SORRENTO PER VIAGGIATORI
TRE GOLFI SAILING WEEK 2023 A MAGGIO TORNA A SURRIENTO
“Sorrento si prepara a prendere il largo, anche per questo 2023, con la Tre Golfi Sailing Week, e il suo carico di novità, che punta a rinnovare i successi raccolti nel corso della precedente edizione - le parole del sindaco Massimo Coppola - Abbiamo raccolto con entusiasmo la sfida, insieme agli organizzatori, per trasformare nuovamente il nostro golfo in una cornice preziosa dove accogliere equipaggi ed ospiti. E la nostra città in un palcoscenico ineguagliabile per questa grande festa della vela”. Scatta il conto alla rovescia per la Tre Golfi Sailing Week e il Campionato Europeo Maxi con la penisola sorrentina ancora una volta protagonista dopo l’esaltante successo del 2022. Dal 12 al 21 maggio dieci giorni di grande vela che rilanciano il matrimonio tra la Costiera e la grande vela. Tre appuntamenti, altrettante città, e già 13 iscritti al campionato Europeo Maxi, scafi da venti metri e più che incantano nel loro andar per mare. L’edizione 2023 della Tre Golfi Sailing Week prevede una combinazione di regate inshore e costiere, inclusa la storica Regata dei Tre Golfi giunta alla 68a edizione, la seconda regata italiana per età dopo la Giraglia, che segnerà l’inizio della manifestazione con la partenza prevista alle 17.00 di venerdì 12 maggio da Napoli, di fronte al maestoso Castel dell’Ovo e alla sede del CRV Italia nel porticciolo di Santa Lucia. Dopo l’arrivo della Regata dei Tre Golfi, la flotta dei partecipanti troverà ormeggio nei porti della penisola sorrentina. Qui le imbarcazioni più grandi si contenderanno la seconda edizione del Campionato Europeo Maxi con le regate inshore da lunedì 15 a giovedì 18 maggio. La lista degli iscritti ad oggi mostra già 17 iscritti con un promettente schieramento di ex Maxi 72: il ritorno sia di North Star del Socio CRVI Peter Dubens che di Jethou di Sir Peter Ogden, oltre a Vesper di Jim Swartz, l’ex campione Maxi 72 Cannonball di Dario Ferrari e Proteus di George Sakellaris, tornato in Europa per la prima volta dopo la pandemia. Tra i primi iscritti figurano il Club Swan 80 My Song di Pier Luigi Loro Piana, il Vallicelli 78’ H2O di Riccardo De Michele e quattro Mylius Yachts, tra cui il 60’ a chiglia basculante Cippa Lippa X di Guido Paolo Gamucci, il 60 a chiglia fissa Manticore di Franz Baruffaldi Preis e, dalla Francia, Lady First 3 di JeanPierre Dreau e il nuovo Mylius 66 del tedesco Alois Neukirchen.
OTTIMISMO E FIDUCIA
NEL PROSSIMO FUTURO
Il14 febbraio è sicuramente una delle date più importanti nel calendario della Città del Tasso e della intera diocesi.
È la ricorrenza in occasione della quale tutti i Sorrentini festeggiano il loro patrono, Sant’ Antonino.
È l’ occasione in cui ritrovarsi riuniti, tutti assieme, attorno ad antichi valori religiosi e al forte spirito identitario che lega la comunità locale ad intramontabili aspetti devozionali.
Dopo anni difficili e travagliati, nel 2023, si torna alla vera normalità e si recuperano pienamente le celebrazioni a cui la popolazione è sempre stata attaccata da sincero affetto.
In effetti la festa di Sant’ Antonino è piena di valori simbolici. In concomitanza con il 14 febbraio tutte le attenzioni sono rivolte al santo protettore di quello che viene considerato come il capoluogo peninsulare.
Al tempo stesso, però, ci si prepara anche all’ avvio di una nuova stagione turistica che ci si augura possa essere coronata da positivi risultati. Noi tutti, alla luce dei segnali che si registrano alla vigilia, speriamo di eguagliare o, se è possibile, di superare i traguardi già raggiunti nel corso del 2022. Anche per questo ci accostiamo alla festa patronale pieni di ottimismo e di fiducia nel futuro prossimo. Confidiamo nella possibilità che Sorrento possa rafforzare il suo processo di crescita in ogni ambito economico e finanziario.
Così come speriamo di vedere la nostra città al centro di sempre nuove attenzioni a livello nazionale ed internazionale. L’ amministrazione Comunale è già da tempo al lavoro per conseguire questi importanti risultati e per procurare benessere alla intera comunità locale. In questo senso si colloca il recente svolgimento della seconda edizione degli Stati Generali
del Turismo, cui seguiranno una serie di eventi che rafforzeranno l’ ambizione di primeggiare a livello italiano e mondiale. Intanto, prima di entrare nel vivo di un anno che speriamo possa essere gratificante sotto ogni punto di vista, concentriamo le nostre attenzioni sulla figura di Sant’ Antonino ed a lui ci rivolgiamo per ottenere la sua protezione.
SORRENTO PER VIAGGIATORI
A SORRENTO SANT’ANTONINO TRA FEDE E TRADIZIONE
Il14 febbraio di ogni anno Sant’Antonino viene festeggiato con grande intensità spirituale a Sorrento e nella cittadina salernitana di Campagna. È il Santo protettore di entrambe le città. Campagna è il paese dove nacque e da cui in giovane età partì per l’abbazia di Montecassino diventando monaco benedettino.
A Sorrento fu abate dell’abbazia benedettina di Sant’Agrippino e i sorrentini, dopo la sua morte, edificarono la cripta e la basilica nel luogo che aveva scelto lui stesso: «né dentro né fuori le mura». Dunque, le sue reliquie sono conservate nelle «mura della città». Per proteggere la sua gente, per darle conforto e fiducia ogni giorno, per tenere vivo il forte sentimento di religiosità cristiana nella costiera sorrentina che si snoda, viaggiando da Napoli sulla statale 145, lungo i comuni di Vico Equense, Meta, Piano, Sant’Agnello, Sorrento e Massa Lubrense.
