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Poste Italiane SpA Spedizione in abb.to postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 comma 1 - DCB Cagliari

SETTIMANALE DIOCESANO

A N N O X I N .42

Stato sociale

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Giovani

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DI

CAGLIARI

Cagliari

DOMENICA

7

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NOVEMBRE

2014

Testimonianze

La lotta dei malati di Sla per avere i fondi statali

Evangelizzare attraverso il canto

I 70 anni di Gigi Riva, un simbolo del calcio

La profonda umanità di Aldo Moro

n tanti sono scesi in contro i tagli. IPapapiazza Francesco ha

l 30 novembre si terrà a Cagliari la Irassegna dei cori

l campione del Cagliari rimane Iancora un esempio

l ricordo del leader DC nelle parole Icariche di intensità

espresso solidarietà

giovanili parrocchiali

per i giovani sportivi

della figlia Agnese

EDITORIALE Il dono della vita di Roberto Piredda rittanny Maynard, numero 1174. Parliamo di una donna americana di ventinove anni e il numero è quello dei malati terminali, che nello stato dell’Oregon hanno ottenuto l’autorizzazione al cosiddetto “suicidio assistito”. A Brittanny era stato diagnosticato un tumore in fase avanzata: dalla California si era trasferita in Oregon proprio per porre termine alla sua vita. Il 1 novembre ha realizzato il suo proposito. Grazie ad un video che ha fatto il giro del web, nei mesi scorsi la sua storia è diventata nota in tutto il mondo. Il suo caso, come spesso capita in queste situazioni, è stato sostenuto e propagandato dall’associazione americana pro-eutanasia Compassion and Choices (compassione e scelte). Nessuno può entrare nella coscienza della giovane americana per capire cosa l’abbia spinta ad arrivare alla decisione di togliersi la vita, solo Dio conosce cosa c’è nel profondo dell’animo umano. Il suo caso è stato però preso a pretesto da alcuni per sostenere la presunta bontà dell’eutanasia e del “diritto a morire con dignità”. Questo impone di fare delle considerazioni di carattere generale. Per una certa corrente di pensiero oggi il “suicidio”, andrebbe legalizzato, trasformandosi nel “diritto a morire”. La morte diventerebbe in questi casi “dolce” e “dignitosa”. Nella cultura contemporanea si cerca, senza riuscirci, di scansare la questione del dolore e della morte e l’insopprimibile domanda di senso che ne deriva. Alla ricerca di risposte si preferiscono le finzioni e gli eufemismi. Oriana Fallaci spiegava con grande lucidità tutto questo in un’intervista del 2004: «La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci credo alla buona-Morte, alla dolce-Morte, alla Morte-cheLibera-dalle-Sofferenze. La morte è morte e basta». Come al solito alcuni casi particolari vengono presi come pretesto per propagandare l’eutanasia. Ma non possiamo dimenticare le tantissime persone, certamente la maggioranza, che affrontano con dignità e coraggio malattie terribili, come ad esempio i tumori, testimoniando fino all’ultimo il valore e la bellezza della vita, seppure irrimediabilmente ferita. Alle persone provate dalla malattia e dalla prospettiva di una vita che volge rapidamente al termine, giova veramente offrire la possibilità di un suicidio “legalizzato”, magari in una clinica dove tutto è perfetto per lo scopo? Non sarebbe invece necessario stare accanto a chi si trova in tale condizione, garantendo la giusta assistenza medica e la vicinanza di familiari e amici? I progressi della medicina permettono di assistere in maniera sempre migliore i malati terminali, e in ogni caso si devono evitare forme di accanimento terapeutico. La parola della Chiesa in questo campo non è quella del “no”, ma al contrario c’è un grande “sì”, detto senza tentennamenti, alla vita, dal suo inizio fino al suo termine naturale. In questa visione si può riconoscere chiunque, a prescindere dalla sua fede, perché si tratta di un messaggio profondamente umano. La pazienza e l’amore con cui tantissime persone stanno accanto ai propri cari fino all’ultimo istante dell’esistenza, dando forza a quanti sono provati moralmente e fisicamente, non è l’ideologia di qualche pensatore, ma è semplicemente la realtà. Come ci insegna Papa Francesco, in questo campo la posta in gioco è grande: «Quanto vale l’uomo e su che cosa si basa questo suo valore. La salute è certamente un valore importante, ma non determina il valore della persona.

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Anniversari. 25 anni fa la caduta del Muro di Berlino

Servono ponti non muri

Il 9 novembre del 1989 veniva giù definitivamente il muro che separava in due la città di Berlino, simbolo tragico di una stagione di negazione della libertà. Papa Francesco all’Angelus ha ricordato il significato di questo avvenimento per l’oggi: “Preghiamo perché si diffonda sempre più una cultura dell’incontro, capace di far cadere tutti i muri che ancora dividono il mondo, e non accada più che persone innocenti siano perseguitate e perfino uccise a causa del loro credo e della loro religione”

Attualità

3 Senorbì

La Chiesa di fronte alla realtà delle tasse locali

75 anni fa veniva dedicata la chiesa parrocchiale

In memoria 14 Cultura Il ricordo di Padre Stefano Mascia dei Frati Cappuccini

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In Facoltà Teologica il Seminario sul tema del “gender”


Attualità

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domenica 16 novembre 2014

La cultura dell’incontro per non creare altri muri A 25 anni dalla storica caduta del Muro di Berlino rimane il pericolo di creare divisioni tra i popoli. San Giovanni Paolo II fu profeta della fine dell’impero comunista i diffonda sempre più una cultura dell’incontro, capace di far cadere tutti i muri che ancora dividono il mondo, e non accada più che persone innocenti siano perseguitate e perfino uccise a causa del loro credo e della loro religione». È questa la preghiera che papa Francesco ha espresso domenica scorsa, dopo l’Angelus, ricordando la ricorrenza del venticinquesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. Alla quale ha poi aggiunto: «Dove c’è un muro c’è chiusura di cuore: servono ponti, non muri». Prima il Pontefice, dopo aver ricordato che «25 anni fa, il 9 novembre 1989, cadeva il Muro di Berlino, che per tanto tempo ha tagliato in due la città ed è stato simbolo della divisione ideologica dell’Europa e del mondo intero», aveva sottolineato che «la caduta avvenne all’improvviso ma fu resa possibile dal lungo e faticoso impegno di tante persone che per questo hanno lottato, pregato e sofferto, alcuni fino al sacrificio della vita». E «tra questi – ha detto papa Francesco – un ruolo di protagonista ha avuto il santo papa Giovanni Paolo II». Un giudizio questo condiviso pressoché unanimemente dagli storici che riconoscono che Giovanni Paolo II fu tra coloro che più contribuirono a questo straordinario evento, spartiacque della storia contemporanea cui fece seguito il dissolvimento dell’impero sovietico. Una testimonianza su come Giovanni Paolo II visse la sera di quel 9 novembre di venticinque anni fa è stata data da Joaquin Navarro-Valls, l’ex direttore della Sala stampa vaticana, in una intervista rilasciata nei giorni scorsi a Radio Vaticana.

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Alla domanda su come reagì quella sera il Papa alla notizia di quell’evento epocale, Navarro-Valls risponde: «Era quasi come se lui se lo aspettasse. Entrava questa possibilità pienamente nel suo modo di pensare e per lui era quasi una non notizia. Naturalmente c’era anche un elemento di sorpresa per la data. Però in tutti quegli anni, che sono stati 10 anni – dal ’79, data del suo primo viaggio in Polonia, all’89 data della caduta del Muro, quindi 10 anni – in cui lui continuava ad andare in Polonia, continuava con il suo messaggio… Era un lavoro straordinario, anzi direi un capolavoro straordinario che lui ha fatto in tutti quegli anni». Proseguendo l’ex direttore della Sala stampa vaticana si dice convinto che, anche quando nessuno ci sperava, Giovanni Paolo II invece credeva fermamente nella caduta del Muro di Berlino e nella fine dell’impero sovietico. «Lui aveva già detto agli inizi, subito dopo il suo primo viaggio in Polonia nel ’79, che il più grave errore, l’errore fondamentale del socialismo, del socialismo reale, era antropologico. Questa era una cosa che fu sorprendente anche a livello delle Cancellerie europee e anche americane. Lui capiva benissimo che l’errore di base di questo socialismo reale era di natura antropologica e cioè una visione sbagliata dell’uomo: quell’uomo nuovo che il comunismo voleva ricreare, perché la società che

loro immaginavano funzionasse, era un mito, un grande errore. Quindi lui se lo aspettava, aspettava questo cambiamento e per questo continuava – in tutto quel lungo periodo di dieci anni – a ripetere il suo messaggio, che fu perfettamente capito in tutto il centro-est europeo». Riferendosi poi a Mikhail Gorbaciov, che ha affermato che senza tener conto del lavoro, della presenza e delle parole di Giovanni Paolo II non si può capire ciò che è avvenuto in Europa in quegli anni e in particolare nel 1989, Navarro-Valls ricorda che l’ex Presidente dell’Unione Sovietica nel 1989 aveva scritto una lunga lettera al Papa nella quale una delle cose sorprendenti è che faceva delle citazioni letterali piuttosto frequentemente delle encicliche sociali di Giovanni Paolo II». Per l’ex portavoce vaticano non c’è dubbio che il propugnatore dei processi di riforma legati alla Perestrojka e protagonista nella catena di eventi che portarono alla dissoluzione dell’URSS «abbia trovato alcuni punti di ispirazione, nei cambiamenti che lui rappresenta, in quello che Giovanni Paolo II aveva scritto». E mentre gli occhi del mondo sono puntati su Berlino nel venticinquesimo anniversario dell’evento che ha decretato la fine della Guerra Fredda, sono d’aiuto per la riflessione le parole del discorso che nel 1996 papa Giovanni Paolo II pronunciò alla Porta di Brandeburgo,

I malati di Sla chiedono delle attenzioni concrete Un gruppo di persone colpite dalla Sla ha protestato per la riduzione del fondo di non autosufficienza. All’Udienza generale Papa Francesco ha manifestato la sua solidarietà na malattia terribile, che ti fa diventare per sempre un’altra persona: i malati di Sla e i loro familiari sanno cosa vuol dire; la sclerosi laterale amiotrofica fa cambiare per sempre la propria vita e quella dei propri cari, che si trovano a dover affrontare, senza averne le forze, un mostro cattivo che vuole stritolarli. Non vogliono, come forse molti pensano, procedure più veloci per ottenere la “dolce morte”; vogliono semplicemente non essere lasciati soli a combattere questo mostro. Per questo gli stessi malati di Sla hanno deciso di rivolgersi al premier Renzi per gridare la loro contrarietà al taglio al

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n DALLA PRIMA La salute inoltre non è di per sé garanzia di felicità: questa, infatti, può verificarsi anche in presenza di una salute precaria. La pienezza a cui tende ogni vita umana non è in contraddizione con una condizione di malattia e di sofferenza. Pertanto, la

mancanza di salute e la disabilità non sono mai una buona ragione per escludere o, peggio, per eliminare una persona; e la più grave privazione che le persone anziane subiscono non è l’indebolimento dell’organismo e la disabilità che ne può conseguire, ma l’abbandono, l’esclusione, la privazione di amore» (Messaggio alla Pontificia Accademia per la Vita, 19

febbraio 2014). Aiutare a morire non è un passo avanti, la società progredisce davvero quando «è veramente accogliente nei confronti della vita, quando riconosce che essa è preziosa anche nell’anzianità, nella disabilità, nella malattia grave e persino quando si sta spegnendo; quando insegna che la chiamata alla realizzazione umana non esclude la

«simultaneamente punto di congiunzione d’Europa e punto di divisione innaturale tra Est e Ovest». In questo discorso, che forse contiene il messaggio più forte di Giovanni Paolo II sull’evento che segnò la fine di un mondo diviso in due, il Papa diceva: «In questo luogo così permeato di storia mi sento spinto a rivolgere un urgente appello per la libertà a tutti voi qui presenti, al popolo tedesco, all’Europa, anch’essa chiamata all’unità nella libertà, a tutti gli uomini di buona volontà. Possa questo appello raggiungere anche quei popoli ai quali fino ad oggi è stato negato il diritto all’autodeterminazione, ai non pochi popoli – sono di fatto molti – ai quali non sono garantite le libertà fondamentali della persona: la libertà di fede, di coscienza e la libertà politica». Poi, dopo aver ripetuto più volte che

