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DOMENICA 13 OTTOBRE 2013 ANNO X N.
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SETTIMANALE DIOCESANO
DI
€ 1.00
CAGLIARI
Il Papa in preghiera ad Assisi.
Lasciamoci giudicare + ARRIGO MIGLIO
n molti abbiamo seguito con attenzione, venerdì 4 ottobre, il pellegrinaggio di Papa Francesco ad Assisi, rivivendo l’esperienza ancora molto viva della sua visita a Cagliari e cercando di cogliere somiglianze e differenze, per capire sempre meglio la figura e il messaggio di questo Papa. Personalmente sono stato molto colpito da un particolare: era la prima volta che Papa Bergoglio visitava Assisi, così come era la prima volta che visitava Bonaria, il 22 settembre scorso. Per Assisi sono rimasto più colpito, perché immagino che sia stato uno dei pochissimi cardinali, se non l’unico, a non esserci mai stato: in fondo Assisi non è lontano da Roma. Questo ci dice molto su Papa Bergoglio, sulla parsimonia dei suoi viaggi, anche da Cardinale, e sull’essenzialità che ha caratterizzato tutta la sua vita. Questo ci conferma inoltre la novità del suo sguardo sull'Italia, Roma compresa, avendo egli detto più volte che di Roma conosceva poche cose. E allora: come ci vede Papa Francesco? Come vede le nostre chiese e il nostro mondo, lui che viene “quasi dalla fine del mondo”, dall'altro emisfero della terra? Lasciamoci interrogare da questa domanda, non solo per curiosità
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ma perché il suo sguardo, cattolico e latinoamericano, sulle nostre chiese ora è lo sguardo di Pietro, di colui che il Signore ha chiamato a guidare la sua Chiesa. Che la sua sia una visione “capovolta” della nostra realtà rispetto ad una visione eurocentrica lo sta dicendo egli stesso giorno dopo giorno, con la pacatezza che abbiamo imparato a conoscere ma con altrettanta chiarezza e determinazione. A qualcuno dà fastidio questo sguardo nuovo e sincero di Pietro – Francesco, unito all’identikit di Chiesa che ci sta declinando. Eravamo disposti a farci le nostre autocritiche, magari ad autoflagellarci, ma sempre dai nostri punti di vista. Ora invece il Vescovo di Roma ci porta lo sguardo del Vangelo attraverso gli occhi delle chiese latino americane, che ci restituiscono gli aiuti ricevuti non solo e non tanto inviandoci personale religioso ma soprattutto ridicendo a noi le parole del Vangelo, che in loro ha messo radici e fruttifica (come spesso scriveva san Paolo alle sue chiese) e oggi diventa per noi chiamata a conversione. Con lo sguardo delle chiese latinoamericane sentiamo su di noi gli occhi di tutte le giovani chiese dell’emisfero sud, quello delle maggiori povertà: occhi che ci interrogano e ci disturbano. Viviamo una situazione capovolta: nell'ottobre missionario eravamo abitua-
ti a dare, a considerare le chiese del sud del mondo destinate solo a ricevere: il Vangelo, gli aiuti materiali, le nostre tradizioni, i nostri esempi… Attraverso Papa Francesco ci viene restituito il Vangelo – quasi una redditio Evangelii – che ci chiede di lasciarci mettere in questione, di lasciarci giudicare senza paura dalla Parola vivente. Questo primo ottobre missionario con Papa Francesco è l’inizio di un tempo nuovo e ci guida a vivere in modo nuovo la dimensione cattolica della Chiesa. Ne usciremo ridimensionati e purificati. In questa prospettiva possiamo meglio comprendere e accettare quale Chiesa il Papa ci chiede di essere: non autoreferenziale, disposta a cambiare, capace di uscire, di visitare le periferie, di curare le ferite, di spogliarsi del superfluo, di camminare insieme pastori e popolo. Proprio queste ultime parole furono le prime pronunciate le sera del 13 marzo. Ad Assisi Papa Francesco nella Cattedrale di San Rufino ha detto che un Vescovo e un parroco non possono guidare la loro comunità senza il Consiglio Pastorale. Proviamo a raccogliere anche questa sana provocazione, che non è un’invenzione di Papa Francesco! Sarà uno dei nostri impegni per l'anno pastorale, un primo passo per essere una Chiesa come il Vicario di Cristo ci chiede di essere.
SOMMARIO SOCIETÀ
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Da Anne-Marie Libert parole chiare su coscienza e genere CHIESA
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La visita del Papa sulle orme di Francesco: cronaca e commento EVENTI
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Gianni Loy commenta la tragedia dei migranti annegati a Lampedusa DIOCESI
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Convegno pastorale, i temi e le conclusioni dell’Arcivescovo ASSOCIAZIONI
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Gli ottant’anni del Meic celebrati a Cagliari, dove nacque
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iL Portico
IL PORTICO DEL TEMPO
doMenicA 13 ottobre 2013
L’intervista. Parla Anne-Marie Libert, da più di trent’anni collaboratrice di Michel Schooyans, esperto di bioetica.
La coscienza è la legge di Dio inscritta in ognuno Serve la Rivelazione per separare il bene dal male La Chiesa ricorda a tutti il messaggio del Vangelo: la condivisione con i più poveri inizia dall’educazione, dalla cura verso i malati e dalla difesa dei diritti: ma tutto in nome di Cristo MASSIMO PETTINAU NNE-MARIE LIBERT insegna religione cattolica in una scuola pubblica di Liegi (Belgio) ed è docente invitata al Seminario di Namur. Da più di trent’anni collabora con il professor Michel Schooyans, docente emerito all’Università Cattolica di Lovanio e autore di fondamentali testi sui temi della demografia, della bioetica e del rispetto dell’essere umano dal concepimento alla morte. Proprio Michel Schooyans (nella foto qui accanto), in collaborazione con Anne-Marie Libert ha pubblicato Terrorismo dal volto umano per le edizioni Cantagalli di Siena. Alla professoressa Libert abbiamo chiesto di illustrarci alcune questioni che politica e mass-media trattano con apparente superficialità e reale determinazione e che ascoltiamo o leggiamo spesso senza conoscere nei dettagli radici e obiettivi più o meno evidenti. “L’ideologia di genere” sembra essere adesso l’unico riferimento per i diversi Stati chiamati ad approvare leggi su questioni riguardanti il futuro della famiglia e le richieste degli omosessuali. Qual è la radice di questa ideologia e come si è potuta sviluppare così diffusamente? L’ideologia di genere (gender) è apparsa negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60. Ma è nel corso della IV Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite sulla donna, che ha avuto luogo a settembre del 1995 a Pechino, che il termine “genere” ha fatto parlare di sé a livello internazionale. La definizione che viene data di solito dice: ”Il genere si riferisce alle relazioni tra uomini e donne basate su ruoli socialmente definititi che si assegnano all’uno o all’altro sesso”. L’identità sessuale maschile o femminile sarà dunque una pura costruzione sociale imposta all’individuo e che non necessariamente corrisponderà al desiderio reale del soggetto. Gli ideologi del genere analizzano la cultura occidentale e spiegano che essa è caratterizzata dal “patriarcato”. L’eterosessualità che si sviluppa dal matrimonio monogamico è il suo modello di riferimento. Per le femministe del genere bisogna deco-
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struire i modelli sessuali tradizionali imposti dalla società. L’ideologia del gender si basa, tra le altre, su un’interpretazione marxista della storia. Noi sappiamo che, secondo Marx, la lotta di classe per antonomasia è stata quella che oppose capitalisti a proletari. Per Engels, suo collaboratore, la lotta è prima di tutto quella che oppone l’uomo – il padrone – e la donna – la sua schiava -. La famiglia eterosessuale e monogamica sarà il luogo, per eccellenza, dello sfruttamento e dell’oppressione della donna a cui il maschio impone delle maternità insopportabili. Occorre passare attraverso la distruzione della famiglia eterosessuale e monogamica per permettere l’emergere di uomini e donne nuovi, liberi da tutte le forme di oppressione, pronti a giocare i ruoli sessuali conseguenti a ciò che avranno scelto. A partire da quel momento, tutti gli orientamenti sessuali sono possibili: eterosessuali, omosessuali, lesbiche, transessuali, sado-masochisti, feticisti, travestiti, ecc… Secondo l’ideologia del gender, io mi costruisco in ogni momento, secondo le mie proprie scelte. Io decido in piena autonomia la mia maniera di pensare e di vivere. Il piacere sessuale non dovrà essere intaccato da alcun intralcio e divieto. Tutto ciò che si oppone alla mia ricerca del piacere erotico dovrà essere eliminato. E’ dunque logico che gli ideologi del gender militino in favore della contraccezione e dell’aborto. La vita sociale così viene distrutta. Fondare una coppia è logicamente impossibile perché ciascuno dei due può in ogni momento dirsi diverso da quello che era quando aveva incontrato l’altro. Formare una famiglia duratura è così impossibile. Le parole non traggono più il loro significato dalla realtà che esprimono. Termini come “matrimonio”, “famiglia”, “padre”, “madre” perdono tutto il legame con il mondo reale. In questo modo il
legislatore dà alle parole il significato che lui decide. Non si sa più cosa è cosa. E per cercare di capire è apparso un nuovo linguaggio. Non si parla più unicamente di genitori ma anche di co-genitorialità, di omogenitorialità, di madre per altri, di genitore biologico, di genitore legale, di genitore sociale. Noi viviamo in un mondo di confusione, di caos, in cui il bambino e l’adolescente avranno difficoltà a trovare il loro posto. Tradizionalmente, il bambino si costruisce grazie a dei punti di riferimento. L’ideologia del gender sopprime tutti i riferimenti. L’assenza di riferimenti stabili è sorgente di violenza nella società. La Corte Suprema degli USA ha dichiarato che il matrimonio non è solo tra uomo e donna. Questa sentenza può diventare un modello per i Parlamenti delle altre Nazioni chiamati a decidere sulle nozze tra persone dello stesso sesso? Noi abbiamo visto che, secondo l’ideologia di genere, il matrimonio non deve più essere inteso esclusivamente come l’unione tra un uomo e una donna. Noi allora possiamo constatare come ora malthusianesimo, neo-malthusianesimo e gender sono legati. Nel 1798 Thomas Robert Malthus aveva agitato lo spettro della sovrapopolazione e delle sue conseguenze, le carestie. Per evitare la catastrofe annunciata, i neomalthusiani hanno proposto una soluzione “miracolosa”: la contraccezione, a cui attualmente si associa anche l’aborto. Il discorso ideologico neo-malthusiano, spesso unito alla paura della sovrapopolazione, soprattutto nei paesi poveri, trova un’eco favorevole negli Stati Uniti, paese contrassegnato dall’idea secondo la quale l’America deve illuminare il mondo nella difesa dei suoi propri interessi. La Federazione Internazionale per la Pianificazione Familiare (IPPF), Population Council, Fondazioni come la Ford, Gates, Packard, Turner, Rockefeller, agenzie dell’Onu come l’Organiz-
zazione Mondiale della Sanità (OMS), l’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), associazioni come la Elders, organismi come lo USAid, hanno tutte lo stesso fine: il contenimento della popolazione mondiale grazie alla contraccezione e all’aborto. Somme folli sono stanziate ogni anno per la ricerca destinata a trovare metodi contraccettivi e abortivi ancora più efficaci. Uno dei canali attuali di questa ideologia di morte è l’ideologia del gender, che nega le specificità della donna e dell’uomo. Dei nuovi modelli di unione tra esseri umani dovranno essere proposti – ed anche sottilmente imposti – al mondo. E’ facile prevedere che le potenti lobby nordamericane favorevoli all’aborto utilizzeranno l’ideologia del gender per far passare le loro idee sul controllo delle nascite nei paesi poveri. Quanto all’Europa, abituata da lungo tempo a queste idee, è entrata nell’inverno demografico. La Vita e la Famiglia sono al centro di un attacco che non sembra destinato a cessare. Chi c’è dietro questa scelta pianificata che mira alla distruzione di tante vite innocenti e di famiglie che provano a vivere la loro vocazione cristiana nel matrimonio? Nella precedente risposta abbiamo citato alcuni nomi di movimenti ed organismi che hanno tutti un fine ben preciso: limitare la popolazione mondiale, soprattutto nei paesi poveri, anziché condividere le ricchezze. Di fronte a questa attitudine di rifiuto della vita la Chiesa cattolica ricorda il messaggio del Vangelo: la condivisione con i più poveri parte dall’opera di educazione, dalla cura verso i malati, dalla difesa dei diritti di ciascuno, tutto nel nome di Gesù Cristo. Evangelizzazione e cura verso il prossimo sono inscindibili. Tra l’altro la Chiesa cattolica ha sempre difeso l’idea secondo la quale la formazione di un essere umano avviene in primo luogo in famiglia, piccola chiesa in seno alla grande Chiesa. La Rivelazione divina raggiunge il pensiero di filosofi come Hannah Arendt (foto a destra). Nel suo libro dedicato al sistema totalitario, Hannah Arendt scrive che i movimenti totalitari hanno bisogno di una massa composta di individui isolati, atomizzati: “La principale caratteristica dell’uomo massificato non è la brutalità o il ritardo mentale, ma l’isolamento e la mancanza di rapporti sociali normali”. Questi individui non sono legati da alcun interesse comune. Per arrivare a questi risultati, l’individuo è stato completamente isolato, senza alcun legame sociale con la famiglia, gli amici, i com-
pagni, i conoscenti. E’ la ragione per cui tutte le dittature cercano di distruggere la famiglia, luogo d’amore, di aiuto reciproco e di costruzione dell’essere umano. Rimanendo isolato, l’essere umano diventa un giocattolo manipolabile facilmente. Il messaggio della Chiesa difende la famiglia e la vita. E’ il motivo per cui la Chiesa subisce attualmente tanti attacchi. Occorre screditare l’istituzione e i suoi membri al fine di screditare il suo messaggio! I cattolici sono sempre più incerti rispetto alle scelte concrete da attuare in campo sociale e politico. La fede e la dottrina sociale della Chiesa, con il richiamo alla conseguenza pratica sulle decisioni quotidiane, si scontra con la dittatura della coscienza individuale e dei suoi riferimenti al mondo di oggi. Quale può essere la strada su cui i cattolici possono ritrovare la pienezza della loro scelta di fede in accordo con le esigenze della loro vita personale e sociale? Il primo argomento che fu avanzato per opporsi all’enciclica Humanae Vitae (di Paolo VI) è che “bisogna seguire la propria coscienza” anche contro l’insegnamento della Chiesa. San Tommaso viene abbondantemente citato: “Agire contro la propria coscienza è peccato”. Lo stesso argomento è stato utilizzato per giustificare l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione artificiale. Ma cosa vuol dire: “seguire la propria coscienza”? La coscienza è la legge di Dio inscritta in ciascuno di noi. Considerato che noi siamo stati creati liberi da Dio, noi possiamo con la nostra ragione riflettere su cosa è bene e cosa è male. Ma Dio ha voluto illuminarci ancora di più. E’ per questo che si è rivelato a noi in pienezza. La Rivelazione culmina nella Legge evangelica, legge dell’amore di Dio e del prossimo. Ci sono dei valori non negoziabili che non possono mai essere rimessi in discussione. Il rispetto della vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte è uno di questi.
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IL PORTICO DEGLI EVENTI
iL Portico
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Visita ad Assisi. Ripercorriamo i momenti del viaggio compiuto dal pontefice che porta il nome di San Francesco.
