Tesi canciani cecilia

Page 1

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” Facoltà di SCIENZE POLITICHE Corso di Laurea in Società e Sviluppo Locale Tesi di Laurea Il protagonismo giovanile come risorsa per la comunità locale: analisi di un progetto pilota

Relatore: Chiar.mo Prof. Gian Luigi BULSEI Correlatore: Chiar.ma Prof.ssa Noemi PODESTA’ Candidato: Dott.ssa Cecilia CANCIANI Anno Accademico 2009_2010

1


Indice

Introduzione

4

CAPITOLO 1: IL WELFARE LOCALE: PROBLEMI E PROSPETTIVE

7

1.1 Le trasformazioni dello Stato Sociale

7

1.2 Il Welfare mix: attori e processi

12

1.3 Servizi sociali e territorio: il Piano di zona

18

CAPITOLO 2: LA CONDIZIONE GIOVANILE: ASPETTI STRUTTURALI E RELAZIONALI

26

2.1 Essere giovani: problemi o opportunità

26

2.2 Giovani: da oggetti di analisi a soggetti sociali

38

2.3 Giovani: da problema a risorsa. La partecipazione e il protagonismo

46

CAPITOLO 3: UN PROGETTO PILOTA

55

3.1 Il contesto: le comunità montane venete e il GAL

55

3.2 Giovani montanari fuori dal tunnel: da spettatori a protagonisti

68

3.3 Il progetto pilota: “Pro-Youth”

77

CAPITOLO 4: OSSERVAZIONI FINALI E PROSPETTIVE FUTURE 4.1 Valutazione del progetto: dall’analisi quantitativa alle considerazioni

89 89

degli attori 4.2 Bilancio critico del progetto pilota analizzato

102

4.3 Esportabilità come valore aggiunto, verso una programmazione integrata

109

2


Conclusione

121

Bibliografia

125

Sitografia

135

Riferimenti normativi

136

Appendice

137

A.1 - Valori personali e sociali

137

A.2 - ComunitĂ montane venete

139

A.3 - Informazioni Enaip Veneto

140

A.4 - Attori del progetto

141

3


Introduzione

Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane (Italo Calvino)

C’è un vecchio modo di parlare dei giovani, che sottolinea non senza retorica come l’adolescenza e la gioventù siano in qualche modo condizioni astratte e privilegiate, che consentono di sperimentare senza doversi impegnare, all’ombra rassicurante ma spesso distante della società adulta. Si rischia però di trascurare le importanti relazioni tra sviluppo dell’identità giovanile e contesto sociale. I soggetti sociali sono soggetti della società complessiva, ma la variabile territoriale ne ridefinisce il contesto d’azione: essere giovani, o donne, in un piccolo paese oppure in una metropoli significa dover fare i conti con realtà diverse, in termini di risorse, relazioni, opportunità. In un mondo sempre più caratterizzato da processi di internazionalizzazione delle imprese e di globalizzazione dei mercati, da imponenti flussi migratori e da rilevanti fenomeni di omologazione culturale, il riferimento ad una dimensione locale potrebbe sembrare anacronistico. Tuttavia, se osserviamo la collocazione spaziale dei fenomeni sociali, economici e politici, emerge che essi non sono omogeneamente

distribuiti

bensì

localmente

situati

secondo

differenti

caratteristiche e dinamiche. Questo elaborato, che conclude il percorso formativo della laurea magistrale in Società e Sviluppo Locale, curriculum Politiche e servizi sociali nel territorio è dedicato al protagonismo giovanile come risorsa per la comunità locale. L’idea di

4


affrontare tale argomento è maturata dopo aver partecipato al ciclo di seminari organizzati dal Centro Interdipartimentale Volontariato e Impresa Sociale (CIVIS) dell’Università del Piemonte Orientale in collaborazione con l’Istituto Italiano di Studi Cooperativi Luigi Luzzatti ed il Ministero dello Sviluppo Economico, con l’obiettivo di diffondere tra le nuove generazioni la conoscenza delle peculiarità della cooperazione. In tale ambito, ho avuto modo di conoscere ed apprezzare il lavoro che il dott. Giulio Vanzan andava conducendo con l’Istituto Internazionale per lo Sviluppo della Cittadinanza (IIDAC), organizzazione che opera a favore del protagonismo giovanile attivando progetti di sviluppo umano sostenibile. “ProYouth” è uno di questi: presentato in quell’occasione mi ha colpito come originale proposta di esperienza per i giovani e per la possibilità di seguirne la realizzazione concreta nella mia regione. Il progetto sarebbe infatti stato avviato, per la prima volta in Italia, in Veneto, nel mesi successivi. Mi è sembrata un’ottima occasione per poter affiancare in maniera attiva un team di professionisti. Grazie alla competenza e alla disponibilità del prof. Bulsei, a partire dalla frequenza del corso di Organizzazione del Welfare locale e durante le varie fasi del mio lavoro, ho potuto dotarmi degli strumenti teorico-metodologici necessari per analizzare il progetto sopra citato, il suo impatto sui destinatari “intermedi” (i giovani direttamente coinvolti) e su quelli “finali” (le comunità locali), le inevitabili criticità e la possibilità di esportare l’esperienza adattandola ad altri contesti sociali territoriali. La tesi è articolata nel modo seguente: •

dopo aver fornito nel primo capitolo un quadro di riferimento per l’analisi dei sistemi di Welfare locale, si affronta nel capitolo successivo il tema della condizione giovanile, nei suoi aspetti strutturali e relazionali, con particolare attenzione ad un possibile percorso evolutivo che porta a considerare i giovani da oggetto problematico a risorsa sociale;

il terzo capitolo presenta nei tratti essenziali il progetto pilota “Pro-Youth” elaborato

dall’organizzazione

IIDAC

Europa,

presso

gli

Istituti

5


Professionali Enaip di Calalzo di Cadore e Longarone, località appartenenti alle Comunità montane venete del Bellunese; •

il quarto capitolo è dedicato ad un bilancio critico dell’iniziativa, della quale si valuta l’andamento complessivo e si discute l’eventuale esportabilità come buone pratica di attivazione del protagonismo giovanile.

Oltre al relatore prof. Bulsei, ringrazio per il sostegno ricevuto la correlatrice prof.ssa Podestà; il team di IIDAC Europa il dott. Giulio Vanzan, formatore e direttore esecutivo del progetto per la disponibilità dimostrata, i suoi collaboratori dott.ssa Laura Fantozzi e dott. Francesco Sbardellati; il dott. Graziano Sadocco, responsabile degli Istituti Enaip Veneto di Calalzo di Cadore e Longarone, la dott.ssa Beatrice Dal Piva, tutor didattico Enaip e i ragazzi coinvolti, per la preziosa collaborazione.

6


CAPITOLO 1 – IL WELFARE LOCALE: PROBLEMI E PROSPETTIVE

1.1 Le trasformazioni dello Stato sociale L’espressione Welfare State è tradizionalmente impiegata per definire l’insieme delle istituzioni e degli interventi pubblici che hanno come oggetto il benessere, in termini di risorse e opportunità effettivamente rese disponibili, dei cittadini di un determinato sistema nazionale (Ferrera 2006, cap. 1; Rei 2004, cap. 4) Si tratta di un complesso di regole, organizzazioni e prestazioni sociali che si è sviluppato in vari paesi europei tra la fine del XIX secolo e la metà del XX secolo, di pari passo con alcune profonde trasformazioni che si è soliti ricomprendere sotto il concetto di modernizzazione. Le scienze sociali hanno ampiamente analizzato, per lo meno a partire da Marx e Weber, le principali caratteristiche e conseguenze di tali processi: urbanesimo crescente e mobilità extra-locale; economia di mercato e industrializzazione; nuove forme di divisione del lavoro e stratificazione sociale; razionalità scientifica e sistemi politico-amministrativi articolati (Bulsei 2010). Se dunque il Welfare State può essere considerato un “prodotto” della nuova configurazione di bisogni e domande sociali originata dalla modernizzazione, le strategie di risposta concretamente messe in atto hanno dato vita a percorsi e modelli divergenti. Una prima importante distinzione è quella tra il modello universalistico e quello cosiddetto occupazionale (Ferrera 2006, cap. 1). Nel modello universalistico (adottato dai paesi anglo-scandinavi), la protezione sociale

è rivolta a tutti i cittadini in quanto tali, indipendentemente dalla

posizione lavorativa; il modello occupazionale (adottato dalla maggioranza dei paesi dell’Europa continentale), prevede al contrario schemi di protezione sociale

7


categoriali, specificamente rivolti ai lavoratori. In particolare, Titmuss (1974) ha distinto tre possibili configurazioni di Welfare. Al livello inferiore, in una scala di onerosità e complessità degli interventi, si colloca il modello residuale, così definito perché l'intervento delle pubbliche istituzioni è previsto solo ex-post, ove falliscono i canali sociali naturalmente preposti alla soddisfazione dei bisogni essenziali: la famiglia, eventualmente sostenuta dalle associazioni di volontariato, e il mercato. In quello che (nel solco della vicenda storica delle Poor Laws inglesi) viene anche denominato pubblic assistance model, destinari dei programmi, finanziati per via fiscale, sono esclusivamente i poveri, ovvero gli individui in stato di effettiva necessità cui risulti preclusa la possibilità di attivare le risorse della sfera privata. A tali soggetti le agenzie pubbliche assegnano discrezionalmente prestazioni minimali, solamente riparative e limitate nel tempo, dal momento che l'assistenza è concepita come esigenza temporanea, legata ad una condizione di momentaneo bisogno. Non sembra improprio associare al modello residuale il criterio della selettività di segno marcatamente negativo: tali prestazioni, di norma inferiori agli standard socialmente riconosciuti come accettabili, vengono di norma “concesse” solo a chi si sottopone a una stigmatizzante prova dei mezzi, non dissimile dai means tests imposti dalle prime leggi sui poveri (Girotti 2005; Rei 2004, cap. 4). La seconda configurazione individuata da Titmuss è quella che intende collegare le prestazioni ai livelli di reddito e alla posizione sociale conseguita attraverso il lavoro (industrial achievement-permormance model). Destinatari degli interventi sono propriamente i lavoratori che, mediante un contratto di assicurazione, possono accedere a prestazioni di natura essenzialmente previdenziale, finanziate tramite contributi versati dai lavoratori stessi e dai datori di lavoro, eventualmente integrati da sovvenzioni statali. Tale modello è anche stato definito meritocratico-occupazionale, per la priorità accordata alla collocazione nel mercato del lavoro e alla performance realizzata in ambito professionale. In questo caso le prestazioni del Welfare vengono a configurarsi

8


sotto un duplice aspetto: di integrazione del reddito (a titolo di salario indiretto) e di correttivo, quanto meno parziale, delle “ingiustizie sociali” prodotte dal mercato nella remunerazione del lavoro (Girotti 2005). Tuttavia, è solo con il terzo modello, definito istituzionale-redistributivo, che le logiche acquisitive che muovono il mercato (e che sono alla radice della disuguaglianza) risultano efficacemente temperate da estesi programmi pubblici, eventualmente integrati da azioni positive di sostegno a target mirati di popolazione. In questo caso, il criterio di allocazione delle risorse è definito ex ante, sulla base del puro bisogno. L'obiettivo è per l'appunto la libertà del bisogno, affidata ad interventi di tipo universalistico, garantiti a tutti in una logica di cittadinanza sociale. La politica sociale deve in tal caso provvedere ad una effettiva redistribuzione delle risorse e delle opportunità di vita, che sappia combinare la fiscalità progressiva, la previdenza di tipo universalistico e un ampio apparato di servizi alla persona al fine di consegnare i più elevati livelli di sicurezza sociale e benessere (Rei 1999 e 2004, cap. 4). Un’utile definizione di Stato sociale è quella proposta da Maurizio Ferrera (1993 e 2006): “un insieme di interventi pubblici connessi al processo di modernizzazione, i quali forniscono protezione sotto forma di assistenza, assicurazione e sicurezza sociale, introducendo fra l’altro specifici diritti sociali nel caso di eventi prestabiliti nonché specifici doveri di contribuzione finanziaria” (Ferrera 1993, p. 49). L'essenza del Welfare State consiste pertanto nella garanzia da parte delle istituzioni pubbliche di standard minimi di reddito, salute, istruzione e protezione sociale assicurati ad ogni cittadino come diritto politico. L’assistenza per i soggetti e le fasce sociali più deboli, le assicurazioni per i lavoratori, e i servizi sociali, sanitari ed educativi accessibili a tutti i cittadini, in base a un principio di cittadinanza, costituiscono i tre assi portanti del moderno Welfare State. Anche se non in tutti i paesi si è prodotta una netta divisione tra previdenza, sanità e assistenza, tali programmi individuano realmente le componenti essenziali di ogni sistema integrato di sicurezza sociale.

9


Il concetto di sistema di Welfare, in particolare, “designa le forme stabili che il regime sociale di sicurezza assume,

in tempi e luoghi determinati,

istituzionalizzando le relazioni tra decisori, attori e destinatari delle prestazioni” (Rei 1999, p. 83). Nessuna istituzione, tuttavia, può sopravvivere senza adattarsi e lo stato sociale si trova di fronte alla necessità di modificare i propri strumenti per reagire alle sfide di un mutato contesto economico e sociale (come schematizzato nella successiva tabella 1.1). Tabella 1.1 – Il Welfare State: vecchie premesse, trasformazioni e sfide Vecchie Premesse Economia in rapida

Trasformazioni Sviluppo lento o nullo.

crescita.

Sfide Contenimento dei costi. Ammortizzatori sociali,

Società industriale.

Società post-industriale.

Stabilità familiare e

Ridefinizione dei rapporti

Conciliazione tra vita

divisione di genere del

di genere.

professionale e

lavoro.

flessibilità, ecc.

riproduzione sociale.

Strutture demografiche

Invecchiamento della

Contenimento dei costi

in relativo equilibrio.

popolazione e nuove

pensionistici e sanitari;

migrazioni.

ammortizzatori sociali per

Aspettative crescenti.

gli immigrati. Ridefinizione degli

Aspettative morigerate e stabili.

standard di prestazione.

Solidità e centralità

Internazionalizzazione

Adattamento alle nuove

dello Stato-nazione.

economica,

condizioni di “apertura”.

globalizzazione, integrazione europea. Fonte: Ferrera 2006,

p. 27

10


Il rapido modificarsi ed estendersi dei bisogni sociali che sta interessando da almeno un paio di decenni il nostro paese così come l'intera Europa, è dovuto soprattutto all'invecchiamento della popolazione ed al conseguente notevole aumento della domanda di prestazioni mirate. Come varie ricerche hanno evidenziato, non si tratta semplicemente della pur significativa crescita di interventi tradizionali (cure sanitarie e case di riposo, per intendersi) ma anche dell'emergere di una nuova domanda di servizi qualificati e per certi aspetti innovativi (assistenza domiciliare, residenze protette, centri diurni, attività ricreative). Un secondo fattore alla base del cambiamento strutturale nella domanda di politiche e servizi sociali è rappresentato dalle profonde trasformazioni della famiglia e dei rapporti tra generi e generazioni (Saraceno 2003; Naldini 2006). Accanto a progressi nelle relazioni di genere e ad una più elevata, anche se ancora problematica e diseguale, partecipazione delle donne al mercato del lavoro, è emersa una progressiva tendenza alla precarizzazione dei rapporti sociali (aumento dei divorzi, dei nuclei monoparentali, delle donne sole, dei minori senza adeguato supporto familiare), che va necessariamente contrastata con specifiche forme di sostegno materiale e relazionale. D'altronde, anche il migliorato accesso delle donne al lavoro richiede strumenti di sostegno alle responsabilità familiari (servizi per la prima infanzia, ma anche politiche dei tempi) tali da conciliare le esigenze professionali con le attività domestiche ed evitare che compiti di cura ancora largamente femminilizzati si traducano in “interferenze penalizzanti” per la carriera lavorativa (Saraceno 2003; Naldini 2006).

11


1.2 Il Welfare mix: attori e processi La realtà contemporanea presenta scenari di interconnessione

tra diverse

modalità di risposta a tale nuova struttura di bisogni, facendo emergere una concezione di benessere come prodotto dell’azione di una pluralità di soggetti in interazione. “La società concorre alla produzione della sua sicurezza, fornendo alle istituzioni statali del Welfare risorse finanziarie, logistiche, umane; o generando direttamente benessere, o ancora sviluppando organizzazioni societarie finalizzate alla produzione formale di prestazioni. Entro il sistema di Welfare, di conseguenza, si vengono a combinare le prestazioni rese da attori e settori eterogenei. Per designare questa eterogeneità è invalso il termine Welfare mix che tipicamente comprende tre settori di prestazioni a base rispettivamente di Household (le cerchie della convivenza primaria), Market, State” (Rei 1999, p. 83). Il ruolo che lo Stato può assumere all’interno di questo mix è compreso tra due estremi: da un impegno pubblico forte e centrale ad un intervento residuale, volto a correggere “a posteriori” le inefficienze del mercato. Le politiche sociali concretamente attivate risulteranno di conseguenza orientate in funzione del modello di Welfare legittimato nel contesto specifico. Secondo Ota de Leonardis (1998), la formula del Welfare mix consentirebbe di rispondere a tre importanti esigenze: 1) “contrastare gli effetti di burocratizzazione del monopolio statale nell’erogazione di servizi sociali”, pur conservando in capo allo Stato la responsabilità di un’equa redistribuzione delle risorse; 2) valorizzare ed integrare, nell’ambito dell’offerta dei servizi, “il potenziale di solidarietà presente nella società civile”, che si manifesta nelle iniziative di volontariato e nelle imprese nonprofit; 3) aumentare l’efficienza dal lato dell’offerta e la libertà di scelta dal lato della domanda “attraverso l’immissione di regole del mercato e della

12


concorrenza tra servizi” (de Leonardis 1998, p. 31). Costanzo Ranci (1999), pur concordando sull’adeguatezza del modello di Welfare mix nel favorire una maggiore flessibilità nell’erogazione dei servizi sociali ed un allargamento delle opportunità di scelta dei cittadini, richiama l’attenzione su due aspetti importanti: a) il nuovo ruolo che lo Stato deve assumere, meno focalizzato sulla “regolazione autoritativa” dei soggetti privati e più sul “sostegno e coordinamento” della pluralità degli attori del mix, in un’ottica di tutela del bene comune; b) il superamento della rigida separazione tra amministrazione pubblica, cui è demandata la responsabilità della programmazione, e attori privati ai quali viene richiesta soltanto capacità gestionale. Spetta comunque allo Stato svolgere due importanti funzioni: 1. la garanzia di un livello minimo di prestazioni; 2. la promozione ed il coordinamento dei diversi attori per il perseguimento del benessere collettivo. In concreto, le amministrazioni pubbliche possono: •

scegliere di incentivare, tramite appropriate politiche, gli altri attori nei loro ruoli specifici;

sostenere e promuovere la collaborazione e il coordinamento degli interventi sociali tra la pluralità degli attori coinvolti e svolgere un ruolo “residuale” di erogazione di servizi, garantendo comunque una soglia minima di prestazioni (in modo da supplire ad eventuali carenze del sistema multiattoriale);

assumere un ruolo di supervisione e regolazione, con funzioni di indirizzo, controllo e verifica, al fine di garantire un livello base integrato di benessere.

Tra i protagonisti del Welfare mix assumono una importanza crescente alcuni attori collettivi, che si collocano nello spazio pubblico tra lo stato e il mercato,

13


genericamente raggruppati sotto l’etichetta di Terzo Settore. “Il fatto di sottolineare il carattere “terzo” del fenomeno ha fondamentalmente lo scopo di sottolineare l’identità per differenza rispetto ai due settori istituzionalmente forti delle società moderne” (Donati e Colozzi 1998, p. 26). Si tratta in effetti di una definizione residuale, che include tutti quei centri di iniziativa la cui attività non è mossa né dall’obiettivo specifico di perseguire profitto economico né da programmi amministrativi e che indica un insieme di “pratiche e soggetti organizzativi di natura privata ma volti alla produzione ed allocazione di beni e servizi a valenza pubblica o collettiva” (ibidem). Dal punto di vista formale, del diritto privato, gli enti del terzo settore sono associazioni riconosciute o non riconosciute, fondazioni, comitati, ex istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza privatizzate (IPAB), organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, organizzazioni non governative. Troviamo pertanto in tale ambito sia piccole associazioni senza attività strutturata, sia grandi cooperative e organizzazioni volontarie con migliaia di iscritti e di dipendenti (Bulsei 2006, cap. 1). Tuttavia, è possibile individuare alcune caratteristiche fondamentali, che accomunano l’universo eterogeneo delle organizzazioni del terzo settore (Bulsei 2003, cap. 1; Colozzi 2002; Colozzi, Bassi 2003): •

costituzione formale: tale carattere non si sostanzia unicamente

nella

formalizzazione di uno status giuridico, ma include anche il fatto che l’organizzazione sia percepita e vissuta in termini di “persistenza istituzionale” e non solo come raggruppamento (spontaneo e contingente) di individui; •

natura giuridica privata, ossia indipendenza dalle istituzioni pubbliche;

neutralità: tale criterio porta ad escludere le organizzazioni puramente religiose, politiche o di rappresentanza di interessi categoriali;

divieto di distribuzione, diretta o indiretta, di eventuali profitti conseguiti, che devono invece essere reinvestiti per gli scopi sociali;

14


capacità di autogoverno, cioè di gestione autonoma attraverso specifiche procedure partecipative e di controllo sulle attività svolte;

presenza di lavoro volontario e parziale ricorso a risorse economiche provenienti da donazioni.

Ciò che distingue il cosiddetto terzo settore rispetto agli altri ambiti della società (offerta pubblica e produzione privata di servizi) sono soprattutto i seguenti aspetti: a) una cultura fondata sulla solidarietà e l’attenzione alle persone; b) il riferimento etico al principio di reciprocità, che rafforza la fiducia, il legame sociale e il senso di appartenenza; c) la normatività, vale a dire la logica secondo la quale un servizio deve essere prestato in quanto utile alla collettività e non perché imposto per legge o richiesto dal mercato; d) un’organizzazione caratterizzata dalla coesistenza di elementi di razionalità strumentale e di principi di razionalità “rispetto al valore” (Colozzi 2002, p. 37). Il contributo delle organizzazioni del terzo settore alla produzione di politiche sociali assume caratteristiche e pesi differenti in funzione di due fattori principali (Bulsei 2003, cap. 1; Ranci 1999; Ascoli e Ranci 2003): 1. l’estensione della responsabilità pubblica nella fornitura di servizi; 2. la dipendenza dello Stato dal concorso di fornitori privati per l'attuazione delle proprie politiche. Un elevato grado di responsabilità della sfera pubblica nel garantire un’efficace copertura dei bisogni della popolazione determina sia un generoso flusso finanziario verso il settore privato sia un alto grado di regolazione e di controllo su di esso. Inoltre, quanto più elevata è la dipendenza dello Stato dai servizi forniti dalle organizzazioni nonprofit, tanto maggiore sarà il sostegno che complessivamente esse riceveranno dal settore pubblico.

15


Tali elementi consentono di individuare quattro possibili modelli di relazione tra stato e terzo settore (Ranci 1999, cap. 8): •

collaborativo

a dominanza pubblica

duale

a dominanza privata.

Nel modello collaborativo, che risulta prevalente nel campo delle politiche sanitarie, lo Stato si assume la piena responsabilità nell’offrire una copertura su base universalistica, per cui i servizi di interesse pubblico erogati dalle organizzazioni private sono riconosciuti come parte integrante del sistema complessivo di offerta e, per tale ragione, il settore nonprofit riceve cospicui finanziamenti. Il modello cosiddetto a dominanza pubblica prevede che sia lo Stato ad impegnarsi nella realizzazione di un sistema articolato ed omogeneo di servizi e riserva pertanto un ruolo marginale ai fornitori nonprofit, che pur dovendo sottostare a forme di

controllo pubblico non beneficiano di finanziamenti

particolarmente generosi: è stato questo, almeno finora, il caso dell’istruzione. Nel modello duale sia lo Stato sia il terzo settore sono impegnati nell’offerta di servizi, ma ognuno nella propria sfera di competenza: è la modalità prevalente nel settore dei servizi sociali, caratterizzato da una rilevante presenza del terzo settore e da intense relazioni tra fornitori privati ed amministrazioni pubbliche. Il modello a dominanza privata, caratterizzato da una limitata responsabilità delle istituzioni pubbliche e da una sostanziale indipendenza dello Stato dai servizi offerti da organizzazioni nonprofit, riconosce al terzo settore una notevole autonomia, come nel caso dell'ambiente, della cultura e dell’attività sportiva (anche se si delineano in tali ambiti nuove tendenze di partnership pubblico– privato). A seconda dei diversi tipi di rapporto che si instaurano tra istituzioni pubbliche e terzo settore, si configurano tre diversi modelli di Welfare mix: il modello

16


plurale, quello sussidiario e quello a dominanza pubblica. Nel primo caso, lo Stato svolge il ruolo di regolatore del “mercato sociale”, al fine di assicurare sia la libera concorrenza tra i fornitori sia il carattere non lucrativo e l’indipendenza politica delle organizzazioni che operano in tale campo; l’aspetto problematico è costituito dalla necessità di conciliare l'autonomia del terzo settore con il sostegno al suo sviluppo. Il modello sussidiario si fonda sulla cooperazione tra istituzioni pubbliche e terzo settore: quest’ultimo sviluppa una forte dipendenza dallo Stato sia dal punto di

vista

economico

sia

da

quello

politico–amministrativo

e

tende

progressivamente ad assumersi la responsabilità pubblica dei servizi offerti; la criticità in tal caso risiede nel fatto che alla elevata dipendenza finanziaria del terzo settore non corrispondere un ruolo “alto” di regolazione e programmazione pubblica. Infine, secondo il modello a dominanza pubblica, le amministrazioni, in quanto responsabili finali delle risposte ai bisogni dei cittadini, provvedono a sostenere finanziariamente le organizzazioni del privato sociale affinché queste siano in grado di fornire servizi più efficienti ed efficaci; tuttavia, il sostegno economico si accompagna a meccanismi di controllo volti a rendere le organizzazioni nonprofit funzionalmente compatibili (e subordinate) rispetto all'azione pubblica. Ognuno dei tre modelli si fonda su una diversa concezione di regolazione politico–amministrativa. Per il modello plurale lo Stato assume il ruolo di garante della libera concorrenza tra fornitori di servizi; quello sussidiario affida alla regolazione pubblica una funzione prevalentemente distributiva, attraverso il sostegno finanziario; il modello a dominanza pubblica, infine, prevede che le amministrazioni siano in grado di esercitare un controllo diretto sull’attività del terzo settore. In generale, il modello del Welfare mix si ispira ai principi di pluralizzazione e di sussidiarietà (Bulsei 2008, cap. 2).

17


Con il termine pluralizzazione ci si riferisce al riconoscimento pubblico degli altri attori che concorrono alla produzione di benessere. A tali ambiti sociali variamente organizzati compete il diritto–dovere di collaborare con le istituzioni pubbliche, sia nella progettazione che nella realizzazione degli interventi. Il principio di sussidiarietà concerne invece l'allocazione di autorità e operatività ai livelli più prossimi alla domanda sociale e può essere considerato da due punti di vista: verticale e orizzontale. Il primo profilo riguarda le relazioni tra istituzioni pubbliche ed implica il sostanziale trasferimento delle competenze amministrative dagli enti centrali a quelli periferici: “l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini” (art. 4 della Carta Europea). Nel secondo caso, ci si riferisce ai rapporti tra sfera pubblica e società civile: lo Stato non dovrebbe fare di più (o di meno) che offrire sostegno all’autonomia dei vari ambiti (singoli cittadini, famiglie, associazioni, imprese) in cui si articola la comunità. “Applicare ai sistemi di Welfare tali princìpi significa dunque riconoscere più ampio spazio alle società locali sia come territori amministrati sia come formazioni sociali variamente strutturate” (Bulsei 2003, p. 14).

1.3 Servizi sociali e territorio: il Piano di zona Il tradizionale approccio comparativo allo studio dei sistemi di Welfare considera principalmente due dimensioni analitiche: il quanto (la spesa) e il come (il tipo di copertura), dando luogo a due prospettive, rispettivamente di tipo economico–contabile e di taglio politico–istituzionale, basate per lo più sul confronto tra modelli nazionali di protezione sociale (Ferrera 1993 e 2006; Girotti 1998). Tali ricostruzioni analitiche, pur importanti, mettono in risalto soprattutto le peculiarità storiche e strutturali di schemi previdenziali e sistemi sanitari,

18


lasciando di norma sullo sfondo la composita realtà dei servizi sociali alle persone e alle famiglie (Benassi 2002, cap. 2). Per contro, “buone ragioni” per il Welfare territoriale sono rinvenibili non tanto nel principio del tutto scontato della prossimità fisica tra sistema di erogazione dei servizi e destinatari delle prestazioni, ma in un complesso di fattori politico–organizzativi che hanno a che fare con le specificità della domanda sociale localizzata e dei processi di elaborazione e legittimazione delle linee di intervento (Bulsei 2003 e 2008, cap. 2 ). A livello locale infatti sono più marcati visibili (Bulsei 2008, cap. 2): •

i problemi di natura sociale, tali produrre fenomeni di marginalità o mancata integrazione ed incrinare la coesione sociale;

il capitale sociale disponibile per far fronte ai problemi del territorio;

le forme di cooperazione possibili tra i diversi attori che hanno responsabilità istituzionali o sociali nella produzione di benessere;

le risorse latenti e potenzialmente attivabili per l’integrazione tra politiche e servizi sociali: partecipazione attiva dei cittadini, orientamento all’azione volontaria e associazionismo solidale, competenze diffuse e capacità di operare in rete, fiducia reciproca e nei confronti delle istituzioni;

l’impatto delle politiche, cioè i risultati effettivamente raggiunti, a partire dal grado di soddisfazione della domanda sociale di servizi per il benessere della comunità.