«l’uomo è chiamato alla libertà», aggiungeva: «La nuova casa Europa, della quale parliamo, ha bisogno di una Berlino libera e di una Germania libera. Ha soprattutto bisogno di aria per respirare, di finestre aperte, attraverso le quali lo spirito della pace e della libertà possa entrare. L’Europa ha quindi bisogno, non da ultimo, di uomini convinti che aprano le porte, di uomini che tutelino la libertà mediante la solidarietà e la responsabilità. Non solo la Germania, ma anche tutta l’Europa ha bisogno per questo del contributo indispensabile dei cristiani». Parole ancora oggi attuali. Soprattutto se si pensa che linee di confine fatte di cemento continuano a dividere i popoli in diverse parti del mondo. E che nei mesi scorsi è stata annunciata la costruzione di un muro tra Ucraina e Russia. Franco Camba

fondo di non autosufficienza previsto nella legge di stabilità. Ed è il sardo Salvatore Usala, dalla sua casa di Monserrato, a prendere una posizione ben precisa: “Stavolta è la battaglia finale, dobbiamo ottenere un trattamento che renda l’Italia un paese civile e rispettoso della Costituzione. Non ripeterò le cose che faremo, ma meglio morti che abbandonati. In mezzo a 36 miliardi trovate i fondi per noi, Matteo contiamo su di te, evitiamo che qualcuno si faccia male. Stavolta è diverso, siamo stanchi del rituale periodico che ogni anno ci costringe a venire a Roma per rivendicare finanziamenti che dovrebbero essere la norma perché garantiti dalla Costituzione. Essendo un’associazione di disabili gravissimi, che viviamo il dramma della condizione sulla nostra pelle, riteniamo opportuno dare il nostro contributo per creare condizioni per una vita degna di essere vissuta. Abbiamo preparato una proposta di incremento del fondo da 1.000 milioni, con relativa copertura documentata, vorremmo presentarla e incontrare i tre ministeri: Salute, Welfare e Mef. La proposta è frutto dell’ascolto e del

confronto con tutti: associazioni, gruppi, disabili ed esperti. Abbiamo invitato il presidente del Consiglio Renzi con lettere, petizioni, video messaggi e comunicati, contiamo che venga. Dopo la doccia gelata, ci vuole un bel bagno caldo per i disabili con l’aumento del fondo”. Ci vuole coraggio ad esporsi, coraggio per farsi portavoce di certe battaglie: ma la guerra è comune e per vincerla ci vuole unione di forze; e per un tema tanto delicato quanto importante non fa mancare il proprio sostegno, e non è cosa da poco, Papa Francesco, che alla fine dell’udienza generale ha tenuto particolarmente a salutare i malati presenti: “Rivolgo un particolare pensiero a tutti gli ammalati di Sla e, mentre assicuro la mia vicinanza e la preghiera, auspico che tutta la società civile sostenga le loro famiglie ad affrontare tale grave condizione di sofferenza”. Un saluto insomma non formale, che ricorda a tutti noi quanto può essere importante un semplice gesto, non solo nei confronti dei malati, ma soprattutto per confortare le persone che li assistono. Marco Scano

sofferenza». La persona malata non è da scartare anzi è veramente «un dono per l’intera comunità, una presenza che chiama alla solidarietà e alla responsabilità» (ibidem). Anche se la pressione mediatica proeutanasia è molto forte, non bisogna smettere di portare avanti una battaglia di civiltà a favore della vita, di ogni vita.


domenica 16 novembre 2014

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Attualità

Dare valore a un servizio senza particolari privilegi La Chiesa non gode affatto di speciali concessioni in materia fiscale, paga come tutti le tasse per le attività commerciali e beneficia delle esenzioni per il no-profit ncora una volta l’Unione Europea e la Corte di Giustizia riaprono la questione degli sconti fisali sui beni e proprietà accordati alla Chiesa Cattolica dal Governo Italiano. Lo fanno ammettendo un ricorso che potrebbe costare agli enti ecclesiastici italiani 4 miliardi di euro per ICI e IMU non pagati dal 2008. E ancora una volta i quotidiani italiani quando si tratta di soldi, patrimonio e Chiesa Cattolica fanno a gara a produrre disinformazione mirata a gettare discredito sulle migliaia di opere pie che proprio nel Bel Paese reggono il Welfare nazionale. In questo articolo si cercherà di proporre una breve disamina dell’evoluzione normativa delle imposte comunali sugli immobili per poter capire su quali beni possano gravare e quali possano essere gli impatti sul tessuto economico-sociale se tali imposte fossero applicate senza distinzione di sorta. Il primo provvedimento varato è datato 1992, infatti con il Decreto Legislativo n. 504 del 30 dicembre del 1992, a partire dal 1 gennaio 1993 veniva introdotta l’ICI, l’Imposta Comunale

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sugli Immobili. Un’ imposta che aveva come obiettivo il finanziamento dei Comuni e delle Province attraverso la tassazione delle proprietà immobiliari dei cittadini e delle Organizzazioni (Società, Enti e quant’altro). Da subito l’introduzione di un’ imposta sulla casa aveva fatto storcere il naso a tutti gli italiani e immediatamente si era introdotta con il testo normativo l’esenzione per le prime case. Allo stesso modo il Legislatore si era posto il problema di non far gravare l’imposta sul mondo del No-Profit. La ratio dell’esenzione era basata sul riconoscimento del contributo sociale al Welfare nazionale delle attività del cosiddetto Terzo Settore. Settore NoProfit che in Italia presenta un universo di enti, associazioni, fondazioni e sindacati di cui solo una parte ha una matrice confessionale. Ovviamente da sempre l’opinione pubblica guidata sapientemente dalla propaganda laicista delle principali testate giornalistiche italiane aveva da subito bollato l’esenzione ICI, come esenzione mirata a preservare i benefici di Santa Romana Chiesa, agganciando in maniera impropria l’argomento alla

revisione ed eliminazione definitiva dei Patti Lateranensi. Dopo tanti anni di ICI, è subentrata l’IMU (L’Imposta Unica Municipale), per poi passare alla Tasi e alla più completa IUC (Imposta Unica Comunale). Cambiando però le varie denominazioni delle imposte il prodotto è sempre stato lo stesso: le esenzioni previste per il Terzo Settore ancora oggi vengono considerate come indebito vantaggio economico della Chiesa Cattolica nei confronti della povera gente che non riesce a garantirsi una decorosa fine del mese. Niente di più falso. Per la precisione, l’esenzione dall’Imposta locale sugli Immobili è diretta a tutti gli Enti cosiddetti Non Economici, ma non tutti i beni degli Enti non Economici sono esenti dall’applicazione dell’Imposta. La discriminate è lo svolgimento o meno di attività commerciale nell’immobile potenzialmente tassabile. Se in un locale viene creato un oratorio è diverso se nello stesso locale viene svolta un’attività di rivendita libri. Nell’oratorio viene svolta un’attività non commerciale mentre la rivendita di libri è un’attività commerciale. Lo

n NOVITÀ LEGISLATIVE. Si accorciano i tempi per porre termine alle nozze

Divorziare diventa più facile

stesso immobile di conseguenza è esente dall’imposta nel primo caso e sconta l’imposta nel secondo caso. Però possiamo anche individuare attività che pur essendo uguali possono essere commerciali e non commerciali, come ad esempio la somministrazione di alimenti e bevande. Di per se sarebbe inquadrabile come attività commerciale. Però sarebbe opportuno verificare la finalità della somministrazione per determinarne la natura commerciale o meno. Ecco che la Mensa Caritas, pur somministrando alimenti non presenta il requisito commerciale mentre un ristorante di un albergo gestito da suore presenta tale requisito. Di conseguenza l’immobile dove è svolta l’attività sarà esente nel primo caso e tassato nel secondo. Ma non solo. Nel secondo caso l’attività sarà soggetta alla disciplina IVA e soprattutto sarà soggetta all’IRES (l’imposta sui redditi per le persone giuridiche) e all’IRAP (Imposta Regionale sulle attività Produttive). Tutto ciò vale, ricordiamo, non solo per

le attività degli Enti Ecclesiastici o collaterali, ma anche per le attività svolte da un Sindacato oppure da un Patronato oppure da, ad esempio, da Medici senza Frontiere. Per far capire come la lotta sia puramente ideologica, l’anno scorso in uno di questi rigurgiti anticlericali e anti-Chiesa Cattolica, si era sollevata la polemica contro le esenzioni delle strutture sanitarie cattoliche e dei poliambulatori rivolti all’assistenza dei profughi. Appena un onesto giornalista evidenziò l’analogia tra le strutture territoriali di organismi laici e strutture cattoliche operanti nello stesso settore il tutto fu posto a tacere. Come analogamente l’esenzione sull’ immobile di una casa provinciale di un ordine religioso equivale all’esenzione sull’ immobile della sede di un sindacato. Anche se per alcuni “illustri studiosi” se il sindacato fosse cattolico dovrebbe pagare l’imposta se invece fosse laico dovrebbe essere esente. Alla faccia della neutralità. Raffaele Pontis

n IL FATTO

Dopo la sconfitta alle elezioni di “Midterm” per Obama sarà più difficile governare

Lascia fortemente perplessi la decisione di semplificare il divorzio con un mero accordo tra le parti l 6 novembre scorso la Camera ha definitivamente approvato il decreto legge 12 settembre 2014, n.132, avente ad oggetto "misure di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile". Si trattava di un provvedimento "blindato", sul quale il Governo aveva posto in precedenza la questione di fiducia, a testimonianza dell'importanza che riconnetteva al testo in esame. "Degiurisdizionalizzazione", un piccolo sciogilingua che tecnicamente sta a indicare l'intento del legislatore di sottrarre determinate materie alla competenza del giudice per trasferirla a sedi amministrative o addirittura per affidarle completamente agli accordi tra privati. La parte del provvedimento approvato che ha suscitato più eco nell'opinione pubblica è quella relativa al cosiddetto "divorzio lampo", o "divorzio semplificato" o altre denominazioni similari, da distinguere dall'altra figura, quella del c.d. "divorzio breve", tuttora all'esame del parlamento. In sintesi, sono previste convenzioni di negoziazione assistita da avvocati in tema di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio (nei casi di avvenuta separazione personale), di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. La procedura è possibile sia in assenza che in presenza di figli minori, di figli maggiorenni portatori di handicap grave e di figli maggiorenni non autosufficienti:

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nel primo caso l’accordo concluso è vagliato esclusivamente dal Procuratore della Repubblica; nel secondo caso (figli minori o non autosufficienti), al vaglio del PM si aggiunge il possibile passaggio dinanzi al Presidente del Tribunale. L’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita da avvocati è equiparato ai provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Ulteriore semplificazione dei procedimenti di separazione o divorzio è l'accordo ricevuto dall’ufficiale dello Stato Civile: i coniugi potranno comparire innanzi all’ufficiale dello Stato Civile del Comune per concludere un accordo di separazione o di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili o, infine, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, senza l’obbligo di assistenza dei difensori. Tale modalità semplificata è a disposizione dei coniugi solo quando non vi sono figli minori o portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti e a condizione che l’accordo non contenga atti con cui si dispone il trasferimento di diritti patrimoniali. Per promuovere una "maggiore riflessione" sulle decisioni in questione, è stato previsto un doppio passaggio dinanzi al Sindaco in qualità di ufficiale di Stato civile a distanza di 30 giorni. Questi i contenuti della nuova procedura di divorzio, rispetto alla quale è possibile fare qualche riflessione. Si ha l'impressione, da un po' di tempo a questa parte, che lo Stato italiano, per così dire, non sappia più cosa farsene della famiglia e del matrimonio, non riconosca in essi un valore, un elemento fondante della società e della

n presidente azzoppato. Barack Obama ed i democratici escono malconci dalle elezioni di medio termine, con i repubblicani che ora controllano il Congresso. Il provincialismo tipico della stampa italiana si è subito scatenato con il posizionamento da una parte o dall’altra, mentre i media americani, che ben conoscono la situazione, hanno parlato di una carattristica dei presidenti a stelle e strisce al loro secondo mandato. La democrazia dell’alternanza è fatta così: dopo un secondo mandato è quasi certo che il partito rimasto all’opposizione si prepari a vincere le successive elezioni. Per i prossimi due anni, tanto manca alle presidenziali americane, il presidente Obama avrà di che impegnarsi per portare avanti il proprio programma con un Congresso a maggioranza repubblicana. Germano Dottori, docente di studi strategici all’Università Luiss, ai microfoni della Radio Vaticana, ha dichiarato che Obama avrà grandi difficoltà sia nel proseguire la sua agenda di politica estera, per la quale, peraltro, è contestato anche da ampi settori del suo partito, sia per realizzare, o comunque difendere, alcune riforme interne più importanti, alle quali lui intende legare la propria eredità politica. Insomma è più un’opposizione interna all’area democratica che dall’esterno. Secondo alcuni osservatori statunitensi non sarebbero stati i repubblicani a vincere quanto Obama a perdere consenso e comunque il voto delle presidenziali fa storia a sé. “Gli americani – ha confermato il professor Dottori quando votano alle presidenziali, scelgono una persona e quindi alcune dinamiche possono essere molto differenti rispetto a quelle viste all’opera nelle elezioni di medio termine”. Eppure gli ultimi sei anni non sono stati facili per gli Stati Uniti. Da lì è partita la crisi dei derivati, che ha poi investito l’intera economia mondiale. L’emorragia di posti di lavoro, così come il calo del potere d’acquisto, hanno pesato notevolmente sugli americani, ma le scelte di politica economica hanno permesso di arrestare il declino e invertire al rotta, con la disoccupazione che è calata mentre la produzione interna è cresciuta. Una ricetta che inspiegabilmente in Europa tarda ad essere recepita, tanto che anche la stessa locomotiva tedesca viaggia a marcia indietro. Gli americani, con le elezioni di medio termine, hanno però fatto capire che lo sforzo finora prodotto non ha riportato il ceto medio ai livelli pre – crisi, e quindi il conto dovrà pagarlo chi ha governato, in questo caso Obama. Nei prossimi due anni i democratici dovranno mettercela tutta per far cambiare idea agli americani anche se, statistiche alla mano, servirà qualcosa di più del “Yes, we can” coniato nel 2008 I.P.