Il Papa esalta la spiritualità francescana: parola di Dio, dinamicità della fede, missione Partendo dagli ammalati, sono stati riproposti i punti più importanti per il francescanesimo: dall’esperienza di Dio la nascita dell’uomo nuovo che attraversa il mondo P. FABRIZIO CONGIU, ofmcap APA FRANCESCO visita Assisi nel giorno della festa di san Francesco. La visita si svolge proprio ripercorrendo le tappe esistenziali del Poverello, oltre che visitando i luoghi più importanti legati alla sua vita, anche dal punto di vista sostanziale dei contenuti. Le piaghe di Cristo infatti, le stesse donate a frate Francesco due anni prima del suo trapasso, sembrano essere il filo conduttore della visita papale. Il pontefice argentino, visitando prima di tutto gli ammalati, ricorda che le persone ammalate o che vivono nel disagio umano sono le piaghe di Cristo. I cristiani devono ascoltare queste piaghe. Gesù è presente in mezzo agli uomini soprattutto attraverso queste piaghe. Il corpo di Gesù risorto ha conservato e mostrato le piaghe. Il Papa si è recato alla tomba di san Francesco dove ha effettuato una commovente sosta di preghiera per qualche minuto. Il pontefice è ispirato e le sue
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parole nella cattedrale di san Rufino - la chiesa nella quale il santo assisiate ha ricevuto il sacramento del battesimo - continuano a evidenziare elementi essenziali di spiritualità francescana: parola di Dio, la dinamicità della vita di fede e la missionarietà. A proposito della parola di Dio egli dice: "Non basta leggere le Sacre Scritture, bisogna ascoltare Gesù che parla in esse”, e Francesco d’Assisi non solo ha ascoltato, ma si può dire che ha incarnato anche nel vero senso della parola il Vangelo. Se si dovesse calcolare una percentuale delle citazioni presenti nei suoi scritti, probabilmente supererebbe la metà del totale. Riguardo alla dinamicità della vita di fede che il pontefice chiama il “camminare”, egli stes-
so ha evidenziato: “…far parte di un popolo in cammino, in cammino nella storia, insieme con il suo Signore, che cammina in mezzo a noi”, e il santo assisano ha messo l’uomo e l’umanità al centro della sua visione di Dio. Una umanità che frate Francesco ha avvicinato nei suoi limiti (la malattia, la guerra, il peccato) senza scandalizzarsi, anzi sapendo trovare in essi la presenza del Signore che cammina in mezzo a noi. E infine Papa Francesco ha fatto cenno alla missionarietà: “…l’importanza di uscire per andare incontro all’altro, nelle periferie, che sono luoghi, ma sono soprattutto persone in situazioni di vita speciale (...) realtà umane di fatto emarginate, disprezzate”. Anche a questo proposito, il Poverello ci
Quel Buon Cammino indicato da Francesco Da Assisi la cronaca del viaggio del Pontefice in Umbria RAFFAELE ARIANTE
arrivato dal cielo vestito di bianco atterrando nei giardini dell’istituto Serafico che accoglie cento ragazzi disabili, i quali sono stati i primi a ricevere il sorriso, le carezze del Papa. La sua Croce di ferro ben evidenzia la sua voglia di essere con gli ultimi.Veloce è passato per le strade della città serafica per raggiungere le chiese tra gli applausi delle persone che avrebbero voluto abbracciarlo, lo stesso abbraccio che Francesco, santo Francesco ha donato all’Altro. Nel Vescovado, nella Sala della Spogliazione, è stato accolto dal Vescovo di Assisi mons. Domenico Sorrentino. La visita alla Cripta di San Francesco è stata molto toccante: il Papa, sempre accompagnato dal Vescovo , si è raccolto in preghiera, in ginocchio e successivamente, nella Piazza inferiore di San Francesco, ha celebrato la Messa con cardinali e vescovi alla
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presenza di una gremita piazza di fedeli provenienti da tutta Italia. L’Umbria è stata chiamata a donare l’olio alla lampada che resta accesa nella Cripta di San Francesco per un intero anno: il prossimo 4 ottobre ci sarà un’altra regione a portare l’olio al protettore dell’Italia. Una Luce per il mondo che Assisi dona quotidianamente a chi desidera respirare il vento della cristianità. Un vento che Papa Francesco ci invita a ricevere, ad accogliere nel nostro cuore, un vento ricco di speranza come nel messaggio che santo Francesco, spogliatosi dei suoi beni, ma prima di ogni altro spogliato per rendesi nudo a Cristo nella sua totalità ed incondizionatamente per gridare al mondo, con una visione globale, quelle due parole che nella loro semplicità raggiungono il cuore, ancora oggi, di milioni di persone, le parole tradotte armai in tutte le lingue del mondo: Pace e Bene, Pax et Bonum. Papa Francesco ha voluto richiama-
re più volte, nei discorsi fatti nelle chiese di Assisi, nelle piazze della città serafica la volontà che deve essere insita nel buon cristiano. Un buon cristiano deve spogliarsi come fece Francesco ed iniziare a ripercorrere la strada dell’amore. La Chiesa umbra, in questo delicato momento, come ha voluto testimoniare la presidente della Regione Umbria Marini, è vicina alle tante famiglie bisognose, una Chiesa che ancora prende esempio da Santo Francesco, forse l’inventore dell’amore universale per il rispetto del Creato. Rispettando il Creato si rispetta se stessi e l’Altro, sembra dirci Papa Francesco nelle sue metafore dirette a cercare di farci cambiare registro di vita in una ricerca dell’essere e non dell’apparire. Noi siamo la Chiesa, ha esordito dal-
ha lasciato un esempio mirabile: innanzitutto la sua idea di seguire il Vangelo in povertà e semplice letizia era già per se stessa una missione all’interno della Chiesa. Una missione che aveva tra le sue finalità quella di non restare chiusi nei monasteri ma di andare per il mondo anche presso i più lontani, sia fisicamente che “spiritualmente”. I francescani, infatti, con san Francesco in testa, sin dagli inizi andarono ad annunciare il vangelo in Medio Oriente e nel Nord Africa, presso i credenti e i non credenti. Ancora il pontefice, parlando ai giovani presenti ad Assisi, ha ricordato che “…All’origine di ogni vocazione alla vita consacrata c’è sempre un’esperienza forte di Dio, un’esperienza che non si dimentica, la si ricorda per tutta la vita! E’ quella che ha avuto Francesco. E questo noi non lo possiamo calcolare o programmare. Dio ci sorprende sempre! E’ Dio che chiama; però è im-
portante avere un rapporto quotidiano con Lui, ascoltarlo in silenzio davanti al Tabernacolo e nell’intimo di noi stessi, parlargli, accostarsi ai Sacramenti”. Anche in questo caso ha fatto esplicito riferimento a Francesco d’Assisi, ricordando il nucleo della vita di fede, e cioè un’esperienza forte di Dio, nella conversione e nella vita sacramentale. San Francesco infatti, come racconta egli stesso nel Testamento, ha vissuto prima di tutto e soprattutto questa profonda esperienza di Dio: “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia”. La conversione di Francesco, che inizia anche grazie all’incontro-scontro con la malattia, lo induce a lasciare l’uomo vecchio immerso nei peccati per camminare verso l’uomo nuovo.
la Sala della Spogliazione, ma noi tutti non soltanto i preti, le suore, i frati, i vescovi, ma noi tutti e tutti insieme dobbiamo amarci l’uno con l’altro: questa è la prima medicina per combattere quel cancro, quella lebbra della società moderna, quella mondanità che ci porta a vivere con superbia, con individualismo e di conseguenza senza amore. Per evidenziare la sua idea di Amore il Papa ha pranzato con gli ultimi, con i poveri all’interno della Caritas a Santa Maria degli Angeli. Nella Cattedrale di Assisi, la chiesa di san Rufino, ha incontrato la popolazione, una sua folta rappresentanza ed ha camminato su di un suggestivo tappeto di fiori realizzato dai giovani della vicina Spello, cittadina tanto cara a Santo Francesco. Una tappa alla Chiesa di santa Chiara per incontrare le suore Clarisse: la piazza era gremita del popolo di Dio che ha accolto il pontefice tra applausi e grida che molti, anzi moltissimi chiamavano per nome, come si chiama un amico per farlo girare e camminare insieme. Ecco cosa ci invita a fare Papa Francesco: un Buon Cammino e a rendere straordinaria la vita di ognuno di noi. Una frase che ho colto e che mi rende felice è quella che Papa Francesco nell’offrire la Speranza ha detto: “Cari giovani, non sotterrate i talenti, i doni che
Dio vi ha dato, non abbiate paura di sognare cose grandi”. Significativo è stato l’abbraccio con i numerosissimi giovani a Santa Maria degli Angeli, provenienti dalla diverse diocesi dell’Umbria e non solo che hanno voluto incontrare il Santo Padre e porgergli alcune domande così come si può fare ad un padre di famiglia e come un padre di famiglia ha risposto Papa Francesco cercando di offrire consigli accompagnati dal suo sorriso. Un sorriso a volte provato, non dalla stanchezza della giornata intensa ormai giunta alla fine, ma dal ricordo delle morti che numerose, in questi ultimi giorni, in questi ultimi tempi abbiamo imparato a conoscere: le morti degli immigrati che trovano nella strada del mare la loro fine nel tentativo di approdare in un porto sicuro, un porto cristiano dove l’accoglienza è parte dell’etica di vita di ogni italiano e prima di ogni altro di ogni cittadino di Lampedusa. Il Santo Padre ha poi volato verso Roma da Rivotorto, ultima sua tappa. Da qui, dal quel Convento dove nacquero i moti francescani Francesco si è alzato in volo sicuramente portando nel suo cuore una straordinaria giornata ricca dell’abbraccio del Popolo di Dio presente numerosissimo in tutto il Buon Cammino che l’Uomo vestito di bianco ha voluto percorrere.
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IL PORTICO DEL TEMPIO
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Il Papa. Al centro della settimana scorsa la storica visita di Papa Francesco ad Assisi.
“La Chiesa offre a tutti la possibilità di percorrere la strada della santità” ROBERTO PIREDDA LL’ANGELUS IL SANTO Padre si è soffermato, a partire dalle letture domenicali, sul dono della fede e sul servizio a Dio e ai fratelli: «tutti conosciamo persone semplici, umili, ma con una fede fortissima, che davvero spostano le montagne! Pensiamo, per esempio, a certe mamme e papà che affrontano situazioni molto pesanti; o a certi malati, anche gravissimi, che trasmettono serenità a chi li va a trovare. Queste persone, proprio per la loro fede, non si vantano di ciò che fanno, anzi, come chiede Gesù nel Vangelo, dicono: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10)». Sempre all’Angelus Papa Francesco ha poi ricordato il mese di ottobre dedicato alla preghiera del Rosario e alle missioni. Al centro della settimana del Papa troviamo la Visita pastorale ad Assisi. Tra i diversi aspetti che sono stati toccati nei vari interventi del Santo Padre ne possiamo mettere in evidenza in particolare tre: l’imitazione di Cristo povero e sofferente, la figura autentica di San Francesco e la vera “riforma” della Chiesa. Il cammino di San Francesco verso Cristo parte dallo sguardo di Cristo in Croce: «lasciarsi guardare da Lui nel momento in cui dona la vita per noi e ci attira a Lui. Francesco ha fatto questa esperienza in modo particolare nella chiesetta di san Damiano, pregando davanti al crocifisso
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[…] E il Crocifisso non ci parla di sconfitta, di fallimento; paradossalmente ci parla di una morte che è vita, che genera vita, perché ci parla di amore, perché è l’Amore di Dio incarnato, e l’Amore non muore, anzi, sconfigge il male e la morte. Chi si lascia guardare da Gesù crocifisso viene ri-creato, diventa una “nuova creatura”. Da qui parte tutto: è l’esperienza della Grazia che trasforma, l’essere amati senza merito, pur essendo peccatori» (Omelia della Messa). Il Papa presenta poi l’esperienza genuina di San Francesco : «in tutta la vita di Francesco l’amore per i poveri e l’imitazione di Cristo povero sono
due elementi uniti in modo inscindibile […] La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”, cioè il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (cfr Gv 13,34; 15,12)» (Omelia della Messa). Il cuore della vera “riforma” della Chiesa per Papa Francesco è il rifiuto della mondanità: «quando nei
media si parla della Chiesa, credono che la Chiesa siano i preti, le suore, i Vescovi, i Cardinali e il Papa. Ma la Chiesa siamo tutti noi, come ho detto. E tutti noi dobbiamo spogliarci di questa mondanità: lo spirito contrario allo spirito delle beatitudini, lo spirito contrario allo spirito di Gesù» (Incontro con i poveri). In settimana nell’udienza ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace per il 50° anniversario della “Pacem in terris” il Santo Padre ha indicato il fondamento della costruzione della pace: «esso consiste nell’origine divina dell’uomo, della società e dell’autorità stessa, che impegna i singoli, le famiglie, i vari gruppi sociali e gli Stati a vivere rapporti di giustizia e solidarietà». Nella stessa occasione il Papa ha anche ricordato la tragedia della morte dei profughi a Lampedusa: «è una vergogna! Preghiamo insieme Dio per chi ha perso la vita: uomini, donne, bambini, per i familiari e per tutti i profughi. Uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie! Solo una decisa collaborazione di tutti può aiutare a prevenirle». All’Udienza generale il Papa ha approfondito il tema della santità della Chiesa: «la Chiesa a tutti offre la possibilità di percorrere la strada della santità, che è la strada del cristiano: ci fa incontrare Gesù Cristo nei Sacramenti, specialmente nella Confessione e nell’Eucaristia; ci comunica la Parola di Dio, ci fa vivere nella carità».
Abbònati a
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pietre COLOMBIA
Uccisi altri due sacerdoti Sdegno dopo l'omicidio del parroco e del viceparroco della parrocchia di San Sebastián di Roldanillo, avvenuto nei giorni scorsi. Secondo il capo della Polizia molto probabilmente gli assassini, almeno due, si sarebbero nascosti nella chiesa parrocchiale prima della chiusura e poi si sarebbero introdotti nella casa canonica, con l'intento di rubare il denaro delle elemosine. I due sacerdoti appartenevano alla diocesi di Cartago: padre Luis Bernardo Echeverry Chavarriaga, parroco della parrocchia di San Sebastián de Roldanillo, 69 anni, ed il suo vicario, padre Héctor Fabio Cabrera Morales, che aveva solo 27 anni ed era stato ordinato l'anno scorso. I funerali si sono svolti nella stessa parrocchia di San Sebastián, e sono stati presieduti da monsignor José Alejandro Castaño Arbelaez, Vescovo di Cartago. REPUBBLICA CENTRO AFRICANA
Nuovo attacco ad una missione Un missionario italiano e un diacono centrafricano sono le ultime vittime dei ribelli Seleka. Padre Beniamino Gusmeroli, missionario italiano valtellinese, e fr. Martial Mengue, diacono centrafricano, nei giorni scorsi “sono stati in balia per tre ore dei ribelli Seleka, che hanno imbavagliato e minacciato di morte il guardiano e sono entrati in casa armati di Kalashnikov”, afferma un comunicato inviato dalla Congregazione Sacro Cuore di Gesù di Bétharram alla quale i due religiosi appartengono. Il fatto è accaduto nella missione di Nostra Signora di Fatima a Bouar (nel nord-ovest della Repubblica Centrafricana). È la seconda missione della diocesi che di notte viene danneggiata in una settimana.