Storia e tradizione popolare tramandano l’intervento miracoloso del Santo Patrono in tanti momenti difficili per Sorrento: nella vittoria navale sui saraceni, nell’assedio del generale Grillo, nella preservazione dalla peste, nella librazione dal colera, nella guarigione degli indemoniati.
Si racconta che, quando Sorrento fu saccheggiata dai turchi e fu portata via pure la statua di Sant’Antonino, i sorrentini avevano l’animo in tumulto: vittime di razzie nelle proprie case, avevano pochi soldi e non erano riusciti a raccogliere offerte sufficienti per farne realizzare un’altra. Erano stati costretti a disdettare l’opera commissionata a uno scultore di Napoli. Ma Sorrento ebbe comunque la nuova statua del Patrono. Lo scultore la consegnò ai sorrentini, increduli, spiegando che un vecchietto si era presentato nella sua bottega e gli aveva corrisposto tutto il danaro che non era stato possibile raccogliere. I sorrentini non ebbero dubbi: la statua l’aveva pagato lui, Sant’Antonino. Un altro miracolo perché, stando alla descrizione dello scultore, il vecchietto somigliava al Santo.
Nella basilica tanti ex voto ri-
cordano numerosi altri miracoli attribuiti al Santo Patrono, alla sua presenza costante nella vita quotidiana della popolazione locale.
Qui Sant’Antonino è il santo di tutti. Dai contadini alla gente di mare, dai commercianti agli operai, dagli imprenditori del terziario tradizionale agli albergatori agli agenti di viaggio. Secondo il sentimento popolare, protegge il mondo del lavoro e dell’imprenditoria in tutte le sue forme anche oggi, mentre sono iniziati gli anni Venti del Terzo Millennio.
Storia e tradizione, genuina religiosità e concreta operosità
quotidiana si intersecano in un mixer di sentimenti forti. Così, anche quest’anno, il 14 febbraio migliaia di pellegrini faranno visita alla cripta e alla basilica (re-
centemente oggetto di lavori di restauro della facciata e tuttora ingabbiata nella parte laterale).
Accade così da tanti secoli, un rito che si tramanda da una generazione all’altra.
A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, il 14 febbraio, con la Festa di Sant’Antonino, la costiera sorrentina apre le braccia alla primavera e corre verso la nuova stagione turistica. Il segnale di una svolta per la città è annunciato dalle campane della basilica. Senza dimenticare che qui il santo patrono è festeggiato due volte l’anno.
L’altra festa, detta “Sant’Antonino dei giardinieri”, nella prima domenica di maggio, ricorda i tempi in cui la città aveva un’economia prevalentemente rurale.
carmine berton
carmine berton
Sant’Antonino Abate Patrono di Sorrento
Sant’Antonino Abate Patrono di Sorrento
Carmine Berton e Giovanni Petagna, da tempo un binomio fecondo e appassionato che scava nei tesori della nostra tradizione e fissa sulla carta cose che altrimenti cadrebbero nell’oblio, hanno realizzato un opuscoletto che rileva particolari legati alla festa del santo Patrono di Sorrento che sfuggono ai più, anche se si ripetono da secoli, ma che vanno inesorabilmente modificandosi o perdendosi in questo tempo di veloci trasformazioni.
Li ringrazio, perciò prima come sorrentino e poi come rettore della Basilica di Sant’Antonino e, siccome il tempo non solo corrode gli usi e le tradizioni ma apporta anche cose nuove, la seconda edizione di questo opuscolo si arricchisce del nuovo inno a Sant’Antonino composto dal Prof. Salvatore Cangiani e musicato da Mons. Angelo Castellano.
Antica Stamperia Grafica Antonino Petagna Sorrento Via P. R. Giuliani, 26/28SORRENTO PER VIAGGIATORI
LA BASILICA DI SANT’ANTONINO
Ladata di costruzione della basilica risale al XI secolo, sullo stesso luogo dove in precedenza esisteva un oratorio dedicato a sant’Antonino, risalente al IX secolo ed in parte inglobato nella nuova costruzione: la scelta di tale luogo fu dettata dal fatto che in quella zona erano poste le spoglie del santo, nei pressi delle mura cittadine ed alla confluenza delle tre principali strade che conducevano a Sorrento: per la realizzazione, vennero utilizzati numerosi pezzi di marmo provenienti sia da templi pagani che da ville d’otium di epoca romana che sorgevano lungo la costa. Nei primi anni la basilica era retta da un arciprete, mentre successivamente da un rettore nominato direttamente dal re; nel 1378, nella chiesa, fu istituita la confraternita dei Battenti. Nel 1608 la chiesa passò ai Padri Teatini i quali furono i promotori di importanti lavori di restauro, secondo i criteri dettati dalla controriforma, e facendo assumere alla basilica un’impronta fortemente barocca: nel 1668 venne rifatto la facciata con il campanile, mentre nel corso del XVIII secolo furono aggiunti fregi e stucchi. Nel 1866, con la soppressione dei monasteri, i frati dovettero lasciare la chiesa, che venne affidata nuovamente ad un rettore.
Importanti lavori di ristrutturazione si ebbero a seguito del terremoto del 1980, mentre altri interventi di restauro sono stati compiuti tra il 2010 ed il 2011.