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convivenza civile. Stupisce in particolare che una materia così sensibile e delicata come quella del matrimonio sia riversata in un decreto legge, sulla base di una teorica "necessità ed urgenza", che in siffatta materia non dovrebbe per definizione sussistere, mentre occorrerebbe riflessione e ponderazione. Così, mentre non si ravvisa mai necessità e urgenza nell'adozione di misure economiche e sociali a favore delle famiglie (soprattutto quelle numerose, come previsto dalla Costituzione), si è riusciti a individuarla nel desiderio di porre fine a un matrimonio il più rapidamente possibile e senza troppi vagli e verifiche, salvo quelli puramente burocratici del pubblico ministero e addirittura del Sindaco. Fanno sorridere questi "filtri" perché chiunque conosca anche superficialmente le dinamiche della giustizia, sa benissimo che i pubblici ministeri dedicano il 99% del loro tempo alle cause penali e considerano delle fastidiose incombenze le poche competenze civili, limitandosi il più delle volte ad apporre un timbro e una fugace sigla. Il risultato è che si farà ancora più fatica a capire il valore e il significato che lo Stato attribuisce al matrimonio e alla famiglia. Luigi Murtas


Chiesa

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LE PIETRE

n IRAQ

Papa Francesco all’Angelus ha insistito sul legame tra fede e vita ll’Angelus il Santo Padre ha incentrato la sua riflessione, a partire dalla festa liturgica della Dedicazione della Basilica Lateranense, sull’appartenenza dei credenti alla Chiesa e la necessaria coerenza tra fede e vita. L’edificio spirituale, ha spiegato Papa Francesco, «la Chiesa comunità degli uomini santificati dal sangue di Cristo e dallo Spirito del Signore risorto, chiede a ciascuno di noi di essere coerente con il dono della fede e di compiere un cammino di testimonianza cristiana». La Chiesa «all’origine della sua vita e della sua missione nel mondo, non è stata altro che una comunità costituita per confessare la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio e Redentore dell’uomo, una fede che opera per mezzo della carità è […] A questa finalità essenziale devono essere ordinati anche gli elementi istituzionali, le strutture e gli organismi pastorali; a questa finalità essenziale: testimoniare la fede nella carità». Al termine dell’Angelus il Papa ha ricordato il venticinquesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, sottolineando in particolare il ruolo di San Giovanni Paolo II in quella fase storica: «La caduta avvenne all’improvviso, ma fu resa possibile dal lungo e faticoso impegno di tante persone che per questo hanno lottato, pregato e sofferto, alcuni fino al sacrificio della vita. Tra questi, un ruolo di protagonista ha avuto il santo Papa Giovanni Paolo II. Preghiamo perché, con l’aiuto del Signore e la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, si diffonda sempre più una cultura dell’incontro, capace di far cadere tutti i muri che ancora dividono il mondo, e non accada più che persone

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Una chiesa diventa moschea

Essere Chiesa per annunciare Cristo In settimana il Santo Padre ha ricevuto in udienza la Conferenza dei Superiori Maggiori, le Figlie di Maria Ausiliatrice riunite in Capitolo e il Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani innocenti siano perseguitate e perfino uccise a causa del loro credo e della loro religione. Dove c’è un muro, c’è chiusura di cuore. Servono ponti, non muri!». A conclusione della preghiera domenicale non è mancato poi il ricordo del Pontefice per la Giornata del Ringraziamento, che quest’anno aveva per tema “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”, in collegamento con l’Expo Milano 2015. A inizio settimana, nel corso della Messa celebrata in suffragio dei Cardinali e vescovi defunti nel corso dell’anno, papa Francesco ha mostrato la novità radicale della speranza cristiana: «Siamo chiamati a stare prima davanti alla croce di Gesù, come Maria, come le donne, come il centurione; ad ascoltare il grido di Gesù, e il suo ultimo respiro, e infine il silenzio; quel silenzio che si prolunga per tutto il sabato santo. E poi siamo chiamati ad andare alla tomba, per

vedere che il grande masso è stato ribaltato; per ascoltare l’annuncio: «È risorto, non è qui» (Mc 16,6). Lì c’è la risposta. Lì c’è il fondamento, la roccia. Non in "discorsi persuasivi di sapienza", ma nella parola vivente della croce e della risurrezione di Gesù». All’Udienza Generale Papa Francesco si è soffermato sul tema della “Chiesa gerarchica”: «Nella presenza e nel ministero dei Vescovi, dei Presbiteri e dei Diaconi possiamo riconoscere il vero volto della Chiesa: è la Santa Madre Chiesa Gerarchica. E davvero, attraverso questi fratelli scelti dal Signore e consacrati con il sacramento dell’Ordine, la Chiesa esercita la sua maternità». Ricevendo in udienza i partecipanti all’Assemblea nazionale dei Superiori Maggiori, il Santo Padre ha insistito sulla testimonianza peculiare che i religiosi sono chiamati a dare: «La vita religiosa aiuta principalmente la

Chiesa a realizzare quell’"attrazione" che la fa crescere, perché davanti alla testimonianza di un fratello e di una sorella che vive veramente la vita religiosa, la gente si domanda "che cosa c’è qui?", "che cosa spinge questa persona oltre l’orizzonte mondano?”». Ricevendo in udienza le partecipanti al Capitolo generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, il Papa, le ha esortate a servire con coraggio la gioventù: «É necessario attuare opportuni percorsi di cambiamento e di conversione pastorale, trasformando così le vostre case in ambienti di evangelizzazione, dove soprattutto i giovani siano coinvolti nella stessa vostra missione […] In questo modo si formano i giovani a diventare essi stessi agenti di evangelizzazione per altri giovani». In settimana Papa Francesco ha ricevuto in udienza il Movimento adulti Scout Cattolici Italiani, incoraggiando i suoi aderenti a proseguire il proprio cammino sentendosi chiamati «a fare strada in famiglia; fare strada nel creato; fare strada nella città. Camminare facendo strada: camminanti, non erranti, e non quieti!». Roberto Piredda

n LE OMELIE DEL PAPA A SANTA MARTA

Servire Gesù con umiltà Rivalità e vanagloria E quante volte nelle nostre istituzioni, nella Chiesa, nelle parrocchie, per esempio, nei collegi, troviamo questo, no? La rivalità; il farsi vedere; la vanagloria. Si vede che sono due tarli che mangiano la consistenza della Chiesa, la rendono debole. La rivalità e la vanagloria vanno contro questa armonia, questa concordia. Invece di rivalità e vanagloria, cosa consiglia Paolo? ‘Ma ciascuno di voi, con tutta umiltà’- cosa deve fare con umiltà? – ‘consideri gli altri superiori a se stesso’. Lui sentiva questo, eh? Lui si qualifica ‘non degno di essere chiamato apostolo’, l’ultimo. Anche fortemente si umilia lì. Questo era un suo sentimento: pensare che gli altri erano superiori a lui. Cercare il bene dell’altro. Servire gli altri. Ma questa è la gioia di un vescovo, quando vede la sua Chiesa così: un medesimo sentire, la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Questa è l’aria che Gesù vuole nella Chiesa. Si possono avere opinioni diverse, va bene, ma sempre dentro quest’aria, quest’atmosfera: di umiltà, carità, senza disprezzare nessuno. 3 novembre 2014

sù, la voce di Dio, quando uno gira intorno a se stesso: non ha orizzonte, perché l’orizzonte è lui stesso. E dietro a questo c’è un’altra cosa, più profonda: c’è la paura della gratuità. Abbiamo paura della gratuità di Dio. È tanto grande che ci fa paura. Quando Dio ci offre un banchetto così (il riferimento è alla parabola degli invitati alle nozze n.d.r.), pensiamo sia meglio non immischiarsi. Siamo più sicuri nei nostri peccati, nei nostri limiti, ma siamo a casa nostra; uscire da casa nostra per andare all’invito di Dio, a casa di Dio, con gli altri? No. Ho paura. E tutti noi cristiani abbiamo questa paura: nascosta, dentro … ma non troppo. Cattolici, ma non troppo. Fiduciosi nel Signore, ma non troppo. Questo ‘ma non troppo’, segna la nostra vita, ci fa piccoli, no?, ci rimpiccolisce. il dono di Dio è gratis, che la salvezza non si compra: è un grande regalo, che l’amore di Dio … è il regalo più grande! Questa è la gratuità. E noi abbiamo un po’ di paura e per questo pensiamo che la santità si faccia con le cose nostre e alla lunga diventiamo un po’ pelagiani eh! La santità, la salvezza è gratuità. 4 novembre 2014 Il cristiano non rimane seduto

La salvezza è un dono È tanto difficile ascoltare la voce di Ge-

È triste il pastore che apre la porta della Chiesa e rimane lì ad aspettare. È triste il cristiano che non sente dentro, nel

suo cuore, il bisogno, la necessità di andare a raccontare agli altri che il Signore è buono. Ma quanta perversione c’è nel cuore di quelli che si credono giusti, come questi scribi, questi farisei. Eh, loro non vogliono sporcarsi le mani con i peccatori. Ricordiamo quello, cosa pensavano: ‘Eh, se questo fosse profeta, saprebbe che questa è una peccatricÈ. Il disprezzo. Usavano la gente, poi la disprezzavano. Il vero pastore, il vero cristiano ha questo zelo dentro: nessuno si perda. E per questo non ha paura di sporcarsi le mani. Non ha paura. Va dove deve andare. Rischia la sua vita, rischia la sua fama, rischia di perdere la sua comodità, il suo status, anche perdere nella carriera ecclesiastica pure, ma è buon pastore. Anche i cristiani devono essere così. È tanto facile condannare gli altri, come facevano questi – i pubblicani, i peccatori – è tanto facile, ma non è cristiano, eh? Non è da figli di Dio. Il Figlio di Dio va al limite, dà la vita, come l’ha data Gesù, per gli altri. Non può essere tranquillo, custodendo se stesso: la sua comodità, la sua fama, la sua tranquillità. Ricordatevi questo: pastori a metà cammino no, mai! Cristiani a metà cammino, mai! È quello che ha fatto Gesù. 6 novembre 2014 Non essere tiepidi Dobbiamo stare attenti a non scivolare

Nella città irachena di Mosul, caduta lo scorso giugno nelle mani dei jihadisti dello Stato Islamico (IS), la chiesa siro-ortodossa dedicata a Sant'Efrem è stata svuotata dei suoi arredi interni e voci insistenti messe in rete via internet accreditano l'idea che il luogo di culto cristiano potrebbe essere trasformato in moschea. Immagini fotografiche, diffuse online, mostrano i banchi e altre suppellettili sottratte alla chiesa e disposte come merce in vendita nell'area antistante il luogo sacro. Secondo alcune informazioni circolanti sui social network, la spoliazione sarebbe la prova che i miliziani dello Stato Islamico si preparano a trasformare la chiesa in moschea.

n IN PAKISTAN

Cristiani arsi vivi per blasfemia Una coppia di cristiani, lui di 26 anni e lei di 24, sono stati arsi vivi da una folla di musulmani, provenienti da cinque villaggi a Sud di Lahore, che li accusavano di aver commesso blasfemia, per aver bruciato delle pagine del Corano. I due, che lavoravano in una fabbrica di argilla, sono stati sequestrati e tenuti in ostaggio per due giorni all’interno della fabbrica, dopo di che sono stati spinti nella fornace dove si cuociono i mattoni. La supposta blasfemia è legata alla recente morte del padre di Shahzad. Due giorni fa la donna ripulendo l’abitazione dell’uomo, aveva preso alcuni oggetti personali, carte e fogli dell’uomo, ritenuti inservibili, facendone un piccolo rogo. Secondo un musulmano che ha assistito alla scena, in quel rogo vi sarebbero state delle pagine del Corano. L’uomo ha quindi sparso la voce nei villaggi circostanti e una folla di oltre 100 persone ha preso in ostaggio i due giovani. La polizia, avvisata da altri cristiani, è intervenuta constatando il decesso e arrestando, decine di persone.

n INDIA

21 giovani ordinati sacerdoti Nel 2015, nel pieno dell'Anno dedicato alla vita consacrata, 21 scolastici gesuiti in India verranno ordinati sacerdoti. Un dono del Signore per p. Errol Fernandes sj, in momento in cui "la Chiesa universale affronta una sfida, mentre il numero di sacerdoti, religiosi e suore continua a calare.

n VIETNAM

I cattolici rivogliono il terreno della chiesa

verso quella strada di cristiani pagani, cristiani nell’apparenza. È la tentazione di abituarsi alla mediocrità, la mediocrità dei cristiani, di questi cristiani, è proprio la loro rovina, perché il cuore si intiepidisce, diventano tiepidi. E ai tiepidi il Signore dice una parola forte: ‘Perché sei tiepido, sto per vomitarti dalla mia bocca’. È molto forte! Sono nemici della Croce di Cristo. Prendono il nome, ma non seguono le esigenze della vita cristiana. 7 novembre 2014

I cattolici vietnamiti della comunità di Thai Ha, affidata al servizio pastorale dei Redentoristi, hanno protestato pubblicamente nei giorni scorsi chiedendo la restituzione di un terreno che sostengono appartenga alla parrocchia. Le autorità hanno avviato lavori di riempimento di un lago presente su quel terreno. Secondo preti, religiosi Redentoristi e fedeli laici, la decisione delle autorità di prosciugare il laghetto è una violazione dei diritti della Chiesa. I manifestanti, che portavano striscioni e intonavano slogan, sono stati dispersi dalla polizia.


domenica 16 novembre 2014

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Giovani

Pastorale giovanile. Le testimonianze degli animatori impegnati nell’attività diocesana

