Anno 0 - Numero 2

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Sulle

Anno 0 - Numero 2 Novembre 2011

ote dello Spirito Area Carismatica 1. Chiamati a servire. Davide e Maria

Area Liturgico - Musicale 1. 2. 3. 4.

Canto Liturgico Dieci parole per la musica liturgica Il Canto Gregoriano Il Papa e la Liturgia

Area Tecnica 1. Impariamo a conoscere la musica 2. Impariamo a suonare un canto 367. Alzati

Gli strumenti musicali nella Liturgia 1. L’uso degli strumenti musicali nella Liturgia

Gli strumenti musicali nella Bibbia 1. Gli strumenti musicali nella Bibbia

Animazione Domenicale 1. Canti per il Tempo Liturgico 2. Al Servizio della Parola: Salmodie

Foglio di collegamento a cura del Servizio Diocesano Musica e Canto Diocesi di Napoli

EDITORIALE ...siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. (Efsini 5, 18-20). Il canto cristiano nasce dall’ascolto di Dio e dell’uomo: trova la sua ispirazione più profonda dall’ascolto della Parola che risuona nel “mio” e nel “nostro oggi”. Da questo ascolto sorgono lo stupore che invade tutto l’essere, provoca la gioia e dà inizio al canto.... “Quando noi cantiamo, spianiamo la strada perché Egli venga nel nostro cuore e ci infiammi con la grazia del suo amore”. (San Gregorio Magno). La musica e il canto, da sempre, sono stati usati dall’uomo per comunicare con Dio. Tutta la Sacra Scrittura è ricca di Salmi, Inni, Cantici, che l’uomo innalza a Dio in ogni momento per gli avvenimenti gioiosi o dolorosi che accadono. Questa capacità di comunicare ci è data dallo Spirito Santo che ci rende creativi. È creativo chi apre il suo cuore all’azione dello Spirito Santo, il quale mette in condizione di cantare un canto nuovo, un canto che porta i cuori dei fratelli alla presenza di Dio.


AREA CARISMATICA

Sulle note dello spirito

1. CHIAMATI A SERVIRE. DAVIDE E MARIA di Anna Teresa Francia (RnS Lombardia) Continua dal numero (Anno 0 - Numero 1) Quali sono quegli elementi che determinano un esercizio buono del ministero cui siamo preposti? Ci ho riflettuto un pò e penso che possiamo individuare cinque elementi, cinque compiti da assolvere per un ministero buono: I. Insegnare. Proprio come gli altri ministeri nei nostri gruppi, il ministero della musica e del canto dovrebbe essere un ministero di insegnamento della Parola di Dio. Questo perché i ministri della musica e del canto non sono solo musicisti o cantori ma anche insegnanti della Bibbia. C’è una buona parte della nostra preghiera comunitaria in cui trova spazio il canto. I ministri della musica e del canto hanno bisogno di selezionare quei canti che insegnano la verità della Parola di Dio. Verso la fine degli anni 90 il libretto Dio della mia Lode ha subito un restyling. All’epoca in quel libretto ci si trovava di tutto a livello di canti e canzoni, tipo “Gesù caro fratello” di Claudio Baglioni, che è una bellissima canzone, ma non insegna la Parola. Oggi noi abbiamo un sussidio perfetto per l’esercizio del nostro servizio, perché è tutto centrato sulla Parola di Dio. Cosa che non ancora accade nei libri di canti per la liturgia di cui si dotano le parrocchie, dove ancora troviamo “Blowing in the wind” di Bob Dylan in versione italiana, oppure “White Christmas”. Bei canti, ma certo non insegnano la Parola. II. Formare. Una delle principali responsabilità del ministro della musica e del canto è quello di dotare gli altri fratelli per il ministero. Chenania istruisce Asaf, Idutun ed Eman, che a loro volta istruiscono i figli. Il ministro della musica e del canto, il ministro della lode e dell’adorazione, se responsabile, deve costantemente educare gli altri fratelli ministri all’esercizio di questo ministero. Formazione e condivisione. Quando? durante le prove e in altri contesti di piccolo gruppo. Tale formazione deve includere le competenze musicali necessarie per svolgere questo servizio. Esso deve coinvolgere tutte le età. Non è vietato ai minori di anni , né vietato ai maggiori di anni. Nel libro di 1 Cronache 25 l’autore riferisce circa l’organizzazione dei turni di lode e adorazione dice: Per i loro turni di servizio furono sorteggiati i piccoli come i grandi, i maestri come i discepoli.

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Questo ministero non è una cosa da grandi, da adulti a livello anagrafico e/o spirituale. Questo servizio non è una cosa che durante l’incontro di preghiera possono svolgere solo ed esclusivamente i fratelli già formati, già maestri. Noi abbiamo non solo il compito di lavorare con gli adulti, ma anche di assumere un ruolo attivo nella formazione delle generazioni future di ministri della musica e del canto. Insieme, giovani e vecchi. Insieme, maestri e discepoli. Se nel libro delle Cronache troviamo maestri e discepoli, vuol dire che Davide aveva creato una scuola di formazione alla lode e all’adorazione attraverso la musica e il canto per l’esercizio del ministero nella Tenda. Un ministero della musica e del canto è ‘di successo’, è buono, nel momento in cui questo


servizio continua a essere svolto anche quando il responsabile – il Chenania della situazione, per rifarci alla Tenda – è stato chiamato in un altro posto di servizio e quindi non c’è. Non c’è, eppure tutto procede come Dio vuole. Ciò dimostra che il ministero non è focalizzato su un leader, ma su una larga base di dirigenti. III. Edificare. Dice la Parola: “Senza una direzione un popolo decade, il successo sta nel buon numero di consiglieri” Pr. 11,14. Le lettere di Paolo ci dicono che molto di ciò che dovremmo fare quando ci riuniamo è edificarci l’un l’altro. Il tempo della preghiera comunitaria carismatica è un tempo di edificazione. È un nostro dovere nel servizio quello di incoraggiare i nostri fratelli nel loro cammino con il Signore. Essere ministri della musica e del canto non significa solo essere quelli che scelgono quei canti che insegnano le grandi verità della Parola; noi vogliamo che questa musica e questo canto siano di edificazione ai fratelli. Sapete che può accadere altrimenti? Quello che ben descrive Dio stesso al profeta Ezechiele, cap. 33,32: “Ecco, tu sei per loro come una canzone d’amore: bella è la voce e piacevole l’accompagnamento musicale. Essi ascoltano le tue parole, ma non le mettono in pratica. La Tenda di Davide non si edifica senza edificare i fratelli”. È vero che nel caso di Ezechiele, il profeta resta inaudito, non per causa sua, ma per colpa del popolo che non vuole crescere. È vero che questo può accadere nelle nostre assemblee. Noi ci mettiamo il cuore ma i fratelli non mettono in pratica quanto ascoltano dal nostro canto. È pure vero che può essere che non abbiamo noi il cuore del profeta Ezechiele, e quindi non trasmettiamo nulla ai fratelli della Parola di Dio, ma li rallegriamo con delle belle performances a livello musicale e canoro. Bisognerebbe riflettere su quanto cuore mettiamo in questo servizio. IV. Evangelizzare.

Sulle note dello spirito

AREA CARISMATICA

Il ministero della musica e del canto può essere un grande strumento per la diffusione e la condivisione del Vangelo; la musica e il canto possono arrivare in luoghi che altri ministeri possono avere difficoltà a raggiungere. Quando il sacerdote della vostra parrocchia vi chiede di animare un incontro di bambini del catechismo, e voi andate, quella forse non è evangelizzazione? Non è evangelizzazione e diffusione del vangelo il nostro cantare “L’amore del Signore è meraviglioso”, oppure “Bisogna che Cristo cresca”, oppure “Se il Diavolo è arrabbiato”… e così via? Questi canti sono fantastici! Perché aiutano le persone, anche i piccoli, a capire il Vangelo. V. Supportare. Il ministero della musica e del canto dovrebbe essere di supporto a tutti i ministeri, non solo nell’ambito dei nostri incontri di preghiera, ma dovrebbe essere di sostegno alla Chiesa. Se siamo chiamati rispondiamo: “Perché la musica e il canto non sono nostri, sono della Chiesa, che canta il suo cantico d’amore a Dio. La musica può essere utilizzata per dare sostegno a moltissime attività pastorali. Il nostro servizio è ad intra (gruppi di RnS) e ad extra (Chiesa locale, diocesana, nazionale)”.

