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DOMENICA 8 GIUGNO 2014 A N N O X I N . 23

SETTIMANALE DIOCESANO

DI

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CAGLIARI

La famiglia è un valore ROBERTO PIREDDA

orreva l’anno 1974. Per la precisione il 12 e il 13 maggio. Gli italiani furono chiamati a votare per il referendum sul divorzio. Nonostante il vigoroso impegno del fronte del “sì” all’abrogazione, prevalse il “no” con il 59,3 %. Fu un momento lacerante per la società italiana e per il mondo cattolico, che si presentò diviso al momento del voto, e percepì, forse per la prima volta in modo così chiaro, quella che Paolo VI definì nell’Evangelii nuntiandi, la “rottura” tra Vangelo e cultura nel nostro tempo (cfr. n. 20). 29 maggio 2014. Sono passati quarant’anni da quel referendum e si torna a parlare di divorzio. La Camera dei Deputati, a larga maggioranza, ha approvato il disegno di legge che riduce da tre a un solo anno il termine per ottenere il divorzio dopo una separazione giudiziale, e a soli sei mesi per la consensuale, indipendentemente dalla presenza o meno dei figli. La parola ora passa al Senato, dove appare poco probabile uno stravolgimento del testo appena approvato dalla Camera. All’interno della legge del 1970 il tempo congruo lasciato tra la separazione e la possibilità di chiedere il divorzio voleva essere uno spazio per una riflessione ulteriore prima della rottura definitiva. Con il cosiddetto “divorzio breve” invece il rischio grande è quello di presentare il matrimonio come un fatto quasi solo privato, una fase nella vita di una persona che si può aprire e chiudere (apparentemente) senza troppe conseguenze al pari di tanti altri con-

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tratti. Non a caso tra le varie ipotesi in campo, fortunatamente scartata, c’era anche quella di far realizzare le procedure di separazione e divorzio dal notaio: la vita di una famiglia, e magari dei figli, verrebbe così, di fatto, messa alla pari della compravendita di una seconda casa o di un garage. Assistiamo oggi ad un terribile paradosso: proprio nel momento in cui da più parti si spinge in ogni modo per estendere la concezione di matrimonio anche a relazioni che non hanno a che fare con il vincolo coniugale, come quelle tra persone dello stesso sesso, si indebolisce l’istituto matrimoniale, svuotandolo progressivamente di ogni valore. Le leggi non sono neutre, creano una mentalità. In questo caso si tende a rafforzare l’idea che il matrimonio e la famiglia siano qualcosa di assolutamente privato e relativo, così come la presenza o meno dei figli, scivolando in questo modo in una prospettiva meramente individualistica. Ridurre sostanzialmente il matrimonio ad un possibile “incidente di percorso”, da archiviare il più in fretta possibile e senza lasciare tracce, va contro la realtà delle cose. Ciò va affermato senza chiudere gli occhi davanti a tante ferite e sofferenze che accompagnano il cammino di molti coniugi. È legittimo chiedersi a questo punto che senso hanno le solenni affermazioni contenute, non nella Bibbia o nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ma, molto più laicamente, nella Costituzione italiana, legate quindi al diritto naturale. In che modo stiamo tutelando «i diritti della famiglia come società naturale fon-

data sul matrimonio» (art. 29)? La famiglia, con la sua ricchezza di relazioni fondate sulla differenza dei sessi e delle generazioni, può dare infatti un apporto decisivo al bene della persona e della società. Si tratta, in altre parole, di sostenere concretamente la possibilità di un amore «per sempre», capace di vincere la «cultura del provvisorio che oggi ci invade tutti» (Papa Francesco, Incontro con i fidanzati, 14-02-2014). C’è chi è convinto che decisioni come quella venuta fuori dalla Camera non siano altro che l’espressione delle “magnifiche sorti e progressive” verso le quali la nostra società avanza, lasciandosi dietro qualsiasi legame con la tradizione, specie se questa può avere a che fare, anche solo un po’, con il cristianesimo. A questi gioverebbe riprendere quanto scrisse Pier Paolo Pasolini nel 1974, poco tempo dopo il referendum sul divorzio. Secondo lo scrittore e regista chi aveva davvero vinto la partita era «l’ideologia edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo americano», creata da un «Potere» che ha gettato «a mare cinicamente i valori tradizionali e la Chiesa stessa, che ne era il simbolo». Al “consumismo affettivo” che riecheggia anche nelle parole di Pasolini, bisogna rispondere col riconoscere il valore e il ruolo pubblico del matrimonio e della famiglia. Questa non è una battaglia confessionale e di parte, ma è per l’uomo. Solo il rispetto della verità sull’uomo e la famiglia può portare alla felicità. Il resto è solo un’illusione, anche se ben ammantata dall’ideologia del “progresso”.

SOMMARIO POLITICA

2

Il quadro che emerge in Italia e nel Continente dopo le Elezioni europee ESTERI

3

Il dramma del silenzio che ha avvolto la realtà siriana MEDIA

12

Si è tenuta a Oristano la Giornata Regionale delle Comunicazioni DIOCESI

13

Il Consiglio Pastorale riprende il suo cammino al servizio della diocesi CULTURA

15

La presentazione dei nuovi volumi dell’Archivio Diocesano


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