Se sostenibilità, coesione sociale, attivazione dei soggetti e sussidiarietà costituiscono il “vocabolario” dell’Europa sociale, tali concetti chiave vengono sempre più spesso declinati attraverso programmi di intervento di tipo integrato e localizzato, che assumono il livello locale come scala privilegiata per il trattamento intersettoriale dei problemi (casa, lavoro, esclusione sociale, riqualificazione urbana, sviluppo locale) ed il coordinamento tra attori istituzionali e sociali (Bifulco 2003 e 2005; Bulsei 2006, cap. 1). In tale prospettiva, la spesa sociale assume il significato di una duplice forma di investimento: “sulle risorse

19


individuali dei destinatari, in direzione dello sviluppo di competenze e capacità per l’inserimento sociale e/o lavorativo; e sulle risorse in dotazione ai contesti locali, in direzione della valorizzazione dei loro potenziali di interazione cooperativa” (Bifulco 2005, p. 16). L’orientamento al territorio tende a diventare il criterio metodologico di base per la definizione dei target delle politiche sociali, con il superamento della tradizionale logica categoriale: “il locale indica lo spazio dove i diversi problemi sociali si cumulano secondo traiettorie specifiche, e dove le risorse e gli attori per affrontarli (inclusi i destinatari degli interventi) possono essere mobilitati e integrati” (Bifulco 2005, p. 32). Nella effettiva produzione di interventi di Welfare, il livello locale risulta strategico in termini di organizzazione di relazioni sociali a base territoriale, che travalicano la mera attuazione periferica di interventi istituzionali. Stili amministrativi e comportamenti professionali, ma anche relazioni comunitarie e immagini diffuse nell'opinione pubblica locale, contribuiscono a costruire socialmente la situazione dei destinatari delle politiche e dei servizi sociali (Bosco 2002; Bulsei 2008, cap. 2). Il concetto stesso di assistenza presenta due accezioni distinte ma in qualche modo complementari (Benassi 2002; Bulsei 2003): 1) insieme di prestazioni istituzionali rivolte a individui in accertata condizione di incapacità di provvedere autonomamente a se stessi; 2) forme di sostegno basate su legami sociali (personali, familiari, di reciprocità). Entrambi i modelli, cioè l'assistenza come politica pubblica e come relazione sociale, non si applicano meccanicamente ma vengono declinati dagli attori locali nel corso dell'interazione: “non solo le forme del Welfare si innestano su un tessuto locale con specifiche caratteristiche, ma lo stesso sistema di Welfare locale emerge dalla combinazione dei diversi elementi di caratterizzazione di una società locale” (Benassi 2002, p. 39). Si tratta di una combinazione “situata” di opportunità e vincoli di varia natura: forme regolative esogene e processi

20


territoriali, interessi economici e relazioni sociali, prassi politico–amministrative e subculture locali (Bulsei 2008, cap. 2). La Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (L. 328/2000), ha previsto un cambiamento radicale del modello assistenziale italiano, secondo principi innovativi che possono essere sintetizzati nei seguenti concetti–chiave (Bulsei 2003, cap. 1): a) Universalità – L’accesso alle prestazioni ed ai servizi della rete integrata è offerto a tutti i cittadini, con priorità di risposta alle persone in stato di povertà, con incapacità totale o parziale, con difficoltà di inserimento; uguali diritti e doveri sono affermati attraverso il concorso di ciascuno, secondo le proprie disponibilità economiche, alla spesa sociale. b) Protagonismo dei cittadini – Poiché i servizi sociali raggiungono il proprio scopo quando la persona ottiene il benessere desiderato, occorre garantire ai destinatari il diritto di essere partecipi delle scelte che li riguardano; la legge insiste sul diritto all’informazione, sulla predisposizione della carta dei servizi e sulla valutazione partecipata della qualità, come strumenti per accrescere le capacità di scelta e di controllo e la possibilità di formulare “dal basso” proposte di miglioramento. c) Sussidiarietà orizzontale – L’ente locale provvede alla realizzazione dei servizi insieme ai soggetti della società civile: cooperative sociali, volontariato, associazioni di promozione sociale, fondazioni ed enti di varia natura; tra le specifiche finalità delle politiche sociali vi è appunto quella di potenziare la capacità propulsiva di tutti gli attori del territorio; l'amministrazione pubblica conserva il ruolo di garante della rete integrata dei servizi, nell’interesse del singolo cittadino e della comunità. d) Qualità dei servizi – Non è sufficiente realizzare i medesimi servizi su tutto il territorio nazionale: essi devono anche possedere la stessa qualità; la legge di riforma promuove standard omogenei a livello strutturale e organizzativo e regola le competenze istituzionali in materia.

21


Tali principi guida tendono a tradursi in un significativo mutamento nel modo di operare delle istituzioni di Welfare (Bulsei 2008, pp. 53-54). •

l’intervento dello Stato si contrae, a beneficio della valorizzazione dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali;

i trasferimenti monetari assumono un’importanza secondaria, a favore dell'integrazione tra assegni economici ed aiuti personalizzati;

le prestazioni categoriali vengono superate da interventi che pongono al centro i nuclei familiari, con le diverse esigenze che mutano nell’arco della vita;

le politiche locali sono chiamate ad uniformarsi a livelli nazionali di prestazioni e servizi;

gli interventi riparativi, che mantengono il soggetto in uno stato di “passività assistita”, evolvono verso forme di sostegno che valorizzano le responsabilità e le capacità individuali e delle reti sociali di riferimento.

Per quanto riguarda le relazioni tra i vari attori (il modello di governance), la legge quadro punta sia su alcuni strumenti formalizzati (accordi di programma, protocolli d’intesa, ecc.) sia su più generali modalità di concertazione, al fine di impegnare (per via negoziale e contrattuale) alla cooperazione rispetto a obiettivi condivisi e interessi collettivi. Si tratta di un modello che punta a “combinare una regolazione pubblica forte, in tema, per esempio, di programmazione, di elaborazione di standard e verifica delle prestazioni, con la valorizzazione e l’istituzionalizzazione dell’interdipendenza fra i diversi attori” (Bifulco e Vitale 2005, p. 93). Sotto questo profilo, la principale innovazione della Legge 328/2000 è rappresentata dal Piano di zona: esso costituisce un’esperienza di forte cambiamento per il sistema dei servizi e delle politiche sociali, anche se la programmazione su scala locale si era andata sviluppando in vari contesti già dalla metà degli anni Novanta del ‘900. Secondo la normativa, il Piano di zona è lo strumento primario per la definizione del sistema integrato degli interventi su un

22


territorio e per l’attuazione della rete dei servizi sociali perseguendo gli obiettivi del benessere della persona, della promozione sociale, del miglioramento della qualità delle prestazioni e dell’individuazione dei mezzi per l’osservazione dei disagi emergenti (art. 17). Il Piano di zona è adottato con un accordo di programma dai Comuni associati di un determinato ambito territoriale, preferibilmente coincidente con il distretto sanitario. All’accordo di programma partecipano, oltre ai Comuni, i soggetti nonprofit e la Provincia, con funzioni di accompagnamento, supporto e coordinamento tra i vari soggetti (art. 17, comma 9). La realizzazione del Piano avviene attraverso: •

la conoscenza e l’analisi dei bisogni della popolazione;

l’individuazione e la quantificazione delle risorse a disposizione della comunità locale;

la definizione degli obiettivi strategici e delle priorità dell’azione;

la strutturazione e la collocazione dei servizi, la determinazione della tipologia delle prestazioni e dei criteri di qualità delle stesse;

l’indicazione delle modalità di concertazione tra i soggetti pubblici e del privato sociale coinvolti nella programmazione e nell’erogazione dei servi zi e la definizione dei loro rapporti organizzativi ed economico finanziari (art. 17, comma 7).

Ogni Piano di zona deve pertanto (Aa.Vv. 2004; Bulsei 2006, cap. 1): a) basarsi su una conoscenza completa ed affidabile del contesto territoriale, della domanda sociale e delle risorse disponibili, mettendo in opera strutture per la sistematica raccolta ed analisi delle informazioni; b) organizzare in forme sia tecniche sia partecipative la valutazione dei processi, dei prodotti e degli impatti degli interventi, finalizzata alla produzione di qualità nei servizi e di qualità sociale in generale; c) essere il risultato di un processo di ascolto del territorio e di negoziazione tra interessi, tramite un tavolo di concertazione politica, istituzionale e

23


sociale che permetta l’integrazione tra punti di vista e criteri operativi differenti (definizione di priorità, ricognizione delle risorse, lettura della domanda sociale, progettazione delle forme di coordinamento); d) produrre un sistema a rete, in cui gli attori apprendono ad operare in connessione

oltre

i

tradizionali

confini

politico–amministrativi,

organizzativi e culturali, al fine di promuovere congiuntamente, in un’ottica di cittadinanza sociale, la qualità degli interventi e la crescita della comunità locale; e) dedicare un’attenzione particolare all’accessibilità dei servizi (sociale, culturale, logistica, informatica), attraverso interventi di segretariato sociale, misure di supporto materiale e culturale, sportelli informativi e così via; f) puntare all’integrazione organizzativa, gestionale e professionale del sistema dei servizi locali, individuando sedi e procedure per il controllo dell’effettivo livello di cooperazione raggiunto e le connesse esigenze di sviluppo in termini di formazione e coordinamento; g) prevedere appropriati strumenti di monitoraggio e valutazione, attendibili dal punto di vista scientifico e condivisi dal “tavolo di concertazione”. L’introduzione del Piano di zona apporta al policy making in campo sociale quattro importanti cambiamenti (Bulsei 2006, cap. 1): 1) si sintetizzano gli interventi e le politiche di uno stesso settore, coordinando programmi e finanziamenti in precedenza trattati in modo autonomo; 2) si passa da una logica di government (funzione di governo esclusiva dell’amministrazione pubblica) ad una di governance (coinvolgimento di vari soggetti istituzionali e sociali); 3) si punta all’integrazione territoriale tra programmi socio assistenziali e servizi sanitari; 4) si programmano i servizi alla persona promuovendo al tempo stesso lo sviluppo locale.

24


Le potenzialità tuttora inespresse della riforma di servizi sociali, gli incerti orientamenti in materia di modifica costituzionale (in senso federalista), ma pure le influenze dei programmi sociali europei, compongono oggi in Italia un quadro di riferimento estremamente complesso per l'articolazione dei sistemi locali di Welfare. Ė tuttavia possibile individuare, accanto all'emergere di nuovi attori e modelli di governance territoriale, alcuni tratti comuni (de Leonardis 2003). In primo luogo, alla tipica suddivisione categoriale delle politiche sociali (gruppi– settori–prestazioni) tende a sostituirsi una focalizzazione su questioni trattabili in modo integrato da diverse politiche (immigrazione, riqualificazione urbana, sviluppo locale); inoltre, al Welfare locale viene sempre più esplicitamente assegnato il compito di produrre coesione sociale, rafforzando i legami e valorizzando le risorse umane della comunità, a partire dai destinatari stessi delle politiche; infine, considerando la spesa sociale non un mero costo ma un investimento, si punta a riorganizzare “per progetti” gli interventi sociali, centrandoli sull'attivazione di processi più che su strutture e prestazioni (Bulsei 2003 e 2008, p.62).

25


CAPITOLO 2 - LA CONDIZIONE GIOVANILE: ASPETTI STRUTTURALI E RELAZIONALI

2.1 Essere giovani: problemi o opportunità Definire chi siano i giovani, oggi e nel passato, non è un’impresa facile, non è un termine certo, misurabile e valido sempre. Un tempo essi potevano essere quei ragazzi che, non più bambini, si accingevano all’assunzione di responsabilità e ad una maggiore autonomia: esistevano dei chiari e tradizionali riti di passaggio che segnavano l’entrata di ragazzi e ragazze nel mondo adulto. Oggi questi non esistono più: l’essere giovane è uno status sociale non ben determinato; la letteratura e le innumerevoli analisi sulla condizione giovanile non hanno risolto la questione definitoria di questa categoria. Si ritiene inoltre che i giovani non rappresentino una vera e propria “classe sociale” (Cavalli, in Crespi 2002); che la giovinezza, come anche l’adolescenza, siano prodotti sociali, invenzioni storiche nate con il diffondersi dell’industrializzazione, quando la “sistemazione” lascia il posto all’educazione (Borgna 1997) e il diventare presto adulti non risulta essere più un bisogno impellente. In ogni caso si considera questa tappa del percorso di vita di ogni persona come un passaggio influenzato da contingenze storiche, economiche e culturali. È una condizione transitoria che identifica e porta all’assunzione di ruoli e responsabilità tipiche degli adulti. Per cercare di dare maggiore chiarezza ai soggetti e protagonisti dell’indagine, è possibile inquadrare i giovani utilizzando quattro indicatori suggeriti da Livi Bacci (2008). Essi possono essere identificati secondo criteri anagrafici, l’età “giovane”, un intervallo di tempo nella vita di una persona; bio – demografici, lo sviluppo corporeo e la presunzione di non essere genitori; bio – sociali, quando invece i genitori sono ancora in vita e si riscontra un confronto generazionale tra

26


figli e genitori e bio – economici che guardano alla capacità produttiva o più precisamente alla mancanza di produzione e autonomia economica. Accanto al questa classificazione, l’istituto IARD considera giovani coloro che non hanno raggiunto le seguenti tappe: sistema formativo concluso, inserimento nel mondo del lavoro, indipendenza economica, formazione di una nuova famiglia e diventare genitore. Osservando bene tutti i criteri e le tappe si riscontra una limitata adeguatezza ed imprecisione nella caratterizzazione del termine “giovani”, poiché ciascun indicatore identifica differenti e molteplici soluzioni; il range d’età, ad esempio, considerato per una stessa ricerca (ad esempio l’indagine sulle condizioni giovanili condotta dall’istituto Iard) varia negli anni, identificando come giovani coloro che rientrano nella fascia d’età 15-25 o 15-30, 25-30, fino anche ai 35, 40 anni. L’età della pubertà, quindi la classificazione secondo il criterio bio – demografico, nel corso degli anni è variata; le prospettive di vita si sono allungate e non è difficile che una persona diventi adulta ed abbia ancora i genitori in vita (secondo il criterio bio – sociale); l’essere liberi dall’autonomia economica, con la flessibilità del mercato del lavoro e il conseguente stato di precarietà che non garantisce neppure ad un quarantenne la stabilità finanziaria, non determina un presupposto caratteristico della gioventù. Si rileva, quando si cerca una definizione di giovane, un progressivo aumento dei limiti che determinavano questo status in tempi passati; da una parte si nota l’anticipazione dell’abbandono di comportamenti infantili e dall’altro la quasi preoccupante estensione dell’atteggiamento o il comportamento da parte di chi, chiaramente, giovane non lo è più. È fondamentale per cercare di assegnare un significato utile ai fini dell’elaborato (che non si occupa di quei “giovani”, non più giovani, appena citati, anche se in realtà non sono totalmente esclusi ma coinvolti in altra maniera nell’analisi) considerare anche parole e definizioni come pre-adolescente, adolescente, oltre che a giovane. Questi tre termini specificano una condizione

27


non infantile e non adulta distinta di solito per classi di età. La pre - adolescenza, secondo la versione più diffusa, è caratterizzata da ragazzi che hanno tra i 10 e i 12,13 anni di età; l’adolescenza dai 12,13 anni fino ai 18,19 anni; la giovinezza, in teoria, fino ai 25, 26 anni ma anche, come precedentemente annunciato, fino ai 35, 40. In sociologia, a differenza della psicologia sociale, è consuetudine, quando si parla di giovani, includere anche il periodo dell’adolescenza: anche in questo nostro caso verrà applicata questa prassi. Altre caratteristiche tipiche di questa condizione sono state riscontrate e sostenute da diversi autori. C’è chi sostiene che essere giovani sia uno stato di potenziale crisi, conflitto e ribellione; con possibili manifestazioni di comportamenti a rischio, che possono portare a risvolti devianti, violenti e criminali. Il processo di crescita è spesso incerto e problematico: si possono vivere situazioni di disagio o emarginazione; si devono affrontare problematiche riguardanti l’ambiente scolastico, oltre che extra scolastico e con i gruppi di pari. Necessitano di luoghi di ritrovo e confronto (Faggiano 2007). I tratti distintivi sono l’essere numericamente pochi, frammentati e invisibili, precari in ritardo (Diamanti 1999). Pochi: i giovani sono demograficamente poco numerosi, tanto da creare difficoltà e minacciare il normale ricambio generazionale. Sono frammentati e invisibili perché preferiscono i piccoli gruppi, non capaci di formare una collettività e certamente poco considerati dalla società. La mancanza di un’identità definita, di idee chiare di vocazione e progettualità mantengono i giovani in un costante stato di precarietà. Sembrano approssimativi nelle scelte, indeterminati, mirano maggiormente ad un veloce risultato nell’immediato, secondo ciò che Bianco chiama “pensiero corto” (Magnier, Vicarelli 2010), che alla creazione di presupposti per la costruzione di un futuro. I giovani sono infine “in ritardo”; questa vera e propria sindrome (Livi Bacci 2008) è legata al difficile cammino verso l’autonomia e i sintomi che la determinano sono l’allungamento dei processi formativi; l’elevata e crescente età alla quale si

28


abbandona la casa dei genitori per un’abitazione autonoma, si entra nel mercato del lavoro, si inizia una stabile vita di coppia; si sceglie di diventare genitori. Nel complesso delle evoluzioni contestuali, si deve tener conto, quando si parla della condizione dei giovani d’oggi, anche dei ragazzi che hanno un bagaglio d’origine differente, in un’ottica di multi, inter culturalità ed integrazione. Si fa quindi riferimento in questo caso ai giovani di origine straniera; adolescenti e ragazzi che, nati in Italia o in Paesi diversi, di seconda generazione, vivono, come vedremo in seguito, le medesime difficoltà, hanno bisogni e aspettative comuni ai giovani italiani; anzi forse con un maggiore entusiasmo, senso di dovere, accettazione e sopportazione del rischio e della novità. Quindi, italiani e stranieri, in ritardo, precari, frammentati e invisibili, pochi e che ricoprono un range anagrafico che varia dai 12, 13 anni ai circa 30 (in media) sono i giovani cui si farà qui riferimento, riservando però uno spazio privilegiato ai “giovanissimi giovani”, quelli che frequentano la scuola secondaria. Secondo D’Amico e Di Nuovo (2010) la giovinezza è caratterizzata da una condizione di precarietà che mina ed ostacola la costruzione di identità e la personalità dei singoli ragazzi; essi sono disorientati e vivono molteplici dimensioni identitarie (multidimensionalità), utili nella definizione del sé, nella rappresentazione e nella relazione con gli altri. Nella definizione del proprio io i giovani, attraverso l’esperienza, provano e sperimentano diverse situazioni; in un processo verso la simultanea conquista di una personale identità, inseriti in un contesto di appartenenza. L’identificazione con modelli sociali esterni; la contemporanea scoperta di autenticità (soggettività) e diversità rispetto agli altri (alterità) permettono di scoprire la propria identità, attraverso un percorso di acquisizione delle competenze necessarie per diventare adulto. L’identità personale è definita in “Stile di vita e partecipazione sociale giovanile” (Faggiano 2007, p. 66) come “rappresentazione dell’io e indica le

29


caratteristiche stabili, anche se in continua evoluzione, di un soggetto, capaci di renderlo unico, irripetibile, diverso da ogni altro”. La ricerca e la creazione del sé è un elemento fondante della condizione giovanile; l’adolescenza e la giovinezza diventano così momenti per l’acquisizione di consapevolezza di come si è, che D’Amico e Di Nuovo chiamano la “percezione del sé reale” (2010, p. 32), di come si vorrebbe essere, “percezione del sé ideale”, e di come gli altri ci vedono, il “sé sociale percepito”. Lo sviluppo dell’identità personale e sociale permette di costruire la propria immagine di sé e del mondo, raggiungendo così visibilità sociale, costruendo autostima e fiducia, in modo da poter stabilire e cercare di realizzare i propri obiettivi: sogni, desideri, aspettative e bisogni. Per individuare quali sono i sogni, i desideri e le aspettative dei giovani d’oggi, l’Istituto IARD, nella sua sesta indagine sulla condizione giovanile ha stilato una classifica delle “cose più importanti”, dei valori, quelli che guidano l’agire, maggiormente riscontrati, come fondamentali, dai giovani intervistati. Grafico 2.1 – Classifica dei valori dei giovani – Elaborazione nostra 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Classifica valori

salute famiglia pace libertà amore amicizia istruzione lavoro democrazia autorealizzazione rispetto delle regole sicurezza e ordine pubblico tempo libero solidarietà interess i culturali divertimento benessere economico sport impegno sociale fare carriera patria guadagnare molto religione prestigio sociale attività politica

30


I valori sono “convinzioni intorno ai giusti ruoli e comportamenti propri e altrui, che siano generali, profonde e durevoli, trasmesse all’individuo dall’ambiente sociale sin dalla prima infanzia” (Marradi e Arculeo 1984 in Faggiano 2007, p. 65 e 66), sono “criteri in base ai quali le azioni possono essere programmate e valutate dallo stesso soggetto senza essere legate a criteri e pressioni esterne” (Di Blasio e Al., 1983; De Leo, 1996 in D’Amico, Di Nuovo, 2010, p. 33). L’analisi condotta evidenzia che i giovani, esattamente il 91,9% degli intervistati, tra i 15 e i 34 anni, considerano la salute la cosa più importante per la propria vita; famiglia (86,5%), pace (80,2%), libertà (79,6%) e amore (76%) seguono direttamente; si individua così una vera e propria scala di valori (cose più importanti) che appartengono sia alla sfera privata degli individui, sia a quella pubblica. Per convenzione i valori elencati possono essere suddivisi in base a due macro categorie: valori riguardanti la vita privata e personale, che chiameremo “personali”; e valori “sociali” che raggruppano sia quelli relativi alla vita collettiva, di comunità, sia quelli che implicano una partecipazione ed un impegno personale per essa. In entrambi i gruppi la correlazione e interdipendenza è comunque molto forte. Per quanto riguarda i valori personali, il grafico sottostante evidenzia una graduatoria significativa: circa il 12% dei ragazzi ritiene la salute il valore personale più importante. Solamente 2,67% ritiene importante il credo religioso; circa il 3% punta alla carriera e al guadagno 1.

1 Dati percentuali in Appendice 1 – Valori “personali”.

31


Grafico

2.2 – Classifica dei valori “personali” – Elaborazione nostra

Valori "personali" religione guadagnare molto fare carriera sport benessere divertimento interessi culturali tempo libero autorealizzazione lavoro istruzione amicizia amore famiglia salute

I valori sociali sono considerati “concezione di uno stato o condizione di sé o di altri, o di sé in rapporto ad altri oggetti o soggetti […] che un soggetto individuale o collettivo reputa specialmente desiderabile […] e in base al quale giudica la correttezza, l’efficacia, la dignità delle azioni proprie e di quelle altrui” (Gallino 2006 in Faggiano 2007, p. 65). Sono, secondo i dati rilevati, in ordine, la pace, la libertà, la democrazia, il rispetto delle regole, la sicurezza e l’ordine pubblico, la solidarietà, l’impegno sociale, la patria, il prestigio e l’attività politica (come riportati nel grafico seguente 2).

2 Dati percentuali in Appendice 1 – Valori “sociali”.

32


Grafico

2.3 – Classifica valori “sociali” – Elaborazione nostra

Valori "sociali"

attività politica prestigio sociale patria impegno sociale solidarietà sicurezza e ordine pubblico rispetto delle regole democrazia libertà pace

Il Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile rivela curiosamente che i giovani trentenni hanno espresso preferenze, in termini di cose importanti per la vita, poco differenti rispetto ai ragazzi di minore età. Complessivamente si può affermare che i giovani dichiarano un sistema di valori che è maggiormente orientato verso la sfera privata e delle relazioni interpersonali ristrette; mentre per quanto concerne la sfera sociale e collettiva si nota una minore sensibilizzazione. I giovani preferiscono le relazioni con i propri coetanei, rispetto a quelle familiari. Il gruppo di pari rappresenta un momento fondamentale per la creazione e lo sviluppo dell’identità sociale di un ragazzo e per la progettazione e realizzazione del proprio futuro impegno, da persona adulta (Centro Studi e Documentazione sulla Condizione Sociale Giovanile, 1987). È di grande aiuto per la formazione del sé e, attraverso il confronto, per l’elaborazione di considerazioni

33


e la ricerca di risposte relative alla crescita. Una “compagnia” di amici permette, anche solo in modo semplice, di condividere: condividere tra simili le stesse difficoltà, le stesse visioni, a volte le stesse aspettative, le stesse emozioni. Per questo sono preferibili contesti ristretti o relazioni più confidenziali intraprese solamente con pochi. I giovani legati a gruppi di pari, formali o no, possono anche costituire o sembrare appartenenti ad subculture. Spesso quando si parla di subculture giovanili si fa riferimento a culture devianti, contro-culture o culture estreme ma ovviamente non caratterizzano la totalità dei gruppi. L’appartenenza ad un gruppo ha una funzione identitaria individuale, come detto prima, ma anche comunitaria: esiste una cultura del gruppo che permette al giovane di sentirsi parte di qualcosa, di contare e di avere un ruolo, che però si riflette, spesso, anche nella società; e si propone come ottima alternativa alle visioni del mondo adulto. Le aggregazioni giovanili si formano nello stesso quartiere, perché si fa parte della stessa squadra sportiva, in vari ambienti extra scolastici, ma la maggior parte dei legami tra ragazzi si crea a scuola: le classi ne sono l’esempio principale. La scuola rappresenta lo “spazio sociale” (Frabboni, Montanari, 1991) in cui adolescenti e giovani acquisiscono professionalità, formazione, educazione e vera e propria socializzazione non familiare. È partendo dai valori e dalla convinzione in essi che i giovani possono realizzare i loro sogni, desideri e aspettative personali. Le aspettative individuate dalle ricerche condotte tra i ragazzi riguardano normalmente la previsione di terminare gli studi, un futuro lavoro, una lenta uscita di casa e creazione di una famiglia, con forse anche un figlio. In generale è questo il consueto percorso di vita che accompagna l’adolescente verso il mondo degli adulti. In realtà se queste rimangono le tappe fondamentali, svariate e diverse sono le vie per raggiungerle; il percorso formativo è lungo e termina, se termina, in età avanzata; la ricerca di lavoro molto difficoltosa, quasi impossibile se si mira ad un’occupazione a tempo indeterminato; l’uscita di casa non risulta sempre essere una priorità e se avviene si condivide un appartamento con amici, si convive e forse poi ci si sposa; per

34


quanto riguarda la nascita di figli, le statistiche demografiche preoccupanti sono chiarificatrici. Ciononostante i giovani si ritengono abbastanza soddisfatti della loro condizione, di quello che sono e che hanno, cosa forse dovuta alla mancanza di forti pressioni o tensioni da parte della società. Per quanto riguarda i bisogni, invece, le necessità che si evidenziano nei e tra i giovani sono diverse e legate alla condizione storico, culturale, sociale e anche territoriale. Un esempio sono gli aumentati flussi migratori caratterizzanti gli ultimi vent’anni che hanno modificato la condizione giovanile e senz’altro moltiplicato quantitativamente e qualitativamente le esigenze dei giovani stessi. L’esperienza dei giovani è legata a percorso di vita, alla famiglia di origine dalla quale derivano, ai rapporti, all’educazione e alla formazione ricevuta. Il contesto influenza notevolmente risorse, desideri e necessità dei ragazzi che abitano un luogo. Esperienze e contesto sono perciò fondamentali allo stesso modo, sia per la situazione attuale che vivono, sia per quella futura. Le esigenze dei giovani sono in generale di tre categorie: individuali, relazionali e sociali. Quelle individuali riguardano l’identità e la sua creazione, il rapporto con se stessi e la propria persona; quelle relazionali, invece, sono legate agli altri, a come ci si rapporta con le altre persone, con chi è simile, con chi è diverso, con l’altro sesso, con lo straniero e quale sia il livello di apertura e fiducia. La sensazione di appartenenza cittadina, la capacità e il desiderio di informazione e conoscenza della società, locale e non, la capacità di lavorare in gruppo e la partecipazione sono infine le esigenze sociali. Si riscontra un grande problema per i giovani: riuscire a realizzarsi, in un connubio tra le proprie origini e i legami ad esse connessi ed il proprio personale, originale, nuovo progetto di vita. I giovani hanno bisogno di modelli, di riferimenti, istituzionali e non; per affrontare l’incertezza, la fragilità e la difficoltà di identificazione e relazione con la società. Necessitano di spazi sociali, luoghi di accoglienza, aggregazione, occasioni di qualificazione sociale, di confronto, di ricerca di soluzioni a quella

35


costante

confusione

ed

oscillazione

tra

l’entusiasmo

partecipativo

e

l’individualismo auto – esclusionista; tra la voglia di autonomia e la cosciente incapacità di indipendenza; la fretta di crescere e il contemporaneo timore del futuro. La molteplicità dei modi di vita, la difficoltà di affermazione, l’esclusione, la solitudine portano ad una forte ed evidente difficoltà nella realizzazione di sé e del proprio essere. È la società che si occupa e si deve occupare di queste criticità e bisogni che i giovani rivelano, e cercarne una risposta. Oggi, questa e il mondo degli adulti tengono poco in considerazione i giovani; per il loro non ruolo sociale, economico e professionale,

tendenzialmente

ostacolano la loro espressione e creatività. Ilvo Diamanti nel suo elaborato “La generazione invisibile” (Diamanti 1999, p. 11) è molto schietto nel criticare gli adulti; sottolinea la loro incapacità nell’insegnare, nell’offrire valori, “li preferiamo invisibili, quando si muovono, si manifestano, più che le novità del futuro annunciano le difficoltà e le miserie del presente”; “non più un soggetto sociale che esprime novità e cambiamento. O che, al contrario, evoca normalità e riflusso”; scrive “sono, invece, osservati con disattenzione e un po’ di fastidio”. La complessità sociale contribuisce a diminuire, se non fermare del tutto, il processo naturale che accompagna i giovani nel passaggio verso l’età matura. La situazione non facilita il loro percorso evolutivo, educativo, formativo e, tenuti protetti dalla società, vengono da essa stessa lasciati in disparte, quasi come se il futuro non fosse loro, non fossero loro i protagonisti del domani; ma come si può diventare buoni protagonisti di domani se non imparando ad essere protagonisti dell’oggi. Come i loro genitori lo sono adesso, diventati così aiutati, forse, dal passato brusco e veloce passaggio dall’adolescenza alla maturità, i giovani, adulti “in progress”, diventano protagonisti di domani. Il contatto con la generazione precedente è importante; tuttavia è da considerare anche il fatto che nelle comunità sociali esistono ambiti a cui ogni individuo deve prender parte: la

36


politica, l’economia, l’educazione, la scienza, il diritto sono i principali ed tutti possono e devono essere inclusi in ciascuno di essi, nessuno escluso: dunque anche i giovani. Il giovane è un individuo particolare ma sempre individuo (Centro Studi e Documentazione sulla Condizione Sociale Giovanile 1987) e nonostante, nel processo di educazione e formazione in cui si trova, non abbia ancora a disposizione tutte le capacità e risorse di una persona adulta, è sempre anche cittadino (“giovani sì, ma sempre cittadini” in D’Amico, Di Nuovo, 2010, p. 25). Aiutare i giovani a diventare buoni cittadini ed adulti responsabili, liberi ed coscienziosi è responsabilità degli adulti di oggi ma anche degli stessi giovani che progettando il domani cominciano a diventarne parte. I giovani diventano perciò attori sociali; la gioventù è energia, potenzialità, progettualità e, attraverso l’apprendimento delle principali regole di convivenza e la sperimentazione di esperienze nuove, è socializzazione (Cipolla 1989). Mannheim in “Le rappresentazioni sociali dei giovani in Italia” (Crespi 2002, p. 28) dichiara che “sono un soggetto sociale solo se esistono giovani che agiscono in quanto tali e vengono riconosciuti come tali”; per le potenzialità che incarnano, dovrebbero essere quindi considerati risorsa, sia per lo sviluppo locale, nel territorio di appartenenza, sia per quello economico, culturale e sociale (Neresini 2002) e fattore di modernizzazione, novità e progresso. Il VII Congresso Mondiale di Sociologia nel 1970 già faceva cenno alla gioventù come fattore di cambiamento e le precedenti analisi condotte dall’UNESCO evidenziavano la possibilità di porre l’“attenzione all’integrazione dei giovani come forza produttrice e realizzatrice in seno e a profitto di una data società, che alla gioventù come fattore creativo ed elemento attivamente partecipe di questa stessa società” (Scarpati 1973, p. 33). Esiste, per fortuna, chi crede in questo e che “vi sia largo spazio per una politica positiva che inverta la tendenza al ritardo, aumentando gli investimenti in formazione su una risorsa (i giovani) che sta diventando scarsa […] premiando l’iniziativa” (Livi Bacci 2008, p. 86); è responsabilità della

37


società fare in modo che questi diventino gli adulti del domani. Si rivela quindi necessario attivare meccanismi di formazione ed educazione dei giovani, affinché possano sviluppare una propria presa di coscienza e consapevolezza del mondo che abitano ed una attivazione concreta per quello in cui vorranno abitare.