Mettersi con fiducia al servizio dei ragazzi L

'Ufficio di Pastorale Giovanile della nostra diocesi, quest'anno si dedicherà al lavoro ed allo sviluppo della figura di San Giovanni Bosco, relativamente al suo ruolo di padre, amico e guida. Lavorare e progettare delle iniziative per i giovani è un lavoro che richiede impegno e passione, e gli animatori volontari della squadra PG conciliano lavoro, università o scuola, e vita privata, per creare delle iniziative sempre nuove ed attuali per le parrocchie e gli oratori della diocesi. Per riuscire a realizzare gli appuntamenti di quest'anno, le felpe gialle, sotto la guida del direttore dell'Ufficio PG, don Alberto Pistolesi, e con l'ausilio della coordinatrice, Barbara Morittu, si sono distribuiti in vari gruppi di lavoro. La metodologia adottata dalla PG per il lavoro di quest'anno consiste nell'aver creato dei settori lavorativi specializzati e dedicati allo sviluppo della tematica comune, che verrà organizzata in modo diverso a seconda dell'evento da progettare e pianificare. Affinchè la comunicazione, la collaborazione e la coordinazione all'interno dell'intero team non vengano mai meno, ogni settore ha un animatore responsabile, che oltre ad avere il compito di gestire il lavoro relativo al suo ambito, si preoccupa di tenere aggiornato il direttore e gli altri animatori responsabili. Non resta quindi che farci raccontare proprio dai responsabili dei settori PG, come sta procedendo il lavoro: Sergio Arizio, 21 anni, studente di Ingegneria Ambientale e del Territorio presso l’Università di Cagliari, responsabile Giornate Diocesane. “Giornata Diocesana significa anzitutto comunione. Stare insieme, confrontarsi, sentire di appartenere a un qualcosa di più grande della propria parrocchia. Le Giornate Diocesane sono e saranno anche dei veri momenti formativi, un arricchimento spirituale per ogni partecipante e, alla fine, le domande

alle quali dovremo dare una risposta saranno: cosa ho imparato oggi? Cosa porto nel mio oratorio? Sarà una grandissima occasione anche per la Pastorale Giovanile che potrà conoscere ancora meglio le diverse realtà della diocesi, soprattutto le più lontane da Cagliari. Come responsabile del gruppo di lavoro che sta organizzando le Giornate, ho ritenuto necessario individuare dei sottogruppi che si occupino della segreteria, dell'animazione, del tema, della liturgia e della logistica. Come gruppo, a più di un mese dall'evento, ci siamo già messi in gioco per approfondire il tema, curare nei minimi dettagli le attività, proporre degli approcci differenti alle diverse fasce d'età presenti, e, non ultimo, vivere un grande "cortile" cittadino, imparare, ridere, giocare, fare una merenda insieme e poter dire con il cuore che tutti ci siamo sentiti amati!”

Maria Elena Pes, 26 anni, impiegata, responsabile dei Campi di Formazione. “Quest'anno saremo noi ad occuparci direttamente della formazione dei nuovi animatori della Diocesi. Ho ricevuto l'incarico di coordinatrice dal nostro Don. Provengo da una realtà associativa come l'Azione Cattolica che sicuramente ha una struttura differente da quella oratoriale ma in entrambi i casi una cosa sola è fondamentale: la formazione! Perché come sento dire

Annunciare Gesù attraverso la musica n cammino lungo un anno, inaugurato dalla straordinaria visita di Papa Francesco a Cagliari e proseguito con tanti momenti comunitari che ne hanno segnato la crescita spirituale. Era il mese di agosto dello scorso anno quando un nutrito gruppo di giovani si riuniva per la prima volta nei saloni dell’oratorio della Parrocchia cagliaritana del SS. Crocifisso, guidati da don Davide Collu. Decine di ragazzi provenienti da realtà parrocchiali differenti, ricchi di entusiasmo nell’iniziare un progetto affascinante e coinvolgente: costituire il Coro Diocesano dei giovani, il cui compito sarebbe stato quello di animare, con il canto, le numerose tappe delle attività organizzate dall’Arcidiocesi di Cagliari e dalla Pastorale Giovanile diocesana in particolare. Non solo. L’obiettivo che il Coro si poneva, e da allora manda avanti, è quello di testimoniare la gioia dell’essere cristiani attraverso quella straordinaria forma di preghiera che può essere la musica. Evangelizzare con il canto e allo stesso

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tempo essere evangelizzati, sempre in cammino con la nostra Diocesi. A ricordarci i nostri propositi, in questi 15 mesi, è stato proprio un canto, “Getta le tue reti”, nato per essere l’inno dell’incontro del Papa con i giovani sardi e divenuto, in realtà, promessa, testimonianza, invito alla missione. Da quell’agosto 2013 tanti momenti hanno impreziosito la vita del Coro Diocesano dei Giovani e della nostra Diocesi, basti pensare alle bellissime serate vissute a Elmas, San Vito e Quartu o all’incontro degli universitari cagliaritani nelle chiese di S. Eulalia e del S. Sepolcro. Lo sguardo del Coro, però, non si ferma al passato, ma è già proiettato verso i prossimi eventi. Siamo sempre alla ricerca di nuove voci e non vediamo l’ora di accogliere tutti coloro che intendano vivere questa bellissima avventura che unisce preghiera al Signore e divertimento. La nostra realtà diocesana è ricca di tanti cori giovanili che ogni settimana svolgono il fondamentale servizio dell’animazione liturgica. Dare voce a

spesso "non possiamo dare niente agli altri se prima non abbiamo ricevuto noi qualcosa" ed io che ho iniziato ad essere un'educatrice di AC in situazioni di "emergenza parrocchiale" oggi sono convinta che i campi di formazione siano un grande dono che i ragazzi ricevono! Abbiamo un compito di grande responsabilità ma mi sono state affiancate delle persone davvero valide e come squadra cercheremo di dare e fare il meglio per la formazione degli animatori!” Andrea Dore, 26 anni, dottore in medicina e chirurgia, specializzando di chirurgia generale, responsabile PG tour. “L’obiettivo principale del nostro lavoro è di creare un network, una rete che colleghi gli oratori parrocchiali con la curia e con gli altri oratori presenti in diocesi. Cerchiamo di creare questa rete generale dalle

unicità delle nostre parrocchie, inserite in contesti sociali differenti dovuti alla posizione geografica. Sull’invito di papa Francesco, prendiamo le nostre felpe e ci dirigiamo verso tutte le parrocchie diocesane, a qualsiasi distanza esse siano. Qui cerchiamo di conoscere le persone che abitano gli oratori, i parroci, gli animatori e i loro progetti educativi per i giovani; vediamo quali sono le necessità di quella determinata realtà, e proviamo a risolvere eventuali difficoltà che vengono segnalate. Inoltre, possiamo effettuare degli incontri con gli animatori della parrocchia per dettare delle linee guida per la costruzione di progetti oratoriali sempre più concreti, offrire formazione ai ragazzi su determinati ambiti dell’essere animatore, informare sulle attività presenti in diocesi e organizzate dalla Pastorale Giovanile.” Federica Bande

CRONACA

n UFFICIO CATECHISTICO Al via “Prendi e leggi” È iniziata nel pomeriggio di sabato 8 novembre la serie di 6 incontri per Animatori di centri di Ascolto della Parola e Catechisti. Organizzata e voluta dal Settore Apostolato Biblico, che fa parte dell’Ufficio Catechistico Diocesano di Cagliari, con circa 105 partecipanti. Dopo la presentazione del Direttore dell’Ufficio, don Emanuele Mameli, la guida è stata affidata, per queso primo incontro a prof. Michele Antonio Corona, dottorando in epigrafia e licenziato all’Pontificio Istituto

Biblico, che con la sua dinamicità, ha coinvolto l’assemblea interagendo, facendola partecipe e guidandola nell’iniziale percorso di conoscenza della Bibbia e nella complessità della questione. Parlando poi dell’animatore biblico e il catechista lo ha esortato ad essere portatore di quell’entusiasmo che scaturisce dalla frequentazione assidua della Parola: corredato da competenza teologica, ermeneutica e comunicativa mette il suo servizio per l’incontro dei fedeli con la Parola di Dio. C’è stato spazio anche per alcune domande dei partecipanti sull’opportunità di una lettura assidua e continua della Parola e sul personale approccio alla Sacra Scrittura. Il prossimo incontro è per sabato pomeriggio, 22 novembre, con la guida di mons. Mario Ledda sulle pagine dell’Antico Testamento e sull’attesa di Israele. Raffaele Altieri

queste realtà e unirsi in preghiera con loro è il più bel modo di condividere un momento di gioia e di ringraziamento al Signore attraverso il canto e la musica. Per questo motivo il Coro Diocesano dei Giovani ha organizzato la prima Rassegna diocesana dei cori giovanili che si svolgerà domenica 30 novembre 2014 a Cagliari, a partire dalle ore 17.30, presso la Parrocchia della Madonna della Strada. L'invito è rivolto a tutti i cori giovanili che animano le celebrazioni liturgiche nelle nostre parrocchie o all'interno dei movimenti. Per poter organizzare al meglio l’evento, ai cori che intendono partecipare è richiesto di iscriversi entro domenica 16 novembre, specificando i titoli di massimo due brani, liturgici o di ispirazione cristiana, che verranno eseguiti, di quali strumenti musicali avranno bisogno (o se provvederanno a portare i propri) e una breve presentazione dell’attività del proprio coro. Il canto finale “Voi siete miei amici”, tema delle attività di quest’anno della Pastorale Giovanile diocesana, sarà proposto dal Coro Diocesano dei Giovani ed eseguito da tutti i cori riuniti insieme. Damiano Aresu

n IL PROGRAMMA DELL’INCONTRO DEI CORI GIOVANILI Ore 17:30 Raduno presso la Parrocchia “Madonna della Strada” a Cagliari, via Crespellani, 1 Ore 18:00 Santa Messa animata da tutti i giovani coristi partecipanti Ore 19:00 Inizio Rassegna. Per iscrizioni alla rassegna e al coro diocesano dei giovani, info e contatti: Don Davide Collu 3401015708; dvdcll84@yahoo.it. Katia Serra 3296542398.



domenica 16 novembre 2014

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Cagliari

Gigi Riva, campione di serietà e rettitudine Il grande calciatore protagonista del Cagliari dello scudetto e della nazionale italiana ha compiuto 70 anni

di diamante di un undici perfetto dalla difesa ermetica (soli 11 gol subiti in 30 gare). Lui ha fatto e dato molto di più. Ha rinunciato alle lusinghe del guadagno facile delle facoltose squadre del Nord Italia per restare a Cagliari. La Juventus arrivò a offrire nove calciatori e un miliardo di lire per averlo in squadra e forse il Cagliari di allora avrebbe beneficiato di ciò, con i vari Bettega, Gentile e Cuccureddu a figurar tra i nove. Niet. «Ci gridavano ladri, banditi, pecorai. E noi, per tutta risposta, più forti ancora», ha raccontato più di una volta ai giornalisti per spiegare il suo legame con la terra sarda. Un’identificazione totale con la causa dell’Isola da cui, diciottenne, sperava di fuggire al più presto. E di cui, invece, divenne testimonial eccellente sui media nazionali. I successi di Riva e del Cagliari Calcio erano forse l’unico aspetto positivo utile per contrastare i tanti, troppi stereotipi e luoghi comuni sulla Sardegna. Riva è rimasto sempre fedele ai colori rossoblù. Una scelta che gli ha fatto guadagnare l’amore eterno di una terra che gli ha dato tanto. Ha sempre rifiutato, in silenzio, ogni ruolo politico gli sia stato offerto, così come il ruolo di San Francesco nel film di Franco Zeffirelli. Un eroe sui generis: potente e fragile, testardo e umile. E con una sigaretta perennemente accesa. Auguri, Rombo di Tuono. Francesco Aresu

ifficile trovare un “continentale” più amato dai Sardi. Difficile trovare un “sardo” tanto caro al calcio e allo sport italiano, ma non solo. Quando per il tuo settantesimo compleanno anche il Presidente della Repubblica si premura di farti arrivare un telegramma di auguri, è evidente come cotanta stima non dipenda soltanto dalle tue abilità da calciatore. «Caro Gigi Riva – si legge nella nota del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano – Le invio i migliori auguri a nome mio e di tutti coloro che hanno avuto modo di seguirla e applaudirla negli anni che l'hanno vista diventare simbolo della nostra sportività nazionale. La sua attività sportiva, condotta con esemplare serietà e rigorosa rettitudine, tiene vivo il ricordo di una grande stagione del calcio italiano e dei numerosi successi conseguiti nelle competizioni internazionali». Serietà e rettitudine. Valori che il calcio di oggi sembra davvero aver smarrito. In un sistema dove fa più notizia l’ultima auto acquistata da un calciatore rispetto alle sue gesta in campo, in cui si aspetta morbosamente

il tweet di un giocatore che ha litigato col suo, potrebbe pure capitare di dimenticarsi del compleanno di Gigi Riva, il migliore attaccante nella storia del calcio italiano. Per fortuna, però, non è così. Sulla storia di Luigi Riva da Leggiuno, nato il 7 novembre 1944, è pressoché impossibile scrivere qualcosa d’innovativo. Al suo arrivo a Cagliari Gigi era un timido diciottenne lombardo dalla storia familiare difficile, catapultato nella Sardegna dei primi anni Sessanta per fare il calciatore. Allora Riva era solo un’esile ala sinistra dal grande potenziale. Il numero 11 rossoblù sulla schiena, come tatuato. Otto reti in Serie B, uno in più al debutto nella massima serie. Poi i diciotto dell’annata 1966-67, chiusa da capocannoniere nonostante il primo grave infortunio in maglia azzurra, contro il Portogallo. quando si rompe il perone della gamba sinistra (con la 9 indosso). Da allora anche in azzurro la maglia numero 11 fu suo appannaggio pressoché esclusivo, senza discussioni. E guai a farne, visto il suo mostruoso rendimento: a fine carriera i gol in Nazionale sono 35 su 42 presenze. Ritmi da Cristiano Ronaldo ante litteram, si potrebbe dire. Sbagliando in pieno. Perché quel che ha fatto Riva per Cagliari e la Sardegna non è paragonabile alla carriera di nessun altro calciatore moderno. Non è tanto l’aver condotto i rossoblù allo Scudetto del 1969-70, con Gigi punta

n S. TERESA DI GESÙ

n SAN CARLO BORROMEO

nIL 30 NOVEMBRE

n CISM / USMI

n DOMENICA IN EDICOLA

La mostra itinerante dal titolo “Nata per Te” dedicata a Santa Teresa di Gesù, realizzata per celebrare il V Centenario della nascita della santa, è visitabile nella Basilica di San Saturnino a Cagliarifino a domenica 16, e dal 17 al 19 novembre nel convento carmelitano di Terramala. Dal 20 al 25 novembre invece sarà nella parrocchia di San Giovanni Battista a Pula.

