
tre al SR viene affidato un ruolo così modesto. Anche certe melodie facili e pratiche, che riscuotono successo perché piacciono e funzionano, non possono diventare buone per tutte le stagioni; allora bisogna sconsigliarne una applicazione pedestre e ripetitiva, che obbliga la Parola a un percorso sonoro mortificante. In certi casi sarebbe di gran lunga preferibile una buona proclamazione. e) Al salmista consigliamo ancora di evitare ogni virtuosismo melismatico – fra l’altro oggi impensabile – dell’antico graduale, e assumere una recitazione melodica duttile che assecondi i ritmi e le inflessioni della lingua parlata; il che non avverrà senza un certo carattere di improvvisazione. Allora il salmista dovrà conoscere bene il salmo che gli è affidato e possedere una buona sicurezza di intonazione, adattando la melodia al testo con sapienza, con gli opportuni respiri o stacchi, dando alle note lo spazio richiesto da ogni sillaba. Dunque con una flessibilità personale che solo la sensibilità di un esperto può possedere. Conclusione In definitiva, lungi dall’essere rito piatto e inespressivo, il SR si presterebbe a una varietà tale di soluzioni da renderlo appetibile anche ai compositori più restii per dare vita a creazioni di buon livello e ricche di soluzioni fantasiose. E, per dirla con A. Bugnini, eminente protagonista della riforma liturgica, : “II Salmo è il canto più autentico e originale di tutto il repertorio liturgico, quello che da vita a tutta la liturgia della Parola”. Questo significa che una comunità che vuoi celebrare bene dovrà mettere in campo anche un buon salmista. Sarebbe un altro passo avanti nella realizzazione di quel rinnovamento che rischia di regredire a soluzioni stereotipe in una riforma che, varata trent’anni fa, è ancora lontana dal raggiungere gli obiettivi prefissati. Vorrei concludere con le parole di uno dei primi studiosi del SR, don Nicola Vitone, che presentando le sue riflessioni nel 1968, all’indomani della riforma liturgica, scriveva: “II salmista dovrà trovare i dati e le indicazioni sufficienti per costruirsi da sé, volta per volta, le sue modulazioni, nel clima luminoso di una certa libera invenzione e di una inimitabile personale esecuzione. Si sentirà quindi impegnato a quella seria preparazione che qualsiasi ‘attore liturgico’ deve portare nella celebrazione dei sacri misteri”. Si può sperare che un SR ben celebrato possa riscattare tutta la Parola di cui fa parte? Mettiamolo come voto, ma soprattutto facciamo quanto è nelle nostre forze per riconsegnargli la dignità che merita.
Sulle note dello spirito
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Sulle
ote dello Spirito
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Sulle note dello spirito
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SALMODIE
II Domenica di Quaresima - Anno B 115) II Domenica(dal di salmo Quaresima - anno B salmo responsoriale (dal salmo 115)
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III Domenica di Quaresima - Anno B
III Domenica(dal di salmo Quaresima - anno B 18) salmo responsoriale
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1. la testimonianza del Signore 2. il comando del Signore 3. i giudizi del Signore sono 4. più dolci
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Sulle note dello spirito
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IV Domenica Domenica di IV diQuaresima Quaresima- Anno - annoB B (dal salmo 136) salmo responsoriale
(dal salmo 136)
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Domenica di Quaresima - Anno BB VVDomenica di Quaresima anno (dal salmo 50) salmo responsoriale
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Sulle note dello spirito
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Il prossimo numero sarà online nella prima settimana del mese di Aprile 2012
San Giuseppe fu lo sposo di Maria, il capo della “sacra famiglia” nella quale nacque, misteriosamente per opera dello Spirito Santo, Gesù figlio del Dio Padre. E orientando la propria vita sulla lieve traccia di alcuni sogni, dominati dagli angeli che recavano i messaggi del Signore, diventò una luce dell’esemplare paternità. Certamente non fu un assente. È vero, fu molto silenzioso, ma fino ai trent’anni della vita del Messia, fu sempre accanto al figliolo con fede, obbedienza e disponibilità ad accettare i piani di Dio. Cominciò a scaldarlo nella povera culla della stalla, lo mise in salvo in Egitto quando fu necessario, si preoccupò nel cercarlo allorché dodicenne era “sparito’’ nel tempio, lo ebbe con sé nel lavoro di falegname, lo aiutò con Maria a crescere “in sapienza, età e grazia”. Lasciò probabilmente Gesù poco prima che “il Figlio dell’uomo” iniziasse la vita pubblica, spirando serenamente tra le sue braccia. Non a caso quel padre da secoli viene venerato anche quale patrono della buona morte. Giuseppe era, come Maria, discendente della casa di Davide e di stirpe regale, una nobiltà nominale, perché la vita lo costrinse a fare l’artigiano del paese, a darsi da fare nell’accurata lavorazione del legno. Strumenti di lavoro per contadini e pastori nonché umili mobili ed oggetti casalinghi per le povere abitazioni della Galilea uscirono dalla sua bottega, tutti costruiti dall’abilità di quelle mani ruvide e callose. Di lui non si sanno molte cose sicure, non più di quello che canonicamente hanno riferito gli evangelisti Matteo e Luca. Intorno alla sua figura si sbizzarrirono invece i cosiddetti vangeli apocrifi. Da molte loro leggendarie notizie presero però le distanze personalità autorevoli quali San Girolamo (347 ca.-420), Sant’Agostino (354-430) e San Tommaso d’Aquino (1225-1274). Vale la pena di riportare soltanto una leggenda che circolò intorno al suo matrimonio con Maria. In quella occasione vi sarebbe stata una gara tra gli aspiranti alla mano della giovane. Quella gara sarebbe stata vinta da Giuseppe, in quanto il bastone secco che lo rappresentava, come da regolamento, sarebbe improvvisamente e prodigiosamente fiorito. Si voleva ovviamente con ciò significare come dal ceppo inaridito del Vecchio Testamento fosse rifiorita la grazia della Redenzione. San Giuseppe non è solamente il patrono dei padri di famiglia come “sublime modello di vigilanza e provvidenza” nonché della Chiesa universale, con festa solenne il 19 marzo. Egli è oggi anche molto festeggiato in campo liturgico e sociale il 1° maggio quale patrono degli artigiani e degli operai, così proclamato da papa Pio XII. Papa Giovanni XXIII gli affidò addirittura il Concilio Vaticano II. Vuole tuttavia la tradizione che egli sia protettore in maniera specifica di falegnami, di ebanisti e di carpentieri, ma anche di pionieri, dei senzatetto, dei Monti di Pietà e relativi prestiti su pegno. Viene addirittura pregato, forse più in passato che oggi, contro le tentazioni carnali.
INFORMAZIONI VARIE Carissimo, carissima, qualsiasi informazione, domanda, chiarimento, puoi contattarci direttamente scrivendo alla nostra email: sullenotedellospirito@gmail.com Puoi consultare questo numero e i successivi al seguente indirizzo: www.issuu.com/sullenotedellospirito Se non hai la possibilità di scaricare il foglio di collegamento via email e di non poterlo visionare online, provvederemo a inviarti copia cartacea, contattandoci al seguente numero di cellulare +393477669176.
Progetto grafico e impaginazione: Francesco Angioletti