Facciata ed interno
L’osso di balena del miracolo di sant’Antonino
La facciata della basilica è in stile romanico, in tufo grigio, divisa in due da una trabeazione, mentre delle lesene, la dividono verticalmente in tre parti: nella zona inferiore, al centro è un arco che funge da ingresso, mentre nella zona superiore si aprono tre grossi finestroni a volta, quello centrale di maggiori dimensioni, rispetto ai due laterali, più piccoli; sul lato sinistro, incassato nella facciata, è il campanile, con la cella campanaria illuminata da quattro monofore. Superato il portale ad arco, preceduto da quattro gradini, si accede ad un piccolo portico, il quale conserva nel lato destro, un’urna con le spoglie del rettore, monsignor
Francesco Gargiulo ed un’altra con le ossa di una balena, la qua le, secondo una leggenda, aveva ingoiato un bambino, salvato poi per intervento di Sant’Anto nino; sulla porta di accesso alla chiesa, in un’edicola, è dipinto un affresco del santo patrono sorrentino del 1599. Sul lato meridionale della chiesa si apre una piccola porta, risalente al X secolo, tra due colonne in mar mo giallo antico con capitelli in ordine corinzio, sormontato da un arco, all’interno del quale è una lunetta con un’incisione di una croce tra due palme. Internamente la basilica è a cro ce latina e divisa in tre navate, una centrale e due laterali, tramite sei archi, sostenuti da altrettante colonne in granito, in larga parte provenienti da costruzioni di epoca romana; nella navata centrale, nello spazio tra due archi, sono posti degli ovali, all’interno dei quali sono affrescati scene della vita di sant’Antonino: nel lato destro le raffigurazioni di sant’Antonino che salva un muratore caduto dal campanile, l’apparizione del santo allo scultore che dovrà realizzare la sua statua, la liberazione di una indemoniata, la fuga della flotta saracena, la consegna di pesci ai suoi devoti, l’entrata del santo a Sorrento, l’apparizione a papa Gregorio I che aveva ingiustamente accusato san Catello ed il torchio accesso sulla cima del monte, mentre nel lato sinistro il salvataggio di una barca dal naufragio, la liberazione di un’indemoniata, la guarigione di un diacono avvelenato da un serpente, la salvezza di un capro, la liberazione di alcuni operai da un macigno. Altri affreschi sono posti al di sopra degli archi, nella zona tra il cornicione ed il soffitto, dove si aprono anche dei finestroni: sono rappresentati il fanciullo liberato dalla balena, l’uscita di acqua dal monte Aureo e l’apparizione dell’arcangelo Michele. Sul soffitto, decorato con rosoni d’oro su fondo azzurro, sono poste tre tele di Gianbattista Lama, realizzate nel 1734: partendo dall’ingresso è la raffigurazione di sant’Andrea Avellino, segue poi la scena della liberazione dal diavolo della figlia del principe Sicardo, propiziata da sant’Antonino ed infine il ritratto di san Gaetano di Thie-
ne. Le due navate laterali ospitano ognuna due cappelle con altrettanti altari in marmo: quelle a destra una dedicata originariamente alla Madonna del Rosario ed in seguito a san Giuseppe e a sant’Andrea Avellino, mentre quelle di sinistra una a san Gaetano e l’altra all’Immacolata, con statua della Vergine, risalente al 1848, opera di Francesco Saverio Citarelli; lungo le navate inoltre sono posto otto dipinti, quattro per ogni lato, raffiguranti scene di vita di sant’Andrea e san Gaetano.
Superati cinque gradini si raggiunge la crociera, nel cui soffitto è un dipinto dello Spirito Santo, che ha sostituito le antiche pitture dei santi Antonino e Gaetano; nella stessa zona è anche posto l’altare maggiore, proveniente dal monastero sorrentino della Santissima Trinità e consacrato il 1º luglio 1814 da monsignor Vincenzo Calà ed alle sue spalle, nella parte dell’abside, si trova un coro ligneo, con alle pareti quattro tele, tutte opera di Giacomo del Pò: nella parte curva le raffigurazioni di sant’Antonino con i santi Baccolo e Atanasio e san Renato e san Valerio, entrambe realizzate nel 1685, mentre nelle pareti laterali la liberazione di Sorrento dall’assedio di Giovanni Grillo del 1648, e la guarigione della città dalla peste del 1656. Sono presenti inoltre due reliquiari del 1608, contenti uno diciassette reliquie di san Baccolo e l’altro ventuno reliquie di san Placido: questi erano custoditi originariamente nella cattedrale di Sorrento e poi trasferiti nella basilica di Sant’An-
tonino tra il 1659 ed il 1679. Nella chiesa è inoltre conservata una statua di sant’Antonino in argento, sulla quale è riportata la data di realizzazione ossia il 2 febbraio 1564 e il nome del realizzatore, Scipio di Costantio: la leggenda vuole che una prima statua fosse stata realizzata nel 1494, ma a seguito di un’incursione dei saraceni, il 13 giugno 1558, questa venne depredata e fusa per ricavarne delle armi. Era volontà dei sorrentini realizzarne una nuova, ma mancando i fondi, l’opera tardava ad essere terminata: fu così lo stesso sant’Antonino che apparve all’orafo napoletano che era stato incarico di compiere l’opera, consegnandogli un sacchetto il resto della somma mancante e intrattenendosi per diverso tempo, in modo tale da farsi ben osservare affinché la statua fosse quanto più simile a lui. I sorrentini, una volta trovati i fondi e recatisi dall’artigiano, vennero a conoscenza del miracolo e a testimonianza di ciò fecero aggiungere, tra le mani del santo, un sacchetto, simbolo della cifra versata.
Cripta
La cripta, chiamata volgarmente Succorpo, si trova in un’area sottostante la chiesa ed ha accesso tramite due scalinate in marmo poste alla fine delle due navate laterali, con balaustre scolpite nel 1753 e decorazioni alle pareti in stucco del 1778 che hanno coperto gli affreschi del 1699, opera di Pietro Anton Squilles: l’ambiente è sostenuto da quattro colonne realizzate con marmo recuperato da antichi tem-
pli pagani, le quali sorreggono quattro archi piccoli nella zona dell’altare e quattro più grandi che vanno verso l’esterno; racchiuso in una balaustra è l’altare con la statua e le spoglie del santo ed una lampada ad olio in argento, perennemente accesa, ed accarezzata dai fedeli in segno di devozione, in quanto, secondo la tradizione, dopo essersi rotto una gamba, sant’Antonino sognò di prendere dell’olio da un’ampolla su suggerimento della Madonna, risvegliandosi, il mattino successivo, guarito. Nella cripta sono presenti altri due piccoli altari: quello sulla destra presenta un crocifisso in legno ricoperto in argento, portato in processione in caso di calamità o in segno di penitenza, mentre quello sul lato sinistro è abbellito da un affresco della Madonna delle Grazie, risalente al XIV secolo, in origine dipinto sulle
mura cittadine e che risulta essere la più antica raffigurazione di Maria a Sorrento. All’interno della cripta sono esposte sei tele di Carlo Amalfi, raffiguranti san Valerio, san Renato, sant’Attanasio, san Baccolo, san Gennaro e san Nicola e numerosi ex voto, in particolari dipinti, alcuni di autori famosi come di Edoardo De Martino, i cui quadri si trovano a Buckingham Palace a Londra.