CINA
48 numeri a soli
30 euro
Hanno collaborato a questo numero: Massimo Pettinau, insegnante di religione al Liceo Pacinotti di Cagliari, padre Fabrizio Congiu, docente di teologia spirituale e francescanesimo alla Pontificia facoltà Teologica della Sardegna, Raffaele Ariante, artista nato a Pozzuoli e residente ad Assisi, don Roberto Piredda, Direttore dell’Ufficio diocesano per l’Insegnamento della Religione Cattolica e insegnante di religione al Liceo Dettori, Gianni Loy, professore ordinario di Diritto del Lavoro all’Università degli Studi di Cagliari, Carlo Pilia, professore associato di Diritto privato all’Università degli Studi di Cagliari, Carlo Veglio, giornalista pubblicista, Giovanni Lorenzo Porrà giornalista pubblicista laureato in Filologie e Letterature Classiche e Moderne, don Andrea Busia, studente al Pontificio Istituto Biblico di Roma, Luisa Mura e Stefano Fadda, sposi laici domenicani, don Pasquale Flore, viceparroco a San Pio X, Susanna Mocci, studentessa in Giurisprudenza, Davide Lai, collaboratore dell’Ufficio catechistico diocesano, don Sergio Nuccitelli, direttore dell’Istituto don Bosco di Cagliari, Alessia Corbu, giornalista pubblicista laureata in Scienze politiche, Roberto Comparetti, giornalista pubblicista e vicedirettore Radio Kalaritana, Rosalba Crobu, funzionario Ministero Istruzione, Università e Ricerca, Gianni Piras, parrocchiano di San Vincenzo martire (Orroli), Maria Grazia Catte, catechista della parrocchia SS. Redentore (Monserrato), mons. Tore Ruggiu, Vicario episcopale per la vita consacrata e parroco di N. S. delle Grazie in Sanluri, Lidia Lai, mediatore civile laureata in Lettere moderne. Il direttore della testata, Sergio Nuvoli, è giornalista professionista, laureato in Giurisprudenza e ha un master in Economia e Finanza etica. La tiratura di questo numero è stata di 3745 copie. Il giornale non pubblica, e non ha mai pubblicato, articoli di agenzie di stampa.
90° delle Missionarie del Sacro Cuore Ritorno al carisma originario, rinnovamento, dedizione ed evangelizzazione: sono i quattro temi scelti per le celebrazioni dei 90 anni di fondazione delle suore Missionarie francescane del Sacro Cuore di Gesù, dell'arcidiocesi di Xi An nella provincia dello Shaan Xi, in Cina continentale. Più di 230 religiose sono ritornate alla casa madre dalle loro missioni sparse in tutta la Cina per prendere parte a questo evento. La Messa solenne, concelebrata da una cinquantina di sacerdoti, con la partecipazione di oltre 500 fedeli laici, tra cui i collaboratori delle religiose nella missione e nelle attività pastorali.
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IL PORTICO DEGLI EVENTI
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MEA CULPA. Gli interrogativi più inquietanti dopo l’assurda vicenda dei giorni scorsi nel mare di Lampedusa
In un mondo profondamente diseguale insieme a loro è annegata una parte di noi Tornano in mente le parole del Papa a Cagliari: “Signore, insegnaci a lottare per il lavoro”. Anche il lavoro di questi nostri fratelli, più umile, più rischioso, più sfruttato
la nostra colpa, collettiva, per aver creato un mondo profondamente diseguale. Per essere venuti meno non tanto alla carità, che a volte persino ridonda, ma alla giustizia, che di tutte le virtù è fondamento. Penso ai piccoli e grandi gesti d’eroismo che uomini e donne compiono per aiutare quei nostri fratelli, alla solidarietà di gruppi, alla generosità, spesso sconosciuta, di persone umili. Ma ancor di più
penso agli egoismi che impoveriscono e offendono le popolazioni di vaste aree del mondo, sfruttando e lucrando persino sulla vendita delle armi (anche questo è PIL!). Penso a cosa avrà voluto significare, Papa Francesco, quando ci ha chiesto di pregare così: “Insegnaci a lottare”. Si riferiva al lavoro, al lavoro nostro, a quello dei nostri fratelli disoccupati, ma certamente anche, e soprattutto, al loro lavoro, spesso più umile, più precario, più rischioso, più sfruttato. Al loro lavoro di cui anche noi, spesso, beneficiamo, senza rendercene conto, senza ringraziarli. Ed invece, persino immaginiamo che quegli uomini, quelle donne, quei bambini, mettano a repentaglio la vita per venire a rubarci il lavoro. Senza comprendere che il lavoro non è né nostro, né loro né d’altri. Il lavoro è di tutti, ed a tutti, allo stesso modo, consente dignità. Noi, che ancora lasciamo a credere ai nostri figli che peccato sia rubare la marmellata, glielo dovremmo spiegare, lo capirebbero, che il vero peccato (per credenti e non credenti), è questa mancanza d’amore. Quei fratelli nostri riposeranno finalmente in pace, il mare racconterà loro leggende, farà loro sognare quel paradiso terrestre che sembrava a portata di mano. E noi?
attenzione a non generalizzare. Ci possono essere, infatti, anche imprese grandi e di successo che operano autenticamente perché costituite da imprenditori, manager e lavoratori integri. Valutare in questi casi è certamente più difficile, ma un numero crescente di consumatori si organizza in associazioni che, molto efficacemente, vigilano sull’operare delle imprese. Il ruolo di queste organizzazioni sta diventando sempre più rilevante perché riescono ad informare, anche con i mezzi più moderni, l’opinione pubblica incidendo sulle imprese con risultati a volte davvero straordinari. Quanto questi "gesti di solidarietà", specie in questo periodo di crisi, possono avere un "effetto moltiplicatore" nei confronti di altre imprese che potrebbero essere indotte a fare altrettanto? I gesti di solidarietà sono sempre
importanti. Ma lo sono ancora di più nei momenti di crisi e direi quando sono espressione di una cultura del dare che anima l’operare dell’impresa nella quotidianità. Quando l’impresa opera così si fa apprezzare per ciò che è, non solo per ciò che fa, e diventa imitabile. Perché questo si verifichi è importante che i consumatori crescano nella sensibilità a tali comportamenti e li premino attraverso i loro comportamenti d’acquisto, con un consumo critico e altrettanto responsabile. Al contrario, può esserci una sorta di effetto collaterale della crisi e le aziende essere indotte a non compiere gesti di questo tipo? In questi momenti la paura, la delusione, la sfiducia può portare a chiudersi, ad irrigidirsi, dimenticando che la risorsa più importante dell’impresa sono le persone che in essa operano e quelle che con essa entrano in contatto. È quindi importante averne consapevolezza e non cadere nella trappola dell’individualismo. Aprirsi al dono chiama la reciprocità, ma perché la responsabilità sociale dell’impresa non si fermi alla filantropia e diventi un vero e proprio «orientamento sociale» consolidandosi in gesti che non siano sporadici o sterilmente opportunisti è necessario un cambio di paradigma, pensando all’impresa (e gestendola) come strumento a servizio del bene comune.
GIANNI LOY OME NON DARSI conto che anche una parte di noi è annegata. Laggiù. Neppure troppo lontano, nel mare nostro. Qualcuno dirà persino che se la sono cercata. Se ne fossero rimasti a casa loro. Non sembri troppo crudele ricordare le parole d’odio, allevate nell’ignoranza, che fratelli nostri osano pronunciare persino nel momento dell’agonia. Fratelli, sì. Anche se più fratelli ci paiono quanti hanno visto il loro sogno affogare, e che ora fanno compagnia alle altre migliaia di fratelli e sorelle che riposano nel fondo. Non solo gli annegati del fiume possono sognare. Anche quelli del mare. Quelli che da decenni, ormai, rischiano la vita per venire a rubarci il lavoro. Soprattutto il lavoro di cui ci ver-
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gogniamo, che non vogliamo più fare, quello sotto-retribuito. Anche mio nonno emigrò, clandestino, verso la Francia, dopo la prima guerra mondiale. Mio nonno che pagò non so quanti denari ad uno spallone, oggi si chiamerebbe scafista, che lo condusse in Francia, per impervi sentieri, alla ricerca di un lavoro che gli avesse permesso di sfamare la famiglia rimasta al paese.
Non fosse che per questo (e chi tra noi sardi non porta un’onta simile nel proprio albo genealogico?) mi sento clandestino. Anche per questo, mi sforzo di insegnare ai miei figli ad essere clandestini. Altri morti, ma non voglio parlare di loro. Non sarebbe possibile. Abbiamo il dovere di rispettarli, prima di tutto, evitando di esporre lo strazio in prima pagina. E’ di noi che dobbiamo parlare, del-
“L’impresa al servizio del bene comune” Giuseppe Argiolas: “Serve un cambio di mentalità” SERGIO NUVOLI
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IUSEPPE ARGIOLAS è ricerca-
tore di Economia e gestione delle imprese all’Università di Cagliari. Stimolati dalla recente generosa donazione alla Caritas da parte di una primaria azienda alimentare, con lui abbiamo ragionato sulla responsabilità sociale di impresa (RSI). In termini sintetici, cosa si intende per responsabilità sociale di impresa? Quando si parla di responsabilità sociale si fa riferimento alla capacità dell’impresa di rispondere (respons-abilità) delle proprie azioni alla comunità sociale nella quale essa opera. L’impresa che voglia essere socialmente responsabile si impegna volontariamente a fare “di più” di quanto la legge imponga, investendo maggiormente sul capitale umano, rispettando l’ambiente e condividendo parte dei propri risultati economici, in qualche modo, direttamente o indiretta-
mente, anche con la comunità locale e/o internazionale di cui si sente parte. Cosa spinge, in genere, le aziende ad interessarsi a temi come questo, e - per esempio - a compiere atti di liberalità nei confronti di altri soggetti (siano essi i dipendenti, clienti o altre persone)? I motivi si possono sintetizzare in due categorie: autentici o strumentali. I primi hanno la loro origine in principi etici e culturali di cui imprenditori e lavoratori sono portatori. Sono animati da motivazioni intrinseche, non legate cioè all’attesa di una qualche ricompensa. Fanno ciò che ritengono sia buono e giusto fare. I secondi invece sono spinti da motivazioni estrinseche, da logiche da tornaconto, per cui pongono in essere queste azioni se e solo se da esse scaturirà una qualche utilità per l’impresa. Che funzione hanno le certificazioni in questo campo? Far attestare da soggetti terzi il fat-
to che essa operi secondo gli standard di responsabilità sociale dichiarati. E' diffusa la sensazione che un'azienda possa compiere una grossa donazione, qualificandola all'interno della più generale RSI, al solo scopo (reale, ma nascosto) di "farsi pubblicità". Come può il consumatore accertarsi che lo scopo non è solo quello? Un criterio importante è quello della coerenza tra pratiche esterne ed interne. In genere le micro, piccole e medie imprese operano in modo socialmente responsabile perché si sentono parte integrante del territorio. Gli imprenditori di queste realtà sono ben conosciuti da tutti coloro che in qualche modo entrano in contatto con loro: difficilmente possono “barare”. Altra cosa, invece sono le grandi imprese. Lì le finalità strumentali la fanno – spesso – da padrona. Ma
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iL Portico
IL PORTICO DEL TEMPO
DOMENICA 13 ottobre 2013
Dopo la Visita del Papa. continua la nostra rilettura delle parole pronunciate dal Pontefice a cagliari durante gli incontri.
Il valore e la dignità del lavoro per permettere a tutti di portare il pane alla propria famiglia
tro la logica dello “scarto”, ossia dell’abbandono e del rifiuto dei più deboli e indifesi, quali sono i giovani e i vecchi, oramai estromessi dai processi lavorativi e perciò dalle relazioni familiari e sociali. Da un lato, ben due generazioni di giovani non hanno ancora fatto ingresso nel mondo lavorativo e, dall’altro lato, una sempre più vasta fascia di persone hanno perso l’occupazione senza riuscire a riprenderlo malgrado siano in età lavorativa. Ammonisce il Papa, tutti dovrebbero essere messi in grado di lavorare, in modo da portare a casa il pane per alimentare se stessi e la propria famiglia. In questo senso, è stato importante richiamare la stessa vita di Gesù Cristo che ha avuto un lavoro, è
stato falegname. I percorsi della crisi e della ricerca di lavoro, peraltro, accompagnano le prime visite pastorali in Italia del Papa e, per tanti versi, la sua stessa esperienza familiare e personale. Prima di raggiungere la Sardegna, infatti, il Pontefice è stato a Lampedusa, altra realtà isolana di marginalizzazione e profonda sofferenza, nella quale accanto alle difficoltà interne si registrano i drammi internazionali di vite e morti delle moltitudini di persone provenienti dall’Africa che si spostano alla ricerca di lavoro. La storicità di questi processi di migrazione, che hanno direttamente coinvolto l’Italia, trova esemplare testimonianza nella vita di Papa Francesco, figlio di genitore italiano che all’inizio del secolo scorso dal Piemonte si è trasferito in Argentina per ragioni di lavoro. Un percorso migratorio comune a tantissimi altri connazionali che hanno dovuto abbandonare la terra natale per cercare lavoro all’estero. Una vicenda migratoria che, con drammatica evidenza, si ripropone di nuovo a fronte della presente situazione di crisi occupazionale che colpisce tantissimi italiani. Tanti, tantissimi sardi nei primi del novecento avevano lasciato l’Isola alla volta dell’Argentina. Tra essi, mi piace ricordare l’esperienza di mio nonno Giuseppe che,
giovane agricoltore ogliastrino, aveva raggiunto Buenos Aires per trovare occupazione nella lavorazione delle vigne argentine, per essere in breve rimpatriato per partecipare come soldato alla sopraggiunta prima guerra mondiale. L’esperienza lavorativa del Papa, peraltro, non si esaurisce nella dimensione religiosa legata al sacerdozio, e risulta anche sotto questo aspetto esemplare. Dalle notizie di cronaca si apprende che lo stesso è un perito industriale, chimico per la precisione. La notazione è importante, ancora una volta, perché dimostra l’universalità del valore del lavoro e delle professionalità operanti nell’area tecnica, in tutti i settori e in ogni area geografica del pianeta. In questo senso, merita di essere altresì segnalato come il Collegio dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati di Cagliari, su iniziativa del presidente Vittorio Aresu, abbia conferito al Papa Francesco il titolo ad honorem di perito industriale. Il gesto assume un valore simbolico molto importante, in quanto vuole significare la vicinanza del mondo lavorativo e delle professioni al Papa e la piena condivisione dell’importanza dell’attività lavorativa per la realizzazione dell’essere umano, per la dignità e il benessere non solo economico delle persone.
principali che hanno portato ad un confronto sulla Parola di Dio e sulla vita cristiana. Anche i laboratori proposti agli adulti, sulla responsabilità in AC, nella Chiesa e nella società, hanno portato ad un dialogo ed una progettazione di iniziative per il prossimo e per gli anni futuri. Non sono mancati, inoltre, momenti di animazione e continui
riferimenti e approfondimenti riguardo alle parole che papa Francesco ha pronunciato in occasione della sua visita a Cagliari del 22 settembre, efficaci e, al tempo stesso, forti ed esigenti. Così come quanto scritto nella Lumen Fidei, la lettera enciclica del sommo pontefice ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici sulla
fede, “raccontata” dall’assistente e “approfondita” dagli adulti. L’occasione di incontro della “due giorni” è stata, quindi, una bella e positiva esperienza associativa che ha visto tutti i soci soddisfatti e pronti ad impegnarsi in modo più consapevole ed efficace nella formazione e nel cammino della Chiesa, nell’ottica della corresponsabilità.