Lunedì 24 novembre a partire dalle 20.30 nei locali della parrocchia San Carlo Borromeo nuovo appuntamento con la “Scuola di preghiera per giovani”, guidati dal parroco don Luca Venturelli. L’iniziativa è destinata ai ragazzi e alle ragazze che desiderano vivere un momento di condivisione con altri giovani. Per informazioni www.parrocchiasancarlo.it.

Sono aperte le iscrizioni per la Rassegna Diocesana dei cori giovanili parrocchiali organizzata dal Coro Diocesano dei giovani. La rassegna si svolgerà il 30 Novembre nella parrocchia Madonna della Strada a Cagliari. Per info e iscrizioni: dvdcll84@yahoo.it, Don Davide Collu, 3401015708, e Katia Serra 3296542398.

Venerdì 21 novembre alle 16 nel convento della monache Sacramentine di Cagliari è in programma la “Giornata Pro Orantibus” con la Lectio sul tema: “Vita Consacrata, vita profetica”: la Carità fraterna, tenuta da Don Giuseppe Tilocca, docente presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna.

Come ogni terza del mese, domenica è prevista la pubblicazione di quattro pagine sul quotidiano Avvenire. Congiuntamente a “Il Portico”, l’inserto contribuisce a riflettere sui temi che stanno maggiormente a cuore e per i quali vale la pena utilizzare un ulteriore canale comunicativo. Le modalità di ricezione sono disponibili sul sito www.chiesadicagliari.

mostre. Due le prestigiose location: il Centro Culturale Exmà e i locali del parco di Monte Claro. “La scienza ci aiuta” ha analizzato le diverse sfaccettature delle scienze per mostrare al pubblico i risvolti applicativi delle discipline scientifiche e capire come queste aiutino concretamente la società. Il Festival è stato assolutamente l’occasione perfetta per conoscere la scienza in modo semplice e accattivante. Sei giorni di appuntamenti – in cui sono stati coinvolti scuole, famiglie, ricercatori e semplici cittadini di tutte le età – hanno spiegato come la scienza è prima di tutto conoscenza e contribuisce da sempre al progresso della società. Il festival ci ha spiegato perché: la scienza ci aiuta a leggere, attraverso la lettura di testi di saggistica e divulgazione; la scienza ci aiuta a comprendere, allestendo mostre, laboratori interattivi e laboratori didattici; la scienza ci aiuta a comunicare, dando a tutti l’occasione di dialogare con gli esperti e partecipare a seminari, tavole rotonde, animazioni, teatro, poesia. La coniugazione delle discipline scientifiche con quelle umanistiche e artistiche, facendo salva l’unità della cultura di cui la scienza è parte fondante, ha dato vita a un’insolita e piacevole occasione di crescita culturale. Il pubblico è stato ancora più partecipe grazie alla realizzazione di un contest fotografico su Instagram che chiedeva ai partecipanti di interpretare il Festival nei suoi

momenti più significativi o di scattare immagini di situazioni della vita quotidiana in cui appare evidente l’apporto della scienza e della tecnologia in termini migliorativi, accompagnando le foto dagli hashtag ufficiali #scienzaiuta e #cagliariscienza14. È impossibile raccontare nel dettaglio tutti gli appuntamenti che dal gioco degli scacchi allo yoga della risata, dagli experimental shows al pozzo lunare, dalla rivisitazione della favola di Biancaneve a quella delle Storie di Erodoto, e dai misteri della voce in musica ai misteri di strani fenomeni fisici al confine tra normale e paranormale, hanno animato l’edizione di questo Festival. Ma, sicuramente, l’essenza del festival è racchiusa nelle parole del fisico CERN Ugo Amaldi, che ha svelato perché la scienza è utile e bella: “La Scienza è “bella” perché i sistemi del mondo che descrive e spiega sono belli come i corpi celesti, gli animali, le piante. Ci appaiono ancor più belli quando manifestano una qualche forma di simmetria e mettono in luce l’insospettata semplicità che sta alla radice della varietà. La Scienza è “utile”: ovvio archetipo è la Biologia molecolare con la comprensione della struttura e funzionamento delle cellule e la Fisica con gli acceleratori di particelle, che hanno portato al costante miglioramento nella diagnostica e nelle terapie mediche con ricadute positive sulla salute e qualità della vita”. Margherita Santus

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Una mostra itinerante

Lunedì 24 Scuola di preghiera

Rassegna cori parrocchiali

Il mondo della scienza vicino alla vita quotidiana Si è concluso domenica scorsa il “CagliariFestivalScienza”, che ha visto la presenza di oltre 10.000 visitatori con più di 200 studenti impegnati come animatori al 4 al 9 novembre si è respirata un’aria diversa: di gioco e di passione pura per la scienza. Infatti, per il settimo anno consecutivo si è ripetuto il Cagliari Festival Scienza. Sei giorni di conferenze, laboratori, dibattiti, tavole rotonde, incontri con la musica e con la poesia, spettacoli, animazioni sul tema La scienza ci aiuta per una totale immersione nella fisica, nella matematica, nelle scienze naturali e biologiche, nella chimica, nell’astronomia, e altri campi del sapere legati a queste discipline come lo sport, la medicina, la bioetica e l’ecologia. Realizzato con il patrocinio della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO e dal Comune di Cagliari, ed è stato promosso e organizzato, in collaborazione con la Biblioteca Provinciale di Cagliari, da Scienza Società Scienza. Oltre 50 ospiti hanno raccontato la scienza con una ricca varietà di linguaggi. 78 appuntamenti. 22 postazioni differenti tra laboratori e percorsi botanici e naturalistici. 8 realtà musicali e di ricerca. 5

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Giornata Pro Orantibus

“Cagliari Avvenire Mese”


Parola di Dio

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domenica 24 settembre 2009

XXXIII Domenica del T. O. (Anno A) di Michele Antonio Corona

’approccio alla liturgia della Parola odierna deve partire dalla collocazione della penultima domenica dell’anno liturgico. La Chiesa ha camminato per un intero ciclo annuale sui sentieri del vangelo di Matteo ascoltando le parole del Maestro e seguendo il cammino della comunità dei discepoli. Essendo giunti ormai alla domenica precedente la solennità di Cristo Re, il vangelo ci offre la consueta immagine del viaggio e del ritorno del Signore. La prima comunità cristiana – come testimoniato da Paolo – sentiva forte il desiderio della parusia, cioè del ritorno di Gesù. L’afflato verso il Signore non era mosso da nostalgia o rifiuto della responsabilità, ma era parte integrante del desiderio messianico insito nella tradizione giudaica del tempo. ‘La vostra liberazione è vicina’ è la più chiara precisazione di quanto la speranza del ritorno sia stata innestata nella certezza della fede. Il brano evangelico ci presenta una parabola, incastonata tra il racconto delle vergini (25,1-13) e il ‘giudizio’ del Figlio dell’uomo su pecore e capre (25,31-46). Gesù cita un uomo – in Luca viene appellato come ‘nobile’ – che, dovendo affrontare un viaggio, decide di mettere al sicuro i propri beni. La cosa più naturale sarebbe forse stata quella di affidarli egli stesso ad una banca o inserirli in qualche circuito finanziario per trarne profitto. Invece, questo singolare padrone, divide i propri beni e li consegna ad alcuni dei suoi servi ‘secondo le capacità di ciascuno’. Tale puntualizzazione risulta fondamentale per poter entrare meglio nella dinamica della parabola. Il padrone conosce bene i propri servi e affida loro una parte di bene, in modo proporzionale alle possibilità di ciascuno e le loro doti. In Matteo i talenti non sono le doti personali, le capacità, i carismi, ma i talenti sono il dono stesso che viene affidato e che deve essere custodito attraverso le doti che ciascuno possiede. Non si tratta, dunque, del luogo comune secondo cui il padrone ha distribuito delle abilità differenti, ma, al contrario, ha consegnato il dono ricchissimo tenendo conto delle forze (dunamis) personali. Il talento era una misura di peso che equivaleva a poco meno di 35 kg. Perciò il padrone non assegna ‘alcuni spiccioli’ ai servi, ma dona loro un’ingente quantità di ricchezza. Agendo così, il padrone si mostra fiducioso nei confronti dei servi, anche perché non esplicita alcun obbligo di guadagno ulteriore. I primi due servi, come sappiamo, agiscono con prontezza ed efficienza, investendo l’intera somma e ottenendo il doppio. Il terzo, invece, si adopera per nascondere nel terreno il talento ricevuto. La legislazione rabbinica aveva fissato il principio secondo cui ‘il debitore, al quale fosse stato rubato il denaro, nascosto nel terreno, non era tenuto a restituire il prestito al creditore’. Il terzo servo non corre rischi né sbagliando un eventuale investimento, né a causa di un generico furto. Ha le spalle coperte in qualsiasi caso. La motivazione del suo atteggiamento, esplicita quale idea ha del padrone: ‘uomo duro,che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso’. Generosità e fiducia che avevamo intravisto nel gesto dell’affidamento copioso dei suoi beni collima con questo profilo.

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Chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni Inoltre, ai due servi il padrone non chiede interessi, ma solo ciò che aveva loro affidato. Alla generosa e fiduciosa risposta dei due, il dono si allarga a “molto di più” rispetto al ‘poco’ precedente. Il terzo servo per due volte usa ‘tuo’ per indicare che la proprietà del talento è rimasta del padrone. Quella ricchezza non gli ha cambiato la vita, non lo ha toccato, anzi lo ha preoccupato. Sotterrarla è stato il modo per togliersela dalla vista, evitare di sentirsi interpellato da quel dono. La risposta del padrone sembra ‘fare il verso’ alla frase tagliente del servo e trarre le conclusioni dalle sue stesse parole. Questi ha sedimentato un rapporto col padrone intriso di paura, di diffidenza, di formalità, di servilità passiva attribuendogli tutto ciò che nel suo stesso cuore albergava. Il padrone – che lo conosceva bene – deve notificare che la fiducia concessagli non ha portato frutti positivi di cambiamento. Il servo ha rafforzato una relazione lacerante con se stesso e col padrone. Al lettore che si avvicina a questa pagina quale panorama si prospetta? Quale volto di Dio viene presentato? Perché i primi due riescono ad essere ‘servi buoni e fedeli’? La buona notizia passa ancora una volta dall’atteggiamento del Padr(on)e, che per primo da fiducia ai servi e li coinvolge nel suo piano di vita. Il terzo è alienato dalla propria paura.

Dal

Vangelo secondo

Matteo

Mt 25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».


