Poste Italiane SpA - Spedizione in abb.to postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 comma 1 - DCB Cagliari
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DOMENICA 4 NOVEMBRE 2012 A N N O I X N . 40
SETTIMANALE DIOCESANO
DI
€ 1.00
CAGLIARI
In difesa della vita MAURO BARBERIO
er chi non se ne fosse, ancora, accorto – presumo parecchi – è bene far rilevare che sulla legge 40/2004 suonano le campane a morto. La predetta legge, nata per consentire un’applicazione umana (prima che cristiana) della procreazione medicalmente assistita, nella sostanza, non esiste più. Alla faccia della volontà popolare espressa, dapprima, con un ordinario quanto complesso iter parlamentare, quindi ribadita con il noto risultato negativo del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2005, promosso dal partito radicale e contrastato efficacemente dalla Conferenza Episcopale Italiana. La legge 40 – nel suo complesso, tecnicamente, “non cattolica” contrariamente a quanto ritenuto dalla vulgata – rappresentò, però, un soddisfacente punto di equilibrio tra chi avrebbe voluto un’estensione indiscriminata delle tecniche procreative, lesive della salute e della dignità dell’embrione (che sino a quel momento avevano determinato l’eliminazione e il congelamento di centinaia di migliaia di embrioni, ergo di vite umane) e chi vedeva nella fecondazione assistita uno strumento moralmente non accettabile in quanto riduceva l’uomo-embrione a prodotto di laboratorio. La Chiesa Cattolica, attraverso la dichiarazione Donum Vitae della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva fatto chiaramente intendere e insegnato che, anche la fecondazione in vitro omologa, la meno irrispettosa dei “beni” insisti nel matrimonio sacramentale, rappresentava, comunque, una moda-
P
lità moralmente illecita. Pur non essendo una legge confessionale (e nemmeno moralmente lecita secondo il Magistero), la legge 40/2004 ha rappresentato, probabilmente, in quel frangente storico politico, quanto di meglio ottenibile. Si trova in questo la ragione della sua difesa da parte della CEI. La legge 40 avrebbe, infatti, rappresentato – qualora applicata nella sua integralità un argine alla produzione (quindi all’eliminazione e al congelamento) degli embrioni soprannumerari avendo stabilito, nel numero di tre, il limite non superabile di embrioni “producibili”. Avrebbe, altresì, evitato che l’embrione, nel contempo, divenisse oggetto sacrificabile in laboratorio, attraverso l’imposizione del divieto della diagnosi pre impianto e di ogni tecnica che potesse, anche potenzialmente, mutilarne il patrimonio genetico e, quindi, ucciderlo. Ulteriore sostanziale divieto veniva posto avverso la fecondazione eterologa. Nonostante, lo si ribadisce, la svolta referendaria, alcuni tribunali e, infine, anche la Corte Costituzionale con la sentenza 151/2009 - attraverso un percorso non esente da fermenti ideologici - hanno, letteralmente, smontato quanto di buono aveva rappresentato, sino a quel momento, la legge 40/2004. Legge che aveva contribuito a salvare centinaia di migliaia di vite umane. Il nostro, evidentemente, non è un paese né per feti né per embrioni. Non lo sarà, in un futuro del quale si scorgono le prime avvisaglie, nemmeno, per bambini e per vecchi. E’ inevitabile che questo accada quando si incide e non si rispetta più la vita umana e quando si instaura il dominio del più forte.
L’ultimo colpo alla legge 40 è stato inferto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (a volte il rapporto tra nomi e fatti disvela una singolare tragica ironia) che ha ritenuto che il divieto della diagnosi pre impianto fosse incoerente alla luce della vigenza, nel sistema normativo nazionale, della legge 194/1978 (legge sull’aborto). Si appalesa manifesta l’erroneità di un tale percorso argomentativo (“La Corte non vede come la tutela degli interessi menzionati dal Governo si concili con la possibilità offerta ai ricorrenti di procedere ad un aborto terapeutico qualora il feto risulti malato”), tenuto conto che l’aborto può intervenire solo per evitare la lesione della salute della donna, mentre la diagnosi pre impianto opera nei riguardi di un embrione senza che si possa sapere, “in partenza”, se il suo impianto produrrà, o meno, sulla donna tale effetto. Inoltre tanto la legge 194/1978 quanto la legge 40/2004 hanno, espressamente, vietato l’aborto o la soppressione dell’embrione per ragioni eugenetiche. Fatto salvo il ricorso che il Governo, con ogni probabilità vorrà proporre contro tale decisione e l’esito che il giudizio avrà davanti alla Grand Chambre della Corte, questa decisione lancerà la volata a sentenze interpretative ed evolutive che daranno l’ulteriore colpo di grazia alla legge 40. In sostanza, pertanto, la legge, così come nata e pensata da una maggioranza parlamentare trasversale, non esiste più. Cercansi, fin d’ora, parlamentari e politici, presenti e futuri, oltre che cattolici, rispettosi della vita umana e della verità insita nell’uomo, che sappiano proporsi per sostenere politiche normative a favore di un’integrale difesa della vita.
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