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DOMENICA 21 OTTOBRE 2012 A N N O I X N . 38

SETTIMANALE DIOCESANO

DI

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CAGLIARI

La fontana del villaggio + ARRIGO MIGLIO

nauguriamo l’Anno della Fede, in contemporanea con quanto avviene a Roma in forma più solenne, con la celebrazione presieduta dal Santo Padre. Credo sia importante che interiorizziamo dentro di noi le motivazioni per cui il Papa ha indetto questo Anno della Fede e le coltiviamo dentro il nostro cuore e anche all’interno della nostra comunità presbiterale e diaconale. L’augurio è che questo clima familiare, tra di noi, vada in crescendo durante tutto l’Anno della Fede. Vorrei anzitutto richiamare quanto è avvenuto 50 anni fa. Ricordo un vecchio televisore in bianco e nero nel Seminario: si faceva fatica ad avere delle immagini nitide di quell’evento straordinario. Come mai l’11 ottobre? Perché in quel tempo l’11 ottobre era la festa della Divina Maternità di Maria e quindi era il dogma proclamato dal Concilio di Efeso, nel 431, e quindi Papa Giovanni XXIII, che, non dimentichiamolo, era stato Nunzio Apostolico in Oriente, in Turchia, aveva scelto questa data per iniziare questo evento preparato in più o meno tre anni e mezzo: il 25 gennaio 1959 il primo annuncio, a Pentecoste del 1960 la commissione ante preparatoria e poi successivamente le commissioni preparatorie e nel Natale 1961 l’indizione ufficiale del Concilio con la bolla Humanae Salutis e

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un mese prima - l’11 settembre, sempre una data un po’ così storica, ma questa volta fausta - un famoso radio messaggio ad un mese dall’apertura del Concilio, il radiomessaggio di Papa Giovanni XXIII dove era emersa anche quella frase diventata famosa “La Chiesa come la fontana del villaggio” a cui tutti vanno ad attingere acqua e finalmente l’11 ottobre 1962 la celebrazione iniziale del Concilio. Di quella giornata e di quella celebrazione sono rimasti memorabili due discorsi: quello ufficiale di Giovanni XXIII, l’Allocuzione nella Basilica Vaticana, che inizia con “Gaudet Mater Ecclesia”, discorso famoso che vedo viene citato, ripreso da molti in questo tempo e poi il discorso improvvisato della sera, il famoso discorso della luna e della carezza ai bambini, in risposta alla fiaccolata che i romani avevano organizzato riempiendo quella sera piazza San Pietro. Questa fu la giornata iniziale del Concilio. Sappiamo che si è sviluppato in quattro sessioni, tutte nei mesi autunnali, 1962,1963,1964, 1965, la prima sotto il pontificato di Giovanni XXIII le altre sotto quello di Paolo VI. Conclusione del Concilio 8 dicembre 1965, il giorno prima il 7 dicembre le ultime promulgazioni dei documenti conciliari, 16 documenti conciliari e quell’atto che avvenne proprio nel contesto della chiusura del Concilio, della abrogazione reciproca delle scomuniche, tra la Chiesa Cattolica e il Pri-

mate della Chiesa Ortodossa, il patriarca di Costantinopoli Atenagora I, un atto che è stato di grande coraggio ed era il frutto, come è scritto anche nei documenti, dell’incontro avvenuto nel gennaio 1964 a Gerusalemme tra Paolo VI ed Atenagora I. Durante il Concilio Paolo VI compì alcuni viaggi memorabili. Il primo in Terra Santa, nei primi giorni del gennaio ’64, quindi a pochi mesi dalla sua elezione. A fine ’64 un viaggio in India e poi il viaggio all’Onu con un allocuzione dove il Papa pronunciò una frase che divenne famosa “La Chiesa è esperta in umanità”. Mi pare che la decisione di Benedetto XVI di indire l’Anno della Fede sia una decisione che vuole proiettarci oltre le discussioni e oltre le polemiche suscitate inevitabilmente dall’evento conciliare. Guardare avanti per vivere nella prospettiva della speranza. Guardare alla nostra missione di evangelizzazione. Dopo 50 anni il mondo cattolico ed anche il mondo ecclesiastico è attraversato da differenze che a volte rischiano di diventare vere e proprie divisioni nel laicato, certo, ma anche tra il clero. Per vivere questo Anno della Fede, nel cinquantesimo del Concilio, in prospettiva escatologica, di speranza e di evangelizzazione, mi pare importante portarci appresso alcune domande che non dovrebbero mai abbandonarci. Segue a pagina 5

SOMMARIO CHIESA

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Il cardinal Canestri: “Così ho vissuto il Concilio Vaticano II” SOCIETA’

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Nobel a Yamanaka, il papà delle cellule staminali adulte SPECIALE DA PAGINA 5

Convegno diocesano, relazioni e interventi sull’Anno della Fede FAMIGLIE

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Il Forum delle famiglie: “Legge di stabilità, siamo allibiti” DIOCESI

Seminario maggiore, è stato inaugurato il nuovo anno

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IL PORTICO

IL PORTICO DEL TEMPO

DOMENICA 21 OTTOBRE 2012

L’intervista. L’arcivescovo emerito di Cagliari, il cardinal Giovanni Canestri, ricorda i lavori del Concilio Vaticano II.

“Giovane vescovo con gli occhi pieni di stupore e il cuore traboccante di dolcezza per la Chiesa” Il cardinale ha partecipato attivamente alla stesura della Dignitatis Humanae e della Unitatis redintegratio: in questo dialogo ricostruisce il clima e i lavori dell’Assise SERGIO NUVOLI

minenza, quali sono i suoi ricordi sul Vaticano II? Anzitutto la sorpresa all’annuncio di questo grande evento il 25 gennaio 1959: tre mesi dopo l’elezione, Giovanni XXIII ai Cardinali riuniti nella sala capitolare del monastero benedettino di S. Paolo, annunziò la sua decisione di celebrare un Sinodo Romano, un Concilio ecumenico e di aggiornare il Codice di Diritto canonico. La risoluzione era scaturita dalla constatazione della crisi nella società del tempo dovuta al decadimento dei valori spirituali e morali. Ricordo, poi, la meraviglia e la commozione di quello storico 11 ottobre 1962, festa della Maternità della Beata Vergine Maria, in cui ebbe inizio il XXI Concilio ecumenico della Chiesa. Dopo una notte di pioggia, il cielo si era rasserenato e la visione del lungo corteo dei 2.400 Padri conciliari che faceva ingresso da piazza S. Pietro nella basilica è ancora nei miei occhi e soprattutto nel mio cuore. Lei, negli anni del Concilio, rivestiva il ruolo di ausiliare di Roma ed era uno stretto collaboratore dei cardinali Clemente Micara e poi di Luigi Traglia. Cosa ricorda di quel periodo del fermento che vi fu attorno all’evento conciliare che seguiva il sinodo romano? A pochi giorni dall’annuncio del Concilio ecumenico, si aprì il Sinodo Romano, 31 gennaio 1959, che si concluse esattamente un anno dopo. Ricordo il lavoro impegnativo delle otto sottocommissioni di cui

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Quello che potete leggere in questa pagina è lʼequivalente di una vera perla preziosa. Lʼarcivescovo emerito di Cagliari, il cardinal Giovanni Canestri, racconta a Il Portico i suoi ricordi dei lavori del Concilio Vaticano II. Il cardinale è uno degli ultimi Padri conciliari italiani viventi ha scritto Avvenire - “ad aver attraversato il colonnato di San Pietro in processione con gli altri vescovi in mitria bianca per lʼapertura del Concilio Vaticano II in quel lontano 11 ottobre del 1962”. Appena quarantaquattrenne, partecipò a tutti i lavori del Vaticano II da vescovo ausiliare di Roma. Classe 1918, dal 1984 al 1987 è stato arcivescovo di Cagliari, da dove partì per Genova per essere creato cardinale da Giovanni Paolo II il 28 giugno 1988. In appena tre anni in terra sarda, ha lasciato un segno indelebile nella diocesi, ulteriormente impreziosito dalla visita nellʼIsola di Papa Wojtyla. Il suo è il racconto appassionato e lucido di un evento di portata straordinaria per la Chiesa, ripreso attraverso la voce e la memoria di uno dei protagonisti. Abbiamo diviso lʼintervista in due parti, per non perderne il gusto e per essere accompagnati alla riscoperta del Concilio: la seconda sarà pubblicata sul prossimo numero (sn). (si ringraziano suor Chiara Cervato e don Sergio Manunza) facevo parte presiedute dal compianto Card. Luigi Traglia, e che Giovanni XXIII, alla sua conclusione aveva così elogiato: “Hanno rac-

colto il fior fiore della sacra dottrina, teologica, ascetica e pastorale. Ecco, che ad un anno preciso di distanza, il Sinodo è fatto: il volume che ne

Il giovane Mons. Canestri tra i Padri Conciliari.

“La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore… Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà… Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza… E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli. Alla benedizione aggiungo l’augurio della buona notte”. Giovanni XXIII, alla sera dell’11 ottobre 1962 “Anche oggi siamo felici, portiamo gioia nel nostro cuore, ma direi una gioia forse più sobria, una gioia umile. In questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire

contiene i preziosi ordinamenti è pronto. Il poter offrirlo qui sulla tomba di San Pietro ci è motivo di straordinaria, consolazione, resa più viva perché la sappiamo condivisa da tutti i nostri figli di Roma.”. Poi, il 15 aprile 1962, Papa Roncalli scrisse una lettera a tutti i vescovi (la Omnes sane). Nel testo, oltre ad esprimere la gratitudine ai singoli vescovi per quanto fatto in preparazione al Concilio, il Pontefice li esortava a prepararsi al grande evento con la santità della vita.Mentre fervevano i lavori di preparazione del secondo periodo, il 3 giugno 1963, tra il compianto universale, si spense Giovanni XXIII. Il 21 giugno gli successe l'arcivescovo di Milano, il cardinale Giovanni Battista Montini, che prese il nome di Paolo VI. Alcuni temettero, altri auspicavano il rinvio della ripresa del Concilio. Ad evitare ogni incertezza, il 27 giugno il nuovo Papa confermò la ripresa a settembre, fissando l'inizio del secondo periodo al 29 di tale mese. Aprendo il secondo periodo del concilio, il 29 settembre 1963 Paolo VI dichiarò: «Abbia questo Concilio pienamente presente questo rapporto tra noi e Gesù Cristo, tra la santa e viva Chiesa e Cristo. Nessun'altra luce brilli su questa adunanza, che non sia Cristo, luce del mondo”. Riandare con la memoria ai giorni di attesa del Concilio a Roma, vuol dire rivivere ansie mai sopite di rinnovamento; ripensare alle emozioni della celebrazione solennissima dell’apertura, presieduta dal grande ideatore Giovanni XXIII, significa rivedermi giovane vescovo ausiliare con gli occhi pieni di stupore per la giovinezza millenaria della Chiesa e con il cuore traboccante di dolcezza per la comunione trinitaria ed ecclesiale che si imponeva in quella mirabile assemblea di fratelli vescovi convocati, cum et sub Petro, dallo Spirito di Gesù per

la gloria del Padre e per la salvezza degli uomini. Il Concilio si svolse tra molteplici difficoltà di diverso genere. Innanzitutto, i temi all'ordine del giorno erano numerosi e complessi.Il dibattito ebbe, talora, toni vivaci, ma fu sempre animato dalla medesima fede dei Padri e dal comune desiderio di ricercare la verità ed esprimerla nella forma più idonea. La via fu lunga e non priva di travaglio, ma condusse, sotto l'azione dello Spirito Santo, alla luce della verità. L'8 dicembre 1965, in una mattinata fredda ma con un sole splendente, Paolo VI, sul sagrato della basilica di San Pietro, chiuse il Vaticano II. Questa la cronologia del Concilio. Tra i miei ricordi emerge la prima sessione: non eravamo del tutto preparati e non si è conclusa con qualche documento, ma i vescovi avevano iniziato a fraternizzare.. Noi di Roma eravamo un po’ arretrati, non si può negare, non condividevamo alcune cose, per esempio lo stile del rinnovamento, avevamo paura di oltrepassare certi limiti… Papa Giovanni XXIII, alla chiusura della prima sessione conciliare, l’8 dicembre 1962, disse: “I vostri dibattiti hanno fatto risaltare la verità e hanno mostrato agli occhi del mondo la santa libertà dei figli di Dio”. ma il balzo tra la prima sessione e l’ultima è stato molto evidente ed è stata una gioia quella di poter aver discusso per far emergere il bene. Il clima dell’inizio era un po’ questo: uno contro l’altro, ma alla fine eravamo uno a favore dell’altro. Nel mio cuore non vedevo soltanto entusiasmo … anche entusiasmo. C’era del negativo, ma in fondo abbiamo goduto. Alla domanda: Cosa dici tu?, venivano fuori cose positive e negative, ma alla fine eravamo contenti. Quello che abbiamo detto l’abbiamo poi ritrovato. Tra le tante acquisizioni del Concilio, l’idea di un ritorno alle radici mi è molto piaciuta. segue nel prossimo numero.

strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania. Abbiamo visto che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: 'il Signore dorme e ci ha dimenticato’. Questa è una parte delle esperienze fatte in questi cinquant’anni, ma abbiamo anche avuto una nuova esperienza della presenza del Signore, della sua bontà, della sua forza. Il fuoco dello Spirito Santo, il fuoco di Cristo non è un fuoco divoratore, distruttivo; è un fuoco silenzioso, è una piccola fiamma di bontà, di bontà e di verità, che trasforma, dà luce e calore. Abbiamo visto che il Signore non ci dimentica. Anche oggi, a suo modo, umile, il Signore è presente e dà calore ai cuori, mostra vita, crea carismi di bontà e di carità che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà di Dio. Sì, Cristo vive, è con noi anche oggi, e possiamo essere felici anche oggi perché la sua bontà non si spegne; è forte anche oggi!" Benedetto XVI, alla sera del 12 ottobre 2012


DOMENICA 21 OTTOBRE 2012

IL PORTICO DEGLI EVENTI

Economia. La fine dell’isola di Pasqua rivela qualcosa della “tragedia dei beni comuni”.