Sagrestia
La sagrestia, a cui si accede tramite due ingressi è composta da diversi ambienti pavimentati in maioliche e raccoglie numerose opere d’arte ed ex voto.
Tra le opere, si possono vedere form-ovali degli affreschi riprodotti nella cripta, opera di Carlo Amalfi del 1778, due tavole ad olio, una ritraente la Madonna col Bambino, l’altra san Catello e Sant’Antonino, opera di Luca de Maxo, risalente al 1539, un di-
pinto della Madonna in stile bizantino e due sculture in legno, una del crocifisso, l’altra della Madonna del Rosario, del XVII secolo.
Gli ex voto invece, in passato composti da gioielli, opere pittoriche, sagome del corpo umano, si sono ridotti a poche unità e quelli conservati nella sagrestia sono settantasei, in gran parte si tratta di dipinti quasi tutti legati al tema del mare, probabilmente doni di marinai.
Si conserva inoltre un presepe, voluto da Silvio Salvatore Gargiulo, realizzato da Ciro Finto e Antonio Lebro.
Originariamente era composto da numerosi pezzi, tutti del XVIII secolo, comprendenti centocinquantadue pastori, di cui sessantacinque animali, e settantacinque pezzi vari, realizzati con i più disparati materiali come argento, avorio, rame, vetro ed
oro. Purtroppo, nella notte tra il 28 ed il 29 gennaio 1983, tutte le statuette furono rubate.
Fu possibile realizzare un nuovo presepe solo grazie alle donazioni dei sorrentini, i quali cedettero alla basilica diversi pastori d’epoca di loro proprietà: si tratta di un classico presepe napoletano, con riproduzioni di alcuni scorci di Sorrento, come i ruderi dell’acquedotto romano, le bifore di palazzo Correale e l’antica discesa verso Marina Piccola ed al centro della scena, tra le rovine di un tempio pagano, la natività, mentre intorno sono raffigurate scene ed oggetti di vita quotidiana, tra cui la riproduzione di prodotto tipici culinari come torrone, roccocò e castagne del monaco. Caratteristico anche il corteo dei Re Magi ed i loro ricchi doni, con il seguito di schiavi ed odalische oltre che ad asiatici, mongoli e negri.
TESTIMONIANZE A SORRENTO C’È UN
SANTO CHE VEGLIA
LA GRANDE BELLEZZA SORRENTO PER VIAGGIATORI
Ero stato ricoverato di notte, non vi erano dubbi: infarto del miocardio.
Più tardi, nell’altro letto della stanza giunse un vecchietto un po’ avanti negli anni. La sua faccia non mi era nuova, forse l’avevo già vista da qualche parte. Una corona di capelli grigi, quasi bianchi, circondava il cranio pelato; colorito chiaro ma un poco rubizzo portato al sorriso affabile, sereno. Lo accompagnava sua moglie, una popolana dall’aspetto riservato. Quando più tardi iniziammo a conversare mi disse che era di Sorrento e mi parlò delle sue cose, del suo malanno, non grave come il mio. Mi parlava della famiglia e del suo lavoro e, tutto a un tratto, non ricordo perché, iniziò a parlarmi di Sant’Antonino. Ecco, allora capii, la sua faccia mi ricordava proprio lui: il nostro patrono. Ero abbastanza sconfortato a molto sofferente, le cure non indicavano ancora una soluzione, il primario non aveva detto ancora la parola definitiva circa la diagnosi. Qualche sera dopo, nell’ora delle visite mi venne a trovare un giovane amico, un artista, con un quadro fresco di pittura per farmene dono. Sulla tela aveva replicato la scena del miracolo
di Sant’Antonino con la balena sulla spiaggia di Sorrento. Chissà perché, invece del classico cetaceo, ci aveva dipinto un grande scorfano, uno dei pesci più ispidi dei nostri mari, ingrifato e rosso come il sangue. Vidi in quel pesce la metafora del mio cuore lesionato e forse sanguinante. Un cupo presagio. Il santo effigiato somigliava stranamente al mio vicino di letto che il giovane peraltro non aveva mai conosciuto. Posò la tela ben lontano sullo stipetto di metallo accanto alla finestra e con affettuoso inchino si accomiatò. Il quadro restò li finché io restai in quella stanza. Poi dopo qual-
che giorno il mio vicino, che somigliava tanto a Sant’Antonino, insieme a sua moglie andò via mentre io rimasi ancora con le mie tribolazioni. Quando fui trasferito a Benevento mi accolse la scritta beneaugurante sul frontone del nosocomio: “Fatebenefratelli”, un ottimo auspicio. Qui però le cose si complicarono ed io ripensai a Sant’Antonino e chiesi il suo aiuto. Mentre il chirurgo con la sonda armeggiava nel mio cuore sentii la sua voce rivolta all’assistente: “Dammi un calibro 12”, “non c’è” rispose….,”, “dammi un calibro 11”, “manca” fu la risposta. Quasi stizzito ordinò: “e allora dammi quello che c’è!”. Fu allora che invocai Sant’Antonino e ripensai al mio vicino di letto di Sorrento! Non tardarono
le complicazioni, dopo pochi mesi uno dei tre stand si otturò e giunsi assai vicino alla fine. A Napoli fui assistito di urgenza da un ottimo cardiochirurgo, o forse da qualcuno più lontano. Anche qui non mancarono i segnali. Alla dottoressa che all’arrivo redigeva l’anamnesi chiesi: “di dove siete?”, “di Sorrento” fu la risposta. Mi sentii rinfrancato. Le stanze in quel reparto non erano numerate e le porte recavano il nome delle varie località delle nostre costiere, sulla mia era scritto “Sorrento”. La cosa mi diede conforto e molta speranza. Quando tutto fu risolto consegnai quel quadro al prelato della cattedrale di Sant’Antonino dopo aver aggiunto in calce l’anonima scritta V.F.G.A. votum fecit gratia accepit. Oggi 2023, dopo circa venti anni aspetto che, prima o poi, quel quadro venga mostrato al pubblico sulla parete della chiesa del mio santo protettore. Come fosse sparito nel nulla non ho mai più rivisto quel mio misterioso vicino di letto. Chi era?