2.2 Giovani: da oggetti di analisi a soggetti sociali Si sono finora analizzati il significato, o meglio, i significati e le caratteristiche dell’essere giovane e della condizione giovanile. Posto come presupposto si va a verificare come questi “oggetti di studio” siano in realtà “soggetti sociali”. Di seguito una rappresentazione grafica mostra il processo evolutivo ed il percorso che si vuole seguire per dimostrare l’importanza dei giovani. L’immagine racchiude un duplice significato: da un lato si evidenzia il percorso di analisi che si intraprende a livello metodologico; dall’altro, questa stessa figura accompagna il lettore a seguire e comprendere il processo mentale. Si comprende così, come i giovani, “oggetti di analisi”, racchiudono in sé delle potenzialità, che vengono riconosciute dalla società (riconoscimento sociale), o meglio dal contesto sociale e dagli adulti. L’educazione e la presa di coscienza permettono ad adolescenti e ragazzi di diventare “soggetti sociali”; con e per responsabilità sociale essi sono chiamati alla partecipazione e a compiere atti di vero e proprio protagonismo.

38


Figura

2.1 – I giovani da oggetto a soggetto: processo evolutivo e percorso di analisi – Elaborazione nostra

oggetti sociali potenzialità riconoscimento “sociale” educazione soggetti sociali partecipazione protagonismo

Si è concluso il paragrafo precedente sostenendo che i giovani, oggetto di numerose analisi socio-antropologiche, sono portatori di potenzialità individuali e collettive; da questo deriva l’importanza del riconoscimento da parte della società adulta del loro valore e la conseguente responsabilità di educare i giovani alla formazione della propria identità. Si dimostra, più avanti, che l’essere soggetti sociali permette alla generazione giovanile di essere rappresentante di individui partecipi alle decisioni e veri protagonisti della propria esistenza nei vari contesti. Gli adulti devono ascoltare, dare fiducia, pensare spazi in cui adolescenti e ragazzi possano esprimersi; così da creare i presupposti per costruire un contesto in cui essi siano soggetti attivi e protagonisti in grado di realizzare se stessi nella comunità. “Ask the boy”, è allora, non solamente il motto del buon capo scout, ma vera essenza di una società che comprende l’importanza dei giovani e li considera risorsa fondamentale per lo sviluppo sostenibile. Esistono già primi passi o tentativi diretti ad una maggiore considerazione della giovane generazione e del protagonismo; differenti sono però i soggetti e le modalità con cui i giovani si relazionano. A livello istituzionale, con la Legge Quadro 328/2000 (citata anche nel primo capitolo), si è sottolineata la necessità di

39


considerare fondamentale, assieme ai principi di universalità, sussidiarietà orizzontale e qualità dei servizi, anche il protagonismo dei cittadini. L’idea vincente di far sentire i giovani cittadini e quindi protagonisti delle scelte che li riguardano, permette di aspirare e raggiungere quella condizione di benessere, per oggi e per domani, in un’ottica di sostenibilità. Anche l’Unione Europea, nel contesto internazionale, si è mossa a favore dell’educazione e in seguito vedremo in che modo. Sempre a livello decisionale, e quindi normativo, si evidenzia anche la necessità di modificare o creare leggi che favoriscano i giovani (Livi Bacci 2008). Società, Stato, Regioni, Enti Locali, istituzioni, associazioni, privato sociale, scuole, agenzie, imprese, famiglie rappresentano i soggetti principali che, con mezzi e strumenti adatti, subentrano ed applicano quelle che sono definite politiche giovanili. Le politiche giovanili sono quegli interventi attuati in favore dei giovani, di tutti i giovani, in un’ottica di promozione e crescita degli stessi, grazie al loro coinvolgimento diretto. L’esperienza diretta è il modo più efficace per coinvolgere i ragazzi e permettere loro di attivarsi: fondamentali sono i momenti di aggregazione e confronto (Gallini, Maurizio 2007). Le iniziative di attivazione maggiormente

utilizzate

da

queste

politiche

riguardano

soprattutto

l’accompagnamento dei giovani verso uno stato di maggiore autonomia, per raggiungere

lo

sviluppo

pieno

della

personalità,

la

partecipazione

e

l’apprendimento continuo. Le politiche giovanili si realizzano o sono progettate soprattutto in contesti locali; la dimensione locale permette una maggiore vicinanza e comprensione delle problematiche, in una visione di sussidiarietà. I promotori, realizzatori e destinatari di questi interventi beneficiano in maniera più efficace e diretta, sia in termini di risultati, sia, in maniera particolare, in termini di partecipazione. Esiste, a questo proposito, un Accordo sottoscritto annualmente dal Dipartimento della Gioventù della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’ANCI (Associazione

40


Nazionale dei Comuni Italiani; Rif. Ministero della Gioventù e ANCI), destinato principalmente allo sviluppo del volontariato giovanile e alla valorizzazione da parte dei ragazzi del territorio e delle sue specificità, in prospettiva di crescita locale. L’appartenenza locale diventa perciò un fattore di rilevante importanza e costituisce il contesto maggiore in cui i giovani sono chiaramente chiamati ad essere soggetti sociali veri e propri. Le indagini sul senso di identità territoriale dei giovani evidenziano, da un lato, un forte e persistente legame locale; dall’altro una tendenza verso l’ampliamento dei confini a mondi più lontani. I dati dell’ultima indagine IARD sulla condizione giovanile (Buzzi, Cavalli, De Lillo, 2007) dimostrano che, tra i giovani, quasi la metà (quattro su dieci) dichiarano di sentirsi maggiormente legati al proprio comune; minore invece (un quarto dei ragazzi intervistati) è il numero di chi esprime un sentimento di appartenenza allo Stato nella sua interezza, nonostante l’influenza della globalizzazione. L’avvicinamento al contesto ed alla realtà territoriale piuttosto che ad una più estesa comporta un maggior senso di appartenenza anche per le persone non native del territorio, dagli stranieri, ai cittadini comunitari, fino a coloro che si sono trasferiti da un luogo ad un altro all’interno dei confini nazionali. La società locale e la comunità di appartenenza divengono quindi fondamentali in questo contesto storico di migrazione e soprattutto per la relazione con le nuove identità comunitarie che si creano: mescolate da abitanti italiani e stranieri assieme. Le politiche giovanili si confrontano anche con questo aspetto e pongono fondamentale attenzione all’inserimento sociale, al sentimento di diversità che può emergere e ad un conseguente investimento sull’accettazione della multiculturalità, multi-tradizionalità, multi-identità. Per quanto riguarda il rapporto dei giovani nella società, si riscontra l’esigenza di conquistare uno spazio sociale ma anche politico ed economico, dal quale essi sono esclusi. Secondo Livi Bacci (2008) la “riscossa” della giovane generazione

41


avviene attraverso tre modalità: ideale, attraverso leader che riescono a motivare le scelte e creano autostima ed autonomia; normativa, già precedentemente menzionata; con la terza si cambiano i meccanismi legati alla considerazione dei giovani e rafforza le loro potenzialità. Lo scopo è di offrire ai ragazzi di oggi strumenti per comprendere e modificare la società. La conoscenza di sé, del mondo e l’accettazione delle differenze, attraverso una maggiore comprensione reciproca, un maggiore senso di responsabilità e una maggiore solidarietà, forniscono i giovani di risorse che facilitino la loro transizione alla vita adulta. Per realizzare questo obiettivo i giovani, inseriti in un contesto, creano relazioni ed apprendono esperienze attraverso la socializzazione e l’educazione. Il ruolo della famiglia, come luogo primario di socializzazione e formazione, e delle altre istituzioni educative è infatti “favorire la presa di coscienza, educando all’accettazione, alla gratuità, ad ascoltare le proprie necessità e i propri desideri, alla creatività, all’atteggiamento positivo, all’ottimismo, all’accogliere il limite, al diritto all’errore, all’essere positivamente inadeguato, alla nuova possibilità, alla profonda leggerezza, alla sapienza del cuore, allo sguardo alternativo sulla realtà, allo humor, all’autostima, alla meraviglia, alla tenerezza, alla fiducia, alla prosocialità” (Fattori in Vanzan 2008, p.12). La società ha il compito di trasmettere ai giovani un’educazione, vista però non come mero insegnamento o inserimento di informazioni e conoscenza passiva, ma come strumento per fornire le basi che permettano di comprendere la realtà circostante, di realizzare valutazioni e sviluppare un senso critico, indispensabile per formare coscienza, consapevolezza e identità. L’educazione viene intesa come realizzazione della persona che impara a essere nella sua totalità. Deve trasmettere sempre più saperi, adatti ed adattati ad una civiltà che si fonda nella conoscenza, perchè queste rappresentano le basi per le competenze del futuro (www.iidac.eu) e per la comprensione dei cambiamenti che si verificano. Il suo compito è aiutare gli uomini a capire; cercando di evitare che si crei una distanza abissale tra individui che trovano un cammino di successo

42


ed in salita; e chi invece si trova ad essere guidato dagli eventi e da altre persone, senza poter cambiare e creare il proprio futuro; verso una disgregazione della democrazia. Per evitare questo bisogna equipaggiare i giovani con punti di riferimento ed aiuti concreti al fine di imparare e rafforzare la capacità di comprensione e di giudizio. È necessario offrire strumenti adatti per sviluppare i propri talenti e trasformare in risorse le proprie potenzialità, “compresa la responsabilità per la propria vita e il conseguimento dei propri fini personali” (Delors, 1997, p.15). L’educazione è fondamentale sia per lo sviluppo della persona che dell’intera comunità (sociale); rappresenta un mezzo essenziale per i giovani, per la loro accoglienza e presenza nella società, riservando loro un particolare posto di diritto; nella famiglia, nel sistema educativo, nella comunità locale, nella nazione, nel mondo. Il processo che si avvia con l’educazione è un cammino di crescita; attraverso fasi di apprendimento ed espressione della propria personalità, in stretta relazione con sé stessi e con gli altri. È in questo modo che l’educazione diventa progettualità dell’Essere. La Commissione Internazionale per lo Sviluppo dell’Educazione per il Secolo XXI dell'UNESCO coordinata da Jaques Delors, individua nella relazione “Educazione, un Tesoro da scoprire” quattro pilastri dell’educazione, che rivelano l’importanza dell’educazione come esperienza che coinvolge l’individuo nella sua totalità: a livello personale e relazionale, cognitivo e pratico, individuale e collettivo, per “diventare un essere umano completo” (Glossario di terminologia per

l’educazione

degli adulti,

Bureau

International

d’Education,

1979

dell’UNESCO). I quattro pilastri sono: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme e imparare ad essere.

43


Figura 2.2 – I quattro pilastri dell’educazione - Elaborazione propria

essere vivere insieme fare conoscere

Imparare a conoscere significa imparare ad imparare, in modo tale da trarre beneficio dalle opportunità offerte dall’educazione nel corso della vita. Permette di utilizzare la propria conoscenza per comprendere il mondo in cui si vive e aumenta la curiosità, stimola il senso critico e permette quindi l’acquisizione di maggiore autonomia. Imparare a fare consiste nell’utilizzare le nozioni teoriche acquisite mettendole in pratica; per accrescere un’abilità professionale e servirsi delle proprie competenze personali. Ciò vuole dire anche imparare a fare nel contesto delle varie esperienze sociali e di lavoro in cui ci si può trovare. Imparare a vivere insieme presuppone la relazione con le altre persone, la comunità e la società in generale; significa capire come rapportarsi con l’altro, osservandone le somiglianze, le differenze, le peculiarità. Nell’interazione con gli altri, da quella face to face, al piccolo o grande gruppo, si evidenzia la presenza contemporanea di necessità, del gruppo e di ogni singolo; in una combinazione di differenti elementi: valori, norme, status, ruoli, atteggiamenti, comportamenti e sistemi di premio o punizione (Branca in Vanzan 2008).

44


Imparare ad essere racchiude infine l’essenza dell’educazione; essa deve avere come finalità ultima lo sviluppo dell’individuo nella sua interezza; far emergere la personalità, l’autonomia di giudizio, la responsabilità, la decisione e l’azione. L’elaborazione dei quattro pilastri vuole dimostrare che la funzione fondamentale dell’educazione è quella di far acquisire “libertà di pensiero, discernimento, sentimenti e immaginazione di cui hanno bisogno per sviluppare i propri talenti e rimanere il più possibile padroni del proprio destino” (Delors in Vanzan 2008, p. 8). Il processo educativo inoltre può creare innovazione e trasformazione attraverso strumenti di partecipazione, condivisione e collaborazione. Quindi, se da un lato è la società, attraverso l’educazione, che deve riconoscere ed apprezzare il ruolo e il potenziale dei giovani, anche come attori da integrare nei processi decisionali, dall’altro, sono i giovani stessi che devono crearsi degli spazi e prendere consapevolezza di queste loro capacità per trasformarle in azioni. “Anche noi abbiamo un ruolo nella società e soprattutto una dignità che va rispettata” (De Pieri, Causin 2009). È così che adolescenti e giovani diventano veri e propri soggetti sociali. Per soggetti sociali si considerano individui che partecipano attivamente alle decisioni che riguardano se stessi ed i propri contesti di vita, per un maggiore benessere dell’intera comunità. Il pensiero sociologico ha fornito varie definizioni del concetto di azione sociale. Secondo Weber (1922, trad. it. 1999, p. 4), l’azione sociale è “l'azione il cui scopo è orientato verso altre persone e condiviso con altre persone”. In base a questa definizione, l’attore sociale è colui che dà significato intenzionale al suo agire; secondo determinati valori o semplicemente per impulsi emotivi irrazionali. Parsons (1937 trad. it. 1962, p. 18) riprendendo questa definizione, considera “l'azione sociale come ogni comportamento motivato e influenzato da precise cause che consistono nello scopo di raggiungere determinati obiettivi” e ne individua le seguenti caratteristiche: presenza di un soggetto-agente motivato, una

45


situazione di partenza, simboli e regole che danno credito all’azione. In termini generali, possiamo utilizzare la seguente formulazione: “una sequenza intenzionale di atti forniti di senso che un soggetto individuale o collettivo (attore o agente) compie scegliendo tra diverse alternative, sulla base di un progetto […] al fine di conseguire uno scopo” (Gallino 2006, p. 68 e 69). Complessivamente un attore, un soggetto sociale è colui che mette in atto delle azioni, in base a delle decisioni (progetto), per raggiungere degli obiettivi. Tutto questo si compie all’interno del contesto sociale di appartenenza e quindi può essere considerato a beneficio della comunità. Considerare i giovani come soggetti sociali significa renderli attivi nella società, attraverso la partecipazione, con scopi di pubblica utilità, per trasformare e creare il futuro, in un’ottica di sviluppo sostenibile.

2.3 Giovani: da problema a risorsa. La partecipazione e il protagonismo I giovani, come soggetti sociali, per raggiungere il benessere sostenibile, attraverso la partecipazione, da “buoni cittadini” (Baden-Powell 2006), non rappresentano più un problema ma cominciano ad essere considerati una vera e propria risorsa, “non come una minaccia all’autorità degli adulti […] ma come parte reale della soluzione delle proprie difficoltà” (Calpona, 2009, p. 12) e contributo per lo sviluppo dell’intera società. Il “problema giovani” racchiude in sé due diversi significati: da un lato i giovani sono considerati dagli adulti come un problema, un momento della crescita spesso difficile e forse un po’ scomodo da gestire; dall’altro essi manifestano dei bisogni a cui trovare una soluzione; ed è in questo senso che rappresentano, o meglio manifestano un problema. Coniugando assieme queste due interpretazioni si può dedurre che se il mondo degli adulti confida o considera in maniera meno drammatici i periodi dell’adolescenza e della giovinezza, e si focalizza sulle esi-

46


genze dei ragazzi, diventa anche più semplice comprendere come questi stessi (i giovani) possano diventare risolutori dei loro problemi (in un’ottica che con il protagonismo si lega in modo perfetto). Utilizzare i problemi e bisogni dei giovani (descritti nel primo paragrafo di questo capitolo) diventa così una strategia per fare in modo che essi stessi realizzino interventi che modifichino il loro status. La partecipazione e il protagonismo sono strumenti efficaci per trasformare da problema o problemi, a risorsa, o risorse i ragazzi d’oggi. Il giovane prende in carico la sua personale situazione e ricerca proattivamente una soluzione ad essa; in questa maniera diventa soggetto produttivo della propria esistenza. Lo spirito di iniziativa, di fantasia, collaborazione e sfida che caratterizza adolescenti e giovani contribuisce a creare una sorta di rete di auto-mutuo-aiuto per trovare una risoluzione a diverse questioni comuni. A partire dalle loro difficoltà, i giovani possono essere facilmente coinvolti anche nelle problematiche del mondo adulto e della società, nella sua interezza. Il processo logico seguito porta l’individuo alla iniziale realizzazione di ciò che lo riguarda prettamente, di ciò che lo circonda poi, sempre più verso una dimensione che si amplia ed espande; prendendo così coscienza di tutta la realtà e della responsabilità dell’esserne parte. È in questo modo che i giovani possono costruire la società che desiderano, attivandosi, sensibilizzati e affiancati da esempi adulti. Figura 2.3 – Il percorso di attivazione dei giovani – Elaborazione nostra

io

i vicini

la società

I giovani rappresentano una “risorsa per il cambiamento” (D’Elia 2006, p. 6); soggetti creativi, ideatori di innovazioni, portatori di sperimentazione e capacità di adattamento, per il futuro ma anche e soprattutto oggi, nel presente.

47


Le

modalità

per

dare

importanza

a

questa

risorsa,

assicurandole

contemporaneamente attenzione e tutela, sono, dapprima, “fornire ai giovani degli obiettivi”, coinvolgerli attivamente, per poi arrivare a lasciar loro lo spazio necessario per divenire protagonisti veri e propri della loro esistenza, personale, relazionale, sociale. Ancora una volta, compito della società è credere nei giovani, investire su di essi per “lasciare un mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato” (Baden-Powell 2006) a loro e perché, a loro volta, questi stessi continuino nella direzione. Sono fattore di cambiamento, soggetti creatori, destinatari di esso, ed anche “risorsa sociale” (Petrosino 2007); in grado di creare crescita e benessere. Considerare i giovani come risorsa, e non mero problema permette di valorizzare il potenziale acquisito mediante l’educazione e trasformarlo in strumento per realizzare a pieno i propri desideri ed aspettative, presenti e future; costruire la propria unica identità e diventare cittadini attivi nel mondo. “Gioventù” e “risorsa” rappresentano un binomio fondante per le politiche destinate ai giovani. Queste infatti non riuscirebbero ad avere risultati significativi se non considerassero i destinatari delle loro proposte soggetti con potenzialità latenti (da far emergere), che nella crescita e per raggiungere l’autonomia, siano speranza per il futuro. Tutto ciò è realizzabile mediante la partecipazione e il protagonismo delle giovani risorse. La partecipazione è intesa come diritto ed opportunità di essere parte attiva della società, della vita pubblica e delle decisioni che riguardano la propria comunità e vita; allo stesso tempo è considerata anche un dovere, per contribuire allo sviluppo. Per quanto riguarda la partecipazione ed i giovani, essa è “indispensabile per assicurare un futuro alle comunità democratiche” (D’Elia 2006, p. 30). Alcuni studi condotti da Gallini e Maurizio (2007) attraverso l’analisi di numerosi progetti realizzati, hanno rilevato che la partecipazione giovanile può essere suddivisa in tre aree: la dimensione individuale della partecipazione, quella comunitaria e di gruppo e quella istituzionale. Le prime due riguardano lo

48


sviluppo di qualità personali, di realizzazione di sé, di confronto e relazione. Il terzo aspetto fa riferimento ad una dimensione più ampia ed a un coinvolgimento di strutture più definite e formali. Sono necessari, per poter svolgere attività di partecipazione con e per ragazzi alcuni presupposti: un atteggiamento positivo nei confronti dei giovani; “finché il mondo degli adulti, ovvero quello che mediamente essi pensano, non modifica il proprio punto di vista intorno ai giovani difficilmente si potrà pensare ad azioni efficaci di promozione” (Gallini, Maurizio 2007, p. 128), fiducia al mondo giovanile così da rendere possibile la scoperta e la valorizzazione del capitale che essi rappresentano. La partecipazione si concretizza e prende forma attraverso differenti modi: da una partecipazione più vincolata, verso una maggiore attivazione e autonomia dei soggetti coinvolti (si veda la tabella 2.1 sottostante). Tabella 2.1 – Modelli di partecipazione – Elaborazione propria da fonti IIDAC Modelli di partecipazione

Ruolo dei giovani

Manipolata

eseguono quello che decidono e controllano gli adulti

Decorativa

segnalano appena la loro presenza partecipano come messaggio per ricordare la loro pre-

Simbolica Operazionale Pianificatrice e operazionale

senza agli adulti partecipano appena all’esecuzione di un’azione partecipano alla pianificazione e all’esecuzione di un’a-

Decisoria, pianificatrice e

zione partecipano alla decisione, pianificazione, esecuzione di

operazionale Decisoria, pianificatrice,

un’azione partecipano alla decisione, pianificazione, esecuzione e

operazionale e valutativa

valutazione di un’azione partecipano alla decisione, pianificazione, esecuzione,

Collaborazione piena Piena e autonoma Conduttrice

valutazione e appropriazione dei risultati realizzano tutte le tappe realizzano tutte le tappe e orientano la partecipazione degli adulti

49


La “Global Strategy on Adolescent Participation and development” (Strategia Globale per la Partecipazione e lo Sviluppo dell’adolescente) dell’UNICEF considera la partecipazione come un diritto e ritiene che sia strumento grazie al quale è possibile soddisfare i diritti dell’uomo. Nel considerare i giovani parte attiva nella partecipazione, l’Organizzazione ha individuato alcuni metodi per realizarla: la consultazione, la fornitura di informazioni, l’incoraggiamento alla riflessione e all’analisi della realtà che ci circonda, la ripartizione delle responsabilità, tra adulti e ragazzi, la garanzia di risposte chiare ed esplicative ad eventuali richieste dei giovani e la concessione della possibilità di esprimersi in pubblico. In questo modo adolescenti e giovani sono accompagnati ad un processo di partecipazione ed essa diventa così concreta, con azioni e strategie, verso una trasformazione sociale e un maggior benessere comune. Trasformazione sociale e benessere comune sono obiettivi e responsabilità di ogni cittadino. La partecipazione diventa così un “aspetto dinamico” (D’Amico, Di Nuovo 2010) della cittadinanza; dinamico perché attivo, dinamico perché, in un contesto di globalità e globalizzazione, con l’allargamento di tutti i confini, geografici, sociali, culturali, parlare solamente di inclusione diventa riduttivo, la partecipazione invece raccoglie e incorpora tutti gli aspetti della società e tutti i suoi membri. È così che partecipazione e cittadinanza hanno un valore semantico legato e correlato; la partecipazione può essere intesa come strumento per adempiere alla responsabilità del cittadino come membro attivo della società di appartenenza; allo stesso modo il senso di cittadinanza fa sì che l’individuo senta il dovere di essere partecipe nella vita e nelle decisioni del territorio che abita. È la complementarietà tra questi due termini che svela la possibilità, anche per le giovani generazioni, di essere considerati parte attiva della società. È importante discernere tra cittadinanza e senso di cittadinanza ed appartenenza: distinzione fondamentale quando si parla di popolazioni miste e soprattutto di convivenza con stranieri; stranieri ma pur sempre destinatari di diritti e doveri e in

50


particolare soggetti con sentimenti di appartenenza che spesso vanno oltre la mera formalizzazione dell’acquisizione della cittadinanza italiana. Italiani e stranieri sono quindi invitati a collaborare; nella ricerca di spazi di partecipazione e cittadinanza si mescolano assieme esperienze diverse, con l’obiettivo del rispetto dei diritti fondamentali e con la costruzione di una “cittadinanza dal basso” anche se spesso frammentata e discontinua (Besozzi, Colombo, Santagati 2009). Come risorsa i giovani sono chiamati ad essere partecipi ma anche veri protagonisti. Protagonisti significa fare uso del protagonismo. Il termine protagonismo è di origine greca ed è formato da due radici: “proto” che significa “primo o principale” e “agonistes”, che vuol dire “caccia”; quindi una possibile interpretazione di colui che fa protagonismo, è “persona che gioca o occupa il primo posto in un evento” (Rui Mesquita Cordeiro 2003). Il dizionario della lingua italiana definisce protagonismo, la “posizione centrale e determinante in un fenomeno, in un’azione”; oppure la “tendenza ad assumere un ruolo di primo piano”. Il protagonista è colui che occupa questa posizione e ruolo, quindi la persona che attivamente lavora, opera per un dato fine. In riferimento ai giovani, si parla di protagonismo per riferirsi a “tutte quelle forme di partecipazione singola o aggregata alla vita sociale della città che permettano ai giovani di sentirsi soggetti attivi e responsabili” (Gallini, Maurizio 2007, p. 128). Protagonismo giovanile significa dunque “considerare il giovane come individuo dotato d’iniziativa propria (capacità di agire), di libertà (possibilità di scegliere), e di capacità di impegnarsi (responsabilità)” (www.iidac.org). Grupo Interagir, un’associazione di giovani a Brasilia, afferma che “youth protagonism” significa “giovani che partecipano come attori principali in azioni che riguardano […] problemi legati al bene comune, alla comunità o alla società in generale” (“youth protagonism means, technically, young people to participate as the principal actor in actions that do not say respect to their private, familiar and affective life, but to problems in relation to the common good, in the school, the community or the society as a whole”, Rui Mesquita Cordeiro 2003). I

51


giovani vengono inoltre considerati, sempre secondo Rui Mesquita Cordeiro, come una fonte di iniziative, azioni, libertà, scelta e impegni e responsabilità (“Another aspect of protagonism is the notion of young people as source of initiatives, of action; as source of freedom, of option; and as source of commitments, of responsibility”). Conoscere, essere educato, acquisire “consapevolezza sociale” (Sen 2000) e strumenti necessari per la progettazione sono gli elementi costitutivi per la formazione dei giovani e rappresentano il passaporto per renderli capaci di progettare, agire e trasformare il mondo; vicino (sviluppo locale), lontano (globale) e, in ogni caso, sostenibile (nel tempo come nello spazio geografico e sociale). La concreta realizzazione di interventi da parte dei giovani li rende soggetti visibili e soprattutto credibili nei confronti della società. È necessario, pertanto, lasciare ai giovani il giusto spazio, “fornire forme di sostegno al protagonismo e all’attivazione giovanile come l’associazionismo, la creatività, il volontariato, l’imprenditorialità, la trasmissione delle informazioni e della conoscenza tra pari” (D’Elia 2006, p. 31). L’associazionismo stimola i ragazzi al confronto, al lavoro di gruppo e alle relazioni e dinamiche che si creano all’interno di specifici contesti collaborativi. La creatività permette di rendere le azioni dei giovani innovative e fantasiose. Il “volontariato” rappresenta per i giovani, uno strumento di identificazione, affermazione, relazione, formazione e campo di prova per le future esperienze professionali. Il volontariato giovanile, visto come una scoperta (“volontariato della scoperta”), un momento di socializzazione e conoscenza di sé e degli altri, per mettersi in gioco e alla prova in diverse situazione; “è dunque una sfida e verifica delle proprie capacità, non meno che dei propri ideali” (Ambrosini 2005, p. 206; Bulsei 2008, p. 28 e 29). Coinvolgere i giovani in attività di volontariato, eliminando eventuali ostacoli alla partecipazione e a ruoli di responsabilità,

52


significa avvicinarli e testare il loro senso di cittadinanza e migliorare la qualità dei servizi offerti. L’imprenditoria giovanile può, in questo caso, essere interpretata come l’acquisizione di capacità dei giovani di essere agenti, soggetti in grado di progettare e realizzare iniziative, programmi, organizzazioni, “con una missione sociale” e secondo Dees, “imprenditori […] capaci di svolgere il ruolo di agenti del cambiamento nel settore sociale” (Rui Mesquita Cordeiro 2003). La trasmissione di informazione e conoscenza tra pari garantisce la creazione di reti sociali in grado di attivarsi in maniera solidale per la risoluzione di problematiche, la gestione di situazioni ed l’attuazione di nuove proposte. L’accessibilità e la comprensione delle informazioni aiutano i giovani a costruire un senso critico e a favorire il confronto. Queste azioni fanno parte dei 14 obiettivi accolti dal Consiglio Europeo nel 2002 e indicati nel Libro Bianco “Un nuovo slancio per la gioventù europea” (Commissione Europea 2001), assieme, anche, alla sensibilizzazione per la partecipazione alla vita civile e al miglioramento delle conoscenze sulla gioventù (Petrosino 2007), la loro condizione e i loro bisogni, in un clima di ascolto diretto dei ragazzi e di collaborazione con le istituzioni. L’Unione Europea, come già anticipato, è sensibile alla questione giovanile; al coinvolgimento dei giovani nelle politiche: sia quelle che li riguardano direttamente, sia in un’ottica a più ampio spettro, per decisioni su differenti questioni. Le politiche giovanili, a cui abbiamo fatto precedentemente riferimento, hanno anche il compito di attuare le decisioni prese dall’Unione Europea (Patto Europeo per la Gioventù marzo 2005, http://europa.eu) in materia di gioventù. Si nota che tutto ciò che riguarda l’attivazione dei giovani, la partecipazione, il protagonismo, la pratica del diritto di cittadinanza, l’impegno per attività di pubblica utilità e beneficio della comunità, contribuisce in maniera positiva alla crescita personale, individuale e sociale di adolescenti e ragazzi (Gilbert Scharnik

53


in Vanzan 2009); è per questo motivo che molti e diversi sono i progetti finora attuati, destinati ai giovani. Uno di questi è “Pro-Youth”, un progetto particolare proposto da IIDAC Europa; a seguito del positivo risultato del progetto “Pro-Youth” realizzato in Brasile da IIDAC; l’organizzazione europea ha voluto proporre l’esperienza in Europa e ha elaborato un progetto pilota in Italia, che andremo ad analizzare nel capitolo successivo.