Solo l’etica individuale può generare la necessaria rivoluzione morale Beni di tutti, non tutelati a sufficienza, portano al collasso una civiltà. Il mondo è sempre più simile alla terra dei Moai: è necessario diffondere comportamenti morali VITTORIO PELLIGRA* A VICENDA DELL’ISOLA di Pasqua è molto nota. I suoi abitanti crearono una civiltà avanzata, in grado di produrre enormi manufatti di pietra, i famosi moai, bizzarre figure a mezzo busto che vennero disseminate a centinaia sulle alture dell’isola a scrutare l’orizzonte. Si trattava di una società florida e pacifica ma ad un certo punto qualcosa andò storto. Forse per un eccesso di competizione tra differenti gruppi, gli abitanti dell’isola iniziarono a sfruttare eccessivamente le risorse naturali che avevano a disposizione, gli alberi in particolare iniziarono ad essere tagliati ad un limite insostenibile per l’ecosistema isolano, fino a quando qualcuno, in un momento che ora, retrospettivamente, possiamo considerare tragico, tagliò anche l’ultimo albero rimasto sull’isola. Il destino degli abitanti a questo punto era segnato, niente più legna per accendere il fuoco e cucinare, niente più materia prima per costruire ripari o canoe per la navigazione. Non si sa con precisione quanto durò l’agonia di

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quel popolo, ma ciò che si sa è che quando gli esploratori occidentali arrivarono su quell’isola sperduta nell’Atlantico il giorno di Pasqua del 1722 trovarono a dargli il benvenuto solo le grandi statue di pietra. La storia tragica dell’Isola di Pasqua è la storia della tragedia dei beni comuni. Beni di tutti, gli alberi, che perché non tutelati a sufficienza portano al collasso della civiltà. Il mondo sta diventando sempre più simile a una grande Isola di Pasqua, dove gli oceani, le foreste, l’atmosfera, i fiumi, la fiducia reciproca, i diritti, rischiano di fare la stessa fine degli ultimi alberi dell’isola. Nei precedenti articoli abbiamo visto come, al di là della statalizzazione o della completa privatizzazione, strade peraltro non sempre percorribili, una società coesa e una cultura condivisa, una gestione comunitaria e decentralizzata, ma anche l’esercizio di forme di “punizione altruistica”, in piccole dosi e sempre legittimata, possono rappresentare

strumenti utili a mitigare gli effetti nefasti di ciò che il biologo Garrett Hardin chiamava la “tragedia dei beni comuni”. C’è un ulteriore elemento, cui vorremmo accennare qui, che può aiutare a ridurre il rischio del “collasso” e che, in qualche misura rinforza tutte le altre soluzioni a cui abbiamo precedentemente fatto riferimento: si tratta della dimensione dell’etica individuale. In questo quadro, intendiamo come etica individuale, il semplice fatto in virtù del quale un soggetto attribuisce un valore intrinseco alla scelta di preservare il bene comune, limitandosi nello sfruttamento dello stesso. In questo scenario è la scelta di per sé ad avere un valore, e non tanto le conseguenze cui tale scelta può portare. Ragionando in questo modo, un soggetto sufficientemente motivato intrinsecamente, sarebbe disposto a comportarsi eticamente, anche se fosse il solo individuo al mondo a

comportarsi a quel modo. Tale atteggiamento etico può avere varie origini, religiose o civili, ma risponde sempre ad una logica di natura Kantiana. Secondo il filosofo di Konisberg, il test per verificare la moralità di un’azione doveva essere quello dell’”universalizzabilità”. Pensa a cosa succederebbe se tutti decidessero di comportarsi come tu stai per fare e valutane le conseguenze. Se queste sono positive, allora l’azione sarà degna, altrimenti non potrà essere considerata morale. Nel caso dei beni comuni, il ragionamento è semplice: se tutti tutelassero tali beni, essi potrebbero essere sfruttati ragionevolmente e in maniera sostenibile, con beneficio delle attuali e delle future generazioni. Se tutti cercassero solo il proprio interesse individuale, allora i beni sparirebbero, più o meno velocemente, condannandoci tutti al “collasso”. La diffusione e la valorizzazione di principi di comportamento morale, per i quali non sempre e non solo l’interesse individuale è il faro da seguire, si rivela oggi quanto mai urgente. Le vicende della politica nostrana, i grandi scandali economici, ma anche tanti piccoli comportamenti quotidiani, dal medico distratto, all’impiegato prepotente, dal commerciante allergico allo scontrino, al vandalo metropolitano, condotte nelle quali invariabilmente il “privato” schiaccia il “comune”, stanno lì a ricordarci la necessità e l’urgenza di una vera e propria “rivoluzione morale”. * ricercatore di Economia politica Università di Cagliari

Nobel a Yamanaka, un grande passo avanti Premiato il padre delle cellule staminali pluripotenti S. N.

uando ho visto l’embrione, mi sono reso conto all’improvviso che c’era solo una piccola differenza fra lui e mia figlia. Ho pensato che non possiamo continuare a distruggere embrioni per la nostra ricerca. Ci deve essere un’altra strada”. E l’altra strada - ipotizzata in un’intervista rilasciata nel 2007 al New York Times - l’ha trovata davvero, Shinya Yamanaka, lo scienziato giapponese a cui è stato assegnato - insieme al collega britannico John Gurdon - il Premio Nobel per la Medicina. C’è da scommettere che la scienza ufficiale, evidentemente imbarazzata da questa assegnazione, farà di tutto per farla dimenticare in fretta. Sarà bene svolgere alcune considerazioni insieme, per non buttare tutto in canti-

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na.Yamanaka è il papà - tra l’altro molto giovane, ha appena 50 anni - delle “cellule staminali riprogrammate”, le cosiddette Ips (induced pluripotent stern cells, cellule staminali pluripotenti indotte), che si ottengono senza distruggere embrioni. In sostanza, la tecnica messa a punto dal Nobel che ha reso orgoglioso il Giappone (che ha già promesso stanziamenti faraonici allo scienziato per proseguire le sue ricerche) è in grado di far tornare le staminali adulte indietro nel tempo fino allo stadio più precoce – quello embrionale – dal quale poi si possono di nuovo differenziare in tutti i tipi di cellule e tessuti del nostro corpo. Per ottenere queste cellule, fondamentali in alcune terapie, non è più dunque indispensabile prelevarle dagli embrioni, con una me-

Shinya Yamanaka e John Gurdon.

todica che comporta automaticamente la loro distruzione. Sulla riprogrammazione cellulare ha lavorato negli anni Sessanta John Gurdon, l’altro premio Nobel, usando per le rane la tecnica di clonazione che poi è stata utilizzata per il famoso esperimento della pecora Dolly (definitivamente archiviato cinque anni fa, nel silenzio della comunità scientifica: su mammiferi e primati non funziona, lo ha certificato Ian Wilmut, colui che l’aveva inaugurata tra le polemiche). Yamanaka ha dimostrato che è possibile ottenere cellule staminali come quelle descritte senza dover

distruggere embrioni: è un passo avanti senza dubbio storico per la scienza e per la società. Gli orizzonti potenzialmente aperti dallo studioso giapponese sono innumerevoli, prima di tutto per la cosiddetta “medicina rigenerativa”, quella che promette di sostituire cellule malate con altre sane. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. L’altro punto importante è che Yamanaka ha condotto i suoi esperimenti solo sugli animali, mostrando che il prelievo e la distruzione di embrioni umani non è un passaggio fondamentale per giungere a questo importante risultato.

IL PORTICO

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blocnotes L’IPOCRISIA DI CHI NON VEDE

Il bambino conteso e la nostra società C’è un velo di sottile (nemmeno troppo) ipocrisia nella vicenda del bambino conteso e della polemica sul video diffuso con molta disinvoltura da alcuni mezzi di comunicazione. Tutti a guardare il dito, ma come al solito nessuno si ferma ad osservare la luna. Mentre leggete queste righe, quasi certamente si sta consumando un’analoga tragedia in centinaia di punti del nostro Paese: l’allontanamento del bambino - al centro delle polemiche - è soltanto la punta di un iceberg che la mentalità comune rifiuta di guardare con sufficiente serenità. Quel piccolo è finito suo malgrado al centro di una guerra tra i genitori dopo la separazione. Questa è la tragedia che il nostro Paese e i suoi intellettuali (ammesso che ne esistano ancora) devono avere il coraggio di guardare in faccia: ogni giorno centinaia di matrimoni - e di unioni civili, sia ben chiaro, con buona pace dei fanatici della nuova moda - vanno in pezzi, e a rimetterci sono i figli, vittime innocenti di tante mosse dei genitori. Quando ero piccolo io, si diceva che uno dei maggiori deterrenti alla separazione delle coppie fosse proprio la presenza dei figli: come dire che finchè c’erano loro, magari per amore nei loro confronti, marito e moglie avrebbero resistito alla tentazione di dividersi, al massimo si sarebbero ignorati fino alla completa autonomia di chi - da quell’unione - era nato. Magari nel frattempo tutto s’aggiustava, e non se ne parlava più. C’era qualcosa di sacro, di imprevedibile, che poteva sempre rimettersi a posto. Oggi tutto questo non c’è più: anche qualunque forma di attesa, e di rispetto, di indugio per il bene dei bambini, sembra saltata. Chi - nel mezzo di una separazione, e nella lacerazione che comporta - pensa prima di tutto al bene dei figli, somiglia sempre più ad un eroe. A pagina 10 trovate un giudizio sulla vicenda certamente più completo di queste poche righe, ma il problema è che occorre davvero un risveglio d’attenzione. Laico, sia ben chiaro: perchè il problema dei figli contesi è di tutti, non solo di chi va in chiesa. Tutti a schierarsi: chi con la moglie, chi con il marito, chi a inventarsi polemiche sui mezzi di informazione che non avrebbero dovuto diffondere il video. Con o senza filmato, il dramma resta: la vita di tanti bambini è davvero in pericolo. Ecco perchè il problema è davvero l’assenza di qualunque politica familiare in Italia: la società non prepara, non previene i fallimenti, non sostiene chi decide di metter su famiglia. La scelta è del singolo, ci mancherebbe, ma troppo spesso resta inevitabilmente solo con la propria responsabilità. “Tutti andiamo in pullman, ma in fondo siamo soli come cani”, diceva in tempi andati il mio amico Gabriele, svelando - come suo solito - un inarrestabile fondo di verità. Ci piacerebbe una società in cui ognuno ricominciasse a prendersi un po’ cura del suo familiare, e perfino - lasciatecelo dire - del vicino di casa.


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IL PORTICO

IL PORTICO DEL TEMPIO

Il Papa. Benedetto XVI ha fatto presenti a tutti anche le difficoltà del post-Concilio.

“Per un ricco è davvero difficile poter entrare nel Regno di Dio” ROBERTO PIREDDA LL'ANGELUS IL Santo Padre si è soffermato sul Vangelo della Domenica che aveva come tema principale quello della ricchezza: «Gesù insegna che per un ricco è molto difficile entrare nel Regno di Dio, ma non impossibile; infatti, Dio può conquistare il cuore di una persona che possiede molti beni e spingerla alla solidarietà e alla condivisione con chi è bisognoso, con i poveri, ad entrare cioè nella logica del dono». La settimana di Benedetto XVI è stata poi caratterizzata dalla partecipazione ai lavori del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione e dall'apertura dell'Anno della Fede. Nelle riflessione proposta ai partecipanti al Sinodo il Papa ha insistito sul significato del termine “evangelium” nel Nuovo testamento: «il termine indica una parola, un messaggio che viene dall'Imperatore. Il vero Imperatore del mondo si è fatto sentire, parla con noi. E questo fatto, come tale, è redenzione, perché la grande sofferenza dell'uomo - in quel tempo, come oggi - è proprio questa: dietro il silenzio dell'universo, dietro le nuvole della storia c'è un Dio o non c'è? “Vangelo” vuol dire: Dio ha rotto il suo silenzio, Dio ha parlato, Dio c'è. Questo fatto come tale è salvezza». L'azione della Chiesa che è chiamata a portare al mondo l'annuncio di Cristo inizia proprio con il mettere al centro il “parlare” di Dio: «la Chiesa

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La fiaccolata per l’apertura dell’Anno della Fede.

non comincia con il “fare” nostro, ma con il “fare” e il “parlare” di Dio. Così gli Apostoli non hanno detto, dopo alcune assemblee: adesso vogliamo creare una Chiesa, e con la forma di una costituente avrebbero elaborato una costituzione. No, hanno pregato e in preghiera hanno aspettato, perché sapevano che solo Dio stesso può creare la sua Chiesa. È importante sempre sapere che la prima parola, l'iniziativa vera, l'attività vera viene da Dio e solo inserendoci in questa iniziativa divina, solo implorando questa iniziativa

divina, possiamo anche noi divenire - con Lui e in Lui - evangelizzatori». All'Udienza generale il Santo Padre ha richiamato il valore del Concilio Vaticano II: «dobbiamo imparare la lezione più semplice e più fondamentale del Concilio e cioè che il Cristianesimo nella sua essenza consiste nella fede in Dio, che è Amore trinitario, e nell'incontro, personale e comunitario, con Cristo che orienta e guida la vita: tutto il resto ne consegue. La cosa importante oggi, proprio come era nel de-

siderio dei Padri conciliari, è che si veda - di nuovo, con chiarezza - che Dio è presente, ci riguarda, ci risponde. E che, invece, quando manca la fede in Dio, crolla ciò che è essenziale, perché l'uomo perde la sua dignità profonda e ciò che rende grande la sua umanità, contro ogni riduzionismo». Nell'omelia della celebrazione di apertura dell'Anno della Fede Benedetto XVI ha mostrato come nel mondo odierno la presenza di Cristo appare spesso marginale, generando così una situazione di “deserto spirituale”. L'Anno della Fede spiega il Papa, deve essere «un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma ilVangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio EcumenicoVaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica». Nelle parole pronunciate al termine della fiaccolata che ha ricordato il 50° anniversario dell'apertura del Vaticano II Benedetto XVI ha fatto presenti le difficoltà del post-concilio mostrando però come «anche oggi, a suo modo, umile, il Signore è presente e dà calore ai cuori, mostra vita, crea carismi di bontà e di carità che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà di Dio».

DOMENICA 21 OTTOBRE 2012

pietre SENEGAL

Profanati 160 tombe in due cimiteri cattolici Oltre 160 tombe sono state profanate in due cimiteri cattolici di Dakar. “Crocefissi e altri oggetti di pietra sono stati portati via dalle tombe nei cimiteri cristiani di San Lazzaro di Betania e di Bel Air, da parte di individui non ancora identificati” afferma don Roger Gomis, responsabile delle comunicazioni sociali della diocesi di Dakar. “Si contano una sessantina di tombe che sono state profanate al cimitero di San Lazzaro di Betania e più di un centinaio a Bel Air”. PAKISTAN

24enne cristiana costretta a convertirsi Sequestrata alle prime luci dell'alba, costretta a subire abusi, sposare il giovane musulmano che l'aveva rapita con l'aiuto della famiglia e a convertirsi all'islam. È la drammatica vicenda di Shumaila Bibi, 24enne operaia cristiana di Nishatabad, sobborgo di Faisalabad (nel Punjab), impiegata in un'azienda tessile della zona. Per diversi giorni la ragazza ha vissuto con il suo aguzzino giorni da incubo; dopo due settimane, utilizzando uno stratagemma, è riuscita a fuggire. Tuttavia, il sedicente "marito" ha denunciato la sua fuga e i suoi genitori - ribaltando i fatti - per "sequestro di persona". E la polizia ha accolto la richiesta, aprendo un fascicolo di inchiesta, asserendo che la ragazza si è convertita e sposata "di sua spontanea volontà". Il futuro di Sumaila è appeso a un filo e dipenderà dalle decisioni della giustizia pakistana, che in più di una occasione ha mostrato di non tutelare i diritti e le ragioni delle minoranze religiose nel Paese.

INDIA

Cristiani in manette mentre battezzano Aggrediti e picchiati da nazionalisti indù, infine arrestati dalla polizia locale, perché "colpevoli" di celebrare un battesimo. È accaduto nell'Orissa, a 20 cristiani. Responsabili dell'incidente, un nutrito gruppo di nazionalisti indù che hanno fatto irruzione nel bel mezzo della cerimonia, picchiando e insultando sacerdoti e i fedeli. Poco dopo, agenti della stazione di polizia hanno raggiunto il posto, costringendo i 20 cristiani a salire sulla camionetta, che li ha portati in centrale per l'interrogatorio. Dopo l'arresto, la polizia ha dispiegato un considerevole numero di agenti per "controllare" che nulla accada nel villaggio.


DOMENICA 21 OTTOBRE 2012

IL PORTICO DELLA FEDE

IL PORTICO

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Anno della Fede in diocesi. L’articolato intervento dell’arcivescovo al Ritiro del clero dei giorni scorsi.

