Yoga e prevenzione

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LO YOGA E LA MEDITAZIONE COME STRUMENTO DI PREVENZIONE DEL CONSUMO DI DROGA Giulio Vanzan

Il tema del seguente paper è una riflessione sulle droghe: cosa sono, perché si usano e come si può prevenirne l’assunzione. In particolare sarà posta l’attenzione sulle possibilità di prevenire il consumo attraverso progetti legati alla disciplina dello yoga e della meditazione, definendone il valore biochimico e sociologico e sottolineando le potenzialità e i limiti di queste tecniche nell’ambito della prevenzione. Saranno inoltre esposti degli esempi pratici di progetti di successo e possibili iniziative da realizzare nell’ambito della prevenzione. LE DROGHE: COSA SONO E PERCHÉ SI USANO Il consumo di droghe è oggigiorno un fenomeno sociale di grande attualità e di portata mondiale, che coinvolge milioni di persone. L’Organizzazione Mondiale

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della Sanità definisce l’uso di droga un atto attraverso cui un soggetto si autosomministra una sostanza psicoattiva senza subire effetti gravi. Nel momento in cui l’assunzione di droghe produce danni fisici, psichici e/o sociali all’assuntore, tale comportamento è definito come abuso. Da un punto di vista legale, invece, l’uso di una sostanza illegale è da considerarsi sempre come un abuso. Secondo la prospettiva socio-­‐culturale, tale comportamento è stabilito dall’insieme delle norme che regolano la società: è la comunità di riferimento che stabilisce cosa sia da considerare un abuso e cosa no. Esistono oggi innumerevoli dibattiti che riguardano l’assunzione di sostanze psicoattive, che spaziano dal piano morale a quello scientifico, rischiando, spesso, di confondersi tra loro. Esistono differenti prospettive scientifiche con cui trattare il “fenomeno droga” sotto molti punti di vista, ma in questa relazione ci concentreremo su due: quello farmacologico e quello sociologico. • Da un punto di vista farmacologico una droga è una sostanza in grado di alterare il funzionamento della mente e del corpo umano. Sono sostanze naturali o artificiali che producono effetti sul sistema nervoso centrale. Le droghe sono in genere assunte per ottenere determinati effetti e lo studio sulle motivazioni del consumo non può prescindere dalle conseguenze che le droghe producono. • L'approccio sociologico va oltre la propsettiva farmacologica e cerca di capire il processo di costruzione sociale attraverso cui, in ogni società, viene definito ciò che è droga e ciò che non lo è. Bisogna considerare la dimensione sociale e culturale, in quanto una droga è qualcosa che è stata arbitrariamente definita tale (quindi non è necessario che ciò che viene etichettato come droga abbia un effetto farmacologico). Diventa quindi centrale il concetto di credenza in merito al potere psicoattivo di una sostanza. Per comprendere gli effetti delle droghe è necessario riferirsi a queste due prospettive scientifiche, in particolare considerando: • Il set, ossia i fattori soggettivi del consumatore (quali lo stato emotivo, le conoscenze cui dispone sulla sostanza, le aspettative e il significato legato al consumo); • Il setting, ossia il contesto fisico, culturale e sociale che influisce sui suoi comportamenti, nonché il modello normativo che orienta l’azione del

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consumatore. Ogni contesto sociale e culturale promuove, infatti, il consumo di determinate droghe, e ne proibisce altre; • Le caratteristiche biochimiche delle droghe, in base alle quali si puo elaborre la seguente classificazione: 1. Droghe che deprimono il sistema nervoso centrale (alcolici, barbiturici, benzodiazepine e i solventi); 2. Droghe che riducono il dolore: narcotici naturali (oppio, morfina, codeina) e sintetici, come l’eroina; 3. Droghe che stimolano il sistema nervoso centrale: anfetamine, metanfetamine (ecstasy), la cocaina, la nicotina e la caffeina; 4. Droghe che alterano la funzione percettiva: allucinogeni sintetici e naturali e la marijuana (la sostanza psicoattiva illegale più usata). Vista la definizione sociologica prima esposta, si evince che lo statuto legale e illegale delle sostanze non si fonda né sulle caratteristiche biochimiche delle droghe, né sui danni che esse possono procurare ai consumatori (le droghe legali non sono, infatti, meno dannose di quelle illegali: si pensi ad esempio all’alcol). Tale definizione è invece influenzata da fattori sociali, culturali e politici, così come ne è condizionato il dibattito sulla natura cosiddetta pesante o leggera delle sostanze. La definizione di droga legale e illegale assume però un rilievo sociologico fondamentale, poiché tale determinazione si collega al concetto di devianza. Stabilendo, infatti, ciò che è legale da ciò che non lo è, una società ed una cultura, attraverso il proprio modello normativo, stabilisce se l’assunzione di una determinata sostanza è accettato o meno, distinguendo in questo modo il comportamento potenzialmente deviante da quello socialmente consentito.’ PERCHÉ LE PERSONE ASSUMONO LE DROGHE Per affrontare le ragioni che spingono una persona ad assumere sostanze psicoattive, ci riferiremo a tre punti di vista: uno funzionalista; uno basato su ricerche svolte su campioni di consumatori ed ex consumatori ed uno che si fonda su diverse teorie sociologiche della devianza. Il punto di vista funzionalista. Secondo la prospettiva del funzionalismo ci si deve chiedere quali funzioni assolva il consumo di droga nell’ambito di una determinata società o gruppo sociale. Nonostante le differenze dovute alle caratteristiche sociali, culturali e politiche delle