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Vita cristiana

L’uomo e la donna creati a immagine di Dio San Giovanni Paolo II, attraverso le sue catechesi del 1979 sull’amore umano, ci aiuta a comprendere i fondamenti del progetto di Dio sull’uomo come essere in relazione on è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gen 2,18). L’analisi dei relativi passi del Libro della Genesi (cf. Gen 2) ci ha già portato a sorprendenti conclusioni che riguardano l’antropologia, cioè la scienza fondamentale circa l’uomo, racchiusa in questo libro. Infatti, in frasi relativamente scarse, l’antico testo delinea l’uomo come persona con la soggettività che la caratterizza. Quanto a questo primo uomo, così formato, Dio-Jahvè dà il comando che riguarda tutti gli alberi che crescono nel “giardino in Eden”, soprattutto quello della conoscenza del bene e del male, ai lineamenti dell’uomo, sopra descritti, si aggiunge il momento della scelta e dell’autodeterminazione, cioè della libera volontà. In questo modo, l’immagine dell’uomo, come persona dotata di una propria soggettività, appare davanti a noi come rifinita nel suo primo abbozzo. Nel concetto di solitudine originaria è inclusa sia l’autocoscienza che

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l’autodeterminazione. Il fatto che l’uomo sia “solo” nasconde in sé tale struttura ontologica e insieme è un indice di autentica comprensione. Senza di ciò, non possiamo capire correttamente le parole successive, che costituiscono il preludio alla creazione della prima donna: “voglio fare un aiuto”. Ma, soprattutto, senza quel significato così profondo della solitudine originaria dell’uomo, non può essere intesa e correttamente interpretata l’intera situazione dell’uomo creato a immagine di Dio”, che è la situazione della prima, anzi primitiva alleanza con Dio. Quest’uomo, di cui il racconto del capitolo dice che è stato creato “a immagine di Dio”, si manifesta nel secondo racconto come soggetto dell’alleanza, e cioè soggetto costituito come persona, costituito a misura di “partner dell’Assoluto” in quanto deve consapevolmente discernere e scegliere tra il bene e il male, tra la vita e la morte. Le parole del primo comando di Dio-Jahvè (Gen 2,16-17) che parlano direttamente della sottomissione e della dipendenza dell’uomo-creatura dal

RISCRITTURE

Non sprecare i doni di Dio a pagina evangelica narra la celebre parabola dei talenti, riportata da san Matteo (25,14-30). Il "talento" era un’antica moneta romana, di grande valore, e proprio a causa della popolarità di questa parabola è diventata sinonimo di dote personale, che ciascuno è chiamato a far fruttificare. In realtà, il testo parla di "un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni" (Mt 25,14). L’uomo della parabola rappresenta Cristo stesso, i servi sono i discepoli e i talenti sono i doni che Gesù affida loro. Perciò tali doni, oltre alle qualità naturali, rappresentano le ricchezze che il Signore Gesù ci ha lasciato in eredità, perché le facciamo fruttificare: la sua Parola, depositata nel santo Vangelo; il Battesimo, che ci rinnova nello Spirito Santo; la preghiera – il "Padre nostro" – che eleviamo a Dio come figli uniti nel Figlio; il suo perdono, che ha comandato di portare a tutti; il sacramento del suo Corpo immolato e del suo Sangue versato. In una parola: il Regno di Dio, che è Lui stesso, presente e vivo in mezzo a noi. Questo è il tesoro che Gesù ha affidato ai suoi amici, al termine della sua breve esistenza terrena. La parabola odierna insiste sull’atteggiamento interiore con cui accogliere e valorizzare questo dono. L’atteggiamento sbagliato è quello della paura: il servo che ha paura del suo padrone e ne teme il ritorno, nasconde la moneta sotto terra ed essa non produce alcun frutto. Questo accade, per esempio, a chi avendo ricevuto il Battesimo, la Comunione, la Cresima seppellisce poi tali doni sotto una coltre di pregiudizi, sotto una falsa immagine di Dio che paralizza la fede e le opere, così da tradire le attese del Signore. Ma la parabola mette in maggior risalto i buoni frutti portati dai discepoli che, felici per il dono ricevuto, non l’hanno tenuto nascosto con timore e gelosia, ma l’hanno fatto fruttificare, condividendolo, partecipandolo. Sì, ciò che Cristo ci ha donato si moltiplica donandolo! È un tesoro fatto per essere speso, investito, condiviso con tutti, come ci insegna quel grande amministratore dei talenti di Gesù che è l’apostolo Paolo. L’insegnamento evangelico, che oggi la liturgia ci offre, ha inciso anche sul piano storico-sociale, promuovendo nelle popolazioni cristiane una mentalità attiva e intraprendente. Ma il messaggio centrale riguarda lo spirito di responsabilità con cui accogliere il Regno di Dio: responsabilità verso Dio e verso l’umanità. Incarna perfettamente quest’atteggiamento del cuore la Vergine Maria che, ricevendo il più prezioso tra i doni, Gesù stesso, lo ha offerto al mondo con immenso amore. Benedetto XVI , Angelus, 16 novembre 2008

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Con questa parabola, Gesù vuole insegnare ai discepoli ad usare bene i suoi doni: Dio chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel contempo una missione da compiere. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza. Commentando questa pagina evangelica, san Gregorio Magno nota che a nessuno il Signore fa mancare il dono della sua carità, dell’amore. Egli scrive: “È perciò necessario, fratelli miei, che poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere” (Omelie sui Vangeli 9,6). E dopo aver precisato che la vera carità consiste nell’amare tanto gli amici quanto i nemici, aggiunge: “se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre” (ibidem). Benedetto XVI , Angelus, 13 novembre 2011

suo Creatore, rivelano indirettamente appunto tale livello di umanità, quale soggetto dell’alleanza e “partner dell’Assoluto”. L’uomo è “solo”: ciò vuol dire che egli, attraverso la propria umanità, attraverso ciò che egli è, viene nello stesso tempo costituito in un’unica, esclusiva ed irripetibile relazione con Dio stesso. La definizione antropologica contenuta nel testo jahvista si avvicina dal canto suo a ciò che esprime la definizione teologica dell’uomo, che troviamo nel primo racconto della creazione: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e nostra somiglianza” (Gen 1,26). L’uomo, così formato, appartiene al mondo visibile, è corpo tra i corpi. Riprendendo e, in certo modo, ricostruendo, il significato della solitudine originaria, lo applichiamo all’uomo nella sua totalità. Il corpo, mediante il quale l’uomo partecipa al mondo creato visibile, lo rende nello stesso tempo consapevole di essere “solo”. Altrimenti non sarebbe stato capace di pervenire a quella convinzione, alla quale, in effetti, come leggiamo, è giunto (cf. Gen 2,20), se il suo corpo non lo avesse aiutato a comprenderlo, rendendo la cosa evidente. La consapevolezza della solitudine avrebbe potuto infrangersi proprio a causa dello stesso corpo. L’uomo (“‘adam”) avrebbe potuto, basandosi sull’esperienza del proprio corpo, giungere alla conclusione di essere sostanzialmente simile agli altri esseri viventi (“animalia”). E invece, come leggiamo, non è arrivato a questa conclusione, anzi è giunto alla persuasione di essere “solo”. Il testo jahvista non parla mai

direttamente del corpo; perfino quando dice che “il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo”, parla dell’uomo e non del corpo. Ciononostante il racconto preso nel suo insieme ci offre basi sufficienti per percepire quest’uomo, creato nel mondo visibile, proprio come corpo tra i corpi. L’analisi del testo jahvista ci permette inoltre di collegare la solitudine originaria dell’uomo con

la consapevolezza del corpo, attraverso il quale l’uomo si distingue da tutti gli “animalia” e “si separa” da essi, e anche attraverso il quale egli è persona. Si può affermare con certezza che quell’uomo così formato ha contemporaneamente la consapevolezza e la coscienza del senso del proprio corpo. E ciò sulla base dell’esperienza della solitudine originaria. 24 ottobre 1979

PORTICO DELLA FEDE

Chiamati a dialogare con tutti In questo dialogo, sempre affabile e cordiale non si deve mai trascurare il vincolo essenziale tra dialogo e annuncio, che porta la Chiesa a mantenere ed intensificare le relazioni con i non cristiani…La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti a comprendere quelle dell’altro e sapendo che il dialogo può arricchire ognuno (251). Ecco, dunque che per poter evangelizzare autenticamente è necessario un dialogo aperto e sereno, e questo esige che, chi annuncia, abbia chiara la conoscenza della propria identità di appartenenza, dunque sapere chi siamo! In questi paragrafi Papa Francesco invita a dialogare con tutti, con i fratelli cristiani delle altre confessioni, con l’Ebraismo, con l’Islam, anzi proprio attraverso il dialogo con essi, noi stessi in quanto cristiani possiamo conoscere meglio la nostra stessa identità, le nostre convinzioni, la nostra fede profonda in Gesù Cristo. Dunque, il dialogo interreligioso lungi dall’essere oppositivo, promuove una conoscenza approfondita dei fondamenti del proprio Credo. Non possiamo evangelizzare se non conoscendo le origini delle divisioni fra i cristiani, ma solo per poter identificare meglio ciò che ci unisce, piuttosto di ciò che ci divide, perché la “credibilità dell’annuncio cristiano sarebbe molto più grande se i cristiani superassero le loro divisioni e la Chiesa realizzasse la pienezza della cattolicità…”(244). Le

relazioni con l’Ebraismo meritano “uno sguardo molto speciale”, perché l’Alleanza con Dio e il popolo ebreo non è mai stata revocata. “La Chiesa, che condivide con l’Ebraismo una parte importante delle Sacre Scritture, considera il popolo dell’Alleanza e la sua fede come una radice sacra della propria identità cristiana” (247). Così Papa Francesco si fa premura di insegnare che “in quest’epoca acquista una notevole importanza la relazione con l’Islam…Non bisogna dimenticare che essi (i mussulmani n.d.r.), professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale” (252). Ma perché questo dialogo con questi fratelli sia vero, è necessario che vi sia tra gli interlocutori un’ adeguata formazione, perché molte sono le cose in comune, ma devono essere chiare le differenze, per opporci ad ogni forma di integralismo, di sincretismo e di fondamentalismo violento. I cristiani che annunciano il vangelo non possono stare nell’ignoranza delle convinzioni dell’altro…dei vari sistemi di significato della vita che gli altri adottano nel loro sistema etico, così non possono ignorare il Corano e un’adeguata sua interpretazione che

certamente può contrapporsi ad ogni forma di violenza. Viene richiamata anche l’importanza “del rispetto per la libertà religiosa, considerata come un diritto umano fondamentale” Il paragrafo 255 si spinge a dichiarare che “un sano pluralismo” delle fedi, che davvero rispetti gli altri e i valori come tali, ci aiuta a “non privatizzare le religioni”; esse infatti non possono essere racchiuse nell’intimo delle singole persone o delle chiese o sinagoghe, o moschee, ma esigono di poter essere professate pubblicamente nel rispetto di ciascuna. Anche le minoranze degli agnostici e di non credenti non possono mettere a tacere le convinzioni di maggioranze di credenti, né possono ignorare la ricchezza delle tradizioni di ciascuna religione. Papa Francesco comprende tutto questa profondità di insegnamenti in un’affermazione racchiusa nel paragrafo 257 che conclude il quarto capitolo dell’Evangelii gaudium: “Come credenti ci sentiamo vicini anche a quanti, non riconoscendosi parte di alcuna tradizione religiosa, cercano sinceramente la verità, la bontà, la bellezza, che per noi trovano la massima espressione e la loro fonte in Dio” . Sono questi, dunque, i presupposti di un dialogo autentico per promuovere l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo. Maria Grazia Pau


Idee

10 n LETTERE AL PORTICO

Abbiamo una Chiesa muta. I genitori non parlano ai figli di Gesù Cristo. Non li educano ai valori della vita umana e cristiana. Finita la messa, finisce tutto. Non si sente il desiderio di dire in famiglia e alle persone che si incontrano l’esperienza fatta durante la messa. Siamo tutti single: il primo è il sacerdote: riconosciuto single anche da tutti. Lo sono i fedeli; anche marito e moglie, senza rendersene conto, sono anch’essi dei single. Ciascuno pensa per se stesso. I sacerdoti parlano solo nell’ufficialità: quando celebrano i sacramenti, fanno le omelie, le prediche…Ma al di fuori di questo contesto sono muti. Cosa fare? La risposta la dà Gesù stesso. Anche in quel tempo la vita religiosa era in crisi. Contava l’apparenza. L’offerta dei sacrifici non coinvolgeva la vita. Già nel passato i profeti rimproveravano il

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Inviate le vostre lettere a Il Portico, via mons. Cogoni 9, 09121 Cagliari o utilizzare l’indirizzo settimanaleilportico@gmail.com, specificando nome e cognome, ed una modalità per rintracciarvi. La pubblicazione è a giudizio del direttore, ma una maggiore brevità facilita il compito. Grazie.

popolo per la mancanza di coerenza. Gioele gridava: “Strappatevi il cuore, non la veste!”. Gesù iniziò la sua missione, parlando a tutti nelle sinagoghe, nel Tempio, nelle piazze e nelle strade alle folle, alle singole persone. Educava la gente alla fede basilare: le sue parole andavano al cuore del problema. Presentava una nuova spiritualità. Un nuovo rapporto con Dio misericordioso con tutti. Accoglieva tutti e in particolare le persone emarginate dalla vita sociale e religiosa. Molti lo ascoltavano con curiosità, i capi religiosi con preoccupazione e, un po’ per volta, con ostilità. Altri lo seguivano con convinzione e diventarono suoi discepoli. Tra questi Gesù scelse i “dodici”, perché stessero con lui. In seguito ne scelse altri 72 da inviare nei villaggi. Vi era anche un gruppo di donne che supportava e finanziava la piccola comunità.