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Insegnare, formare, edificare, evangelizzare, supportare.

Questi sono gli elementi che identificano un buon ministero della musica e del canto. Queste azioni costituiscono il prima il durante e il poi del nostro servizio di lode e adorazione a Dio dell’incontro di preghiera. L’adorazione – il bacio – è il segno principe dell’amore, ma l’amore va dimostrato. Altrimenti il bacio della sposa diventa il bacio di Giuda, altrimenti vale per noi la parola di Isaia: “Questo popolo si avvicina a me solo a parole e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e il culto che mi rendono è un imparaticcio di usi umani” (Is 29, 13-14).

Questo ministero dimostra il suo amore, quando opera a gloria di Dio e a favore dei fratelli, prima, durante e dopo la preghiera comunitaria, sennò non è un ministero. Se non c’è il prima e se non c’è il poi, il nostro non sarà più un ministero della musica e del canto, sarà uno show della musica e del canto. Sono tutti verbi. Sono tutte azioni. Ci vogliono dei soggetti che compiono queste azioni. Chi sono i soggetti di queste azioni? Sono i ministri, sono i servi, siamo noi. Perché noi siamo stati identificati dai nostri pastorali in questo particolare ministero? Perché hanno riconosciuto in noi un talento? Il talento musicale è certo un dono divino che rende un fratello adatto alla musica, perché per natura ha una buona propensione alla musica. Tuttavia il talento musicale non dice che siamo adatti ad un servizio di musica e canto. Il discernimento va applicato anche in relazione alla chiamata al servizio di musica e canto. Quello che il pastorale mette in conto, ovvero gli elementi su cui fa discernimento e che lo portano a identificarvi in questo servizio piuttosto che in un altro, sono questi: Avete sperimentato nella propria vita l’incontro personale col Signore e lo testimoniate attraverso un cammino permanente e costante di conversione nel vostro gruppo • Avete ricevuto la preghiera di effusione dello Spirito Santo • Avete una buona musicalità • Avete la capacità di lavorare in gruppo • Avete il desiderio di crescere nel ministero attraverso la formazione spirituale e tecnica «Noi non abbiamo una identità ministeriale, ciò che ci definisce non è il tipo di servizio che facciamo, noi abbiamo una identità carismatica, cioè ciò che ci definisce è la presenza dello Spirito Santo in noi e il nostro modo di corrispondervi». Ricapitoliamo la nostra identità ministeriale: noi cantiamo e suoniamo a gloria di Dio e per l’utilità comune; il nostro ministero ci porta ad un impegno che precede e prosegue l’incontro di preghiera e che si concretizza così: insegnare le verità della Parola; formare nuovi ministri; edificare i fratelli; evangelizzare; supportare gli altri ministeri e le attività pastorali della Chiesa, ad intra e ad extra della nostra esperienza nel RnS. Allora perché diciamo che non abbiamo identità ministeriale? Capiamo bene cosa intende. Noi non abbiamo una identità ministeriale se prima non abbiamo una identità carismatica. Noi ci identifichiamo in questo servizio perché il Signore ci ha donato questo carisma. Riflettiamoci insieme. “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” 1 Cor 12, 7.

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Capite dunque che non è questione di talento, di bella voce, di essere primi violini dell’orchestra


filarmonica di Vienna, quello che determina la nostra identità ministeriale? Tutte queste cose non determinano il nostro essere ministri della musica e del canto. Prima viene il dono di Dio, prima viene il carisma, e ancor prima del dono e del carisma, viene lo Spirito Santo. “Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi” Rm 12,6. La grazia data a ciascuno è lo Spirito, datore dei doni. Siccome poi lo Spirito è per tutti, per tutti Egli ha un dono. E sono doni diversi, che vanno ridonati ai fratelli: quello che gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente diamo. Questo è Vangelo! Perché questa varietà di carismi? Ce lo rivela la Parola: “È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri (apro una parentesi e metto musici e cantori) per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo” Ef 4, 11-12. Compiere il ministero. Quale? nell’incontro di preghiera come pure nella Chiesa, il Signore fa doni particolari ai suoi figli, particolari e diversi, così che tutto il popolo, sostenuto da questi fratelli, sia idoneo, capace di esercitare il ministero regale, sacerdotale e profetico di Gesù. Lo scopo è l’edificazione del Corpo di Cristo, della Chiesa, della tenda di Davide che era caduta. Allora, si entra prima nel ministero o si riceve prima il carisma? Si riceve prima il carisma. E come facciamo a sapere che lo Spirito Santo ci ha fatto dono di un carisma? Non lo sappiamo da noi stessi. Spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto. Sono i fratelli che riconoscono in noi quella particolare manifestazione dello Spirito Santo, sono i fratelli che per mezzo del nostro canto, della nostra musica, della nostra preghiera, del nostro insegnamento, si sentono edificati, rafforzati, consolati, istruiti dal Signore stesso. E ce lo dicono (Esempio del lettorato). Quindi l’identità ministeriale procede dall’identità carismatica. E l’identità carismatica da cosa procede a sua volta? Dalla risposta alla chiamata che Dio ci fa ad essere suoi servi; a dirla tutta la chiamata a servire non è una chiamata, bensì una conseguenza per così dire fisiologica della prima chiamata che Egli ci fa:

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“Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio” Os 11,1 Vi rivolgo ora una delle domande del catechismo di san Pio X: «Per qual fine Dio ci ha creati? Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra, in paradiso». Se non avessimo conosciuto il Signore, non l’avremmo amato; se non l’amassimo, non lo serviremmo. Cosa spinge una moglie, una mamma a prendersi cura della casa, delle cose di quella casa, e soprattutto di chi vive in quella casa, cioè marito e figli? È l’amore per loro. È l’amore che la fa serva, è l’amore che suscita in lei quelle risorse fisiche e mentali che non l’abbandonano. Tu servi perché ami e ami perché conosci. Ricordiamo sempre il modello di Maria davanti un modello di serva: una ragazza quindicenne di nome Maria.

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“Sono la serva del Signore” Lc 1,38, così risponde Maria all’arcangelo Gabriele. “Si faccia di me secondo la tua parola”. Maria serva del Signore. Perché non si è ribellata? Perché ama Dio. Come s’è innamorata di Dio? Conoscendolo. Come Maria ha conosciuto Dio? Attraverso la Scrittura e la preghiera. I Vangeli apocrifi raccontano che i genitori di Maria, Anna e Gioacchino, concepirono Maria in tarda età, per intervento divino, dopo una vita sterile, ignobile per gli ebrei del tempo che ritenevano la sterilità una punizione di Dio. Secondo la tradizione Anna, Gioacchino e Maria abitarono a Gerusalemme nei pressi dell’attuale Porta dei Leoni, nella parte nord orientale della città vecchia, laddove ci sono i resti della piscina di Betzaeta (quella del miracolo dello storpio sul lettuccio). Quando Maria compì tre anni, venne condotta nel Tempio di Gerusalemme, per essere consacrata al servizio del tempio stesso, secondo la promessa fatta da entrambi i genitori, quando implorarono la grazia di un figlio. E lì rimase fino all’inizio della pubertà. Maria, conobbe quindi il Signore attraverso la Scrittura e la Preghiera. Nel tempio c’erano i dottori della Legge, quelli che studiavano la Legge e i Profeti. Anche Maria si applicava allo studio e alla meditazione delle Sacre Scritture. Leggeva, meditava e pregava. La preghiera che si faceva nel Tempio, il tempio di Salomone figlio di Davide, secondo le disposizioni che egli aveva dato al figlio e che Dio a sua volta gli aveva dato. Maria prega con i musici e i cantori, adora la Shekinà, danza per l’Arca, magari non proprio nello stesso luogo degli uomini, perché nel Tempio di Salomone c’era un atrio detto delle donne. Però la cosa che ci deve far gioire è che Maria pregava ogni giorno come stamane abbiamo fatto noi, pregava nella Tenda di Davide, inteso come modo di pregare, come atmosfera di preghiera. Maria è una ragazza che conosce Dio insieme agli altri (preghiera comunitaria) ma sta con Lui anche da sola (preghiera personale, studio della scrittura). E così si innamora di Dio. Lo frequenta, da sola e in compagnia. Maria è sola quando l’Angelo la visita, Maria sta in preghiera. “Rallegrati, piena di grazia”. È piena di grazia, piena di Spirito Santo, ricolmata di carismi (kekaritomene). L’angelo le dice la sua identità carismatica riconoscersela, è l’angelo che gliela rivela). Gabriele le spiega senza tanti fronzoli cosa le accadrà. Il vostro istinto, il mio istinto non sarebbe stato quello di correre via a gambe levate, dicendo un sonoro “NO”? Maria non scappa. Ha ascoltato con compostezza, abbastanza per capire quell’annuncio. Poi fa una semplice domanda: “Come è possibile? Non conosco uomo”. E l’Arcangelo le risponde che tutto questo lo farà lo Spirito Santo in lei. Lo Spirito Santo la adombra, la copre, si posa su di lei. “Allora Maria disse: Ecco sono la serva del Signore”. continua prossimo numero