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diverse società, è possibile individuare alcune funzioni ricorrenti del consumo di sostanze psicoattive nelle società umane: • La funzione terapeutica: le droghe, avendo la capacità di modificare il comportamento dell’organismo, possono essere utilizzate per curare le malattie. • La funzione sociale: in virtù della credenza sul loro potere psicoattivo, le droghe sono assunte come “lubrificante sociale” per facilitare le relazioni, perseguendo tale funzione in modo manifesto o latente. • La funzione ricreazionale: le droghe sono state e sono tuttora usate per procurare piacere e divertimento. • La funzione strumentale: le droghe sono usate per favorire l’attivazione di determinati stati mentali e comportamenti, ossia di migliorare le prestazioni sociali (ad esempio l’uso di sostanze dopanti nello sport professionistico). • La funzione religiosa: le sostanze psicoattive sono assunte nell’ambito di rituali e cerimonie per facilitare il rapporto con realtà trascendenti. • La funzione alimentare: le droghe sono assunte per integrare la dieta (come ad esempio l’alcol). Le teorie sociologiche della devianza Per spiegare il consumo di droghe si può utilizzare la prospettiva offerta dalle teorie sociologiche che sono state elaborate per spiegare il comportamento deviante. 1.

Una scelta razionale

Secondo le teorie della scelta razionale, le azioni degli individui sono rette da un principio di razionalità: l’individuo, facendo un calcolo di costi/benefici, decide come agire per massimizzare il proprio piacere. Secondo questa teoria è necessario partire dal punto di vista degli attori per capirne le scelte: la prospettiva dell’individualismo metodologico afferma, dunque che per spiegare un qualsiasi fenomeno sociale bisogna partire dall’azione individuale e in particolare è necessario comprendere le ragioni degli attori.

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Secondo tale modello, gli attori sociali sono soggetti razionali in quanto, considerando il contesto sociale e culturale in cui sono collocati, trovano delle buone ragioni per fare quello che fanno. 2.

Un problema sociale

Secondo lo studio dei problemi sociali, il consumo di droga è considerato un fenomeno sociale che investe la collettività. Durkheim, in particolare, si focalizza sul concetto di anomia ossia la deregolamentazione che avviene nella società quando i legami sociali s’indeboliscono e la società stessa non è più in grado di regolare i sentimenti e le attività degli individui. È dunque questo indebolimento dei legami primari che spiega l’origine della devianza, poiché nelle società “ben regolate” il controllo sociale pone dei limiti alle inclinazioni e alle passioni degli individui. Questa teoria spiega il consumo di droga nei contesti in cui il controllo sociale si sia indebolito e non laddove tale controllo non lo sia. 3. Teorie della tensione, delle subculture e l’apprendimento del comportamento deviante Secondo il sociologo francese Merton, le persone consumano le droghe indotte dalla situazione sociale in cui si trovano, per evadere da condizioni di vita che non possono modificare. Secondo l’autore il sistema sociale è composto da due elementi costitutivi: la struttura culturale e la struttura sociale. Il primo rimanda a due valori istituzionalizzati: le mete cui i membri di una società devono aspirare e i mezzi utilizzati per raggiungere tali obiettivi. La struttura sociale, invece, è formata dagli status e dai comportamenti di ruolo collegati alle mete (la posizione sociale condiziona il raggiungimento delle mete). La devianza deriva, secondo tale prospettiva, dalla dissociazione tra le mete prescritte dalla società e i mezzi che si devono usare per raggiungerle. Per Merton una persona si ritrova in una situazione di conflitto quando non può perseguire in modo legittimo gli obiettivi e non riesce a ricorrere ai mezzi illegali avendo interiorizzato la proibizione a usarli. Risolve il conflitto rinunciando alle mete e ai mezzi e questa rinuncia lo porta a evadere dalle imposizioni della società. Un’altra forma di adattamento identificato da Merton che può spiegare l’uso di droghe illegali è l’innovazione. Il soggetto innovatore ricorre a mezzi illegittimi (come la droga) per raggiungere mete culturalmente prescritte. Cohen introduce il concetto di subcultura, cioè una soluzione collettiva ai problemi di adattamento determinati dalla distribuzione ineguale delle opportunità.

