Anno 0 - Numero 0

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Sulle

Anno 0 – Numero 0

ote dello Spirito Area Carismatica 1. La Musica e il Canto alla luce del PUF - RnS 2. L’importanza del Canto

Area Liturgico - Musicale 1. 2. 3. 4.

Il potere di comunicare Dieci parole per la musica liturgica Il Canto Gregoriano Il Papa e la Liturgia

Area Tecnica 1. 2. 3.

Il fenomeno “voce”: definizione e produzione Impariamo a suonare un canto 217. Rallegrati nel Signore Come leggere una Tablatura

Gli strumenti musicali nella Liturgia 1. L’uso degli strumenti musicali nella Liturgia

Gli strumenti musicali nella Bibbia 1. La musica nella Bibbia

Animazione Domenicale 1. Canti per il Tempo Liturgico 2. Al Servizio della Parola: Salmodie

Foglio di collegamento a cura del Servizio Diocesano Musica e Canto Diocesi di Napoli

EDITORIALE «Davide disse ai capi dei leviti di tenere pronti i cantori con gli strumenti musicali, arpe, cetre e cembali, perché, levando la loro voce, facessero udire, i suoni di gioia»

(1Cr 15,16).

L’incenso profumato della preghiera che sale a Dio, trova nella musica e nel canto, una via privilegiata e sempre nuova che rende al cielo una lode gradita. È da questo vogliamo partire per donare ai fratelli e sorelle della nostra diocesi, che svolgono un servizio di musica e canto, all’interno del proprio gruppo/comunità, uno strumento che li aiuti a svolgere con arte (salmo 46,8) il proprio eccomi per crescere e a maturare la personale e “particolare vocazione levitica”. Uno strumento che possa dare nozioni e consigli sulla preparazione e sulla consacrazione dei talenti al Signore, pensato per divulgare le proposte e i sussidi che sono in atto nella vita ordinaria del movimento e della Chiesa. Possa questo mensile essere uno di quei canali che lo Spirito userà affinchè il cuore di chi esercita il ministero/servizio bruci per Lui, sia unto e si rivesta del manto della lode.


AREA CARISMATICA

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1. CANTARE A DIO CON ARTE Tratto dal PUF RnS – Livello Base – V CAPITOLO Cantare a Dio con arte

Il canto nell’esperienza carismatica Proclamazione della Parola «Ora avvenne che, usciti i sacerdoti dal Santo – tutti i sacerdoti presenti infatti si erano santificati senza badare alle classi – mentre tutti i leviti cantori, cioè Asaf, Eman, Idutun e i loro figli e fratelli, vestiti di bisso, con cembali, arpe e cetre stavano in piedi a oriente dell’altare e mentre presso di loro 120 sacerdoti suonavano le trombe, avvenne che, quando i suonatori e i cantori fecero udire all’unisono la voce per lodare e celebrare il Signore e il suono delle trombe, dei cembali e degli altri strumenti si levò per lodare il Signore perché è buono, perché la sua grazia dura sempre, allora il tempio si riempì di una nube, cioè della gloria del Signore. I sacerdoti non riuscivano a rimanervi per il loro servizio a causa della nube, perché la gloria del Signore aveva riempito il tempio di Dio» (2 Cronache 5,12-14). «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Col 3,16-17). Il Magistero «La tradizione musicale di tutta la Chiesa costituisce un tesoro di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrale della liturgia solenne». La composizione e il canto dei salmi ispirati, frequentemente accompagnati da strumenti musicali, sono già strettamente legati alle celebrazioni liturgiche dell’Antica Alleanza. La Chiesa continua e sviluppa questa tradizione: «Intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore» (Ef 5,19). Chi canta prega due volte. Il canto e la musica svolgono la loro funzione di segni in una maniera tanto più significativa «quanto più sono strettamente uniti all’azione liturgica», secondo tre criteri principali: la bellezza espressiva della preghiera, l’unanime partecipazione dell’assemblea nei momenti previsti e il carattere solenne della celebrazione. In questo modo essi partecipano alla finalità delle parole e delle azioni liturgiche: la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli» (Catechismo della chiesa cattolica n. 1157). La viva tradizione della Chiesa

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«Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell’assemblea dei fedeli» (Sal 149,1). Siamo stati esortati a cantare al Signore un canto nuovo. L’uomo nuovo conosce il canto nuovo. Il cantare è segno di letizia e, se consideriamo la cosa più attentamente, anche espressione di amore Colui dunque che sa amare la vita nuova, sa cantare anche il canto nuovo. Che cosa sia questa vita nuova, dobbiamo saperlo in vista del canto nuovo. Infatti tutto appartiene a un solo regno: l’uomo nuovo, il canto nuovo, il Testamento nuovo. Perciò l’uomo nuovo canterà il canto nuovo e apparterrà al Testamento nuovo. O fratelli, o figli, o popolo cristiano, o santa e celeste stirpe, o 17 rigenerati in Cristo, o creature di un mondo divino, ascoltate me, anzi per mezzo mio: «Cantate al Signore un canto nuovo». Ecco, tu dici, io canto! Tu canti, certo, lo sento che canti: ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce. Cantate con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa. «Cantate al Signore un canto nuovo» (Sant’Agostino, Commento al Salmo 33)


Riflessione biblica Il canto all’interno della cultura semitica occupa un ruolo fondamentale poiché «non c’è funerale,né guarigione, né sacrificio offerto agli antenati, né apertura di caccia, né abbattimento di albero per ragioni rituali…né inizio di guerra, né combattimento, né raccolto…che non richieda il concorso indispensabile di un’azione musicale. Parola e musica sono indispensabili»24. La musica e il canto diventano «trasfigurazione del quotidiano, voce dell’esistente, celebrazione della storia». Per questo motivo, l’A. Testamento testimonia la presenza diffusa di canti di guerra25 (cf Es 32,18; Am 3,6; Num 10,35-36); di canti di vittoria (cf Es 15,1.21; Giud.15.14), di canti funebri (cf Gb 30,31, Ab 3,1); di canti nuziali (cf Ez 33,32; Ctc1,1-2); di canti conviviali (Sir 49,1; Am 4,4-5; Is 5,12); di canti di lavoro (Ger 25,30; Is 16,10; Ger.48,33). Grande importanza riveste il canto liturgico che non è concepito semplicemente come arte <quanto come servizio di Dio, ponte tra l’umanità e il mondo spirituale»26 riservato ai Leviti incaricati di eseguire la musica sacra nel Tempio (cf 1Cronache 15,1-8). Il re Davide è colui che inaugura in modo speciale il canto liturgico istituendo ufficialmente i cantori per le celebrazioni che si svolgevano al Tempio (cf 1Cr 6,16ss; 15,16.19-22.24a)27. La Bibbia, inoltre, attribuisce al canto e alla musica un forte valore profetico28 tanto che il re Saul appena incontra un gruppo di profeti «preceduti da arpe, timpani, flauti, cetre, in stato profetico» è immediatamente riempito dallo Spirito di Dio e diventa anch’egli profeta (cf 1Sam 10,5-6). Anche Eliseo si dispone ad accogliere l’unzione profetica mediante la melodia eseguita da un “suonatore di cetra’ (cf 2 Re 3,15-16). Il canto svolge un ruolo determinante anche all’interno dell’esperienza delle prime comunità cristiane come attesta l’apostolo Paolo quando, ad esempio, utilizza la triplice espressione “salmi, inni e cantici” (cf Col 3,16-17). Con il termine “salmi”29 ci si riferisce con molta probabilità al Salterio, con il termine di “inni” alle composizioni di carattere liturgico (cf Fil 2,6-11; Ef 1,1ss; 1Tim 3,16; 1 Pt 2,22ss) e, infine, con il termine “cantici” si fa riferimento ai canti cultuali della comunità «non eseguiti da singoli ma dall’intera ekklesia30 radunata per il culto». Il canto, inoltre, è uno strumento efficace di evangelizzazione e di liberazione (cf Atti 16,15; Col 3,1631). Continua prossimo numero...