Ciò che è descritto è tutto vero (compreso il quadro) tuttavia l’anonimato non vale per ragioni di privacy o per nascondermi bensì per dare al pezzo il crisma del mistero come si addice a ciò che, che come in questo caso, vuole apparire miracoloso
CARNEVALE: LA FESTA DI FEBBRAIO
PERCHÈ A CARNEVALE CI SI MASCHERA?
Lafesta del carnevale è contraddistinta da sempre da alcuni simboli fortissimi e diffusi quasi in tutto il mondo, o quasi. Tra questi sono senza dubbio ci sono gli scherzi, i coriandoli e soprattutto i travestimenti e le maschere. Dietro questa tradizione c’è una ragione precisa e un’origine antica.
Sai perché a Carnevale ci si maschera? Forse il motivo non è quello che pensi.
La festa del carnevale è una ricorrenza davvero magica in cui ci si diverte in strada grazie ai carri allegorici e alle parate, alle feste pubbliche e private a cui si va tassativamente mascherati da qualche personaggio particolare, ma da dove deriva questa tradizione? Scopriamo il vero motivo per il quale a Carnevale ci si maschera sempre.
Ecco perché a Carnevale ci si maschera
Carnevale è il momento in cui secondo la tradizione della religione cattolica si mette fine al periodo rigido della quaresima e comincia il momento che
culmina con la Santa Pasqua. L’etimologia del termine infatti indica che i fedeli si erano astenuti dal mangiare la carne.
Da secoli si celebra in tutto il mondo con parate sfilate di carri allegorici, esibizioni musicali e di ballo, eventi pubblici divertenti e contraddistinti dall’allegria e dal colore. Una tradizione
immancabile è quella di travestirsi. Qui qui in Italia le antiche maschere di Pulcinella, Colombina, Arlecchino, Pantalone, Brighella, Gianduia, Gioppino, Rugantino, Brighella Mosciolino e tutte le altre, sono nate dall’incontro di tradizioni locali che si sono intrecciate con quelle del teatro popolare.
Ma perché ci si maschera?
Da dove è nata la tradizione dei travestimenti?
A quanto pare per ricercare le origini di questa tradizione occorre tornare indietro nel tempo, fino all’epoca dell’antico Egitto dove durante una festa in onore della dea Iside il popolo si mascherava. Mentre in Oriente invece si svolgevano spesso feste pubbliche con carri raffiguranti le divinità la luna e il sole. Gli egizi poi esportarono alcuni dei loro usi e costumi a tutti i popoli del sacro romano impero. Così è giunta fino a noi.
A quanto pare allora il travestimento era percepito come una via per trasformarsi in quello che non si era, e per far prendere vita ai sogni che era impossibile realizzare nella realtà. Tutto sommato non siamo andati molto lontano e questa tradizione non è molto diversa nemmeno oggi. Basti pensare che i bambini scelgono sempre i travestimenti dei loro beniamini di fill giochi e cartoni animati.
Daniela De Pisapia
LE DOLCEZZE DEL CARNEVALE SEMPRE CHIACCHIERE FRITTE O AL FORNO
Così recita un antico proverbio. E se è vero che il periodo attuale non consente i festosi eccessi che una festa popolare come questa porta con sé, è pur vero che il suo spirito può allietare grandi e piccini soprattutto in cucina, attraverso la creatività e la golosità dei dolci tipici della ricorrenza come le Chiacchiere. Per prepararle bastano pochi ingredienti.
Per la sfoglia (per circa 35 pezzi)
300 g farina 00
8 g lievito per dolci (1/2 bustina)
50 g zucchero
40 g burro a temperatura ambiente
2 uova
½ bacca di vaniglia
35 g Rum o Grappa o Mistra (in alternativa 35g di latte) buccia di ½ limone un pizzico di sale
1 litro di olio di semi
In una ciotola setacciate la farina e il lievito, poi aggiungete lo zucchero, il burro a temperatura ambiente, le uova, la vaniglia il rum, la buccia del limone, un pizzico di sale e iniziate ad impastare fino a ottenere un composto liscio e omogeneo, dategli una forma sferica e avvolgetelo con della pellicola.
Fate riposare a temperatura ambiente per circa 30 minuti. Una volta trascorso il tempo di riposo, dividete l’impasto in tre parti uguali.
Prendete la prima porzione, infarinate il piano di lavoro e con il mattarello stendete la sfoglia sottile (circa 2/3 mm) dandogli una forma rettangolare e lasciate riposare per qualche secondo. Per una sfoglia più croccante e favorire la formazione di bolle durante la cottura, prima di stendere per il taglio, ripiegate su se stessa (a portafoglio) lasciate riposare qualche secondo e ripetete l’operazione (stendere nuovamente ripiegare a portafoglio) per altre due volte.
A questo punto prendete una rotella tagliapasta dentata e rifilate la sfoglia formando dei rettangoli di circa 12 x 5 cm. Disponete i rettangoli su taglieri o piatti da portata leggermente infarinati e distanziati tra loro affinché non si attacchino. Ripetete la stessa operazione con il resto della sfoglia. Friggete le chiacchiere dai 3 ai 5 minuti circa girandole più volte fino a raggiungere la doratura su entrambi i lati, scolatele e appoggiatele su carta assorbente da cucina a raffreddare, quindi spolveratele di zucchero a velo e gustatele, magari inzuppandole in una tazza di cioccolata calda. La temperatura dell’olio è molto importante e deve essere fra i 170°-175°.
Questa ricetta si adatta perfettamente anche per la cottura al forno, posizionate le chiacchiere su una teglia e cuocete in forno già caldo a 185° per circa 10 minuti. dalla Redazione
“Carnevale guarisce ogni male”.
DAL CUORE DELLA TERRA AL CENTRO DELLA CUCINA
Nel 1885 il celebre pittore olandese Vincent van Gogh realizzò “I mangiatori di patate” (De Aardappeleters), un’opera straordinaria oggi esposta al museo di Amsterdam dedicato all’artista.
In quel dipinto vi è una rappresentazione autentica della realtà, dove delle persone che, all’epoca, erano generalmente ritenute indegne della pittura, come i contadini di Nuenen, non erano discriminati per la loro “bruttezza”, ma presentati senza alcun compiacimento estetizzante. In altre parole, con quel dipinto Van Gogh portò alle estreme conseguenze la logica del realismo, secondo cui – come esplicitò in una lettera indirizzata al fratello Théo – «Se un quadro di contadini sa di pancetta, fumo, vapori che si levano dalle patate bollenti – va bene, non è malsano».