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1. CANTO LITURGICO L’espressione vocale e strumentale nell’esperienza celebrativa della chiesa, ovvero il canto e la musica è da considerarsi all’interno della liturgia forma del culto in ‘spirito e verità’ (Gv. 4,21-24) ritualmente espressivo. E i riti in genere rispecchiano l’avventura storica. Si creano, si tramandano e possono sopravvivere carichi di significati originari oppure tali significati possono oscurarsi nel tempo, o essere stravolti. Situeremo l’esperienza liturgico-musicale in un panorama storico che va dalla liturgia primitiva fino al Vaticano II. Dallo spirito dell’espressione cristiana si deducono il primato del logos, l’importanza della didachè, le funzioni del melos in aperta opposizione alle pratiche incantatorie o magiche del paganesimo. I primi cristiano cantavano i salmi, cioè oltre i poemi biblici veterotestamentari, gli stessi inni cristiani così originali che si differenziavano sia dalla ritmica ebraica che dalla metrica greco-romana. I testi certamente destinati al canto (canti evangelici, versetti delle lettere apostoliche, inni dell’Apocalisse, odi di Salomone) sono numerosi come le testimonianze sulla pratica del canto: i passi della Lettera agli Efesini di S. Ignazio di Antiochia, del pedagogo di Clemente Alessandrino del De anima di Tertulliano ne sono un limpido esempio. Mentre non ci sono pervenute melodie, se non l’epainos alla Trinità del papiro di Ossirinco risalente al secolo III e l’inno mattutino detto Laus magna Angelorum, da cui proverrà il Gloria della messa. Il vivo interesse nella società per le pratiche musicali (feste, banchetti, culti, riti funebri) spinge i Padri della Chiesa ad un confronto, un approfondimento e una vigilanza a volte promozionale, a volte polemica. Tra i pastori testimoni pù qualificati del discorso liturgico-musicale sono da ricordare S. Ambrogio, S. Basilio, Clemente Alessandrino, Eusebio di Cesarea, i santi Gregorio Nazianzeno e Gregorio Nisseno, S. Girolamo, S. Giovanni Crisostomo, Niceta di Ramesiana, Teodoreto di Ciro, Tertulliano. I Padri esaltano il canto liturgico perché attingendo alle letture bibliche ha una valenza, oltre che spirituale, antropologica e non ignorano i risvolti psicologici delle varie pratiche del canto, che generano gioia dell’animo, salute fisica, psichica ed emotiva così intensa da rivelarsi a volte anche ambigua:

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«medicina per gli uomini carnali, ma impedimento agli spirituali» della preghiera liturgica: «Cantare a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali» (Col. 3,16). Inoltre le lettere ci conservano preziosi resti di canti liturgici della prima comunità (Ef. 5,14 - 1 Tim 3,16 - 1 Tim 6,15-16 - Ef 1,4-14 - Col 1,15-20). Sono rilevanti gli aspetti simbolici e celebrativi della coralità nelle sue varie forme: “servizio della parola”, segno e pegno di unità per la comunità, sacrificio spirituale, profezia del regno, comunione della lode eterna dei cori angelici ed anticipazione escatologica. Nel campo della salmodia (primaria in seguito alla rilettura cristiana del Salterio, massicciamente promossa dai padri) si affiancano all’esecuzione con l’assemblea in ascolto, nuovi tipi di esecuzione alla quale che il popolo può partecipare. Poi le prassi intercalari, alleluiatiche e responsoriali e infine le forme atifonate. I salmi non biblici più celebri sono le odi di Salomone e soprattutto il Gloria in excelsis ed il Te Deum.

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Nel campo dell’innodia sono da menzionare i tropari (specie di antifone) che costituiscono una delle meraviglie della liturgia greca. L’inno acatisto in onore della Vergine è celebrato con una solennità particolare. Dall’innodia nata in Oriente, e poi allargatasi in Africa e in Europa, si giunge all’opera di S. Ambrogio, grazie al suo intuito pastorale e il suo amore per i misteri celebrati nell’assemblea. La celebrazione liturgica richiede normalmente l’intervento di un gruppo di fedeli più esercitati nell’arte musicale. Presso i siro-orientali è stato costituito dagli asceti, mentre nell’area bizantina è il coro. Nella Roma medievale, appare sotto forma di schola cantorum. Tra i canti liturgici bisogna segnalare due forme che danno alla celebrazione un aspetto molto caratteristico: le dossologie e le acclamazioni. Le prime costituiscono molto presto la conclusione delle grandi preghiere cristiane;

già a partire dal IV secolo la formula del Gloria Patri è un canto dell’assemblea (affermazione dell’ortodossia nicena contro l’Arianesimo) e ben presto diverrà il versetto finale di ogni salmodia sviluppata. Infine si stabilirà l’uso di terminare quasi tutti gli inni con una strofa alla lode alla Santa Trinità. La forma dell’acclamazione testimonia lo stile popolare e spontaneo della celebrazione liturgica. Si tratta si formule brevi e la più importante di tutte è l’Amen, passata senza traduzione dalla liturgia giudaica al Nuovo Testamento ed alla liturgia cristiana (Dt. 27.15-26; 1 Cor 14,16). L’Alleluia è anche una acclamazione biblica, che serve di ritornello a certi salmi, canto del cielo secondo l’Apocalisse (Ap 9,1-6), e ancora il Kyrie eleison, formula di risposta del popolo alla litanie diaconali o preghiera instancabilmente ripetuta. Dall’epoca patristica ogni ambito ecclesiale, in Oriente e in Occidente, crea stabilizza un proprio modo celebrativo, in relazione con la cultura locale e con il genio etnico particolare. In occidente si ipotizza che già nel sec. IV-V venivano formate le scuolae cantorum. Nonostante un grande lavoro creativo verrà meno una corale partecipazione dell’assemblea, sia per la specializzazione teologico-biblica dei compilatori dei testi, sia per la gestualità scenografica dei ministri, che per l’affinamento canoro dei cantori gerarchizzati entro le scholae. La musica si avvia a diventare, come il latino, un a“lingua” colta, di quella porzione di chiesa che coicide con il clero e i dotti. I secoli che vanno da Gregorio Magno (604) a Gregorio VII (1085) contengono numerose vicende liturgico-musicali. L’efficienza della schola cantorum è assicurata da meastri altamente specializzati e da allievi formati all’arte fin dalla tenera età. E insieme alla scambio di questi maestri di canto (come dei libri liturgici) tra Roma, la Gallia, la Germania, la Britannia, la Svizzera avanza la “romanizzazione” delle antiche liturgie locali. Il processo è sostenuto prima da Pipino e poi da Carlo Magno. Inoltre per il canto gioca un ruolo determinante il prestigio che deriva dalla sua attribuzione al grande pontefice Gregorio I (S. Gregorio Magno). La leggenda viene suffragata da una tradizione letteraria ed iconografica in cui testi o miniature degli antifonari presentano lo Spirito Santo stesso quale suggeritore delle melodie del pontefice. Gli studiosi presentarono due ipotesi sull’origine di quell’arte melica di prima qualità che è il canto gregoriano. 1. Il “gregoriano” sarebbe lo stesso canto dell’Urbe, ma già rielaborato in ambito romano e così esportato nel Nord con la diffusione dei testi dell’antifonario. A Roma continua a vivere una diversa tradizione (antico romano), che verrà scritta in notazione a partire dal sec. XI e sarà praticato per qualche secolo ancora.