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La subcultura si forma quando un certo numero d’individui con problemi di adattamento si trova ad interagire. Secondo questi autori, se la devianza ha un’origine strutturale, il suo consolidamento deriva dalla presenza di subculture che esprimono orientamenti culturali alternativi a quelli della cultura dominante. Cloward e Holin individuano tre tipi di subcultura dominante: criminale, violenta e astensionista e quest’ultima è quella caratterizzata dal consumo di droghe illegali, poiché i suoi appartenenti avrebbero fallito nel tentativo di crearsi uno status socialmente valido, sia con i mezzi legittimi, sia con quelli illegittimi, andando incontro così a un doppio fallimento. La droga viene così usata per affrontare il malessere derivante dalla marginalizzazione sociale. La teoria dell’associazione sociale differenziale si differenzia di Durkheim, in quanto il comportamento deviante non è più considerato come un sintomo di disorganizzazione sociale, ma piuttosto il prodotto di “organizzazioni sociali differenziali”: nella maggior parte delle comunità esistono infatti gruppi che fanno riferimento a sistemi normativi devianti e altri a sistemi normativi convenzionali. Secondo Sutherland il comportamento deviante non dipende dal contesto di povertà in cui è inserita la persona, in quanto ci sono molti consumatori di droga anche tra le classi medie e medio-­‐alte e molte persone che hanno comportamenti non devianti anche negli slums. Secondo l’autore il comportamento deviante è appreso in associazione con altri, con un rapporto di comunicazione faccia a faccia (non quindi, attraverso video o giornali). Tale comportamento deviante è appreso e razionalizzato attraverso dei meccanismi di neutralizzazione che permettono alle persone di violare le norme senza rifiutare i principi e i valori della cultura dominante attraverso il ricorso a delle giustificazioni. Questa teoria della neutralizzazione, elaborata da Matza e Sykes individua cinque tipi di neutralizzazione:

Negazione della responsabilità (“Non è colpa mia, ero sotto effetto di droghe”);

Negazione del danno (“Non ho fatto male a nessuno”);

Negazione della vittima (“Se lo meritava!”);

Condanna di chi condanna (“Ce l’hanno con me”);

Richiamo a realtà più alte (“L’ho fatto per il bene dell’azienda”). 6


I due autori inoltre affermano che alcuni valori della cultura dominante sono simili a quelli che orientano contenuti anche nelle subculture devianti, come ad esempio l’enfasi sul divertimento. L’uso di droghe, legali e illegali, viene perciò facilmente neutralizzato in nome di un diritto culturale al divertimento. È importante sottolineare come Matza ponga una particolare attenzione, comunque, anche al concetto di volontà individuale: il deviante sceglie all’interno di condizioni e vincoli imposti dalla realtà ed alcuni sono più liberi di altri in quanto hanno un numero più ampio di scelte disponibili. 4. Uso di droga e comportamento sociale Secondo la prospettiva teorica della reazione sociale e dell’etichettamento, la devianza ha una natura relativa, e questa qualità è conferita a determinati atti dalla reazione sociale delle persone che interagiscono con chi commette tali atti. L’identità di deviante è il risultato di un processo d’interazione sociale: la definizione che la persona da di sé è influenzata dalla percezione che ne hanno gli altri, secondo una logica di “profezia che si autodetermina”. S’introduce qui il concetto di devianza secondaria: se il consumatore riesce tramite un processo di razionalizzazione a neutralizzare il comportamento di consumo (devianza primaria), la stigmatizzazione da parte della società di tale comportamento porta ad un compromettimento dell’immagine del soggetto, che viene etichettato come deviante. La persona acquisirà così, progressivamente, un’immagine di sé come “drogato”. Secondo tale teoria, ciò che rende stabile il comportamento deviante di molti consumatori, sono le modalità di controllo sociale e di etichettamento sperimentate. Ricerche svolte su campioni di consumatori ed ex consumatori Attraverso delle ricerche svolte su campioni di consumatori ed ex consumatori di droghe, si possono identificare le seguenti ragioni che spingono una persona ad assumere tali sostanze:

Sperimentazione: Una delle ragioni più comuni dell’uso di droga è la curiosità verso nuove esperienze, curiosità che può spingere il consumatore a continuare l’assunzione per il desiderio di sperimentare un determinato effetto.