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AREA CARISMATICA

Note Gianfranco Ravasi, Il canto della rana. Musica e teologia nella Bibbia, Edizione Piemme 2003 pag. 96. Il popolo d’Israele si preparava alla battaglia emettendo un vero e proprio grido ritmato: Teru ah. Questo grido acquisterà all’interno del Salterio. 26 Ibidem pag. 110. 27 “Il coro – afferma mons. G. Ravasi – del tempio di Gerusalemme secondo 1 Cr 25,9-31 sarebbe articolato in 24 classi, ciascuna di 12 elementi così da raggiungere una corale di ben 288 cantori” ibidem pag.112. 28 La radice nb usata nella bibbia per specificare l’esecuzione musicale e canora è la stessa della radice utilizzata per parlare della funzione profetica. 29 Il termine Salmo è la traduzione dall’ebraico mizmor, tradotto nella versione greca dei settanta della bibbia con “psalmòs”, non traduce il concetto di preghiera recita bensì cantata mediante l’accompagnamento di strumenti a corde. 30 Ekklesia = chiesa. 31 È importante notare che l’apostolo Paolo quando dice “ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore” (Col 3,16) utilizza un termine che la CEI traduce “ammonitevi” ma che l’originale greco dovrebbe essere tradotto letteralmente, come osserva mons. Gianfranco Ravasi, nel seguente modo: “fate catechesi”. 24

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AREA CARISMATICA

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2. L’IMPORTANZA DEL CANTO NELLA PREGHIERA DELLA COMUNITÀ CRISTIANA di Leonardo Villani (Autore e compositore di canti editi dal RnS, già membro della corale nazionale, regionale Puglia ed Emilia Romagna e comitato regionale RnS Emilia Romagna) Spesso sentiamo dire che la musica ed il canto sono importanti nelle nostre riunioni di preghiera; che il ministero della musica e del canto è fondamentale per la buona riuscita della preghiera comunitaria carismatica; che senza il canto la preghiera è privata di una delle sue componenti più caratteristiche. Insomma, cosa sarebbero le nostre riunioni di preghiera senza musica e senza canti? Per comprendere un pò di più il valore della musica e del canto nella nostra esperienza di fede dobbiamo partire da una considerazione fondamentale. San Giovanni ci dice che Dio è amore. Quindi, la principale caratteristica ed attività di Dio è quella di amare. Dio è perdutamente (per usare un termine a noi vicino) innamorato di suo Figlio. L’amore tra il Padre e il Figlio, ci dicono i Padri della Chiesa, è lo Spirito Santo. Questo amore è espansivo, è creativo, è gioiosa apertura, è condivisione. Dio, per sua natura, non ha trattenuto per sé questo amore, ma ha fatto esplodere la sua gioia di amare creando tutto ciò che esiste. In particolare, quando ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. La Scrittura, infatti, dice: “Dio vide che era cosa molto buona.” Ora, se Dio, che è amore, crea l’uomo a sua immagine e somiglianza, lo crea capace di amore, di apertura, di condivisione. Cosa c’entra tutto questo con la musica ed il canto?. Musica e canto sono espressioni con cui l’uomo manifesta i propri sentimenti. La nostra esperienza umana parla di musica e di canto nati da sentimenti profondi: amore, gioia, gelosia, dolore, ecc. Tutto ciò che è sentimento l’uomo lo ha tradotto in musica; basti pensare a quante canzoni d’amore sono state composte fin dagli albori della vita. Quindi un legame c’è: l’uomo traduce i suoi sentimenti in canto perché Dio canta. Canta il suo amore per le sue creature. Se noi potessimo ascoltare questo canto! A San Francesco venne concesso di ascoltare per pochi attimi un pò delle melodie celesti; subito dopo esclamò: “È tanto il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto!” Quindi, fratelli, fatta questa premessa facciamo un passo in avanti e scopriamo insieme alcuni valori carismatici del canto e della musica nella vita della Chiesa e, più in particolare, nella nostra esperienza carismatica. Per questo ci facciamo aiutare dai padri della Chiesa, perché ciò che viviamo noi nel nostro tempo non è molto diverso da quel che viveva la Chiesa dei primi secoli. Vediamo come S. Agostino, S. Ambrogio, S. Gregorio Magno, ecc. si sono pronunciati sulla musica ed il canto sacro.

Il canto come liberazione Il canto dei salmi mette in fuga lo spirito maligno (Davide suonava al capezzale di Saul e lo spirito maligno si allontanava da lui) I credenti che cantano e fanno quello che dicono sono liberati dall’invecchiamento (il canto tradotto in vita aiuta a far morire l’uomo vecchio).Il canto distrugge i mali della memoria del passato (il canto aiuta a liberare dalla tristezza). Cantare lodando Dio è munirsi di difesa contro il tentatore (stimolo alla vigilanza e alla temperanza).

Il canto come fonte di conversione

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I canti dei credenti possono generare conversione e salvezza in chi ascolta (l’esperienza di Paolo e Sila in prigione). Il canto di un salmo giova a tutti, anche ai cuori di pietra (la dolcezza del canto intenerisce i cuori più duri). Una voce che parla di Dio mediante il canto stimola a conversione chi l’ascolta (la conversione di Sant’Agostino: prendi e leggi).


LE MODULAZIONI APPROPRIATE SUSCITANO E ACCRESCONO

Il Fervore Il canto libera dalla pigrizia spirituale e guida i tempi dell’assemblea (cantare quanto più è possibile, anche durante i tempi di attesa). Coloro che cercano solo il diletto melodico privano di efficacia le parole del canto (la melodia è sì importante, ma sia a servizio del testo – invito ai musicisti e agli ascoltatori) Il canto ci fa godere meglio le meraviglie del Signore (lodare Dio per quello che lui è e per quello che lui fa per noi ci aiuta ad apprezzare tutto il creato) Quando canta a Dio la bontà della nostra vita, tutta l’assemblea diventa un canto (il popolo che vive secondo i comandamenti di Dio diventa esso stesso canto) Lodare cantando significa amare il Signore per cui si canta (chi ama canta il proprio amato)

Il canto come intercessione Il canto ispirato ai salmi toglie l’arma di mano a diavolo (cantare con consapevolezza riporta la vittoria sull’avversario) Gli inni e i cantici sono voci della Chiesa che riempiono il cuore di una grande voglia di purificazione (il canto è stimolo ad avvicinarsi a Dio e a rinnegare il male) Quando stai bene canta la misericordia, quando stai male canta la fedeltà divina (di giorno l misericordia, di notte la fedeltà) Lo Spirito interviene con particolare compiacenza quando alla lingua si unisce l’ascolto dell’anima (con intelligenza, cioè unendo alla lingua l’ascolto dell’anima)

Il canto come espressione della nostra fede Ogni canto dell’assemblea deve proclamare una lode sempre nuova e inedita (lo Spirito fa nuove tutte le cose; non che si debba fare a meno del repertorio) Un salmo proclamato nel canto agevola l’accoglienza della profezia (la profezia cantata viene meglio accolta dall’assemblea) Il canto ispirato dall’alto crea una sinfonia spirituale fra il corpo e l’anima dei fedeli che vi partecipano (uno dei frutti del canto corale in lingue) La lode unita al canto spesso coinvolge i moti del nostro corpo (il corpo non è passivo, ma partecipa alla preghiera – la gestualità) Il canto di lode crea comunione tra i membri dell’assemblea e il Dio che si acclama (piena comunione tra Capo e corpo – familiari di Dio) Il canto che eleva a Dio attira sulla nostra vita il gradimento del Signore (la lode attira la benedizione di Dio sul suo popolo) Il canto è una lode dei credenti che senza interruzione dispongono del corpo come di una cetra (l’anima è l’artista, mentre il corpo è lo strumento) Il canto è vero segno di gioia quando spinge ad operare il bene (come Dio che ama chi dona con gioia) E potremo continuare così per molto ancora, ma non voglio tediarvi o riempirvi di nozioni. Adesso sta a noi entrare in queste realtà e prenderne coscienza in misura maggiore. Perché, chi canta bene prega due volte.