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2. Il “gregoriano” è fiorito nelle Gallie, tra il Reno e la Senna, soprattutto accanto alle cattedrali e nei centri monastici, dotati di scholae e di scriptoria dai quali usciranno i codici con notazione.


I testi sono quelli dell’Antifonario e del responsoriale romano, già diffusi in Europa, ma le melodie sono una geniale rielaborazione del canto gallicano ed in parte nuova creazione oprata da anonimi artisti del sec. VIII e IX, favoriti dalla rinascita carolina e attenti alla sensibilità della cultura transalpina. Si dovrebbe adottare la terminologia che sostituisce il termine “gregoriano” con quello di “canto romano-franco”. Di fatto i codici neumati più antichi provengono soprattutto dalle Gallie e dalla Svizzera. Comunque sia la musica gregoriana resta uno dei tesori della liturgia e chi ha impartao queste melodie e le ha cantate non può non aver avuto l’indescrivibile sensazione del sacro, di una bellezza semplice, misteriosamente suggestiva, e che è un invito a lasciarsi pervadere dalle realtà invisibili che sono all’origine di tutto ciò che è visibile. Se l’uomo di fede percepisce bene il messaggio soave, e allo stesso tempo penetrante, di questa musica anonima, frutto di secoli di preghiera e di ricerca di Dio, colui che non ha ancora la fede fa l’esperienza, ascoltando i testi gregoriani, di una realtà trascendente, preparazione forse alla fede (Card. Jorge Arturo Medina Estèvez, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti). Affermerà S. Ambrogio «È davvero un grande vincolo di unità il canto nella moltitudine tutta del popolo in un solo coro! Diverse sono le corde della cetra, ma una solo una sinfonia. Spesso errano, in pochissime corde, le dita dell’artista; ma lo Spirito artista nel popolo non può errare» (S. Ambrogio da Explanationes psalmorum). Continua prossimo numero

2. DIECI PAROLE PER LA MUSICA LITURGICA: “ECCEDENTE” di Aurelio Porfiri (Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. È professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. È socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL).Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese.)

Eccedente. Questa parola potrà forse sorprendere ma in realtà è una delle più importanti. Eccedente, che viene ancora una volta dal latino (ex-cedere, andare fuori), è quando si supera una certa quantità di una data cosa. In effetti, nel nostro caso, cosa si chiede di eccedere? Si chiede che la musica liturgica non coincida con la musica, ecceda la musica che ascoltiamo quotidianamente. Eccedente significa qualcosa che si protende oltre. La liturgia è una dimensione altra rispetto a quella della vita quotidiana, quindi dobbiamo fare in modo che la musica liturgica sia in grado di far compiere al fedele quello che viene definito come “scarto simbolico”. Questo ci viene spiegato dallo psicoterapeuta Giuseppe Sovernigo nel suo libro “Il Rito e l’Uomo”:

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“Altre persone, prese dalla febbre di celebrare ‘Gesù nella vita’, come reazione contro il conservatorismo rituale, vivono un’altra trappola per il rito che sottrae ad esso la possibilità di funzionare. Queste persone presumono di situare il linguaggio, gesti, oggetti, nel quotidiano. Per poter funzionare il rito richiede un minimo di scarto simbolico rispetto al linguaggio, ai gesti, agli atteggiamenti della vita normale”. È chiaro che questo problema dello scarto simbolico non è un problema che si può eludere e non è un problema che si deve chiudere nelle anguste categorie del progressismo o del conservatorismo. Si può far anche riferimento ai testi di don Roberto Tagliaferri sulla “liminalità”, la liturgia come

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soglia sull’altrove. Insomma, la musica per la liturgia non può essere la musica che si ascolta nel quotidiano. Ciò non vuol dire che non si possa far uso di alcune parti di quei linguaggi più usati nella musica popolare, ma questo va fatto in modo che i linguaggi possano essere trasformati dal contesto di provenienza per essere fruibili nel contesto di arrivo. I musicisti hanno sempre saputo sapientemente attingere da materiali anche profani per le loro produzioni liturgiche ma con la loro perizia sapevano come trasformare elementi del profano ed integrarli nell’ordito liturgico. È una operazione che richiede perizia e conoscenza di come i linguaggi funzionano, non può essere data nelle mani di tutti. Solo mani esperte sanno rendere “santo” quello che non lo è di partenza. E c’è anche da dire che non tutto lo può essere, se si vuole essere sinceri. Personalmente, non credo ci dovrebbe mai essere spazio per batterie o chitarre elettriche in una celebrazione liturgica (ma mi sembra che anche la Chiesa con il suo Magistero abbia fissato più di un paletto che si è poi agilmente dribblato). A questo punto spunta sempre fuori “l’esperto” che ci informa che anche nel passato i musicisti prendevano musiche profane tout court aggiungendovi un testo sacro. Quindi…

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Questo sarebbe giusto, ma l’informazione andrebbe fornita completa. In quel passato, la musica che dominava era la musica di chiesa, quindi anche la musica profana era totalmente derivante dalle melodie liturgiche. In questo senso, quando essa tornava ad un uso liturgico, in un certo senso era come se tornasse a casa. Non dico che fosse sempre appropriato e in effetti la Chiesa fece sentire la propria voce anche a questo riguardo, ma non si può fare il paragone con l’oggi, quando la musica che domina è la musica di consumo. Nulla contro quest’ultima, ma ovviamente le sue priorità sono diverse da quelle della musica liturgica. Talvolta può essere usata per l’evangelizzazione extra liturgica, per spettacoli, musical, film e ogni forma artistica che può suscitare sentimenti religiosi nel pubblico usando un genere a loro familiare. Questo lo vedo molto positivamente. Ma la liturgia è un’altra cosa e si muove su un’altra dimensione e per noi è atto supremo di fede. La musica per la liturgia deve muoversi su un altro piano. Io credo che si dovrebbe enfatizzare la distinzione fra sentimento religioso e azione liturgica per capire il problema della musica nella liturgia. Nessuno nega che anche musica pop, rock o samba possano suscitare sentimenti che avvicinino le persone ad una generica esperienza religiosa, se questo è ciò che le musiche stesse si vanno proponendo. Ma una cosa è la mutevolezza del sentimento religioso, altra è la presenza “liturgica”, una presenza che non si avvera per via di sentimento ma per via di rivelazione. Quindi ciò che ci viene chiesto non è di aumentare la nostra capacità emotiva per raggiungere il soprannaturale ma di arrendere le nostre emozioni ad una bellezza che si svela, che è Cristo. Ora, l’uso delle emozioni è diverso: in un caso le emozioni vengono sollecitate, in un certo senso, dall’interno del mondo quotidiano del ricevente; nell’altro l’emozione si protende all’esterno, nel nuovo mondo creato dalla musica liturgica. Essa non cerca di farci entrare in noi stessi (il noi quotidiano) ma cerca di farci uscire da noi stessi per rientrarci in un modo più adeguato (il noi soprannaturale). Bisogna distinguere tra il naturale e il soprannaturale. In una prospettiva naturale la musica pop in Chiesa va benissimo, ma in una prospettiva soprannaturale essa non compie il suo scopo. In un bell’articolo su arte e teologia, il famoso teologo Karl Rahner tesseva le lodi dell’arte e della sua importanza anche rispetto alla teologia. Ma ad un certo punto faceva l’affermazione che ogni musica diviene liturgica se il testo è liturgico. Qui credo si sia sbagliato di grosso. Non è il solo. Anche in un testo (che peraltro su altri argomenti è molto ben fatto) di un famoso liturgista italiano ho letto la stessa affermazione: la musica diviene liturgica se il testo è liturgico. Non sono d’accordo. Una marcia militare non diviene un canto per la celebrazione se gli mettiamo il testo liturgico a ricalcare la melodia. Un canto gregoriano non diviene una canzone di protesta se gli metto un testo adeguato a questo genere. Questo è anche contro tutto ciò che le neuroscienze ci sanno dire su come funzioniamo. Quando noi ascoltiamo i suoni dall’esterno il cervello usa un sistema chiamato “categorizzazione”. In un certo senso, detto semplicemente, mette gli stimoli auditori che riceve


in certe categorie che già preesistono per cultura o altro. Quindi, pur se una persona ascoltasse per venti anni solo musica liturgica di impronta “pop”, il cervello comunque la leggerebbe anche in paragone con l’uso predominante di questo tipo di musica, che non è quello liturgico. In un certo senso l’uso di questa musica manda un messaggio ambiguo e non è adeguata allo scopo che si prefigge. Ecco perché penso sempre di più che la musica per la liturgia non sia la musica di consumo. Continua prossimo numero