Davanti ai lavoratori riuniti nel Largo Carlo Felice, Papa Francesco ha voluto ricordare anche il lavoro di Gesù, evidenziando così per ognuno l’irrinunciabilità dell’esperienza lavorativa CARLO PILIA
iMPORTANZA E I TANTI significati della recente visita in Sardegna di Papa Francesco, a distanza di alcune settimane, si percepiscono più chiaramente anche nell’invito collettivo a riflettere sulle strategie globali che si dovrebbero adottare per fronteggiare la difficile situazione di crisi che colpisce l’intero mondo del lavoro. Tutti i rappresentanti delle istituzioni isolane, oltre che delle forze politiche, sociali ed economiche accorse a ricevere a Cagliari il Santo Padre hanno segnalato la drammaticità della realtà occupazionale regionale. Nella mattinata di domenica 22 settembre sono risuonate le parole toccanti pronunciate davanti al Pontefice dai tre lavoratori, un cassintegrato, un’imprenditrice e un
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pastore, che hanno raccontato le loro difficoltà quotidiane. Esse rispecchiano in modo esemplare le tormentate vicende lavorative comuni a tantissime persone, non solo della Sardegna, dell’Italia, dell’Europea e dell’intero pianeta. Il dialogo del Papa con i lavoratori offre immediata consapevolezza del valore fondamentale che il lavoro assume per garantire la dignità e la speranza degli esseri umani. Le persone, non già l’idolo “denaro”, devono essere poste al centro del sistema economico, in un rinnovato ordine globale che sia improntato alla giustizia e ponga immediato rimedio alle estesissime aree di crisi e alla crescenti fasce di popolazione senza lavoro. Il Pontefice si scaglia con-
Azione cattolica, nuovo anno per gli adulti “Quelli che troverete, chiamateli”: la due giorni di ripresa CARLO VEGLIO ABATO 28 E DOMENICA 29 settembre, nei locali della casa “Pozzo di Sichar” a Capitana, Quartu Sant’Elena (CA), oltre 50 adulti di Azione Cattolica provenienti da numerose Parrocchie della Diocesi, con i responsabili e gli assistenti diocesani, hanno vissuto un significativo momento di condivisione formativa. A guidare la “due giorni” di inizio anno associativo l’assistente diocesano, don Pierpaolo Piras, e i vicepresidenti diocesani del settore adulti, Carla Anolfo e Massimo Fadda, insieme a tutta l’équipe diocesana.
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L’idea di questa tipologia d’incontro, ormai una consuetudine per l’AC diocesana, nasce dal desiderio di soddisfare un’esigenza manifestata in più occasioni dai gruppi adulti parrocchiali sulla possibilità di una migliore comprensione del cammino formativo proposto dal centro nazionale e sull’importanza di iniziare l’anno “in condivisione”. Il tema delle giornate, “Quelli che troverete chiamateli”, tratto dal brano guida (Mt 22,1-14) che accompagnerà tutta l’Azione Cattolica nel corso dell’anno associativo 2013-2014, è stato sviluppato inizialmente attraverso una precisa e preziosa lectio divina: lettura, meditazione, preghiera, contemplazione e azione i passaggi
DOMENICA 13 ottobre 2013
IL PORTICO DI CAGLIARI
Il convegno pastorale diocesano. Focus sui principali argomenti discussi nei giorni scorsi.
Passa dal coinvolgimento delle famiglie la nuova rivoluzione del catechismo Don Ubaldo Montisci è docente di Teologia dell’educazione: “Il punto è comprendere che la catechesi non riguarda solo i bambini, ma deve coinvolgere i loro genitori”
do generata. I contenuti sono sempre quelli, ma da proporre con più attenzione: per esempio la figura di Gesù. Mentre prima c'era molta attenzione sugli aspetti teologici, ora si insiste di più sulla narrazione, sul simbolismo liturgico. Si può trovare un buon elenco di nuovi testi interessanti sul sito www.rivistapedagogicareligiosa.it. Da chi vengono queste idee? Dai vescovi, i quali tengono conto del nuovo contesto culturale, delle proposte dei catechisti. La situazione si è evoluta, e questa sinergia consente di avere una maggiore partecipazione: si cerca di portare avanti un discorso di formazione integrale. Prima era coinvolta soprattutto la
testa, cioè bisognava solo conoscere le cose... oggi invece la catechesi è in vista di una vita cristiana. Insomma non più insegnare solo alla testa, ma anche al cuore? Esatto, perché un conto è ricordare qualche contenuto, un altro è ricordare la persona che ami: lei sì che ti fa piacere ricordarla. La catechesi serve a far incontrare Gesù Cristo: se riesco a sviluppare un rapporto di amore con lui, è chiaro che vorrò sempre ricordarlo. Come influisce in tutto questo l'insegnamento del Papa? La sua sensibilità spinge i pastori ad uscire, a cogliere le persone negli ambiti della loro vita. Non possiamo più pensare a una Chiesa puramente parrocchiale, che sta lì in piazza...Bisogna anche andare a trovare le persone, anche nelle periferie della fede. C'è chi dice che invece di insegnare religione ai bambini sia più giusto aspettare che diventino adulti consapevoli. Cosa ne pensa? Bisogna parlare di maturità relativa: noi ragioniamo spesso in termini assoluti, sembra che da adulti magicamente si diventi in grado di aderire pienamente alla fede. È vero, ma fino a un certo punto: un bambino è capace di stupore, di meraviglia, di cogliere qualcosa di più rispetto a ciò che si ha vicino. Questo si può valorizzare. Anche la morale: nonostante per natura imiti i genitori, con quelli giusti impara a essere buono e costruttivo.
hanno detto subito Teresa Zuddas e Costantino Concu, sposati da 40 anni e educatori per le coppie – per essere buoni genitori si comincia da buoni sposi: i nostri figli hanno bisogno di capire che ogni esperienza di amore autentico può diventare annuncio; quando vi volete bene anche loro si sentono più vicini a Dio”. Sono intervenuti anche professionisti dalla scuola come Ester, insegnante di religione: “Noi non ci sostituiamo né ai catechisti, né ai genitori, proponiamo solo una conoscenza”. Ma a volte anche questo riserva sorprese: “Ho avuto un alunno figlio di genitori buddisti che hanno voluto farlo frequentare perché potesse conoscere una fede diversa: da grande ha scelto di battezzarsi”. “Un bambino può imparare tanto attraverso le relazioni con gli altri – ha spiegato Teresa Boi, pedagogista – il vero maestro sa capire il discepolo e
farlo crescere come persona: è fondamentale guardare i bambini come li guardava Gesù”. Nel dibattito col pubblico non è mancata qualche domanda sui nuovi metodi educativi, e sul rapporto tra battesimo e peccato originale:“I bambini non hanno colpa, noi spesso ne abbiamo: il battesimo è un modo per ricordarci che siamo semplici uomini. Il vero senso del convegno di oggi è passare dal catechismo all’iniziazione cristiana, per educare a preghiera, carità e servizio– ha detto l’arcivescovo Miglio nelle conclusioni – Bisogna rinnovare il consiglio pastorale e offrire un progetto formativo per i catechisti. I nuovi metodi sono ancora allo studio e le proposte di tutti saranno ascoltate. La Chiesa può essere accogliente per tutti senza essere lassa. C’è ancora tanto da studiare e da capire per costruire un progetto in comune, in cui nessuno resti indietro”.
GIOVANNI LORENZO PORRÀ TEMPO DI RIVOLUZIONE anche nel catechismo, anche se lui preferisce chiamarla ancora “sperimentazione”; don Ubaldo Montisci, docente di teologia dell’educazione alla Pontificia Facoltà Salesiana, sintetizza così le novità: “Si abbandona lo stile scolastico, un'ora la settimana, i contenuti già previsti, i compitini e le verifiche... in favore di una responsabilizzazione dei ragazzi e del coinvolgimento delle famiglie, che lavorano insieme ai catechisti. Queste sperimentazioni sono in atto in tutta Italia e danno dei buoni frutti. Sono già in atto valutazioni per scegliere a favore di alcuni metodi”. Ma le novità non finiscono qui: “L'altro punto fondamentale è la catechesi per gli adulti, finalmente, dopo 40 anni che se ne parla. La catechesi è fatta per i bambini ma riguarda anche i loro genitori”. In concreto cosa significa “responsabilizzare”?
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L’intervento di don Montisci al convegno pastorale diocesano (foto Elio Piras).
Intanto coinvolgere il più possibile le famiglie perché uno dei limiti più grandi della catechesi del passato era che i genitori portavano il figlio in parrocchia e poi se ne andavano, delegando tutto al catechista. Oggi invece viene chiesto il loro apporto, dal sostegno esterno a un coinvolgimento diretto dei genitori come catechisti. Ci sono tante prospettive. Come cambiano i contenuti dell'insegnamento? Testi classici come “Io Sono con voi” sono ancora straordinari. Uno dei limiti individuati tuttavia è un linguaggio eccessivamente difficile, e che erano pensati per una fede già esistente, mentre oggi ci si accorge sempre di più che va in qualche mo-
L’importanza decisiva del primo annuncio Parlano catechisti e genitori intervenuti al Convegno G. L. P.
attesimo, catechismo per i più piccoli, per gli adulti e i genitori: questi i temi del convegno pastorale in 2 giorni “Il primo annuncio di Dio ai bambini”, svoltosi la settimana scorsa in Seminario a Cagliari. Per parlare delle novità in un’epoca di grandi mutamenti, in cui si avvicinano alla Chiesa anche divorziati e coppie di fatto. E oggi la parola d’ordine è “coinvolgere”: “La famiglia va sempre coinvolta – ha sintetizzato don Ubaldo Montisci, docente di teologia dell’educazione alla Pontificia Facoltà Salesiana - ma le parrocchie devono adattarsi ai tempi delle persone o resteranno sempre vuote”. È fondamentale la testimonianza di fede per i genitori, mentre per i catechisti i racconti “sono il modo migliore” di coinvolgere i bambini. Soprattutto bisogna essere “flessibili, pronti a cambiare mentalità”.“La comunità è spesso assente al battesimo
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– ha constatato don Davide Collu, insegnante di religione e membro del consiglio presbiteriale – spesso i genitori fanno battezzare i figli solo perché si usa così: occorre spiegare loro cosa significa, aiutarli a scegliere i padrini”. Per coinvolgere la comunità don Collu consiglia cerimonie meno lunghe e solenni, ai catechisti suggerisce di andare a trovare i genitori dopo il battesimo “per creare un ponte”, regalare alla famiglia ricordi come la candela, e portare classi di catechismo ad assistere. “Bisogna essere se stessi - ha consigliato ai genitori Alessandra DeValle, madre e catechista – Io e mio marito Giuseppe Contu abbiamo 4 figli e a volte educarli alla fede è un combattimento. Se troviamo la felicità nella fede anche nostro figlio la troverà, se tutto è un rito, sarà lui per primo a smascherarci”. A volte sembra di aver fallito: “nostro figlio da 19 anni non entra più in chiesa e non canta le lodi, ma noi crediamo di aver gettato un seme”. “Noi non diamo ricette –
IL PORTICO
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le linee HA CONCLUSO MONS. MIGLIO
Il Consiglio pastorale e la Visita in Diocesi Al termine del Convegno svoltosi nei giorni scorsi in Seminario, mons. Miglio ha presentato la bozza del programma pastorale del nuovo anno. “E’ inevitabile partire dalla visita del Papa - ha detto l’arcivescovo - Non come un avvenimento extra, ma come un momento capace di illuminare tutto il cammino diocesano”. Per questo l’icona proposta è quella dei discepoli di Emmaus, citata dal Pontefice durante il viaggio a Cagliari: “Da ciò che dice il Papa, da ciò che fa - ha aggiunto mons. Miglio - si coglie un’immagine di Chiesa con cui dobbiamo confrontarci. Non è un’immagine scontata: quale tipo di Chiesa ci propone il Papa?”. Per rispondere, ha citato alcune parole contenute nell’intervista a La Civiltà cattolica: “Vicinanza, prossimità, misericordia. L’anno scorso abbiamo cominciato un percorso verso il Convegno ecclesiale di Firenze 2015: camminiamo con la Chiesa italiana”. Per vivere - come dice il Papa - la “sinodalità”, l’arcivescovo ha ricordato che “l’anno scorso è stato costituito il Consiglio presbiterale, quest’anno - appena possibile - sarà costituito il Consiglio pastorale diocesano”. Il presule ha quindi affrontato il tema dell’iniziazione cristiana. “Non si tratta di dare un nome nuovo alle cose che stiamo già facendo - ha chiarito - Bisogna studiare, approfondire per capire: si tratta di lavorare con gli adulti coinvolti”. Molti i soggetti da tenere presente: famiglie, padrini, catechisti, il parroco e i suoi collaboratori. “Si tratta di accompagnare le famiglie nel primo tratto dell’iniziazione cristiana, ma cominciando dal periodo del fidanzamento: in pochissime parrocchie opera un’équipe che affianca in questo compito il parroco. E’ un’obiettivo che dobbiamo darci, come anche avere un progetto catechistico diocesano complessivo”. Quindi, “potenziare e aprire l’Oratorio: è un impegno non solo per i preti. O ci lavorano anche laici e famiglie, oppure rischia di non reggere”. Non solo catechismo, ha avvertito l’arcivescovo: “Occorre riscoprire e coniugare una corretta educazione liturgica con una vita di carità e servizio, con una maggiore attenzione alla Bibbia nei vari momenti della vita della Chiesa”. “Curiamo la bellezza della preghiera e del canto - è stato l’invito - L’elemento della gioia, dopo le celebrazioni, deve essere quello che resta nelle persone, il contrario della noia”. Infine la raccomandazione rivolta a tutti ad essere “una Chiesa che esce, sul modello delle parole del Papa. Impariamo a fare le verifiche delle iniziative compiute, disposti a cambiare”. Quindi l’annuncio: “Con l’inizio dell’Anno liturgico, inizierà la Visita pastorale, in unione con Maria e la Chiesa” (sn).
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IL PORTICO DE
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XXVIII DOMENICA DEL T. O.(ANNO C)
dal Vangelo secondo Luca
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ungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».
Gli vennero incontr
Lc 17, 11-19 DON ANDREA BUSIA
il portico della fede
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ontinua il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, iniziato alla fine del capitolo 9, e che lo porterà fino alla croce e alla risurrezione. Partendo dalla Galilea (cioè dal nord della terra promessa) e volendo raggiungere Gerusalemme (che si trova in Giudea, la regione meridionale), è costretto, a meno di fare un giro molto tortuoso, ad attraversare la Samaria, che si frappone tra la Giudea e la Galilea. Non sappiamo esattamente dove sia ambientato il brano odierno, probabilmente il villaggio si trova in una zona di confine tra la Galilea e la Samaria. Questo non è irrilevante ai fini del brano perché, per problemi che abbiamo già evidenziato in altri commenti, era molto difficile trovare samaritani e galilei insieme salvo che in zone di confine. Dopo l’introduzione ci vengono presentati dieci lebbrosi che, tenendosi a distanza per non rischiare di contagiare gli
altri, chiedono a Gesù di avere pietà di loro. La richiesta di pietà, o di misericordia, rivolta a Dio (o a Gesù) è presente in tutta la Bibbia, difficilmente questi lebbrosi osavano sperare in un miracolo, non c’è nessuna indicazione in merito, probabilmente attendevano dell’aiuto materiale di cui avevano sicuramente bisogno. La risposta di Gesù appare sorprendente, si limita a guardarli e ad inviarli ai sacerdoti, non compie direttamente il miracolo né si ferma a dialogare con loro come fa normalmente incontrando i malati. Il comando di Gesù ha una spiegazione nella legislazione ebraica riportata nel libro del Levitico dove, al capitolo 13, viene indicato chiaramente come sia il sacerdote a dover verificare se un uomo era affetto da lebbra e se era quindi contagioso, spetta al sacerdote dichiararlo “mondo” o “immondo” e, di fatto, escluderlo o reinserirlo nella vita sociale del villaggio. L’invito di Gesù a prima vista assume quindi il valore di
un invito ad andare a farsi controllare. I lebbrosi obbediscono al comando di Gesù e lungo il tragitto la lebbra scompare, è un raro caso evangelico di miracolo “a distanza”. Uno dei dieci, vedendosi guarito, decide in coscienza di disobbedire al comando di Gesù che aveva ordinato loro di presentarsi ai sacerdoti e, anziché continuare verso la sinagoga, torna indietro sui suoi passi per cercare Gesù e poterlo ringraziare. È diviso tra due atteggiamenti in apparenza entrambi giusti: continuare a obbedire pedissequamente a quanto dettogli da Gesù e andare a presentarsi dai sacerdoti senza tergiversare, oppure tornare a ringraziare colui che lo ha guarito disobbedendo, di fatto, alla lettera del comando ricevuto, ma non al suo significato profondo. L’atteggiamento di questo miracolato, quando incontra nuovamente Gesù, è notevolmente esplicito: già tornando lodava Dio a gran voce, ma ora si prostra fino ai piedi di Gesù in atteggiamento di
profonda gratitudine. Alla precedente richiesta fatta “a gran voce” (“abbi pietà di noi”), si sostituisce ora, sempre a gran voce, la lode a Dio. Solo a questo punto l’evangelista ci dice che questi era un samaritano, una persona cioè già esclusa dalla vita sociale e dal culto ebraico, possiamo infatti notare che anche Gesù usa, per parlare di lui, l’appellativo “straniero”. Gesù esprime delusione perché tutti e dieci avrebbero dovuto innanzitutto rendere gloria a Dio anche se, andando dai sacerdoti, stavano obbedendo a un comando di Gesù il primato doveva essere quello di riconoscere a Dio quel che è di Dio, in questo caso la sua opera miracolosa, soprattutto prima di cercare, seppur ragionevolmente, di essere riaccolti nella società. La frase conclusiva di Gesù, rivolta al miracolato, («Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!») collega strettamente, quasi identifica, la fede all’atteggiamento di lode e di riconoscenza verso di Dio: in realtà la fede non si esprime solo nella riconoscenza per Dio ma quest’ultima rimane una sua componente fondamentale.