In quel romanzo epico e doloroso che è “Furore” di John Steinbeck, l’autore parla dei poveri contadini americani al tempo della grande depressione degli anni ’30 e di come si sfamassero di ortaggi: «lattuga, cavolfiori, carciofi, patate… tutte colture da schiena curva» che, per essere raccolte, costringono il contadino a «muoversi a quattro zampe come uno scarafaggio, e tra le file di cotone deve piegare la schiena e trascinarsi dietro il suo lungo sacco, e in mezzo ai cavolfiori deve inginocchiarsi come un penitente». La patata è stata a lungo simbolo di miseria e fatica, anzi mezzo millennio fa gli europei la consideravano addirittura pericolosa, se non “demoniaca”.
È, infatti, un tubero che nasce e si sviluppa nel sottosuolo, al buio e per molto tempo non si sapeva come cucinarlo per renderlo commestibile.
Le notizie più antiche sulla patata la collocano nella regione del lago Titicaca, tra Perù e Bolivia, sulle Ande, dove gli Inca ne svilupparono un gran numero di varietà per adattarla ai diversi ambienti delle regioni da loro abitate. La prima descrizione scritta della pianta risale al 1537, dopodiché gli Spagnoli la portarono in Europa intorno alla metà del XVI secolo, quando si diffuse nella Penisola Iberica, nei Paesi Bassi, in Inghilterra, in Germania e in Italia, dove venne chiamata tartuffolo o tartufo bianco.
All’epoca era presente soprattutto nei giardini botanici e la sua coltivazione era pressoché limitata al solo uso come alimento animale. Le prime varietà importate dal Sudamerica erano poco adatte alla coltivazione nei climi europei e davano raccolti scarsi, ma il salto di qualità avvenne nella seconda metà del Settecento con Antoine Parmentier, un importante farmacista, agronomo, igienista e nutrizionista francese che, convinto della grande utilità e salubrità della patata, promosse insistentemente la sua coltivazione e il suo utilizzo alimenta-
re e culinario. In poco tempo la patata divenne fondamentale nell’alimentazione delle classi umili, ma all’inizio dell’Ottocento ci si rese conto che poteva essere utilizzata anche per preparazioni raffinate, come dimostra la sua comparsa nei libri di ricette dell’epoca.
Oggi nella nostra zona si coltivano patate di pregio e la loro presenza nella gastronomia
partenopea è centrale, basti pensare ai famosi “crocchè” e “gattò” (rispettivamente dal francese “croquette” e “gâteau”), entrambi a base di patate, appunto, inventati alla fine del Settecento a Napoli presso la corte della regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando I di Borbone, una coppia transeuropea in una delle città più internazionali del loro tempo.
IL GIRO D’ITALIA RITORNA A SORRENTO
Dove e quando passa il Giro d’Italia a Napoli? Le tappe del Giro d’Italia 2023, e in questa edizione ritorna in Campania.
Sono 4 le tappe fissate in Campania.
L’edizione numero 106 è stata presentata lunedì 17 ottobre, presso il Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano.
La corsa per la Maglia Rosa si svolgerà in 21 tappe e partirà dall’Abruzzo.
Ad inaugurare la manifestazione sarà la cronometro del 6 maggio sulla pista ciclabile della Via Verde della Costa dei Trabocchi, da Fossacesia Marina a Ortona. A chiuderla, invece, la tappa di Roma del 28 maggio.
La prima tappa sarà una cronometro individuale per assegnare la Maglia Rosa.
Dopo una settimana più tranquilla, il primo arrivo sopra quota 2.000 sarà posto sul Gran Sasso, la Cima Pantani.
Poi il gruppo dovrà affrontare i muri marchigiani per raggiungere il traguardo di Fossombrone.
La seconda cronometro sarà ancora dedicata agli specialisti: 33,6 km tra Savignano sul Rubicone e Cesena.
Da lì si deciderà il Giro.
Il tappone alpino di Crans Montana, con due ascese sopra i 2.000 metri, sarà il primo test per gli uomini di classifica.
L’ultima settimana sarà molto impegnativa: il Monte Bondone con punte al 15% scremerà il gruppo; la frazione con l’arrivo in Val di Zoldo sarà breve (160) ma intensa (3.700 metri di dislivello); da Longarone (a 60 anni
dalla tragedia del Vajont) partirà il tappone dolomitico con arrivo alle Tre Cime di Lavaredo, frazione infernale con 5.400 metri di dislivello e cinque asperità; l’ultima fatica sarà la cronoscalata del Monte Lussari, con tratti al 22%. Infine, la passerella ai Fori Imperiali della Città Eterna.
LE tA pp E A N Ap OLI
La tappa di Napoli è prevista per giovedì 11 maggio 2023. Il percorso passerà per i comuni vesuviani, con puntate agli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano, il Miglio d’Oro delle ville vesuviane, quindi in Costiera Sorrentina e Amalfitana e rientro a Napoli. In Campania ci saranno poi altre tre tappe.
IL p ERCORSO COM p LE tO
1/a tappa, sabato 6 maggio: Costa dei Trabocchi ITT; Fossacesia Marina – Ortona, 18.4 km
2/a tappa, domenica 7 maggio: Teramo – San Salvo, 204 km
3/a tappa lunedì 8 maggio: Vasto – Meli, 210 km
4/a tappa, martedì 9 maggio: Venosa – Lago Laceno, 184 km
5/a tappa, mercoledì 10 maggio: Altripalda – Salerno, 172 km
6/a tappa, giovedì 11 maggio: Napoli – Napoli, 156 km
7/a tappa, venerdì 12 maggio: Capua – Gran Sasso d’Italia (Campo Imperatore), 218 km
8/a tappa, sabato 13 maggio: Terni – Fossombrone, 207 km
9/a tappa, domenica 14 maggio: Savignano sul Rubicone –Cesena(Technogym Village) ITT, 33.6 km
10/a tappa, martedì 16 maggio: Scandiano-Viareggio, 190 km
11/a tappa, mercoledì 17 maggio: Camaiore – Tortona, 218 km
12/a tappa, giovedì 18 maggio: Bra – Rivoli, 179 km
13/a tappa, venerdì 19 maggio: Borgofranco d’Ivrea – Crans Montana, 208 km
14/a tappa, sabato 20 maggio: Sierre-Cassano Magnago, 194 km
15/a tappa, domenica 21 maggio: Seregno-Bergamo, 191 km
16/a tappa, martedì 23 maggio: Sabbio Chiese – Monte Bondone,198 km
17/a tappa, mercoledì 24 maggio: Pergine Valsugana – Caorle, 192km
18/a tappa, giovedì 25 maggio: Oderzo – Val di Zoldo, 160 km
19/a tappa, venerdì 26 maggio: Longarone – Tre Cime di Lavaredo(Rif. Auronzo), 182 km
20/a tappa, sabato 27 maggio: Tarvisio – Monte Lussari ITT, 18.6km
21/a tappa, domenica 28 maggio: Roma – Roma, 115 km.