Per seguire Gesù il problema per noi è come educare di nuovo alla fede basilare. Come tradurre l’atteggiamento di Gesù? Abbiamo l’esempio di papa Francesco: parla al mondo di Gesù. Piazza S. Pietro è sempre affollata e i mass-media trasmettono la sua parola a milioni di persone sparse nel mondo. Prima di tutto le nostre comunità debbono essere gioiose e accoglienti. L’incontro domenicale deve curare molto l’accoglienza gioiosa. Anche nella normalità della vita parrocchiale tutto deve esprimere la gioia dell’accoglienza. Spesso il nostro sguardo è triste, oscuro, preoccupato. Non infondiamo fiducia! Il Signore ha una parola da dire a tutti in qualunque situazione uno si trovi. Una parola di conforto, di fiducia, di salvezza. Nel volto dei fratelli incontriamo il volto di Gesù. Concretamente: è necessario vivere e condividere la vita cristiana. Vivere da

cristiani non solo nella partecipazione alla messa, ai sacramenti, all’esperienza del sacro, ma essere cristiani perché si pratica la giustizia e si ama la pietà, non si evadono le tasse, si dà la giusta mercede agli operai e non li si fa lavorare in nero. I cristiani vivono la legalità, non allontanano l’uomo di colore e sono capaci di perdonare. Così saremo credibili e la nostra testimonianza diventerà autentica. Allora potremo condividere con gli altri la nostra fede in Gesù Cristo. Ci viene chiesto un cambiamento di mentalità. I genitori riprendano a pregare con i figli e a parlare di Gesù Cristo. I catechisti insegnino ai ragazzi a raccontare la loro esperienza cristiana. Gli adulti colgano le opportunità per parlare della propria fede al bar, all’ospedale, al mare in ufficio, allo stadio, in tutti luoghi dove le persone si incontrano. Anche la

penitenza sacramentale potrebbe riferirsi al parlare del vangelo domenicale… e della propria esperienza cristiana. Dire Gesù Cristo dovrebbe essere lo slogan di ciascun cristiano, di ogni famiglia, di ogni adulto. Si tratta di un cambiamento di mentalità. Non può essere l’impegno di un giorno, come gli avvisi dopo la messa. Bisognerebbe mettersi attorno ad un tavolo con alcune persone della parrocchia e studiare un piano operativo. Nel gioco del biliardo le biglie sono sistemate sul tavolo verde. Il gioco comincia quando uno prende la stecca e dà un colpo ad una biglia. Questa sbatte sulle altre, e cosi via….I cristiani oggi sono in attesa che abbia inizio la partita. Siamo in stand-by. Lo starter, Gesù, che ha già dato il via, attende che ci muoviamo tutti. (2. fine) Don Antonio Porcu

Aldo Moro, una vita al servizio dell’Italia Il grande leader democristiano ucciso dalle Brigate Rosse nel ricordo della figlia Agnese, in questi giorni presente nell’Isola per una conferenza gnese Moro, classe 1952, è la terza dei quattro figli di Aldo e fa la socio-psicologa. Quando è stato ucciso suo padre, il più grande degli ideatori del compromesso storico tra la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista, aveva poco più di venticinque anni. Venerdì sette novembre era in Sardegna per un incontro dal titolo "La difficile via della giustizia: rancore, perdono, pentimento, riconciliazione" organizzato dalla Comunità "La Collina" di Serdiana. Dottoressa, la cronaca riporta che ha perdonato pubblicamente i rapitori di suo padre: come ha fatto? È un cammino abbastanza lungo, che dura tanti anni, non è qualcosa di istantaneo. È che ad un certo punto devi decidere se vuoi continuare a vivere o se vuoi che la tua vita sia prigioniera del rancore e del risentimento e quindi sempre rivolta al passato. Ad un certo punto si decide di vivere e quindi anche di dire una parola: basta. Il perdono alla fine è dire basta. Non è un sentimento, è una decisione di far sì che quelle cose non abbiano più un peso effettivo nella

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tua vita. Ciò non vuol dire dimenticare, non vuol dire che le cose non siano più brutte, ma significa dire che sono passate. Che rapporto aveva suo padre con la Sardegna? Credo che avesse sempre molto interesse al fatto che tutte le aree del Paese che erano rimaste al margine della vita sociale - non soltanto il Sud, a quell'epoca c'erano anche tantissime aree del Nord assolutamente di secondo piano - diventassero invece più centrali nella vita del Paese, quindi potessero avere la possibilità di svilupparsi, di tirar fuori le proprie capacità, potenzialità e risorse. Tutti conoscono Aldo Moro come il grande statista: certamente lo fu. Una figlia, però, vive col padre, lo vede uscire da casa la mattina e tornare stanco la sera: come lo ricorda in famiglia? A casa stava poco: è sempre stato tanto fuori per i suoi impegni, non ultimo anche quello di Professore, che per lui era un'attività molto importante, un'attività che gli dava tanto e cui non avrebbe rinunciato per nessun'altra cosa. Era una persona che lavorava davvero molto: mi ricordo che, anche nei giorni di festa, a Natale ed a Pasqua, qualcosa da fare non gli mancava mai. Me lo ricordo spiritoso, gentile, una persona che cercava di convincerti a fare le cose più che importele. Era sempre attento anche alle esigenze di noi figli,

Moro continuò sempre ad insegnare all’Università. La testimonianza di Antonio Secchi, suo ex-studente

Lavorare per la nostra terra ntonio Secchi, ex-allievo di Aldo Moro: "Per lui la classe dirigente che cresceva doveva dare una risposta alla propria terra" Non ha fatto l'Ambasciatore perché lo statista democristiano gli ha chiesto di rimanere nell'Isola Moro ha avuto un bel rapporto con la Sardegna e con i sardi. Ne è un esempio l'amicizia che lo legava ad Antonio Secchi, per vari anni Rappresentante dell'Eni nell'Isola, che seguì le sue lezioni di Istituzioni di Diritto e Procedura Penale nella Facoltà di Scienze Politiche dell'Università La Sapienza di Roma. Secchi intrattenne col politico DC un intenso scambio epistolare, poi raccolto in un volume del 1986 dal titolo "Dialoghi con Aldo Moro". Un giovane scriveva per la prima

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volta al suo Professore, il quale gli rispondeva con la prima lettera di una lunga serie: con lui iniziava a conversare sull'interesse politico, che "è restato - scriveva sempre per me marginale e, il più possibile, interpretato ed esaurito in termini di impegno umano". Com'era il Professor Aldo Moro? Il Professor Moro è stato vissuto da me su due diversi aspetti. Il primo è quello didattico: le lezioni, seguite con grande silenzio ed attenzione. Il secondo aspetto era il momento in cui, dopo le lezioni, parlava con gli studenti: c'era il Parlamento, c'era il Governo, c'era il Ministero degli Esteri e Moro si fermava all'Università.

ai nostri desideri, e si rapportava a noi con quel suo modo molto silenzioso e riservato. Non me lo ricordo orgoglioso di se stesso o vanaglorioso. Magari scriveva una cosa che gli sembrava importante o un discorso che gli sembrava bello, veniva in camera tua e ti diceva: "Agnesina, papà ha fatto questa cosa, se la vuoi vedere..." e te la lasciava sul tavolo. La nostra in fondo è sempre stata una famiglia in cui al primo posto c'erano l'Italia e gli italiani. Tante scelte della nostra vita, anche banali, erano prese in base al fatto che ci fossero gli italiani. Noi non abbiamo mai fatto una vacanza all'estero: per mio padre in Italia c'era tutto. E, per fare un esempio, scendeva in spiaggia in giacca, cravatta, calze e scarpe perché gli italiani - diceva - hanno diritto di essere rappresentati con la massima dignità possibile. Una vita un po' strana, una vita di famiglia con qualcuno, la gente italiana, che non c'era fisicamente ma era sempre presente. Qual è il ricordo più affettuoso che Agnese Moro, come figlia, ha di Aldo Moro? È strano come a volte ci siano dei piccoli gesti che ti rimangono per tutta la vita: io, come tanti bambini, la sera avevo molta paura di addormentarmi per via del buio. Il mio papà, quando era a casa, mi dava la mano sino a quando non prendevo sonno. Quella mano per me è rimasta, è qualcosa che ancora c'è. Gian Mario Aresu

Noi fuorisede, alcuni - come me - anche sardi, gli raccontavamo le fatiche dello studiare fuori: non abbiamo mai ricevuto parole di circostanza o atteggiamenti patetici. Anzi, ci ha sempre detto che dovevamo portare avanti le nostre ragioni, che non dovevamo abbandonare l'impegno e la speranza. Lo statista democristiano, in un suo discorso, disse che "governare significa fare tante singole cose importanti ed attese, ma nel profondo vuol dire promuovere una nuova condizione umana". Anche dalle lettere che vi scambiavate trapela un'umanità molto intensa: come si può spiegare tutto ciò? È un aspetto sorprendente della personalità di Moro. Io ho avuto la fortuna di conoscere la generosità di quest'uomo: i miei studi erano indirizzati verso settori internazionali e sognavo di fare l'Ambasciatore. Quando il Professore seppe di questa mia passione era Ministro degli Esteri e mi disse che era una cosa bellissima. Ma con me fece riflessioni d'altro genere: diceva che la classe dirigente che

cresceva doveva dare una risposta alla propria terra. Mi scrisse: "Mi piacerebbe che tu tornassi in Sardegna a fare del bene". In una lettera a lei inviata, Moro parla anche di "idealità cristiana" come spirito con cui "disinteressatamente servire il Paese". Come si manifestava questa sua ispirazione religiosa? Questo è un aspetto molto delicato del suo carattere: la sua presenza all'Università aveva un carattere rigorosamente laico. Ma Moro, la mattina, partecipava alla Messa. E quando seppe che, da parte mia, c'era la grazia di avere la fede e di praticarla, si raccomandò sempre di portare avanti un impegno mettendo a frutto l'idealità cristiana. Tutta la sua pedagogia era cristiana proprio per la chiamata alla responsabilità e soprattutto ad individuare le ragioni profonde della vita. Aveva già scritto che al centro della scelta di fondo dell'uomo c'è il riconoscimento di un principio guida: bisogna riconoscere nell'amore il centro dell'ispirazione per un uomo religioso, per un cristiano. g.m.a.

Una pillola di storia: Aldo Moro e la sua vicenda ldo Moro, nato a Maglie (in Puglia) nel 1916, da ragazzo Presidente della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) e, nei decenni successivi, Segretario e poi Presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana, è stato Deputato dal 1946 sino all'anno della sua morte. Cinque volte Presidente del Consiglio dei Ministri e quattro volte Ministro, ha fatto il Professore universitario: laureato in Giurisprudenza, insegnava Diritto e Procedura Penale. Fu rapito il 16 marzo 1978 ed ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio dello stesso anno. Le interviste di questa pagina non sono incentrate sulla ricostruzione storica: vogliamo invece analizzare la forte umanità della sua figura.

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Diocesi

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BREVI

Senorbì ricorda i 75 anni dalla dedicazione della chiesa parrocchiale assando davanti alla lastra commemorativa mi sono accorto che quest’anno ricorrono i 75 anni di consacrazione della chiesa”. Don Nicola Ruggeri, parroco di Senorbì, quasi con sorpresa parla di un evento che, in base al liber cronicus, nella storia della chiesa non è mai stato celebrato ovvero la consacrazione ufficiale della chiesa di Santa Barbara. Il culto relativo a questa Santa, così come altri santi bizantini quale ad esempio Sant’Antioco, è radicato nel territorio da tempo immemore e nonostante vi siano attestazioni della chiesa già a partire dal 1200-1300 non è presente nessuna notizia dell’originaria consacrazione. Dopo la fine del lungo servizio di don Mereu nel paese, durato dal 1900 al 1933 in quanto a quel tempo il parroco restava in una parrocchia a vita e non secondo un mandato, gli succedette nel ’34 l’anziano parroco della frazione di Arixi, don Fadda, e già al tempo si riscontravano pesanti danni alla struttura dell’edificio. Giunto il giovanissimo don Melas si diede inizio ai massicci lavori di restauro che coinvolsero soprattutto la sacrestia e i pavimenti della struttura parrocchiale, conclusi circa cinque anni dopo; all’epoca venne costruita anche la casa parrocchiale grazie ai generosi fondi che il papa Pio XI aveva dedicato alla Sardegna proprio per la costruzione delle tante case parrocchiali allora mancanti in moltissimi paesi dell’isola. Nel marzo del ’39 don Melas venne trasferito e al suo posto arrivò il giovane e severissimo parroco Severino Pilia, ancora ricordato da alcuni per la sua grande bravura nella predicazione. Fu allora che si sentì il bisogno di dare nuova veste alla chiesa in quanto era

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Una lunga storia di fede Parla il parroco don Nicola Ruggeri: “Nella chiesa dedicata la comunità cristiana può riunirsi e vivere pienamente la sua fede, è importante ricordare questo avvenimento”

particolarmente radicato il pensiero secondo cui un edificio sacro modificato quasi nella totalità della struttura per via dei lavori andasse riconsacrato. Il 10 novembre 1939 perciò Monsignor Piovella arrivò nel paese accolto con grande solennità, e il giorno dopo si provvide alla consacrazione con patrona Santa Barbara, a conferma di un culto antichissimo, dell’altar maggiore e alla deposizione delle reliquie appunto di Santa Barbara, oltre che San Cesello e Santa Faustina, coperte da una lastra. Negli anni ’70 infine vi furono ulteriori lavori di restauro particolarmente ingenti, ma non c’è alcuna testimonianza di una qualche celebrazione dopo la fine degli interventi. La consacrazione, oggi chiamata dedicazione, della chiesa è il simbolo della casa di Dio che diventa anche la casa sacra in cui la comunità può riunirsi e vivere pienamente la sua Fede, dunque diventa una ricorrenza davvero importante da ricordare e in qualche modo “festeggiare” durante l’anno liturgico, soprattutto dal momento che non è mai stato fatto; a tale proposito il parroco in collaborazione con l’appena nato Consiglio Pastorale (un gruppo di 53 laici, con una carica attualmente triennale, chiamato a condividere proposte, idee e decisioni col parroco e che rappresenta nel suo piccolo la realtà socio-lavorativa del paese) ha dato vita ad un ricco programma di iniziative spirituali e non per quasi tutto il mese, dedicando le più importanti alla giornata del 11 novembre, giorno appunto dell’anniversario della consacrazione, durante la quale si è snodata la processione col simulacro della Santa patrona per le vie del centro, la messa alle ore 18:30 officiata da monsignor Antioco Piseddu, lo spettacolo pirotecnico e “Su cumbidu a s’antiga” offerto dalla Pro Loco di Senorbì. Un progetto nuovo che rende tutti partecipi grazie anche al sopra citato Consiglio che appunto non vuole essere il “senato del parroco”, il gruppo degli eletti o dei migliori cristiani della comunità, ma semplicemente uno strumento di mediazione e di miglior collaborazione tra il parroco e tutta la comunità. Chiara Lonis

n AL TEATRO MASSIMO

Neri Marcorè e la Banda Osiris Mercoledì 19 alle 20.30 al Teatro Massimo debutta lo spettacolo “Beatles Submarine”, scritto e diretto da Giorgio Gallione, messo in scena dal Teatro dell'Archivolto, con Neri Marcorè e la Banda Osiris. L’appuntamento rientra nella rassegna “Giù la Maschera”, organizzata dal Cedac.