Facilitare le relazioni sociali: sia come pratica ritualistica, sia per gli effetti farmacologici delle sostanze stesse. 7


Appartenere a un gruppo: per sperimentare la “similarità” verso il proprio gruppo di amici consumatori, o per permettere di dimostrare la propria diversità dai membri di altri gruppi che non fanno tale esperienza. Queste motivazioni sono particolarmente forti nell’adolescenza.

Migliorare le prestazioni: come ad esempio un atleta che prende un farmaco per migliorare la propria performance, o il contadino andino che mastica la foglia di coca per sentire meno la fatica.

Attività di loisir: per ricercare l’allentamento delle tensioni da stress e trovare eccitamento, attraverso l’inibizione del controllo delle emozioni.

Ridurre stati di disagio quali l’ansia, la depressione, l’angoscia, l’insonnia, ecc.

Modificare gli stati di coscienza in modo tale da esplorare e investigare parti della mente che non sono normalmente accessibili all’essere umano (si pensi ad esempio agli esperimenti con il pejote descritti da Carlos Castaneda nei suoi libri).

Sfida: si usano le droghe come ribellione verso l’establishment

Provare piacere e godere delle sensazioni che si sperimentano attraverso il loro uso.

COS’È LA PREVENZIONE La prevenzione è stata definita come ogni attività, individuale o di gruppo, pubblica o privata, tendente a impedire il verificarsi di uno o più atti criminali, ossia disfunzionali e negativi dal punto di vista della società. S’intende quindi con questo termine, l’insieme delle misure che la società adotta prima che un reato sia commesso, mentre per controllo s’intende le reazioni della società che seguono al reato. La prevenzione è un obiettivo attualmente largamente condiviso dai criminologi, poiché tutti concordano sulla necessità di utilizzare della metodologia scientifica ai fini della contrazione del fenomeno criminale. Si può definire correttiva la prevenzione che cerca di capire il crimine come un fenomeno correlato a motivazioni, cause, fattori concretamente individuabili e contrastabili attraverso specifici interventi. La prevenzione meccanica è invece quella che cerca di mettere in atto ostacoli fisici per rendere difficile o impossibile la realizzazione di un crimine.

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L’intervento preventivo può essere inoltre classificato in base al livello e allo stadio di sviluppo in cui si trova il comportamento criminale. Esso può essere di tipo primario, secondario o terziario. • Prevenzione primaria: mirata a ridurre le condizioni dell’ambiente fisico o sociale che portano al crimine, migliorando il benessere sociale di determinate aree, attraverso campagne educative e interventi in istituzioni di socializzazione ed anche interventi urbanistici. • Prevenzione secondaria: basata sull’identificazione precoce di potenziali delinquenti, per realizzare delle azioni che possano ridurre il rischio di un loro futuro coinvolgimento in attività antisociali. • Prevenzione terziaria: si prospetta quando un crimine è già stato commesso, al fine di impedirne la recidiva (molto in linea con la definizione di controllo). Le attività di prevenzione possono collocarsi all’interno o all’esterno del contesto giudiziario; i programmi di prevenzione extragiudiziaria si possono categorizzare in: programmi di prevenzione individuale; programmi di prevenzione sociale e programmi di prevenzione situazionale. Per la nostra analisi prenderemo in considerazione solo i primi due. La prevenzione individuale Buona parte dell’impegno clinico dei criminologi si è indirizzato verso interventi di tipo precoce, volti all’individuazione dei comportamenti che possano evolvere in senso antisociale, ed allo sviluppo di tecniche che possano produrre una sua diminuzione, con particolare attenzione alle problematiche minorili. Un primo tipo di prevenzione individuale è quello realizzato su soggetti che sono stati individuati come portatori di forte rischio di una futura criminalità; questo approccio è più frequentemente legato ad apparati giudiziari e di controllo e come tale influenzato dai criteri propri di tali istituzioni. Un secondo tipo d’intervento individuale tende, invece, a trattare i “difetti” di comportamento o di personalità delle persone, prescindendo dagli aspetti predittivi di questi problemi, al di fuori quindi da una preoccupazione esclusiva per l’antisocialità futura. Questi programmi vedono il comportamento deviante come il risultato di una condizione d’infelicità e disturbo delle relazioni interpersonali, ed è a quest’ultime che sono diretti.