“Per cosa ci stiamo giocando la nostra vita spendendola tutta nel servizio al Signore?” SEGUE DALLA PRIMA

In mezzo a tante discussioni, a volte su aspetti superficiali, altre volte su aspetti più profondi, penso ad esempio in campo liturgico, mi pare che dovremmo domandarci “Che cos’è che è essenziale?”. Un’altra domanda importante è: “Che cosa mi sta veramente a cuore?”. Alcune domande poi riguardano soprattutto noi Pastori: “Che cosa è che ci interessa per quanto riguarda il nostro ministero?” “Per che cosa ci stiamo giocando la vita e la stiamo spendendo nel servizio del Signore nel servizio alla Chiesa?”. “Che cos’è che sta a cuore del Signore Gesù?”, “Che cos’è che gli interessa veramente, di quello che noi siamo e di quello che noi facciamo?”. Questa essenzialità la troviamo in maniera interessante, nel discorso di apertura del Concilio di Giovanni XXIII e nel documento Porta Fidei di Benedetto XVI. Suggerirei di confrontare il testo Porta Fidei con quel discorso di Giovanni XXIII. Ci ha messo tutto il suo cuore, Papa Roncalli, tutta la sua sapienza, la sua testa, soprattutto la sua sapienza pastorale per dire come mai aveva indetto il Concilio e che cosa si aspettava dal Concilio. La medesima passione, a distanza di 50 anni, la ritroviamo nel testo del Papa Benedetto XVI. Sempre in questa ricerca dell’essenziale dobbiamo tenere presente che oggi per noi il Concilio è nei testi. L’evento di 50 anni fa oramai è consegnato alla storia. Il Concilio per noi è attuale per i testi. Non a caso nel numero 5 del documento Porta Fidei Papa Benedetto riafferma che i testi del Concilio non hanno perso nulla del loro smalto e della loro attualità. Per questo Anno della Fede, un impegno che vorrei onorare nei vari ritiri è di presentare i documenti conciliari. Mi piacerebbe di ogni documento fare qualche sottolineatura, senza la pretesa di essere esauriente. Stamattina vorrei parlarvi della Dei Verbum. Fu presentata nella prima sessione e fu votata e approvata nell’ultima. È davvero un documento trasversale a tutto lo svolgimento il Concilio. È stato uno dei testi più discussi e più travagliati ma oggi, credo, possiamo dire che ne valeva la pena spendere tante energie per quel documento. Restando però all’ordine cronologico con cui sono stati pubblicati i documenti, abbiamo quattro costituzioni conciliari. Si è cominciato con la liturgia, e poi con la Lumen Gentium, poi con la Divina Rivelazione, e poi con la Gaudium et Spes, Chiesa e Mondo. Poi abbiamo i decreti e le dichiarazioni. È evidente che la di-

versa dicitura indica un’importanza diversa dei documenti. Questo non significa che questi gradi di autorevolezza corrispondano al grado di notorietà dei documenti. Alcune dichiarazioni sono sicuramente più famose, più conosciute, rispetto ad alcuni decreti, e forse anche a qualche costituzione. Questi 16 testi che sono il Corpus del Vaticano II possiamo ben dire che sono stati la fonte di tutti i documenti pontifici di questi 50 anni. Pensiamo alla mole di documenti che Giovanni Paolo II ha pubblicato nel suo lungo pontificato. Non si fa fatica guardando a ciascuno di questi documenti a capire dove affondano le radici e quali sono le fonti a cui si è ispirato. Penso ad esempio alle encicliche sociali, sia la Sollecitudo Rei Sociali, sia la Laborem Exercens e anche altre encicliche come la Fides et Gratia e la Familiaris Consortio, quanto debbono ad un documento come la Gaudium et Spese, penso alla Pastores dabo vobis come sviluppi la Prebisterorum Ordinis. Ma Benedetto XVI, in questo Anno della Fede, vuole invitarci, in particolare a riprendere in mano il Catechismo della Chiesa Cattolica. Siamo a 20 anni esatti dalla sua pubblicazione, proprio l’11 ottobre del 1992. Il Catechismo della Chiesa Cattolica è uno strumento fondamentale perché non vada perso l’insegnamento del Vaticano II. Sicuramente l’opera di più ampio respiro, che è stata pubblicata in questi 50 anni. Il Catechismo della Chiesa Cattolica fu una richiesta fatta al Papa dal sinodo straordinario del 1985, convocato per una verifica a 20 anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II. E proprio perché i documenti del Concilio erano stati pubblicati non in ordine sistematico ma in ordine cronologico, man mano che erano pronti venivano approvati, quindi erano saltati tutti gli schemi sistematici che probabilmente erano a monte dei documenti portati dalle commissioni preparatorie alla prima sessione. E dunque l’esigenza di avere una

presentazione sistematica dell’insegnamento della Chiesa Cattolica dopo il Vaticano II si era fatto sentire. Così nel 1992 viene pubblicato il Catechismo della Chiesa Cattolica, articolato in quattro parti, suggerisco di rileggere l’indice. Il Papa ci dice di leggere e far leggere il Catechismo durante questo Anno della Fede ma sarebbe già bello se cominciamo a rileggerci l’indice per capire lo schema che è stato seguito, già presente nel Catechismo Romano, con linguaggio e testi più ricchi ed anche più accessibili alla mentalità del nostro tempo. Dunque abbiamo il Credo nella prima parte, poi abbiamo la celebrazione del mistero cristiano, la liturgia i sacramenti, poi abbiamo nella terza parte la vita in Cristo, anzitutto i Comandamenti, e poi nella quarta parte la preghiera cristiana ed in particolare il commento al Padre Nostro. Testi molto ricchi di passi della Sacra Scrittura, di citazioni patristiche di documenti conciliari. Guardando all’indice, alla composizione di questo testo facilmente ci rendiamo conto del servizio che il Catechismo della Chiesa Cattolica ha fatto e fa al Magistero del Concilio Vaticano II. Stamattina vorrei fare qualche sottolineatura di alcuni testi della Dei Verbum, la costituzione dogmatica sulla divina rivelazione. Il Capitolo primo mi pare importante per alcuni passi speciali. Intanto l’inizio con due verbi “in religioso ascolto” e poi “fidentes proclamans”. La Chiesa anzitutto è chiamata ad essere in ascolto e poi a proclamare con fiducia la Parola di Dio. È interessante l’ordine di queste due parole. Una seconda sottolineatura: nel proemio c’è una citazione biblica quanto mai interessante che ci prepara a quanto viene detto al numero due. Ed è il prologo della Prima Lettera di Giovanni, dove si parla della vita eterna che era presso il Padre “quello che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comu-

nione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo”. Il Concilio inizia a parlare della rivelazione in questa chiave di ascolto e di comunione. Infatti subito al numero due c’è un testo dogmatico fondamentale dove ci viene detto che il Dio in cui crediamo è un Dio che si rivela, non è un Dio che si nasconde. E dunque dobbiamo trarre subito una conseguenza sulla parola Mistero. Esso è un Mistero che si apre, non un Mistero ermetico, che si chiude. Noi crediamo in un Dio che ha voglia di farsi conoscere. È vero che non esauriremo mai la conoscenza di questo Mistero ma l’orientamento di Dio è quello di aprirsi, di aiutarci a capire, di aiutare a farsi conoscere. Il numero sei, che chiude il capitolo primo della Dei Verbum dice, riprendendo anche il Vaticano I, che “La rivelazione divina ci fa conoscere delle verità impervie alla nostra ragione”, da soli non ci saremo arrivati, “ma la rivelazione con la sua grazia ci rende ancora più facile approfondire le verità che di per sé non sono impervie alla ragione umana a cominciare dall’esistenza di Dio ma la rivelazione vuole facilitare la conoscenza e la comprensione anche di questo ordine di verità”. Dunque c’è un orientamento di apertura, Dio vuole farsi conoscere, vuole farci capire. Direi che questi due testi della Dei Verbum spazzano via ogni fideismo e ogni utilizzo improprio e diciamolo, non cristiano, della parola Mistero. Quando la parola mistero vuol dire coprire, nascondere, non aiutare a capire credo che siamo fuori dall’orientamento della Dei Verbum. Un'altra sottolineatura importante nel capitolo nella Dei Verbum è il primo obiettivo della rivelazione di Dio, che non è solo quello di farsi conoscere ma è anche quello di portarci alla comunione con lui: vuole parlare con noi come ad amici. Dio parla agli uomini come ad amici. Capiamo allora la portata del capitolo 15 di Giovanni “Non vi chiamo più servi ma amici”. Questo uso della parola amicizia, della categoria amicizia, è ilsuo massiccio, profondo, di peso, non è un uso superficiale: Dio non è un amicone, lo sappiamo bene. Ma che Gesù abbia siglato il suo testamento agli Apostoli dicendo “Non vi chiamo più servi ma amici” mi pare un fondamento notevole di questo insegnamento conciliare. Quindi il primo obbiettivo della rivelazione non è intellettuale, farci imparare una dottrina, anche se questa è la ma è quello del conoscere ed entrare in comunione di amicizia con Dio che ci invita e ci chiama alla comunione con Sé.

Un altro punto importante al numero due della Dei Verbum è quella che viene rappresentata come l’economia della rivelazione che avviene con eventi e parole nella storia della salvezza e dunque questa rivelazione di Dio la incontriamo nella Historia Salutis che è la storia del popolo di Dio, le sue Scritture e che ha il suo culmine in Gesù. Certamente questa categoria della storia della salvezza è una categoria importante perché direi che ci mette al riparo da alcuni pericoli, uno oggi molto presente quello di scivolare in una religiosità solo emotiva. Certamente la parola comunione, la parola amicizia, toccale corde emotive del nostro cuore ma la Historia Salutis ci rimanda alla concretezza e alla oggettività degli eventi e delle parole che illustrano gli eventi e degli eventi che danno conferma alle parole di coloro che sono chiamati ad essere profeti nel senso più profondo del termine. Oggi il rischio di una religiosità che scivola dentro all’emotività, all’emozionismo, il rischio di un sentimentalismo, che è l’anticamera di un soggettivismo, del relativismo e di tutti gli altri ismi che potremmo collegare insieme. Questa presentazione della storia della salvezza direi ci offre un argine importante, una direzione di marcia importante e ci orienta nella prospettiva della storia. È vero la Historia Salutisha un suo inizio ed un suo compimento che è segnato dalla Scrittura, dai libri Sacri. Ma il metodo con cui Dio continua a parlarci e a manifestarsi rimane: quello dentro alla storia perché Historia Salutis vuol dire quel tratto di storia attraverso cui Dio ci ha manifestato la sua volontà salvifica, i suoi interventi. Ma Historia Salutis vuol dire anche tutta la storia dell’umanità che Dio vuol portare alla salvezza. Credo che basterebbe questo accenno per capire come non possiamo estraniarci dalla storia. Il nostro destino è starne dentro con la Parola di Dio, per leggerla alla luce della storia della salvezza. Un’ultimissima citazione che mi pare importante è quella dove si dice che “Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede”, come dice Paolo nella Lettera ai Romani, un’obbedienza attraverso la quale l’uomo si abbandona a Dio tutto intero liberamente, prestando l’ossequio dell’intelletto e della volontà”. Ecco sottolineo quel “liberamente”. Mettere assieme la parola libertà e la parola obbedienza nel cammino di fede, noi sappiamo che le due parole sono inseparabili e interpellano non poco sul nostro cammino in questo Anno della Fede.


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IL PORTICO DELLA FEDE

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DOMENICA 21 OTTOBRE 2012

Anno della Fede in diocesi. Incentrata sulla figura di Abramo la meditazione tenuta da padre Maurizio Teani.

“Dalla morte per amore c’è la resurrezione: da qui nasce la speranza per tutta la storia” Il preside della Facoltà teologica ha messo in evidenza anche i tratti caratteristici della figura del pastore, “un uomo che accoglie e non pensa a difendere il proprio orto” ROBERTO COMPARETTI STATA INCENTRATA sulla figura di Abramo la meditazione che padre Maurizio Teani, preside della Facoltà Teologica della Sardegna, ha dettato ai presenti nell'Aula Magna del Seminario per l'incontro di formazione che monsignor Arrigo Miglio ha convocato in concomitanza con l'apertura dell'Anno della Fede. “Per capire la figura di Abramo - ha esordito il gesuita - è necessario partire dal libro della Genesi dove si legge della sua partenza. A volte alcuni hanno interpretato questa partenza di Abramo come un lasciare tutto, beni e famiglia. In realtà con Abramo va tutta la sua famiglia compreso il nipote, figlio del fratello morto. Allora Abramo non lascia tutto, ma è inviato ad assumere la condizione

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del nomade, così come viene chiesto a noi. Lasciare tutto per seguire Dio è dunque l'indicazione che ci viene data. Ad Abramo Dio chiede di lasciare la sua terra per andare in un'altra, che è quella della riconciliazione e della pace. Nel testo biblico al quale ci si riferisce in sostanza viene messo in evidenza che è perdendo il proprio diritto, la propria vita, giocandola per gli altri, che la si ritrova”. Ecco allora il motivo di porre al centro della riflessione Abramo, padre

della Fede, ma soprattutto figura che incarna la vocazione del credente. Ogni cristiano dovrebbe seguire le sue orme, mettersi sulla sua strada, aveva già detto monsignor Miglio. “In questo perdere la propria vita per poi ritrovarla - ha affermato ancora padre Teani - si ritrova il mistero pasquale. Gesù ha detto chi perde la propria vita la ritrova: dalla morte per amore c'è la risurrezione. Da qui nasce la speranza per tutta la storia”. In tutto questo Dio si aspetta dall'uomo un cammino di conversione,

nel quale sia capace di aderire pienamente al suo progetto. “Giustamente - ha continuato ancora padre Maurizio - l'Arcivescovo si è chiesto cos'è importante per il Signore, e cos'è importante per me. Non l'incenso anche se a volte ci vuole, ma ciò che importa è la fraternità, l'attenzione all'altro. Dio appare come un Dio misericordioso che fa vivere”. C'è un altro punto che padre Teani ha messo in evidenza nella sua catechesi: la figura del pastore. “La condizione degli israeliti - afferma il re-

“Ritornare ai documenti e scoprirne la bellezza” L’incontro di studi per le associazioni e i movimenti R. C.