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AREA CARISMATICA

Conclusione Quale grazia è più ricca di quella che si contiene nel canto di un salmo? Per questo Davide disse queste belle parole: “Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio; dolce è lodarlo come a lui conviene”. È veramente così. Il salmo (canto) infatti è benedizione dei fedeli, lode di Dio, elogio del popolo, plauso di tutti, parola adatta ad ogni uditore, voce della Chiesa, professione canora di fede, devozione sublime, letizia di liberazione, grido di allegrezza, profluvio di letizia. Il canto mitiga l’iracondia, placa le ansie, dà sollievo alle afflizioni. Il canto è un’arma che ci protegge nella notte, è una fonte di insegnamenti lungo il giorno, ci fa da scudo nel timore; riempie di festa il cammino della santità; manifesta il volto della nostra serenità. È un pegno di pace e di concordia; pace e concordia che, come in una cetra, si manifestano mediante un’unica melodia composta da molte voci diverse ed ineguali. Nel canto la dottrina gareggia con la bellezza; mentre si prova diletto cantando, si acquista conoscenza di dottrina per ammaestramento. Il canto ispirato spinge chi esegue e chi ascolta alla virtù. Se suonato con il plettro dello Spirito fa scendere sulla terra la dolcezza della musica del cielo. (Sant’Ambrogio).

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AREA LITURGICO - MUSICALE

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1. IL POTERE DI COMUNICARE di Marco Frisina (Autore di numerosi canti liturgici conosciuti ed apprezzati in Italia e all’estero. Maestro Direttore della Cappella Musicale della Basilica di S. Giovanni in Laterano. Direttore dell’Ufficio Liturgico presso il Vicariato di Roma e Rettore della Basilica di S. Maria in Montesanto, dove si svolge ogni domenica la Messa degli Artisti. Ha composto l’opera teatrale “La Divina Commedia”, prima trasposizione musicale dell’omonimo capolavoro dantesco.)

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La musica ha un significato fondamentale nella storia della civiltà e nella cultura religiosa di ogni popolo. L’arte è capace di riassumere messaggi e significati importantissimi di una civiltà dando voce all’umanità che la produce in modo talmente profondo e alto da far sì che a volte le opere artistiche prodotte in un tempo e in un luogo preciso divengano patrimonio universale dell’umanità di ogni luogo e tempo. L’arte è capace di conoscere e far conoscere le profondità del cuore dell’uomo a ogni uomo e in ogni tempo: è grande il potere dell’arte e in modo speciale della musica che, a differenza delle altre arti, è la più effimera eppure la più profondamente radicata nella vita degli uomini, la più “eterea” eppure la più fisica delle arti. La musica è fatta di vibrazioni fisiche a cui l’uomo accoppia misteriosamente sensazioni, ricordi, messaggi che derivano spesso dal suo inconscio più profondo o dalle sue esperienze dimenticate. Il “mistero” della musica sta nel fatto che di tutte le arti essa è la meno controllabile, la più istintiva pur avendo una struttura matematica e fisica fortissima. Si direbbe che il mondo delle sensazioni, dei sentimenti, dei ricordi, si unisce al mondo delle armonie, delle strutture, delle simmetrie, delle forme. Il piacere estetico della musica risulta infatti dall’incontro perfetto e armonico di queste due realtà, quella sensibile e quella intelligibile, quella fatta di timbri e sonorità e quella fatta di ritmo, struttura, forma. La musica entra così a far parte di quell’insieme di realtà simboliche a allusive che, articolate tra loro, portano ad un linguaggio capace di comunicare e far comunicare. Come ogni linguaggio viene espresso attraverso una lingua che, per essere comunicativa, deve essere compresa dall’ascoltatore e può venire apprezzata più o meno a secondo della capacità e dall’educazione al linguaggio dell’ascoltatore. Se il linguaggio, ovvero sia la struttura e la coerenza interna della musica, e la lingua, ovvero tutto l’insieme di simbologie e allusioni comprensibili, sono armonicamente congiunti abbiamo la comunicazione musicale e di conseguenza la possibilità che la musica divenga tramite di valori e di pensiero, di poesia e di filosofia, a volte addirittura di politica o di informazione. Il potere della musica non è mai stato ignorato nelle diverse civiltà e il suo uso è stato sempre tenuto in massima considerazione per la capacità che possiede di penetrare nell’intimità umana senza problemi di troppe mediazioni culturali o linguistiche. La musica riassume in sé moltissime cose e le porta con sé esprimendole in modo convincente al cuore di altri uomini, in modo diretto, senza bisogno di traduzioni e commenti. La musica si è così espressa attraverso la vocalità e gli strumenti musicali. La voce umana è il mezzo principale e immediato della musica, è lo strumento per eccellenza in quanto è simbolo della comunicazione stessa in cui un uomo canta di sé a un altro uomo. È la prima musica che appare in tutte le culture fin dal loro sorgere, Attraverso il canto l’uomo parla in modo speciale, distingue, attraverso questo mezzo espressivo la comunicazione banale dalla poesia. Il canto è spesso riservato alle cose alte, alla preghiera e al rito, alla festa e alla gioia, all’amore che ha nel canto e nel lirismo la sua più normale espressione. Non bisogna però dimenticare tutto l’uso sociale del canto, dalle acclamazioni dello stadio ai cori politici fino ai canti di guerra e agli inni nazionali. Ma nell’ambito rituale certamente il canto corale occupa un posto particolare, l’unione delle voci diverse ma fuse in un unico evento musicale sono un simbolo chiaro dell’unione del gruppo e del popolo davanti all’evento celebrato. Mentre il canto solistico, individuale, suppone un’autorevolezza, un ruolo specifico, diremmo noi oggi un “ministero” che la comunità accetta e a cui attribuisce un compito specifico.


2. DIECI PAROLE PER LA MUSICA LITURGICA: “ECCLESIALE” di Aurelio Porfiri (Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. È professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. È socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL).Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese.)

Molti si domandano, e a ragione, quali caratteristiche dovrebbe avere la musica liturgica. Il Magistero della Chiesa ha fatto sentire la sua voce e ha indicato alcune qualità che la musica liturgica deve possedere. Non si può dimenticare la voce possente del Motu Proprio “Tra le sollecitudini” di san Pio X del 1903. I documenti magisteriali successivi ribadiranno quelle qualità apportando alcune chiose suggerite dal mutare dei tempi. Personalmente mi sono anche chiesto quali sono per me le caratteristiche che la musica liturgica deve possedere per essere chiamata “liturgica”. Quelle che seguiranno sono le mie personali risposte, ispirate nel profondo dal Magistero della Chiesa e che anche guardano, come la Scrittura ci insegna, ai “segni dei tempi”. Le chiamerò le dieci “E” della musica liturgica, una sorta di decalogo liturgico-musicale per i nostri tempi. Come detto, la mia riflessione è fortemente basata sugli insegnamenti della Chiesa in materia di musica per la liturgia, ma ci saranno inflessioni personali che sviluppano alcuni punti, forse anche in maniera imprevista. Perché la lettera E? Sembra che nell’antichità semitica il segno che indicava questa lettera designasse un uomo nell’atto della preghiera (forse ripreso dalla civiltà egiziana). Non sono stato ancora in grado di verificare la correttezza di questa informazione ma in ogni caso l’immagine mi sembra bella e quindi la uso per questo scritto. Dunque, la musica liturgica. Essa deve essere: Ecclesiale, Eccellente, Eccedente, Estatica, Estetica, Espressiva, Edificante, Elegante, Educante, Espandente. Ecclesiale. Certo sembrerà scontato che si dica che la musica liturgica deve essere e sentire con la voce della Chiesa ma in realtà questo è uno dei punti nodali per capire il giusto ruolo della musica nella liturgia. Noi non creiamo la liturgia, essa c’è donata dal Signore e la Chiesa ne garantisce la celebrazione. Essendo la musica “parte integrante” della liturgia, ne partecipa di questa natura ecclesiale. Il musicista liturgico deve “sentire cum Ecclesia”, come diceva Sant’Ignazio di Loyola. Questo sentire ecclesiale non significa appiattimento della propria personalità, ma significa immergere il ruscello in un mare più grande per approdi più temerari. Il musicista deve sapere cosa la Chiesa vuole da lui ma nel contempo non vergognarsi di far sapere cosa lui vorrebbe dalla Chiesa, come il ministero della musica liturgica possa essere sempre più efficiente ed efficace. Stare sempre con la Chiesa vuol dire seguirne le direttive ma anche contribuire all’approfondimento delle questioni. Darsi da fare ma anche creare pensieri nuovi che nascono dalla Tradizione. Rinnovamento nella Tradizione (notare la T maiuscola), si direbbe con terminologia ecclesiale. Nei giorni in cui scrivo questo articolo, il Papa si trova in viaggio verso la Spagna dove consacrerà la Cattedrale della “Sagrada Familia”, monumentale opera d’arte dell’architetto Gaudì. Ai giornalisti sull’aereo, sollecitato da una domanda sul senso di questa consacrazione, il Papa rispondeva così:

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“Gaudì ha avuto questo coraggio di inserirsi nella grande tradizione delle cattedrali, di osare nel suo secolo, con una visione totalmente nuova, di nuovo questa realtà: cattedrale, luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo in una grande solennità, e questo coraggio di stare nella tradizione ma di una creatività nuova che rinnova la tradizione e dimostra così l’unità e il progresso della storia, é una cosa bella”. Queste parole sono molto belle ed interessanti. Io credo che Benedetto XVI con pochi pensieri abbia veramente centrato il cuore del problema e questo può essere anche applicato alla musica

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liturgica. Essa è ecclesiale quando sta nella Tradizione ma creando nuovamente, essa dimostra che la storia è una in quanto progredisce o progredisce proprio perché è una. Non è il progresso cieco, il cammino ineluttabile dello Spirito nella storia per cui quello che c’è oggi è meglio di quello che c’era ieri. Ecco la visione ecclesiale, confortata dalle parole improvvisate ma ovviamente meditate a lungo del Papa. La storia è il luogo in cui la Salvezza è stata annunciata ma la Salvezza è al di fuori della storia. Dio si è fatto storia per mostrarci come dalla storia possiamo tornare a Dio. In questo senso, ecco perché non si può ridurre la musica liturgica allo storico, al quotidiano, al contingente. Essa, pur nella natura limitata delle cose umane, deve farsi segno dell’altrove, segno dell’incontro sulla soglia tra tempo ed eternità, segno di passaggio dal “qui” al “non ancora”. Riprendendo un famoso verso di Clemente Rebora, la musica liturgica è “imminenza d’attesa”. Con questo non si vuole farne qualcosa di immateriale. È ovvio che ci si serve degli strumenti comunicativi che la grammatica musicale offre, ma essi vanno usati non per affossarci nella storia e nel quotidiano, ma per questo viaggio oltre la soglia che al momento ci lascia solo intravedere.

3. IL CANTO GREGORIANO La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale (SC 116).

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Poco si sa della salmodia, priva di accompagnamento, impiegata nelle cerimonie della Chiesa delle origini: probabilmente derivava dalla musica rituale delle sinagoghe ebraiche e da motivi profani coevi. Le melodie usate a Roma vennero raccolte e assegnate a specifici momenti delle cerimonie ecclesiastiche tra il V e il VII secolo. Agli inizi del VI secolo, esistevano in Occidente diverse aree liturgiche europee, ognuna con un proprio rito consolidato (tra i principali, ricordiamo il rito vetero-romano, il rito ambrosiano a Milano, il rito visigotico-mozarabico in Spagna, il rito celtico nelle isole britanniche, il rito gallicano in Francia, il rito Aquileiese nell’Italia orientale, il rito Beneventano nell’Italia meridionale). La tradizione vuole che alla fine di questo secolo, sotto il papato di Gregorio Magno (590-604) si sia avuta la spinta decisiva all’unificazione dei riti e della musica ad essi soggiacente. Il canto salmodico romano prese il nome di canto gregoriano da papa Gregorio I, e finì per imporsi su tutti gli altri. I segni musicali, detti neumi, usati nei manoscritti che ci sono pervenuti, rappresentano le prime forme della musica moderna Il canto gregoriano è propriamente il canto cristiano in lingua latina che fu adottato dalla Chiesa d’Occidente, ma con tale termine ci si riferisce alla musica creata nel periodo che va dai primi anni di diffusione del Cristianesimo sino all’anno 1000 circa. Ad esso si contrapponeva il canto bizantino della Chiesa d’Oriente. Origini del nome Il nome deriva dal Benedettino Gregorio Magno che si impegnò ad accrescere il prestigio della Chiesa nei confronti dei Longobardi. “Secondo la tradizione, egli raccolse ed ordinò i canti sacri in un volume detto Antifonario, la cui copia originale andò persa durante le invasioni barbariche. Sempre secondo la versione tradizionale, egli dettò il codice ad un monaco, mentre era nascosto dietro un velo: il monaco, accorgendosi che Gregorio faceva lunghe pause nel corso della dettatura, sollevò il velo e vide una colomba (lo spirito santo) che sussurrava all’orecchio del papa. Il codice Gregoriano sarebbe quindi di derivazione divina.” Più di recente, si è venuto a dubitare non solo dell’origine miracolosa dell’Antifonario, ma della stessa derivazione da Gregorio. Infatti non si hanno altre testimonianze scritte dell’interesse di Gregorio per quello che riguarda l’impianto dell’uso della musica nel rito della messa, tranne una lettera generica in cui si parla del rito britannico. Un’ipotesi più accreditata è che l’Antifonario (e la storia della sua origine) siano entrambi di origine carolingia (quindi quasi due secoli dopo la morte


di Gregorio) esistono infatti documenti che attestano i tentativi degli imperatori carolingi di unificarere i riti franco e romano. Attribuire la riforma ad un miracolo che coinvolgeva un papa di grande fama come Gregorio sarebbe quindi stato un espediente per garantirne l’accettazione universale e incondizionata L’attribuzione a Gregorio Magno sarebbe stata introdotta per superare le resistenze al cambiamento dei diversi ambienti ecclesiastici, costretti a rinunciare alle proprie tradizioni. Il prodotto dell’unificazione di due dei riti principali, quello vetero-romano e quello gallicano fu codificato nel cosiddetto antifonario gregoriano, che conteneva tutti i canti ammessi nella liturgia unificata. Questa unificazione classificò i brani di musica sacra in uso secondo un sistema di modi, ispirati – almeno nei nomi – ai modi della tradizione greca (dorico, ipodorico, frigio, ipofrigio, lidio, ipolidio, misolidio, ipomisolidio). Il canto Gregoriano è un canto “vocale”, cioè non accompagnato da strumenti. Può essere “monodico”, cioè eseguito da un solista o corale oppure può essere eseguito a dialogo tra un solista e il coro. Può accadere, anche, che il coro sia diviso in due parti, come in quello ambrosiano, nel qual caso si dice canto “antifonale”. L’elemento più caratteristico del canto gregoriano è l’assenza del ritmo e l’andamento lento. Ciò era dovuto alla convinzione che il ritmo fosse un elemento strettamente terreno e perciò non adatto ad un canto di elevazione a Dio. La riforma gregoriana sostituì lo studio dei testi alla trasmissione orale delle scuole di canto delle origini, sacrificando, oltre alle particolarità regionali (alcune delle quali, specialmente quelle di derivazione mozarabica, particolarmente ricche) e all’intonazione microtonale (che esisteva ancora nel rito vetero-romano) anche il ruolo dell’improvvisazione. Allo stesso tempo si creò la necessità di “annotare” i testi scritti in modo da aiutare i cantori ad eseguire le musiche sempre nello stesso modo, con una linea melodica che indicava la sua direzione, ascensionale o discensionale. Quest’esigenza fece nascere segni particolari (i neumi, pare nati dai gesti del direttore del coro) che, annotati tra le righe dei codici, rappresentavano l’andamento della melodia, come già detto, (ma lasciando liberi intonazione e ritmo). Il problema dell’indicazione dell’altezza era stato risolto con l’adozione di uno schema grafico di quattro, cinque o più righe, in cui ogni riga o spazio rappresentava una specifica altezza, come nella notazione odierna. La scrittura neumatica divenne così la prima “notazione”, da cui poi la parola “nota”, musicale moderna. Il repertorio del canto gregoriano è molto vasto e viene differenziato per epoca di composizione, regione di provenienza, forma e stile. Esso è costituito dai canti dell’Ufficio (la cosiddetta “Liturgia delle Ore” recitata quotidianamente dal clero) e dai canti della Messa.