QUARANTA ALBERI DELLA MEMORIA
Quaranta «Alberi della Memoria» piantumati in piazzale dei Capi e dintorni qui a Monte Faito. Un gesto di solidarietà in ricordo delle vittime del Covid-19 di Vico Equense. L’iniziativa segue il percorso natalizio che ha visto i pini, simbolicamente allestiti in prossimità delle 23 chiese del territorio, che consolideranno le loro radici per crescere, rigogliosi e imponenti a Monte Faito. Un momento di condivisione per tutta la comunità che, come una famiglia, si stringerà nel ricordo di un familiare, un amico, un conoscente, vittima del Covid-19. Il progetto curato da Margherita Aiello, presidente di Acove Commercianti Vicani e di Aicast e da Anna Alvino, presidente dell’associazione Oltre il Guscio, varato due anni fa, in collaborazione con la Città Metropolitana, Regione Campania ed Ente Parco, patrocinato da alcuni comuni della Penisola Sorrentina, per salvaguardare l’ambiente e rispettare tutti i canoni per la piantumazione dei pini utilizzati nel corso del cartellone natalizio a Vico Equense. Il progetto degli Alberi della Memoria non nasce per caso, ma è la conseguenza di associazioni di idee, di incontri, coincidenze ed anche di viaggi. È partito un anno fa. L’idea apparve finalizzato da nobili finalità ricordare quanto accaduto e nello stesso tempo guardare con speranza al futuro. A Monte Faito, sabato 4 febbraio un momento di riflessione e di preghiera assieme a don Ciro Esposito in rappresentanza dell’Arcidiocesi di Sorrento–Castellammare, coordinato dal giornalista Antonino Siniscalchi, con l’intervento del sindaco di Vico Equense Peppe Aiello, del consigliere della Città Metropolitana con delega al Monte Faito e sindaco di Meta Giuseppe Tito, del presidente del Parco Regionale dei Monti Lattari Tristano Dello Joio, dell’agronomo Raffaele Starace e del vicepresidente dell’Ordine dei dottori agronomi di Napoli Giovanni Gentile.
NELL’AMBITO DELLA MOSTRA MANUFACTUM PRESENTATO IL
LIBRO:
IL LAVORO BEN FATTO
Nellesale della Villa Fiorentino a Sorrento, nell’ambito degli incontri che hanno arricchito l’ampio programma della quarta edizione della mostra di artigianato artistico Manufactum, è stato presentato il libro di Luca e Vincenzo Moretti “Il lavoro ben fatto. Che cos’è, come si fa e perché può cambiare il mondo ”.
Una presentazione itinerante alla scoperta delle opere in esposizione, guidati dalla storica dell’arte Assunta Vanacore e dal ceramista Marcello Aversa, Presidente dell’associazione Peninsulart, organizzatrice della mostra, con la collaborazione della Fondazione Sorrento.
Il lavoro ben fatto è una cultura, un approccio, una possibilità di cambiamento culturale e sociale. È la scelta di mettere sempre una parte di sé in quello che si fa. È la soddisfazione che si prova a farlo bene. È l’importanza di tenere insieme la testa, le mani e il cuore. È la consapevolezza di poter conquistare un futuro migliore, per l’Italia e per il mondo.
Il libro racconta come è nata e si è strutturata questa filosofia, attraverso le idee, i progetti, l’attività sul campo, i risultati.
Perché ha senso farla crescere sempre di più.
Perché è una possibilità e non un sogno.
Insieme alla storia del lavoro ben fatto, una storia di famiglia che ha attraversato tre generazioni, per ora.
Una storia che a Sorrento ha incontrato non soltanto i cittadini, ma soprattutto artigiani, artisti e anche imprenditori e operatori del settore turistico. Vincenzo
Moretti ha apprezzato le opere in mostra, che ha definito “manufatti pregiati” e ha notato l’attenzione posta da molti artisti nel recupero di materiali di scarto.
Un libro che ha incontrato, in quest’occasione, stoffe, fotografie, ceramica, legno, terracotta, ricami, plastica, quadri, storie che si sono intrecciate per disegnare futuri fatti di bellezza e opportunità, di rinascita e innovazione.
dalla Redazione
IL LIBRO DI LUIGI SIGISMONDI STRADE DEL NOSTRO PAESE
L’ULTIMA OPERA DI CARMINE BERTON LA BANDA “CITTA’ DI MASSA LUBRENSE”
nostra storia nazionale, sono state sapientemente ricostruite da Carmine Berton.
Presentato
a Sant’Agata il libro di Luigi Sigismondi curato da Giovanni Visetti
Una vera e propria ovazione nella Congrega di Sant’ Agata per il maestro Sigismondi in una sala gremita ed entusiasta per la presentazione suo libro sulle strade di Massa Lubrense, un lavoro prezioso realizzato grazie all’impegno e alla passione di Giovanni Visetti. Nessuno voleva mancare a questo appuntamento, sebbene la pioggia e un po’ di freddo. Ma a riscaldare i tantissimi presenti ci ha pensato questo ragazzo di 93 anni che conserva ancora tanta vitalità da far invidia a tanti giovani d’oggi: W Sigismondi!
