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DOMENICA 5 GENNAIO 2014 ANNO XI N.1
SETTIMANALE DIOCESANO
DI
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CAGLIARI
Un momento di preghiera di una comunità cristiana in Siria.
Una nuova fraternità ROBERTO PIREDDA
aura ha quindici anni e frequenta il primo anno del liceo. Quest’anno ha iniziato ad aiutare come animatrice in oratorio. Si era preparata al Natale insieme con il suo gruppo guidato dal giovane viceparroco. La notte di Natale ha trascorso il momento della cena con la sua famiglia, si è preparata per uscire e con calma è andata nella sua parrocchia per la Messa della notte. Per lei si è trattato di un bel momento di preghiera insieme alla sua comunità e in modo particolare agli altri ragazzi del suo gruppo. Laura sa che tutto questo per lei è molto importante e non vorrebbe perderlo per nessuna ragione. C’è però qualcosa che Laura non sa; forse ne ha sentito un po’ parlare, ma non più di tanto. Quanto ha vissuto la notte di Natale con tanta semplicità a lei potrebbe apparire normale, ma certamente non lo è per i cristiani della Siria o del Pakistan, per fare solo degli esempi. Per loro, a differenza di Laura, quando si esce di casa per andare in chiesa, magari proprio la notte di Natale, si è accompagnati da un dubbio atroce: cosa accadrà? E non si tratta di una domanda qualsiasi, perché queste persone, per il solo fatto di essere cristiane e di professare la loro fede, rischiano davvero la vita. Lo sanno bene i cristiani siriani che hanno davanti le immagini della strage di quarantacinque per-
L
sone a Sadad, gettate poi in una fossa comune. La cosa non sfugge neanche ai cristiani del Pakistan, la terra di Shahbaz Batthi, che hanno ancora davanti agli occhi gli oltre cento morti dello scorso 22 settembre a seguito dell’esplosione di due bombe in un attentato suicida a Peshawar. Quelli appena richiamati sono semplicemente degli esempi di un lungo elenco, che vede continuamente protagonisti i cristiani sparsi in tante nazioni, dove non esiste la libertà religiosa e nelle quali anche solo recarsi in chiesa può voler dire mettere a rischio la propria vita. Anche l’Europa, ufficialmente sempre civile e tollerante, a volte non è estranea agli attacchi contro i cristiani, portati avanti in modo sottile, per esempio cercando di emarginare il messaggio cristiano dallo spazio pubblico, in nome di un’angusta e parziale concezione di laicità che diventa così soltanto chiusura ideologica. Alla luce di queste realtà non devono sorprenderci allora le parole di Papa Francesco all’Angelus dello scorso 26 dicembre, festa di Santo Stefano: «La memoria del primo martire viene così, immediatamente, a dissolvere una falsa immagine del Natale: l’immagine fiabesca e sdolcinata, che nel Vangelo non esiste! La liturgia ci riporta al senso autentico dell’Incarnazione, collegando Betlemme al Calvario e ricordandoci che la salvezza divina implica la lotta al peccato, passa attraverso la porta stretta della Croce».
La rappresentazione di un Natale liquefatto in un’immagine zuccherosa buona per qualche réclame non è per niente evangelica. Papa Francesco ha fatto bene a ricordarcelo con chiarezza. Il passo che collega Betlemme al Calvario, il mistero del Natale con il ricordo del primo martire cristiano, è decisivo. Quel piccolo bambino adagiato in una mangiatoia viene per portare la salvezza ad ogni uomo e dentro questo disegno c’è il suo dare la vita per noi, c’è tutta la forza drammatica del suo sacrificio. E insieme al dono di Cristo s’intravede già quello dei suoi discepoli, che non si tirano indietro pur di condividere il suo stesso amore. Nel Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace, che ha aperto questo 2014, leggiamo che «la croce è il “luogo” definitivo di fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado di generare da soli. Gesù Cristo, che ha assunto la natura umana per redimerla, amando il Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr Fil 2,8), mediante la sua risurrezione ci costituisce come umanità nuova, in piena comunione con la volontà di Dio, con il suo progetto, che comprende la piena realizzazione della vocazione alla fraternità». Far entrare pienamente Cristo nella propria vita significa correre, come ha fatto Lui, il rischio del dono, nella convinzione che solo questa via genera vita, bellezza, speranza. Anche in questo 2014 appena iniziato.
SOMMARIO ECONOMIA
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In aumento la disuguaglianza tra le classi sociali CARITÀ
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Presentata a Cagliari la nuova edizione del “Dossier” Caritas GIOVANI
6
Migliaia di persone hanno partecipato alla Marcia della Pace MISSIONE
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La testimonianza dei nostri missionari in Brasile e in Kenya DIOCESI
Continua la Visita pastorale nella Forania di Pirri
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