3. VALORIZZARE IL CANTO GREGORIANO di Egidio Sottile

Nella “Esortazione apostolica Sacramentum caritatis” del Papa Benedetto XVI, vi sono i paragrafi 42 (pag. 70) e 62 (pag. 96) che si riferiscono al canto gregoriano e alla lingua latina durante la celebrazione liturgica. Tra i documenti del Concilio Vaticano II° sono trattati, per quanto riguarda la riforma liturgica, sia la lingua latina, che è per tradizione la lingua della Chiesa, e viene conservata nei riti latini specialmente durante le celebrazioni solenni, e sia il canto gregoriano. Il latino è stato impropriamente motivo di due diverse considerazioni: l’una che il Concilio avrebbe portato una nuova stagione della Chiesa attraverso l’uso della lingua volgare di grande utilità per il popolo e l’altra che avrebbe prodotto un allontanamento dall’antica tradizione cattolica. Papa Benedetto XVI durante il suo discorso, tenuto in occasione degli auguri natalizi alla Curia Romana, ha voluto tra l’altro chiarire queste contraddittorie immagini della Chiesa, dicendo che non vi è alcun detrimento o discontinuità tra il nuovo della Chiesa e la tradizione cattolica. Considerando che nell’ascolto della liturgia, durante la celebrazione della Messa, la maggior parte dei fedeli non capisce la lingua latina e quindi la lettura dei Vangeli, dell’Epistole e di altre preghiere liturgiche, si è voluto concedere alla lingua volgare e alla lingua proprie delle Nazioni mondiali, una parte più ampia nelle celebrazioni liturgiche. La lingua latina che è per tradizione, appunto, la lingua della Chiesa, viene considerata nei riti latini, specialmente nelle celebrazioni solenni, tenendo conto di non trascurare il bel canto gregoriano. Il paragrafo 62 ricorda l’obbligo dell’uso della lingua latina nel momento in cui, appunto, le celebrazioni religiose avvengono in occasioni particolari e cioè durante incontri internazionali per meglio esprimere l’unità e la universalità della Chiesa. Dalla lettura dell’esortazione, nello stesso paragrafo 62, si evince che nei seminari, dopo il Concilio Vaticano II°, durante gli studi per essere sacerdoti, si è trascurato l’insegnamento del latino ed anche del canto gregoriano. Il Papa invita chi di dovere, che i futuri sacerdoti siano preparati a comprendere e a celebrare la Santa Messa in latino. Questa esortazione non vuol essere una restaurazione tradizionalista, come si pensa o si è pensato in Italia, dove è avvenuta la pratica abolizione del latino e del canto gregoriano in ogni celebrazione liturgica specie nelle parrocchie, il che ha causato delle deviazioni nel culto della solennità e della bellezza. Solennità e bellezza che non rappresentano un fattore decorativo durante l’azione liturgica, ma una festosa e sublime preghiera verso l’Eterno. La festosità e la bellezza, durante le cerimonie particolari, vengono espresse dal canto gregoriano. Il canto sacro viene nominato per tradizione: “Gregoriano” in riferimento al Papa San Gregorio Magno (540-604), monaco benedettino, la più forte personalità della Chiesa cristiana, perché organizzatore e ordinatore unitario definitivo del canto della Chiesa Romana. Il canto sacro è espressione di amore poichè si

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cantano le lodi a Dio. Nella storia della letteratura latina, Cassiano da Marsiglia che si occupò di morale ascetica ed ebbe un posto di grande importanza nella storia del monachesimo occidentale ed ancora ebbe grande stima del canto sacro, tanto che rivolgendosi ad un suo confratello, in merito alla modulazione della voce; scrive: “Canta a Dio, ma non cantare male. Dio non vuole che siano offese le sue orecchie. Canta bene fratello! Tu tremi quando si domanda a te di cantare davanti ad un buon musico, temendo che l’artista ti faccia rimprovero della tua ignoranza, ma se tu canti a Dio, come potrai offrirgli un lavoro di arte, una esecuzione così perfetta da non offendere le sue orecchie?’. E il Papa scrive: “che la Chiesa ha creato e continua a creare musica e canti che costituiscono un patrimonio di fede e di amore che non deve andare perduto”. Da tempo è invalso l’uso di cantare, durante la Messa, con l’accompagnamento di strumenti non appropriati e quindi irrispettosi nei riguardi del senso religioso della liturgia, che è espressione di amore verso Gesù, figlio di Dio, presente nell’Eucaristia. Quanto era bello e commovente sentire in chiesa, durante il periodo della Settimana Santa le due composizioni “Vexilla Regis” e “Pange Lingua”, scritte dal poeta latino cristiano Venanzio Fortunato (530-600), che sono due meravigliosi e stupendi gioielli della innografia della Chiesa Latina. L’uno che è un grido del credente inneggiante al trionfo di Cristo e l’altro che è un quadro ricco di immagini che rievocano la storia della salvezza. E ancora chi non ricorda il canto delle “Litanie della Vergine” durante i novenari e il Tantum Ergo, l’Ave Verum, il Cor Jesu e alcune volte le composizioni di Perosi, di Schubert, di Gounod che entusiasmavano l’assemblea che ascoltava con rigoroso silenzio, partecipando efficacemente ed intimamente con fede alla cerimonia religiosa. Il Papa, con l’esortazione “Sacramentum Caritatis”, desidera, pur tenendo conto delle differenti tradizioni assai lodevoli, che vengano valorizzati il canto gregoriano e il latino, propri della liturgia romana”.

4. BENEDETTO XVI: LO SVILUPPO DELLA MUSICA SACRA DEVE ESSERE FEDELE ALLA TRADIZIONE E DARE DIGNITÀ ALLA LITURGIA di Alessandro De Carolis (tratto da radiovaticana)

È la Chiesa “l’autentico soggetto” della liturgia e, in questo senso, la musica sacra deve riuscire a coinvolgere l’assemblea, restituendo il senso “della preghiera, della dignità e della bellezza” di una celebrazione. Lo afferma Benedetto XVI in un passaggio della lettera inviata al cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, in occasione dei 100 anni di fondazione del Pontificio Istituto di Musica Sacra. Al giorno d’oggi potrebbe essere la musica pop a influenzare negativamente quella liturgica. Un secolo fa era erano le arie d’opera e Pio X decise che la musica sacra non poteva essere terreno di conquista per partiture musicali inadatte a esprimere lo stretto legame tra le note e il senso del divino di una liturgia. Per questo – ricorda Benedetto XVI nella sua lettera – Pio X fondò nel 1911 la Scuola Superiore di Musica Sacra, elevata 20 anni dopo al rango di Pontificio Istituto da Pio XI. Il senso della “profonda riforma” innescata da Papa Sarto, spiega ancora Benedetto XVI, va rintracciato nel bisogno di avere nella Chiesa un “centro di studio e di insegnamento” in grado di trasmettere a compositori, maestri di cappella e liturgisti “le linee indicate dal Sommo Pontefice”, in modo “fedele e qualificato”.

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Benedetto XVI dà risalto nella lettera a un aspetto da lui ritenuto “particolarmente caro”, ovvero che oggi, “pur nella naturale evoluzione”, è possibile riscontrare “la sostanziale continuità


del Magistero sulla musica sacra nella Liturgia”. In tempi recenti, Paolo VI e Giovanni Paolo II – scrive il Papa – hanno voluto ribadire “il fine della musica sacra” e i “criteri fondamentali della tradizione”: il “senso della preghiera, della dignità e della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il legittimo adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo stesso, l’universalità del linguaggio; il primato – ha proseguito – del canto gregoriano, quale supremo modello di musica sacra, e la sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che fanno parte del patrimonio storico-liturgico della Chiesa, specialmente, ma non solo, la polifonia; l’importanza della schola cantorum, in particolare nelle chiese cattedrali”. Tuttavia, ha detto a un certo punto il Pontefice, “dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la “Chiesa”. Non è – ha detto con chiarezza – il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività”. La Liturgia, sottolinea Benedetto XVI, “vive di un corretto e costante rapporto” tra la sana tradizione e un legittimo sviluppo, e dunque anche la musica sacra. Tenendo sempre ben presente, conclude, “che questi due concetti - che i Padri conciliari chiaramente sottolineavano - si integrano a vicenda perché la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso”.