LA PORTATRICE STORICA DELLO SGUARDO DI CRISTO SUL MONDO Nella Lumen fidei Papa Francesco mostra con molta chiarezza come la fede cristiana abbia costitutivamente una forma ecclesiale, la fede di ogni singolo credente infatti deve essere inserita nel contesto di quella professata dall'intera comunità ecclesiale. Nella Lettera ai Romani San Paolo afferma che il credente non deve vantarsi ma considerarsi «secondo la misura di fede che Dio gli ha dato» (12,3). Questa giusta considerazione di se deve partire dalla fede professata che lega il credente a Cristo e ai fratelli di fede: «come Cristo abbraccia in sé tutti i credenti, che formano il suo corpo, il cristiano comprende se stesso in questo corpo, in relazione originaria a Cristo e ai fratelli nella fede» (LF, 22). Quando si parla di “corpo” per i cristiani non si deve intendere una massa indistinta che fa perdere a ciascuno la propria individualità ma si vuole porre in evidenza «l’unione vitale di Cristo con i credenti e di tutti i credenti tra loro
(cfr Rm 12,4-5). I cristiani sono “uno” (cfr Gal 3,28), senza perdere la loro individualità, e nel servizio agli altri ognuno guadagna fino in fondo il proprio essere» (ibidem). Per spiegare il ruolo decisivo della fede ecclesiale il Santo Padre cita un'espressione di Romano Guardini che indica la Chiesa come «la portatrice storica dello sguardo di Cristo sul mondo». Quando ci si separa dal Corpo ecclesiale ne consegue allora che la fede perde la sua «misura, non trova più il suo equilibrio, lo spazio necessario per sorreggersi» (ibidem). La fede non può rimanere semplicemente chiusa nella sfera intima e privata ma, come spiega Papa Francesco, «ha una forma necessariamente ecclesiale, si confessa dall’interno del corpo di Cristo, come comunione concreta dei credenti. È da questo luogo ecclesiale che essa apre il singolo cristiano verso tutti gli uomini» (ibidem). La dinamica della fede parte dall'ascolto della Parola di Cri-
sto che suscita nel credente una risposta personale che a sua volta si trasforma poi in una nuova testimonianza e un nuovo annuncio verso altre persone. In questa prospettiva la fede non può essere «un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio» (ibidem). Senza questo processo che parte dalla Parola ricevuta e accolta e che poi suscita nel credente il desiderio di annunciare Gesù Cristo non ci sarebbe la trasmissione della fede: «come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?» (Rm 10,14). La Parola trasforma la vita del credente per il quale si apre quindi «un nuovo modo di vedere, la fede diventa la luce per i suoi occhi» (ibidem). di don Roberto Piredda
ELLA FAMIGLIA
doMenicA 13 ottobre 2013
ro dieci lebbrosi...
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La Lectio divina dalle Suore domenicane.
La Parola di Dio per la vita quotidiana LUISA MURA E STEFANO FADDA
ella Comunità delle Suore Domenicane di Santa Maria del Rosario di Cagliari si sono svolte le tre giornate di incontro con la Parola di Dio. Evento promosso dalle Suore Domenicane all’interno del progetto “La Parola familiare”. Questa iniziativa è stata presentata da Sr Anna O.P. e una coppia di sposi laici domenicani, Luisa Mura e Stefano Fadda. É stata realizzata per rispondere alle numerose richieste di laici desiderosi di un rapporto più quotidiano e profondo con la Parola di Dio, nella forma della Lectio Divina. Tenendo a mente la famosa frase di S. Girolamo: la lettura produce assiduità, l’assiduità produce la familiarità e la familiarità produce e accresce la fede, si è pensato di proporre un’iniziativa costituita da appuntamenti periodici, durante l’arco dell’anno, in modo da creare nel tempo degli incontri comunitari con la Parola di Dio, affinché possa realmente diventare un momento di sincera confidenza da vivere sempre e ovunque. Ogni incontro prevede la presenza di una guida alla Parola di Dio, questo primo è stato curato da Padre Domenico Marsaglia O.P., che si è definito con l’immagine dell’usciere (del “portinaio”) intendendo sottolineare un fatto molto semplice ma fondamentale: colui che presenta o propone le Scritture non può mai sostituirsi alla libertà di chi ascolta o legge la Bibbia. Le Suore Domenicane, secondo il carisma di S. Domenico e del loro fondatore, si sono rese custodi di questa Parola per portarla agli altri, convinte che la Parola di Dio, pregata, meditata, consumata porta grandi frutti tra cui la consapevolezza di non essere dèi, né al centro di un micro-universo bensì parte di un mondo che non siamo stati noi a costruire e che noi non controlliamo. (TIMOTHY RADCLIFFE O. P., Lettera: La Promessa di vita). Gli incontri di Lectio Divina del 27,28 e 29 settembre sono stati pensati su una frase del Cardinal
RISCRITTURE
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Para decidir si sigo poniendo esta sangre en tierra, Este corazón que bate su marcha a sol y tinieblas. Para continuar caminando al sol per estos desiertos, Para recalcar que estoy vivo en medio de tantos muertos. Para decidir, para continuar, para recalcar y considerar Solo me hace falta que estés aquí con tus ojos claros Ay fogata de amor y guía, razón de vivir mi vida Ay fogata de amor y guía, razón de vivir mi vida Para aligerar este duro peso de nuestros días, Esta soledad que llevamos todos, islas perdidas!. Para descartar esta sensación de perderlo todo, Para analizar por donde seguir y elegir el modo. Para aligerar, para descartar, para analizar y considerar Solo me hace falta que estés aquí con tus ojos claros Ay fogata de amor y guía, razón de vivir mi vida Ay fogata de amor y guía, razón de vivir mi vida
Per decidere se continuare a dare questo sangue alla terra questo cuore che batte di giorno e di notte Per continuare a camminare sotto il sole in questi deserti, per riaffermare che sono vivo in mezzo a tanti morti, Per decidere, per continuare, per riaffermare e rendermi conto delle cose ho bisogno solamente che tu stia qui con i tuoi occhi chiari Ah fuoco d’amore e guida, ragione per la quale vivo Per alleggerire questo pesante fardello dei nostri giorni, questa solitudine che abbiamo tutti, isole perdute, per evitare questa sensazione di perdere tutto, per capire la via da seguire e scegliere il modo, Per alleggerire, per evitare, per capire e rendermi conto delle cose ho bisogno solamente che tu stia qui con i tuoi occhi chiari Ah fuoco d’amore e guida, ragione per la quale vivo
Martini: La Parola di Dio ci supera da ogni parte. Fr. Marsaglia ha poi spiegato nelle sue relazioni questo profondo concetto e alla luce di questo sono stati vissuti i momenti di esperienza di Lectio Divina comunitaria. A questo primo incontro hanno partecipato, nelle diverse giornate, circa una trentina di persone appartenenti a diverse realtà associative, parrocchiali e sociali. Tutti i partecipanti hanno accolto con entusiasmo l’idea di costituire un gruppo biblico, che si incontrerà una volta al mese nella Comunità delle Suore Domenicane ogni terzo sabato del mese, per approfondire la Parola di Dio con la Lectio Divina partendo, in particolare per quest’anno, dal Vangelo di Luca, su cui ci si è cimentati in questi tre giorni insieme. Non sono mancati momenti di profonda condivisione sia durante le relazioni che durante le celebrazioni eucaristiche, perfino i pasti insieme hanno portato più entusiasmo nell’aprire la quotidianità al mondo della Parola di Dio. Come sostiene Mons. Francesco Lambiasi: la Parola di Dio ci dona l’indicazione lungo cui sviluppare la vita quotidiana, perché essa approdi al senso autentico e venga vissuta “per Cristo, con Cristo, in Cristo” e come Cristo. * sposi laici domenicani
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IL PORTICO DEI LETTORI
iL Portico
doMenicA 13 ottobre 2013
LETTERE A IL PORTICO Gent.mo Direttore, come già Il Portico informava i propri lettori, la Parrocchia della Sacra Famiglia è quasi completamente sguarnita di locali ove svolgere le proprie attività catechistiche e sociali. Per questo motivo ci siamo rivolti ai responsabili della scuola pubblica di via Codroipo, adiacente alla nostra chiesa, onde ottenere qualche aula per il catechismo, naturalmente negli orari liberi dalle lezioni scolastiche. Il preside, dott. V. Porrà, persona squisita e disponibilissima, s'è attivato al fine d'ottenere un felice risultato per la nostra comunità; il 3 Ottobre u.s., però, il Consiglio d'Istituto, organo chiamato a concedere il nulla osta , ha negato il permesso, con due soli voti a favore, quello del preside ed un altro. Non è difficile immaginare il motivo "vero": becero anticlericalismo, il solito odio di alcuni "ritardati ideologici" incapaci di accettare un confronto con persone esorbitanti dalle proprie abituali frequentazioni. C'è qualche altra plausibile motivazione? Se c'è perchè non s'è cerca-
to un dialogo - parolina magica in tanti ambienti scolastici - con il Parroco, al fine di trovare una ragionevole soluzione? Ottanta ragazzi in cerca di aule non sono sufficienti per smuovere cuori e menti (acute senz'altro) del corpo docente? Domando a Lei e Lettori preghiere per me e la mia Parrocchia. Grazie per l'attenzione, cordialissimi saluti Don Fabrizio Porcella Carissimo don Fabrizio, spiace dover constatare ancora una volta che il clima di dialogo e di collaborazione tra posizioni talvolta distanti e diverse (spesso reso possibile anche da giornali come il nostro) necessita ancora di tanti passi in avanti. Da inguaribili ottimisti, speriamo ancora in un ripensamento da parte dell’Istituto: muri e steccati non hanno più ragion d’essere,soprattutto per il bene degli studenti, ma non vorremmo dover un giorno constatare che la volontà di riconoscersi reciprocamente ruoli e identità ci sia soltanto da una parte. Ci faccia sapere (sn).
Anno catechistico, solenne inaugurazione A San Pio X c’è stata anche la promessa degli animatori DON PASQUALE FLORE
omenica 6 ottobre si è svolta nella parrocchia di San Pio X in Cagliari, una bellissima festa che ha voluto “salutare” l’inizio dell’anno catechistico. Genitori, bambini e catechisti si sono dati appuntamento per la solenne Messa di apertura delle ore 10. Numerosi i presenti all’Eucaristia celebrata dal viceparroco don Pasquale Flore. Tra i momenti più significativi della celebrazione c’è stata la richiesta corale, la stessa fatta dagli Apostoli nel passo delVangelo domenicale, di una fede sempre più grande, alimentata dai Sacramenti e dall’ascolto della Parola di Dio. Un altro momento centrale è stato la promessa dei giovani animatori dell’oratorio che si sono
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messi a servizio dei più piccoli e che hanno deciso di proseguire a loro volta un cammino di crescita umana e spirituale. Dopo la Santa Messa, nel salone parrocchiale, il gruppo delle mamme dell’Oratorio ha offerto a tutti la merenda. Subito dopo sono state presentate con dei giochi le attività e i laboratori che i bambini potranno scegliere durante l’anno: ballo, teatro, disegno e sport. Anche il gruppo scout dell’ Agesci Cagliari 3, presente in parrocchia, ha inaugurato il nuovo anno ed ha presentato a tutti le proprie attività raccogliendo diverse iscrizioni dai bambini e dai ragazzi interessati.La festa si è conclusa alle 12.30 cantando e ballando l’inno “Getta le tue reti”. Continuando con impegno su questa strada, l’oratorio pieno di vita e con
foto elio piras
un bel clima di fede sarà una certezza per i ragazzi e per le famiglie della parrocchia.
Inviate le vostre lettere a Il Portico, via mons. Cogoni 9, 09121 Cagliari o utilizzare l’indirizzo settimanaleilportico@libero.it, specificando nome e cognome, ed una modalità per rintracciarvi. La pubblicazione è a giudizio del direttore, ma una maggiore brevità facilita il compito. Grazie.
oi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto”. Con la citazione dal Vangelo di Giovanni si apre il libro di Simone Troisi e Cristiana Paccini, “Siamo nati e non moriremo mai più”, ed. Porziuncola, che racconta la storia di Chiara Corbella Petrillo. Della giovane sposa e madre se ne è parlato su tv e giornali, ma questa volta a raccontare i fatti sono due tra i suoi amici più cari, testimoni diretti di ogni avvenimento, che hanno raccolto con estrema cura le testimonianze dei familiari e degli amici di Chiara. L’incredibile e luminosissima vicenda della giovane romana è oramai nota ai più, ma ciò che a molti è nascosto e potrebbe meravigliare è il modo in cui, insieme al suo sposo Enrico Petrillo, ha affrontato ciò che si è trovata a vivere. Gli autori raccontano ogni evento vissuto con lo sguardo di Chiara, alla luce della sua spiritualità delle “tre P”: Piccoli Passi Possibili, ossia vivere di volta in volta quel poco che ci viene chiesto. Chiara ed Enrico, conosciutisi a Medjugorje, vivono un fidanzamento piuttosto travagliato, come tanti altri ragazzi della loro età. Conoscono i frati di Assisi e decidono di farsi accompagnare da loro in un cammino cristiano, in particolare Padre Vito D’Amato. Dopo molte resistenze da parte di entrambi arriva il punto di svolta: i due iniziano a fidarsi di Dio e da quel momento avviene il cambiamento. Il matrimonio e la prima gravidanza, la decisione di Chiara di portarla a termine nonostante la consapevolezza che la bambina, Maria Grazia Letizia, era destinata morire dopo la nascita.