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– Nei canti dell’Ufficio si riscontrano le seguenti forme liturgico-musicali: le Antifone, i Responsori (che possono essere brevi o prolissi) e gli Inni. – Nei canti della Messa vi sono forme legate alle parti dell’Ordinario o Ordinarium Missæ e del Proprio o Proprium Missæ . Sia nei canti dell’ Ufficio come in quelli della Messa si riscontrano tutti i generi-stili compositivi del repertorio gregoriano; essi si possono classificare in tre grandi famiglie: – I canti di genere sillabico quando ad ogni sillaba del testo corrisponde solitamente una sola nota – I canti di genere semiornato quando ad ogni singola sillaba del testo corrispondono piccoli gruppi di note. – I canti di genere ornato quando ogni sillaba del testo è fiorita da molte note. Il repertorio gregoriano è comunemente trascritto su di un rigo detto tetragramma il quale consta di quattro linee orizzontali con tre spazi all’ interno; si leggono dal basso verso l’alto. Alcune volte si può aggiungere una linea supplementare ma, spesso per melodie che oltrepassano l’estensione del rigo si preferisce utilizzare il cambio di chiave.

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Le Chiavi Nei manoscritti antichi per riconoscere precisamente l’altezza dei suoni furono utilizzate le lettere alfabetiche. Due di queste C e F che corrispondono rispettivamente al Do e al Fa diventarono le lettere chiave utilizzate nella trascrizione del repertorio. Nelle moderne edizioni la chiave di Do può essere posta sulla quarta, sulla terza e sulla seconda linea mentre la chiave di Fa si trova generalmente sulla seconda e sulla terza linea, raramente sulla quarta, mai sulla prima.

Alterazioni Il gregoriano conosce solo l’alterazione del bemolle, il quale effetto viene eliminato con l’utilizzo del bequadro. Il bemolle viene impiegato solamente per l’alterazione della nota Si: il termine deriva dalla notazione musicale alfabetica nella quale la lettera b, corrispondente alla nota Si, quando disegnata con il dorso arrotondato (b molle) indicava il Si bemolle mentre con il dorso spigoloso (b quadro) indicava il Si naturale (cfr anche la teoria degli esacordi). Il bemolle usato nella notazione vaticana (la notazione quadrata ancora in uso nelle stampe ufficiali), presenta in realtà il contorno spigoloso, in ossequio alla forma quadrata di tutti gli altri segni utilizzati. Il bemolle ha valore fino alla fine della parola alla quale è associato e, a differenza della notazione attuale, veniva posto non necessariamente prima della nota interessata ma anche all’inizio della parola o del gruppo di neumi che contenevano la nota da abbassare

4. IL PAPA E LA MUSICA SACRA Papa Benedetto XVI e “l’arte musicale al servizio del culto divino” Parlando di quanto Benedetto XVI ha detto nel corso del suo pontificato intorno alla musica sacra, non si può non ricordare come, ventidue anni dopo la visita di Giovanni Paolo II, sia stato proprio Benedetto XVI a visitare il Pontificio Istituto di Musica Sacra. Era il 13 ottobre del 2007. Benedetto XVI ha inaugurato le aree profondamente ristrutturate dell’Istituto, tornando a ribadire l’importanza del canto e della musica in ambito liturgico, il cui «antico tesoro» – ha detto – deve poter raggiungere una sintesi con la migliore evoluzione della melodia sacra moderna. Ha tre caratteristiche la musica «che canta con gli angeli», la melodia sacra deputata all’accompagnamento liturgico: la «santità», l’«arte vera», l’«universalità». Benedetto XVI ha ripetuto le tre qualità definite nel suo chirografo di quattro anni da Giovanni Paolo II, ultimo Pontefice a visitare il Pontificio Istituto di Musica Sacra nel 1985. Ed ha aggiunto un auspicio: che la grande «eredità del passato» possa aprirsi alle «novità valevoli del presente», in un settore – quello della musica e del canto liturgico – che negli ultimi cento anni in particolare i Papi hanno preso a curare con grande attenzione.

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Fu infatti Pio X – ha ricordato il Papa nel suo discorso ai docenti e agli studenti dell’Istituto – a creare nel 1911 la “Scuola superiore di musica sacra”, che successivamente Benedetto XV prima e Pio XI poi modificarono fino a raggiungere, sotto lo stesso Papa Ratti, l’attuale assetto di Pontificio Istituto. Il santo padre ha ribadito quale sia la «missione» di una simile istituzione all’interno della Chiesa universale, già delineata dai documenti del Vaticano II: «Muovendosi nella linea di una secolare tradizione, il Concilio afferma che essa “costituisce


un tesoro di inestimabile valore che eccelle tra le altre espressioni dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne”». «Ben consapevole di ciò – ha proseguito il Papa – Giovanni Paolo II osservava che, oggi come sempre, tre caratteristiche distinguono la musica sacra liturgica»: «La ‘santità’, l’‘arte vera’, l’‘universalità’, la possibilità cioè di essere proposta a qualsiasi popolo o tipo di assemblea. Proprio in vista di ciò, l’Autorità ecclesiastica deve impegnarsi ad orientare sapientemente lo sviluppo di un così esigente genere di musica, non ‘congelandone’ il tesoro, ma cercando di inserire nell’eredità del passato le novità valevoli del presente, per giungere ad una sintesi degna dell’alta missione ad essa riservata nel servizio divino». «Sono certo – ha concluso Benedetto XVI – che il Pontificio Istituto di Musica Sacra, in armonica sintonia con la Congregazione per il Culto Divino, non mancherà di offrire il suo contributo per un “aggiornamento” adatto ai nostri tempi delle preziose tradizioni di cui è ricca la musica sacra». Ma Benedetto XVI aveva detto parole importanti intorno alla musica sacra anche il 1 dicembre del 2005, nel Messaggio per la Giornata di studio e musica sacra, che si era svolta in Vaticano, su iniziativa della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: i vescovi incoraggino lo studio del rapporto tra musica e liturgia, vigilando sulle modalità di applicazione della melodia sacra e in particolare sulle sue innovazioni. È la raccomandazione espressa in quell’occasione da Benedetto XVI. Appassionato cultore, com’è noto, di musica classica e di canto gregoriano, Benedetto XVI nel suo Messaggio al Simposio si è rifatto al Chirografo che Giovanni Paolo II scrisse nel 2003, in occasione dei cento anni trascorsi dal Motu proprio di San Pio X, intitolato “Tra le sollecitudini”, con il quale si affrontava la necessità di rinnovare la musica sacra in relazione al culto. «Facendo mia l’istanza dell’amato predecessore – afferma Benedetto XVI – desidero incoraggiare i cultori della musica sacra a proseguire su tale cammino. È importante stimolare, come è intenzione anche del presente Simposio, la riflessione e il confronto sul rapporto tra musica e liturgia, sempre vigilando sulla prassi e sulle sperimentazioni, in costante intesa e collaborazione con le Conferenze episcopali delle varie nazioni».

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Aprendo il convegno, lo stesso cardinale Francis Arinze, presidente del dicastero organizzatore del Simposio, aveva sottolineato l’importanza data dal Magistero ecclesiale al ruolo della musica sacra nella liturgia: «La musica sacra deve essere consona alla grandezza dell’atto liturgico che celebra i misteri di Cristo; deve essere caratterizzata da un senso di preghiera, bellezza e dignità. In nessun modo deve cedere a leggerezza, superficialità o teatralità». Già il 21 ottobre sempre del 2005, al termine di un concerto di musica classica eseguito in suo onore nell’Aula Paolo VI, il Papa si era soffermato sull’importanza universale della musica. «Formulo voti – aveva detto – che l’armonia del canto e della musica, che non conosce barriere sociali e religiose, rappresenti un costante invito per i credenti e per tutte le persone di buona volontà, a ricercare insieme l’universale linguaggio dell’amore che rende gli uomini capaci di costruire un mondo di giustizia e di solidarietà, di speranza e di pace».

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1. Il fenomeno “voce”: definizione e produzione Ufficio Nazionale Litugico-Musicale CEI

Definizione Caratteristica dell’essere umano, essa si produce grazie al suono generato per azione del fiato dalla vibrazione delle corde vocali, contenute nell’organo chiamato laringe, e modulato timbricamente* nel percorso del canale vocale (“vocal tract” nel gergo dei medici foniatri), il condotto formato dalla cavità superiore della gola chiamata faringe e dalla cavità buccale. Produzione In questo affascinante meccanismo vi sono 3 componenti principali che garantiscono come effetto un suono: 1) una forza muscolare generatrice (costituita dall’azione del muscolo diaframmatico) che mette in compressione l’aria contenuta nei polmoni; 2) una forza aerea che mette in vibrazione le corde vocali, cioè il fiato; 3) un corpo vibrante, le corde vocali.