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Dall’analisi dei programmi di prevenzione individuale realizzati negli ultimi anni, si è notato come i migliori livelli di efficienza ed efficacia sono stati riaggiunti da quei programmi che mirano allo sviluppo di capacità scolastiche, a chiarire e a spiegare ai ragazzi le regole sociali, le norme giuridiche di comportamento, a responsabilizzarli e ad aumentare l’autocontrollo, la fiducia e la stima in loro stessi. La prevenzione sociale Con l’evoluzione delle teorie criminologiche, i programmi di prevenzione hanno avuto un cambiamento che ha condotto a interventi centrati sul miglioramento delle condizioni di vita, del contesto sociale e delle relazioni interpersonali, piuttosto che sul trattamento individualizzato. Secondo Klein, infatti, “la diagnosi e il trattamento individuali sono spesso inconsistenti, le teorie causali su cui l’intervento si fonda non sono adatte a spiegare la devianza di molti dei soggetti trattati, l’intervento è limitato al campo psicologico e psicoterapeutico e trascura gli aspetti sociali legati alla delinquenza”. L’enfasi di questo secondo tipo d’intervento non viene più posta, allora, sulle problematiche individuali e familiari nella loro singolarità, quanto piuttosto sulle relazioni sociali e sulla rete di rapporti che legano l’individuo al contesto sociale. Dalle esperienze di prevenzione sociale condotte negli anni, anche nel nostro Paese, si evince che i progetti d’intervento debbano tendere ad attivare le competenze relazionali, le cui carenze causano malessere nei soggetti a rischio, così da permettere a questi di poter incidere sul loro contesto sociale. Un importante esempio di successo nell’ambito della prevenzione è il progetto D.E.T.A. realizzato a Cologno Monzese, il quale ha dimostrato anche l’importanza di un’impostazione multidisciplinare, capace d’integrare la prevenzione individuale con quella sociale. In quest’approccio operativo, il contributo sociologico ha riguardato principalmente il momento istituzionale (famiglia e scuola), il contributo criminologico ha teso a incidere sulla dimensione collettiva dell’esperienza delle persone considerate devianti, mentre quello psicologico (quindi quello individuale) si è integrato agli altri due, perseguendo finalità di tipo terapeutico riguardanti i soggetti coinvolti e le loro famiglie. Dal punto di vista dei programmi di prevenzione al consumo di droga, è importante rilevare come le azioni rivolte ai singoli individui non dovrebbero fare riferimento a un concetto oggettivo di razionalità, ma fondarsi su un’attenta analisi dei significati che i destinatari degli interventi attribuiscono ai comportamenti rischiosi che s’intendono prevenire.

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La prevenzione sociale si deve fondare, invece, sull’assunto che il consumo di droghe è un sintomo di malessere causato dalle condizioni sociali, che possono essere modificate. Se a livello individuale, la prevenzione cerca di promuovere la salute delle persone, sia fornendo informazioni adeguate sui rischi, sia rendendo gli individui e i loro gruppi di riferimento più competenti ad affrontare i rischi del consumo, a livello sociale la prevenzione si focalizza, invece, sulle cause strutturali del consumo di droga. COS’È LO YOGA1 La parola yoga è oggi molto usata e molto letta in molte riviste e giornali e richiama immediatamente alla mente una disciplina di ginnastica dolce, adatta a tutte le fasce d’età, che permette di rilassarsi e di allungare i propri muscoli e legamenti. Lo yoga è però molto di più di una ginnastica di origine indiana che sta trovando il suo momento di gloria in occidente. Con il termine yoga (che in sanscrito significa “unione” della mente individuale con quella universale), s’intende una filosofia millenaria alla quale è collegato un sistema di tecniche e discipline finalizzate al benessere individuale e collettivo e al raggiungimento della felicità. Nonostante oggigiorno si vedano molte correnti diverse, lo Yoga ha le sue origini nella tradizione tantrica (dal sanscrito tan-­tra che significa “ciò che libera dalla staticità”), il cui più antico maestro fu Sadha Shiva, vissuto 7000 anni fa. A questo maestro ne seguirono altri due di eccezionale importanza: Lord Krishna e Shrii Shrii Anandamurti. Lo yoga tantrico è definito come Ashtanga, ossia basato su otto livelli, suddivisi a loro volta in tre categorie: il controllo del corpo; l’etica nel comportamento individuale e relazionale e la meditazione. Dal punto di vista fisico, la pratica dello yoga avviene attraverso la realizzazione di specifiche posture (asanas), appositamente studiate per poter ottenere un controllo sulla secrezione delle ghiandole endocrine del nostro corpo e del sistema nervoso centrale, rafforzandolo. 1 Per la scrittura di questo paragrafo si fa riferimento ai testi: “Yoga Psicology” di Shrii Shrii Anandamurti; “Meditation and the secrets of the mind” e “Manual do curso de Biopsicologia” di Susan Andrews e al libro “Biopsicologia tantrica” di Christian Franceschini.