54


CAPITOLO 3: UN PROGETTO PILOTA

3.1 Il contesto: le comunità montane venete e il GAL Il progetto in analisi coinvolge il territorio di due Comunità montane bellunesi, del Centro Cadore e del Cadore – Longaronese – Zoldo. Le comunità montane sono enti territoriali locali, disciplinate dal Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali (art. 27 del D.lgs. n. 267 del 2000) e precedentemente istituite dalla legge n. 1102, nel 1971. Esse sono Unioni fra Comuni montani e parzialmente montani, create per valorizzare le zone di montagna, per l’esercizio di funzioni proprie, conferite e associate. Il Testo Unico delega alle Regioni la gestione delle comunità montane delle zone che rientrano nei confini territoriali. La disciplina e la regolamentazione nazionale delle Comunità montane rispecchiano ed esaltano le caratteristiche delle zone di montagna, mostrando attenzione e sensibilità politica per il loro sviluppo. Per un migliore ordinamento e nel rispetto del principio di sussidiarietà sono le Regioni ad emettere la normativa adeguata nei propri territori. In Veneto, la Regione disciplina le Comunità montane secondo la L.R. n. 19 del 1992 (“Norme sull’istituzione e il funzionamento delle Comunità montane”). Esistono ed occupano circa il 34% di tutto il territorio regionale (con una popolazione però complessiva pari al 10% di quella totale del Veneto) 19 Comunità montane: 9 nella Provincia di Belluno, 6 nella Provincia di Vicenza, 2 nella Provincia di Verona e 2 in quella di Treviso. In generale le Comunità montane venete sono costituite da un minimo di 2 Comuni (la Comunità di Belluno e Ponte nelle Alpi), fino ad un massimo di 18 Comuni nella Comunità veronese della Lessinia per un totale complessivo di 171 Comuni montani. In

55


media il numero di Comuni compresi in una Comunità montana è di circa 9 Comuni3. La Regione Veneto affida a queste istituzioni funzioni diverse, che riguardano soprattutto, come anticipato in precedenza, la valorizzazione del luogo e la non esclusione della popolazione, date le necessità emergenti dalla condizione climatica e strutturale del territorio stesso. Per le Comunità della zona sono previsti interventi speciali per la montagna, la realizzazione di una gestione associata dei servizi comunali e locali, la gestione del patrimonio forestale, faunistico ed agricolo. Per tante di queste attività sono previsti contributi che sostengono l’economia e lo sviluppo delle zone montuose. Le Comunità montane della Provincia di Belluno, in particolare dell’alto bellunese si sono unite per una maggiore collaborazione, creando il “Gruppo di azione locale (GAL) dell’ Alto Bellunese” (http://www.galaltobellunese.com). Il GAL ha come obiettivo principe la valorizzazione del territorio bellunese e in particolare lavora in sintonia con le Comunità montane progettando interventi soprattutto per il territorio, lo sviluppo e la tutela ambientale, l’economia, il mercato del lavoro, il settore turistico e dell’industria e la popolazione del luogo, facendo attenzione alle problematiche demografiche e sociali. Il GAL comprende 5 Comunità Montane e 43 Comuni (“Comuni montani” secondo la Direttiva 75/273/CEE) della provincia di Belluno; il territorio è prevalentemente “rurale con problemi complessi di sviluppo” (classificazione assegnata dalla Regione Veneto secondo la DGR Veneto n. 199 del 2008), i Comuni sono geograficamente contigui e la popolazione complessiva conta 70.679 abitanti, il cui 93,9% risiede precisamente in aree rurali. La geomorfologia del luogo evidenzia peculiarità paesaggistiche ed ambientali, ma, allo stesso tempo, fa emergere problematiche consistenti; sia per la collocazione geografica isolata e ai margini di reti materiali e sociali, sia per la difficoltà di insediamento e sviluppo di attività produttive. 3 Cfr. Appendice 2 – Comunità montane venete.

56


Le grandi dimensioni del territorio (2.328 Kmq, pari al 12,66% del territorio regionale e al 63,30% di quello provinciale; http://www.galaltobellunese.com), l’incidenza della superficie forestale, la scarsa densità abitativa portano grossi svantaggi ambientali; di tipo sociale invece sono le problematiche legate al forte spopolamento, all’invecchiamento della popolazione, ad un livello di istruzione basso rispetto agli standard europei. L’economia dell’Alto Bellunese è caratterizzata soprattutto da una forte presenza dell’industria dell’occhialeria; affiancano il turismo e il settore primario dell’agricoltura, in forte rilancio nonostante la crisi economica del momento. Importante per la GAL è il patrimonio ambientale e naturalistico. Scarsi sono invece i collegamenti. Ricapitolando ed estendendo, le caratteristiche principali delle Comunità montane dell’Alto bellunese possono essere viste sottoforma di punti di forza e punti di debolezza, tenendo presente diverse aree; in particolare, oltre al contesto ambientale – rurale, è importante osservare quello socioeconomico. Nell’analisi del contesto è funzionale utilizzare strumenti appropriati per individuare le principali informazioni; una tecnica molto usata negli studi di contesti rurali è l’indagine SWOT. L’analisi SWOT (o anche Matrice TOWS) permette di evidenziare i punti di forza (Strenghts), di debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un territorio o di un’azione (Hill, Westbrook 1997). Osservando questi criteri la lettura del contesto diventa più semplice e permette la comprensione di esigenze e bisogni, e la creazione di proposte concrete per uno sviluppo del territorio stesso. L’analisi condotta dal Gruppo di Azione locale, per la progettazione e l’elaborazione del Piano di Sviluppo Locale, in attuazione al Programma di Sviluppo Rurale (PSR) per il Veneto 2007-2013 (EURIS 2008), le informazioni della

Regione

(http://www.regioneveneto.it)

e

della

Provincia

(http://www.provincia.belluno.it) costituiscono ottime fonti per rilevare gli aspetti più interessanti della zona.

57


I punti di forza delle Comunità montane del GAL sono: dal punto di vista demografico la componente femminile, pari a 37.047 persone, rispetto a 33.632 maschi (dati Regione Veneto, U.P. Statistica; http://statistica.regione.veneto.it) che quindi riveste per la quantità un’importante potenziale; dal lato economico, le Comunità montane in oggetto riscontrano una crescita della produttività; è molto forte la presenza del comparto dell’occhialeria e si osserva un progressivo recupero di attività e mestieri tradizionali. Nelle imprese cresce la capacità imprenditoriale e si rende pressante la domanda di innovazione. Il tasso di disoccupazione, in generale, escluso quello femminile, è inferiore alla media nazionale. Per quanto riguarda il territorio in sé, il patrimonio culturale e soprattutto naturalistico, paesaggistico che caratterizza le valli dell’Alto bellunese rappresenta un investimento significativo e in certi casi determinante per la sopravvivenza e lo sviluppo del posto; le iniziative proposte dai musei e da gruppi culturali, la protezione di determinate aree naturali e di elevato valore naturalistico permettono di accentuare e risaltare i territori montani. Accanto alla natura e alla sua esaltazione, le Comunità hanno sviluppato una buona e qualitativa rete di strutture sportive e per il tempo libero che facilita il turismo e la permanenza nei luoghi montani. Si evidenzia anche la presenza di una buona rete scolastica.

58


Tabella

3.1 – Punti di forza GAL Alto Bellunese – Elaborazione propria

Punti di forza la componente femminile costituisce un'importante potenziale tessuto produttivo in crescita forte settore dell'occhialeria recupero di attività e mestieri tradizionali tasso di disoccupazione al di sotto della media crescente domanda di innovazione patrimonio naturale e culturale iniziative museali e di gruppi culturali strutturati aree naturali e protette di elevato valore naturalistico buona rete scolastica buona diffusione strutture sportive e buon livello nell'erogazione di servizi alle attività ricreative e per il tempo libero

Il clima rigido e la geomorfologia; il problema dello spopolamento e invecchiamento degli abitanti delle Comunità montane e anche il saldo migratorio negativo che registra, nel territorio, la presenza di circa due stranieri ogni cento residenti sono alcune delle criticità riscontrate. La forza lavoro diminuisce ed il rischio è di cadere in un circolo vizioso di declino del territorio. Per quanto concerne l’economia e soprattutto l’occupazione, nei Comuni del GAL si evidenzia una significativa differenza tra le persone in uscita dal mondo del lavoro e quelle invece dovrebbero entrare in questo mercato: “l’attuale popolazione residente non è in grado di assicurare il ricambio lavorativo” (EURIS 2008, p. 45). Anche le imprese, per la maggior parte appartenenti al settore dell’industria, vivono molti disagi: i servizi sono scarsi, i costi di produzione aumentano e diventano, in un periodo di crisi economica, sempre più cospicui e pressanti, rendendo le imprese più grandi, come quelle

59


dell’occhialeria e, a maggior ragione, quelle di piccole e medie dimensioni in serie difficoltà, sia nella ordinaria gestione delle attività, sia per prospettive di innovazione e sviluppo di nuove tecnologie. La presenza femminile, nonostante sia valutata dalle ricerche del GAL come possibile potenziale, nel mercato del lavoro risulta essere ancora poco significativa e concentrata in settori a basso valore aggiunto, con valori elevati di disoccupazione. In zone montane, come quelle in oggetto, un altro fondamentale elemento di svantaggio è la struttura stessa del territorio; il paesaggio e l’ambiente rurale non facilitano le imprese del settore primario dell’agricoltura, che sta pian piano declinando, e soprattutto è necessario un sistema di manutenzione e salvaguardia costante. Per quanto riguarda il sistema scolastico e formativo, si registrano livelli di istruzione inferiori alla media dei Paesi dell’Unione Europea, in particolare modo nelle zone più isolate; e, anche se le proposte degli istituti delle scuole primarie e secondarie rimangono accessibili, di difficile raggiungibilità risultano invece le sedi universitarie del Veneto. In

generale

nel

bacino

dell’Alto

bellunese

i

servizi

risultano

complessivamente scarsi: sia quelli legati alle imprese, sia quelli per le persone. Altri svantaggi sono legati alla viabilità e all’isolamento “ambientale”. Il turismo, invece, risorsa fondamentale di questi Comuni, è fortemente connesso alla stagionalità e si creano disagi organizzativi e gestionali; manca oltretutto un’offerta particolareggiata e di qualità, tanto da temere la concorrenza di altre zone vicine (ad esempio le Comunità delle montagne del Trentino). Le risorse culturali sono ancora poco sfruttate.

60


Tabella 3.2 – Punti di debolezza GAL Alto Bellunese – Elaborazione propria

Punti di debolezza generale tendenza allo spopolamento e all'invecchiamento della popolazione saldo migratorio negativo popolazione in uscita dal mondo del lavoro superiore a quella in entrata scarsi servizi alle imprese, elevati costi e produzione e difficoltà all'innovazione ristrutturazione del comparto dell'occhialeria concentrazione del lavoro femminile nei settori a basso valore aggiunto con tassi di disoccupazione femminile ancora elevati difficoltà nella salvaguardia dell'ambiente rurale e del paesaggio progressivo declino del settore agro forestale livelli di istruzione bassi rispetto alla media dei Paesi UE e marginalità rispetto ai poli universitari del Veneto servizi socio-sanitari non adeguati alla domanda disagi nella viabilità, nei trasporti pubblici e traffico turistico offerta turistica stagionale e scarsamente tipicizzata scarso sfruttamento delle risorse culturali esistenti

Le opportunità che le ricerche fanno emergere, considerati i punti di forza e di debolezza, sono la promozione delle pari opportunità, con il conseguente sviluppo e promozione dell’occupazione femminile; la domanda da parte delle imprese di servizi efficienti ed efficaci; maggiori servizi anche la popolazione, compresa la qualità dei trasporti. È in aumento l’interesse per la produzione artigianale e tipica delle zone di montagna che attribuisce valore aggiunto e qualità ai prodotti ed alle attività locali, sia per il settore agro alimentare, sia per il patrimonio culturale ed ambientale, paesaggistico. Il turismo rappresenta una fonte determinante di sviluppo.

61


Tabella 3.3 –Opportunità GAL Alto Bellunese – Elaborazione propria

Opportunità promozione delle pari opportunità crescente domanda di servizi alle imprese e alle persone maggiore partecipazione femminile al lavoro interesse crescente nazionale ed estero per le produzioni agro alimentari tipiche e locali soluzioni innovative di trasporto rivolte soprattutto a persone anziane e disabili turismo per rivalutare il territorio elevata capacità attrattiva delle aree protette e valorizzazione delle risorse naturali potenzialità di sviluppo del turismo culturale e naturalistico

Le difficoltà più evidenti, derivanti dagli svantaggi evidenziati in precedenza, risultano essere: di tipo demografico; relativi alle aspettative lavorative; e alla concorrenza turistica; alle scarse risorse e ai finanziamenti per politiche di sostegno all’imprenditorialità, all’innovazione e alle imprese e di servizi alla persona. L’isolamento, la marginalità sociale, la povertà relazionale rappresentano un pericolo per la popolazione. I rischi ambientali sono un’altra minaccia che caratterizza le zone di montagna.

62


Tabella 3.4 – Minacce GAL Alto Bellunese – Elaborazione propria

Minacce rischio nuovo calo demografico e maggiore invecchiamento popolazione + degrado risorse umane aumento di attrattività di altre aree e crescente concorrenza turistica aspettative delle persone in cerca di lavoro restrizione delle politiche di sostegno alle aziende montane contenimento della spesa sanitaria e sociale può determinare riduzione dei servizi isolamento e scarso accesso ai servizi, rischio di abbandono di aree marginali ed esclusione sociale di anziani e disabili perdita di opportunità e relazioni anche economiche scarsa propensione all'innovazione può far perdere i vantaggi che da essa derivano minore capacità di attrazione del prodotto tradizionale rischi degrado morfologico, danneggiamento e perdita della biodiversità

I punti di forza e di debolezza, assieme alle opportunità e ai rischi (minacce) evidenziati sono utili per definire quali sono le esigenze, i bisogni delle Comunità montane del territorio. Le Comunità montane del GAL dovrebbero cercare di stimolare e favorire la permanenza dei residenti; investire, per invertire, la situazione demografica attuale; migliorando la qualità della vita e rivitalizzando le reti sociali ed economiche. Devono essere sostenute le imprese e sviluppate nuove e competitive attività. Anche per il settore agricolo, progetti di ammodernamento e innovazione potrebbero portare ad un miglioramento della situazione. Il settore del turismo deve essere migliorato e qualificato: prodotti locali e tipici, luoghi (risorse naturali ed ambientali) ed iniziative culturali sono gli elementi caratterizzanti il territorio, quelli che attraggono i turisti e quelli sui quali bisogna investire.

63


È necessario rafforzare il tessuto sociale, cercando di ridurre le distanze fisiche ma soprattutto relazionali. Accanto a tutti questi aspetti, è il rispetto delle persone e dell’ambiente che permette una promozione efficace dei territori delle Comunità montane dell’Alto bellunese. È interessante, dopo aver osservato un quadro abbastanza dettagliato sul territorio, considerare la specifica situazione dei suoi abitanti; tenuto conto anche della popolazione straniera presente all’interno del GAL. Nella Regione Veneto la presenza dei cittadini di origine straniera è un fenomeno ormai molto diffuso e in continua espansione; le principali mete sono rappresentate dalle grandi città ma quasi in tutti i territori locali stanziano persone non italiane. I numero stranieri, rispetto ai cittadini italiani, è aumentato con il passare del tempo, nel 2006 era pari al 7,3%. I principali Paesi di partenza sono la Romania (ora appartenente all’Unione Europea), il Marocco e l’Albania. In aumento sono anche i cittadini di origine cinese e moldava (Osservatorio Regionale sull’immigrazione 2009). Si rileva, da elaborazioni su dati ISTAT, che la fascia d’età più rappresentante è costituita da giovani e adulti; nel 2005 il 55,5% della popolazione straniera residente nel Veneto aveva un’età compresa tra i 15 e i 39 anni (http://www.istat.it). Il Rapporto statistico della Regione Veneto dell’anno 2009 “La popolazione migrante tra passato e presente” (http://statistica.regione.veneto.it) evidenzia che nel 2007 il numero di abitanti stranieri nella Regione era pari a 4.832.340; dato cresciuto rispetto a due anni prima (nel 2006 era inferiore di circa l’1%) e ancora in aumento (nel 2012 le previsioni sostengono che il numero oltrepasserà i 5 milioni di abitanti). All’interno del territorio, gli stranieri si concentrano soprattutto nelle province di Padova, Verona e Treviso (con circa il 18% di cittadini stranieri in ciascuna provincia). La densità della popolazione è maggiore a Padova con 424,8 abitanti per Kmq. Nella provincia di Belluno invece la densità è pari solamente a 58,1 abitanti.

64


Nel Veneto, come nel resto d’Italia e in città, come nelle zone montuose, gli stranieri si insediano solitamente alla ricerca di un’occupazione e di un’abitazione. Il numero complessivo di stranieri presenti nella Provincia di Belluno è di 12.728; 5.884 uomini e 6.844 donne, distinti tra provenienti da Paesi Europei (8.010), Africani (2.528), Asiatici (1.462), Americani (721) e 7 individui da Oceania e Apolide. Nell’Alto bellunese, nelle cinque Comunità montane, i cittadini stranieri sono 3.101. Si contano in totale 1.363 maschi e 1.738 femmine: si rileva una presenza femminile elevata (56% degli stranieri presenti nelle Comunità dell’Alto bellunese sono di genere femminile). In percentuale i residenti di origine straniera sono pari a circa il 4,4% di tutta la popolazione del territorio. Nella zona del GAL, come già accennato, il saldo migratorio (la differenza tra il numero di immigrati e quello di emigrati riferito ad una determinata città, zona o paese in un certo periodo di tempo) sembra essere negativo. Secondo alcune statistiche effettuate dalla stessa Regione nell’anno 2000, dieci anni fa, il saldo migratorio nella zona dell’alto bellunese era pari a – 226; quello della totalità delle Comunità montane del Veneto era invece di 4.551 unità (http://statistica.regione.veneto.it). Gli stranieri, presenti da molto tempo, soprattutto negli ultimi dieci anni hanno contribuito e sono stati partecipi dello sviluppo del territorio di montagna. Accanto agli abitanti che finora hanno operato per la sostenibilità di questi luoghi, ci sono coloro che per il futuro eserciteranno potere e prenderanno decisioni: i giovani. I giovani delle Comunità montane considerate le valutazioni demografiche precedentemente fatte, non sono molti; tuttavia sono presenti e utili per la realizzazione della classe sociale che tra qualche anno dovrà definire e attivare politiche locali con l’obiettivo di preservare e rendere il territorio attrattivo e sostenibile. Nella zona dell’Alto bellunese i ragazzi dai 15 ai 19 anni nel 2006 erano, secondo statistiche elaborate dall’istituto Euris Srl (EURIS 2008), 2.940 (contro i 9.092 dell’intera Provincia di Belluno).

65


I giovani stranieri, della stessa fascia d’età, al 1° gennaio 2009, nella zona del GAL erano in totale, 136, 69 maschi e 67 femmine. Nell’intera provincia di Belluno, erano 709 (370 maschi e 339 femmine). Tra le Comunità montane del Gruppo di Azione locale, consideriamo quelle del Centro Cadore e del Cadore – Longaronese – Zoldo. La prima Comunità ospita il Comune di Calalzo di Cadore, la seconda quello di Longarone. Il Comune di Calalzo di Cadore ha 2.419 abitanti; è un piccolo comune posto praticamente al centro del Cadore, il più antico e il più centrale, collocato ai piedi di uno dei più belli gruppi dolomitici della regione, le Marmarole. Il centro abitato è molto turistico; la “Presentazione di Maria al tempio” del Tiziano (molto affascinato dal luogo), la cascata delle sorgenti di Làgole, il laghetto delle Tose, la chiesa della “Madonna del Caravaggio”, i rifugi e i bivacchi attrezzati e le molteplici escursioni sono alcune delle meravigliose offerte che il posto riserva. Dal punto di vista economico, oltre allo sviluppo turistico, Calalzo è un importante centro industriale e commerciale, le fabbriche di occhialeria e nodi ferroviari rappresentano le principali fonti di sostentamento e sviluppo (http://www.comune.calalzo.bl.it). Longarone ha invece 4.122 abitanti, è un Comune che si trova circa a 18 Km dalla città di Belluno (capoluogo di Provincia), storicamente famoso per la tragedia della diga del Vajont nel 1963. Oltre ai “resti” causati dal crollo della diga, Longarone è caratterizzata anche da importanti ritrovamenti romani. Il territorio è divenuto luogo di turismo: il Museo del Vajont, la Parrocchiale, di Giovanni Michelucci in cui si trova un memoriale alle vittime, l’accesso al Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi ed il paesaggio rendono la zona particolare. Longarone è anche centro industriale importante; è riconosciuta sede del più rilevante ente fieristico della Provincia di Belluno: ospita numerosi turisti e professionisti nelle numerosi manifestazioni che annualmente organizza (http://www.longarone.net).

66


Gli stranieri presenti sono 198 a Calalzo di Cadore (86 maschi e 112 femmine) e 314 a Longarone (165 maschi e 149 femmine); in percentuale, nel primo Comune gli stranieri sono pari a circa l’8,2% (circa 43% maschi e circa 57% femmine) della popolazione residente; a Longarone sono invece uguali a 7,6% (circa 53% maschi e circa 47% femmine) (dati relativi all’anno 2008, in Direzione Sistema Statistico Regionale 2009). La presenza dei giovani nei comuni considerati è da valutare in base alle fasce d’età. Si considerano inizialmente i bambini e ragazzi da 0 a 14; a Calalzo sono complessivamente 302 e a Longarone 510. La fascia d’età di maggiore interesse è quella che comprende i ragazzi e i giovani, dai 15 anni ai 19. Il numero di ragazzi di Calalzo e Longarone è rispettivamente pari a 106 e 179 unità. I ragazzi stranieri residenti nel territorio, dai 15 ai 19 anni sono 8 a Calalzo e 15 a Longarone (dati relativi al 1° gennaio 2009). La presenza di giovani di origine diversa da quella italiana appare molto evidente nella scuola; la provincia di Belluno, nell’anno scolastico 2006-2007 ha accolto circa 6 stranieri ogni 100 studenti. Calalzo di Cadore e Longarone sono Comuni che oltretutto ospitano due sedi Enaip Veneto, istituti professionali che offrono ai giovani studenti opportunità concrete di creare e crearsi un’occupazione in queste zone. Enaip è l’Ente ACLI per l’Istruzione Professionale, Enaip Veneto è un’impresa sociale senza scopo di lucro, aderente ad Enaip, che dispone di proposte, progetti di formazione ed istruzione in ambito professionale (http://www.enaip.veneto.it). Nel territorio regionale Enaip Veneto è presente in diverse zone: in provincia di Belluno sono collocate le sedi di Calalzo di Cadore, Feltre e Longarone. Queste offrono agli studenti un percorso formativo di scuola secondaria: di tipo alberghiero a Calanzo e di meccanica a Longarone 4.

4 Ulteriori informazioni in Appendice 3 – Enaip Veneto.

67


3.2 Giovani montanari fuori dal tunnel: da spettatori a protagonisti Sono emersi gli ostacoli presenti per gli abitanti nei luoghi di montagna; per bambini, adolescenti e ragazzi, queste scomodità sono esponenzialmente percepite. La difficoltà di aggregazione dei gruppi di pari, la reale mancanza di luoghi, spazi e tempi di ritrovo, confronto, compagnia sono alcuni dei disagi che i giovani “montanari” riscontrano. In queste zone i collegamenti sono scarsi, soprattutto la sera e durante il fine settimana; le reti dei trasporti, la comunicazione, internet che ancora non è diffuso in tutto il territorio, la ridotta ricezione dei telefoni cellulari, le condizioni atmosferiche: tutti questi aspetti contribuiscono a rendere ancora più lontani tra loro i giovani, in distanze fisiche e relazionali. Le ricerche (Neresini 2002) fanno emergere che anche l’accesso ai servizi dei ragazzi che abitano le zone non è semplice. È elevata la percezione di solitudine, isolamento e disagio. Molto diffuso è l’utilizzo e l’abuso di alcool; il tasso di abbandono scolastico è ancora alto e non in abbassamento sono il tasso di suicidio e mortalità giovanile causata da incidenti stradali (Mirandola, Baldassari 2002). I giovani abbandonano i luoghi che abitano per spostarsi in località più servite, se possono e riescono. I bisogni maggiormente evidenziati dai ragazzi riguardano dunque soprattutto la necessità di luoghi e momenti di aggregazione, ipotesi concrete per il futuro e la sostenibilità del territorio che abitano. Modificare, riqualificare, ricreare reti e consolidarne di nuove sono gli elementi che possono dare speranza ai giovani che abitano i territori di montagna. I giovani stessi sono chiamati ad attuare questi cambiamenti; rilevando le criticità dei territori e in linea con desideri e aspettative, che sempre hanno dentro di sé (Spano 2001). Il punto di partenza è riconoscere l’importanza delle giovani generazioni per lo sviluppo del territorio, in generale e soprattutto di quello montano; la presa di

68


coscienza è elemento principale per la creazione di presupposti di attivismo e protagonismo giovanile. Condividere l’idea che i giovani di oggi siano gli adulti di domani, risorsa sostenibile e strumento necessario per la sopravvivenza dei luoghi, delle tradizioni; protagonisti e creatori della storia e del futuro è importante. La responsabilità attiva e concreta di tutti, anziani, adulti, giovani e adolescenti è riconoscere, favorire ed agevolare il protagonismo giovanile. Questo infatti, come anticipato nel capitolo precedente rappresenta momento di crescita e vera svolta per uno sviluppo del territorio e della comunità sociali (Gallini, Maurizio 2007). Viene riconosciuta formalmente e forse idealmente l’importanza dei giovani come risorsa attiva per la società; con difficoltà e diffidenza spesso però iniziative o attività per i giovani e il loro attivismo, pro-attivismo, soprattutto in realtà chiuse, di “self-reliance” (chiusura locale, Bulsei 2010, p. 78) come quelle del contesto montano analizzato vengono concretizzate. Investire sui giovani, i giovani di montagna, diventa quindi sfida e strategia per la costruzione di luoghi fisici e figurati di ritrovo e confronto, momenti e reti di relazioni che facilitino lo sviluppo di sensibilità e sensibilizzazione, nell’ottica comune di riqualificazione e rigenerazione dei territori montani e di conseguente miglioramento dello stile di vita odierno. Se nelle Comunità montane il cambiamento è già di per sé un momento difficile per le condizioni avverse, fare in modo che sia proprio la giovane generazione a modificare ed attuare interventi oggi, per un vissuto migliore domani, di tutti, è un valore aggiunto che, se da un lato crea qualche incertezza e diffidenza, dall’altro questo è smentito dalla capacità dei ragazzi giovani di vedere e intravedere il loro futuro, come essi lo vogliono, nel loro territorio e costruito grazie a loro. Vivere in un posto voluto, progettato e costruito, in cui non ci si affida più alle decisioni degli altri, ma si diventa veri e propri protagonisti della propria esistenza è desiderio comune e quale migliore modo di attuarlo se non divenire protagonisti fin da giovani.

69


Uscire dunque “dal tunnel”, dal disagio “montanaro” è l’obiettivo principale, la svolta per fare in modo che i giovani delle Comunità montane siano risorsa attiva del e per il territorio. In particolare è nelle Comunità montane che diventa fondamentale investire e credere nei pochi giovani presenti. Essere, diventare cittadini attivi, protagonisti e modificatori della propria vita e del proprio territorio sono elementi essenziali per vivere un’esistenza partecipata. Le proposte per realizzare questo obiettivo sono numerose e in crescita. Le Amministrazioni, il Terzo Settore, gli stessi cittadini sono coscienti del disagio e della marginalità dei territori nelle Comunità montane e in particolare delle giovani generazioni (Pellegrini 2002). Nel corso degli ultimi anni la Regione Veneto ha riconosciuto e promosso, per tutti i suoi territori iniziative volte al risollevamento dei giovani (Neresini 2002). Diverse delibere e decreti sono stati accolti: importante è soprattutto il DGR n. 3713 del 30 novembre 2009 A.P.Q. in materia di Politiche Giovanili “Il futuro della sostenibilità, la sostenibilità del futuro: i giovani del Veneto”. Alcuni progetti sono stati proposti e realizzati; nel rispetto delle linee progettuali proposte dalla Regione del Veneto nell’Accordo di Programma quadro sopra citato (DGR n. 3713/2009): la creatività, l’interculturalità, la formazione e l’informazione, la partecipazione, la promozione di stili di vita sani e l’attenzione per il volontariato. Anche il Terzo Settore si è impegnato con idee e progetti, in relazione e collaborazione con diversi soggetti, partecipando alla costruzione di benessere per la società: per i giovani di Calalzo di Cadore e Longarone, che tenta di offrire ai giovani un’opportunità di diventare protagonisti attivi del futuro loro e del loro territorio è il progetto “Pro – Youth” promosso da IIDAC Europa (http://www.iidac.eu). IIDAC (http://www.iidac.org) è un’organizzazione internazionale del Terzo Settore costituita formalmente, con propria natura giuridica, neutrale, senza scopi di lucro, con una gestione autonoma e la presenza e partecipazione di volontari.