OCO PIÙ DI un centinaio di persone ha partecipato nell'Aula Magna del Seminario Arcivescovile all'incontro di studi per l'avvio dell'Anno della Fede. Religiose e laici di movimenti ed associazioni si sono ritrovati con l'Arcivescovo mons. Miglio che ha aperto i lavori. “Era necessario dare un segno a noi stessi per primi della grande grazia che il Concilio ha rappresentato per questi anni e che anche due papi, il beato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno evidenziato - ha detto l'Arcivescovo. La grazia del Concilio che è nella Chiesa ha bisogno di essere ravvivata ed in questo incontro chiederemo che la grazia del Concilio maturi nella comunità diocesana”. Dopo la preghiera guidata dal vi-

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cario episcopale mons. Franco Puddu la parola è ritornata a mons. Miglio che ha proposto due interventi. Il primo dedicato ad alcune riflessioni a 50 anni dal Concilio, la seconda invece dedicata ad uno dei testi fondamentali che il Concilio ha prodotto: la Dei Verbum, in particolare il capitolo 5. A seguire padre Maurizio Teani, che ha invece proposto una riflessione in merito alla Fede nelle Sacre Scritture con particolare riferimento ad Abramo, una delle tre figure che già al ritiro del clero l ' A rc i v e s c ov o aveva proposto per l'Anno della Fede. “Ho scelto di riflettere su Abramo - ha esordito padre Teani - per approfondire la fede a cui era stato chiamato. Lo faremo partendo dall'inizio del capitolo 12 della Genesi”. E così il religioso ha percorso il cammino di Abramo proponendo i diversi aspetti che emer-

Due momenti dell’Incontro in Seminario.

gono dalla Bibbia. Al termine alcuni tra presenti hanno posto delle domande ai relatori. Il primo quesito verteva sulla liturgia: in particolare una signora ha posto una domanda su come fare di fronte ad una celebrazione della Messa con il sacerdote spalle al popolo, una prassi che proprio dopo il Concilio è caduta in disuso. Su questo l'Arcivescovo ha voluto evidenziare come il tema sarà certamente di attualità nell'Anno delle Fede “è indubbio - ha detto mons. Miglio - che la liturgia sia stata un tema piuttosto dibattuto,

che ha provocato anche rotture. In realtà le dispute sulla liturgia nascondono altro, come problemi di ecclesiologia e di obbedienza al Papa, come dimostra la vicenda del vescovo Lefevre. Esistono anche coloro che fiancheggiano le posizioni di quel vescovo, ma sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI sono intervenuti per “spuntare” le armi delle disputa in campo liturgico. Quindi se fosse solo un problema della liturgia la cosa sarebbe risolta. Allo stesso modo, ma sul campo opposto, ci sono state in questi anni celebrazioni la cui liturgia era decisa-

ligioso - è quella dei nomadi, dei pastori che si spostano per seguire il gregge. Loro, racconta il Vangelo, sono i primi ad accogliere il messaggio della nascita di Cristo, perché i pastori hanno un atteggiamento di accoglienza e di chi non sta seduto a difesa del proprio”. Un ultimo aspetto che nella catechesi è evidenziato è quello del pellegrinaggio. “Il Papa - ha detto ancora padre Teani - nella sua lettera Porta Fidei ha detto come in quest'anno sia necessario recuperare anche la dimensione del pellegrinaggio in Terra Santa, a Roma o in altro luogo particolare, proprio per mettere in luce lo stato di cammino, di viaggio alla ricerca del luogo dove Dio ci parla. La tradizione indicava almeno tre pellegrinaggi che doveva essere fatti, anche se poi era solo a Pasqua che si andava a Gerusalemme. A leggere altre parti della Scrittura, come la Prima Lettera di Pietro, viene sottolineata la dimensione dell'essere pellegrini per la comunità cristiana. Pellegrini e prescelti da Dio sono le due condizioni dei cristiani per andare sulle strade del mondo”. Insomma essere nel mondo ma non essere del mondo: a questo dunque si è chiamati in questo Anno della Fede.

mente lontana dalla tradizione. Per questo è necessario ritornare ai testi del Concilio e ricordare che non è vietato utilizzare la liturgia prima del Concilio, anche se è una forma straordinaria ”. Altra domanda fatta da un membro degli adoratori del Santissimo che ha lamentato mancanza di sensibilità rispetto alla presenza dell'Eucaristia da parte delle persone a volte anche da parte del clero. Su questo mons. Miglio ha confermato che in effetti “sull'Eucaristia - ha detto - siamo diventati lacunosi, a volte trasandati. C'è un aspetto che però non deve sfuggire ed è quello che della nostra vita: noi rispettiamo l'Eucaristia quando rispettiamo la nostra vita, conformandola al mistero celebrato, in caso contrario la profaniamo”. Ultimo quesito riguardava il pellegrinaggio ed il senso del pellegrinare. Per padre Maurizio Teani è necessario focalizzare quella pratica sul versante giusto. “Non è un fare turismo - ha detto tra l'altro il preside della Facoltà Teologica - ma è necessario esplicitare questo cammino con alcuni momenti da realizzare lungo il viaggio. Il cammino vissuto con dinamismo spirituale con quella ricerca che deve caratterizzare la nostra fede”. La chiusura è stata affidata al vicario episcopale mons. Puddu che ha anticipato alcune prossime tappe per i laici nel corso dell'Anno della Fede.


DOMENICA 21 OTTOBRE 2012

IL PORTICO DELLA FEDE

IL PORTICO

Ottobre missionario. Don Franco Crabu da 25 anni è missionario fidei donum in Kenya.

“Felice di vivere la mia vocazione donando la vita ai figli dell’Africa” Il sacerdote originario di Gesico ha partecipato ad una serata-incontro organizzato dal Centro missionario diocesano: “Sosteniamo la crescita umana delle persone” I. P. A QUASI 25anni don Franco Crabu, classe 1946, nativo di Gesico, è missionario fidei donum in Kenya a Nanyuky. “E' vero - afferma il sacerdote - sono tanti anni lì tante cose sono state fatte altre sono da fare. Certamente la pastorale si è sviluppata tantissimo, specie nella catechesi: nella Diocesi di Niery sono oltre 1.400 i catechisti che operano, di cui 340 nella mia missione (36mila abitanti, una città e 21 villaggi distribuiti su 40kmq). C'è poi una particolare attenzione ai catecumeni perché la maggior parte dei battezzati sono adulti e quindi è necessario fare un percorso di formazione per arrivare al Battesimo. Ma non c'è solo l'azione pastorale, parlo della promozione umana”. Si spieghi meglio. Accanto alla attività che ogni sacerdote deve fare per portare la Parola di Dio, deve esserci quella di sostenere la crescita umana delle persone. Per questo abbiamo avviato varie opere

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che nel corso del tempo sono cresciute. Tra le ultime la realizzazione di una scuola di informatica, perché, nonostante ciò che si possa pensare sulla distanza dell'Africa, il realtà il continente è molto vicino. Per cui la velocità che caratterizza la società occidentale sta interessando quella africana, e forse quest'ultima sta saltando qualche passaggio che noi in Europa abbiamo già vissuto. Al di là di questo, il progetto è stato realizzato con una scuola che ospita 700 alunni, oggi Campus Universitario, affiliato all'Università Cattolica dell'Est - Africa, nel quale vien offerto tutto ciò che riguarda l'Information - Technology, Business Ad-

ministration, Educazione e tutto ciò che può rappresentare uno sbocco per il futuro dei ragazzi. Una realtà che è diventata polo d'attrazione anche per i giovani del nord del Kenya, a maggioranza musulmana. A proposito. Negli ultimi tempi giungono notizie di contrasti tra cristiani ed islamici. Qual è la verità? Sì è vero, ci sono stati problemi ma in Kenya fra poco si vota e quindi non è una questione tra cristiani e musulmani. La nostra scuola ha un 15% di studenti musulmani, le cui famiglie sono molto contente di mandare i propri figli in una scuola cattolica. In realtà gli attacchi a realtà lega-

te ai cristiani sono il frutto di una precisa volontà di alcune frange estremiste islamiche che hanno tutto l'interesse a creare tensione e quindi a rendere la vita meno sicura. Noi stessi prima di entrare in chiesa dobbiamo passare i controlli da parte delle forze dell'ordine. Io voglio bene ai musulmani e con loro c'è un ottima collaborazione, ma chi semina terrore non è di certo vicino alle famiglie che mandano i propri figli nella nostra scuola. In questi giorni di permanenza in Sardegna ha realizzato anche una serata musicale dedicata alle missioni. Una passione e un hobby quella della musica? Quando dopo una lunga giornata trascorso in giro a trovare le persone o a portare avanti tutte le attività, arrivo a casa, molto stanco, trovo nel mettermi davanti alla tastiera e improvvisare brani musicali un modo per distendermi ma anche per continuare a dare lode a Dio. Sabato scorso ho presentato due nuovi lavori: il primo è “Senza Dio non si può cantare”, senza di Lui non si può di certo vivere e l'altro porta il titolo di “Io e Dio innamorati”. Inoltre è disponibile anche un DVD con squarci della vita di missione. Sono il frutto di un paziente lavoro con i miei collaboratori, che aiuta a conoscere meglio il lavoro che quotidianamente da quasi 25 anni porto avanti in Africa. Dio mi ha dato l'opportunità di vivere la mia vocazione nella missione in Africa e ne sono felice, così come lo ero quando ero parroco a Sant'Avendrace”.

La veglia missionaria a Bonaria

Foto Elio Piras

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cronaca OTTOBRE MISSIONARIO

La veglia missionaria nella basilica di Bonaria Anche quest'anno la Basilica di Bonaria a Cagliari ha ospitato la Veglia Missionaria Diocesana, che quest'anno ha avuto una valenza particolare: è stato il primo appuntamento comunitario all'indomani dell'avvio dell'Anno della Fede da parte del Papa. Una Basilica affollata di fedeli, religiosi e religiose, ha seguito la Veglia partecipando ai diversi momenti celebrativi. La prima parte della veglia è stata caratterizzata dalle letture tratte dal testo Porta Fidei di Benedetto XVI alternate al canto, fino alla proclamazione della Parola e all'omelia dell'Arcivescovo, nella quale mons. Miglio ha ribadito la bellezza del Concilio e la necessità di riprendere in mano i documenti, ripensando ai frutti del Concilio nell'Anno della Fede. A seguire alcune testimonianze. La prima quella di Suor Maria Luisa, religiosa delle Ancelle della Sacra Famiglia, originaria di Serrenti, da alcuni anni lavora in Brasile in una realtà di degrado, con tanti giovani dediti alle devianze peggiori: ogni giorno la religiosa lavora per il riscatto di queste persone.

Una coppia affidataria di Ussana, Romina e Piero Capoccia con due figli, dopo un'esperienza nei Cursillos, ha maturato la decisione dell'affido di minori in difficoltà, una scelta di missione. Infine la testimonianza di un giovane africano, Jean Claude Mananga, delle diocesi di Kikwit nella Repubblica Democratica del Congo, che oggi studia Teologia a Cagliari e che, con una voce rotta dall'emozione, ha raccontato come nel corso della sua vita dopo alcuni momenti duri ha trovato nella fede la forza per superare le difficoltà che lo hanno provato. Il credo recitato ed alternato con il canto ha poi introdotto la seconda parte della Veglia caratterizzata dal canto e dalla preghiera fino alla conclusione nella quale don Nino Onnis, direttore del Centro Missionario Diocesano, ha voluto tributare l'omaggio a sacerdoti, religiosi e religiose, laici che nelle missioni portano avanti il loro prezioso lavoro. Alla fine la processione dei celebranti, con l’Arcivescovo, è passata nella navata centrale per dirigersi in sacrestia. Sono da poco le 21 di venerdì 12 ottobre: la Veglia Missionaria ha dato il via all’Anno della Fede nella Diocesi di Cagliari.


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IL PORTICO DE

IL PORTICO

XXIX DOMENICA DEL T. O. (ANNO B)

dal Vangelo secondo Marco n quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi cori Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Mc 10, 35-45 DON ANDREA BUSIA

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il portico della fede

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Sarà vostro servitor

n questo e in molti altri brani del vangelo di Marco è evidente la mancanza di interesse, da parte dell'evangelista, a mitigare le brutte figure degli apostoli, nonostante essi siano già, quando lui scrive, le colonne della Chiesa e lui stesso sia, secondo quanto ci riporta la tradizione, un discepolo di Pietro. Evidentemente non è per mancanza di rispetto nei loro confronti, ma perché sarà la risurrezione del maestro a rendere gli apostoli veramente testimoni: fino ad allora il loro cammino è segnato da un difficile e lento apprendimento degli insegnamenti del Signore. Marco ci aveva già dato un'idea del temperamento di Giacomo il maggiore e di Giovanni, riferendoci che Gesù li aveva soprannominati “figli del tuono” (Mc 3,17), probabilmente per il loro carattere impetuoso. Questa incapacità di ri-

flettere adeguatamente prima di parlare emerge qui e altrove (ad esempio in Lc 9,54). La pretesa (non è, infatti, una semplice richiesta) dei due fratelli è quanto mai fuori luogo: infatti già una volta, nel recente passato, gli apostoli avevano discusso su chi tra loro fosse più grande e Gesù era intervenuto dicendo chiaramente: “Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti” (9,35). Gesù ancora una volta non perde la pazienza, non può cedere alla loro pretesa, ma cerca comunque di argomentare il suo rifiuto, e lo fa rendendoli consapevoli della grandezza della loro vocazione. Qui si trova il primo dei punti critici del nostro brano: siamo in grado di apprezzare la grazia che abbiamo ricevuto o forse talvolta siamo talvolta accecati dalla constatazione che questa non comprende, o non sembra comprendere, ciò che noi, in quel momento, desideriamo?

Il nostro sguardo può essere talmente concentrato su un nostro desiderio, da non permetterci di vedere il bene che ci circonda e i doni che il Signore ha già effuso su di noi. Il brano continua presentandoci la reazione degli altri dieci, una reazione di indignazione non meglio esplicitata, ma probabilmente causata dal fatto che alla destra e alla sinistra di Gesù vorrebbero alla fin fine sedere loro. Di nuovo Gesù raccoglie i dodici attorno a sé e con grande pazienza li invita a guardare oltre il “carrierismo terreno” facendo capire che il “carrierismo celeste” funziona esattamente al contrario: quaggiù sembra che per poter essere grandi sia necessario dominare sugli altri, invece nel piano di Dio i più grandi sono coloro che “servono”. Gesù è consapevole della difficoltà del cambiamento di mentalità richiesto da questo insegnamento, e, per questa ra-

gione, pone come esempio, non un bambino o un estraneo, bensì sé stesso ed invita a guardare a sé e al suo sacrificio, inteso qui come espressione estrema di servizio. Una domanda potrebbe sorgere dalla lettura del brano: “È lecito per un cristiano desiderare di essere il più grande, o è un peccato contro l'umiltà?” S. Paolo invitava i romani a gareggiare nello stimarsi a vicenda (Rm 12,10) e difficilmente una gara di questo tipo può essere considerata un peccato contro l'umiltà. La risposta di Gesù si muove sulla stessa linea: come la stima reciproca, anche il vero servizio non può mai rischiare di mancare di umiltà; questo per la semplice ragione che l'umiltà è una condizione indispensabile, sia per la stima reciproca, sia per il servizio, e, se questa manca, si hanno, invece, rispettivamente, adulazione e servilismo (cose ben diverse dalle prime).

IL SOGGETTO DELL’EVANGELIZZAZIONE In questo numero iniziamo una riflessione sui vari temi che caratterizzano l'Anno della Fede. Per cominciare il nostro percorso è utile riprendere la riflessione di Benedetto XVI in occasione della celebrazione di apertura di quest'anno speciale dedicato alla fede nel 50° anniversario dell'inizio del Concilio Vaticano II. Il Santo Padre ha prima di tutto messo in luce l'essenziale dell'evangelizzazione: «Gesù Cristo, consacrato dal Padre nello Spirito Santo, è il vero e perenne soggetto dell'evangelizzazione. Questa missione di Cristo, questo suo movimento continua nello spazio e nel tempo, attraversa i secoli e i continenti». La Chiesa è chiamata a portare avanti la stessa missione di Cristo che le dona lo Spirito Santo e quindi la forza di portare avanti l'annuncio della salvezza. Benedetto XVI ha spiegato poi come l'intenzione del Beato Giovanni XXIII nel convocare il Concilio fosse quella di presentare la «dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, approfondi-

ta e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (AAS 54 [1962], 792). Lo stesso Santo Padre ha ricordato la sua esperienza durante l'assise conciliare: «durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell'oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l'eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l'attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell'anelito a riannunciare Cristo all'uomo contemporaneo». Per fare in modo che quella stessa “tensione commovente” sia viva oggi è necessario tornare, chiarisce Benedetto XVI, alla «lettera del Concilio» cioè alla lettura e all'approfondimento dei suoi testi che indicano come si

possa presentare la verità di Cristo all'uomo contemporaneo. La celebrazione dell'Anno della Fede a cinquant'anni dalla fine del Vaticano II tiene conto della «desertificazione spirituale» del nostro tempo. Tuttavia il deserto, spiega il Santo Padre, fa riscoprire «il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita». L'impegno fondamentale dell'Anno della Fede è allora quello dell'evangelizzazione che parte dalla riscoperta personale del dono della fede: «la fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada». di don Roberto Piredda


ELLA FAMIGLIA

DOMENICA 21 OTTOBRE 2012

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Appello del Forum delle Famiglie.

re...

Il Forum critica fortemente il disegno di legge di stabilità.