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Secondo la scienza della Biopsicologia2, le nostre emozioni sono collegate alla secrezioni ormonali prodotte dalle ghiandole endocrine. La rabbia ad esempio, è connessa alla produzione ormonale delle ghiandole surrenali, così come la tendenza mentale della melanconia, del malumore e dell’irritabilità. La Biopsicologia ha individuato 50 tendenze mentali che possono essere equilibrate attraverso uno scientifico e calibrato esercizio di posture le quali agiscono per mezzo un processo di pressione e decompressione delle ghiandole endocrine, effettuato durante uno specifico periodo di tempo, regolando in questo modo la secrezione ormonale. Il processo di meditazione, che si sviluppa secondo 4 stadi di progressiva profondità, permette di calmare la mente, diminuendo la frequenza delle vibrazioni mentali (in particolare onde alpha, beta e gamma). Ciò porta a sperimentare effetti di profonda serenità, pace, gioia interiore, calma ed anche di grande eccitamento, che la tradizione orientale paragona a un orgasmo fisico (da qui il famoso malinteso sulla natura sessuale delle pratiche tantriche). Un ultimo aspetto legato alle pratiche dello yoga è la sua componente etica e di impegno sociale. La filosofia tradizionale, infatti, definisce norme morali di comportamento che il praticante deve seguire per vivere correttamente con sé stesso e con gli altri, cercando di promuovere la giustizia e la pace nel mondo. È, infatti, un dovere di ogni praticante quello di lottare per un mondo più giusto, etico ed equo, nel quale tutte le risorse dell’universo siano utilizzate nella loro forma migliore, senza sprechi e a vantaggio di tutti gli esseri viventi. Non è un caso, quindi, che tutti i grandi maestri della storia, siano stati anche guerrieri e rivoluzionari sociali, che hanno denunciato le ingiustizie del sistema sociale, scatenando spesso lotte contro regimi politici ed economici ingiusti. E, a tal proposito, è di grande interesse notare come il più grande saggio di filosofia yoga della storia “A Commentary to Ananda Sutram” di Shrii Shrii Anandamurti, dedichi il quinto ed ultimo capitolo ad una teoria socio-­‐economica finalizzata al “benessere ed alla felicità di tutti”. LO YOGA PUÒ ESSERE UN MODO PER PREVENIRE IL CONSUMO DI DROGHE? Dopo aver esaminato, nei paragrafi precedenti, cosa siano le droghe e perché se ne faccia uso, avendo inoltre definito cosa sia la prevenzione, cercheremo ora di 2 2 La biopsicologia è una scienza che studia la relazione mente-­‐corpo. Attualmente la più grande esperta di biopsicologia al mondo è la dott.ssa Susan Andrews, PhD alla Harvard University e direttrice del centro di ricerca internazionale “Visão Futuro” a São Paulo in Brasile.

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capire se la pratica può, da un punto di vista sociologico, essere uno strumento valido di prevenzione al consumo di sostanze psicoattive. Ci riferiremo pertanto alle teorie funzionaliste, alle teorie sociologiche della devianza e ai casi empirici di consumatori ed ex consumatori di droghe. Il punto di vista funzionalista Da un punto di vista funzionalista, la pratica dello yoga (in particolare delle posture e della meditazione), può trovare molto spazio come metodo di prevenzione, anche se non risponde a tutte le funzioni descritte dalla teoria. •

Praticare yoga ha sicuramente una funzione terapeutica, che modifica il comportamento dell’organismo, sia da un punto di vista fisico, che psicologico e può pertanto curare diverse malattie e prevenirle.

Eseguire le posture e dedicarsi alla meditazione aumenta di molto la sicurezza e l’autostima, necessari a facilitare le relazioni sociali, permettendo di rispondere in questo modo alla funzione sociale del consumo di droghe.

Da un punto di vista ricreazionale, lo yoga può procurare profonde sensazione di benessere e piacere e felicità (definita come uno stadio di piacere mentale).

La funzione strumentale della pratica dello yoga è molto evidente: permette infatti di aumentare le prestazioni del nostro organismo, ottenendo una maggiore capacità di concentrazione e di resistenza psico-­‐fisica anche in momenti di stress, regolando anche le funzioni respiratorie e cardiovascolari del corpo.

La pratica della meditazione profonda permette sicuramente di vivere una dimensione spirituale autentica e personale, che per molte persone aiuta a dare un senso alla propria esistenza, riuscendo anche ad andare oltre i problemi del quotidiano, inserendoli in una dimensione di trascendenza e misticismo.

La funzione alimentare è, chiaramente, non esercitata dalle pratiche yoga, che propongono però una dieta spesso in linea con i principi della filosofia (vegetariana e senziente).