70


IIDAC è nata in Brasile nel 1998; lavora in collaborazione e a sostegno delle principali agenzie che si occupano di sviluppo umano nel mondo. Essa collabora in maniera particolare con le Nazioni Unite e molti settori dell’Ente internazionale (la Commissione per lo sviluppo sostenibile (CSD), il programmi di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) e quelli per l’ambiente (UNEP), i volontari (UNV), il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), la Comunità Europea, i suoi Stati e ministeri di riferimento (soprattutto quelli dell’educazione, della cultura e dell’ambiente). Altri partner di rilievo sono: Unicef (United Nations Children’s Fund), Paho (Pan American Health Organization), la Banca Mondiale (WB), il Fondo di investimento multilaterale (MIF). L’obiettivo principale è la promozione dello sviluppo sostenibile dell’umanità; per la creazione di nuove opportunità, competenze, conoscenze ed esperienze; collaborando attivamente con diverse realtà, con i governi, le istituzioni, le aziende ed il terzo settore, in sintonia e rispetto dei principi di Welfare mix. IIDAC svolge la sua attività da più di dieci anni; il suo modus operandi è rappresentato dall’elaborazione di progetti e programmi, pensati in maniera attenta da un team di specialisti: professionisti e volontari. L’Organizzazione internazionale, nel corso del tempo, ha avuto modo di lavorare con diverse nazioni, con esiti positivi, costruendo e rafforzando così un’identità chiara e di qualità, che ha portato IIDAC stessa a referenziarsi come attore protagonista di altre nuove pianificazioni. Per la realizzazione di progetti e attività IIDAC si basa sul perseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals – MDGs). I Millennium Development Goals (http://www.undp.org) sono otto, concordati da tutti i Paesi e dalle più importanti organizzazioni ed istituzioni che si occupano di sviluppo. Eliminare la povertà estrema e la fame è il primo obiettivo, un’istruzione elementare universale, la promozione dell’uguaglianza fra i sessi ed il conferimento di potere e responsabilità alle donne, la diminuzione della mortalità infantile, il miglioramento della salute materna, la lotta all’HIV e

71


AIDS, alla malaria e ad altre malattie, la sostenibilità ambientale e lo sviluppo di una collaborazione globale per lo sviluppo sono gli altri sette. L’oggetto, o meglio, il soggetto dei principali progetti sono i giovani: “IIDAC vede nell’adolescente parte reale della soluzione delle proprie difficoltà, per contribuire inoltre, attraverso il proprio lavoro, alla costruzione di una società che rispetti i diritti di cittadinanza e aumenti progressivamente i livelli di partecipazione democratica della popolazione” (http://www.iidac.org). I giovani sono considerati veri e propri protagonisti della loro esistenza. IIDAC ritiene che essi abbiano forze ed energie spesso tenute nascoste o contenute, che invece, per il futuro, sono fondamentali; chi lavora in IIDAC condivide l’idea di investire nei giovani ed il bisogno di trovare e riscoprire queste forze. L’Organizzazione per e con i giovani ha già attivato molti progetti, con più di duecento giovani ed adolescenti, e soprattutto creato moltissime relazioni e contatti: il sistema di fiducia e di esaltazione dei singoli individui e delle personalità permette ai giovani di sentirsi ascoltati, a loro agio e in serenità, così da poter esprimere al meglio capacità, idee e proposte, costruendo la propria identità ed imparando ad essere (quarto pilastro dell’educazione di Delors; Delors 1997). IIDAC permette ed aiuta a fare in modo che i giovani possano trasformare queste loro proposte, idee, capacità in progetti e programmi concreti, facendo esperienze dirette in modo da sviluppare il senso di cittadinanza e la loro partecipazione attiva alla società, che ancora oggi li isola e li poco considera, comprendendo ed osservando anche le conseguenze delle loro azioni, responsabilmente e con coscienza. Dare voce alle idee e fare in modo che le convinzioni che si hanno siano alla base delle azioni che si compiono significa essere cittadini; essere attori politici, sociali e locali. I giovani sono attori per la trasformazione sociale, la valorizzazione culturale e territoriale, l’equilibrio economico del mondo. “Il senso di cittadinanza che i giovani possono sviluppare con l’aiuto di questa associazione costituisce l’elemento principale per lo sviluppo” (http://www.iidac.org); la società dovrebbe

72


investire sui giovani per giungere “al rispetto della democrazia, dei diritti di uguaglianza e del buon governo per lo sviluppo sostenibile delle generazioni future”. IIDAC assicura visibilità globale a progetti locali; i progetti sono locali perché vicini ai giovani che li realizzano, vicini all’azione di cittadini del territorio, per lo sviluppo sostenibile. Opera nel territorio, in aree urbane, di campagna, di montagna, facendo attenzione e considerando gli aspetti e le peculiarità del territorio stesso, nel rispetto delle comunità, delle tradizioni, in contatto e collaborazione con le amministrazioni locali, le università, il settore privato, le organizzazioni internazionali. Per sviluppare le capacità delle giovani generazioni viene utilizzata una metodologia (http://www.iidac.eu) che si suddivide in cinque livelli: la presa di coscienza e l’identità, il volontariato, il protagonismo giovanile, imprenditoria giovanile e la cittadinanza attiva (o partecipazione cittadina). Secondo l’Organizzazione i diversi livelli costituiscono e sono creati per fare in modo che i giovani possano progressivamente passare dall’apprendimento all’azione. I giovani hanno la necessità di fare esperienza concreta, agire e IIDAC permette e offre loro strumenti idonei a raggiungere questo obiettivo. È proprio da convinzione e voglia di fare che il giovane si sente e prende parte alla società, diventando soggetto attivo. IIDAC Europa (http://www.iidac.eu) nasce il 24 febbraio 2009 con sede legale a Trento, come diramazione di IIDAC Brasile. Nella “cultura di IIDAC si investe anche nella formazione professionale dei soci fondatori e dei volontari; personale prevalentemente dislocato in Italia e in Portogallo ma l’Organizzazione è stata creata soprattutto per “produrre e trasferire esperienza di protagonismo giovanile” (http://www.iidac.eu), per lo sviluppo umano sostenibile. Protagonist Youth Citizenship (Pro-Youth) è un progetto proposto da IIDAC che

fa

del

protagonismo

giovanile

il

suo

obiettivo

principale

(http://www.iidac.eu). Esso mira a stimolare nei giovani aderenti al progetto

73


capacità personali e d’integrazione, al fine di sviluppare un senso di attivazione sociale e di cittadinanza, conoscendo e applicando i loro diritti e responsabilità. Alcuni obiettivi non secondari ma “di processo” sono l’empowerment, cioè il rafforzamento delle capacità di agire, individuale e di gruppo, l’integrazione tra i giovani, soprattutto nel contesto odierno di convivenza di cittadini di diverse etnie, la riflessione su un progetto di vita, l’aumento delle capacità di leadership e di responsabilizzazione, lo stimolo alla cittadinanza attiva (essere buoni cittadini), insegnamento di tecniche per la crescita personale, conoscenza e presa di coscienza di valori e priorità, stimolazione dell’intelligenza emotiva, produzione creativa e affettività, rafforzamento delle capacità dei giovani di valutarsi e valutare le proprie attività, l’accrescimento del capitale sociale dei giovani e della comunità di riferimento, l’insegnamento di metodologie per una convivenza pacifica e assertiva all’interno di gruppi. Figura 3.1 - La piramide degli obiettivi – Elaborazione propria su fonte IIDAC

Protagonismo giovanile

Integrazione Cittadini attivi Progetto di vita Coscienza di valori e priorità Metodologie per convivenza pacifica Valutarsi e valutare le proprie attività Empowerment individuale e collettivo Tecniche e metodi per crescita personale Capacità di leadership e responsabilizzazione Intelligenza emotiva, produzione creativa, affettività Accrescere il capitale sociale dei ragazzi e della comunità

74


Il progetto è rivolto ad adolescenti e giovani, dai 12 ai 19 anni; viene formato un gruppo di circa 20, 30 ragazzi, scelti in base alla motivazione. La motivazione, l’accettazione come sfida e la curiosità per la proposta sono elementi fondamentali per la realizzazione positiva del progetto stesso: ci si occupa di protagonismo e questo, se imposto, perde il suo significato e valore. Il progetto viene svolto attraverso due fasi principali: un percorso formativo e l’attivazione vera e propria dei ragazzi. Figura 3.2 – Percorso formativo – Elaborazione propria su fonte IIDAC

1) Percorso formativo

Io sono Noi siamo Noi agiamo

2) Attivazione (imparare facendo)

La formazione (Calpona 2009) è attiva e distinta in tre momenti; inizialmente si parte con una formazione individuale in gruppo (“io sono”). I ragazzi sono inseriti all’interno del gruppo ma sono identità ben distinte e caratteristiche; è necessario pertanto concentrare l’attenzione al singolo, fare in modo che si possa esprimere serenamente, che acquisti consapevolezza del proprio essere, sia dal punto di vista corporeo che psico-emotivo. In questa prima parte i formatori cercano di “rompere” le strutturazioni e i condizionamenti sociali. “Noi siamo” è

75


il stadio formativo successivo; diventa importante ed acquisisce identità il gruppo di pari. Si impara a confrontarsi, condividere e collaborare in maniera rispettosa e proattiva. A questo punto inizia la presa di coscienza e consapevolezza della nuova identità “sociale”, dei diritti e doveri in quanto cittadini e membri di una comunità. “Noi agiamo” è l’ultimo momento di formazione che dà avvio alla seconda fase del progetto. Per quanto riguarda questa fase, come attori e protagonisti, i ragazzi sono invitati a pensare a idee, proposte, progetti, strategie ed azioni per cambiare e migliorare la loro esistenza, concentrandosi soprattutto nel proprio territorio, nella comunità locale di appartenenza e in un’ottica di volontariato e in autogestione. IIDAC, a seconda del contesto e della tipologia di ragazzi, per il progetto Pro Youth e in particolare per la fase della formazione, utilizza differenti strumenti metodologici: la biopsicologia, l’assertività neoumanista, la programmazione Neuro Linguistica (PNL), la ristrutturazione cognitiva,

giochi cooperativi ed

esercizi di consapevolezza corporea e il teatro dell’Oppresso. La biopsicologia è una disciplina che tenta di identificare e quantificare l'influsso della mente sulle funzioni organiche (e viceversa); l’assertività neoumanista permette all’individuo di riconoscere le proprie esigenze, di affermarle nel proprio ambiente e di raggiungere i propri obiettivi, in relazioni positive con gli altri. La Programmazione Neuro Linguistica è invece un modello che facilita il cambiamento e mira a modificare la percezione e la visione che l’individuo ha del mondo. La ristrutturazione cognitiva permette di capire la relazione tra gli eventi che accadono, i pensieri, le emozioni e i comportamenti; così da rielaborare gli avvenimenti. I giochi cooperativi e gli esercizi di consapevolezza corporea servono per la de-meccanizzazione (uscire dai ruoli standard che ci si è creati) dei comportamenti. Il Teatro dell’Oppresso è un metodo che utilizza le tecniche teatrali per trasformare e ricreare la realtà (http://www.iidac.eu). Per la seconda fase sono invece utili tecniche di progettazione e management.

76


Il progetto Pro-Youth può essere realizzato nell’arco di poco tempo, con un percorso intensivo oppure in maniera prolungata e distribuita in più mesi. La fase della formazione è svolta interamente da IIDAC, mentre, possono essere presenti figure esterne, partner del progetto, nel territorio, che svolgono la funzione di tutors ma che possono divenire, con il tempo, veri e propri referenti sul territorio locale. IIDAC ha realizzato in Brasile il primo progetto Pro-Youth; con esiti positivi.

3.3 Il progetto pilota: “Pro-Youth” La sfida di IIDAC Europa: portare “Pro-Youth” in Europa, nel Nord- Est d’Italia, a Calalzo di Cadore. Considerato il fatto che è un progetto pilota, IIDAC ha voluto (osando), cercare ragazzi e luoghi particolari: in condizioni di disagio e marginalità sociale; dove una proposta del genere possa realmente attivare i giovani a creare iniziative di protagonismo e sviluppo sostenibile del territorio. Si è pensato innanzitutto a dove recuperare i protagonisti, disposti e curiosi di partecipare a Pro-Youth: la scuola, come istituzione fondamentale per la formazione, rappresenta il luogo ideale per incontrare la maggior parte di adolescenti e giovani. La scuola inoltre è “comunità embrionale aperta alla società e al mondo reale, laboratorio straordinario di convivenza civile e fattore democratico per eccellenza” (D’Amico, Di Nuovo 2010, p. 141). Le Comunità montane, piccole realtà, potevano essere una buona scelta per dare maggiore visibilità al progetto stesso, rispetto ad una grande città. I due istituti professionali sono stati scelti non in maniera casuale visto l’attitudine degli studenti al lavoro pratico e all’attivazione. Sono questi gli elementi di base per la decisione della collocazione ottimale.

77


IIDAC ha presentato ad Enaip Veneto l’intera proposta, le sedi scelte sono state quelle presenti a Calalzo di Cadore e Longarone, dopo confronti con l’ente stesso perché molto rappresentative della realtà giovanile, per la percentuale di stranieri, l’equilibro tra sessi. Il preside di entrambi gli Istituti si è dimostrato inoltre molto motivato; le due scuole, infine, erano abbastanza complementari. Tutto questo ha permesso che la proposta cominciasse a diventare concreta, verso l’attivazione. Il progetto si è svolto in maniera operativa presso la sede di Calalzo. Si è concessa massima libertà d’azione all’organizzazione europea, per quanto riguarda le attività; la gestione e la supervisione dei singoli progetti attuati dai ragazzi sono state seguite da un tutor appartenente al personale Enaip. Gli attori principali del progetto sono 33 studenti degli istituti professionali di Calalzo di Cadore e Longarone: 6 ragazze e 27 ragazzi. Nel gruppo forte era la presenza di stranieri: quasi la metà, provenienti da Paesi differenti; Perù, Repubblica Dominicana, Ecuador, Repubblica Togolese, Congo, Marocco, Egitto, Macedonia, Ucraina, Kosovo. IIDAC, Enaip e il suo tutur didattico sono gli altri attori nella realizzazione di “Pro-Youth”5.

5 In Appendice 4, specifica tabella con attori, ruoli, nominativi e competenze.

78


Figura 3.3 – Attori del progetto “Pro-Youth” – Elaborazione nostra

GIOVANI

ATTORI

ENAIP E TUTOR

IIDAC EUROPA

IIDAC Europa è rappresentata da due formatori e uno psicologo che, attraverso un percorso, accompagnano i ragazzi verso l’attivazione, con la progettazione di iniziative da loro stessi proposte. Per la loro realizzazione concreta, il tutor didattico di Enaip ha un ruolo di affiancamento e supervisione dei giovani. Altri soggetti coinvolti nel progetto, anche se in maniera meno diretta, sono la European

Youth

Fundation

(Fondazione

Europea

della

Gioventù,

http://www.eyf.coe.int/fej), che ha accolto e finanziato il progetto; la Provincia di Belluno e in particolare l’assessorato alle politiche giovani, sono a conoscenza dell’iniziativa e la sostengono. Di seguito una rapida rappresentazione di compiti, aspettative e strategie utilizzate dai maggiori attori coinvolti.

79


Tabella 3.5 – attori, funzioni, aspettative e strategie – Elaborazione nostra

Attori

Funzioni/Compiti

Aspettative

Formatori e psicologo, lavorano direttamente con i

Apertura personale dei

IIDAC

ragazzi nella parte di

ragazzi e connessione

Europa

formazione e poi di tutoring

emotiva; attivazione di

per la realizzazione delle

progetti in gruppi

proposte di gruppo

Strategie Esercizi tipici del teatro dell'oppresso per la parte formativa; competenze organizzative per l'affiancamento nella progettazione dei lavori di gruppo

Figura di riferimento Responsabi

istituzionale;

le sedi

coinvolgimento indiretto

Enaip

nel progetto ma

Calalzo,

fondamentale per il

Longarone

confronto con i formatori,

Favorire la realizzazione di un'iniziativa di

Dialogo e ascolto con e

cittadinanza attiva, sfida

dei diversi attori coinvolti

importante per i ragazzi

tutor, ragazzi Favorire la Seguire lo svolgimento del progetto, curando l'aspetto di enventuali contatti con Tutor

terzi. Rispondere alle

didattico

eventuali esigenze dei ragazzi in termini di materiali e informazioni specifiche

comunicazione tra

Presenza non autoriataria

studenti stranieri ed

di fronte ai ragazzi.

italiani; stimolare

Stimolo al ragionamento

l'autorganizzazione dei

autonomo nella

gruppi, l'assunzione di

risoluzione dei problemi,

responsabilità nel

all'entusiasmo mediante

rispetto reciproco e

gratificazione. Assistenza

nell'interesse del gruppo.

ai ragazzi nella ricerca di

Creare fiducia e

informazioni

collaborazione

Il progetto si è sviluppato in tre fasi principali: il primo momento di proposta, accettazione e programmazione; un percorso di formazione e attività con i ragazzi, per arrivare all’elaborazione di idee; la loro progettazione e realizzazione: il protagonismo giovanile.

80


Figura 3.4 - Il processo – Elaborazione propria

proposta progettazione accettazione programmazione

formazione realizzazione

Inizialmente si sono svolti diversi incontri di preparazione, nella sede principale di Enaip, a Padova e poi direttamente a Calalzo di Cadore. L’ente ha organizzato due assemblee scolastiche negli istituti coinvolti per far conoscere l’iniziativa agli studenti; IIDAC e in particolare lo psicologo, in quell’occasione, ne ha esposto gli obiettivi e le caratteristiche principali. La presentazione di ProYouth direttamente ai futuri protagonisti e destinatari aveva lo scopo di trasmettere curiosità e voglia di partecipare alla proposta. Il progetto per essere realizzato a pieno ha bisogno di studenti veramente interessati; in questo caso la scelta degli studenti è stata in parte delegata agli insegnanti. Con l’avvio formale di “Pro-Youth”, quindi durante la prima giornata di formazione, parte del secondo step del processo, i formatori hanno chiesto conferma ai ragazzi dell’interesse e della loro presenza attiva all’interno del gruppo. È così che alcuni studenti hanno scelto di non aderire all’iniziativa. Anche in seguito, prima della progettazione vera e propria delle proposte dei ragazzi, alcuni hanno deciso di non proseguire il percorso iniziato. Sono rimasti in 24. È iniziata la seconda fase del progetto: la formazione. La programmazione iniziale prevedeva 4 incontri di formazione da una giornata intera e 2 mezze giornate di tutoring. Il percorso formativo è cominciato il 18 marzo e si è svolto in altri 3 incontri di tutto il giorno: il 25 marzo, 8 e 15 aprile. Durante le quattro

81


giornate il team di professionisti ha lavorato con i ragazzi sui tre momenti anticipati nel precedente paragrafo: la formazione individuale, di gruppo e di partecipazione. La metodologia formativa maggiormente utilizzata in questa fase si è basata sul cosiddetto teatro dell’Oppresso. Il teatro dell’Oppresso è un metodo elaborato da Augusto Boal in Brasile, e poi trasferito in Europa, a partire dagli anni ’60, che utilizza il teatro come mezzo di conoscenza e linguaggio per modificare la realtà e rielaborarla (Vanzan 2008). Il Teatro dell’Oppresso (TdO) realizza il suo obiettivo attraverso un processo che porta l’individuo alla de-meccanizzazione, all’acquisizione di fiducia e sintonia, senso di gruppo e appartenenza, fino alla partecipazione e progettazione vera e propria come soggetto attivo nella società. La de-meccanizzazione è, secondo Boal, lo scioglimento degli schemi socialmente condizionati in cui siamo inseriti e che determinano la nostra “maschera sociale” (Boal 2005). Questo influisce e vincola la libertà degli individui. Il formatore propone tecniche ed esercizi attraverso i quali i ragazzi possano sentirsi liberi di esprimesi, riflettere per poi agire; strumenti per aiutare le persone a far emergere e sviluppare ciò che sono, che hanno già dentro se stessi (Ardui 2010 e Mazzini 1989); un linguaggio diverso dal solito. Il TdO è in grado di accompagnare l’individuo alla trasformazione da “spett-attore” ad attore vero e proprio (Boal 2005). È attraverso queste tecniche che i giovani di Calalzo e Longarone hanno iniziato un percorso di crescita, riflessione e, infine, realizzazione di un progetto proposto e creato da loro stessi, in autonomia e protagonisti del loro agire. La staff educativa ha riscontrato alcune difficoltà iniziali nel rapporto con gli studenti; da parte di questi si sono infatti evidenziati scarso attivismo e timore di essere giudicati: è stato dunque necessario rimodulare la proposta, così da poter raggiungere l’obiettivo e creare i presupposti per dare avvio alla terza fase. Terminata la fase della formazione, si è passati all’attivazione: la concreta progettazione e realizzazione di proposte da parte dei ragazzi. Si sono così formati diversi gruppi; inizialmente cinque (da circa cinque o sei componenti); i gruppi

82


effettivi poi sono stati quattro e i ragazzi potevano scegliere di partecipare anche a più gruppi. Sono state stabilite assieme le regole e le caratteristiche per la realizzazione della proposta: i progetti avrebbero dovuto essere utili per il territorio, con rilevanza e visibilità (Ardui 2010) per la comunità del luogo, di volontariato “volunteering project” (report in http://www.eyf.coe.int/fej), pensati in base a bisogni riscontrati o desideri del gruppo di lavoro. I ragazzi sono stati invitati a presentare delle idee, solo secondariamente sono stati forniti loro strumenti di lavoro, modelli di organizzazione e consigli per lo svolgimento e la realizzazione vincente delle loro proposte. Dopo una lunga riflessione e soprattutto con iniziale fatica; è stato difficile concentrare l’attenzione sulle caratteristiche del progetto, i ragazzi hanno deciso: un gruppo voleva realizzare un torneo di calcetto multi-etnico; un altro, uno spettacolo teatrale da eseguirsi in un istituto per disabili, il terzo costruire una macchinina ricoperta di pasta che rispecchiasse l’integrazione tra i due istituti e il lavoro fatto assieme; ed infine, una lezione di educazione sessuale da svolgersi presso le scuole è il progetto dell’ultimo gruppo. Le varie proposte, con indicati gli obiettivi e i ragazzi coinvolti sono riassunte dalla tabella seguente. Si è scelto di distinguere i partecipanti tra italiani e stranieri per evidenziare la forte presenza di questi ultimi.

83


Tabella 3.6 – Progetti, obiettivi, ragazzi realizzatori – elaborazione propria

Progetto

Torneo di calcetto

Obiettivo

Ragazzi

Creare un momento ludico e di

Calalzo

6

1

Longarone

4

7

Calalzo

4

3

persone disabili

Longarone

0

0

Dimostrazione del lavoro di gruppo

Calalzo

6

1

ragazzi di nazionalità diversa

Longarone

4

7

Sensibilizzare e fornire ad altri

Calalzo

4

1

Longarone

0

0

incontro tra ragazzi di nazionalità diversa

Teatro "Cappuccetto Animazione presso un ente che ospita Rosso" moderno Modello di macchina con pasta Lezione di educazione sessuale

Italiani Stranieri

svolto tra le due sedi Enaip e tra

studenti informazioni in materia di educazione sessuale

Determinato l’obiettivo, IIDAC ha fornito ai ragazzi alcuni strumenti di management per realizzare al meglio le loro proposte. Sono stati spiegati i passaggi fondamentali per attuare un progetto, secondo i principi del “Project Cycle Management” (PCM). Questa è una metodologia introdotta dalla Commissione europea negli anni ’90 (http://ec.europa.eu) per assicurare una maggiore efficacia ed efficienza ai progetti proposti, secondo la logica dello sviluppo sostenibile e, soprattutto, per garantire il coinvolgimento e la partecipazione nelle decisioni (Bobbio 2004) di tutti gli attori coinvolti, elemento fondamentale quando si parla di protagonismo, in questo caso, giovanile. Secondo il PCM (Commissione Europea 2004), il successo del progetto è determinato da sei fasi standard: programmazione, identificazione, formulazione, finanziamento, realizzazione e valutazione.

84


Figura 3.5 – Project Cycle Management – elaborazione propria

programmazione

identificazione

valutazione

formulazione

realizzazione

finanziamento

La fase della programmazione è decisiva: è quella in cui viene stabilito l’obiettivo che si vuole raggiungere e il progetto che si vuole realizzare. Per identificazione si intende il momento in cui viene resa nota e presentata l’idea. Il momento della formulazione consiste nel valutare la fattibilità dell’idea e creare su di esso una vera progettazione, rilevando e studiando costi, materiali, e tutto ciò che serve per la concretizzazione della proposta iniziale. Il finanziamento permette l’esecuzione di tutti gli stadi del processo. Segue la realizzazione vera e propria della programmazione elaborata. Vengono svolte attività, controllati e monitorati i passaggi e valutate le azioni “in progress” (in corso d’opera). In conclusione, come momento finale del processo, l’individuo o il gruppo di lavoro analizza i risultati ottenuti, i punti di forza, quelli di debolezza della proposta realizzata, del personale coinvolto, in una sorta di riflessione globale del lavoro svolto. Questa fase è determinante per il successivo avvio di eventuali altre iniziative; serve ai responsabili per osservare e definire programmi sempre migliori.

85


È un processo ciclico perché (come evidenziato graficamente) la riuscita o meno del progetto rappresenta l’inizio di nuove scelte che avviano anch’esse, a loro volta, un percorso di programmazione, identificazione, formulazione, finanziamento, realizzazione e valutazione. Il ciclo di progettazione sopra rappresentato riguarda la generalità dei progetti; in questo caso IIDAC ha scelto di ridurre e semplificare le fasi per rendere il processo meno complesso, più alla portata dei ragazzi. Nel periodo intercorso tra il mese di maggio e giugno, prima del termine dell’anno scolastico, si è lavorato per la realizzazione delle proposte. In questa fase i ragazzi sono stati supportati, come d’accordo, dal tutor didattico che provvedeva ad eventuali esigenze, a fare da riferimento per contatti con l’esterno, per la fruizione di luoghi e materiali necessari. Il gruppo per l’organizzazione del torneo di calcetto con giocatori di più nazionalità ha programmato l’evento decidendo destinatari, luogo, giorno e preparando la comunicazione e pubblicità, i “gironi”, la pianificazione delle partite, l'arbitraggio e i premi. Per la rappresentazione della storia di “Cappuccetto Rosso” in veste “moderna”, i ragazzi hanno inventato e creato il copione, pensato ai vestiti, alla scenografia, provato e affinato la recitazione. I ragazzi che volevano creare un’automobilina ricoperta di pasta hanno deciso il modello: la parte metallica doveva essere realizzata dagli allievi di Longarone, mentre la copertura in pasta effettuata dai ragazzi di Calalzo. Alla fine si pensava di abbellirla ed attaccarci le bandiere dei Paesi di provenienza di tutti i ragazzi che hanno partecipato all’intero progetto. I ragazzi dell’ultimo gruppo, rispondendo ad un bisogno emerso, hanno progettato una lezione, un incontro che affrontasse i temi della sessualità. Per questo si sono documentati, sono andati al consultorio e hanno recepito informazioni da diverse fonti con l’idea di realizzare una presentazione dell’incontro e hanno scelto l’età a cui rivolgersi.

86


Si sono svolti, durante questo arco di tempo, due appuntamenti di tutoring il 22 aprile e 10 maggio per fare il punto della situazione sui progetti in corso. Durante questi incontri i ragazzi hanno proseguito il lavoro avviato, hanno espresso perplessità e necessità riscontrate e sono stati affiancati dai formatori. Alla fine dell’anno scolastico, a giugno, sono stati completati due progetti: il torneo di calcetto multi-etnico e la realizzazione della macchinina di pasta. Il torneo si è svolto il 29 maggio presso lo Spes, impianti sportivi a Belluno. Alla competizione hanno partecipato sei squadre, due per ogni Istituto della Provincia (Calalzo, Longarone e anche Feltre), da cinque partecipanti in gioco più giocatori di riserva. Le squadre erano miste e sono stati consegnati trofei alle prime tre squadre classificate. La macchinina è stata creata dai ragazzi di Longarone con il ferro e poi ricoperta di pasta a Calalzo; gli esperimenti per la riuscita sono stati diversi perché la pasta inizialmente non stava attaccata ma i ragazzi sono riusciti a portare a termine il lavoro e ad inserire nella macchinina le bandiere dei Paesi d’origine di tutti i ragazzi che hanno partecipato all’intero progetto. L'auto è stata esposta nell'atrio della scuola di Calalzo. Le iniziative del teatro e del “corso” di educazione sessuale non sono stati completamente terminati: per il teatro si sono fatte alcune prove ma non abbastanza e non è ancora chiaro presso quale associazione interpretarlo. Per quanto riguarda il corso di educazione sessuale, la tutor didattica ed Enaip hanno scelto che i ragazzi lo proponessero alle classi di 1° dell’istituto Enaip di Feltre e non alle scuole primarie di secondo grado (medie). Il progetto è al momento in stand by perché valutato poco approfondito e superficiale; sarà da approfondire l’aspetto affettivo dell’argomento. Entrambi i progetti sono stati quindi rinviati a settembre, con l’inizio del nuovo anno scolastico 6.

6 A settembre, a seguito di un colloquio telefonico con il Responsabile degli Istituti Enaip e con il tutor, non è certa la continuazione e conclusione dei rimanenti progetti avviati. Considerazioni sul fatto verranno riprese nella valutazione finale (cap. 4).

87


Presentato il processo di “Pro-Youth”, è necessario verificarne i risultati e gli effetti, nel capitolo successivo.