La legge di stabilità: “Siamo allibiti” FRANCESCO FURCAS

vero: siamo ancora pienamente nel turbine della crisi, non bisogna abbassare la guardia, la speculazione è ancora pronta a colpire, il cammino per rimettere in sesto il “sistema Italia” è ancora lungo. Ne siamo pienamente convinti, così come siamo convinti che tutti sono chiamati a fare la loro parte”. Comincia così un lungo comunicato del Forum delle associazioni familiari sul nuovo disegno di legge approvato dal Governo nelle scorse settimane. L’associazione di associazioni guidata da Francesco Belletti specifica: “Ma a leggere le nuove disposizioni rispetto alla Legge di stabilità emanate dal Governo c’è da rimanere allibiti. Non solo non si interviene a favore delle famiglie più bisognose (cioè le famiglie con redditi mediobassi e più carichi familiari) ma addirittura si peggiora la loro situazione, con un accanimento inspiegabile specie da parte di un Governo che si vuole “tecnico”. In particolare le scelte su IRPEF e IVA sono esattamente il contrario di quello di cui le famiglie hanno bisogno”. Rispetto all’IRPEF il Forum aggiunge che “il previsto abbassamento di un punto delle due aliquote minori (23% e 27%), benché in sé positivo, se viene introdotto senza alcun riferimento alla composizione del nucleo familiare, non solo è insufficiente, ma perfino dannoso”. Belletti entra nel merito: “Innanzitutto, continua ad ignorare il problema degli “incapienti” (coloro che avendo un reddito basso non riescono neppure ad usufruire pienamente delle detrazioni, superiori all’Irpef dovuta), e addirittura secondo le prime proiezioni tenderà ad aumentare ulteriormente la loro platea, anche per redditi fino ai 15.000 euro”. “Ma questo è ancora niente”, sottolinea il Forum: “Il vero scandalo (parola di questi tempi ormai abusata, ma non riusciamo a trovare

RISCRITTURE

È

Io ricordo bene quel periodo: ero un giovane professore di teologia fondamentale all’Università di Bonn, e fu l’Arcivescovo di Colonia, il Cardinale Frings, per me un punto di riferimento umano e sacerdotale, che mi portò con sé a Roma come suo consulente teologo; poi fui anche nominato perito conciliare. Per me è stata un’esperienza unica: dopo tutto il fervore e l’entusiasmo della preparazione, ho potuto vedere una Chiesa viva - quasi tremila Padri conciliari da tutte le parti del mondo riuniti sotto la guida del Successore dell’Apostolo Pietro - che si mette alla scuola dello Spirito Santo, il vero motore del Concilio. Rare volte nella storia si è potuto, come allora, quasi «toccare» concretamente l’universalità della Chiesa in un momento della grande realizzazione della sua missione di portare il Vangelo in ogni tempo e fino ai confini della terra. In questi giorni, se rivedrete le immagini dell’apertura di questa grande Assise, attraverso la televisione o gli altri mezzi di comunicazione, potrete percepire anche voi la gioia, la speranza e l’incoraggiamento che ha dato a tutti noi il prendere parte a questo evento di luce, che si irradia fino ad oggi.

(...) Se guardiamo al Concilio Ecumenico Vaticano II, vediamo che in quel momento del cammino della Chiesa non c’erano particolari errori di fede da correggere o condannare, né vi erano specifiche questioni di dottrina o di disciplina da chiarire. Si può capire allora la sorpresa del piccolo gruppo di Cardinali presenti nella sala capitolare del monastero benedettino a San Paolo Fuori le Mura, quando, il 25 gennaio 1959, il Beato Giovanni XXIII annunciò il Sinodo diocesano per Roma e il Concilio per la Chiesa Universale. La prima questione che si pose nella preparazione di questo grande evento fu proprio come cominciarlo, quale compito preciso attribuirgli. Il Beato Giovanni XXIII, nel discorso di apertura, l’11 ottobre di cinquant’anni fa, diede un’indicazione generale: la fede doveva parlare in un modo «rinnovato», più incisivo - perché il mondo stava rapidamente cambiando - mantenendo però intatti i suoi contenuti perenni, senza cedimenti o compromessi. Il Papa desiderava che la Chiesa riflettesse sulla sua fede, sulle verità che la guidano. Benedetto XVI, Udienza generale 10 ottobre 2012

un termine migliore) è la prevista introduzione di un tetto massimo di 3.000 euro alle detrazioni. Ora, non c’è bisogno di essere dei tecnici per sapere che le detrazioni più rilevanti, quelle per i familiari a carico e per il lavoro dipendente, sono inversamente proporzionali al reddito, e cioè sono maggiori più il reddito è basso. Il risultato è che per redditi attorno ai 23-25.000 euro, avere moglie e figli a carico significa non poter detrarre più nulla delle ulteriori detrazioni previste (spese mediche, spese per istruzione, assicurazioni, ecc.), ma addirittura rischiare di pagare più tasse di prima”. E giù un dettagliatissimo cahier de doleances nei confronti dell’esecutivo guidato da Mario Monti. “Facciamo appello a tutte le forze politiche - conclude il Forum - perché in Parlamento venga posto rimedio a questa autentica follia. Non sarebbe difficile: basterebbe introdurre il tetto alle detrazioni solo al di sopra di una certa soglia di reddito, quando le detrazioni per carichi familiari praticamente si azzerano, oppure escluderle completamente dal calcolo complessivo delle detrazioni stesse; defiscalizzare gli oneri familiari (abbattendo l’IMU per la casa familiare e le imposte indirette sulle spese ordinarie per la famiglia e per i figli); privilegiare le imposte dirette e abbattere quelle indirette revocando l’aumento dell’IVA; giungere quanto prima ad un’autentica equità fiscale mediante il “fattore famiglia” e una riforma dell’ISEE che tenga conto dei carichi familiari. Se poi qualcuno dei nostri tecnici si convincesse che – invece della diminuzione generalizzata delle aliquote – l’aumento delle detrazioni per familiari a carico sarebbe enormemente più utile ed efficace per aiutare la ripresa economica del nostro Paese, ed anche per evitare a un buon numero di famiglie di cadere nella povertà, cominceremmo a gridare al miracolo”.


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IL PORTICO DEI LETTORI

IL PORTICO

DOMENICA 21 OTTOBRE 2012

LETTERE A IL PORTICO Abbiamo chiesto ad Antonello Spanu, responsabile regionale dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, un commento sulla vicenda del bambino di Cittadella. Ci ha risposto proponendoci la posizione espressa dalla Comunità a livello nazionale. Condividendola, la proponiamo volentieri alla riflessione di tutti (sn). La vicenda del bambino tolto a Cittadella da una coppia di genitori separati con l’uso della forza pubblica impone di fare alcune riflessioni generali su quella vicenda e solleva almeno tre questioni: La prima è culturale. Molti politici si sono strappati le vesti per quel filmato, ponendo urgenti interrogazioni e chiarimenti al Governo, dimenticando che in

Parlamento è in discussione un disegno di legge, sponsorizzato da una gran quantità di parlamentari, per giungere al Divorzio breve che non solo non tiene conto del fatto che separarsi non è una operazione indolore per nessuno, né per i coniugi né per i figli, ma che presenta il matrimonio come un oggetto “usa e getta”. Ad uso ed esclusivo interesse dei due adulti. Anche tutta la “cultura” che circola oggi in Televisione o sui rotocalchi è quella che separarsi è normale, l’importante è separarsi bene, che le unioni sono qualcosa che non hanno valore, che ci si prende, si fa un figlio e poi ci si lascia come se questo non significasse anche dolore e sofferenza per gli adulti e per i bambini. Il dato sugli aumenti degli omicidi all’interno delle famiglie ci dice an-

che di una fragilità affettiva delle persone, di una incapacità di superare le perdite, le separazioni, i distacchi. Anche di una non volontà di interrompere delle relazioni che si hanno con l’altro coniuge e soprattutto con i figli.. Don Oreste Benzi diceva che per un figlio è più accettabile la morte dei suoi genitori che la loro separazione, perché quest'ultima mina fortemente la sua base sicura rappresentata dalla sua famiglia -anche da quella meno adeguata-, ostacolandoli in una crescita equilibrata. La seconda questione è politica Molti dicono che si sarebbe dovuto ascoltare di più il minore, che si sarebbe dovuto affrontare un psicoterapia di coppia, che il Giudice avrebbe dovuto .... che l’assistente sociale avrebbe .... Ma noi ci troviamo di fronte ad uno

smantellamento dello Stato sociale sui territori, da anni di tagli alle risorse, di tagli e di cancellazioni ai progetti di prevenzione, di educazione, di formazione, di sostegno alle persone ed alle famiglie in difficoltà e che non si possono attuare perché non ci sono risorse. Dove sono le risorse per accompagnare le famiglie in difficoltà? Per una psicoterapia di coppia, per accompagnare in gruppi di auto aiuto, per un numero adeguato di assistenti sociali sul territorio, per la formazione degli operatori che operano con i minori ecc. ecc.. E' tempo di sostenere, curare, valorizzare le famiglie perché nessuno sia lasciato solo nella difficoltà, e per evitare che queste difficoltà si incancreniscano, sviluppando reti solidali capaci di farsi

Inviate le vostre lettere a Il Portico, via mons. Cogoni 9, 09121 Cagliari o utilizzare l’indirizzo settimanaleilportico@libero.it, specificando nome e cognome, ed una modalità per rintracciarvi. La pubblicazione è a giudizio del direttore, ma una maggiore brevità facilita il compito. Grazie.

I

l Concilio Vaticano II non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo. Al riguardo, così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI due anni dopo la conclusione dell’Assise conciliare: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare [alcune] affermazioni conciliari (…) per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa» (Catechesi nell’Udienza generale dell’8 marzo 1967). Così Paolo VI nel '67. Ma dobbiamo ora risalire a colui che convocò il Concilio Vaticano II e che lo inaugurò: il Beato Giovanni XXIII. Nel Discorso di apertura, egli presentò il fine principale del Concilio in questi termini: «Questo massimamente riguarda il Concilio Ecumenico: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito ed insegnato in forma più efficace. (…) Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina… Per questo non occorreva un Concilio… E’ necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (AAS 54 [1962], 790.791-792). Così Papa Giovanni nell'inaugurazione del Concilio. Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede

Dall’omelia di Benedetto XVI per l’apertura dell’Anno della Fede

Nel deserto c’è bisogno di persone di fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla «lettera» del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell’oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento.

Se ci poniamo in sintonia con l’impostazione autentica, che il Beato Giovanni XXIII volle dare al Vaticano II, noi potremo attualizzarla lungo questo Anno della fede, all’interno dell’unico cammino della Chiesa che continuamente vuole approfondire il bagaglio della fede che Cristo le ha affidato. I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità. Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l’iniziativa di creare un Pontificio Consiglio destinato alla promozione della nuova evangelizzazione, che ringrazio dello speciale impegno per l’Anno della fede, rientra in questa prospettiva. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. Che

"prossimo" degli altri. La terza è organizzativa Troppi bambini nelle cause di separazione sono vittime dei conflitti dei loro genitori sostenuti ognuno dai loro avvocati difensori. Muri che si contrappongono e diventano invalicabili perché ognuno ha le proprie ragioni da difendere. Introduciamo l’obbligatorietà della mediazione familiare nei casi di conflittualità. Una mediazione che lavori per lenire e curare le relazioni dei genitori tra loro e con i figli. La legge 54 va modificata in tal senso. Rendiamo anche obbligatoria l'istituzione di un avvocato /tutore che difenda le sorti di questi bambini nella loro separazioni quando sono conflittuali per tutelarli nei loro bisogni di certezze e stabilità affettive. Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII Il Responsabile Generale Giovanni Paolo Ramonda

cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, al tempo del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E’ il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. La prima Lettura ci ha parlato della sapienza del viaggiatore (cfr Sir 34,9-13): il viaggio è metafora della vita, e il sapiente viaggiatore è colui che ha appreso l’arte di vivere e la può condividere con i fratelli – come avviene ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che non a caso sono tornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il bisogno di fare questi cammini? Non è forse perché qui trovano, o almeno intuiscono il senso del nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono. Piazza San Pietro Giovedì, 11 ottobre 2012


DOMENICA 21 OTTOBRE 2012

IL PORTICO DI CAGLIARI

Istruzione. Pareri e discorsi raccolti al corteo organizzato da numerose sigle sindacali.

Il grido di dolore della scuola sarda ha attraversato anche il capoluogo Il sindaco Massimo Zedda rassicura: “Abbiamo più soldi per riqualificare gli edifici”. Angela Quaquero: “Sicurezza, manutenzione e sostegno ai disabili sono per noi punti irrinunciabili” GIOVANNI LORENZO PORRÀ ON CI AVRETE MAI come volete voi”: così diceva uno dei tanti striscioni nel corteo della grande manifestazione degli studenti e degli insegnanti sardi, tenutasi la scorsa settimana; organizzata dai principali sindacati, è stata la tappa sarda della manifestazione nazionale che ha coinvolto le città più importanti d’ Italia. Migliaia di persone hanno manifestato, da nord e da sud dell’isola. “Oggi siamo qua per protestare contro la proposta di legge detta Aprea, che mette a rischio l’autonomia scolastica – spiega Giorgio Marras di Unione Degli Studenti – ma anche contro i problemi del territorio sardo: su 70mila studenti almeno 19mila ogni anno abbandonano la scuola. Tutte le manovre fatte negli ultimi anni sono costate 68 milioni di euro: soldi con cui si sarebbero potuti risolvere molti problemi, come le scuole cadenti o il caro libri”. “La scuola deve restare pub-

N

La manifestazione di studenti e docenti.

blica – afferma con decisione Gaia Alesi, del liceo Siotto – mentre con la legge Aprea i privati potranno investire su di essa ed entrare nel consiglio di istituto. Ciò significherebbe un conflitto di interessi: inoltre il ruolo delle rappresentanze degli studenti sarà fortemente dimensionato”. “Non siamo più cittadini, ma sudditi: sudditi delle banche - denuncia Alessandra Piras, un’agguerrita insegnante – stiamo peggio che nella Francia prima della rivoluzione. Non ci chiedono di dare un’educazione ai ragazzi o di aiutarli, ma solo di riempire un mucchio di carte inutili”. Fra cori e slogan che parlavano di rabbia e speranze il corteo è partito da piazza Repubblica per attraversare le vie principali della città.

“Chiediamo l’esaurimento delle graduatorie e diciamo no al nuovo concorso - dice Paolo Pinna, anche lui insegnante - hanno aperto la possibilità di concorrere a tantissime persone, solo per condannarle al precariato”. A manifestare c’è anche una delegazione degli operai Alcoa: “Nonostante la difficoltà della nostra situazione, ricambiamo la solidarietà che ci hanno dato gli studenti” - dichiara Federico Matta. Non sono mancati neppure i politici, fra tutti il sindaco Zedda: “Nonostante la Sardegna abbia perso oltre 35 milioni noi non abbiamo tagliato neanche un euro alla scuola – ha dichiarato – e siamo riusciti anche a trovare qualche soldo in più per la riqualificazione degli edifici e le attività che collegano il Comune alla

scuola, perché gli studenti diventino cittadini più consapevoli”. “Noi abbiamo avuto più di 14 milioni di tagli – afferma Angela Quaquero, presidente della Provincia di Cagliari - ma stiamo cercando di salvaguardare la scuola sulla sicurezza, la manutenzione e soprattutto il sostegno ai disabili”. “Siamo venuti da Sorgono per farci sentire – raccontano alcuni ragazzi – i trasporti sono troppo cari e la nostra scuola cade a pezzi”. Alcune insegnanti attaccano la riforma delle pensioni: “il governo ha cambiato la legge con effetto retroattivo – denuncia Antonio Pinna – ma è meglio tenere noi docenti anziani che costiamo anche di più, o fare largo ai giovani?”. Il corteo è arrivato infine in piazzale Trento, dove da un anno si trova il presidio contro Equitalia: “è molto importante che i giovani partecipino a questa lotta per il cambiamento, e noi siamo con loro - dichiara Ambrogio Trudu, del presidio – noi siamo qui da un anno e abbiamo fondato la consulta rivoluzionaria per riunire tutte le persone in difficoltà”. “Oggi è stata una splendida giornata – ha dichiarato Peppino Loddo, segretario generale della Cgil Sardegna, fresco e riposato dopo ore passate a gridare in prima fila – eravamo in migliaia e abbiamo dimostrato che il sindacato è in grado di farsi sentire: con questi numeri mi aspetto presto un incontro con le più importanti autorità”.