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1. impariamo a conoscere la musica Ufficio Nazionale Liturgico-Musicale CEI Elementi di base

Obiettivi del nostro lavoro

Conoscere i segni che rappresentano la durata dei suoni e dei silenzi nella scrittura della musica. Capire la funzione della battuta e il significato della frazione del tempo. Capire che l’altezza e la durata sono due parametri fondamentali nella scrittura della musica. Imparare a leggere alcune semplici figure musicali e pause.

La durata delle note e delle pause Per rappresentare la durata delle note di utilizzano dei segni chiamati figure musicali. I momenti di silenzio sono rappresentati da segni chiamati pause. L’unità di misura delle figure musicali e delle pause è la pulsazione. La durata nel tempo delle figure musicali e delle pause non è assoluta ma relativa alla velocità delle pulsazioni ritmiche. Le figure musicali Le figure musicali sono segni che indicano il valore (la durata) di ogni nota. Questi segni vengono posti sul pentagramma per indicare l’altezza esatta del suono (la nota musicale) da eseguire. Le figure musicali sono formate da tre elementi:

o la testa della nota; o il gambo; o le code, o cediglie.

La testa della nota è costituita da un cerchietto vuoto o pieno (bianco o nero) che, posizionato sul pentagramma o rigo musicale indica l’altezza del suono (nota musicale). A volte al cerchietto si aggiunge una linea chiamata gambo e al gambo possono essere aggiunte una o più code, dette cediglie. La posizione della testa delle note sul pentagramma determina la loro altezza e il loro nome (DO-RE-MI -FA -SOL-LA- SI) La durata delle note viene invece rappresentata:

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dal diverso colore della testa (bianco o nero); dalla presenza o meno del gambo; dal numero delle cediglie; Le figure musicali si misurano con multipli o sottomultipli di un valore di riferimento. Questo valore di riferimento, che comunemente corrisponde ad una pulsazione, viene chiamato quarto.


I. Il quarto La figura musicale che comunemente corrisponde alla durata di una pulsazione viene chiamata quarto o semiminima. Per facilitarne la lettura questa figura si può chiamare TA.

Esiste anche una pausa che corrisponde ad un silenzio della durata di un quarto. La pausa da un quarto può essere chiamata ZITTO.

La metà Raddoppiando il valore del quarto si ottiene la metà o minima. Per facilitarne la lettura questa figura può essere chiamata TA-A.

La pausa di semiminima viene rappresentata da un rettangolo posto sopra la terza linea del pentagramma.

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L’intero Raddoppiando il valore della metà si ottiene l’intero o semibreve. Per facilitarne la lettura questa figura può essere chiamata TA-A-A-A.

La pausa di semibreve viene rappresentata da un rettangolo posto sotto la quarta linea del pentagramma.

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tabella riassuntiva

ta-a-a-a

ta-a

ta

II. La battuta

Le figure musicali e le pause vengono utilizzate per determinare la durata dei suoni e dei silenzi in un brano musicale. Le figure e le pause vengono inserite nel pentagramma o rigo musicale, in gruppi di valore uguale, chiamati battute. Le battute sono delimitate da lineette verticali chiamate stanghette o spezzabattute.

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III. La frazione del tempo Il valore delle battute è determinato da un segno di frazione che indica il tempo ed è posto all’inizio del brano musicale, dopo la chiave. La frazione del tempo indica:

il numero di movimenti (pulsazioni) in cui è divisa la battuta; il valore di ciascun movimento; il valore complessivo di ogni battuta.

IV. Il valore della battuta

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In un brano musicale ogni battuta deve contenere esattamente il valore indicato dalla frazione del tempo Questo valore può essere ottenuto utilizzando:

figure musicali; pause; un insieme di figure e pause.

Segue un esempio musicale tratto da un canto liturgico. Su esso applichiamo un percorso graduale di “lettura” che va dalla lettura ritmica (TA TI TI.. ecc) a quella ritmica con le note ovvero attribuendo a ciascuna nota sul pentagramma la sua altezza e durata. (DO FA A ecc…)

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Consideriamo la lettura del primo pentagramma in chiave di violino

1 fase : Lettura ritmica ta

ta ta ta

ta ta ta

ta ta ti ta a ta ti

ta ta ta

ta ta ta

ta ta ti ti

ta a

fa fa la

fa fa la

sol sol la sol

fa a

2 fase: Lettura ritmica con le note do

fa fa la

fa fa la

sol fa a do sol la sol

Continua tu battendo la pulsazione e considerando sempre: 1. numero di movimenti in cui è divisa la battuta; 2. valore di ciascun movimento; 3. valore complessivo della battuta.

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2. IMPARIAMO A SUONARE UN CANTO CON LA CHITARRA di Marcello Manco (musicista e compositore)

In questa sezione di volta in volta verrà proposto un canto del libretto “Dio della mia lode” per aiutare tutti coloro che suonano la chitarra. Le frecce sono l’aiuto più immediato ed efficace. La freccia in basso (battere) rappresenta la pennata in basso, la freccia in alto rappresenta la pennata in alto (levare). Nel canto di specie, c’è anche una tablatura. I numeri sulla tablatura rappresentano i tasti della tastiera della chitarra mentre i numeri all’inizio della tablatura rappresentano invece le note.

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

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1. gli strumenti musicali nella liturgia L’organo e la chitarra Una comparazione fra due strumenti utilizzati a vario titolo nelle nostre liturgie, seppure con diversi esiti estetici e partecipativi. Con essi ed in essi la cultura polimorfa di un popolo si trasmette ed evolve, spesso contrapponendosi per strati generazionali ROMA, martedì, 17 maggio 2011. Non si può negare, neanche dai più strenui difensori delle chitarre nella liturgia, che l’organo è uno strumento che appartiene al patrimonio storico della Chiesa cattolica, e questo da vari secoli. Il suo uso, è stato vario ed è naturalmente anche coinciso con le evoluzioni tecnico-costruttive dello strumento. Pensiamo per esempio alla concezione di un organo ottocentesco italiano, che perfettamente si adattava a eseguire le composizioni di stile operistico dei musicisti più in voga di quel periodo. Insomma, l’organo si è spesso adattato alle esigenze (liturgicamente lecite o meno, non è qui il caso di dibattere) che la cultura del periodo e la conseguente liturgia gli presentava. Io insisterei più sul chiamare questo strumento, “strumento storico” della liturgia (anche se questa definizione non è il massimo) preferendo questa accezione a quella di “strumento tradizionale”. Questo perché, almeno qui da noi, alla parola “tradizione” si dà un senso di incatenamento, di irreformabilità, di irrigidimento (e questo non è certo il senso vero di queste bella parola). Io continuo ad amare la Tradizione e a ritenerla vivente, non chiusa e finita in qualche epoca storica ma sempre gravida di avvenire. In base a questo, non posso accettare che stili La chitarra musicali o strumenti musicali, quanto meravigliosi, possano non è il male per essere considerati definitivi e mitizzati, perché li condannerei assoluto irrevocabilmente alla sterilità (e, peggio ancora, mi condannerei all’idolatria). Quindi non bimitizzare nè gli stili, nè gli della liturgia sogna strumenti, nè gli uomini (anche se grandi genii dell’arte musicale per i quali non vale la massima di Novalis: “Quando si vede un gigante, si ponga mente anzitutto alla posizione del sole e si badi se non sia l’ombra di un pigmeo”).