88


CAPITOLO 4 – OSSERVAZIONI FINALI E PROSPETTIVE FUTURE

4.1 Valutazione del progetto: dall’analisi quantitativa alle considerazioni degli attori Il Project Cycle Management (Commissione Europea, 2004) mostra, come ultimo passo nella realizzazione di un progetto, la valutazione. L’analisi dei risultati permette di verificare se gli obiettivi del progetto sono stati realizzati e di comprendere l’impatto che questo ha avuto. La valutazione presentata di seguito seguirà un percorso preciso, illustrato graficamente dalla figura sottostante. Figura 4.1 – Processo di verifica dei risultati – Elaborazione nostra

VERIFICA

ASPETTATIVE

IN ITINERE

FINALE

QUANTITATIVA

QUALITATIVA

ATTORI

RAGAZZI

SOCIETA’ (ESTERNI)

89


L’analisi viene condotta a due livelli: un monitoraggio in itinere ed una valutazione finale. In realtà, possono essere utilizzate come primo riscontro le aspettative dei protagonisti; esse sono le prime percezioni del progetto e rappresentano i presupposti per coinvolgere e lasciarsi coinvolgere in esso. Della soddisfazione delle aspettative iniziali parleremo però in seguito. Nel precedente capitolo si è già fatto cenno sia alle aspettative che ad un monitoraggio in corso d’opera, da parte dei formatori, sui ragazzi e come questi hanno recepito o considerato la formazione, i giochi, gli esercizi legati al teatro dell’Oppresso e poi anche la progettazione dei progetti. Durante le giornate di formazione, si è cercato di calibrare la proposta in base ai ragazzi, alle loro reazioni e sensazioni, per creare un clima di apertura, rispetto e confronto, fondamentali nella successiva fase di creazione dei progetti. Pure nei rimanenti due incontri di tutoring si è svolto un controllo o meglio un supporto al lavoro che i ragazzi stavano svolgendo ma si è trattato di un intervento più mirato e finalizzato alla realizzazione dei loro progetti. Tuttavia in questa fase si è potuto riscontrare come i ragazzi hanno lavorato in gruppo, tra di loro, le dinamiche createsi rispetto agli altri, al tutor, ai formatori. È emerso che, tranne alcune iniziali difficoltà legate alla conoscenza e alla creazione di una reciproca fiducia, la collaborazione ed il lavoro svolto con i giovani è stato molto positivo sia nella parte di formazione perché ha permesso di costituire un gruppo abbastanza unito, anche se inizialmente molto vario e con personalità forti, al quale si è cercato di porre come base il rispetto; nell’ottica di collaborazione per lavorare assieme ad un fine comune: il protagonismo di ragazzi forse prima poco considerati, o meglio considerati come veri e propri problemi, che realizzano assieme tra loro, progetti di utilità comune e di volontariato, in quello che oggi è il loro territorio (visto la presenza elevata di partecipanti stranieri). Nella relazione compilata per l’Unione Europea, i formatori scrivono: “all’inizio del programma è stato molto difficile incoraggiare l’integrazione

90


culturale, ma attraverso esercizi basati sul teatro dell’Oppresso, alla fine le differenze tra i partecipanti sono cominciate ad essere considerate come un tesoro e non una minaccia”. Nel lavoro di progettazione e realizzazione, si sono osservati maggiormente il confronto e la positiva relazione creatasi tra ragazzi ed adulti, in una rapporto di ascolto, alla pari. Durante lo svolgimento dell’intero percorso programmato si è osservato un continuo adattamento alle esigenze riscontrate e una valutazione costante fatta in maniera partecipata, da formatori e ragazzi assieme. Per quanto riguarda la verifica finale dell’intero progetto, non essendo stati completati tutti i progetti dei ragazzi, non è possibile riportare alcuna valutazione ufficiale dei risultati. Vengono, quindi, presentate di seguito le considerazioni, non frutto di analisi professionali (perché non ancora effettuate), ma derivanti dall’ascolto degli attori ed dall’osservazione dei fatti. Nell’analisi si farà riferimento alla modalità che IIDAC utilizza di prassi per valutare i risultati dei suoi progetti (http://www.iidac.org). IIDAC effettua un’analisi quantitativa e qualitativa; si avvale di indicatori oggettivi che permettono una definizione di come il progetto è stato realizzato e quali tipi di esiti ha creato. Per quel che concerne la parte quantitativa, non sono stati utilizzati tutti gli indicatori IIDAC: si propone una rivisitazione e in parte integrazione. Essi sono evidenziati nella seguente tabella; per ciascuno di essi viene indicato, a fianco, il risultato raggiunto, in maniera schematica e di semplice lettura.

91


Tabella 4.1 – Indicatori quantitativi e risultati emersi – Elaborazione nostra

Indicatori quantitativi

Risultati emersi

Numero ragazzi all'inizio del progetto

33

Numero ragazzi alla fine del progetto

24

Realizzazione di tutto il percorso formativo

Numero di gruppi organizzati

4

Numero di progetti iniziati

4

Numero di progetti realizzati

2

Numero di progetti intergruppi (fatti da più gruppi assieme) Istituzioni attivate e contatti attivati per la

2 Provincia, Regione, Unione Europea

realizzazione dell'intero progetto Istituzioni attivate e contatti attivati per la

altre sedi Enaip, associazioni, palazzetto

realizzazione dei progetti

dello sport, consultorio

Maggiore rilievo si riserva agli indicatori qualitativi perché forniscono dati meno oggettivi e tecnici ma più utili per comprendere l’evoluzione del progetto, le sue fasi e la realizzazione degli obiettivi inizialmente prestabiliti. IIDAC identifica questi indicatori in base all’osservazione diretta da parte degli operatori e al feedback dei partecipanti (http://www.iidac.org). Utilizza dei test che permettono una migliore lettura degli esiti del progetto. Questa fase è competenza dello psicologo. Non essendo il progetto ufficialmente concluso, si fa riferimento solamente alle valutazioni degli attori coinvolti, dei protagonisti e dei giovani. Il progetto Pro-Youth racchiude in sé differenti aspetti: esso coinvolge partner, ragazzi e società (il territorio). Per ognuno di essi è possibile offrire un riscontro; si osserva di seguito il rapporto creatosi con l’organizzazione internazionale

92


IIDAC, ma si fa cenno, più avanti, anche alla relazione inversa (tra gli altri attori ed IIDAC). Il rapporto creatosi tra l’organizzazione promotrice del progetto ed Enaip, partner fondamentale, ha rivelato un’iniziale positiva condivisione dei valori, degli obiettivi e della proposta nella sua interezza. Nella fase iniziale, anche se con molta approvazione dell’idea, Enaip ha voluto mantenere un certo controllo fornendo come tutor della parte operativa del progetto una sua dipendente. Sono state evidenziate delle incomprensioni nella selezione dei ragazzi coinvolti nel progetto; la scelta non è stata frutto della motivazione personale dei singoli ragazzi ma, piuttosto una decisione presa dall’ente; questo, come anticipato precedentemente, è stato motivo di iniziale resistenza nel rapporto con i giovani e ha portato ad un maggior lavoro dei formatori per creare fiducia, interesse, voglia di partecipare e diventare protagonisti di se stessi. Queste difficoltà sono proseguite nel corso dello svolgimento di “Pro-Youth”, soprattutto nella concreta realizzazione dei progetto pensati dai giovani. Nel momento in cui i formatori hanno lasciato spazio d’azione all’ente scolastico, si è notata una minore attenzione ai progetti dei ragazzi, con un intervento ed un controllo su questi che ha frenato e tuttora fermato due di essi. Sono sorte infine alcune incomprensioni anche sul piano dei finanziamenti. Su questo aspetto, un ruolo fondamentale è stato assunto dall’Unione Europea ed in particolare dall’European Youth Foundation (EYF) (Fondazione Europea della Gioventù; http://www.eyf.coe.int/fej). È perciò possibile considerare come partner minore l’Unione Europea; che concretamente ha fornito risorse economiche indispensabili per la realizzazione del progetto. Tra gli attori coinvolti, il tutor didattico assume fin dall’inizio un ruolo importante. I formatori hanno presentato il progetto e lo hanno coinvolto già nei primi incontri di formazione svolti con i ragazzi, anche se i compiti affidatigli vedevano il suo intervento in un secondo momento.

93


Nel corso dell’attuazione delle idee dei ragazzi si è creato un rapporto di collaborazione: c’è stato scambio di informazioni e contatto sul lavoro svolto dai gruppi. Tuttavia, per quanto riguarda la fiducia nei ragazzi e nel progetto, non si è notata una particolare sintonia, anzi; mancavano forse anche alcune competenze; questo ha demotivato e scoraggiato i ragazzi, soprattutto nella realizzazione delle proposte più interessanti come le rappresentazione teatrale per un’associazione che ospita persone disabili e la lezione di educazione sessuale per altri studenti. Nel complesso i formatori hanno riscontrato una maggiore apertura e presa di coscienza delle capacità da parte dei ragazzi; la realizzazione di progetti di volontariato ha rappresentato un positivo risultato. Presentate le considerazioni di IIDAC, ora si espone come gli attori finora coinvolti hanno reputato il progetto realizzato e l’organizzazione che lo ha proposto. Enaip, nella persona del responsabile7 degli istituti di Calalzo e Longarone, ha avuto i seguenti riscontri: inizialmente la collaborazione e la novità di “ProYouth” ha colpito ad interessato il personale dell’ente. Durante lo svolgimento del percorso formativo sono però emerse alcune criticità. Il fatto che alcuni ragazzi abbiano abbandonato la proposta è stato indice di carenza di modalità efficaci di coinvolgimento (“i ragazzi si annoiavano”, i giochi erano molto ripetitivi”); inoltre non sono stati condivisi alcuni comportamenti lassisti da parte dei formatori nei confronti dei giovani, considerato il luogo che li ospitava, una scuola. I ragazzi infatti hanno tenuto, a volte, atteggiamenti poco rispettosi nei confronti della stanza in cui avvenivano gli incontri e del posto, in termini di espressioni linguistiche, senza per questo essere ripresi dai formatori presenti. Dal punto di vista educativo (in termini di “controllo adulto – minore”) l’istituto scolastico non ha apprezzato. Infine, per quanto riguarda i progetti proposti dai ragazzi, Enaip ha ritenuto necessario, come anticipato, fermare la realizzazione della lezione di educazione sessuale. 7 Dott. Graziano Sadocco. Intervista in data 12 novembre 2010.

94


Accanto a questi aspetti, si evidenzia anche il fattore tempo che è stato poco e a ridosso del termine dell’anno scolastico. Sono emersi aspetti positivi: l’approccio diverso avuto con e per i ragazzi, la sperimentazione di nuove modalità di partecipazione; il progetto si è complessivamente rivelato un’occasione di confronto e discussione. Il tutor per la realizzazione delle singole iniziative proposte dai ragazzi, ha espresso alcune perplessità riguardo al progetto. A suo parere il motivo per cui alcuni ragazzi hanno abbandonato il progetto è stata la mancanza di entusiasmo delle attività proposte; “frequentando una scuola di formazione professionale sono abituati a svolgere attività prevalentemente pratiche e non sono motivati alle attività di questo tipo”, continua affermando che “è difficile trovare una chiave per coinvolgerli, forse non è stata trovata quella giusta”. Secondo la sua opinione “bisognerebbe, credo, lavorare di più sul lato pratico e da questo riuscire a passare ad una sfera più ampia”; “sono tutti ragazzi già abituati a lavorare e per niente “idealisti”, quindi proporgli dei giochi non è, secondo me, il modo migliore per creare tra loro fiducia e rispetto reciproco e per accattivarseli”8. Ciononostante ha svolto il suo compito cercando di far portare a termine il lavoro cominciato dai ragazzi, è stata molto disponibile, anche se certamente ha avuto un certa influenza il fatto di non condividere a pieno la proposta IIDAC. Alla fine il tutor ha evidenziato come risultato positivo la presenza di gruppi ben amalgamati, con forte spirito cooperativo e rispetto reciproco (tra ragazzi di differenti etnie). L’Unione Europea e soprattutto l’European Youth Foundation non sono stati molto soddisfatti di come è stata gestita la rendicondazione dei fondi destinati al progetto; questo è andato un po’ a scapito di IIDAC che ha fatto da organizzatrice, responsabile e referente del bando europeo a cui avevano aderito per avere i finanziamenti (bando europeo Category D-HRE). Particolare attenzione viene di seguito riservata ai ragazzi, alle considerazioni su di essi e alle loro valutazioni su “Pro-Youth”. 8 Intervista alla Dott.ssa Beatrice Dal Piva, tutor didattico, in data 29 giugno 2010.

95


Da parte di IIDAC, emerge che tra formatori e ragazzi, nel corso degli incontri, si è creata una relazione basata sul rispetto, l’ascolto reciproco, la fiducia e anche una certa sintonia e complicità. La forte presenza di studenti stranieri nel gruppo si è rivelata risorsa e non ostacolo al lavoro svolto: fin dai primi incontri i formatori hanno percepito come gli individui più restii e titubanti sul progetto, la sua realizzazione e il contributo che essi potevano dare a questo, erano ragazzi italiani; gli stranieri si sono dimostrati più coraggiosi, pronti ad agire, osare, anche sfidare e reagire. Questo ha rappresentato un punto di forza per coinvolgere gli altri ragazzi e traino per riuscire a creare un gruppo, per condividere un cammino comune di formazione e crescita di tutti i ragazzi presenti. Ciò che prima poteva essere visto come un problema, una difficoltà o sfida da affrontare si è invece rivelata un potente strumento catalizzatore. Da osservare anche che non si sono create nel gruppo aggregazioni per nazionalità ma un unico insieme di ragazzi motivati e disposti a mettersi in gioco. Fondamentale è l’interpretazione dei risultati da parte dei ragazzi, sul lavoro fatto, sul momento di formazione e sull’intero progetto; come soggetti protagonisti essi sono coloro che forse, meglio, possono esprimere, constatare la realizzazione vincente del progetto. Si sono osservati, prima di tutto, gli esiti dei progetti creati in gruppo: la tabella sottostante presenta un quadro complessivo dei principali riscontri emersi.

96


Tabella 4.2 – Esiti dei progetti realizzati dagli studenti Enaip aderenti al progetto “Pro Youth” Progetto

Obiettivo

Esito “Iniziativa che si è rivelata divertente ma

Torneo di calcetto

Creare un momento ludico e di

anche molto significativa dal punto di

incontro tra ragazzi di nazionalità

vista educativo” (Dal Piva,2010),

diversa

occasione di integrazione e momento di incontro anche con la sede Enaip di Feltre

Teatro

In sospeso perché non ancora pronta la

“Cappuccetto

Animazione presso un ente che

rappresentazione e non trovata

Rosso”

ospita persone disabili

l'associazione in cui presentare lo

moderno

spettacolo

Modello di macchina con pasta

Dimostrazione del lavoro di

Realizzato e completato, abbellito con le

gruppo svolto tra le due sedi

bandiere dei Paesi nativi dei partecipanti

Enaip e tra ragazzi di nazionalità

ed esponsto all'ingresso della sede di

diversa

Calalzo

Lezione di

Sensibilizzare e fornire ad altri

educazione

studenti informazioni in materia

sessuale

di educazione sessuale

Progetto inizialmente bloccato e ora in sospeso per valutazione non positiva da parte di Enaip sui contenuti della “lezione”, da rivedere

I risultati ottenuti fanno riferimento non alla conclusione completa dei progetti ma al loro stato al momento attuale; quindi con due progetti conclusi e due in sospeso. Nella valutazione dei progetti, si è chiesto ai giovani di dare una personale opinione del lavoro svolto; momento di verifica, per farli anche riflettere sui successi, le criticità e gli ostacoli riscontati; in un’ottica di autogestione, autovalutazione e responsabilizzazione dei ragazzi stessi, al fine di poter sviluppare,

in

questo

modo,

anche

un

maggiore

senso

critico

(http://www.iidac.org).

97


Alcune considerazioni elaborate dagli studenti che hanno partecipato all’intero percorso sono riportate in seguito. I dati rilevati sono parziali; i ragazzi che frequentavano la classe terza dell’anno scolastico 2009-2010 (7) non sono più presenti negli istituti; altri ragazzi non hanno invece risposto a tutte o a parte delle domande. Della sede di Longarone hanno risposto 6 ragazzi, così come a Calalzo. Nonostante questo è possibile fare le seguenti osservazioni. Riguardo alla proposta fatta ai ragazzi di realizzare un loro progetto in gruppo (come hai recepito la proposta di creare assieme ai tuoi compagni un progetto tutto vostro), sono stati tutti piuttosto soddisfatti: “ero molto entusiasta”; ho provato “un senso di libertà”; “noi avevamo fatto un gruppo che era composto da più stranieri per far vedere alla gente che gli stranieri non sono in più ma sono un aiuto (una risorsa in più)”. Alcuni però, inizialmente, erano titubanti; una ragazza afferma che era “all’inizio molto sorpresa però allo stesso tempo ero incuriosita, mi sono sentita anche molto contenta di sapere che ci hanno dato questa opportunità”; “sinceramente credevo di non farcela”, “pensavo fosse impossibile ma alla fine ci sono riuscito a creare qualcosa insieme ai miei compagni” dichiarano altri ragazzi; “all’inizio mi piaceva ma dopo mi sono stufato” ha invece sostenuto uno di loro. Le capacità che i giovani hanno messo a frutto per la realizzazione dei progetti sono: l’organizzazione, la responsabilità, il gioco di squadra, l’intelligenza, la mediazione (“trovare le parole giuste per comunicare con gli altri”), la leadership (“ero quasi sempre io a decidere e a comandare”), il talento e la passione (“il giocare a calcio”). La voglia di fare, di stare insieme e formare un bel gruppo (“eravamo in molti ad aiutarci”), la libertà di esprimersi, le idee e le proposte,

l’integrazione,

l’amicizia sono diventati punti di forza. I ragazzi dichiarano come aspetti positivi del loro lavoro la conoscenza di altre persone (“abbiamo conosciuto anche nuovi amici) e l’aver “fatto vedere che si può lavorare tra stranieri e italiani”.

98


Alla domanda “cosa avreste potuto migliorare”, i ragazzi hanno risposto: “il comportamento”, “le mie capacità di lavorare in gruppo” e “a comunicare meglio senza sfottersi tra gli amici”. Tra gli ostacoli sono stati evidenziati alcuni esercizi del Teatro dell’Oppresso (“non mi piacevano i giochetti, quelli di camminare per la stanza” dichiara un ragazzo); la paura di non essere all’altezza del progetto scelto: “avere la capacità di realizzare un progetto per i bambini disabili”. Altri ragazzi non hanno riscontrato invece particolari difficoltà. Secondo i giovani studenti, il loro progetto è stato “facile da cominciare, difficile da finire”. Per i progetti realizzati le impressioni sono state alcune molto positive: “da 1 a 10 diciamo 9” oppure “10”, “molto bello e inviterei tante persone a realizzarne altri”, alcuni l’hanno reputato “molto bello ma fatto molto male”. “Non siamo riusciti a finirlo e questa cosa mi rompe un po’” sostiene chi invece non ha potuto concludere il lavoro iniziato. Sono state poste ai ragazzi alcune domande anche riguardo le aspettative, la formazione, le valutazioni complessive sull’intero progetto, se infine, secondo loro, “Pro Youth” potrebbe essere riproposto e se avrebbero modificato qualcosa. Per quanto riguarda le aspettative (quali erano le tue aspettative all’inizio del progetto), la maggior parte dei ragazzi ha dichiarato che non ne aveva, non sapeva cosa fosse il progetto e si è ritrovata ad esserne parte; alcuni invece sostengono che pensavano fosse una cosa diversa dal solito (“pensavo fosse bello, e lo penso ancora”), divertente, chi invece una cosa seria “non pensavo fosse divertente”, “una cosa noiosa, invece è stato abbastanza divertente”, chi dimostra curiosità, voleva “comprendere il motivo per cui è stato fatto questo progetto”; “conoscere persone nuove e migliorare il mio rapporto con i compagni di scuola; organizzare delle attività per aiutare le persone bisognose”; “incontrare gente e cose nuove”. Nel corso degli incontri le aspettative spesso sono mutate: “sono cambiate in modo positivo”; “sono migliorate ad ogni incontro e penso che mi abbia aiutato a migliorare la mia vita”; “questo progetto mi ha aiutato a conoscere persone con

99


cui non avrei mai legato se non ci fosse stata questa opportunità. Col tempo ho imparato a lavorare insieme ad altre persone (gioco di squadra)”. In alcuni casi “sono cambiate perché non mi aspettavo di annoiarmi”; “è cambiata la mia aspettativa perché pensavo si parlasse di altro tipo come organizzare tornei, aiutarci ad esporre alla scuola i nostri progetti”. Alla domanda “come ti sono sembrati la prima parte di formazione, gli esercizi e i giochi proposti?”, le risposte sono state varie: da un lato alcuni hanno faticato a lasciarsi coinvolgere e hanno dato una valutazione negativa a questa fase (giochi “inutili”); “mi sono sembrati giochi da bambini”; “pensavo che ci avessero presi per matti”; “mi sentivo una persona anormale”; altri invece sono stati contenti e si sono “lanciati” nelle attività, abbassando le barriere e il senso di disagio iniziale; “alcuni divertenti, altri imbarazzanti”; “divertenti, logici, positivi”; “le attività sono state utili, perché molte volte mi sono messa alla prova delle mie capacità”; “interessanti, penso che avessimo bisogno di quei giochi proposti”; “la formazione mi è piaciuta molto e i giochi che abbiamo fatto erano divertenti”. In generale il progetto “Pro-Youth” è stato valutato (percepito e condiviso) nel seguente modo: “interessante ed è stata una bella cosa”; “interessante all’inizio poi pian piano stufava”; “all’inizio era bello, ma poi è diventato noioso e siamo rimasti in pochi, quasi tutti sono andati via”; “da 1 a 10, 8”; “da 1 a 10 diciamo 8,5”; “10” per qualcun altro; “mi sono divertita, molto interessante”; “bello, anche se mi aspettavo di fare qualcosa di più difficile”; “molto divertente e istruttivo”. Si è infine chiesto ai ragazzi se secondo loro “Pro-Youth” possa essere riproposto, così com’è, con qualche modifica, e cosa cambierebbero. La maggior parte ha dichiarato che sarebbe un progetto da riproporre, “bisogna dare l’opportunità a tutti i ragazzi di provare questa esperienza”. Per le modifiche, alcuni sostengono che andava bene così: “non migliorerei niente”, “per me tutto era giusto”, “secondo me non c’è niente da cambiare, è un progetto molto bello”; altri invece hanno dato consigli utili. Secondo le diverse risposte emerge la

100


necessità di fare più cose, più complesse (“bisogna fare più cose, erano troppe poche”, “aggiungerei qualcosa di più difficile”) e di essere in numero maggiore (“secondo me eravamo in pochi”). Oltre ai principali attori del progetto, esistono alcune figure, considerati “soggetti indiretti”, che non coinvolti direttamente hanno acquisito comunque una opinione sull’iniziativa. Coloro che hanno svolto il torneo di calcetto, coinvolgendo diverse sedi; i gestori del palazzetto dello sport; le associazioni a cui i ragazzi si sono rivolti per la rappresentazione teatrale; la scuola coinvolta per la “lezione” di educazione sessuale; il consultorio; a tutti questi si è presentato l’intero progetto, chiedendone una condivisione attiva. Questi soggetti, assieme agli studenti degli istituti, gli insegnanti presenti nelle sedi (ma non direttamente coinvolti), i responsabili di Enaip Veneto (che erano solamente a conoscenza dell’idea del progetto), la Provincia, la Regione, l’Unione Europea, coloro che visitano il sito di IIDAC Europa e vedono il video realizzato durante la fase della formazione, il territorio montano del GAL dell’Alto Bellunese o il più ristretto spazio locale e sociale attorno alle scuole coinvolte, la tesista stessa, sono i destinatari “finali” del progetto: coloro che beneficiano dell’impatto di “ProYouth” nella società. In maniera particolare la sottoscritta ha rivestito un ruolo di “osserv-attore” osservando criticamente e partecipando in maniera attiva ad alcuni momenti del progetto, in contatto con i diversi principali attori. Successivamente vengono riportate alcune considerazioni personali conclusive. Comprendere il riscontro dell’iniziativa nel territorio e quanto questa sia stimolo per un iniziale cambiamento, un’azione, in un’ottica di sviluppo locale è fondamentale. La diffusione di opinioni, modalità di svolgimento, esiti ma anche criticità e debolezze sono fondamentali per far conoscere come i giovani possono essere protagonisti di se stessi, o meglio avere occasioni per provare ed imparare a

101


diventare soggetti protagonisti, per crescere, aumentare le loro aspettative e rappresentare risorse per il proprio territorio.

4.2 Bilancio critico del progetto pilota analizzato Nel precedente paragrafo si è valutato il progetto attraverso indicatori quantitativi e qualitativi. In questa seconda modalità di analisi, si è soprattutto fatto riferimento a riflessioni ed opinioni personali dei soggetti coinvolti. È necessario, invece, ora, comprendere gli effetti del progetto e l’impatto che questo ha avuto nei ragazzi e nella comunità in cui è stato realizzato. Osservati i diversi aspetti di “Pro-Youth Calalzo”, è possibile trarre conclusioni generali sull’interezza della proposta. Attraverso lo strumento dell’analisi SWOT (Hill, Westbrook 1997), vengono evidenziati i punti di forza, di debolezza, le opportunità e le minacce del progetto; in questo modo si vogliono riassumere i principali risultati e vedere quali sono gli elementi da modificare e potenziare, per un eventuale futura “riedizione” del progetto. La figura sottostante illustra il procedimento e le componenti dell’indagine SWOT, così come vengono in seguito presentate. Figura 4.2 – Il processo di analisi SWOT – Elaborazione nostra

SWOT

PUNTI DI FORZA

DA POTENZIARE

OPPORTUNITA’

MINACCE

PUNTI DI DEBOLEZZA

DA MODIFICARE

102


Sono emersi, in precedenza, i punti di forza di “Pro-Youth” secondo i giovani; qui sono invece presentati tutti gli elementi, in generale, che hanno rappresentato un vantaggio nella realizzazione di “Pro-Youth”. I ragazzi, ognuno con il proprio carattere, capacità, aspettative e coraggio, hanno contribuito a formare un bel gruppo, che ha permesso la creazione di buoni presupposti per lavorare e collaborare assieme. Si è manifestata la voglia di creare un progetto, di divertirsi e passare del tempo con altri coetanei, in un contesto protetto, di confronto ed educativo ma non formale ed istituzionale come quello della scuola. Il gruppo ha favorito il dialogo tra giovani e formatori; la creazione di ruoli e di dinamiche relazionali. In tutto ciò elemento importante sono le forti personalità dei ragazzi coinvolti. La presenza di studenti stranieri, come evidenziato, si è rivelata una grande risorsa e non elemento di disturbo. Il punto di forza principale è rappresentato quindi dai ragazzi stessi; grazie ad essi è stato possibile la realizzazione del progetto: gli adulti occupano, in questo caso un ruolo marginale, “burocratico”, di accompagnamento e in per taluni casi “limitante”, poco incoraggiante. Ecco così che tra i punti di debolezza si riscontrano la razionalità e l’”essere formali” degli adulti. Gli ostacoli sono già stati visti nel dettaglio; in generale le criticità sono state la relazione con i partner, la mancata condivisione di alcuni aspetti in corso d’opera e forse il dialogo tra adulti su aspetti educativi e formativi (e la loro distinzione, se esiste). È significativo il fatto che, ad oggi, IIDAC ed Enaip (le sedi coinvolte) non abbiano avuto occasione di confronto finale (alcune riflessioni sono state fatte solo in corso d’opera ma non hanno portato conseguenze soddisfacenti). Altro elemento critico è l’interruzione del progetto e quindi la mancata conclusione delle proposte di tutti i gruppi. I ragazzi hanno evidenziato la difficoltà nel portare a termine le cose: molto entusiasti all’inizio ma poi faticano a continuare, hanno poca costanza; è

103


impegnativo conquistare la loro fiducia, coinvolgerli, credere nelle capacità che essi hanno, e responsabilizzarli a concludere ciò che hanno deciso di iniziare. Per quanto riguarda le opportunità è necessario fare una distinzione tra quelle reali, derivanti dal compimento del progetto, e quelle che potevano essere tali ma che, purtroppo, non hanno trovato la giusta direzione. Prima di tutto importante è l’esperienza offerta ai ragazzi, il percorso formativo, collaborativo e di protagonismo proposto; l’opportunità per i giovani di riscattarsi dal ruolo ricoperto finora, di dimostrare le loro capacità e potenzialità ha rappresentato uno stimolo positivo. Anche per IIDAC, il progetto è stato utile, per conoscere il contesto, sviluppare capacità di adattamento e riadattamento delle loro proposte ad esso. Anche per l’ente Enaip e il personale coinvolto nell’iniziativa, è stato un momento di riflessione, di confronto e messa in gioco, sia per quanto concerne l’attività volta al protagonismo e alla cittadinanza attiva; per la conoscenza del lavoro svolto da IIDAC, e, infine per l’occasione di osservare e conoscere altri lati dei ragazzi per cui lavorano. Come opportunità potenziali due sono quelle più importanti: osservare nel corso del tempo, nei ragazzi e negli adulti che si confrontano con loro un cambiamento; assicurare una continuità al progetto, una collaborazione con la scuola negli anni, con un progressivo mutamento della realtà attuale, verso un maggiore sviluppo sociale del territorio. Anche per le minacce è possibile considerare due aspetti: da un lato quelle riscontrate durante lo svolgimento del progetto; dall’altro i rischi che possono emergere dopo la realizzazione del progetto. L’iniziale mancanza di motivazione da parte dei giovani e il loro esser stati inseriti nel progetto da altri ha sicuramente rappresentato un possibile ostacolo. La difficile collaborazione tra il promotore del progetto e l’istituto scolastico partner, da minaccia iniziale si è poi trasformata, come visto, vero e proprio punto di debolezza.