A condurre la serata il giornalista Antonino Siniscalchi con i saluti di Donato Iaccarino, Stefano Ruocco e l’intervento conclusivo di Giovanni Visetti, mentre a scandire di versi di alcuni componimenti del “professore” Giulio Iaccarino.
Entusiasti di questa prima presentazione, vi invito alla prossima che si terrà presso il salone della Pro Loco di Massa il 3 febbraio prossimo, non mancate!
Il volume è in distribuzione presso le due Pro Loco cittadine a fronte di un contributo di 13 euro per escursionisti e soci 10 euro.
In numerosi testi della letteratura italiana, specialmente in quelli prodotti negli ultimi due secoli, che hanno sapientemente tracciato spaccati sociali e culturali di borghi e cittadine del Bel Paese, la dimensione aggregativa della festa patronale, in cui sacro e profano si mescolano in un binomio pressoché inscindibile, oppure della sagra o della fiera paesana, in cui si esaltano i prodotti del luogo, il frutto della fatica contadina o della sapienza artigianale, presenta elementi topici che uniscono, quasi senza soluzione di continuità, realtà anche geograficamente molto distanti.
Tra questi, appare particolarmente caratterizzante il ruolo svolto dalle bande musicali.
I complessi bandistici, da secoli, rappresentano non solo una delle principali forme di aggregazione sociale con una specifica organizzazione interna, ma anche il “motore culturale” di ceti sociali che altrimenti sarebbero rimasti ai margini anche di contesti caratterizzati da un’ economia prettamente rurale ed artigiana.
Tra questi, la Banda musicale “Città di Massa Lubrense” riveste un ruolo di grande rilievo, non solo nell’ambito della Penisola Sorrentina.
Le sue origini, nella prima metà del XIX secolo, e le sue vicissitudini, che si intrecciano con momenti fondanti della
Come già in precedenti pubblicazioni, che hanno riguardato la storia dei grandi albergatori sorrentini, oppure del natio borgo marinaro di Marina di Puolo, Carmine Berton, erede della migliore tradizione dell’arte dell’accoglienza radicata da secoli in Penisola Sorrentina, conduce il lettore tra le pieghe della storia associativa del complesso bandistico, e lo fa attingendo non solo a fonti scritte ma (ed in questo risiede la suggestione più profonda che il lettore potrà cogliere rapportandosi al testo) alla dimensione dell’oralità, alle testimonianze di quanti hanno dedicato gran parte della loro esistenza affinchè questa benemerita banda musicale potesse sopravvivere alle temperie culturali e all’evoluzione dei costumi.
Emergono, nella narrazione, figure come il Maestro Bellipanni, Giuseppe Cangiano (Mastu Peppe), Antonio Cappiello, Giuseppe Bozzaotra “o’ Funaro”, Mosè Gargiulo, Alberto Gargiulo “Burtulillo” e tanti altri che, senza mai trascurare il proprio lavoro artigiano, agricolo e la famiglia (spesso numerosa), hanno allietato le tante feste patronali che caratterizzano in maniera particolare i borghi di Massa Lubrense, oppure accompagnato, con le mesti note di una marcia funebre, un compaesano verso l’ultima dimora terrena, inerpicandosi, con i loro strumenti a fiato, lungo le ripide stradine lubrensi. Questo testo rappresenta, dunque, un ulteriore tassello nella conoscenza di quelle realtà associative che hanno avuto un peso preponderante nella crescita umana e culturale di Massa Lubrense e dell’intera Penisola Sorrentina.
A Carmine Berton che, sapientemente, ha saputo inanellare fatti e personaggi, va il merito di aver salvato dall’oblio testimonianze preziose legate ad eventi e personaggi legati, in maniera inscindibile, all’antico e sempre nuovo complesso bandistico.
Marco MantegnaCORDOGLIO PER LA SCOMPARSA DI FABRIZIO RAIOLA
Ci sono fatti e personaggi che caratterizzano l’evoluzione della vita in maniera inscindibile.
Quando ripercorriamo l’evoluzione della nostra quotidianità ci soffermiamo con un pensiero più dettagliato su quanti hanno lasciato ricordi che non andranno mai sopiti.
Ecco, con Fabrizio Raiola, abbiamo condiviso, tutti i docenti del Liceo Salvemini, momenti indimenticabili, sia nella crescita di tante generazioni di studenti, sia nel caratterizzare la storia di una Istituzione così importante sotto il profilo culturale della penisola sorrentina. Fabrizio Raiola ci ha lasciati con l’inizio del nuovo anno per intraprendere l’ultima corsa verso l’aldilà. Quante storie, quanti ricordi, quante discussioni, talvolta anche divergenti, hanno caratterizzato vent’anni di un comune percorso nella stessa scuola. Mi fermo qui, potrei raccontarne tante, a cominciare dalle manifestazioni sportive studentesche alle quali abbiamo partecipato con tantissime generazioni di allievi del Liceo Salvemini.
Fabrizio Raiola aveva 77 anni, in pensione dal 2011, ha insegnato al Liceo Salvemini per 33 anni. Una carriera nella scuola lunga 44 anni. Un abbraccio forte alla figlia Annalisa, alla Famiglia. La comunità scolastica del Liceo Salvemini, lo ricorderà con una celebrazione eucaristica che si terrà nelle Cattedrale di Sorrento, sabato 18 febbraio prossimo alle ore 10.30.
ALISCAFO HYDROFOIL
pERIODICO
DI INFORMAZIONE tURIStICA
Aut. Trib. NA n. 3104 del 15.04.’82
Editrice Surrentum
Viale Montariello, 8 - Sorrento www.surrentum.com redazione@surrentum.net
Direttore Responsabile Antonino Siniscalchi antoninosiniscalchi@gmail.com
In Redazione Luisa Fiorentino e Mariano Russo progetto grafico Gaetano Ercolano Web producer Mauro Siniscalchi
Hanno collaborato Don Luigi Di Prisco, Giovanni Gugg Marco Mantegna e Gianni Siniscalchi
In copertina STATUA DI SANT’ANTONINO Fotografia di A. Fattorusso pubblicità e Informazioni tel. 334 838 5151 mariano@surrentum.net
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febbraio 2023
venerdì 24 febbraio 2023
sabato 25 febbraio 2023
domenica 26 febbraio 2023
lunedi' 27 febbraio 2023
martedì 28 febbraio 2023
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