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Non mi nascondo l’utilità enorme di uno strumento come l’organo nella storia della Chiesa cattolica (anche nella storia attuale, naturalmente) ma non intendo alzare barricate a quanto di buono e di utile può trovarsi nella cultura moderna (per meglio dire, nelle culture moderne), sempre che sia adatto alla celebrazione “o vi si possa adattare”. Visto in questa prospettiva non dovrebbe più porsi il problema di suonare questo o quello strumento (al di fuori dell’organo) ma si dovrebbe porre, in tutta la sua pesantezza, il problema di come usare quello strumento, in quale momento della celebrazione e perché. E non è questione da poco. Di base c’è che qualunque strumento si suoni, occorre saperlo “usare”, almeno più che decentemente (non che si richiedano sempre dei virtuosi…). Se non si parte dalla formazione si continuerà per decenni a parlare delle stesse cose senza frutto. Ci sono degli strumenti che non si adattano alla celebrazione? Partiamo ancora dalla chitarra. In un CD per le edizioni San Paolo di mie composizioni per la liturgia, ho usato in due dei miei pezzi la chitarra classica in arpeggio, anche unita ad un quartetto d’archi o a una viola solista. Il risultato, anche a detta dei cantori (per niente avvezzi a queste strumentazioni) era veramente spirituale. Racconto questa esperienza personale per dire: la chitarra non è il male assoluto della liturgia,


lo è il suo cattivo uso. Grandissimi compositori hanno scritto per questo nobile strumento. Da qui, ad accettarla suonata come al campeggio ce ne corre. Perché lì siamo al campeggio davanti a noi stessi, in chiesa siamo noi stessi davanti a Dio. Deve esserci nel simbolo sonoro che viene fuori quello che Giuseppe Sovernigo in un bel libro definisce lo “scarto simbolico” (Giuseppe Sovernigo, “Rito e persona – Simbolismo e celebrazione liturgica: aspetti psicologici”, Edizioni Messaggero Padova/ Abbazia Santa Giustina, Padova 1998, pag. 87). I simboli, anche quelli sonori, non possono essere presi da un contesto e travasati in un altro completamente diverso senza temere una deriva del senso. Una delle massime del mondo della comunicazione più alla moda da decenni è: il mezzo è il messaggio (McLuhan, che, tra l’altro, è stato un convertito al cattolicesimo e ha scritto interessanti saggi proprio sulla liturgia dopo il Vaticano Secondo che meriterebbero un’occhiata…). Non voglio prenderla come oro colato ma non bisogna neanche passarci troppo sopra. Detto questo, potrei dire che quasi ogni strumento, se adattato con gusto e competenza alla liturgia, può servirla degnamente. E non sono il solo a pensarla così. Il padre Papinutti, nell’opera citata in precedenza afferma: “Comunque è certo che, nel campo strumentale, la evoluzione della Musica Sacra è senza confini. Restando sempre fedeli alla disciplina e alle norme di una sana prudenza,oggi i musicisti possono tentare nuove forme musicali, con ampio uso di strumenti. Forse non è lontano il giorno nel quale sarà tradotto in pratica l’invito del salmista. ‘Laudate eum in sono tubae: laudate eum in psalterio et cithara; laudate eum in chordis et organo’”. Fino all’approssimarsi di quel giorno, i miei dubbi li continuerò a coltivare per quelli strumenti la cui natura sembra contrastare vivamente con quella del rito, come gli strumenti percussivi che hanno un’importanza segnatamente ritmica e che sento in contrasto con il ritmo che il rito di per sè impone ai codici utilizzati per “dichiararlo”. Il canto gregoriano veramente respira con il rito, la ritmicità pesante mi sembra una forzatura fuori posto. Naturalmente sono consapevole che sto proponendo un discorso culturalmente condizionato, in quanto in Africa il ritmo e la percussività hanno significato diverso e sono invece spesso legati ad atmosfere di contatto con il divino. Questo lo vediamo anche negli spirituals, bellissime composizioni tipiche degli afro-americani in cui il ritmo stringente spesso è parte preponderante. Ma non dimentichiamo di appartenere a una cultura diversa e che, pur rispettando grandemente queste manifestazioni di culture non nostre, viviamo immersi in altre culture e altri mondi (anche se pieni di contaminazioni di vario genere…). Non ci si nasconde i rischi di queste operazioni; Baltasar Graciàn, gesuita del XVII secolo, diceva:

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

“Non c’è nulla che non abbia il suo diritto e il suo rovescio, In ogni cosa ci sono inconvenienti e vantaggi. L’abilità consiste nel saper trovare il modo di volgerle al proprio comodo”. Molti chiamano questi problemi, altri potrebbero chiamarli opportunità…Oggi che abbiamo la libertà e i mezzi per poter fare le scelte più ardite, ci ritroviamo a girare con le catene che noi stessi ci siamo fabbricati: “Non è la libertà che manca; mancano gli uomini liberi” (Leo Longanesi). E bisogna farsi una ragione del fatto che bisogna “sporcarsi le mani”. Come dice Graham Greene: “Preferisco aver del sangue sulle mani piuttosto che dell’acqua come Ponzio Pilato”. Non c’è altra via…

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA BIBBIA

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1.

gli strumenti musicali nella bibbia

Lo Shofar Lo shofar è menzionato spesso nella Bibbia, dal libro dell’Esodo a quello di Zaccaria e lungo il Talmud e la letteratura rabbinica successiva. Fu la voce dello shofar, eccezionalmente forte, suonato dalle nubi che ricoprivano la cima del monte Sinai che fece tremare il popolo di Israele (Esodo 19,20) Lo shofar è usato per annunciare la luna nuova e le feste solenni (Numeri 10;10, Ps. 81;4) così come per proclamare l’anno del Giubileo (Levitico 25;8-13). Viene suonato anche il primo giorno del settimo mese (Tishri) per proclamare Rosh haShana (Levitico 23;24 e Numeri 29;1). In tempi lontani venne usato anche durante altre cerimonie religiose e processioni II Sam. v. 15; I Chron. xv. 28), o nelle orchestre come accompagnamento alle formule di preghiera (Ps. xcviii. 6; comp. ib. xlvii. 5). Più spesso venne usato come segnale di battaglia, come la tromba d’argento menzionata in Numeri 10;9 Quando nel vostro paese andrete in guerra contro il nemico che vi attaccherà, suonerete le trombe con squilli di acclamazione e sarete ricordati davanti al Signore vostro Dio e sarete liberati dai vostri nemici. La Torah descrive il primo giorno del settimo mese di Tishri (Rosh haShana)) come zikron teruah (memoria del soffio, Levitico 23;23) e yom teru’ah (giorno del soffio Numeri. 29;1). Questo viene interpretato, dall’ebraismo, come il indicante il suono dello shofar. Nel Tempio di Gerusalemme lo shofar veniva associato alla tromba ed entrambi venivano usati assieme in numerose occasioni. Nel giorno del Capodanno la cerimonia veniva eseguita con lo shofar affiancato da due trombe; Era un corno slanciato di capra selvatica, con oro ed avorio d’ornamento. Durante i digiuni, invece, la cerimonia veniva celebrata con la tromba affiancata da due shofar. In queste occasioni gli shofar erano di montone, di forma curva ed arricchiti con argento ed avorio. Durante il digiuno di Yom Kippur negli anni giubilari la cerimonia veniva eseguita secondo l’uso di Rosh haShana. Il suonare il corno trae origine dal sacrificio di Isacco. Nella tradizione biblica Isacco fu salvato dal sacrificio, e al posto suo Abramo sacrificò un ariete rimasto impigliato, giustappunto per le corna, in un cespuglio sul monte. Così, suonando il corno Dio si ricorda della fede di Abramo, della salvezza di Isacco e di quella della sua discendenza. Nella tradizione cristiana, l’ariete che viene immolato al posto di Isacco rappresenta Gesù Cristo, immolato al posto nostro per accordarci la salvezza. Shofar askenazita. Lo shofar può essere un corno di un qualsiasi animale casher, ad eccezione della mucca e del vitello, questo come ricordo dell’episodio del Vitello d’oro. La presenza di crepe o buchi sulla superficie del corno lo rendono inadatto all’uso cerimoniale. Lo shofar non può essere dipinto, ma può essere cesellato artisticamente. Secondo la tradizione halakiha le donne ed i minori (coloro che ancora non hanno celebrato il bar mitzvah) non hanno l’obbligo di ascoltare il suono dello shofar, ma ne hanno la possibilità e sono incoraggiati ad essere presenti alla cerimonia. Il corno viene reso il più piatto possibile e forgiato a campana riscaldandolo per poterlo ammorbidire. Un buco viene praticato sulla punta del corno per raggiungere la naturale cavità interna. Il suono [modifica]