Convegno di protesta all’Unione Ciechi Non piacciono le nuove norme e la burocrazia G. L. P.

È

STATO UN CONVEGNO di pro-

testa, quello tenutosi alla sede dell’Unione Italiana Ciechinei giorni scorsi, dal titolo “Tra diritti, aspettative e risposte”: l’argomento principale avrebbe dovuto essere il rapporto tra disabili e pubblica amministrazione, ma si è parlato molto dei tagli all’assistenza ai disabili, che preoccupano tante persone: “Oggi sono qui con uno stato d’animo davvero agitato – ha esordito Pietro Puddu, presidente dell’UIC – non ero preparato a questa situazione e mi trovo ancora una volta a difendere i diritti dei più deboli, anche quelli che credevamo acquisiti: è davvero una vergogna”. “Grazie al fondo regionale per le persone disabili abbiamo erogato quest’anno 200 milioni di euro – ha rassicurato Roberto Angelo Abis, intervenuto in rappresentanza dell’Assessorato regionale alla Sanità –

prevediamo di incrementare questa cifra”; anche l’assessore ai Servizi sociali di Cagliari, Susanna Orrù, ha voluto assicurare l’impegno del Comune: “Bisogna segnalare le cose che non vanno e impegnarsi tutti assieme per migliorarle”. A destare preoccupazione è soprattutto la nuova legge che trasferisce all’Inps la competenza in materia di assegnazione della pensione di invalidità, come ha spiegato Giuseppe Vacca, dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili: “L’Inps sembra una via di mezzo tra Lourdes ed Equitalia: càpita che vengano riunite alcune commissioni per accertare l’invalidità di persone che hanno già riconosciuta una patologia permanente, come se nel frattempo potessero essere guarite per miracolo. Sono lenti a sbrigare la burocrazia, ma quando si tratta di chiedere soldi sono rapidissimi: la cosa ironica è che le commissioni e la burocra-

Il convegno dell’Unione italiana Ciechi.

zia portano molte spese inutili”; di fronte ai soprusi l’unica strada è denunciare alla stampa: “Ricordo un caso – ha raccontato Vacca – di una signora allettata che ricevette la convocazione della commissione medica e mandò un certificato di intrasportabilità: ebbene evidentemente il certificato non fu recepito, e lei si vide tolta la pensione; tentai ogni strada, ma solo quando mi rivolsi a un amico giornalista che scrisse un articolo sulla vicenda la pratica si sbloccò: se avessi fatto una causa i tempi sarebbero stati lunghissimi”. Sotto accusa anche il nuovo sistema interamente telematico per chiedere la pensione di invalidità: “molto spesso gli utenti sono anziani e non conoscono il computer”. “Spesso si creano delle confusioni nel tentativo

di stabilire rapporti tra cittadini, associazioni e istituzioni – ha ricordato Alfio Desogus, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – Occorre un unico referente: a un territorio deve corrispondere un governo a cui le persone si rivolgano con fiducia”. Infine è stato mostrato un filmato realizzato da Marco Fossati, istruttore di orientamento e mobilità e autonomia personale, che mostrava come grazie a un corso, i ciechi siano in grado di muoversi da soli e acquisire molta più libertà di quanto si pensi, migliorando il proprio stile di vita, e anche la propria autostima. Al termine del convegno si è svolto un vivace dibattito su progetti e attività che ha visto la partecipazione delle sezioni locali.

IL PORTICO

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brevi PASTORALE FAMILIARE

Corso in “Scienze del matrimonio” Sono ancora aperte le iscrizioni al VI Corso in Scienze del matrimonio e della famiglia per coppie ed operatori nella pastorale familiare sul tema “Dio vide quanto aveva fatto... ed ecco... era cosa molto buona.”

(Gen 1.31). Il corso intende far conoscere a coniugi e genitori, la ricchezza umana e cristiana del Sacramento del matrimonio e promuovere la Pastorale Familiare nella Chiesa locale con la formazione di famiglie come Chiese domestiche capaci di vivere e di comunicare i valori delle Nozze e della Famiglia per la Chiesa e la Società.

SAN BENEDETTO

Nuove tariffe per i parcheggi Nei parcheggi a pagamento della zona attorno al mercato di San Benedetto, a Cagliari, sono state introdotte le nuove tariffe a frazione d'ora, che consentono la sosta breve. Lo comunica la Parkar, che gestisce i parcheggi, citando una delibera della giunta comunale assunta per agevolare

la rotazione, considerata la richiesta superiore alle aree di sosta disponibili. Per il primo quarto d'ora si pagheranno 30 centesimi, mezz'ora costerà cinquanta centesimi, per un'ora un euro, mentre per le ore successive la tariffa sarà di 2 euro. Le vie interessate sono piazza Cocco Ortu junior e le vie Pacinotti, Tiziano (tranne il tratto fra le vie Pacinotti e Dante) e via Cocco Ortu (ad eccezione dell'angolo tra le vie Pacinotti e Dante). Sarà possibile attivare le tariffe delle frazioni d'ora solo dai parcometri installati nelle vie Tiziano, Cocco Ortu e Pacinotti.

TEATRO LIRICO

Al via la stagione concertistica Venerdì e sabato al via la Stagione Concertistica 2012/2013 l'orchestra e il coro del Teatro Lirico, direttore Aldo Ceccato, mezzosoprano Anastasia Boldyreva e maestro del coro Marco Faelli eseguiranno musiche di Antonín Dvorák - Sinfonia n. 6 in Re maggiore, op. 60 e Sergej Prokofiev - Aleksandr Nevskij, per mezzosoprano, coro e orchestra op. 78.


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IL PORTICO DEI PAESI TUOI

IL PORTICO

brevi LA VICENDA DI SARDEGNA1

All’operaio spetta la sua mercede C'è voluto il prefetto per trovare un punto di incontro tra i dipendenti di Sardegna Uno e l'editore Giorgio Mazzella. Giornalisti ed operatori dell'emittente televisiva da anni lottano per la difesa del posto di lavoro, e - nei mesi scorsi - avevano anche accettato di sottoscrivere un contratto di solidarietà che di fatto significa meno soldi in busta paga e orari ridotti non sempre consoni all'attività giornalistica. Grazie alla mediazione del prefetto Balsamo è stata siglata un'intesa tra i sindacati e l'editore per il pagamento del 50% delle retribuzioni spettanti ai dipendenti, una mensilità e mezza quattordicesima. Al fianco dei lavoratori la Federazione nazionale della stampa, con i suoi rappresentanti locali schierati fin dal primo minuto della vertenza a difesa dei giornalisti. La settimana prossima, invece, è prevista una verifica sui crediti vantati dall'azienda nei confronti dei soggetti pubblici, prima di tutto lo Stato: questo infatti il motivo con cui l'editore - presidente della Banca di credito sardo, nonchè noto imprenditore nel settore turistico ha giustificato il ritardo nel pagamento delle ultime tre mensilità ai dipendenti. Bisogna dunque ora vigliare sul rispetto dei nuovi accordi, ottenuti grazie anche ad un sit in attuato nel piazzale antistante l'istituto di credito. Nonostante le inevitabili tensioni, giornalisti e cameramen continuano con professionalità a garantire la messa in onda di un telegiornale che - in Sardegna - non è secondo a nessuno quanto a completezza di informazione e varietà di servizi proposti.

ALL’ORDINE DEI MEDICI

Convegno regionale dell’AIFO a Cagliari Sabato dalle 9 alle 13 nella sede dell'ordine dei Medici della provincia di Cagliari è in programma il Convegno regionale Aifo sul tema “Le malattie della povertà: la salute un diritto universale disatteso”. Previste tra l'altro le relazioni di Siverio Piro su “Malattie della Povertà: Hiv e malaria”, di Salvatore Noto su “La lebbra: cos'è e come si riconosce”, di Antonio Giovanni Farris su “Note sulla tu-

Storie. L’esperienza di Claudia Puddu e la nascita dell’associazione “Give him a chance”.

Da un’esperienza di volontariato il desiderio di aiutare chi soffre

conto di cosa significhi mangiare una volta al giorno e arrivare al giorno dopo affamati. Ci si rende conto del valore delle cose che si hanno e che non si apprezzano e di quanto sia importante cercare di fare qualcosa per provare a migliorare questa situazione. Qualcosa l’hai fatto. Quando sono tornata mi sono detta che avevo il potere di cambiare qualcosa con un mio piccolo sacrificio.

Obiettivamente per un italiano medio rinunciare ad una pizza è poco. Il corrispettivo di quella pizza può essere utile a sistemare la struttura dell’orfanotrofio dove vivono i bambini e magari poterli aiutare anche ad avere un futuro migliore. Niente di impossibile da realizzare. Sei molto giovane. La tua famiglia come ha preso questa iniziativa? Sono stata molto fortunata perché la mia famiglia mi ha appoggiata da subito. Con i miei genitori siamo i soci fondatori. L’associazione esiste da un mese e siamo già 17 , grazie ai miei familiari ed amici più stretti che, vedendo il mio entusiasmo e la bontà della causa, hanno aderito da subito. Ti sembra che il tuo possa essere un esempio per i giovani della tua età? Lo spero profondamente. Il mio intento è quello di organizzare degli eventi piacevoli che possano essere un punto di ritrovo per i giovani. Pagando qualcosa in più rispetto ad una normale serata, senza rinunciare a niente –perché spesso si pensa alla rinuncia come a un qualcosa di negativo se non si è cresciuti con la mentalità della condivisione – si può passare una bella serata anche nella consapevolezza di essere di aiuto a qualcuno.

rare, soffrire, pregare. Un programma impegnativo realizzato tutt’oggi con particolare dedizione dalle Ancelle e alla base dei valori della Congregazione: carità, umiltà, obbedienza, povertà, sofferenza, confidenza, castità, preghiera, riparazione delle offese rivolte a Gesù. Le suore Ancelle oggi presenti in alcune regioni italiane come l’Emilia Romagna, la Sardegna, la Puglia, il Lazio, la Toscana e le Marche, si prodigano in opere di pastorale parrocchiale, centri di formazione profes-

sionale, scuole di ogni grado, cura degli anziani, ospedali, case di accoglienza per ragazze madri e per i minori in difficoltà. Senza trascurare la cura per quelle aree del mondo dove è richiesto un maggior sforzo per il miglioramento della condizione femminile come il Brasile, le Filippine, il Togo e la Colombia sono presenti con alcune Missioni. Nella diocesi di Cagliari le Ancelle del Sacro Cuore giunsero nel 1968 grazie all’interessamento dell’Arcivescovo Paolo Botto e si stabilirono nella nascente parrocchia del Carmine ad Assemini guidata al tempo da un giovane Don Albino Mancosu, che insieme ai suoi parrocchiani le considerò sempre un dono della Madonna e della Provvidenza. In quasi quarantacinque anni di presenza nella storia asseminese, le Ancelle non hanno mai fatto mancare il loro contributo alla pastorale parrocchiale e alla cura dell’educazione dei più piccoli anche attraverso la realizzazione della scuola materna paritaria Sacro Cuore, un’opera educativa conosciuta nel panorama regionale per la sua eccellenza.

Con la rinuncia a pochi euro si può fare del bene, sicuri che la somma andrà a destinazione. Il racconto di un viaggio che ha cambiato il modo di guardare le cose SUSANNA MOCCI

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LAUDIA PUDDU, 18 ANNI, al

rientro da un’esperienza di volontariato in Kenya, ha deciso di fondare l’associazione “Give him a chance”. A Il Porticoracconta la sua particolarissima esperienza. Claudia, come sei arrivata alla decisione di fare un’esperienza di questo tipo? Ho studiato al Liceo Classico e ho fatto il quarto anno in America. Lì ho avuto la mia prima esperienza di volontariato: lavoravo in un villaggio della Disney per bambini con malattie terminali. In quell’occasione ho capito quanto fosse importante nella mia vita fare qualcosa per gli altri. Tornata a Cagliari, non ho più avuto modo di continuare la mia esperienza. Sono stata in Africa più volte in vacanza ed essendomi innamorata di questo continente ho deciso, come viaggio di maturità, di andare in Kenya. Ho trovato su internet il progetto dell’orfanotrofio Good Samaritan e ho scelto quello. Dove ti trovavi? A circa un’ora da Nairobi. Lavoravo in una delle slum(una baraccopoli) più grandi, Soeto. Ogni mattina andavo da casa alla baraccopoli e sta-

vo là tutto il giorno. Come si svolgevano le giornate? La mattina stavo con i bambini più piccoli: mi occupavo di loro lavandoli e dando loro da mangiare. Dopo pranzo rientravano quelli più grandi da scuola. Con loro giocavo e svolgevo varie attività della vita dell’orfanotrofio, come lavare i vestiti. Quella di lavare i bambini è stata una delle esperienze più forti. Li lavavo fuori dalla struttura perché non c’erano le docce ed è capitato di doverli lavare con l’acqua fredda: vedere la loro sofferenza è stato qualcosa che ha fatto male anche a me. Quest’esperienza ha cambiato in qualche modo la tua vita? Assolutamente sì. È stata un’esperienza molto forte. Ho ripensato a quando ci dicono di non lasciare il cibo sul piatto perché ci sono persone che muoiono di fame, ma noi non ci rendiamo mai veramente

“Operare, soffrire e pregare per Cristo” Il lascito di mons. Marco Morelli nel centenario della morte MATTEO VENTURELLI A COMUNITÀ parrocchiale della BeataVergine del Carmine di Assemini si è stretta intorno alle suore del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante per il 100° anniversario del Dies Natalis del loro fondatore, Monsignor Marco Morelli, dal giugno 2006 dichiarato Venerabile e per il quale è in corso il lungo e complesso itinerario verso la beatificazione. Nato da una famiglia contadina nel 1834 nella diocesi di Imola in Romagna, Marco Morelli venne ordinato sacerdote all’età di 24 anni. Rivelò durante il suo ministero un intensa partecipazione a tutte le vicende della Chiesa, impegnata in quegli anni nel Concilio Vaticano I, e un’obbedienza appassionata al Pon-

L bercolosi: un cammino interrotto?”, di Sunil Deepak su “Malattie dimenticate e i determinatni sociali della salute”. Modera i lavori Orietta Massidda, mentre introduce i lavori Anna Maria Pisano.

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tefice Pio IX. Preoccupato dalla situazione in cui versava la condizione femminile al tempo, soprattutto tra i ceti sociali più poveri ed emarginati, monsignor Morelli nel 1888 insieme alla Serva di Dio Costanza Ricci Curbastro in religione Suor Margherita, fonda l’Istituto delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante. Un istituto di suore nato con il desiderio di riparare le offese al Cuore di Gesù e di prendersi cura della salvezza delle anime delle figlie del popolo, in particolare fanciulle povere, orfane o abbandonate. Pochi giorni prima della sua morte avvenuta nel giugno del 1912, rivolgendosi alla nipote consacrata, monsignor Marco Morelli lasciò in ricordo i tre pilastri del suo programma di vita: ope-


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IL PORTICO DELLA DIOCESI

Esperienze. Il racconto di un’esperienza di due settimane a Roma in missione con i rom.