Il punto di vista delle teorie sociologiche della devianza Scelta razionale: seguendo la teoria della scelta razionale, la prevenzione deve focalizzarsi sul rendere il costo dell’azione (quindi il rischio) maggiore di quello dei

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benefici, oppure agendo sulla specifica struttura di opportunità collegata ai diversi tipi di reato. Basandosi su questo approccio, sarebbe valida l’ipotesi di realizzare delle operazioni di prevenzione primaria che informino le persone (per esempio i giovani nelle scuole) sul fatto che la pratica dello yoga può rispondere a molte delle funzioni sociali e bio-­‐psicologiche delle droghe. Un esempio potrebbe essere la prevenzione al consumo di psicofarmaci contro l’ansia da studio degli studenti universitari attraverso la pratica della meditazione e del rilassamento guidato. Se da un punto di vista di razionalità individuale sembra facile individuare come la pratica dello yoga possa servire come prevenzione del consumo di droghe, cercheremo ora di capire come ciò sia possibile anche dal punto di vista delle teorie sociali. Un problema sociale: Secondo queste teorie, le condizioni sociali e culturali in cui vivono gli individui, ne provocano la devianza. Perciò le politiche dovranno finalizzarsi a promuovere lo sviluppo di programmi che abbiano lo scopo di riorganizzare le condizioni di vita in particolari contesti territoriali per rafforzare i legami sociali e rendere più efficace il controllo sociale informale. Al fine di promuovere lo sviluppo di programmi per rafforzare i legami sociali, è necessario realizzare interventi di prevenzione finalizzati a rafforzare il controllo sociale informale attraverso il consolidamento delle relazioni sociali che legano le persone alla comunità locale, attraverso lo sviluppo dell’”efficacia collettiva”, basata sulla mutua fiducia e solidarietà. Ciò porta ad una maggiore coesione sociale e quindi al controllo sociale. Un percorso basato sullo yoga può intervenire a questo livello attraverso l’educazione ai valori dell’etica, della moralità, della solidarietà e del servizio sociale, creando così un’aggregazione positiva tra le persone, rafforzando i legami sociali tra i membri di una comunità e promuovendo le capacità di empowerment dei singoli, attraverso la presa di coscienza dei problemi della comunità, invitandoli ad agire. Teorie della tensione e delle subculture. Secondo tali teorie, il comportamento deviante è sintomo della dissociazione tra le mete prescritte e le procedure strutturate socialmente per realizzare tali mete. Le politiche dovranno rimuovere tale dissociazione:

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• Da un punto di vista strutturale, intervenendo sulla diseguale distribuzione delle opportunità, attraverso la creazione di posti di lavoro, il miglioramento del rendimento scolastico e la riduzione della dispersione scolastica, l’offerta di servizi sociali, ecc. • Da un punto di vista culturale, evitando di promuovere aspirazioni che enfatizzino il perseguimento del successo personale ad “ogni costo”. Visto secondo tale approccio, un intervento di prevenzione basato sullo yoga e la meditazione può aiutare a promuovere valori positivi, per la creazione di subculture non devianti, ma “salutari”. Ciò attraverso l’insegnamento di valori di “autorealizzazione e servizio” che sono alla base della cultura dello yoga e che vanno ben al di là delle mete materialiste proiettate dalla società. A tal fine si possono anche promuovere nei corsi indirizzati ai giovani, dei “contratti partecipativi”3, che garantiscano la partecipazione alle lezioni solo se i partecipanti non infrangeranno le leggi e se miglioreranno i propri risultati scolastici. Questo metodo ha prodotto grandi risultati nei progetti con i ragazzi di strada delle favelas (periferie povere) brasiliane. Ma è indubbio che sia necessario offrire anche opportunità di lavoro che permettano un’emancipazione anche economica. Una prospettiva è di realizzare corsi di formazione per insegnanti di yoga, in modo tale da creare concrete opportunità di lavoro ai partecipanti (cfr. paragrafo successivo). Teoria dell’apprendimento del comportamento deviante L’insegnamento della pratica, ma soprattutto della filosofia dello yoga (in particolare dei valori morali di Yama e Nyama, moralità verso sé stessi e gli altri) può promuovere modelli di ruolo in grado di attribuire valore ai comportamenti conformi, alternativi ai modelli normativi devianti, che possono educare a resistere e a contrastare tali modelli e a sceglierne altri. L’insistere sull’etica yogica può intervenire sui meccanismi di razionalizzazione, rendendoli inefficaci. 3

Un esempio di contrato partecipativo è stato realizzato nei progetti di IIDAC Brasile finalizzati alla prevenzione del consumo di droga e della devianza dei ragazzi delle favelas di Curitiba (Brasile). È stato chiesto ai ragazzi partecipanti ai corsi di danza-­‐capoeira di elaborare delle regole da seguire sulla base di valori positivi proposti dagli educatori (quali salute, rispetto, solidarietà, ecc.). I giovani hanno scelto e approvato un regolamento molto stretto (hanno addirittura proibito la coca-­‐cola in quanto potenzialmente dannosa alla salute) e lo hanno tutti rispettato, in quanto lo sentivano proprio e perché avevano paura di essere screditati di fronte ai compagni ed esclusi dal gruppo che amavano.