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La funzione fonatoria si basa sulla capacità delle corde vocali di addursi (ovvero di avvicinarsi alla linea mediana) con tensione e **frequenze diverse, interrompendo la corrente d’aria spinta dal sottostante mantice polmonare: si generano così onde di compressione e di rarefazione della colonna aerea e si genera ciò che si definisce suono. Questo, propagandosi nel mezzo conduttore rappresentato dall’aria situata al di sopra del piano delle corde vocali (piano sovraglottico) si arricchisce di armonici grazie alla presenza dei cosiddetti risuonatori o cavità di risonanza (tutto il cavo orofaringeo), acquistando ciò che si definisce una “originalità” timbrica.


*Questa espressione indica la modificazione in meglio che il suono subisce dopo la sua produzione a livello di corde vocali. Questa cosiddetta modulazione consiste nel rinforzo di alcuni gruppi di suoni chiamati armonici. Gli armonici sono suoni multipli del suono fondamentale e si generano contemporaneamente ad esso. Durante il passaggio del suono nelle cavità di risonanza anzidette alcuni gruppi di questi si “rafforzano”, cioè si odono di più, e conferiscono maggiore “calore” alla voce. **Frequenza di un suono:corrisponde all’altezza del suono, cioè alla sua posizione sul pentagramma. La laringe è un organo costituito da un insieme di cartilagini tenute assieme da legamenti e muscoli e sospesa al cranio tramite altrettante strutture.

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Laringe e osso ioide: 1 epiglottide, 2 grande corno dell’osso ioide, 3 osso ioide, 4 legamento tiroideo, 5 corno superiore della cartilagine tiroide, 6 membrana tiroidea, 7 cartilagine tiroide, 8 cartilagini aritenoidi, 9 corde vocali, 10 corno inferiore della cartilagine tiroide, 11 cartilagine cricoide, 12 trachea.

La laringe umana emette suoni di frequenza compresa fra 80 e 1300 hz. La sua funzione principale è fare da “valvola” per il controllo del flusso di aria in entrata e in uscita dai polmoni. Per questo la laringe è chiusa superiormente dall’epiglottide, (una piccola linguetta cartilaginea ricoperta di tessuto mucoso), che rimane sollevata durante la respirazione e si abbassa a chiudere il condotto durante la deglutizione.

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Aria e cibo transitano insieme solo per un tratto brevissimo; poi il cibo entra nell’esofago (a epiglottide chiusa) e l’aria fluisce nella laringe. Quindi non si può inghiottire cibo ed inspirare contemporaneamente; pena strozzamento!! La laringe non è una cavità sempre libera, perchè ci sono due lamine muscolari ricoperte di mucosa che durante la fonazione si avvicinano e chiudono il passaggio: le corde vocali. Perciò, quando le corde non sono a contatto (durante la respirazione), la cavità che osservo ha forma triangolare e viene chiamata cavità glottica o glottide; quando le corde sono addotte (durante la fonazione) la cavità non c’è più. Durante la fonazione ciò che vibra non è la corda vocale in toto, ma solo la sua mucosa. La frequenza di un suono indica il numero di vibrazioni al secondo della mucosa cordale. Maggiore è il numero di vibrazioni al secondo, più alta è la frequenza del suono e più acuto esso risulterà. Di conseguenza, un numero minore di vibrazioni produrrà suoni via via più gravi. Perché il suono possa prodursi è indispensabile che la laringe assuma una posizione detta prefonatoria, in cui le corde siano opportunamente addotte (cioè con il bordo libero a contatto). Una volta completata l’adduzione e la tensione, senza modificare questa condizione, l’aumento della pressione sottoglottica (causata dall’espirazione del fiato) supera la resistenza esercitata dalle corde vocali addotte; La caduta di pressione d’aria sottoglottidea fa sì che le corde vocali siano risucchiate al centro; l’occlusione si ristabilisce e il ciclo ricomincia. È così che si attua la vibrazione delle corde vocali e si produce il suono.

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Questa è la fase dell’emissione. Il tempo in cui ciò avviene è nell’ordine dei decimi di secondo. I suoni si possono suddividere in gravi, medi e acuti. Nell’emissione di suoni “gravi” la laringe è in posizione più bassa del normale, la tensione muscolare cordale è minima e il movimento vibratorio, molto ampio, interessa la mucosa cordale nella sua interezza. Man mano che aumenta la frequenza dei suoni emessi, la laringe assume una posizione più elevata, le corde si allungano tendendo progressivamente a diminuire l’ampiezza del movimento vibratorio. Le corde sono collegate posteriormente a due piccole cartilagini a forma di boomerang, chiamate aritenoidi, che facendo perno su sè stesse possono allungarle via via che i suoni diventano più acuti. Il meccanismo è uguale a quello osservato con le chiavette di una chitarra o di un violino. Per emettere suoni gravi le corde sono rese più corte e spesse grazie all’azione di un muscolo intralaringeo chiamato tiroaritenoideo o “muscolo vocale”.

La contrazione del muscolo vocale coopera dunque all’adduzione, accorcia la corda, la ispessisce e ne provoca un aumento della massa. Nel disegno seguente osservate la laringe in posizione anteriore con in primo piano una grossa cartilagine, la c. tiroide (dal greco “tireos”=scudo) che va a costituire il pomo d’Adamo.

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A questa cartilagine sono fuse internamente le corde vocali. Per poter cantare le note medie della nostra estensione (quelle cioè né troppo basse, né troppo alte), le cartilagini aritenoidi girano ulteriormente sul loro asse e tendono un pò di più le corde, che così possono emettere suoni progressivamente più acuti fino al cosiddetto passaggio di registro (zona di transizione tra il registro medio e quello acuto). Il passaggio è un “cambio di marcia” che la laringe mette in atto per poter emettere note più acute. Ma come? Grazie all’azione di un altro muscolo, detto cricotiroideo, la cartilagine tiroide, che è basculante inferiormente, si inclina in avanti e in basso stirando ulteriormente le corde. Continua prossimo numero...

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2. IMPARIAMO A SUONARE UN CANTO CON LA CHITARRA di Marcello Manco (musicista e compositore) In questa sezione di volta in volta verrà proposto un canto del libretto “Dio della mia lode” per aiutare tutti coloro che suonano la chitarra. Le frecce sono l’aiuto più immediato ed efficace. La freccia in basso (battere) rappresenta la pennata in basso, la freccia in alto rappresenta la pennata in alto (levare). Nel canto di specie, c’è anche una tablatura. I numeri sulla tablatura rappresentano i tasti della tastiera della chitarra mentre i numeri all’inizio della tablatura rappresentano invece le note.

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3.

COME LEGGERE UNA TABLATURA

La “Tab” (diminuitivo di “Tablature” = “Tablatura” = “Intavolatura”), è un grafico formato da sei linee parallele orizzontali (esagramma). La linea più alta rappresenta la prima corda della chitarra, cioè la corda più sottile, quella che, plettrata o pizzicata, dà il suono più alto, più acuto, più squillante (è anche detta corda del “Mi cantino”). La seconda linea più alta rappresenta la seconda corda della chitarra. La terza linea rappresenta la terza corda della chitarra. La quarta linea rappresenta la quarta corda della chitarra. La quinta linea rappresenta la quinta corda della chitarra. La sesta linea rappresenta la sesta corda della chitarra, cioè la corda più spessa, quella che, suonata a vuoto, delle sei corde, dà il suono più basso, più grave, più cupo (è anche detta corda del “Mi basso”). TAB: 1--------------------------------------------------------------------------<-----prima corda della chitarra (la corda più sottile) 2--------------------------------------------------------------------------<-----seconda corda della chitarra 3--------------------------------------------------------------------------<-----terza corda della chitarra 4--------------------------------------------------------------------------<-----quarta corda della chitarra 5--------------------------------------------------------------------------<-----quinta corda della chitarra 6--------------------------------------------------------------------------<-----sesta corda della chitarra (la corda più spessa) Nella pratica la tablatura é rappresentata da sei linee orizzontali, che corrispondono le sei corde della chitarra (o quattro per il basso), ecco un esempio di una tablatura per chitarra che renderà tutto più chiaro:

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I tasti da suonare sono indicati con dei numeri, che come dall’immagine vengono scritti sulle linee orizzontali nell’esempio c’è un 3 sulla linea 3. Questo significa che devi suonare il tasto 3 sulla terza corda. Altra cosa importante da sapere é che la tablatura si legge da sinistra verso destra. Questo vuol dire che nell’esempio bisogna prima suonare il terzo tasto sulla terza corda e poi il quinto tasto sempre sulla terza corda. E quando si incontra uno “0”? Se il numero è “0” allora la corda va suonata a vuoto, ovvero senza premerla con le dita.