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il libro racconta l’esistenza umana di chiara corbella
Siamo nati e non moriremo mai più SUSANNA MOCCI
L’appoggio incondizionato del marito Enrico fa sì che la loro unione sia ancora più forte e vera. L’affidamento giornaliero alla Vergine Maria diventa il loro sostegno. La nascita della bam-
bile con la vita. Anche questa volta i Petrillo non hanno dubbi: accompagneranno anche questo figlio fin dove sarà possibile, certi che il Signore non li deluderà.
bina verrà raccontata da Chiara come “uno dei giorni più belli della mia vita”. Poco dopo ecco una nuova gravidanza e la scoperta che anche il secondogenito, Davide Giovanni, ha delle gravi malformazioni che lo rendono incompati-
La nascita del piccolo, il battesimo e la sua salita al Cielo nel giro di mezz’ora (come per la sorellina) e la “misteriosa letizia” che accompagna i due sposi che, come loro stessi hanno scritto, “nessuno è riuscito a convincere che ciò
che stava capitando era una disgrazia” perché l’amore non fa nulla di imperfetto. Questo bambino li porta a una maturazione nella fede e alla scelta di aprirsi nuovamente alla vita, nonostante vari tentativi da più parti di dissuaderli dal loro desiderio di paternità e maternità. Una nuova gravidanza, questa volta di un figlio perfettamente in salute ma, contestualmente, la scoperta della giovane mamma di avere un carcinoma alla lingua molto aggressivo. La volontà irremovibile di iniziare le cure solo dopo la nascita di Francesco, cure rivelatesi vane. Il 4 aprile 2012, mercoledì Santo, viene data a Chiara la diagnosi di terminalità e la sua preghiera è quella di trasformare il lamento in danza. In quel momento avviene il miracolo più grande: una donna che vede trasfigurata la sua sofferenza in gioia, che consola anziché essere consolata, che prega per gli altri, che sorride a tutti con il suo occhio bendato a causa delle metastasi e questa immagine (ripresa nella copertina) fa il giro del mondo. Una donna bellissima che va a testa alta incontro alla morte. Il marito che, pur nella sofferenza, vive nella certezza che lei si stia preparando ad andare da Chi la ama più di lui. Gli ultimi giorni di vita in cui riesce a raggiungere una straordinaria intimità con Dio e a lasciare felice questa vita. È la storia di due sposi come tanti ma che, accogliendo la Grazia, sono riusciti a fare cose impensabili secondo la logica umana. Sono pagine che fanno commuovere e sorridere, che custodiscono un tesoro prezioso, che parlano più di resurrezione che di morte, di una santità possibile per tutti coloro che mettono Dio al primo posto. Chiara lo aveva capito, tanto da scrivere al figlio “ Dio non ti toglie mai nulla, se toglie è solo perché vuole donarti tanto di più (…). Fidati, ne vale la pena!”.
doMenicA 13 ottobre 2013
IL PORTICO DI CAGLIARI
Associazioni. Un convegno di studi nazionale ha celebrato l’importante ricorrenza.
Il Meic ha compiuto ottanta anni, una missione chiara tra cultura e fede Il Movimento Laureati di Azione cattolica venne fondato a Cagliari nel ‘32 durante il congresso della Fuci, la federazione degli studenti universitari cattolici italiani
iL Portico
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brevi DOMENICA 20 OTTOBRE
Riprendono gli incontri del pre-seminario Domenica 20 ottobre riprenderanno dalle 9 alle 14.30, nei locali del Seminario arcivescovile, gli incontri del pre-seminario. Il pranzo è offerto dal Seminario. Sono invitati, con la presentazione del proprio parroco (a donpi@tiscali.it oppure al 347 8343278) i ragazzi di età compresa tra i 10 e i 13 anni (fascia della classe V elementare e scuola media) che desiderano conoscere l’esperienza comunitaria del Seminario Minore diocesano per un discernimento vocazionale.
G. L. P.
A LACONI IL 20 OTTOBRE TTANT’ANNI TUTTI da vivere. Nasceva proprio a Cagliari nel 1932 il MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) che ha celebrato sabato scorso il suo compleanno con un convegno in rettorato. In quell’anno Igino Righetti, già presidente della FUCI (Fondazione Universitari Cattolici Italiani), si pose un problema: era un vero peccato che i cattolici, finiti gli studi, abbandonassero la FUCI, prendendo ognuno la sua strada; come fare per restare uniti, e non perdere la formazione ricevuta? La risposta fu “un’originale intuizione, un azzardo del pensiero”, come dice il titolo del convegno, ovvero la fondazione del Movimento Laureati Cattolici. Nel 1933 veniva ufficializzato, con la benedizione del Segretario di Stato vaticano Giovanni Battista Montini, il futuro Papa Paolo VI. Da allora il
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Il Settecento sardo tra fede e storia movimento si è occupato di coordinare i gruppi universitari cattolici, organizzare iniziative culturali, e altro ancora. “Il tutto con l’obiettivo principale di conciliare cultura e fede – spiega Gianfranco del Rio, presidente del MEIC di Cagliari – in un’epoca di profondi cambiamenti nella politica e nella scienza, in cui la Chiesa iniziava finalmente ad aprirsi a queste novità”. E il MEIC ha sicuramente offerto tantissimi uomini politici all’Italia; alcuni più amati di altri, nel bene o nel male hanno segnato tutti la storia del paese: Aldo Moro, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Amintore Fanfani, Romano Prodi e Giorgio la Pira, solo per citarne alcuni. Ma non c’è stata solo la politica: il Meic può van-
tare anche giornalisti, cardinali, e persino un beato, Piegiorgio Frassati. Nell’epoca fascista il Movimento ha rischiato anche la chiusura. Nel 1981 prese il nome attuale, con una piccola rivoluzione, l’apertura ai non laureati: “Se non fosse stato così neppure io sarei potuto entrare – confida del Rio – ma non tutti apprezzarono e qualcuno decise di andarsene”. Nella giornata di sabato i soci dell’associazione venuti da tutta la Sardegna hanno potuto seguire alcune interessanti lezioni sulla storia del MEIC, sulla vita di Papa Montini, e su Igino Righetti. Ma non manca anche qualche problema, prima di tutto la documentazione: “Tutta chiusa in sca-
toloni, in disordine: è un peccato perché ci aiuterebbe a conoscere meglio la nostra storia – confida Carlo Cirotto, presidente nazionale –avremmo bisogno dell’aiuto di un archivio per catalogarla”. Poi c’è l’età media degli associati, ormai piuttosto alta: “Una delle ragioni è che i giovani hanno orari diversi – spiega ancora del Rio – quando noi teniamo gli incontri spesso loro sono a lezione. Inoltre il nostro compito principale è più che altro dare indicazioni alle associazioni giovanili”. E il futuro? “Continueremo a svolgere i compiti di sempre, indicheremo temi e problemi importanti da affrontare in cultura e politica. Vorremmo anche collaborare con le altre associazioni laicali”.
dell’appartenenza alla Chiesa è la prima testimonianza che egli deve dare; non è possibile, come ha sottolineato Papa Francesco al Congresso Internazionale, «essere dei battitori liberi». Mons. Benzi ha, poi, proseguito, indicando tre aspetti messi in luce dal Pontefice, che devono caratterizzare ogni catechista: la familiarità con Gesù; incontrare l’altro, non quello che ciascuno vuole scegliere; andare nelle periferie, dove la mondanità non vuole lavorare. Tutto questo richiede l’esigenza di “camminare”, del non restare fermi e semplici spettatori, perché «la nostra avventura di Chiesa non può essere fiacca», ha precisato il relatore. La mattinata si è, poi, conclusa con uno spazio dedicato alla condivisio-
ne di esperienze, dubbi e domande da parte dei catechisti, in dialogo con Mons. Benzi. Nel pomeriggio, invece, sono state offerte quattro differenti proposte di “workshop”, laboratori, nei quali ciascun catechista, ha potuto partecipare liberamente, secondo le proprie esigenze. In ciascuno dei laboratori i catechisti, guidati dai rispettivi coordinatori, hanno avuto la possibilità di poter lavorare in piccoli gruppi, aprire un confronto e uno scambio di idee. Al termine di questo momento, il frutto dei laboratori, è stato condiviso con i partecipanti agli altri settori laboratoriali, cui è seguito il rilancio operativo di Mons. Benzi, il quale ha sollecitato ad investire sulla formazione dei catechisti «a livello parrocchiale, diocesano, regionale», affinché le ricchezze di ciascuno siano messe a disposizione di tutti e, sottolineando, infine, rivolgendosi ai catechisti, un aspetto fondamentale: «non siete catechisti delle parrocchie e delle diocesi, ma nelle parrocchie e nelle diocesi; siete catechisti, insieme ai vostri Pastori, del Signore». La giornata di Convegno, si è conclusa, con la Celebrazione Eucaristica, presieduta da Mons. Sanna, durante la quale i catechisti hanno ricevuto, dalla Chiesa, mediante l’Arcivescovo, il mandato catechistico.
Il catechista, testimone della fede A Macomer domenica scorsa il convegno regionale DAVIDE LAI L CATECHISTA, TESTIMONE della fede”: questo il tema che ha guidato la giornata del Convegno Regionale dei Catechisti, domenica 6 ottobre a Macomer. I catechisti provenienti da tutte le diocesi della Sardegna si sono incontrati per riflettere e confrontarsi sull’importanza del servizio catechistico. Era presente anche una buona rappresentanza della nostra Arcidiocesi, con catechisti provenienti dalle singole parrocchie, alcuni dei quali accompagnati dai rispettivi parroci, e una delegazione dell’Ufficio Catechistico Diocesano. L’incontro è stato organizzato dall’Ufficio Catechistico Regionale, coordinato dal suo Direttore, don Paolo Pala, presbitero della Diocesi di Tempio – Ampurias. La giornata si è aperta con la preghiera comune e il saluto dell’Arcivescovo di Oristano, S.E. Mons. Ignazio Sanna, Delegato della Conferenza Episcopale Sarda per la dottrina
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della fede e l’evangelizzazione. Nella sua introduzione, Mons. Sanna ha voluto sottolineare le parole del Santo Padre Francesco, in occasione del Congresso Internazionale per la Catechesi, che delineano immediatamente la personalità di chi è chiamato a prestare il proprio servizio nella catechesi: «essere catechisti e non lavorare da catechisti», richiamando, dunque, alla fondamentale dimensione della testimonianza nel servizio della trasmissione della fede, quale criterio di autenticità. La giornata è stata scandita da diversi momenti, primo tra i quali la relazione tenuta da Mons. Guido Benzi, Direttore dell’Ufficio Catechistico Nazionale. Aprendo il suo intervento, ha voluto richiamare, anch’egli, le parole pronunciate dal Santo Padre e, successivamente, ha messo in risalto alcuni aspetti propri del catechista, primo fra tutti, l’esigenza fondamentale, dell’essere catechisti «dentro un contesto di Chiesa». L’esperienza
Domenica 20 ottobre alle 16 nel cineteatro di Laconi (in corso Gramsci, 14) sarà presentato "Il Settecento in Sardegna tra fede e storia", il volume degli atti del primo convegno di studi sul francescanesimo in Sardeg n a , svoltosi a Laconi il 12 maggio dello scorso anno. L’opera è curata da padre Fabrizio Congiu, e sarà presentata da Marco Antonio Scanu, docente specializzato in studi sardi. L’incontro sarà preceduto, alle 18, da una messa concelebrata da tutti gli ex parroci di Laconi in occasione del 62° anniversario della Canonizzazione di sant'Ignazio.
NUOVO ANNO ACCADEMICO
Facoltà teologica, il 9 l’inaugurazione Si terrà il 9 ottobre l’inaugurazione dell’Anno accademico 2013-2014 della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna. Alle 16.30 è prevista la concelebrazione eucaristica nella chiesa di Cristo Re. A presiederla sarà mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari e Gran Cancelliere della Facoltà teologica. A seguire, a partire dalle 17.30, la Cerimonia inaugurale. Nell’Aula Magna della Facoltà previsti i saluti, la prolusione e la consegna dei Diplomi accademici. Quindi la solenne proclamazione di apertura del nuovo Anno accademico.
nomine dell’Arcivescovo S.E. Rev.ma mons. Arrigo Miglio, in data 4 ottobre 2013, ha nominato: don Ennio Matta Direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano
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IL PORTICO DI CAGLIARI
iL Portico
TRIBUNALE ECCLESIASTICO REGIONALE Via Parraguez, 19 070/503289 Fax 070/513302 09121 CAGLIARI Prot. Causa 50/2013 Sez. BUCCIERO Prot. Postale 11553/2013 Nullitatis Matrimonii: PUSCEDDU – THACKERAY CITAZIONE EDITTALE Ignorandosi il luogo dell’attuale abitazione della Sig.ra Maureen Tracey Thackeray, a norma del c.1507 CIC e dell’art. 126 della Dignitas Connubii, INVITIAMO I parroci, i sacerdoti e i fedeli tutti, che in qualche modo abbiano notizie del domicilio della Sig.ra Maureen Tracey Thackeray, affinché abbiano cura di informarla della presente citazione e di comunicare a questo Tribunale il suo indirizzo. Ordiniamo che la presente venga pubblicata per due numeri consecutivi nel settimanale dell’Arcidiocesi di Cagliari, sede dell’ultimo domicilio conosciuto, affissa per 30 giorni presso la Curia Diocesana di Cagliari, ed alle porte della Parrocchia cittadina competente per territorio dell’ultimo indirizzo conosciuto, per il quale si allega certificato storico di residenza per irreperibili emesso dal Comune di Quartu S. Elena (CA) in data 11/02/2013, ad norman Iuris. Si prega di comunicare a questo Tribunale l’esito della presente disposizione, scaduti i termini fissati, la causa proseguirà il suo iter alla rituale definizione. Cagliari, 05/08/2013 Il Notaio Dott.ssa Maria Carmen Mannai Il Vicario Giudiziale Sac. dott. Mauro Bucciero
DOMENICA 13 ottobre 2013
Iniziative. con la peregrinazione dell’urna dell’Apostolo dei giovani il via ai festeggiamenti.