104


Durante la fase della formazione, alcuni ragazzi, non stimolati ed interessati dal progetto, hanno reso difficile in alcuni momenti lo svolgimento degli incontri; con essi i formatori si sono confrontati e, per il benessere del gruppo, è stato scelto di non far proseguire loro il percorso; si è così evitato di distrarre il gruppo e poter lavorare con i rimanti in un clima più sereno e rispettoso. Con la conclusione del progetto, la potenziale minaccia che può verificarsi è il ritorno alla normalità: non tener conto dei risultati ottenuti e dell’esperienza. Questo è rischioso, sia per i ragazzi che dimenticano, tornano a non considerare le loro potenzialità; sia per gli adulti, che magari continuano a non credere nei ragazzi, ritengono la proposta un’attività extrascolastica priva di valore, si soffermano sugli ostacoli emersi. Tutto ciò va ad intaccare il lavoro fatto e mina le prospettive future dei ragazzi, anche in termini di opportunità. Opportunità e minacce sono così in stretta relazione tra loro. Entrambe fanno emergere, in positivo e in negativo, l’idea di assicurare una prosecuzione della proposta IIDAC. È importante che un’azione come questa crei continuità. Per continuità non si intende la necessità di seguire costantemente i ragazzi per tutto il resto del loro percorso di crescita, di custodirli e proteggerli da eventuali rischi; significa invece fare in modo che da questo progetto i giovani credano di più nelle loro capacità e trasformino le potenzialità in azioni concrete. Il ruolo degli adulti deve, a questo punto, essere di accompagnamento, sostegno, non spinta e di stimolo, non ostacolo.

105


Tabella 4.3 – Riepilogo analisi SWOT del progetto “Pro-Youth” – Elaborazione nostra

Punti di forza

Punti di debolezza

Giovani

Relazione con i partner

Gruppo

Dialogo – Educazione vs formazione

Personalità

Incompletezza del progetto

Stranieri

Incostanza dei ragazzi

Opportunità

Minacce

Esperienza nuova per tutti gli attori coinvolti (ragazzi, Enaip e IIDAC) Cambiamento Continuità nella collaborazione

Motivazione ragazzi Ragazzi non interessati Ritorno alla normalità

L’analisi effettuata dei punti di forza, debolezza, opportunità e minacce fa emergere complessivamente un buon successo del progetto e del lavoro fatto dai e con i ragazzi; ciononostante ci sono aspetti che possono ancora essere potenziati e modifiche necessarie per un futuro miglioramento della proposta. La tabella seguente mostra alcune generiche strategie proposte dalla matrice SWOT.

106


Tabella 4.4 – Strategie nate dalla matrice SWOT – Elaborazione nostra

Strategie

Punti di forza

Sviluppare nuove metodologie Opportunità

in grado di sfruttare i punti di forza

Minacce

Sfruttare i punti di forza per difendersi dalle minacce

Punti di debolezza

Eliminare le debolezze per attivare nuove opportunità

Individuare piani di difesa per evitare che le minacce diventino punti di debolezza

I punti di forza aiutano a comprendere quali elementi valorizzare; quelli di debolezza mostrano invece ciò che deve essere corretto. È possibile riassumere entrambi gli aspetti affermando che investire e contare sui giovani è una sfida, grossa ma realizzabile; è tuttavia necessario: tener presente le difficoltà dei ragazzi con cui si lavora (e il loro contesto), qualificare il confronto con gli attori coinvolti nelle iniziative; e fare in modo che queste siano esperienze, non solamente attività fine a sé stesse ma in grado di creare un mutamento. Si ricordano inoltre i preziosi suggerimenti dei ragazzi per l’ideazione di nuove azioni al fine realizzare il loro sogno di protagonismo in maniera più completa e concreta: più ragazzi, più proposte e più difficili. Nel capitolo precedente e nel precedente paragrafo sono state indicate le aspettative di tutti i soggetti coinvolti: i formatori IIDAC, il tutor didattico, Enaip, i ragazzi. È importante, giunti a questo punto, verificare se queste sono state soddisfatte, per ciascun attore coinvolto. Si può affermare, sommariamente, che per quanto riguarda IIDAC ed l’Enaip, le aspettative legate alla cittadinanza attiva

107


e al protagonismo dei ragazzi erano elevate ma, anche se con qualche ostacolo, si ha un riscontro positivo della proposta, come esperienza nuova per i giovani. Per quel che concerne i ragazzi, si è osservata una fiducia nel progetto, ma emersa soprattutto durante il percorso svolto, piuttosto che derivante dalle aspettative iniziali. Il progetto Pro-Youth ha fatto in modo che i ragazzi si attivassero, è perciò stato raggiunto il suo obiettivo principale: il protagonismo giovanile. Per una completa lettura dei risultati è però efficace fare una distinzione tra la parte organizzativa che ha fatto emergere alcune criticità e la parte formativa, educativa, che ha riscontato un buon successo. Da ultimo (come anticipato in precedenza), si propongono di seguito alcune riflessioni personali della sottoscritta. “Pro-Youth”, come esperienza di protagonismo è stata una valida ed originale proposta. Condivido alcuni aspetti evidenziati da entrambe le parti, sia di IIDAC che di Enaip, comprendo tuttavia anche le motivazioni che hanno determinato le scelte, anche oggetto di incomprensioni tra i due soggetti. Nei ragazzi si è notato un cambiamento nel corso degli incontri e penso che sia un dato rilevante. Sono preziose le osservazioni oggettive sugli aspetti del progetto, sugli attori, sulle difficoltà riscontrate e soprattutto su ciò che i ragazzi hanno recepito, provato, espresso e non. La voce dei ragazzi permette di dare la giusta chiave di lettura, rappresenta una cartina “tornasole” degli interventi; con strumenti di accompagnamento alla valutazione dei fatti, con il confronto, la spiegazione delle scelte fatte, è possibile creare nuove iniziative perché altri ragazzi possano provare l’esperienza e soprattutto per fare in modo che questi studenti, con il sostegno di figure adulte significative, continuino il processo di crescita e attivazione sociale, nella loro comunità, come cittadini. L’importanza di dare continuità, valore nel futuro a questi progetti è necessaria per evitare che rimangano attività, episodi della vita, momenti diversi, nuovi ma che non cambiano nulla, non solo nei ragazzi, ma soprattutto in tutte le persone, che possono offrire ai giovani occasioni di protagonismo.

108


4.3 Esportabilità come valore aggiunto: verso una programmazione integrata “bisogna dare l’opportunità a tutti i ragazzi di provare questa esperienza”9 La valutazione dei risultati raggiunti durante l’analisi permette di verificare se il progetto ha tra le sue caratteristiche l’esportabilità. Per esportabilità, o replicabilità, si intende la capacità di un progetto di essere proposto in altri contesti, con modalità affini (Bulsei 2010). L’obiettivo è permettere al progetto di poter diffondere i suoi esiti in molteplici situazioni, senza trasformare la sua essenza in altro ma adattandosi in modo flessibile, dialettico e “critico” ad altre realtà sociali e territoriali. Per realizzare ciò è necessario porre l’attenzione su due aspetti: da un lato, bisogna capire se esistono procedure “standard” che caratterizzano il progetto “Pro-Youth”, che possono essere tenute valide anche in differenti ambiti locali; è necessario inoltre, d’altro campo, sottolineare l’importanza del contesto in cui viene avanzata la proposta e considerare ogni futuro progetto “Pro-Youth” specifico e caratterizzante il territorio in cui prende concretezza. Un progetto, per essere esportabile, deve quindi avere “colonne portanti”, elementi caratteristici e simili, che valgono sempre e poi essere continuamente riadattato a seconda del contesto (Osti 2010 cap. 4). L’esportabilità diventa così un valore aggiunto perché attribuisce al progetto un significato più ampio, completo e duraturo, al di là della mera realizzazione iniziale. Questo per “Pro-Youth” è già avvenuto quando il progetto, nato e realizzato per la prima volta in Brasile e stato “trasferito” in un contesto europeo, italiano, di montagna (Calalzo di Cadore). 9 Opinione espressa da Norma, studentessa coinvolta nel progetto, sulla possibilità di esportabilità di “Pro-Youth”.

109


Si può dire che l’esportabilità in “Pro-Youth” è uno degli obiettivi: utile mezzo per diffondere il protagonismo giovanile. Tra i due progetti già realizzati sono stati riscontrati alcuni elementi comuni e delle differenze che, a detta del formatore Giulio Vanzan 10 sono “molte”. “In primo luogo il fatto che in Brasile, lavorando con i poveri, tutto è una novità; c'è un’enorme sete di qualcosa di nuovo, di alternative, […] che risulta facile motivare i ragazzi, soprattutto se sei italiano, giovane e ti presenti in nome di un'istituzione legata all'ONU”11. Egli osserva che in Italia i problemi dei giovani sono “più sottili, meno materiali e più psicologici (non ci sono favelas o banditi che spacciano crack con il fucile sotto casa)” e che esistono moltissime alternative. “Pro-Youth” in Italia rappresenta una tra queste, ma è una proposta di qualità e si appoggia a partner capaci di “raccogliere i ragazzi e condurli lungo l'iniziativa: questa è una chiave per il successo”. Nel nostro Paese oggi la situazione di disagio maggiore è vissuta dagli immigrati; dalla commistione di etnie che difficilmente si conoscono e riescono a dialogare. Questo a Calalzo era palese ma è stato possibile realizzare una buona integrazione o almeno alla collaborazione tra ragazzi. Ciò che cambia nelle due esperienze sono dunque il contesto e i giovani coinvolti. Se, come già provato, è possibile considerare “Pro-Youth” un progetto “esportabile”; è necessario tuttavia stabilire anche quali sono le traiettorie e i vincoli comuni.

10 Giulio Vanzan è uno dei formatori nel progetto “Pro-Youth” realizzato a Calalzo. È formatore con esperienza pluriennale in Italia, Portogallo, Romania, Bolivia e Brasile, con adolescenti e giovani, anche in contesti di marginalità ed esclusione sociale. È anche consulente per UNICEF in percorsi di formazione e organizzazione di eventi internazionali. È altresì specializzato in educazione allo sviluppo, dialogo interculturale e in teatro dell’Oppresso. È direttore esecutivo, responsabile dell’area Cooperazione Internazionale di IIDAC Europa. 11 Intervista al Dott. Giulio Vanzan in data 13 agosto 2010.

110


I tratti distintivi, già evidenziati con la descrizione dell’intero progetto nel capitolo precedente, possono essere così riassunti: 1. gruppo di adolescenti e giovani tra i 12 e 18 anni, motivati (circa 30 persone); 2. metodo del “protagonismo giovanile”; 3. percorso formativo suddiviso in tre momenti: formazione individuale in gruppo, del gruppo, partecipazione cittadina; con l’utilizzo di diversi strumenti: biopsicologia; assertività neoumanista; PNL; giochi cooperativi; ristrutturazione cognitiva e ABC; teatro dell’Oppresso; 4. fase di attuazione con l’aiuto di metodi di progettazione, pianificazione e organizzazione delle proprie attività, per la realizzazione di un progetto di volontariato da implementare nella propria comunità di riferimento nel rispetto della sostenibilità ed autogestito; 5. creazione di una rete locale di giovani protagonisti. È possibile mantenere le 5 principali linee guida appena viste, adattarle ai soggetti coinvolti e ad ambienti differenti; attori e contesto sono invece gli elementi che mutano di progetto in progetto. Esiste un forte legame sinergico tra i due aspetti: il contesto indubbiamente influenza gli attori, i giovani in questo caso, lo stile di vita, le aspettative, i bisogni; allo stesso modo i ragazzi, considerati come membri di una comunità, poi protagonisti e soggetti sociali, sono in grado di influenzare l’ambiente in cui vivono. Entrambi sono quindi elementi fulcro quando si parla di esportare o adattare “Pro-Youth”. I ragazzi non sono uguali; in Brasile e in Italia, al Sud e al Nord, ad Ovest ed a Est, nella pianura come nella montagna, nelle montagne del Gran Sasso come in quelle del Cadore. Le problematiche ed i bisogni che emergono sono differenti e dipendono da numerose variabili. È importante considerare le caratteristiche degli attori in gioco e del modo in cui le relazioni vengono costruite (Donati, Colozzi 2006), perché non sempre

111


risulta funzionale proporre le stesse attività, in ogni caso e a tutti; è fondamentale saper adattare con flessibilità la proposta al destinatario a cui questa è rivolta. “Gli attori sociali sono soggetti della società complessiva, ma la variabile territoriale ne ridefinisce il contesto d’azione, caratterizzato da un quadro di risorse, vincoli e opportunità diversificato” (Bulsei 2008, p. 41). L’importanza dell’analisi del contesto e del territorio locale in cui si va ad operare quando si propone un progetto di tale genere è già stata evidenziata; soprattutto quando l’iniziativa si preoccupa di attivare i ragazzi come risorsa sociale per lo sviluppo sostenibile della propria comunità. Considerare la variabile territoriale, comprendere le caratteristiche dell’ambiente fisico e sociale, significa tenere presente lo spazio vicino, locale, in cui vivono e si muovono i soggetti, dove emergono e si consolidano i problemi sociali, ma anche dove nascono risorse ed attori per risolverli. Le risorse e gli attori, le relazioni che si sviluppano, sono determinanti per il successo del progetto e possono così creare mutamento, sviluppo sociale e locale. Il territorio assume dunque una concezione dinamica (Osti 2010 cap. 4). Proporre ai giovani di far parte di questo, di cercare insieme modalità per affrontare collettivamente i bisogni, permette loro di offrire un contributo alla società locale, oltre che migliorare il quadro di opportunità e relazioni personali. La relazione tra attori, giovani e contesto, è inserita in un più ampio sistema di cittadinanza e partecipazione sociale alla comunità di appartenenza. Considerare i giovani estranei al contesto locale in cui vivono, pensare ad un “territorio senza attori” (Vitale in Bulsei 2010, p. 224), significa espropriarli di parte del loro essere, della loro identità e soprattutto del loro agire e del significato a questo attribuito. Diventa perciò necessario guardare ad essi, così come soggetti inseriti in un contesto, “territorializzati” come scrive Vitale (Bulsei 2010). Territorializzare significa “integrare al meglio le risorse esistenti, lavorando con ciò che c’è e scovando le risorse potenziali di un territorio” (Vitale in Bulsei 2010,

112


p. 224), investire su queste come fonte di cambiamento e crescita delle prospettive e della qualità di vita. I giovani e il contesto sono perciò elementi fondamentali per la realizzazione di “Pro-Youth”. Nell’adattarsi continuamente a soggetti e ambiente, il progetto crea valore in più direzioni: nei confronti di chi partecipa attivamente ad esso, per chi con questi entra in contatto, il territorio, le relazioni vicine e, indirettamente, per l’intera società. Aumentando infatti la fiducia, la solidarietà e la reciprocità cresce la disponibilità all’impegno civico (Donati, Colozzi 2006); esportando, facendo conoscere ed attivando il progetto ripetutamente si diffondono questi sentimenti “sociali” e si assicura una proposta di qualità, per tutti i ragazzi, adatta al territorio locale in cui sono inseriti. Per calibrare la proposta alle esigenze reali di una comunità locale, sono necessarie metodologie plurali e flessibili, buone capacità di adattamento ed elevata professionalità dei formatori. Tenendo in considerazione tutti gli aspetti visti finora, è possibile per ProYouth

riassumerne

esportabilizzazioni

le del

caratteristiche progetto.

Di

principali, seguito

si

utili propone

per

eventuali

un’ipotesi

di

modelizzazione.

113


Figura 4.3 – Il progetto “Pro-Youth”: una possibile modellizzazione – Elaborazione nostra

PRO-YOUTH

GIOVANI

12 – 18 ANNI

CONTESTO

MOTIVAZIONE

FORMAZIONE

PROGETTAZIONE

INDIVIDUALE

PIANIFICAZIONE

VOLONTARIATO

DI GRUPPO

ORGANIZZAZIONE

COMUNITA’

PARTECIPAZIONE ATTIVA

REALIZZAZIONE

SOSTENIBILITA’

DIVERSI STRUMENTI

RETE LOCALE

ESPORTABILITA’

AUTOGESTIONE

114


Il concetto di esportabilità e l’importanza del contesto fondamentali per “ProYouth”, in generale, possono acquisire un valore più esteso, si allargano perché capaci di comprendere, ed essere validi, non solamente per il progetto presentato ma anche in altri casi, per iniziative simili che riguardano i giovani, il protagonismo, la partecipazione, il senso civico nel territorio. È importante valutare gli esiti dei progetti che vengono proposti; offrire il supporto adatto per quelli che dimostrano una certa qualità, perché possano diffondersi, diventare occasione ed esperienza di crescita per gli adolescenti e i ragazzi coinvolti. Il progetto stimola la creazione di una relazione forte tra territorio locale, risorse, cittadini, giovani. Per acquistare maggiore valore questa deve essere formalizzata, generalmente accettata, quindi istituzionalizzata. Il riconoscimento istituzionale permette di ottenere maggiore considerazione e di “assicurare stabilmente condizioni di democrazia, giustizia, partecipazione, formazione e informazione” (Bulsei 2010, p. 143). Offrire questo sostegno è compito delle politiche pubbliche. Le amministrazioni, la cui mission è soddisfare i bisogni dei cittadini ed assicurare una crescita sociale del territorio, possono collaborare per garantire alle diverse iniziative maggiore credibilità, trasparenza e risorse. È determinante la creazione di un rapporto di fiducia, rispetto e condivisione tra chi detiene il potere politico e chi propone questi interventi a favore della partecipazione e del protagonismo. Progetti, attori coinvolti e settore pubblico possono, assieme, formare ed allargare sempre più una rete di confronto, al fine di soddisfare le esigenze della popolazione, affrontare problematiche in sospeso o irrisolte, migliorare i servizi offerti, pensare e realizzare politiche sociali e di sviluppo sostenibile attuali ed efficienti. La rete permette di diffondere e riproporre progetti di successo, adattati alle situazioni, per far acquisire ai ragazzi gli strumenti necessari per diventare protagonisti, per essere direttamente coinvolti nelle decisioni; e sensibilizzare, sostenere e fornire i decisori locali di occasioni di dialogo con essi. Affinché

115


iniziative e proposte siano testimonianza per possibili attività future e non rimangano “episodiche e marginali rispetto alle logiche distributive proprie dei programmi amministrativi ed alle strategie di mercato” (Bulsei 2010, p. 159), sono utili radicamento territoriale, adeguatezza organizzativa e politiche trasversali. Queste tre condizioni permettono un coinvolgimento attivo nella definizione di obiettivi condivisi e un percorso comune per il raggiungimento di risultati collettivi; necessitano di capacità progettuali, professionali e gestionali; sono utili per connettere attori con altri soggetti economici ed istituzionali (Bulsei 2010). A riguardo, sull’attivazione e il protagonismo giovanile, le amministrazioni, in accordo con le indicazioni del Titolo II della “Carta Europea della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale” (Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa 2003), sono formalmente attente. Nella Carta Europea si sostiene che è possibile “attrezzando i territori” utilizzare strumenti di formazione in materia di partecipazione, mantenere informati i giovani e fornire loro i mezzi di comunicazione adatti e l’assistenza nella realizzazione di progetti; valorizzare impegni e forme di volontariato. È necessario fare in modo che le politiche giovanili “acquisiscano uno statuto significativo nell’ambito dell’attività delle amministrazioni comunali, al fine di rendere meno incerto il loro sviluppo”. (Gallini, Maurizio 2007, p. 135). Questo comporta assicurare fondi e risorse destinate, provvedimenti amministrativi, strutture e risorse professionali competenti dedicate. Nella definizione e poi attuazione di interventi a favore dei giovani, è emerso, come aspetto critico, la “separazione delle politiche” (Gallini, Maurizio 2007, p. 133); è infatti diventata prassi che chi si occupa di politiche giovanili non si preoccupa di politiche del lavoro, della salute, ed altre legate alle problematiche dei giovani. Ad oggi le politiche pensate per i giovani sono spesso associate ad interventi nell’ambito della cultura e del tempo libero; è perciò difficile osservare un quadro unitario capace di occuparsi di adolescenti e ragazzi nella sua

116


completezza ed assicurare loro prospettive di partecipazione unitarie; ma questo si rileva come bisogno. In “la partecipazione dei giovani alla vita sociale. Analisi di buone prassi” (Gallini, Maurizio 2007) gli autori infatti evidenziano la necessità di un “confronto con operatori, decisori politici, tecnici dei settori” (Gallini, Maurizio 2007, p. 134). Interventi istituzionali, dedicati, integrati e partecipativi sono quelli che le amministrazioni comunali, montane, grandi, piccole, hanno il compito di progettare, sostenere ed attuare. Al fine di perseguire uno sviluppo sostenibile del territorio, offrendo una proposta completa e di qualità, si rivela fondamentale l’appoggio del Terzo Settore, del privato sociale12, dei cittadini stessi. Come attori del Welfare locale, questi assumono un ruolo importante in collaborazione con il pubblico. Le organizzazioni del Terzo Settore (OTS), in particolare, godono uno spazio privilegiato nella realizzazione di un sistema integrato di servizi. Quando queste sono capaci di produrre capitale sociale e servizi di utilità pubblica, svolgono funzioni allo stesso modo del settore statale, creando cioè beni “relazionali” che per definizione, basati su fiducia e reciprocità, sono inclusivi. (Donati, Colozzi 2006). Si crea così un effetto “bridging”, un collegamento ed una sintonia tra i due settori che lavorano assieme per obiettivi comuni. “Conquistarsi la fiducia dei destinatari attraverso modalità extra istituzionali”, e “intrattenere”, allo stesso tempo, “relazioni a tutto campo con le istituzioni pubbliche, ricevendo legittimazione e sostegno per la loro azione promozionale nei confronti delle comunità” (Bulsei 2010, p. 148) sono le azioni strategiche che le organizzazioni private che appartengono al Terzo Settore utilizzano. È necessario, perciò, creare un’alleanza funzionale tra chi ha la responsabilità politica (le amministrazioni), chi elabora possibili interventi (Terzo Settore che propone progetti), e chi ne è destinatario (i giovani). 12 Il legame tra organizzazioni pubbliche, private e del Terzo Settore, è oggi al centro del dibattito sulle politiche sociali, al fine di ottenere un confronto positivo e concreto.

117


Il coinvolgimento di diversi attori diventa strategia per la risoluzione dei problemi: permette di considerare la sostenibilità come criterio metodologico; di prendere decisioni in maniera cooperativa, di sviluppare una progettazione integrata di interventi per lo sviluppo del territorio (Bulsei 2010). Le politiche giovanili, con programmi ed azioni volte alla valorizzazione dei ragazzi come risorse, per interventi mirati e “completi”, rappresentano un possibile esempio di integrazione, confronto e collaborazione tra diversi soggetti. Progettare, programmare e realizzare azioni di questo tipo è possibile attraverso il Piano di Zona. Come anticipato nel primo capitolo, il Piano di zona è uno strumento fondamentale per definire il sistema integrato degli interventi a livello locale. È creato ed adottato da Comuni associati, appartenenti ad un’area territoriale, solitamente delineata dai confini del distretto sanitario. Questi, assieme alla Provincia ed altri soggetti pubblici e privati, attraverso l’analisi del contesto, dei bisogni del territorio e della popolazione, individuano le risorse presenti e quelle necessarie per realizzare obiettivi e priorità stabilite, grazie ad una stretta collaborazione e sintonia tipica del Welfare mix; che può essere efficiente, sia in termini di riscontri nel presente che come metodologia utile per il futuro, strumento che può diventare prassi e rappresentare un funzionale modo per coinvolgere ed attivare la cittadinanza tutta. L’articolo 19 della Legge n. 328 del 2000, che lo disciplina, esplicita chiaramente obiettivi e contenuti del Piano di Zona: sviluppare e qualificare servizi e prestazioni sociali, al fine di renderli efficaci, flessibili, coerenti ed adeguati ai bisogni e alle richieste degli abitanti; stimolare le risorse locali già presenti, responsabilizzando i cittadini, sensibilizzandoli alla solidarietà e all’automutuo aiuto; definire e gestire la spesa; prevedere iniziative di formazione e aggiornamento degli operatori. Il Piano di Zona inoltre definisce obiettivi, priorità, strumenti e mezzi di intervento; modalità organizzative dei servizi, risorse finanziarie, strutturali e professionali, requisiti di qualità. Reperisce infine i

118


dati e le relative forme di acquisizione (Legge 8.11.2000, n. 328). Ricerca modalità per garantire l’integrazione tra servizi e prestazioni, per realizzare il coordinamento con gli organi periferici delle amministrazioni statali (gli altri livelli di governo), per la collaborazione dei servizi territoriali con i soggetti operanti nell’ambito della solidarietà sociale a livello locale e con altre risorse della comunità, per la concertazione con l’azienda sanitaria locale. Tutto ciò si concretizza grazie ad una predisposizione all’ascolto, alla negoziazione e alla partecipazione del territorio. Partecipazione del territorio, locale, significa il coinvolgimento dei suoi abitanti, della popolazione che vi risiede, dando importanza al loro diritto di parola (voice), nel rispetto dei valori di solidarietà e sussidiarietà (Osti 2010). Sarebbe rivoluzionario imparare a “combinare una regolazione pubblica forte, in tema, per esempio, di programmazione, di elaborazione di standard e verifica delle

prestazioni,

con

la

valorizzazione

e

l’istituzionalizzazione

dell’interdipendenza fra i diversi attori” (Bifulco e Vitale 2005, p. 93). I punti di forza del Piano di Zona sono la progettazione di interventi integrati, la continuità nel tempo e il coinvolgimento di diversi attori. Se il piano di zona permette la collaborazione e il confronto con tutti gli attori coinvolti significa che qui i giovani, parte integrante e soprattutto rilevante della comunità, entrano in gioco, conquistano un loro spazio d’azione, di diritto, nella progettazione. Integrare i giovani nella programmazione dei piani di zona o comunque nella progettazione di interventi a livello locale permette di migliorare la qualità dei servizi stessi, di soddisfare le richieste ed i bisogni, cooperare per la realizzazione dello sviluppo sostenibile e della crescita del territorio locale. Non è necessario che le amministrazioni si facciano carico dei progetti; in un’ottica di integrazione dei servizi e di coordinamento con il Terzo Settore, diventa efficace ed efficiente lasciare a quest’ultimo il compito di elaborare e realizzare programmi di intervento mirato, con professionalità che qualificano la proposta ma che non tolgono spazio all’impegno delle istituzioni pubbliche, che al

119


contrario sostengono e legittimano tale progettualità sociale agli occhi dei protagonisti-destinatari. Una possibile modalità per realizzare questo obiettivo, far sì che diventi strutturato, ripetibile è inserire nelle decisioni politiche uno spazio riservato per e con i giovani: il “Piano Territoriale Giovani”. Il Piano Territoriale Giovani (PTG) è una modalità di programmazione che riassume, mette in rete tutti gli interventi di politiche giovanili, soprattutto quelli che riguardano l’informazione e la partecipazione: così da creare dei “Forum per la Gioventù”, una rete più ampia di progettazione per Comuni, scuole, associazioni e altri soggetti sensibili alla questione giovanile. L’obiettivo è mettere a disposizione dei giovani strumenti al fine di favorire uno scambio sulle diverse iniziative attuate, acquisire maggiori conoscenze e competenze attraverso corsi di formazione, che valorizzano la curiosità, l’autostima e il confronto con gruppi di pari, e infine creare momenti e spazi in cui i giovani possano sperimentare le loro capacità e relazioni in laboratori. Come i Piani di Zona, essi sono fondamentali per processi di coinvolgimento e cooperazione tra vari attori. Finora, in Italia, dalle ricerche risulta che alcune entità provinciali e locali in Regioni come Campania (D.G.R. n. 1805 del 11/12/2009 Regione Campania) e Veneto (http://www.provincia.belluno.it) hanno proposto ed attivato questo strumento.

120


Conclusione L’obiettivo generale dell’elaborato era presentare le condizioni necessarie per realizzare forme di protagonismo giovanile come strumento e risorsa per uno sviluppo sostenibile delle comunità locali. È stato presentato, come esperienza di attivazione di giovani il progetto “Pro-Youth”, proposta di protagonismo giovanile, primo in Italia e sperimentato come “pilota” nelle Comunità montane venete. Il percorso seguito nella stesura ha considerato diversi aspetti. La presentazione iniziale sulla dimensione territoriale del Welfare ha permesso un inquadramento delle politiche e delle soluzioni organizzative in base alle quali vengono offerti i servizi alla persona nelle comunità locali. Nel caso dei giovani, è stato utile prima di tutto definire la “categoria” e riscontrare come essi possano rappresentare soggetti attivi nella società contemporanea, risorse per la crescita e lo sviluppo sociale nelle comunità di appartenenza. Riconoscere che adolescenti e ragazzi hanno potenzialità da scoprire, da far emergere, fondamentali per la creazione della propria identità, rappresenta il punto di partenza per parlare di partecipazione e protagonismo giovanile. Se questo è l’orizzonte, è importante offrire occasioni ed esperienze per i ragazzi: “Pro-Youth” ne è un esempio. L’analisi vera e propria di tale progetto è stata anticipata dalla presentazione del contesto di attuazione: le caratteristiche del territorio e le necessità dei giovani di montagna. Considerare i destinatari dell’intervento nel loro ambiente fisico e sociale (osservare gli attori nel loro contesto d’azione) permette di attuare azioni mirate, particolareggiate e con concreti riscontri a livello locale; considerare il legame inscindibile tra attori e contesto, è il primo passo per far diventare le persone parte attiva della comunità, in un’ottica di sviluppo, crescita e benessere sociale partecipato. Il progetto è poi stato illustrato nelle sue fasi caratteristiche: la programmazione “a tavolino”, gli obiettivi, i soggetti coinvolti, le aspettative, la

121


realizzazione del percorso formativo e dei lavori dei ragazzi; sono emersi punti di forza e criticità, sia in itinere, sia a conclusione del processo. I ragazzi hanno creato un gruppo di lavoro omogeneo e basato sul rispetto reciproco, si sono sentiti responsabilizzati nel compiere il “loro” progetto e hanno collaborato in maniera positiva; ciò ha permesso l’incontro tra studenti anche al di fuori dell’ambiente scolastico e stimolato la riflessione sul proprio territorio e le sue problematiche. È emersa inoltre la possibilità per “Pro-Youth” di essere esportabile13: contesto ed attori tornano ad essere punti determinanti per realizzare nuovamente questo progetto ma anche per crearne di nuovi, con il medesimo obiettivo di rendere i giovani protagonisti e risorsa per la comunità di appartenenza. È possibile riassumere tutti gli elementi emersi nel corso dell’analisi empirica in un ipotetico modello di “buone prassi”, utile per accompagnare la realizzazione di analoghe iniziative in altri territori. Le buone prassi rappresentano delle linee guida concrete per realizzare attività e fare in modo che i giovani diventino realmente protagonisti. Per prima cosa sono indispensabili due presupposti: deve esserci un atteggiamento positivo nei confronti dei giovani e bisogna condividere il significato attribuito al concetto di protagonismo giovanile, espresso nel secondo capitolo, che consiste in tutte quelle forme di partecipazione che rendono i giovani parte attiva e responsabile della vita sociale. Favoriscono il protagonismo: percorsi, processi formativi e di informazione qualificati, per offrire ai giovani maggiori occasioni di partecipazione; integrazione delle politiche giovanili con altre politiche sociali, per garantire il soddisfacimento dei bisogni dei ragazzi in maniera più ampia e completa, 13 Il progetto è stato proposto e realizzato anche in Val Rendeva, in Trentino Alto Adige, durante il mese di agosto (2010); dai pareri e considerazioni informali riscontrate ha avuto una buona riuscita, tanto da essere già stato riproposto per il prossimo anno come percorso estivo per adolescenti e giovani del luogo.