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Nell’ immagine qui sotto vediamo invece vediamo indicazioni su come eseguire le pennate ed il numero delle dita:

Il simbolo indica “V” che devi eseguire la pennata verso il basso, mentre l’altro simbolo sotto la tab ti dice che devi eseguire la pennata verso l’alto. Il numero delle dita é indicato, in questa immagine, sopra le 6 linee e precisamente quando trovi: 1. 2. 3. 4.

devi premere la corde con il dito indice, con il medio, con l’anulare con il mignolo.

La pratica standard è quella di scrivere delle lettere o dei simboli extra tra le note per indicare come suonarle. Queste sono le lettere/simboli più usati:

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· h – hammer on · p – pull off · b – bend string up· r – release bend · / – slide up · \ – slide down · v – vibrato (a volte scritto così ~) · t – tap con la mano destra · x – palm mute


1. L’USO DEGLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA di Mons. Antonio Parisi (Musicista, compositore, sacerdote della Diocesi di Bari-Bitonto. Docente al Conservatorio “N. Piccinni” di Bari, già responsabile nazionale per la Musica Liturgica presso l’Ufficio Liturgico Nazionale della CEI, direttore dell’Ufficio Musica Sacra della Diocesi di Bari-Bitonto. Membro di Universa Laus internazionale: gruppo di studio formato dai maggiori musicisti europei che affrontano varie problematiche di musica liturgica. Direttore del Corso di Perfezionamento Liturgico-Musicale della CEI)

Il problema degli strumenti presenti nella celebrazione liturgica: come scegliere, come suonarli, che funzione svolgono, cosa dicono i documenti della Chiesa e la storia passata? Sono tutte domande opportune che richiederebbero non una semplice risposta, così come sono costretto a fare. Ma, alcuni principi fondamentali vanno esposti. Sottolineiamo, anzitutto, il solito errore in cui molti animatori inciampano: si parte dalla musica, dagli strumenti, dagli attori, dagli stili musicali, dai repertori e non invece dalla celebrazione, dal rito. Conosciamo il pensiero della Chiesa al riguardo. «Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri strumenti poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22 par. 37 e 40, purché siano adatti all’uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l’edificazione dei fedeli». (Sacrosanctum Concilium, 120). Innanzitutto una preferenza per l’organo, strumento presente in tante cattedrali, basiliche e grandi parrocchie; tale strumento accompagna molto bene un insieme di persone e ben si amalgama con l’architettura di tante chiese storiche. Ma lo stesso documento, prevede l’uso di altri strumenti, senza specificarli, che si possono ammettere nel culto, quando rispondono ai seguenti criteri: adatti all’uso sacro, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l’edificazione dei fedeli. Se compariamo i vari documenti del Magistero al riguardo, vediamo una evoluzione nell’uso degli strumenti: all’inizio servivano quasi esclusivamente come sostegno al canto, primato della Parola e quindi della voce umana. Nel documento di Pio X la musica strumentale è vista come un mezzo per esprimere i sentimenti e favorire la devotio dell’assemblea. Quindi il compito degli strumenti era quasi un aiuto di tipo psicologico e di tipo estetico, un abbellire e ornare le celebrazioni, creando solennità . Finalmente nella Istruzione del 1967 «De musica in sacra liturgia», viene evidenziata la funzione ministeriale degli strumenti e le dirette conseguenze e applicazioni. Per la prima volta gli strumenti, sono trattati esclusivamente dal punto di vista della loro funzione ministeriale. Quindi non è più la qualità dello strumento o la sua letteratura a decidere qual è lo strumento adatto alla liturgia, ma chi decide è esclusivamente l’evento liturgico che è celebrato. Allora: qualunque strumento è idoneo al culto, purché risponda alle esigenze della liturgia. Ne consegue che l’inabilità di uno strumento al culto non è mai definitiva e completa: può essere già idoneo al culto o lo potrà diventare. Se, per esempio, uno strumento viene utilizzato in ambiente extraliturgico in modo da provocare nei fedeli associazioni psicologiche disturbanti o sconcertanti («fuori concerto»), vorrà dire che per ora tale strumento non è adatto all’uso liturgico per motivi psicologici o di associazioni evidenti ad ambienti profani. Appare chiaro quindi lo spostamento di accento posto dal documento: non più gli strumenti visti come splendor et decus, ma visti in funzione dell’azione sacra. Qualcuno ha pensato, e lo ha scritto, che la Riforma Liturgica, pur non vietando l’uso degli strumenti, ha di molto limitato il loro utilizzo.

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

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Sono posizioni soltanto emotive e poco motivate. Il culto cristiano, per la legge dell’incarnazione, esige una partecipazione «piena, consapevole e attiva» alla liturgia; richiede perciò un ingresso totale nel mondo dei segni. Significa ed implica un impegno umano totale e concreto; utilizza ed esige forme espressive nella parola, nel suono, nei gesti, nei movimenti. Perciò, anche la musica strumentale, se ben inserita e rispettosa del rito, svolge un compito ministeriale degno e altamente simbolico; diventa parte viva e integrante dell’azione liturgica. Infine qualche parola sui compiti liturgici degli strumenti: A) A servizio della Parola È fondamentale questo servizio svolto dagli strumenti: accompagnare e sostenere il canto e la declamazione. Facilitando e aiutando il canto, la musica strumentale facilita anche la partecipazione spirituale dell’assemblea.

B) A servizio del rito La musica strumentale può aiutare a capire e a entrare nel regno dei segni liturgici, facendo comprendere il significato autentico. Ogni rito ha una sua impronta specifica una sua funzione particolare; la musica strumentale può rendere più manifesta tale funzione. È proprio questo il servizio che la musica strumentale rende al rito: dimenticare se stessa, umiliarsi fino a scomparire nel rito.

Si comprende bene allora che non basta porsi la domanda: si può o non si può, è lecito o è proibito. Ma la preparazione e la sensibilità liturgica del musicista insieme a tutto il gruppo liturgico, approfondirà tutte le motivazioni per ammettere o escludere uno strumento dalla celebrazione. Quindi caro lettore, non bisogna avere paura di scegliere con competenza qualsiasi strumento, purché esso si inserisca degnamente nel rito, aiuti la preghiera di quell’assemblea particolare, conduca quasi per mano il fedele ad entrare nel mistero che si sta vivendo. La Chiesa non ha detto no agli strumenti, ma li ha inseriti nel vivo della celebrazione: perciò, meno concerto e più preghiera, anche con gli strumenti.