“Così sono ripartito dalla via Salaria con la condivisione e il dono di sè” Alcuni seminaristi sardi hanno partecipato alla “Missione rom”, l’iniziativa proposta dal Seminario maggiore romano nei giorni scorsi

re. Persone che hanno fatto trasparire l'umiltà di accettarsi e di essere felici per ciò che sono, ancor di più davanti alla proposta per cinque dei loro piccoli di diventare cristiani. Storie, le più disparate che hanno camminato, che per chissà quale vicissitudini oggi sono sbarcate tra noi perché il loro vivere ricevesse dignità. Portavo nella mia mente l'immagine di don Tonino Bello, il vescovo che riprendendo la parabola del buon samaritano, parlava del bisogno sincero, al giorno d'oggi di tre samaritani: il samaritano dell'ora giusta, il samaritano dell'ora dopo e il samaritano dell'ora prima. L'ordine non è stato un caso neppure ora. Il primo concentra l'attenzione all'uomo, sul momento; il se-

condo carica il ferito sulla barella, lo porta all'ospedale e lo aiuta a scoprire le ragioni profonde del suo malessere. Il terzo “dell'ora prima” è quello che se si fosse trovato appunto, almeno “un'ora prima” su quella strada avrebbe evitato l'aggressione. Ora, è ovvio, che applicando queste “icone” alla nostra vita, quello dell'ora prima non sempre risolverebbe i problemi, ma è anche vero che dei tre è quello che può aiutarci a fare adesso, senza rimandare, un bel test di carità e generosità sul prossimo. Così, almeno a me, è venuto più semplice chiedermi a che punto sto, constatando ahimè, che non sono un “arrivato”. Un messaggio questo, che non vuole avere la pretesa di essere accolto a tutti i costi: dovunque però, e questo è il minimo di quanto ho avvertito, il desiderio di essere persona accorta, sensibile davanti alla grande difficoltà, oggi palese, del pregiudizio, anche mio, verso chi non vive come me. Questa, la morale, il lieto fine di un'esperienza che dona motivazioni forti nella sequela di Gesù, che ridisegna un sogno di pace e di giustizia anche per la cultura rom che in così poco tempo ho imparato a rispettare e a voler bene. Il grazie dunque và da sé. Al Signore prima di tutto. Per i doni che possiedo e le persone che oggi ho accanto. Stavolta anche i poveri del vangelo.

re gli abitanti di quel campo simbolo pluridecennale del degrado, dell'abbandono, sempre citato nel bene e nel male, a proposito e a sproposito quando si parla di rom nella città di Roma. Ecco dove e come è nata, lo scorso anno, l'idea di una missione dei seminaristi del seminario romano maggiore tra i rom, esperienza che quest'anno abbiamo deciso di rivivere. Dal 22 settembre al 7 ottobre, con 14 seminaristi e alcuni volontari siamo stati presenti in 5 realtà: Salone,Lombroso, via Salaria, River, Rocca Cencia (questi i nomi che contraddistinguono i campi, dal nome delle zone dove sono ubicati). La missione rom quest'anno è stata ispirata ad una frase tratta dal vangelo di Giovanni: “vi lascio la pace” (Gv.14,27). In un

clima di intolleranza, di scontro, di belligeranza generale portare la pace, quella “che solo Gesù può dare”, ci è sembrata la missione più importante. Le iniziative sono state quelle semplici di sempre: incontri con le famiglie, catechesi in preparazione ai battesimi di alcuni bambini, attività sportive (minitorneo di calcetto), teatro, musica. E' stato un modo per far stare insieme i bambini e i ragazzi e realizzare qualcosa di bello, in particolare lo spettacolo finale. Abbiamo cercato di portare i bambini e i ragazzi fuori dai campi, appoggiandoci nelle parrocchie vicine. Uno degli obiettivi è stato quello di fare insieme qualcosa fuori da un ambiente chiuso e “depresso” quale è il campo in cui vivono. I 14 seminaristi, tra i quali tre della diocesi di Cagliari, sono stati 'eccezionali'; non avevamo orari certi; dovevamo continuamente aggiornare il nostro programma in base alle situazione e alle esigenze che emergevano; ma tutti sono stati pronti, vivaci ed entusiasti tra loro, con gli altri volontari che ci hanno aiutato e specialmente con i bambini che abbiamo incontrato e che cercavamo di animare: una esperienza che non ha lasciato nessuno indifferente e che ci farà riflettere, credo proprio, molto a lungo. *Direttore spirituale del Pontificio Seminario Romano Maggiore

ENRICO MURGIA L NIENTE DEGLI altri e la gratitudine per ciò che abbiamo. Questa, un'espressione, che presa in prestito da un quotidiano, ho volutamente modificato. Significativa e concisa, se dovessi descrivere in poche battute l'esperienza di missione che ho vissuto per la prima volta nel centro della via Salaria a Roma. Mi farebbe piacere se chi, scorrendo con gli occhi queste righe, pensasse e si convincesse del fatto che chi scrive è un seminarista felice. Entusiasta, perché quella che condivido con gli amici de Il Portico, proprio all'inizio dell'anno della fede, in questo mese mariano e missionario insieme, vuole essere il racconto di una lezione di vita inaspettata. Sono emozioni, piccole o grandi sensazioni che dicono dove ho posto gli occhi ultimamente. Per grazia di Dio non da solo, il mio sguardo infatti è andato su una realtà che penso vada di pari passo con quella triste, sgomenta, di chi ha perso gli

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affetti più cari e non ha più una casa a cui fare riferimento. Rientrato a Roma, dopo la pausa estiva ho portato con me uno spaccato bello della mia diocesi di appartenenza e delle istituzioni, insieme mobilitate da alcuni mesi per l'accoglienza e l'integrazione del fratello rom, persona come me, con la mia stessa dignità. Così, la gratitudine e la solidarietà in due settimane di missione, hanno voluto prendere il soppravvento su ogni altro problema. Ho toccato con mano tanta carità cristiana: prima fra tutte quella dei miei compagni che hanno condiviso con me quest'esperienza. Sì, perché per il resto, lo spazio è stato davvero per i bambini e per le famiglie incontrate e che volentieri ci hanno aperto il cuo-

“Una bella esperienza che cambia lo sguardo” intervento del direttore spirituale del Seminario romano DON PAOLO LOJUDICE* N SITUAZIONI E contesti diversi la mia vita sacerdotale, come quella di tanti confratelli, ha incrociato la presenza dei rom nella nostra città. Da viceparroco, nella prima parrocchia dove fui inviato, perché nelle vicinanze vi abitavano alcune famiglie di rom italiani. Poi nell'altra perché ho cominciato a chiedermi dove vivevano gli “zingarelli” che chiedevano l'elemosina di fronte alla chiesa. Da parroco mi trovai più o meno nella stessa situazione: c'erano 2-3 famigliole (mamme e bambini) che sostavano di fronte alla chiesa durante le messe domenicali. Volevo capire chi fossero, da dove venivano, e se quello che io vedevo, cioè il bisogno, la povertà, la loro continua richiesta di aiuto, erano una finzione oppure era la realtà. Non sapevo se e come sarei riuscito a capire questo: ma in quel momento lo ritenevo importante. Andare a incontrare la gente là dove vive, nelle case (o anche nelle non-case, baracche, prefabbricati o roulot-

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te) è una grande lezione e una grande scoperta. L'importante, mi dicevo, è non farlo per curiosità ma per conoscere più da vicino chi sono quelle persone. Poi fu la volta del campo chiamato “Casilino 900”. Non ero più parroco: il servizio a cui la chiesa di Roma mi aveva destinato era quello di Direttore spirituale del Seminario Maggiore. Non avevo più la responsabilità diretta delle persone di un territorio. Ma restava in me la convinzione io che ogni uomo che incontravo sulla strada doveva essere mio fratello: da prete ma prima ancora da cristiano, non avrei mai e per nessun motivo dire “non spetta a me, non è il mio compito…". “Figli di uno stesso Padre”. Chi, passando lungo via Casilina, andando verso fuori Roma, poco prima dell'incrocio con via Palmiro Togliatti, gira gli occhi verso destra, vedrà ancora, ormai sbiadita, questa scritta sull'edificio di una vecchia officina dismessa,in alto,a significare lo sforzo e l'impegno che tante persone, enti, associazioni o privati cittadini hanno messo nel sostene-

IL PORTICO

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brevi MEDIATECA DEL MEDITERRANEO

Corso di lettura per studenti Sono aperte le iscrizioni al “Vola alto giovani”. Laboratorio gratuito di lettura a voce alta per studenti della scuola media promosso e organizzato dalla Mediateca del Mediterraneo.

Le lezioni si svolgeranno sino a giugno ogni giovedì pomeriggio dalle 17.30 alle 19.30 negli spazi della MEM. Per informazioni e iscrizioni telefonare allo 070 6773867. TEATRO MASSIMO

“PaGAGnini” inaugura la stagione di prosa Sarà “PaGAGnini” a dare il via martedì 23 alle 20.45 a “La Grande Prosa al Teatro Massimo” di Cagliari. Uno spettacolo firmato Yllana che stravolge la tradizionale idea di concerto per mostrare, tra gags e “Capricci” d'autore, passioni segrete e aspetti giocosi nascosti tra le note. Omaggio

all'estro e alla fantasia del grande violinista “romantico”, tra accenti barocchi e variazioni rock, in un vivace contrappunto tra una Fantasia sulla “Carmen” e il post punk irlandese degli U2, un Minuetto o un Concerto di Mozart e la musica da film, “Le quattro stagioni” di Vivaldi e le canzoni di Serge Gainsbourg. Per ridere o sorridere a suon di musica.

CULTURA

Una mostra su Ugo Nespolo Nella galleria d'arte La Bacheca, via dei Pisani a Cagliari, è visitabile la mostra su uno dei più celebri artisti italiani contemporanei, Ugo Nespolo. Fino al 28 ottobre l'esposizione “1,618 - Il Numero d'Oro è visitabile dal lunedì al sabato, dalle 17.30 alle 20.30.


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IL PORTICO DELLA DIOCESI

IL PORTICO

brevi AD OROSEI

Congresso regionale delle vocazioni Il 10 e 11 novembre si terrà il consueto Convegno Regionale delle Vocazioni all'Hotel Cala Ginepro (Orosei) dal tema “Progetta con Dio... abita il futuro. Quale pastorale vocazionale alla luce del Concilio Ecumenico Vaticano II”. Il relatore sarà mons. Leonardo D'Ascenzo (vice direttore del CNV). Guideranno i diversi Work shop sugli ambiti della scuola, famiglia e parrocchia don Vincenzo Annichiarico (Direttore Nazionale IRC), don Antonio Macrì (Educatore al Seminario di Cosenza e aiutante allo studio dell'UNPF). Il programma prevede per sabato 10 l' inizio lavori alle 10.30 con la prima relazione “Quale pastorale vocazionale alla luce del Concilio Ecumenico Vaticano II”, di mons. Leonardo D'Ascenzo, a seguire la conversazione tra il relatore e i direttori dei Centri diocesani e del direttivo del centro regionale per le vocazioni. Alle 13.30 il pranzo. Alle 15.30 gli arrivi e le sistemazioni dei partecipanti, alle 16.30 il convegno si fa preghiera con la liturgia presieduta da mons. Pietro Meloni. A seguire l'introduzione di don Gianfranco Saba, Rettore del Pontificio Seminario Regionale Sardo mentre alle 18 i Work shop su “Pastorale Vocazionale e IRC”, guidato da Don Vincenzo Annichiarico, “Pastorale Vocazionale e Famiglia” guidato da don Antonio Macrì e “Pastorale Vocazionale e Parrocchia”. Alle 20 la cena seguita da una serata musicale. Domenica 11 novembre alle 8.45 la Celebrazione comunitaria delle Lodi, seguita dalla prosecuzione lavori di Work shop, alle 12 Santa Messa presieduta da mons. Pietro Meloni, al termine il pranzo. Le iscrizioni devono essere fatte comunicando le adesioni entro il 3 novembre al Centro Regionale Vocazioni c/o il Pontificio Seminario Regionale via Mons. Parraguez, 19 09121 - Cagliari, oppure presso il proprio Centro Diocesano.

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Facoltà teologica. Per conoscere meglio Caritas, lo strumento consegnato dal Vaticano II.

Un corso di pastorale della carità per imparare a testimoniare Una nuova opportunità per laici e consacrati, in particolare per quanti operano nella carità: previste lezioni frontali e laboratori nelle opere delle Caritas diocesane MARIA CHIARA CUGUSI A PASTORALE DELLA carità arriva, per la prima volta, anche nelle aule universitarie. La Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna organizza infatti, in collaborazione con la delegazione regionale Caritas, il corso “Modelli dell’azione pastorale: teologia e pastorale della carità”. Obiettivo riscoprire la pregnanza del termine ‘carità’, oggi assimilata alla semplice beneficenza ed elemosina: “La carità spiega don Salvatore Ferdinandi (Caritas Italiana), coordinatore del corso - è la carità di Dio, la agápe della Bibbia, cioè l’amore gratuito con cui siamo stati amati da Dio, che ci ha abilitati a vita nuova, quell’amore che, come cristiani, dobbiamo essere in grado di offrire a quanti incontriamo nella nostra quotidianità, attraverso non solo parole, ma gesti, segni, progettualità”. Il corso, aperto a tutti, è strutturato in quattro moduli, che si svolgeranno durante il primo semestre dell’anno accademico in corso, a partire da lunedì 12 novembre 2012. Tra i temi affrontati, gli aspetti teologico-biblici della carità, la missione evangelizzatrice della Chiesa, il ruolo della Caritas diocesana e del volontariato. “Altro obiettivo - continua don Ferdinandi - è far conoscere la Caritas, lo strumen-

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to consegnatoci dal Concilio Vaticano II per educare a vivere la testimonianza della carità, che è costitutiva dell’essere cristiani”. Un organismo “a scopo prevalentemente pedagogico, di cui dobbiamo insegnare il metodo: ascoltare, osservare e discernere, cioè capire come intervenire attraverso una progettualità condivisa, partecipata, mirante a un obiettivo comune”. Così, proprio nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II, arriva una nuova testimonianza di una Chiesa sempre più calata nel sociale.“Una bella coincidenza - sottolinea don Marco Lai, direttore della Caritas di Cagliari (nella foto a destra) -, per riscoprire la Chiesa della corresponsabilità, dove ogni cristiano deve saper vivere in pienezza la preghiera, l’ascolto della parola, la testimonianza”. Nato come momento formativo per i giovani che si preparano al

sacerdozio, il corso “diventa un’opportunità anche per il laicato - continua don Lai - e in modo particolare per gli operatori della carità, grazie a un progetto di formazione alla vita cristiana, che non può essere solo catechistica e liturgica, ma riguarda la totalità della persona, la dimensione delle relazioni, della prossimità e della giustizia”. Un’iniziativa che coincide anche con l’Anno della Fede, il cui “punto d’arrivo è proprio la testimonianza della carità”. Oltre alle lezioni frontali, saranno organizzate attività di laboratorio e di presenza all’interno delle Caritas diocesane. “La formazione avviene attraverso la conoscenza diretta dei servizi - aggiunge don Ferdinandi -, per vedere come le modalità di risposta ai bisogni possano essere applicate concretamente nel territorio”.

Il corso, articolato in quattro moduli, si svolgerà: - lunedì 12 novembre 2012 (h. 17.10 - 18.55) - martedì 13 novembre 2012 (h. 10.45 - 12.30; 15.15 - 17) - lunedì 19 novembre 2012 (h. 17.10 - 18.55) - martedì 20 novembre 2012 (h. 10.45 - 12.30; 15.15 - 17) - lunedì 3 dicembre 2012 (h. 1710 - 18.55) - martedì 4 dicembre 2012 (h. 10.45 - 12.30; 15.15 - 17) - lunedì 17 dicembre 2012 (h. 17.10 - 18.55) - martedì 18 dicembre 2012 (h. 10.45 - 12.30; 15.15 - 17) È prevista una quota di partecipazione di 20 euro; le adesioni dovranno essere comunicate entro il 31 ottobre 2012. Chi fosse interessato può contattarci all’indirizzo mail: caritas.ca@tiscali.it, oppure ai seguenti recapiti telefonici: 070/52843238, 3398125815.