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Ricerche svolte su campioni di consumatori ed ex consumatori In base alle ricerche svolte sulle motivazioni dei consumatori ed ex consumatori di droghe, è possibile identificare nella pratica dello yoga e meditazione, un modo per soddisfare efficacemente molte di queste necessità, in particolare quelle di facilitare le relazioni sociali, di appartenere ad un gruppo, di migliorare le prestazioni, di realizzare attività di loisir (per allentare le tensioni da stress soprattutto), ridurre gli stati di disagio, modificare gli stati di coscienza e provare piacere. Forse il bisogno di sfida alla società non può essere facilmente trovato in questo tipo di pratiche, a meno che non si sviluppi nelle persone la consapevolezza che per sfidare la società attraverso un adattamento di ribellione (rivoluzionario) è necessario essere al massimo delle proprie capacità psico-­‐fisiche ed estremamente lucidi e pronti per poter lottare per cambiare ciò che nella società non si ritiene giusto. ESEMPI DI PROGETTO Verranno presentati di seguito due esempi di progetto elaborati e realizzati da IIDAC Europa in partnership con altre associazioni, che si basano sulla pratica dello yoga per la prevenzione del consumo di droghe tra i giovani. Un’esperienza è stata condotta in Brasile, l’altra in Italia. Corso di yoga per giovani e adolescenti. All’interno di un percorso di ricerca-­‐azione condotto da un operatore di IIDAC Europa tra i giovani delle scuole superiori della città di Lonigo (in provincia di Vicenza) è stato riscontrato un fenomeno preoccupante di disagio giovanile legato all’ansia da “compito in classe e interrogazione” tra gli studenti degli istituti di formazione secondari. La ricerca si è estesa anche agli universitari della Città, confermando le impressioni raccolte con i ragazzi di età inferiore. La cosa più interessante è stata che molte delle persone che provano questo tipo di disturbo, ricorre a psicofarmaci, a sigarette, alcool e marijuana (quindi a droghe legali ed illegali) per poter affrontare lo stress, l’insonnia, e aumentare le proprie prestazioni. Per far fronte a questo fenomeno di disagio è stato perciò proposto un corso di yoga e meditazione per giovani e adolescenti, per prevenire l’uso di sostanze psicoattive e poter vivere più serenamente la dimensione di vita scolastica. Il corso è stato organizzato in partnership con un noto centro di discipline olistiche della Città ed ha avuto un grande successo di iscrizioni (in una settimana si sono iscritte 40 persone, esaurendo quindi subito i posti a disposizione).

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Il feedback dei partecipanti è stato molto positivo e tutti hanno dichiarato di aver acquisito nuovi strumenti per affrontare le situazioni di stress, ansia, insonnia e malessere da studio. Curso para professores de yoga nas favelas do Rio de Janeiro A inizio 2010, una rete di partner composto da l’associazione AMURT Brasile, guidata da un monaco yoga, l’Università Federale di Rio de Janeiro (UFRJ) e IIDAC Europa, ha elaborato un progetto di formazione per professori di yoga e protagonismo giovanile in cinque favelas della Città di Rio de Janeiro, in Brasile, per affrontare il problema del disagio sociale e dell’esclusione, cui è legato anche il fenomeno della devianza collegato al consumo e allo spaccio di droga. Il progetto partirà nel 2011 ed ha come obiettivi la realizzazione di corsi professionalizzanti per professori di yoga nelle zone più povere della capitale carioca, per creare nuove opportunità di lavoro ai giovani di questi quartieri. I giovani formati saranno anche animatori nelle proprie comunità, promuovendo percorsi di ricerca-­‐azione partecipati basati sul protagonismo giovanile (la promozione dell’aggregazione e dell’attivazione di gruppi di giovani per migliorare la propria vita e la propria comunità) che prevedono la realizzazione di corsi di yoga per giovani e adolescenti delle favelas, per creare gruppi locali (cellule di trasformazione) che, sulla base di un processo di aggregazione positiva e non deviante, possano attivarsi nel quartiere con progetti di solidarietà sociale, evitando in questo modo di cadere nelle reti di delinquenza che caratterizzano queste zone.

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