I salesiani da cento anni a Cagliari: batte forte il carisma di don Bosco DON SERGIO NUCCITELLI UANTI EXALLIEVI E cooperatori (i due principali rami laici della Famiglia Salesiana) in questo lungo tratto di storia hanno formato i Salesiani che si sono susseguiti in 100 anni? Decine e decine di migliaia! Risulta dalle cronache del Bollettino Salesiano dei primi anni del Novecento che furono proprio gli allievi ed exallievi sardi della Scuola Salesiana di Alassio (fondata da don Bosco nel 1870 e tuttora attiva) a portare e diffondere con passione il carisma pedagogico di don Bosco. Hanno fatto di tutto per impiantare qui in Sardegna (Lanusei, la prima opera del 1898) il Sistema Educativo Preventivo di don Bosco, che poggia sui tre pilastri della ragione-religione-amorevolezza. A loro si sono uniti i primi Cooperatori salesiani che hanno trovato in don Mario Piu, che per sei mesi non ha celebrato il genetliaco di cento anni (1876 – 1975), la figura più carismatica e innamorata di don Bosco, tanto che l’allora Arcivescovo di Cagliari, Mons. Paolo Maria Serci Serra, d’accordo con i Superiori di Torino lo “nominò, ancor giovane prete, come Direttore diocesano dei Cooperatori Salesiani”(….). “Don Mario Piu, umile e pio, fiducioso nell’aiuto del Signore, ha assimilato fedelmente lo spirito genuino salesiano anche perché ha ospitato in casa sua tutti i Salesiani che venivano a Cagliari, tra questi don Michele Rua, primo successo-
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Nella cronaca della casa salesiana di Cagliari iniziata il 26 ottobre si legge: “I Salesiani giunsero il 13 ottobre 1913. I primi confratelli furono: Sac. Matteo Ottonello, direttore; Sac. Giuseppe Roncaiolo proveniente da Tunisi con l’obbedienza di fare la la III elementare; chierico Francesco Fazi; coadiutore Domenico Zanchetta; Sac. francese Pietro Chevrel maestro di musica. Sono accolti dal Sac. Dott. Mario Piu, direttore diocesano dei Cooperatori salesiani e presidente della parrocchia di sant’Anna ed ospitati in casa sua”, non essendo ancora completata la costruzione dell’edificio, la cui prima pietra era stata posta il 29 aprile del 1908 con la benedizione dell’Arcivescovo di Pisa e Primate di Corsica e Sardegna, Cardinal Pietro Maffi, devoto estimatore di don Bosco, alla presenza del Superiore dei Salesiani, don Michele Rua, primo successore di don Bosco”. re di Don Bosco; don Cagliero, poi salesiano missionario e Cardinale in Patagonia; don Francesia e don Ceria, biografi di don Bosco ecc. E si è adoperato tantissimo per la crescita e lo sviluppo dell’Associazione dei Cooperatori, a tal punto che con loro ha studiato la possibilità di fondare un Oratorio per la gioventù povera e si è subito messo in moto per raccogliere i primi soldini”. Sono qui a Cagliari da due stagioni, proveniente dalla scuola di Firenze dopo essere stato per alcuni anni a Genova Sampierdarena (Istituto grandissimo comprensivo di NidoMaterna-Primaria-Secondaria I grado-Secondaria di II grado ITI+Liceo Scientifico). Posso dire con estrema sincerità che ho trovato a Cagliari una bellissima realtà sotto il profilo educativo-scolastico-culturale degli studenti, sotto il profilo dell’accoglienza fraterna da parte della co-
munità salesiana, del corpo docente e da parte delle famiglie dei nostri alunni. Anche qui la realtà ha una sua complessità in quanto abbraccia tre scuole: Infanzia Lieta, Media, Liceo Classico e Scientifico. Ho potuto toccare con mano la ricchezza e la fecondità del carisma salesiano impiantato in questi lunghi anni dai Salesiani ed educatori che ci hanno preceduto. Un lavoro proficuo profuso con umiltà, professionalità e spirito salesiano genuino, che non sempre ho trovato così profondo in altre opere. Potrei elencare e dimostrare tutte le attività e le iniziative didatticoeducative che si tramandano di generazione in generazione, adattate con saggezza e lungimiranza ai tempi nuovi che rapidamente si evolvono. Cito soltanto l’esperienza che ho
fatto in questi mesi girando per necessità o per curiosità nei vari negozi, banche, ospedali, uffici comunali e provinciali ecc. Ho incontrato una marea di exallievi dell’Istituto e dell’Oratorio molto entusiasti e in parte nostalgici per quello che hanno fatto, vissuto e ricevuto alla scuola di don Bosco. Molti di loro hanno ricoperto e ricoprono anche ruoli prestigiosi e autorevoli. Un bel gruppo fa parte del corpo docente universitario e continua a frequentare tuttora e ad iscriversi all’Associazione degli Exallievi sempre viva ed operante. Non credo di esagerare nell’affermare che Don Bosco è stato un dono prezioso sia alla Chiesa di Cagliari che alla società familiare, civile e politica. Ed è stato proprio questo l’obiettivo precipuo del progetto educativo di Don Bosco: essere buoni cristiani ed onesti cittadini. Non sarà stato sempre e ovunque così per tutti, ma possiamo ringraziare l’Ausiliatrice, la Madonna cara a don Bosco, che ha custodito nel cuore di tanti la fedeltà al carisma salesiano e alla Chiesa di Cristo. Sarebbero tante le cose da dire e da scrivere, le conserviamo per il resto dell’anno centenario che concluderemo ad ottobre del 2014 con un grande forum dei giovani della diocesi (lo spero con tutto il cuore). Don Bosco e i giovani, soprattutto i più poveri, costituiscono un binomio indissolubile. Non può esistere l’uno senza l’altro e quindi chiudere i festeggiamenti con i giovani è per noi salesiani un dovere ed un piacere.
doMenicA 13 ottobre 2013
IL PORTICO DEI PAESI TUOI
Parrocchie. La comunità guidata da don Simula ha festeggiato San Pietro Pascasio.
Segno di unità e di vera comunione Così il Patrono attraversa il paese Festa religiosa e momenti civili si sono coniugati alla perfezione: evento di identità e senso di appartenenza sociale hanno camminato uniti, in una comunità che cresce
l'Immacolata concezione della Vergine anticipandone di dieci anni il dogma. Un martire vittima dell’integralismo islamico del lontano 1300. Nacque a Valencia verso il 1225 e la sua nascita fu attribuita alle preghiere di san Pietro Nolasco per i suoi genitori, da lungo tempo sterili. I suoi primi studi li fece dai Benedettini poi si recò all’università di Parigi e fu compagno di studi di san Bonaventura e san Tommaso. Si addottorò nel 1249 e fu ordinato sacerdote. Tornato a Valenza venne nominato canonico, dedicandosi alla predicazione, finché nel 1250 en-
trò nell’Ordine di Maria della Mercede, prese ad insegnare teologia e lettere nel convento di Saragozza, fra i suoi discepoli ebbe anche Sancio figlio del re Giacomo I, nominato vescovo di Toledo da papa Clemente IV nel 1266. Negli anni seguenti Pietro Pascasio percorse la Spagna e il Portogallo, predicando, portando conforto ai cristiani schiavi degli arabi e costruendo vari conventi dell’Ordine dei Mercedari. Nel 1291 predicò in Francia e Italia. Nel 1296 papa Bonifacio VIII, lo nominò vescovo di Jaén. Tornato in Spagna lavorò per riordinare la sua diocesi, che era senza vescovo da sei anni, a causa dell’occupazione dei Mori musulmani. E visitando la diocesi venne catturato dagli arabi nel 1297 e trasportato a Granada sede del re musulmano Moley Mahomed che lo fece suo schiavo ma essendo tributario diretto del re di Castiglia, gli diede la libertà di girare per la città a confortare gli schiavi e istruire i cristiani liberi. Pietro Pascasio comunicò al Papa la sua situazione di prigioniero, così per due volte fu raccolta la cifra per la sua liberazione ma per due volte Pietro preferì utilizzarla per la liberazione di donne e fanciulli in pericolo. I musulmani irritati dagli attacchi alla loro religione e per il fatto che alcuni di loro si convertivano, lo decapitarono il 6 dicembre 1300. Il suo culto fu confermato con un regolare processo, da papa Clemente X, il 14 agosto 1670.
lacro alla parrocchiale di Santa Barbara, dove è rimasto per l’intera domenica. In serata poi un’altra celebrazione da me presieduta è stata seguita dalla processione di rientro, con la statua che è ritornata a Sant’Isidoro. La scelta di coinvolgere le due comunità trova le sue ragioni proprio nella devozione verso il Santo, ma anche per ribadire che la fede è unica e come le comunità devono lavorare per unire le persone di diverse realtà pastorali”. Alle celebrazioni si sono uniti i comitati maggiori che hanno responsabilità organizzative nelle parrocchie non solo di Sinnai ma anche quelle dei centri limitrofi come Maracalagonis, Burcei e Settimo San
Pietro. “È un ulteriore segno di unità anche a livello di forania – conclude don Walter – con la quale vogliamo riattivare la devozione che in tantissimi sentono forte ma che forse negli ultimi anni era un po’ scemata, probabilmente per la grande quantità di celebrazioni che hanno preso il sopravvento. Sant’Efisio è il patrono della Diocesi e quindi sentiamo maggiormente il significato di questo martire cristiano arrivato da lontano: oggi è più che mai di attualità con ciò che accade nei nostri mari. Era uno straniero accolto in Sardegna e questo ci deve suscitare sentimenti di vicinanza a chi oggi vive la condizione di immigrato che cerca di raggiungere la nostra terra”.
ALESSIA CORBU RANDE PARTECIPAZIONE alla festa patronale di San Pietro Pascasio (realizzata con il contributo dell'amministrazione comunale e la Pro Loco di Quartucciu, privati e aziende) che si è svolta dal 29 settembre all'8 ottobre a Quartucciu. Quest'anno non sono mancate le novità. La processione del Santo (accompagnata dalla banda “Pergolesi” e dal coro polifonico di san Pietro Pascasio) si è spinta fino al nuovo quartiere dei Giardini. “Si è voluto dare particolare attenzione alle nuove famiglie che abitano in quella zona e che per vari motivi non hanno ancora maturato un legame con la nostra comunità”, ha spiegato il parroco don Alessandro Simula. Avvicinamento cominciato già questa estate con la dislocazione della messa festiva in via Barisardo. “Anche la scelta di iniziare l'anno catechistico proprio nella domenica della festa ha lo scopo di far conoscere questo evento identitario della nostra comunità. L'augurio è che
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pian piano tutti i rioni della parrocchia e le famiglie che li abitano vedano nella comunità parrocchiale il segno dell'unità e della vera comunione. San Pietro Pascasio, il nostro patrono, ha concluso, ci aiuti con la sua intercessione ad essere “famiglia di famiglie”. Festa religiosa e festa civile si sono coniugati mirabilmente in questo evento di identità e senso di appartenenza anche sociale di cui il protagonista indiscusso è stato San Pietro Pascasio (presente anche in una nicchia del Santuario di Nostra Signora di Bonaria a Cagliari), tra i primi a sostenere con forza
A Sinnai tutti in festa per il martire guerriero Le due comunità strette con fede intorno a Sant’Efisio ROBERTO COMPARETTI NAVISITA CHE HA LASCIATO il segno. Quando due anni fa il simulacro di Sant’Efisio venne portato nella comunità di Sant’Isidoro a Sinnai il bagno di folla fu davvero grande, segno di devozione sincera per il martire guerriero anche al di fuori del capoluogo. Così il parroco, don Walter Onano, ebbe l’idea di solennizzare quella data con la celebrazione delle festa per tutta Sinnai. “Con questa festa abbiamo voluto rivitalizzare il culto verso il santo – afferma – perché qui la gente ama Sant’Efisio e la devozione è grande. Prova ne sia il numero di persone che ogni anno non mancano all’appuntamento del 1 maggio quando da Cagliari parte il pellegrinaggio verso Nora. Questa devozione nel tempo si era un po’ persa, abbiamo così avuto l’onore di avere qui
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il Santo con la Confraternita di Cagliari e da lì si è voluto acquistare una statua con la quale abbiamo rimesso in piedi la festa. Non è certo un periodo legato la martire ma avendo fissato il 1 ottobre di due anni fa questa celebrazione particolare, abbiamo lasciato che la festa fosse fatta nella domenica più vicina alla data dalla quale tutto è iniziato”. Nello scorso fine settimana l’intera comunità si è stretta attorno al Santo. “Le due parrocchie di Sinnai portano avanti insieme la celebrazione – dice ancora il parroco. Sabato abbiamo iniziato qui a Sant’Isidoro, dove la statua è sistemata e dove opera un gruppo che sovraintende ai festeggiamenti religiosi. La messa solenne del sabato sera, presieduta dal parroco di Santa Barbara, don Giovanni Abis, ha dato l’avvio alla festa mentre la successiva processione per le vie del paese ha condotto il simu-
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brevi L’ANNUNCIO
Maria Cristina sarà beata il 25 gennaio La regina Maria Cristina di Savoia (1812-1836), sposa, madre e regina sarà beatificata nella Basilica di Santa Chiara a Napoli, dove riposano le sue spoglie mortali, dal cardinal Angelo Amato, Prefetto della congregazione delle Cause dei santi. La "reginella santa", come veniva chiamata dal popolo, discendente di Casa Savoia, andò in sposa a Ferdinando II di Borbone, sovrano del Regno delle due Sicilie, e morì giovanissima, in odore di santità, poco dopo aver dato alla luce Francesco che diventerà l'ultimo re di Napoli. Era figlia del re di Sardegna Vittorio Emanuele I (1759-1824), e dell'arciduchessa d'Austria Maria Teresa d'Asburgo-Este (1773- 1832). Maria Cristina, la figlia minore, nata il 14 novembre 1812 a Cagliari dove i sovrani si erano rifugiati per sfuggire all'invasione francese, era la
preferita della madre. Religiosissima fin da bambina, avrebbe voluto farsi suora. Ma il re Carlo Alberto (1798-1849) aveva per lei altri progetti. Voleva che andasse in sposa al re di Napoli Ferdinando II di Borbone, nel quadro di piani per un'unificazione pacifica e federale dell'Italia. Pio IX nel 1859, firmò il decreto d'introduzione della causa di beatificazione, dandole il titolo di venerabile. La pratica andò avanti nei vari stadi con le relative approvazioni canoniche, anche per l'interessamento del re Francesco II "il figlio della santa"; il 6 maggio 1937, Pio XI dichiarò eroiche le sue virtù.
UN NOSTRO ERRORE
Scambio di immagini tra due festività Per un errore abbiamo pubblicato sul numero scorso, sotto il richiamo della festa di San Basilio a Decimoputzu, alcune immagini che si riferivano ad altri momenti, pur belli, della comunità guidata dal parroco don GianMarco Casti. Non siamo immuni nemmeno noi da errori e sviste di questo tipo. Ce ne scusiamo con il parroco, con i nostri lettori, con il fotografo autore delle immagini, Elio Piras, e... con i due santi coinvolti. Grazie.
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IL PORTICO DELLA DIOCESI
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Parrocchie. nella comunità guidata da don Massimo noli hanno animato le numerose celebrazioni gli Araldi del Vangelo.
La statua della Madonna Pellegrina di Fatima ha fatto visita alla parrocchia di San Benedetto Nell’ambito delle iniziative programmate per l’Anno della Fede, la missione della Congregazione riconosciuta dal Beato Giovanni Paolo II nel 2001. La cronaca degli eventi ROSALBA CROBU AL 2 AL 6 OTTOBRE, nell’ambito degli eventi programmati per l’Anno della Fede da don Massimo Noli, nella parrocchia di San Benedetto si è tenuta la missione degli Araldi del Vangelo, Congregazione Internazionale di diritto pontificio, riconosciuta ufficialmente da Giovanni Paolo II in occasione della festa liturgica della Cattedra di San Pie-
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Foto di gruppo con i bambini del catechismo. In basso, altri momenti.
tro, il 22 febbraio 2001. Gli Araldi padre Maurizio, fra Maicon e fra Plinio hanno accompagnato il simulacro della Madonna
Pellegrina di Fatima, benedetta da Giovanni Paolo II nel 2001 dando loro l’incarico di essere messaggeri del Cuore Immacolato di Maria e di portare il simulacro della Madonna in ogni angolo del mondo. Così il simulacro ha fatto il suo ingresso nella parrocchiale di Santa Lucia, accolto da una folta assemblea che ha assistito all’incoronazione, quindi alla messa celebrata da don Massimo ed animata dai due Araldi fra Maicon e fra Plinio, mentre padre Maurizio offriva la sua assistenza spirituale ai tantissimi fedeli che in questi giorni si sono avvicinati e riavvicinati al sacramento della riconciliazione. Dopo la messa fra Maicon ha illustrato i tratti salienti della loro spiritualità, che sono tra l’altro anche le priorità che il parroco sta sviluppando nella parrocchia:
innanzitutto l’Eucaristia sorgente e culmine della vita di un cristiano. Quindi la devozione mariana, cioè l’amore senza limiti per Maria ed infine la piena fedeltà al Santo Padre. Il religioso ha spiegato il significato del loro abito: lo scapolare, una lunga striscia di tessuto indossata sopra la tunica, tradizionalmente l’abito della Madonna, indica l’appartenenza a Lei, mentre la spilla appuntata sulla sinistra, esprime i tre punti fondamentali della Congregazione: l’Eucarestia, Maria e il Papa; la catena indica il legame fortissimo con la Mamma Celeste e la consacrazione alla Madonna secondo gli insegnamenti di San Luigi Maria Grignon de Monfort, ed infine il rosario. La missione è proseguita conducendo il simulacro della Madonnina di Fatima in visita alla Casa Famiglia OAMI, agli anziani della Piccola Casa di San Vincenzo in via San Benedetto, quindi ai bambini della scuola dell’infanzia della Scuola paritaria “Buon Pastore” con contestuale visita alle suore nell’antico convento e agli anziani del pensionato “Dessì” in via Sonnino. Numerose sono state le visite ai malati nelle case, incontri particolarmente toccanti e ricchi di fervore spirituale. Tutti i giorni ha avuto luogo l’Adorazione eucaristica, la recita del Rosario animato dagli Araldi e la messa per affidare alla Santa Vergine la parrocchia, le gioie e le sofferenze di tutti; tutte le celebrazioni sono state animate dagli Araldi e presiedute da don Massimo. Alla messa domenicale delle 10, l’anno catechistico è stato inaugurato
davanti al simulacro della Madonna pellegrina e alla presenza degli Araldi del Vangelo che hanno suscitato la curiosità dei bambini prontamente soddisfatta dalle spiegazioni di fra Maicon. Di sera, dopo la messa pomeridiana ripresa da Rai 1 per il programma “A Sua Immagine”, impegnata in un servizio sull’operosità missionaria mariana degli Araldi del Vangelo, riconducibile all’evento di domenica 13 ottobre in cui Papa Francesco, davanti alla statua originale della Madonna di Fatima, consacrerà al Cuore Immacolato di Maria il mondo intero, una folla di fedeli commossi ha partecipato ad una fiaccolata per le vie Fais, Cimarosa e Cherubini, per accompagnare e salutare, con il tradizionale sventolio di fazzolettini bianchi come si usa a Fatima, la Madonnina alla macchina che l’avrebbe condotta al Monastero Nazareth del Verbo Incarnato, convento delle monache di clausura a Terramala: qui il simulacro si tratterrà sino a giovedì per poi essere condotto nella parrocchia di Sant’Elena a Quartu.