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1. LA MUSICA NELLA BIBBIA di Suor M. Cecilia Pia Manelli, FI - musicista La prima fonte diretta che testimonia la pratica di una musica religiosa vera e propria e di un’attività musicale presente nella vita quotidiana, è certamente la Bibbia. Il popolo ebreo, conservatore per eccellenza, fu uno dei pochi popoli che riuscì a resistere, attraverso i secoli, alle persecuzioni più atroci, mantenendo viva la sua fede e i suoi riti, e, in parte, le antiche melodie sacre. Ma, oltre quel che leggiamo nella Bibbia, non possediamo né testi musicali né opere teoriche dell’antica musica ebraica. Verso il V secolo, allo scopo di conservare le primitive cantilene che si ripetevano per tradizione, si cominciarono ad usare alcuni particolari segni musicali chiamati tangamin, che avevano la funzione anche di accenti grammaticali, oltre che di raggruppamento della frase musicale. Tutt’ora si trovano i tangamin nelle Bibbie ebraiche, di varie forme e significato. Si possono trovare sopra, sotto o accanto alle lettere e hanno la forma di occhietti, di serpentelli, di lineette o di punti. Non sono considerati note, ma gruppetti di note: un solo tangam può rappresentare una piccola frase. Per interpretarli ed intonarli con varie modulazioni (tenendo presente che ciascun libro della Bibbia ha una sua diversa interpretazione e intonazione) esisteva, e ancora oggi esiste, una categoria di cantori o hazanim esperti. Da quel che risulta dall’Antico Testamento, gli ebrei tennero nella massima considerazione l’arte musicale che, insieme alla danza, aveva un’importanza notevole nell’esercizio del loro culto. Era infatti considerata una delle prime arti della civiltà. Molto probabilmente la conoscenza e la pratica della musica gli ebrei la ricevettero dagli egiziani, secondo alcune somiglianze esistenti tra gli strumenti musicali dei due popoli. Le esecuzioni musicali accompagnavano non solo i riti religiosi ma tutte le manifestazioni della vita quotidiana: feste, conviti, svaghi, riposo, lavoro, guerre... La maggior parte della musica ebraica era accompagnata dal suono di strumenti musicali. La prima citazione biblica riguardante la musica ed in particolare gli strumenti musicali è in Gen 4,21: «[...] Jubal […] fu padre di tutti quelli chesuonano la cetra e il flauto». Dai testi biblici risulta che presso gli ebrei esistevano tre categorie di strumenti musicali: a corda, a fiato e a percussione. I primi erano gli strumenti riservati ai Leviti, addetti al servizio musicale del tempio, e facevano parte della famiglia delle arpe. Erano costruiti con il legno di sandalo: «Il re adoperò il legno di sandalo per cetre e arpe per i cantori» (1Re 10,12; 2Cr 9,11): il nebhel, o grandearpa; l’asor, letteralmente “dieci”, composto da dieci corde; il kinnor, una lira di minore grandezza e con poche corde, fatte di budello di pecora. Sophar, poi, era il nome del più importante degli strumenti a fiato, fatto con corna di capra o di montone, utilizzato per convocare il popolo alla guerra, nelle feste religiose e tuttora nelle sinagoghe e, soprattutto, per indicare il giubileo (era detto per questo anche iobhel: cf Lv 25,9). Il corno era proprio della casta sacerdotale. Per la musica popolare non liturgica venivano usati i flauti e gli oboi. Tra gli strumenti a percussione si menziona il toph o tamburo, suonato per lo più dalle donne; i selselim o cimbali; i mesiltaim o cembali doppi; imena’an’im o sistri, molto simili a quelli egizi.

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA BIBBIA

Dobbiamo tuttavia dire che la forma più importante della musica ebraica era il canto e che la musica strumentale aveva solo lo scopo disottolineare il pensiero o di far meglio comprendere la parola cantata. Possiamo infatti notare come l’uso di strumenti musicali è segnalato maggiormente negli antichi testi dell’Antico Testamento e pochissimo del Nuovo (Lc 15,25). Continua prossimo numero...

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ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALI

Sulle note dello spirito

1. CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI SETTEMBRE Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico. La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

4 SETTEMBRE - XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ingresso 02 Canto al Vangelo 18 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 333

kyrie M Gialloreti Offertorio 196 Dossologia Agnello di Dio 6 Conclusione 40/41

Gloria 26 Santo 234 Padre Nostro 203 Comunione 371

11 SETTEMBRE - XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ingresso 27 Canto al Vangelo 15 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 219

Kyrie 347 Offertorio 280/342 Dossologia Agnello di Dio 7 Conclusione 131/345

Gloria 27 Santo 233 Padre Nostro 203 Comunione 298

18 SETTEMBRE - XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ingresso 141 Canto al Vangelo 23 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 137

Kyrie (Sorgente di salvezza) Offertorio 59 Dossologia Agnello di Dio (Sorgente di salvezza) Conclusione 85

Gloria 145 Santo 235 Padre Nostro (Sorgente di salvezza) Comunione 383

25 SETTEMBRE - XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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Ingresso 329 Canto al Vangelo 162 Anamnesi Embolismo Ringraziamento 368

Kyrie 352 Offertorio 03 Dossologia Agnello di Dio 7 Conclusione 294

Gloria 364 Santo ex 120 Padre Nostro 203 Comunione 143


2. AL SERVIZIO DELLA PAROLA La delicatezza del ruolo che il Lettore (salmista) è chiamato a svolgere sconsiglia l’improvvisazione dilagante nell’esercizio di tale ministero e pone l’accento sulla necessità di una formazione attenta e accurata. Il ministero del Lettore(salmista) è un servizio che si fa con impegno e che esige stabilità e continuità. Egli deve essere in condizione di esercitare con competenza, con misura e con stile tutta una serie di importanti meditazioni, per consentire alla Parola di Dio di giungere all’assembleae per far si che la Parola proclamata penetri con efficacia nel cuore dei fedeli. Il dinamismo rituale della Liturgia della Parola impegna in prima persona il Lettore (salmista) facendosi carico: a) di dare voce alla Parola scritta: colui che proclama la Parola di Dio si pone al servizio di essa e dell’assemblea. Perciò tutto acquista importanza: la qualità della lettura, il modo con cui si è preparato, il suo atteggiamento. Non si dovrebbe chiedere mai a nessuno di improvvisare un simile servizio, che esige sempre una preparazione interiore e psicologica. b) di dare soffio alla Parola scritta con la sua voce il lettore deve essere in grado di comunicare a tutti la convinzione che quanto si sta ascoltando è la Parola di Dio. non è, quindi una parola qualsiasi, che può essere ascoltata per abitudine o per conformismo. è una Parola mediatrice di salvezza, perché supera la contingenza e l’ambiguità delle parole umane. c) di dare corpo alla Parola scritta: il Lettore deve sforzarsi di far emergere il significato attualizzante di quanto egli proclama, deve far avvertire a tutti che la Parola di Dio è una realtà viva che interpella l’assemblea. La Parola di Dio non è un vago pensiero della mente, non è una realtà astratta. L’obiettivo fondamentale del ministero del Lettore sta nell’operare il passaggio dalla Parola scritta alla Parola viva. Egli offre la sua voce per l’iterazione dell’azione salvifica di Dio. Perciò è necessario che egli sia adeguatamente formato, “i lettori, siano veramente idonei e preparati con impegno” (OLM 55; IGMR 66). Il lettore deve essere un uomo di fede, deve essere preparato dal punto di vista liturgico e biblico di modo che il suo ministero risulti credibile e convincente, ma deve anche conoscere molto bene i problemi di ordine tecnico che condizionano il suo particolare ministero.

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SALMODIE

4 SETTEMBRE - XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Tratto dal Salmo 94 - Ascoltate oggi la voce del Signore.

11 SETTEMBRE - XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Tratto dal Salmo 102 - Il Signore è buono e grande nell’amore.

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18 SETTEMBRE - XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Tratto dal Salmo 144 - Il Signore è vicino a chi lo invoca.

25 SETTEMBRE - XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Tratto dal Salmo 24 - Ricordati, Signore, della tua misericordia.

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Sulle note dello spirito

Il prossimo numero sarà on line nella prima settimana del mese di ottobre 2011, e tratterà i seguenti argomenti: Area Carismatica: La musica e il Canto alla luce del PUF - RnS (continua dal numero 0) Musica e Canto un carisma profetico Area Liturgico - Musicale Il potere di comunicare Dieci parole per la musica liturgica Il canto Gregoriano Il Papa e la Liturgia Area Tecnica Il fenomeno “voce”: definizione e produzione (continua dal numero 0) Impariamo a suonare un canto. 393. Sono qui a lodarti Gli strumenti musicali nella Liturgia: Gli strumenti musicali L’organo Gli strumenti musicali nella Bibbia La musica nella Bibbia (continua dal numero 0) Animazione Domenicale Canti per il Tempo Liturgico Al Servizio della Parola: Salmodie INFORMAZIONI VARIE Carissimo, carissima, qualsiasi informazione, domanda, chiarimento, puoi contattarci direttamente scrivendo alla nostra email: sullenotedellospirito@gmail.com Puoi consultare questo numero e i successivi al seguente indirizzo: www.issuu.com/sullenotedellospirito Se non hai la possibilità di scaricare il foglio di collegamento via email e di non poterlo visionare online, provvederemo a inviarti copia cartacea, contattandoci al seguente numero di cellulare +393477669176.

In occasione del XXV Congresso Eucaristico Nazionale il Rinnovamento nello Spirito presenterà la prima messa per coro realizzata dai compositori del movimento dal titolo: Sorgente di salvezza. sarà disponibile presso la cooperativa Servizio RnS, e nelle librerie religiose dopo il congresso che terminerà l’11 settembre.


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