122


aumentando le competenze professionali e le risorse investite. Risulta efficace costruire reti di istituzioni del territorio come la scuola, le amministrazioni locali, l’azienda sanitaria, che operano a vario titolo in maniera professionale per i giovani; insieme a tali reti istituzionali è però importante creare spazi e momenti di aggregazione proposti direttamente dai giovani. La promozione di partecipazione e protagonismo giovanile implica una collaborazione tra adulti e giovani per realizzare, assieme, idee concrete, offrendo ognuno un contributo, secondo il proprio punto di vista. I giovani possono imparare ad auto-organizzarsi, a diventare responsabili di decisioni, azioni e conseguenze; coordinarsi e creare proprie forme di rappresentanza, riconosciute ed ascoltate (Gallini, Maurizio 2007); gli adulti, invece, imparano a coinvolgere i ragazzi e sensibilizzarli con attività culturali e sociali, di solidarietà, di volontariato: essi sono in grado di sostenere la creazione di progetti elaborati dai giovani, per i giovani; co-gestire spazi e risorse; incentivare il dialogo con le istituzioni. Assieme, con compiti e gradi di responsabilità differenti, giovani e adulti collaborano per attuare in sintonia processi di crescita e valorizzazione, personale e sociale. Per costruire socialmente una comunità basata sull’attivazione dei propri membri, è importante favorire il confronto e la cooperazione tra settore pubblico e attori sociali. I giovani, come cittadini, soggetti sociali, risorse di oggi e domani, sono coinvolti in questo processo, diventando così capaci di creare futuro. In un sistema più ampio di investimento nei giovani, di sviluppo locale e cooperazione, diventa fondamentale la programmazione e la progettazione a lungo termine: “responsabilizzare, coinvolgere, investire e valorizzare diventano obiettivi e strategia di lavoro per arrivare ad una visione della progettualità per i giovani come parte di una più ampia progettualità di territorio”. (Gallini, Maurizio 2007, p. 132)

123


È necessario che le politiche pubbliche siano in grado di rispondere a tale esigenza con soluzioni adeguate, concertate, realizzabili; di assicurare la continuità delle azioni promesse, come esempio di “credibilità permanente” dei e per i giovani. E. Jaques (1951) considera lo sviluppo sociale una presa di coscienza collettiva dei problemi e delle situazioni; calare questa definizione nel contesto locale significa fare in modo che il territorio abbia caratteristiche e risorse per sostenere la popolazione che lo abita, che la consapevolezza sia più completa e i bisogni siano soddisfatti attraverso l’attivazione dei soggetti. In accordo con la concezione più ampia di Delors (1997), lo sviluppo rappresenta la realizzazione dell’individuo (di ciascun individuo) nella sua interezza, come membro di una comunità, inserito in reti di relazioni, cittadino, produttore ed inventore di se stesso e del proprio spazio sociale. Il progetto “Pro-Youth”, nelle sue varie declinazioni territoriali (Brasile, Italia, Veneto), ha cercato programmaticamente di mettere a disposizione dei giovani, non come categoria indistinta ma come soggetti attivi, gli strumenti per trasformarsi in risorsa per le comunità: perché il futuro è già qui!

124


Bibliografia

Aa.Vv., 1997, Dell’adolescenza: pagine di narratori contemporanei italiani e stranieri, Mursia, Milano. Aa.Vv., 2005 (a cura di M. Dal Pra Ponticelli), Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma. Aa.Vv., 2004, Manuale operativo per l’integrazione delle politiche sociali locali, Progetto EQUAL a cura di Eutropia Onlus e Dipartimento di contabilità nazionale e analisi dei processi sociali, Università La Sapienza, Roma. Aa.Vv., 2005, Welfare locale. Azioni di sistema, territori e governance, in Rivista delle politiche sociali, n. 2. Abbruzzese S., Pretto A., 2009, Giovani e prospettive di vita, Carocci, Roma. Ambrosini M., 2005, Scelte solidali. L’impegno per gli altri in tempi di soggettivismo, Il Mulino, Bologna. Ambrosini M., 2009 (a cura di), Costruire cittadinanza. Solidarietà organizzata e lotta alla povertà. Undici esperienze europee, Il Saggiatore, Milano. Ardui J., 2010 (appunti di), Executive e Life Coaching: le nuove frontiere nel rapporto con le persone, Convegno, Programma internazionale di sviluppo delle competenze economiche e manageriali, Bologna. Ascoli U., Ranci C., 2003 (a cura di), Il welfare mix in Europa, Carocci, Roma. Baden-Powell R., 1999, Guida da te la tua canoa, Fiordaliso, Roma. Baden-Powell R., 2006, La strada verso il successo, Fiordaliso, Roma. Bagnasco A., 1999, Tracce di comunità, Il Mulino, Bologna. Bagnasco A., 2003, Società fuori squadra. Come cambia l’organizzazione sociale, Il Mulino, Bologna. Bagnasco A., Piselli F., Pizzorno A., Trigilia C., 2001, Il capitale sociale. Istruzioni per l'uso, Il Mulino, Bologna.

125


Barca L., Franzini M., 2001 (a cura di), La cittadinanza difficile. Diritti e welfare, Il Ponte Editore, Firenze. Battistella A., De Ambrogio U., Ranci Ortigosa E., 2004, Il Piano di zona. Costruzione, gestione, valutazione, Carocci, Roma. Benassi D., 2002, Tra benessere e povertà. Sistemi di welfare e traiettorie di impoverimento a Milano e Napoli, Franco Angeli, Milano. Besozzi E., Colombo M., Santagati M., 2009, Giovani stranieri, nuovi cittadini: le strategie di una generazione ponte, Franco Angeli, Milano. Bianco M.L., 2001 (a cura di), L'Italia delle diseguaglianze, Carocci, Roma. Bianco M.L., Ceravolo F., 2007, Razionalità locali. Sociologia dei giovani adulti torinesi, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino. Bifulco L., 2003 (a cura di), Il genius loci del welfare. Strutture e processi della qualità sociale, Edizioni. Officina, Roma. Bifulco L., 2005 (a cura di), Le politiche sociali. Temi e prospettive emergenti, Carocci, Roma. Boal A., 2005, Teatro do Oprimido, Civilizacão Brasileira, Rio de Janeiro. Bobbio L., 2004 (a cura di), A più voci: amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi, Edizioni Scientifiche Italiane, Roma. Bondavalli D., 2008, 4 gennaio, I giovani. Una risorsa trascurata dal Paese, espropriata dei valori e privata del futuro. Intervista a Claudio Risé: Una politica che non sa più dare né obiettivi né educazione, Il Giornale della Libertà. Borgna G., 1997, Il mito della giovinezza, Laterza, Roma. Bosco N., 2002, Dilemmi del welfare. Politiche assistenziali e comunicazione pubblica, Guerini e Associati, Milano. Branca P., Colombo F., gennaio 2003, La ricerca-azione come promozione delle comunità locali, in Animazione Sociale N.1, Ed. EGA, Torino. Branca P., Corti C., 2002, L’empowerment: un percorso fra soggetti e comunità, in A.a.V.v., Il cammino delle formiche, Ed. Coop. Orion, Bergamo.

126


Brander P., Gomes R., Keen E., 2004, Compass.The manual on Human Rights Education with young people (Trad. Compass. Manuale per l’educazione dei diritti umani con i giovani), Sapere 2000. Edizioni multimediali, Roma. Bulsei G.L., 2003 (a cura di), Welfare e politiche locali: alcune esperienze in Piemonte, Stampatori, Torino. Bulsei G.L., 2006 (a cura di), Cooperazione, servizi, territorio: un’indagine empirica, Stampatori, Torino. Bulsei G.L., 2008, Welfare e politiche pubbliche: istituzioni, servizi, comunità, Aracne, Roma. Bulsei G.L., 2008 (a cura di), Investire in coesione sociale: organizzazioni volontarie e politiche pubbliche, Libreria Stampatori, Torino. Bulsei G.L., 2010 (a cura di), Le sfide della sostenibilità: risorse ambientali, qualità sociale, partecipazione pubblica, Aracne, Roma. Buzzi C., Cavalli A., De Lillo A., 1997 (a cura di), Giovani verso il Duemila. Quarto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna. Buzzi C., Cavalli A., De Lillo A., 2002 (a cura di), Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna. Buzzi C., Cavalli A., De Lillo A., 2007 (a cura di), Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna. Calpona E., 2009, Pro – Youth Citizenship: un progetto di protagonismo giovanile e un’opportunità di trasformazione sociale, UINCEF, New York. Cartocci R., Maconi F., 2006 (a cura di), Libro Bianco sul Terzo settore, Il Mulino, Bologna. Cavalli A., Cesareo V., De Lillo A., Ricolfi L., Romagnoli G., 1984 (a cura di), Giovani oggi. Indagine IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna.

127


Cavalli A., Cesareo V., De Lillo A., Ricolfi L., Romagnoli G., 1988 (a cura di), Giovani Anni ’ 80. Secondo rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna. Cavalli A., Cesareo V., De Lillo A., Ricolfi L., Romagnoli G., 1993 (a cura di), Giovani Anni ’ 90. Terzo rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna. Censis, 1986 (a cura di), Indagine sull’età adolescenziale: condizioni di vita e rapporti educativi, Direzione generale dei servizi civili del Ministero dell’Interno, Roma. Centro Studi e Documentazione sulla Condizione Sociale Giovanile, 1987, La condizione giovanile: dalla ricerca al progetto, Comune di Modena, Modena. Cipolla C, 1989 (a cura di), Senza solidarietà sociale: analisi della condizione giovanile in Emilia Romagna, Morcelliana, Brescia. Colozzi I., 2002, Le nuove politiche sociali, Carocci, Roma. Colozzi I., Bassi A., 2003, Da terzo settore a imprese sociali. Introduzione all’analisi delle organizzazioni non profit, Carocci Faber, Roma. Commissione Europea, 2001, 21 novembre, Libro bianco. Un nuovo slancio per la gioventù europea, Atto dell’Unione Europea. Commissione Europea, 2004, Project Cycle Management Guidelines (Trad. Project Cycle Management Linee guida), EuropeAid Cooperation Office, Brussels. Conferenza dei sindaci Ulss n. 1 di Belluno, Piano di Zona dei Servizi alla Persona 2007-2009, Regione del Veneto. Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa, 2003, Carta europea riveduta della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale, Consiglio D’Europa, Strasburgo. Crespi F., 2002 (a cura di), Le rappresentazioni sociali dei giovani in Italia, Carocci, Roma.

128


D’Amico R., Di Nuovo S., 2010 (a cura di), Giovani, valori, cittadinanza attiva, Franco Angeli, Milano. D’Elia A., 2006 (a cura di), Le politiche giovanili: origini, evoluzioni, stato dell’arte. Rapporto provvisorio sulle politiche giovanili, Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali, Università degli Studi, Bari. Dal Piva B., 2010, 4 giugno, Il Longarone è la scuola più multietnica, Il Corriere delle Alpi. De Ambrogio U., 2004, Il piano di zona, in Gori C., 2004 (a cura di). De Leo G., 1996, Psicologia della responsabilità, Laterza, Roma. De Leonardis O., 1998, In un diverso welfare: sogni ed incubi, Feltrinelli, Milano. De Leonardis O., 2003, Le nuove politiche sociali, in Bifulco L., 2003 (a cura di). De Marchi G., 2005 (a cura di), Una montagna tra identità e trasformazione. Il monitoraggio e l’analisi delle criticità della Provincia di Belluno. Parte Terza: l’analisi sociologica. Le vulnerabilità sociali della provincia di Belluno, Amministrazione provinciale di Belluno, assessorato al Welfare. De Masi D., Signorelli A., 1978 (a cura di), La questione giovanile, Franco Angeli, Milano. De Pieri S., Causin P., 2009, Progetto di sé e partecipazione: giovani produttori di significato, Centro Cospes, Mogliano Veneto. Di Blasio P. e Al., 1983, Il giudizio morale nell’adolescenza: categorie cognitive e valori, Franco Angeli, Milano. Dell’Unto A.M., Scarinci A., 1985, Giovani in provincia: indagine sociologica sulla condizione giovanile in Italia, Città Nuova Editrice, Roma. Delors J., 1997, Nell’educazione un tesoro, Rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’Educazione per il XXI secolo, Armando, Roma. Diamanti I., 1999 (a cura di), La generazione invisibile, Il Sole 24 Ore, Divisione Libri, Milano.

129


Direzione Sistema Statistico Regionale, 2002, Statistiche Flash: le comunità montane del Veneto: la popolazione, Regione Veneto. Direzione Sistema Statistico Regionale, 2007, Statistiche Flash: migranti e integrazione sociale, Regione Veneto. Direzione Sistema Statistico Regionale, 2009, Rapporto Statistico 2009. Il Veneto si racconta, il Veneto si confronta., Regione Veneto. Direzione Sistema Statistico Regionale, 2010, Rapporto Statistico 2010. Il Veneto si racconta, il Veneto si confronta., Regione Veneto. Donati P., Colozzi I., 1998, Nuove vie per l’altruismo. Il privato sociale in Italia, Monti, Saronno. Donati P., Colozzi I., 2002 (a cura di), La cultura civile in Italia: fra stato, mercato e privato sociale, Il Mulino, Bologna. Donati P., Colozzi I., 2006 (a cura di), Terzo Settore e valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e attori, Franco Angeli, Milano. Dondona C. A., Gallini R., Maurizio R., 2004, L’osservatorio regionale sulla condizione giovanile. Le politiche per i giovani in Italia, IRES Piemonte. Esping–Andersen

G.,

2000,

I

fondamenti

sociali

delle

economie

postindustriali, Il Mulino, Bologna. EURIS (European Researches Investments Services), 2008 , Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto, Programma di Sviluppo Locale del GAL “Alto Bellunese”, Padova. Faggiano M.P., 2007, Stile di vita e partecipazione sociale giovanile: il circolo virtuoso teoria – ricerca – teoria, Franco Angeli, Milano. Fattori L., 2002, La pedagogia della gioia, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Verona. Ferrera M., 1993, Modelli di solidarietà. Politica e riforme sociali nelle democrazie, Il Mulino, Bologna. Ferrera M., 1998, Le trappole del welfare, Il Mulino, Bologna. Ferrera M. ,2001 (a cura di), Nuova Europa e nuovo welfare, Cacucci, Bari.

130


Ferrera M., 2006, Le politiche sociali. L'Italia in prospettiva comparata, Il Mulino, Bologna. Ferrera M. ,2007, Trent'anni dopo. Il welfare state europeo tra crisi e trasformazione, in Stato e Mercato, n. 3, pp. 341-376. Frabboni F., Montanari F., 1991 (a cura di), Pensare giovane. La condizione giovanile oggi: identità culturale e spazi esistenziali, Cappelli, Bologna. Franzoni F., Anconelli M., 2003, La rete dei servizi alla persona, Carocci, Roma. Freire P., 2002, La pedagogia degli oppressi, EGA, Torino. Gabrielli A., 2008, Grande dizionario italiano, Hoepli, Milano. Gallini R., Maurizio R, 2007 (a cura di), La partecipazione dei giovani alla vita sociale. Analisi di buone prassi, Assessorato alle Politiche Sociali, Programmazione socio – sanitaria, Volontariato e Non Profit; Direzione per i Servizi Sociali. Osservatorio regionale Infanzia, Adolescenza, Giovani

e

Famiglia. Gallino L., 2006, Dizionario di sociologia, UTET, Torino. Gilli G.A., 2000, Manuale di sociologia, Bruno Mondadori, Milano. Girotti F., 1998, Welfare State. Storia, modelli, critica, Carocci, Roma. Girotti F., 2005, Welfare State, in Aa.Vv., 2005, Dizionario di servizio sociale, Carocci Faber, Roma. Golini A., Iacoucci R., Marini C., Vittori P., Busetta A., Panetta V., Pietrangelo T., 2007 (a cura di), Rapporto Giovani 2007. Situazione, problemi e prospettive dei giovani. Un rapporto di analisi e interpretazione della condizione giovanile in Italia, Dipartimento di Scienze demografiche “Sapienza” Università di Roma e Ministero della Gioventù. Golombek S., 2002, What Works in Youth Participation: Case Studies from Around the World, International Youth Foundation. Gori C., 2004 (a cura di), La riforma dei servizi sociali in Italia, Carocci, Roma.

131


Hill, T., Westbrook R., 1997, SWOT Analysis: it’s time for a product recall, Long Range Planning. Jaques E., 1951, The changing culture of factory, Tavistock London. Trad. It. F. Angeli, Milano, 1975. Livi Bacci M., 2008, Avanti giovani, alla riscossa. Come uscire dalla crisi giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna. Magnier A., Vicarelli G., 2010 (a cura di), Mosaico Italia. Lo stato del Paese agli inizi del XXI secolo, Franco Angeli, Milano. Malaguti D., 2007, Fare squadra: psicologia dei gruppi di lavoro, Il Mulino, Bologna. Mannheim K., 2000, Sociologia della conoscenza, Il Mulino, Bologna. Marradi A., Arculeo A., 1984, Rassegna dei sondaggi sui valori degli italiani, in La scienza politica italiana: materiali per un bilancio, Quaderno della Fondazione Feltrinelli, Angeli, Milano. Mazzini R., 1989, novembre, Teatro dell’Oppresso e educazione alla pace, Azione nonviolenta. Mirandola M., Baldassari D., 2002, I giovani in Veneto – Health Behaviour in School-Aged Children (HBSC), Organizzazione Mondiale della Sanità sui giovani di 11,13 e 15 anni. Naldini M., 2006, Le politiche sociali in Europa. Trasformazione dei bisogni e risposte di policy, Carocci, Roma. Neresini F., 2002, (a cura di) Primo rapporto sulla condizione giovanile nel Veneto, Assessorato alle Politiche Sociali, Volontariato e Non Profit; Direzione per i Servizi Sociali.

Osservatorio regionale permanente sulla condizione giovanile,

in collaborazione con Regione Veneto e Venetosociale. Osservatorio Regionale sull’immigrazione, 2005, Dossier: Immigrazione in Veneto. Caratteristiche socio-demografiche e lavorative, Veneto immigrazione. Osservatorio Regionale sull’immigrazione, 2009, Immigrazione straniera in Veneto. Rapporto 2009, Veneto immigrazione.

132


Osti G., 2010, Sociologia del territorio, Il Mulino, Bologna. Paci M., 2008 (a cura di), Welfare locale e democrazia partecipativa, Il Mulino, Bologna. Parsons T., 1937, The Structure of Social Action, McGraw-Hill, New York, (Trad. it. La struttura dell’azione sociale, 1962, Il Mulino, Bologna). Parsons T., Bales R.F., 1974, Famiglia e socializzazione, A. Mondadori, Milano. Pavolini E., 2003, Le nuove politiche sociali. I sistemi di welfare tra istituzioni e società civile, Il Mulino, Bologna. Pellegrini G., 2002 (a cura di), Giovani al centro: il cadore si interroga sulla condizione giovanile. Fondazione cancan – Magnifica Comunità di Cadore, Pieve di Cadore. Petrosino D., 2007 (a cura di), Prima indagine conoscitiva regionale sulle politiche, le risorse e la partecipazione giovanile. Rapporto finale, Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali, Università degli Studi, Bari. Ranci C., 1999, Oltre il welfare state: terzo settore, nuove solidarietà e trasformazioni del welfare, Il Mulino, Bologna. Ranci C., 2001 (a cura di), Il mercato sociale dei servizi alla persona, Carrocci, Roma. Ranci C., 2005, Le sfide del weltare locale. Problemi di coesione sociale e nuovi stili di governance, in Rivista delle politiche sociali, n. 2. Regione Veneto, 2000, Rapporto sullo stato di salute e gli stili di vita dei giovani veneti in età scolare. Rei D., 1999, I doni incerti. Ragionamenti sulla politica sociale, Il Segnalibro, Torino. Rei D., 2004, Sociologia e welfare, Esselibri, Napoli. Rodi Falanga R., 2010, 1 aprile, L’Assessore De Felice: i giovani, risorsa futura della Campania, La Costa Vesuviana.

133


Rui Mesquita Cordeiro, 2003, 17 aprile, From social protagonism to social entrepreneurship, Development Issues, Critical Thinking about the World’s Development, Brasil. Sabbatini A., 2005, Parola chiave. Governance, in Rivista delle politiche sociali, n 2. Saraceno C, 2001 (a cura di), Età e corso di vita, Il Mulino, Bologna. Saraceno C, 2003, Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Il Mulino, Bologna. Scarpati R., 1973 (a cura di), La condizione giovanile in Italia, Franco Angeli, Milano. Sen A., 1994, La diseguaglianza, Il Mulino, Bologna. Sen A., 2000, La ricchezza della ragione, Il Mulino, Bologna. Sen A., 2003, Globalizzazione e libertà, Mondadori, Milano. Spano I, 2001 (a cura di), Aspettative e difficoltà del giovane che vive in montagna. La condizione giovanile nel territorio di Calalzo, Comune di Calalzo di Cadore, assessorato alla cultura, Calalzo di Cadore. Titmuss

R.,

1974, Introduction

to

social

policy,

Penguin

Books,

Harmondsworth. Tomasi L., 2000, Il rischio di essere giovani, Franco Angeli, Milano. Vanzan G., 2008, Passividade Aprendida ao Protagonismo: Um aporte teórico-metodológico para o trabalho educativo (Trad. it. Dalla Passività Appresa al Protagonismo: corso sulla cittadinanza attiva con il teatro dell'oppresso), Instituo Internacional para o Desenvolvimento da Cidadania (IIDAC). Vanzan G., 2009 (appunti di), IIDAC: Istituto internazionale per lo sviluppo della cittadinanza, Seminario Luzzatti, CIVIS, Alessandria. Weber M., 1922, Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen, Mohr (Trad. it. Economia e società, 1999, Edizioni di Comunità, Milano).

134


Sitografia

http://ec.europa.eu/youth http://europa.eu/youth http://www.anci.it http://www.cestim.it http://www.comune.calalzo.bl.it http://www.enaip.it http://www.enaip.veneto.it http://www.eyf.coe.int/fej http://www.forumterzosettore.it http://www.galaltobellunese.com http://www.gioventu.gov.it http://www.iidac.eu http://www.iidac.org http://www.istat.it http://www.istruzione.it http://www.longarone.net http://www.provincia.belluno.it http://www.regioneveneto.it http://www.regione.veneto.it/pubblicazioni http://www.regione.veneto.it/statistica http://www.undp.org http://www.unesco.org http://www.unicef.org http://www.youtube.com/watch?v=4XASZeVBurE&NR=1 http://www.youtube.com/watch?v=gcFhawPmI0M&feature=player_embedded

135


Riferimenti normativi

Decreto

Legislativo

18.8.2000,

n.

267,

Testo

unico

delle

leggi

sull’ordinamento degli enti locali, Supplemento ordinario n. 162 alla Gazzetta Ufficiale n. 227 del 28.9.2000. Delibera della Giunta Regionale della Regione Campania, DGR n. 1805 del 11.12.2009, Programmazione Piani Territoriali di Politiche Giovanili (PTG). Delibera della Giunta Regionale della Regione Veneto, DGR n. 199 del 12.02.2008, Programma di sviluppo rurale per il Veneto 2007-2013. Delibera della Giunta Regionale della Regione Veneto, DGR n. 3713 del 30.11.2009, A.P.Q. in materia di Politiche Giovanili: Il futuro della sostenibilità, la sostenibilità del futuro: i giovani del Veneto. Legge costituzionale n. 3 del 18.10.2001, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24.10.2001. Legge Regionale del Veneto n. 19 del 1992, Norme sull’istituzione e il funzionamento delle Comunità montane. Legge n. 1102 del 03.12.1971, Nuove norme per lo sviluppo della montagna, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 324 del 23.12.1971. Legge n. 328 del 08.11.2000, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13.11.2000. Legge

n.

131

del

05.06.2003 ,

Disposizioni

per

l’adeguamento

dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale n. 3 del 18.10.2001, Gazzetta Ufficiale n. 132 del 10.6.2003.

136


Appendice

Appendice 1 – Valori personali e sociali Dati relativi al grafico 2.2 – Classifica dei valori “personali” elaborazione. Tabella A.1– Valori “personali” in percentuale - Elaborazione nostra su dati IARD

Valori "personali" in percentuale salute

11,31%

famiglia

10,64%

amore

9,35%

amicizia

9,14%

istruzione

8,38%

lavoro

8,27%

autorealizzazione

7,89%

tempo libero

6,34%

interessi culturali

5,25%

divertimento

5,14%

benessere economico

4,82%

sport

4,29%

fare carriera

3,33%

guadagnare molto

3,15%

religione

2,67%

137


Dati relativi al grafico 2.3 – Classifica dei valori “sociali” elaborazione. Tabella A.2 – Valori “sociali” in percentuale - Elaborazione nostra su dati IARD

Valori "sociali" in percentuali pace

17,42%

libertà

17,29%

democrazia

14,35%

rispetto delle regole

12,44%

sicurezza e ordine pubblico

11,34%

solidarietà

10,25%

impegno sociale

6,21%

patria

5,58%

prestigio sociale

3,78%

attività politica

1,35%

138


Appendice 2 – Comunità montane venete Tabella A.3 – Comunità montane venete – Elaborazione nostra Comunità montane del Veneto Comunità montana Provincia BELLUNO

Superficie

N. abitanti

N. comuni

AGORDINA

660,56

21.180

16

DELL'ALPAGO CADORE -LONGARONE -

170,67

10.228

5

323,22

10.887

7

363,73

30.706

6

205,16

43.446

2

CENTRO CADORE

594,52

19.159

9

COMELICO - SAPPADA

343,47

9.379

6

FELTRINA

605,07

56.459

13

DELLA VALLE DEL BOITE

411,62

10.049

5

DEL GRAPPA DELLE PREALPI

150,78

13.587

8

459,66

43.494

16

DEL BALDO

333,96

15.156

9

DELLA LESSINIA

580,74

40.289

18

ALTO ASTICO E POSINA

234,63

13.210

9

DALL'ASTICO AL BRENTA

153,02

22.144

10

DEL BRENTA

186,88

17.407

8

AGNO - CHIAMPO

248,88

61.822

10

LEOGRA - TIMONCHIO SPETTABILE REGGENZA

187,33

29.280

6

467,28

21.376

8

ZOLDO VAL BELLUNA BELLUNO - PONTE NELLE ALPI

TREVISO

TREVIGIANE VERONA

VICENZA

DEI SETTE COMUNI Comunità montane dell’Alto Bellunese

139


Appendice 3 – Informazioni Enaip Veneto Enaip Veneto è un’impresa sociale senza scopo di lucro che aderisce ad ENAIP (Ente Acli per l’Istruzione Professionale) Nazionale. Attivo dal 1951 nell'ambito della formazione professionale, progetta ed eroga servizi di orientamento, formazione ed accompagnamento al lavoro. L’obiettivo è promuovere non solo il lavoro, ma anche e soprattutto la crescita civile, sociale e professionale delle persone, con particolare attenzione a quelle più svantaggiate e all’integrazione. Per realizzare ciò Enaip Veneto attiva servizi di formazione per ragazzi insegnando loro diritti di cittadinanza attiva e solidale, per diventare cittadini responsabili. Vengono inoltre offerti percorsi professionali, culturali e formativi per introdurre velocemente i ragazzi nel mondo del lavoro. Con il passare degli anni, Enai è divenuto ente di formazione importante e riconosciuto, anche per ragazzi stranieri. Nel territorio regionale, Enaip ha diverse sedi situate in tutte le province (Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Vicenza, Verona e Venezia); in ognuna di esse propone corsi specifici. La provincia di Belluno ospita sedi a Calalzo di Cadore, Feltre e Longarone. A Calalzo di Cadore, situata in località Caravaggio, si propongono corsi appartenenti all’area della ristorazione; l’istituto è dotato di moderne strutture di cucina, di un laboratorio di pasticceria, di un bar e di una sala attrezzata. Il Centro Servizi Formativo di Longarone, invece, impegnato nei settori della meccanica industriale e meccanica auto e nel settore elettrico dispone di laboratori informatici e di laboratori per attività di formazione professionale.

140


Appendice 4 – Attori del progetto - Tabella A.4 – Elaborazione nostra ATTORI

RUOLO

NOMINATIVI

COMPETENZE Direttore esecutivo, responsabile dell’area Cooperazione Internazionale di IIDAC Europa. Ha esperienza come formatore in Italia, Portogallo, Romania, Bolivia e Brasile, con

FORMATORE

GIULIO

adolescenti e giovani, anche in contesti di

VANZAN

marginalità ed esclusione sociale; consulente per UNICEF in percorsi di formazione e organizzazione di eventi internazionali; specializzato in educazione allo sviluppo, dialogo interculturale e in teatro dell’Oppresso Direttore operativo dell’area Comunicazione e

IIDAC EUROPA

Discipline Olistiche. Educatrice ed esperta in FORMATORE

LAURA

comunicazione e progettazione; collabora con

FANTOZZI

UNICEF, con UN Volunteer e altre organizzazioni non governative italiane per lo sviluppo in Africa Direttore operativo dell’area Educazione, Formazione e Psicologia . Psicologo di comunità e analista, esperto nella formazione

PSICOLOGO

FRANCESCO

con adolescenti, nelle scuole su temi di

SBARDELLATI

assertività, relazioni non violente ed educazione alla sessualità; consulente per problematiche giovanili per diverse istituzioni

ENAIP

RESPONSABILE

GRAZIANO

pubbliche e private Responsabile degli Istituti Enaip presso le sedi

SADOCCO

di Calalzo di Cadore e Longarone Lavora con Enaip come insegnante di sostegno per i ragazzi certificati disabili e come tutor di

TUTOR

BEATRICE DAL PIVA

Fuori Classe, un'associazione sportiva dilettantistica che si occupa delle attività extrascolastiche degli allievi. Laureata in Filosofia e frequentante Scienze della formazione primari

141


142


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.