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IL PORTICO DEI PAESI TUOI
Feste e sagre. Orroli in festa per San Vincenzo Ferrer, in memoria di un antico voto.
La devozione di un intero paese per il santo che lo liberò dalla peste La comunità guidata da don Sergio Pisano ha preparato la festa in ogni minimo dettaglio. Tra le strade del paese anche tantissimi devoti provenienti da altri centri GIANNI PIRAS NCHE QUEST ’ANNO, nel piccolo paesino sarcidanese di Orroli, qualche settimana fa si è concluso l’ennesimo appuntamento con la tradizionale Sagra di San Vincenzo Ferrer dedicato al santo spagnolo.
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Il rito, svoltosi nella settecentesca chiesa omonima e fra le vie del paese, ha raccolto oltre ai devotissimi e fedeli abitanti, anche una grossa folla di turisti provenienti dai paesi limitrofi e dal Campidano. Una bellissima sorpresa per il parroco don Sergio Pisano e per il sindaco Antonio Orgiana, i quali accompagnano con tanta devozione e fede la Sagra paesana in tutto il suo percorso. Quest’anno, l’evento ormai atteso per la fine di settembre, è stato preparato con cura già da qualche giorno prima dell’uscita in processione del simulacro stesso, curando maggiormente tutti i mini-
mi dettagli, fra cui una maggior partecipazione anche da parte del gruppo folk paesano che ha accompagnato con cura il santo con l’inserimento dei piccoli bambini del gruppo stesso. Per la prima volta, alcune devote del paese stesso, hanno sfilato dinanzi al parroco e al chierichetti, portando in processione il nuovo gonfalone raffigurante il Santo. La tradizionale Sacra ha origine remote che nacquero durante il trascorrere del periodo medioevale, intorno ai primi del 1400 circa. La storia narra che intorno ai primi del 1332, su un vasto territorio appartenente ai duchi di Mandas, venne edificato nel vec-
chio borgo dedicato a San Nicola da Gesturi, il primo agglomerato urbano grazie al lavoro degli agricoltori, contadini e allevatori. Il paese incominciò a nascere in fretta contando moltissime anime e tante piccole famiglie, ma nel 1348 ebbe un grave crollo demografico a causa di un’epidemia di peste che decimò grandissima parte degli abitanti e causò gravi danni. Un popolo già da allora buono, pacifico e solidale con i paesani limitrofi e i viandanti che alloggiavano in paese. Da allora, il popolo superstite si invocò al Santo spagnolo che li liberò da questa grave peste. Il popolo, successivamente, decise di onorare il santo anno per anno in ogni circostanza per poterlo ringraziare per il miracolo concesso. Il rito venne portato avanti per cinquant’anni, finchè si decise di consegnare il tutto e di far continuare negli anni il rito ai servi della Chiesa e ai parroci del periodo. Questi lo portarono avanti fino ai giorni d’oggi con tanta devozione, fede e immenso impegno, senza trascurare ogni minimo dettaglio. San Vincenzo Ferrer, erroneamente chiamato Ferreri, nacque a Valencia nel 1350. Diventò frate nel convento Domenicano, successivamente sacerdote e forte sostenitore di Clemente VII. Morì nel 1419, e oggi è invocato contro epilessia e immoralità.
“Chiediamo al Signore di accrescere la fede” SS. Redentore: l’invito di don Sergio alle famiglie riunite MARIA GRAZIA CATTE OMENICA 6 OTTOBRE, prima nel cortile parrocchiale e dopo in chiesa, ci siamo ritrovati tutti insieme: catechisti, bambini, ragazzi e genitori per riprendere, guidati dal nostro instancabile parroco, il Cammino di fede per conoscere e amare sempre di più Gesù. Don Sergio nell’Omelia ci ha invitato, in questo anno catechistico, a chiedere a Gesù, come hanno fatto i discepoli, di accrescere in noi la Fede; chiedere quella Fede che ci renda capaci di affidarci totalmente a Gesù perché ci fidiamo totalmente di lui. Nessuna raccomandazione particolare perché già fatte nei giorni scorsi quando il Parroco ha incontrato, in diversi momenti, catechisti, genitori bambini e ragazzi. Don Sergio ha dato il benvenuto ai bambini del primo corso che se-
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guiranno ogni domenica la catechesi insieme ai genitori e ha ringraziato tutti per la presenza e l’impegno; in particolare ha espresso il suo grazie a Suor Eda Rosetti (Figlia di Maria Ausiliatrice) trasferita in altra casa salesiana dopo 22 anni di impegno a Monserrato come insegnante elementare e catechista parrocchiale, e l’assemblea ha risposto con un caloroso applauso.
Al termine della Messa, ricordando che siamo nel mese dedicato al Rosario, tutti insieme abbiamo recitato la Supplica alla Madonna del Rosario.
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detto tra noi In mano a chi siamo? di D. TORE RUGGIU
Certamente siamo nella mani di Dio! Di questo possiamo stare certi e, anche quando siamo perseguitati o subiamo ingiustizie, Dio non ci abbandona e, presto o tardi, fa tornare i conti. Tuttavia Dio non toglie a nessuno un dono immenso: la libertà! L'uomo può stare tranquillo che, anche quando combinasse sciocchezze, Dio non gli toglie mai la libertà. Oggi (ma non solo oggi), siamo in mano ai cosiddetti “poteri forti”. A parte i dittatori che, però, pian piano vengono eliminati (vedi quanto è capitato in Egitto, Tunisia, Libia, Iraq etc.), non vi è dubbio che siamo in mano ai poteri economici, ai potenti e ai traffici illeciti internazionali. Talora, per non dire sempre, queste ricchezze sono procurate con mezzi illeciti e, comunque, condizionano non poco le scelte e gli orientamenti della politica. Il danaro, insieme al sesso e al potere, sono idoli per i quali non si accettano limiti etici. Il pericolo è davvero quello di condizionamenti non soltanto “in alto”, ma anche per ogni individuo: Papa Francesco, in queste ultime settimane, non fa altro che ammonire di non essere schiavi del denaro. Ciò ha ricordato il Pontefice perché Gesù stesso ha preso posizione chiara e ha ammonito sul pericolo delle ricchezze che possono ingombrare il cuore, offuscare le menti, farci deviare dai percorsi dei valori umani e cristiani e metterci nell'occasione di commettere ogni tipo di scelleratezze. Un altro potere “forte”, è oggi l'informazione. Davvero i giornalisti della carta stampata e della tv sono indipendenti e fotografano la realtà con onestà, senza asservire ad una ideologia o al “potente” di turno? Quantomeno viene il dubbio! Basta leggere più giornali per vedere le verità stravolte e per capire che quel giornale, quel conduttore televisivo, quel comico, quel vignettista e anche quel tg, sono di parte, ben lontani comunque dal rispetto sacrosanto della verità. In definitiva, se facciamo bene i conti, possiamo dire che siamo in mano ad alcune decine di persone che condizionano l'opinione pubblica. Tanto che, per fare un esempio, la stragrande maggioranza condanna giustamente il campi di concentramento nazisti (lager) e la stessa stragrande maggioranza tace sui campi di concentramento comunisti (gulag). Di chi la colpa? Non certo della gente, ma di chi non informa correttamente che non esistono morti ammazzati di serie A e morti ammazzati di serie B. Giustamente il Vangelo ci dice che “la verità vi farà liberi”. E che le ingiustizie e tutti i misfatti, di qualsiasi genere, salgono in cielo e Dio non è mai indifferente di fronte a chi grida a Lui giorno e notte. Altro potere forte, infine, è la moda . In un mare così agitato, non è per nulla facile stare a galla, eppure bisogna andare sempre avanti, anche contro corrente, anche perché la felicità non alberga nei castelli fatati e nelle illusorie falsità, ma nell'amore, sempre accompagnato dalla verità e dalla giustizia. Mettiamoci nelle mani di Dio: siamo più sicuri anche perché più forte di lui non c'è nessuno!
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IL PORTICO DEI PAESI TUOI
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Parrocchie. A Decimoputzu l’arcivescovo ha conferito l’accolitato a Paolo Ena.
In ricordo di don Antonio Loi, con il cuore ancora pieno di gioia LIDIA LAI
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L 26 SETTEMBRE SCORSO nella
parrocchia Nostra Signora delle Grazie a Decimoputzu monsignor Miglio ha presieduto la celebrazione dell'accolitato di Paolo Ena e ha ricordato i 50anni di sacerdozio di don Antonio Loi. Hanno concelebrato il parroco don Gian Marco Casti, don Fabio Trudu, don Davide Piras, don Paolo Sanna. A servire messa Matteo Mocci, che frequenterà l'anno propedeutico al seminario di Cagliari, e Alfredo Usai che farà un periodo di prova tra i monaci benedettini nel monastero di San Pietro di Sorres. L’arcivescovo non ha celato la gioia nel vivere questa occasione
che metteva insieme due speciali circostanze: i 50 anni di anniversario di sacerdozio di don Antonio Loi e l'accolitato di Paolo Ena nel suo paese natale. Ricordando le parole del Papa, che ha citato don Antonio Loi durante l’incontro con i giovani nel Largo Carlo Felice come venerabile insieme agli altri giovani santi sardi, mons. Miglio ha sottolineato che “l'ordinazione di don Antonio Loi si tenne il 21 settembre 1963 e anche se la festeggiamo con qualche giorno di ritardo, abbiamo il vantaggio di aver assimilato la gioia, le emozioni e gli insegnamenti ricevuti domenica scorsa con la visita pastorale di Papa Francesco. E certamente questa presenza che sentiamo ancora vicina arricchi-
sce la celebrazione. Tra i servi di Dio giovani, il Papa ha nominato anche Don Antonio. Ma siamo stati contenti anche per la coincidenza: nello stesso giorno, il 21 settembre, l'ordinazione di don Loi e i 60 anni dalla chiamata di Papa Francesco, come lui stesso ha raccontato”. “Piccole coincidenze - ha sottolineato l’arcivescovo - che ci aiutano ad unire queste due figure e a sentirci ancora di più accompagnati dall'affetto del Papa per la nostra terra e dalla preghiera di don Antonio, in modo particolare per il nostro seminario e le nostre vocazioni”. Mons. Miglio ha indicato la figura di don Loi come esempio per tutti i sacerdoti, per i seminaristi e per i giovani. Con una indica-
zione in più: “Che in questo contesto particolare, sia momento propizio per invocare su Paolo la benedizione per il ministero dell'accolitato, passi che pian piano lo avvicinano all'ordinazione diaconale e poi a suo tempo, a quella sacerdotale. Qui nella sua parrocchia sotto lo sguardo e la preghiera di don Antonio Loi, con il cuore pieno di gioia per i doni che il Signore ci ha dato in questi giorni”. Ha quindi spiegato la figura dell'accolito, affermando che accanto al celebrante e al ministrante c'è il diacono e poi l'accolito, che diventa ministro della distribuzione dell’Eucarestia. Quest'ultima è una parola chiave: don Loi ha saputo trasformare in offerta libera e gioiosa e volontaria la sua vita di sofferenza e malattia. Questo è il vero e il primo miracolo che il Signore ha operato nella vita di don Antonio. Infine l’augurio per tutti: “Anche nella vita di ciascuno di noi ogni momento di croce diventi occasione per un'esperienza di amore nei confronti del Padre e dei fratelli”. Monsignor Arrigo Miglio ha quindi esortato tutti ad avere un atteggiamento comunitario costruttivo, edificante e non individualistico e distruttivo: l'architetto e il vero maestro sia sempre Gesù, pietra angolare dell'edificio. foto di Lidia Lai
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curiosità SETTIMANALE DIOCESANO DI CAGLIARI Registrazione Tribunale Cagliari n. 13 del 13 aprile 2004
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Santa Greca, una festa per tantissimi devoti
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na forte devozione non solo dei decimesi ma di tante persone provenienti da tutta l’Isola. La festa di Santa Greca anche quest’anno ha visto il consueto bagno di folla, specie domenica nella celebrazione eucaristica della tarda mattinata, presieduta dall’Arcivescovo, monsignor Arrigo Miglio. “La presenza di tante persone è il segno di quanto amore ci sia verso la Santa – dice il parroco don Beniamino Tola. I decimesi sono affezionati a Santa Greca ma ciò che continua ad impressionarmi è l’aumento del numero di partecipanti alle celebrazioni, provenienti da tanti centri dell’Isola, ma anche della penisola. Ho ricevuto richieste anche da altre nazioni, come la Germania”. Diversi i momenti suggestivi della festa, ma quelli della vestizione della Santa e della deposizione degli
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abiti della festa sono tra i più sentiti.“Quando la Santa viene rivestita di abiti sontuosi e di gioielli – afferma il parroco - vogliamo ricordare la necessità come credenti di rivestirsi della bellezza di Cristo Nostro Signore. Santa Greca ha rinunciato a tutto per rivestirsi di Cristo, ed i gioielli che le vengono messi ricordano la scelta preziosa della vita cristiana e la rinuncia a ciò che cristiano non è. Nel caso invece della svestizione di quegli abiti si fa memoria dell’importanza del ritorno alla vita quotidiana, quella del lavoro di ciascun fedele. In entrambi i casi i riti sono accompagnati dalla preghiera e dal canto: non una semplice operazione legata alla moda ma una vera e propria para liturgia, che ci ricorda il significato autentico della festa”. Il programma delle celebrazioni è scandito dalle messe nella chiesa dedicata alla Santa e dalla processione con la reliquia ed il simulacro porta-
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te per le strade, in particolare nella giornata di sabato l’incontro nel piazzale antistante la chiesetta. Le messa della domenica e quelle del lunedì, quest’anno anche il vescovo di Ales – Terralba, monsignor Giovanni Dettori, ha celebrato l’Eucaristia a Santa Greca, hanno visto una folla di fedeli partecipare con profondo raccoglimento. Quanto al culto don Tola non ha dubbi sull’autenticità dei documenti e delle testimonianze.“Santa Greca – dice - è stata martire della fede nel momento più difficile per i cristiani, quello del tempo di Diocleziano. Le ricerche fatte lo testimoniano e non potrebbe essere diversamente visto il seguito di persone che i festeggiamenti hanno. Certo non manca l’aspet-
to civile ma la chiesetta stracolma e il piazzale pieno di fedeli alle messe più sentite credo che dimostrino quanto Santa Greca sia amata, in particolare dai cagliaritani che volentieri si spostano dalla città per venire qui in pellegrinaggio”. La festa è un impegno importante per la comunità di Decimomannu. “In particolare per la parrocchia – conclude don Beniamino - che insieme agli obrieri e all’Associazione di Santa Greca si fanno carico dell’organizzazione. Ciò che però conta è la preghiera e l’affidarsi a Dio: i santi ci aiutano a cercare il Signore. Sono loro ad intercedere per noi. Di questo dobbiamo sempre tenere conto”.
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