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Lo shofar. Viene suonato grossomodo come una tromba, applicando le labbra al buco e facendo vibrare


la colonna d’aria interna al corno. Tipicamente il suonatore emette una specie di pernacchietta. Esistono diverse usanze sulla presenza o meno di un invito per le labbra sulla punta del corno; se la tradizione Askenazita tende ad escluderne la presenza, la tradizione Sefardita porta alla incisione di un invito simile a quelli delle trombe. Per via della forma non regolare della cavità interna al corno, l’armonica emessa dallo strumento, quando suonato, può essere molto varia: possono uscirne delle quinte perfette, quanto degli intervalli limitati come delle quarte o ampi come delle seste. I suoni di tekiah e di teruah menzionati nella Torah sono rispettivamente un suono grave ed uno acuto. La Tekiah è un suono piano e profondo che viene interrotto improvvisamente. La Teruah è un trillo tra due Tekiah. Questi tre suoni, che costituiscono una sorta di musica, sono eseguiti in tre occasioni: la prima volta in onore del regno del Signore; la seconda in ricordo del Sacrificio di Isacco per ricordare che la comunità va ricordata dopo Dio; la terza per onorare il precetto dell’ascolto dello shofar. Il primo è rappresentato da tre brevi suoni connessi; il secondo da nove note veramente brevi divise in tre terzine di suoni interrotti. La durata della Teruah è pari a quella dello shevarim. La Tekiah ha una durata pari alla metà di una Teruah. Nel tempo sono nati dubbi riguardo al giusto suono di Teruah. Nel Talmud non è chiaro se indichi un suono di urla o di pianto. Per non cadere in errore si usa ripetere due volte la sequenza dei suoni eseguendo, quindi, entrambe le versioni. La sequenza che ne risulta è quindi: teki’ah, shebarim, teru’ah, teki’ah; teki’ah, shebarim, teki’ah; teki’ah, teru’ah, teki’ah. Questa sequenza, ripetuta tre volte, genera una sequenza di trenta suoni. Nella tradizione Askenazita, il suono di shebarim della prima sequenza viene legato a primo Teruah. Al termine della funzione viene suonato lo shofar un’ultima volta con un suono tenuto lungo fino a quando il suonatore ha fiato e viene chiamato Tekiah Gedolah (Tekian lunga). Durante la festa di Rosh haShana, la sequenza di 30 suoni viene ripetuta per 3 volte durante la preghiera di Mussaf (preghiera addizionale) in corrispondenza delle sezioni chiamate Malkiot, Zikronot e Shofarot. La sequenza ha origine dalle tre citazioni di Teruah, in corrispondenza del settimo mese, nei libri del Levitico ( 23 e 25) e dei Numeri (29). Una ulteriore sequenza di 10 suoni viene eseguita una volta sola e quindi la Tekiah Gedolah. il complesso delle esecuzioni crea una sequenza di 101 suoni l’ultimo dei quali chiude la preghiera addizionale legata alla festività. La Tekiah Gedolah viene eseguita anche in occasione di Yom Kippur e ne segna la fine. Ad ogni ripetizione dei suoni vengono recitati 10 versi della Torah che terminano con una benedizione.

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ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALI

Sulle note dello spirito

1. CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI novembre Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico. La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

01 NOVEMBRE - TUTTI I SANTI Ingresso 327 Canto al Vangelo 23 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 153

kyrie M Gialloreti Offertorio 196 Dossologia Agnello di Dio 6 Conclusione 372

Gloria 26 Santo 234 Padre Nostro 203 Comunione 383

06 NOVEMBRE - XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Ingresso 323 Canto al Vangelo 15 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 219

Kyrie 347 Offertorio 77 Dossologia Agnello di Dio 7 Conclusione 321

Gloria 27 Santo 233 Padre Nostro 203 Comunione 59

13 NOVEMBRE - XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Ingresso 41 Canto al Vangelo 23 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 361

Kyrie (Sorgente di salvezza) Offertorio 70 Dossologia Agnello di Dio (Sorgente di salvezza) Conclusione 245

Gloria 145 Santo 235 Padre Nostro (Sorgente di salvezza) Comunione 219

20 NOVEMBRE - XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

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Ingresso 85 Canto al Vangelo 20 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 331

Kyrie 352 Offertorio 129 Dossologia Agnello di Dio 7 Conclusione 362

Gloria 364 Santo ex 120 Padre Nostro 203 Comunione 137


27 NOVEMBRE - I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B) Ingresso 02 Canto al Vangelo 18 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 154

kyrie M Gialloreti Offertorio 186 Dossologia Agnello di Dio 6 Conclusione 160

Gloria /// Santo 235 Padre Nostro 203 Comunione 143

2. AL SERVIZIO DELLA PAROLA Il salmo responsoriale è strettamente legato alla prima lettura. Si presenta come un’eco di essa. Si tratta di un testo poetico che si esprime ritmicamente e che ha bisogno di calma, pause, silenzio. Ecco perché è bene differenziare il lettore della prima lettura da chi proclama o canta il salmo. Si tratta di due stili diversi: uno in prosa, in narrazione, l’altro in poesia pregata (o preghiera poetica). Il salmo non deve apparire come una lettura supplementare, ma una risposta lirica dell’assemblea alle meraviglie che Dio sta realizzando in lei. Il salmo e, in particolare, il ritornello ripetono per lo più una o l’altra delle parole che sono state proclamate. Il popolo risponde al Signore riutilizzando le Sue parole appena ascolta- te. Il ritornello introduce il salmo e gli dà il suo colore, dando anche la chiave di interpretazione principale della lettura appena proclamata (nel contesto liturgico). Il salmo normalmente sia cantato, possibilmente sia nel ritornello (solista con assemblea) che nella strofa (solista). Ma almeno il ritornello sia sempre cantato la domenica e nelle solennità. E’ possibile prevedere alcune “melodie-tipo” che possono adattarsi a diversi ritornelli. Potrebbe essere la soluzione di partenza, da superare poi, pian piano, con l’impegno di insegnare e cantare melodie diverse per ogni salmo (ecco il senso della raccolta diocesana dei Salmi).

Sulle note dello spirito

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Sulle note dello spirito

SALMODIE

01 NOVEMBRE - TUTTI I SANTI Tratto dal Salmo 26 - Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.

06 novembre - XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Tratto dal Salmo 62 - Ha sete di te. Signore. L’anima mia

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13 NOVEMBRE - XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Tratto dal Salmo 127 - Beato chi teme il Signore.

20 NOVEMBRE - XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Tratto dal Salmo 22 - Il signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Sulle note dello spirito

ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALI

27 NOVEMBRE - I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B) Tratto dal Salmo 79 - Signore, fà splendere il tuo volto e noi saremo salvi.

VISTO CHE SAREMO TUTTI AL CONVEGNO DIOCESANO LO CANTEREMO TUTTI INSIEME

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Sulle note dello spirito

Il prossimo numero sarà online nella prima settimana del mese di dicembre 2011, è tratterà i seguenti argomenti: Area Carismatica: Chiamati a servire. Davide e Maria (continua dal numero 1) Area Liturgico - Musicale Canto Liturgico (continua dal numero 1) Dieci parole per la musica liturgica Il canto Gregoriano Il Papa e la Liturgia Area Tecnica Le caratteristiche della voce: Estensioni e Timbro La legatura è il punto di valore Impariamo a suonare un canto. 349. Mi basta la tua grazia Gli strumenti musicali nella Liturgia: La Chitarra Gli strumenti musicali nella Bibbia La musica nella Bibbia Animazione Domenicale Canti per il Tempo Liturgico Al Servizio della Parola: Salmodie

INFORMAZIONI VARIE Carissimo, carissima, qualsiasi informazione, domanda, chiarimento, puoi contattarci direttamente scrivendo alla nostra email: sullenotedellospirito@gmail.com Puoi consultare questo numero e i successivi al seguente indirizzo: www.issuu.com/sullenotedellospirito Se non hai la possibilità di scaricare il foglio di collegamento via email e di non poterlo visionare online,

PROSSIMI APPUNTAMENTI 06 Novembre 2011 Convegno Diocesano di Nola 13 Novembre 2011 Convegno Diocesano di Aversa 20 Novembre 2011 Convocazione Diocesano di Salerno-Campagna 27 Novembre 2011 Convegno Diocesano di Napoli 27 Novembre 2011 Convocazione Diocesano di Sorrento-C/Stabia

provvederemo a inviarti copia cartacea, contattandoci al seguente numero di cellulare +393477669176.

Progetto grafico e impaginazione: Francesco Angioletti


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