IL PORTICO DELL’ANIMA

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Associazioni. Il giovane presidente Ivano Argiolas racconta gli scopi di Thalassa Azione

Informazione e sostegno ai talassemici per diffondere nuova consapevolezza

Quale è stata la reazione alla nascita e allo sviluppo della Thalassa Azione? Il nostro grande impegno non è passato inosservato, e sempre più talassemici si sono associati, a oggi si contano 535 tesserati, in tutta l’Isola e non solo. Per questo abbiamo dato il via all’apertura di comitati zonali. Oggi l’associazione è presente ad Olbia, per tutta l’area vasta della Gallura, a Carbonia, Iglesias, San Gavino, Oristano, Marmilla, Sarrabus, Capoterra, Villa San Pietro (Pula e Sarroch). Questi comitati, condividendone la filosofia, stanno lavorando con entusiasmo sui vari progetti. Che altre iniziative proponete? Siamo attivi a 360 gradi: oltre alle iniziative già dette, ci siamo federati

con la UNITED, Federazione Italiana delle Associazioni di Talassemici e Drepanocitici; accompagniamo i soci alle prese con iter burocratici a volte complessi; abbiamo stretto un’ottima collaborazione con l’Avis sia quella regionale che quella provinciale; stiamo programmando delle raccolte di fondi per la ricerca sul trapianto genico, un nuovo e rivoluzionario sistema di cura sperimentale che potrebbe essere, il condizionale e la cautela sono obbligatori, la svolta verso la nostra guarigione; abbiamo richiesto la modifica della Legge Regionale n. 27/83 (ndr: legge che stabilisce la corresponsione di benefici economici a chi ha bisogno di recarsi periodicamente in centri ospedalieri per terapie trasfusionali) per la quale vigono ancora le tariffe di trent’anni fa. Tutto questo senza lesinare l’impegno per cercare di migliorare alcune criticità presenti nei presidi ospedalieri dove veniamo seguiti, specialmente all’ospedale Microcitemico. Ma non trascuriamo i nostri ‘colleghi’. Riteniamo importantissimi gesti semplici come incontrare i nostri amici mentre fanno la trasfusione, visitarli se ricoverati e cerchiamo di incontrarci anche in ambienti diversi dal solito circuito ospedaliero. Abbiamo visto che stare insieme giova sia alla salute interiore che a quella fisica. In tantissimi hanno cambiato l’approccio alle terapie, arrivando a curarsi meglio perché consapevoli di non essere soli in questo percorso.

forza. Per rafforzare questa 'pia e devota' abnegazione di Davide, è stato riportato il testo in cui si narra dell'infame uccisione di IshBaal/IshBoshet e della manifesta innocenza del figlio di Yesse.

Mentre IshBaal riposava nel suo giaciglio due suoi servitori si introdussero nella stanza e lo uccisero a tradimento, mozzandogli la testa. Spesso per ingraziarsi qualche potente si cerca di colpire (con le armi o con la calunnia) i suoi nemici, per poter essere accettati benevolmente. Anche in questo caso, Baanà e Racab vollero portare a Davide la prova concreta della loro fedeltà: la testa del figlio di Saul. Il testo biblico mostra come Davide non volle in alcun modo accettare questo tipo di offerta, ma, al contrario, rese manifesta la sua contrarietà a tale misfatto. 'Ora che uomini scellerati hanno ucciso un uomo giusto in casa sua, sul suo letto, non dovrò chiedere conto del suo sangue dalle vostre mani e eliminarvi dalla terra?". Così Davide diede ordine ai suoi giovani, e questi li uccisero, troncarono loro le mani e i piedi, poi li appesero presso la piscina di Hebron. Presero quindi la testa di Ish-Bosceth e la seppellirono nel sepolcro di Abner a Hebron' (4,11-12). Davide divenne re di entrambi i regni e ad IshBaal venne data una degna sepoltura

Sensibilizzazione alla donazione del sangue, aiuto alla prevenzione e supporto all’inserimento lavorativo, consulenza legale per la tutela dei diritti dei talassemici MATTEO PUSCEDDU HALASSA AZIONE ONLUS è un’associazione regionale nata a fine 2011 per dare una risposta ai tanti talassemici che, diventati adulti, hanno preso coscienza della loro malattia e hanno deciso di rappresentarsi da soli. Abbiamo intervistato il Presidente, Ivano Argiolas. Quali sono i principali obiettivi della Thalassa Azione? Ci siamo proposti fin da subito di dare un supporto concreto a vari livelli: la sensibilizzazione alla donazione del sangue, anche attraverso programmi di scolarizzazione; servizi di sostegno e informazione riguardanti sia gli aspetti medici e scientifici sulla prevenzione e sulla cura della malattia che l'inserimento sociale e lavorativo; supporto legale per la tutela dei diritti dei talassemici. Fondamentalmente, ci occupiamo di noi stessi, come diciamo nello spot che abbiamo realizzato per promuovere la cultura della donazione del sangue. Avete anche ideato i “Raduni del

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Cuore”, sabato 6 ottobre si è svolta l’ottava edizione. Raccontaci questa iniziativa. Donare è un atto d’amore, per cui abbiamo deciso di creare delle occasioni di incontro tra noi talassemici e i donatori, che ringraziamo col gesto simbolico di offrire loro la colazione, poca cosa rispetto al fatto che loro ci danno la possibilità di vivere. Queste manifestazioni si sono svolte grazie alla collaborazione con il Centro Trasfusionale dell’Azienda Ospedaliera Brotzu, e sono state di grande impatto, hanno coinvolto appassionati di auto e moto, società sportive e adesso anche aziende. Infatti, dopo l’ultimo raduno con lo staff di Tiscali, sabato 27 ottobre sarà la volta dei dipendenti del call center di Sky.

PERSONAGGI DELLA BIBBIA

IshBaal di MICHELE ANTONIO CORONA

avide aveva ormai il cammino spianato verso il trono: il popolo l'amava, Gionata era morto con Saul, Dio era con lui. Cos'altro poteva intralciare la sua definitiva consacrazione a re di Giuda e d'Israele? Ancora un figlio di Saul era vivente ed era stato costituito dal generale Abner re del paese settentrionale, Israele (2Sam 2,8-10). La terra promessa era, pertanto, divisa in due parti: Giuda, al sud, sotto il potere di Davide, mentre, Israele, a nord, era governato dal figlio di Saul. Davide mostra immediata insofferenza per la situazione ed invia dei messaggeri per imporre al giovane beniaminita un ordine perentorio: 'Restituisci mia moglie Mikal, a cui mi fidanzai per cento prepuzi di Filistei' (3,14). Il re di Giuda pretende ciò che Saul aveva solo promesso, senza però concederlo. È un forte segno di predominio almeno psicologico

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nei confronti di IshBaal. Il nome del figlio di Saul non è certo molto piacevole dal momento che significa 'uomo di Baal', cioè il dio più rappresentativo dei filistei. In altre parole, sul trono del popolo di Dio è stato messo un uomo che porta il nome dell'emblematico dio tentatore filisteo. Un lettore avvertito di tale etimologia non può che sperare che il regno di questo giovane finisca nel più breve tempo possibile poiché è quasi un segno blasfemo nei confronti del Dio salvatore, YHWH. Forse per questo motivo in altri testi il suo nome è trasformato in IshBoshet, cioè uomo di vergogna. Il testo biblico è stato un laboratorio di continua lettura e rilettura della storia alla luce dell'opera di salvezza di Dio. Sebbene, come detto, Davide desiderasse ottenere pieni poteri sui due regni, non si riporta alcun ordine di togliere al figlio di Saul il potere o la

IL PORTICO

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detto tra noi A proposito di confraternite di D. TORE RUGGIU

Mercoledì 10 ottobre, su un quotidiano locale, è comparso un articolo riguardante la mancata benedizione degli abiti dei confratelli e consorelle, da parte del parroco e del vescovo, nella parrocchia di Sanluri. Nonostante la pacatezza dell'articolo, sono doverose alcune precisazioni, tanto più che simili episodi si ripetono, anche il altre parrocchie, così come i problemi riguardanti i comitati delle feste religiose e civili in onore della Madonna e dei Santi. Trattandosi di problemi legati alla vita della comunità parrocchiale, ci si dovrebbe riferire alle norme della Chiesa, i cui responsabili sono i vescovi e i parroci. E invece no! Gli equivoci nascono da intromissioni di persone o enti che non hanno nulla a che vedere con le autorità ecclesiastiche, delle quali, di fatto, vogliono prendere il posto per legiferare. Diciamolo subito e francamente mancano statuti e regolamenti che chiariscano le problematiche e diano precise direttive per confraternite e comitati. Sarà questo, certamente, uno dei nodi più urgenti da affrontare nelle prossime riunioni del nuovo consiglio presbiterale, magari su proposte chiare e precise da parte dei sacerdoti delle diverse foranie. Ma torniamo al problema della mancata benedizione degli abiti di confratelli e consorelle di Sanluri. Va precisato che la vestizione è il punto di arrivo del cammino, non quello di partenza. Nel senso che, non essendoci ancora uno statuto diocesano, dobbiamo attendere l'approvazione e l'emanazione da parte del Vescovo. A questo, seguirà una catechesi mirata (una sorta di “noviziato”) ed, infine, si svolgerà una celebrazione all'intero della quale verranno accolti ufficialmente confratelli e consorelle, che si assumeranno diritti e doveri e, contestualmente, verranno benedetti e indossati abiti e distintivi di ciascuna confraternita. Quindi, come si vede, non si tratta di benedire stoffe e/o oggetti, anche preziosi, ma di fare un cammino previo che stabilisce la Chiesa. Le regole, le modalità e le condizioni per far parte di una confraternita, le stabilisce esclusivamente l'autorità ecclesiastica. Le autorità civili, come le associazioni che si occupano di altro, non hanno il diritto di interferire, così come non interferisce l'autorità ecclesiastica nei loro programmi e/o iniziative di vario genere. Altro è collaborare, e altro invadere i campi con la pretesa di dettare legge. Quindi: patti chiari, amicizia lunga. A ciascuno il suo compito. Sul fatto, poi, di ricorrere al giornale, magari con l'intento di intimorire, è bene che si sappia che non solo non ci intimoriamo, ma ci divertiamo perfino a rispondere educatamente e con un pizzico di ironia. Ma sì, prendiamo la cosa con allegria, anche se è triste questo modo di procedere. Speriamo che tutto finisca qui altrimenti, per amore della verità e della giustizia, che sono sorelle della carità, non rinunceremmo al sacrosanto e naturale diritto di difesa. Anche ricorrendo a vie legali, se le accuse fossero calunniose o diffamatorie e, quindi, lesive della onorabilità delle persone.


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IL PORTICO DELLA DIOCESI

IL PORTICO

Iniziative. La messa di mons. Miglio segna una data importante per la Chiesa.

Al via il nuovo anno seminaristico del Pontificio Regionale Sardo FRANCO CAMBA ERCOLEDÌ 17 ottobre, con una solenne Celebrazione Eucaristica presieduta da monsignor Arrigo Miglio, presidente della Conferenza Episcopale Sarda e Arcivescovo di Cagliari, segna la data dell’inaugurazione del nuovo Anno Seminaristico 2012-2013 del Pontificio Seminario Regionale Sardo. Un nuovo anno che si presenta ricco di iniziative rivolte non solo agli alunni del “Regionale”, che da quest’anno conta al suo interno anche gli alunni della diocesi di Cagliari, ma anche a quanti desiderano vivere più da vicino il proprio legame con questa importante istituzione formativa della Chiesa sarda. In realtà le attività hanno avuto inizio da oltre un mese. Infatti, nella prima settimana di settembre, l’intera équipe formativa del Seminario è stata impegnata nei lavori di programmazione, con la supervisione di don Vittorio Gambino, docente emerito di Pedagogia vocazionale dell’Università Salesiana. Successivamente, a metà settembre, gli alunni che hanno iniziato il Primo Anno di Teologia si sono ritrovati presso la Casa di Spiritualità “Mons. Angioni”, in località San Gregorio, dove hanno trascorso alcuni giorni di introduzione generale alla vita formativa del Seminario Maggiore. Si è trattato di un laboratorio intensivo per presentare le figure educative, la struttura formativa del Seminario e della Facoltà Teologica, e per trascorre-

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curiosità SETTIMANALE DIOCESANO DI CAGLIARI Registrazione Tribunale Cagliari n. 13 del 13 aprile 2004

Direttore responsabile Sergio Nuvoli Editore Associazione culturale “Il Portico” via Mons. Cogoni, 9 Cagliari Segreteria e Ufficio abbonamenti Natalina Abis- Tel. 070/5511462 Segreteria telefonica attiva 24h- su 24h e-mail: segreteriailportico@libero.it

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re alcuni giorni di amicizia e di fraternità utili “per rompere il ghiaccio” della prima conoscenza. A seguire, dalla sera del 24 al mattino del 29 settembre tutti gli alunni sono stati impegnati negli esercizi spirituali presso la Casa “Santa Luisa” a Sassari. Le riflessioni teologico-spirituali sono state guidate don Francesco Cosentino, docente di Teologia Fondamentale e studioso della figura di Henri De Lubac. Il tema degli esercizi, “Il seminario, comunità di fede”, ha introdotto così nell’Anno della Fede, indetto dal Santo Padre Benedetto XVI. Dal 1° al 4 ottobre l’intera comunità, sotto la guida di monsignor Gian Franco Saba, Rettore del Seminario (nella foto a destra), è stata impegnata a Fonni, alla stesura del programma comunitario annuale, del calendario generale e

dei calendari delle attività dei gruppi di servizio e dei nuclei d’interesse, mentre il 5 ottobre ha partecipato a Cagliari all’inaugurazione dell’Anno Accademico della Facoltà Teologica. «L’Anno Seminaristico appena avviato – afferma monsignor Gian Franco Saba – sarà particolarmente attento ad approfondire tematiche ed esperienze sulla fede e sulla riscoperta dei testi e dello spirito del Concilio Vaticano Il, nel cinquantesimo anniversario della sua apertura, come “bussola che orienta i nostri itinerari formativi”». Per questo, tra le diverse iniziative in programma assumono un particolare rilievo i “Giovedì del Seminario”, che rientrano in un Programma condiviso con la Facoltà Teologica e la Diocesi di Cagliari,

dal titolo “Educare nella Fede rileggendo il Concilio Vaticano II. Personaggi, scritti e prospettive”. «Il primo incontro – prosegue monsignor Saba – è in programma il prossimo 8 novembre, alle ore 17. Relatore sarà il professor Gianluigi Pasquale, docente di Teologia sistematica presso la Pontificia Università Lateranense, nello “Studium Generale Marcianum” e nello studio Teologico “Laurentianum” di Venezia e Milano. Il tema dell’incontro, rivolto non solo agli alunni del Seminario, ma a anche ad appartenenti al mondo universitario cittadino, a gruppi, movimenti ed associazioni ecclesiali, è “Jean Daniélou: ritorno alle fonti, apporto al Concilio Vaticano II e il metodo per comprendere la storia contemporanea”».

Stampa Grafiche Ghiani - Monastir (CA) Hanno collaborato a questo numero: Roberto Piredda, Tore Ruggiu, Andrea Busia, Paolo Lojudice, Enrico Murgia, Vittorio Pelligra, Franco Camba, Giovanni Lorenzo Porrà, Francesco Furcas, Susanna Mocci, Matteo Venturelli, Maria Chiara Cugusi, Matteo Pusceddu, Roberto Comparetti. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a Associazione culturale Il Portico, via mons. Cogoni, 9 09121 Cagliari. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata (L. 193/03).

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