n CATTEDRALE Celebrazioni in onore di Santa Cecilia Dal 16 a 22 novembre, nella Cattedrale di Cagliari, è prevista una serie di appuntamenti in onore di Santa Cecilia, dal titolo “Voci e sonorità sacre in Cattedrale”. L’iniziativa è promossa dall’Ufficio liturgico diocesano e dalla parrocchia del Duomo, intitolata alla Santa patrona dei musicisti. Il programma prevede per domenica la S. Messa con i cori polifonici parrocchiali, alle 17.45 gli arrivi e le prove dei canti, alle 18.30 i Vespri e alle 19 la S. Messa presieduta dall’Arcivescovo, monsignor Arrigo Miglio. Venerdì 21 novembre alle 19 la S. Messa, alle 20 Lettura liturgico-artistica a cura di don Fabio Trudu sul tema “La cappella di S. Cecilia in Cattedrale”, le composizioni vocali e seguite dal Coro Benedictus diretto da don Albino Lilliu e l’Antologia letteraria, con voci recitanti Serena Porcu e Mirella De Cortes. Sabato 22 novembre alle 19 la S. Messa, alle 20 “Meditazione e concerto “Le antifone mariane”, Trio Vox Letitiæ. Soprano Roberta Frameglia, chitarra Pierangelo Ruaro, organo Gian Vito Tannoia.

n UN AMORE COSÌ GRANDE

Riconoscere l’amore ualche giorno fa, complice la stagione autunnale che è riuscita ad approdare finalmente anche nella nostra bella e assolata terra, ho provato il desiderio fortissimo di rivedere un film romantico uscito ormai parecchi anni fa dal titolo italiano “C’è posta per te”, una pellicola delicata nella quale Tom Hanks e Meg Ryan si incontravano in una chatroom (era l’alba di quel curioso e complesso strumento) e si innamoravano. Avevo molta voglia di rivederlo, in verità, per ritrovare le immagini di New York in autunno e riascoltare una canzone non famosissima, che fa parte della colonna sonora, ed è di Carole King, che si intitola Anyone at all e dice così: You could have been anyone at all, a stranger falling out of the blue, I'm so glad it was you It wasn't in the plan, not that I could see, suddenly a miracle came to me (avresti potuto essere uno qualunque, uno straniero che compare dal blu, sono così felice che fossi proprio tu. Non era nei piani, nulla che potessi prevedere, all’improvviso un miracolo è venuto a me). Così ho iniziato a ripensare a queste parole e a quanto sono vere… ho ripensato al momento in cui si incontra quello che nei film e nelle favole si chiamerebbe “il grande amore”, e a quante volte le amiche o

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io stessa ci siamo chieste se saremmo state in grado di riconoscerlo! Ora che gli anni sono passati e quell’incontro è avvenuto, ho capito che quando si incontra la persona che poi diventerà ”una sola carne” con te succedono alcune cose. Inizialmente subentra uno spaesamento, è una persona diversa da quella che avremmo immaginato e davvero avrebbe potuto essere (quasi) chiunque o comunque qualcun altro, come dice la canzone, eppure è così chiaro che sia proprio lui/lei che il Signore ci ha donato… questo momento ha la forza di una rivelazione, un miracolo innegabile che “viene da noi”, a stanarci dal nostro bunker anti-delusioni, costruito con la sofferenza delle storie sbagliate e dei desideri lasciati sul fondo della coscienza. Ed è un miracolo sconvolgente eppure delicato, come “la voce di brezza leggera” con la quale un giorno Dio raggiunse Elia (1Re 19, 11-13), anche lui ripiegato sulle sue paure e il suo desiderio di restare solo. Non nel vento impetuoso, non nel terremoto, non nel fuoco il Signore parlò ad Elia, ma nella brezza leggera… per questo possiamo dire che nonostante la letteratura almeno da tre secoli campi sulle storie romantiche e drammatiche,

l’esperienza ci racconta che la persona con la quale si può davvero costruire a lungo termine, non è quella con la quale il rapporto è un’altalena dall’estasi alla disperazione, ma piuttosto un mare che, per quanto possa essere mosso in superficie, resta calmo e costante in profondità. Certo può esserci un momento iniziale più tormentato, ma poi se un rapporto è davvero pronto ad essere “provato col fuoco” (cfr.1 Pietro 1,7) perde questa caratteristica. C’è nell’amore che vuole durare una qualità specialissima data dalla sua resistenza a tutto ciò che è artefatto, drammaturgico, in una parola inautentico! Per questo è riconoscibile da chi lo cerca con cuore sincero. Tutto diverso dagli amori che, nella migliore delle ipotesi, gli preparano la strada e nella peggiore invece rappresentano la strada alternativa: sono roboanti, rendono l’animo inquieto, costringono a una tensione costante e (purtroppo) spesso distruttiva. Sant’Ignazio di Loyola suggerisce al cristiano che voglia seriamente mettersi alla sequela del Signore di imparare a riconoscere i movimenti del proprio animo, a distinguere le consolazioni di Dio, che rasserenano e spingono a cercare il bene, dalle

false consolazioni, che inquietano e distolgono dalla ricerca della volontà di Dio. Credo che queste indicazioni, qui molto semplificate, siano utili anche nella nostra vita affettiva quando ci chiediamo se la persona che abita il nostro cuore in quel momento sia proprio quella alla quale vogliamo affidare la nostra vita e il nostro amore, senza riserve, per sempre. Ma quando quella persona arriva, quando l’abbiamo riconosciuta,

allora è il momento di lasciar andare tutte le scuse e le paure per tirare fuori tutto il coraggio e tutta la capacità di fidarsi che abbiamo in dotazione. La certezza di non restare delusi non si ha mai, ma che la chiamata all’amore risuoni e chieda una risposta generosa è un fatto, e il Signore non abbandona chi sulla sua Parola getta le reti. Paola Lazzarini Orrù


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Diocesi

Il tempo del seminario, la grazia di seguire Cristo Buon Pastore Nella celebrazione d’inaugurazione del nuovo anno del Seminario Regionale Sardo, Mons. Miglio ha sottolineato come il servizio del presbitero è sempre attuale, perché la gente ha fame del pane spirituale, che è veramente indispensabile on una solenne Concelebrazione Eucaristica presieduta da monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari e presidente della Conferenza episcopale sarda, il 4 novembre è stato inaugurato il nuovo Anno Seminaristico del Pontificio Seminario Regionale Sardo. Alla concelebrazione hanno preso parte monsignor Ignazio Sanna, arcivescovo di Sassari, monsignor Giovanni Paolo Zedda, vescovo di Iglesias, il rettore, gli animatori e i padri spirituali del Seminario regionale, il preside della Facoltà Teologica, ed altri sacerdoti collegati in vario modo all’esperienza di formazione dei seminaristi. A gremire la Cappella del Seminario di via Monsignor Parraguez, insieme ai seminaristi del Regionale e ai giovani impegnati nel percorso propedeutico, ai loro parenti e alla comunità delle suore, c’erano anche i rappresentanti delle istituzioni civili e militari della città. Nell’omelia, dopo aver sottolineato l’importanza del carattere regionale e la preziosità del Seminario regionale, che «con la Facoltà Teologica è l’istituzione più preziosa per la Chiesa sarda», monsignor Miglio, riferendosi alla memoria liturgica di San Carlo Borromeo, compatrono del Seminario, ha richiamato l’aspetto di novità che ha caratterizzato nel XVI secolo la creazione dei seminari e come San Carlo e la Chiesa del suo tempo sono stati attenti alle sollecitazioni dello Spirito Santo. «Con l’istituzione dei seminari San Carlo ha raccolto le sfide e le intuizioni del Concilio di Trento. È stato come un ingegnere che ha reso “cantierabile” quanto detto dal Concilio: per i seminari rappresenta un punto di partenza. La novità è stata la capacità di San Carlo di marcare la vita dei seminari e, quindi, profondamente la vita della

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Chiesa. Tale novità è suscitata dallo Spirito. Così anche nei nostri giorni – ha detto monsignor Miglio – occorre essere in grado di cogliere e valorizzare le novità che lo Spirito continua a suscitare». Proseguendo l’omelia, l’Arcivescovo ha sottolineato che la popolazione sarda chiede quotidianamente e in modo molto sollecito la presenza e il servizio pastorale dei parroci come una necessità fondamentale: «L’importanza di un seminario regionale si misura soprattutto dall’attualità del servizio che la gente chiede. Non solo con richieste materiali, come ad esempio quelle che vengono fatte alla Caritas; infatti al sacerdote viene chiesto il pane spirituale, indispensabile e senza il quale il materiale non servirebbe a niente». Riflettendo sul brano del Vangelo (Gv 10,11-18) proclamato nella celebrazione, monsignor Miglio ha commentato la differenza tra il mercenario e il Buon Pastore: «Il sacerdote che intenda essere un “buon pastore”, modellato sulla figura di Cristo, è uno che ha come sicurezza nella sua vita l’abbandono a Dio, mentre il mercenario, non appena vengono meno le sicurezze umane, può solamente fuggire, abbandonando il gregge affidatogli. Il “buon pastore” rimane sempre, anche al di là dei momenti che producono gratificazioni. La sicurezza per la vita del sacerdote è qualcun Altro che gli permette di non fuggire». Concludendo l’omelia monsignor Miglio ha detto: «Guardando alla statura di San Carlo possiamo capire come Dio è stata l’unica sicurezza della sua vita. Occorre imparare sempre di più di fronte al Signore per stare di più insieme ai fratelli, non come mercenari ma come il Buon Pastore». Franco Camba

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LETTURE

n EDITORIA

Pubblicato un libro su Fernando Licheri Verrà presentato giovedì 20 novembre, alle 18, nei locali dell’Auditorium Comunale di Cagliari il libro scritto da Daniele Siddi, dal titolo “Un uomo del dialogo. La vita di Fernando Licheri agli albori del Movimento dei Focolari in Sardegna”, edito da Città Nuova Editrice. Licheri è stato per anni formatore di giovani sardi alla politica e tra i primi sardi a conoscere Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari.

n IN LIBRERIA

Mons. Fisichella racconta Paolo VI “Ho incontrato Paolo VI. La sua santità dalla voce dei testimoni”, è un libro di recente pubblicazione scritto dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, nonché già rettore della Pontificia Università Lateranense e docente di Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana. Il nome e la persona di Paolo VI sono fortemente legati al Concilio Vaticano II: per condurlo a termine e introdurre la Chiesa nei primi passi di attuazione di quel magistero era necessaria una personalità come papa Montini. Era lui, in quel momento, la persona che più di ogni altra avrebbe potuto attuare un disegno così impegnativo e determinante per il rinnovamento della Chiesa. Il testo non è una biografia di Paolo VI: nei decenni passati la sua personalità, il suo insegnamento e il suo pontificato sono stati ampiamente studiati dagli specialisti. Ciò che queste pagine descrivono è, piuttosto, il risultato della sua causa di beatificazione, di cui l’Autore è stato ponente.


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Diocesi

Nuovi parroci. Don Ottavio Angioni ha iniziato il ministero nella Parrocchia di S. Isidoro

Essere un segno di Dio in mezzo al popolo L

a giovane comunità parrocchiale di Sant’Isidoro di Sinnai alcune settimane fa ha accolto il suo nuovo parroco, don Ottavio Angioni. Alla guida della parrocchia, eretta da Monsignor Botto il 25 marzo del 1968 l’hanno preceduto due sacerdoti, don Erasmo Pintus, fondatore e parroco fino al 2009, sostituito da don Walter Onano fino allo scorso mese di ottobre. Don Ottavio, incardinato nella Diocesi di Cagliari nel 2002 è stato parroco di Villanova Tulo dal 1995 al 2003, e fino a poche settimane fa era parroco di Soleminis. “Quando un sacerdote è chiamato a lasciare una comunità parrocchiale per dedicare il proprio ministero ad un’altra, è sempre accompagnato da un senso di tristezza. Si sente il distacco da tutti coloro che gli sono stati vicini e con cui hai condiviso parte della propria vita – racconta don Ottavio Angioni. Il giorno dell’ordinazione ogni sacerdote promette al Vescovo obbedienza e proprio per questo, a seconda delle necessità, veniamo trasferiti a guida di realtà diverse”. Erano tantissimi i parrocchiani presenti alla celebrazione dello scorso 26 ottobre, quando accompagnato dall’Arcivescovo, don Ottavio ha fatto il suo ingresso ufficiale nella giovane comunità di Sinnai. “Al mio arrivo ho trovato tantissime persone accoglienti – riprende il sacerdote. La realtà è molto ben organizzata con diversi gruppi che operano all’interno della parrocchia. Il territorio è diviso in diverse zone pastorali chiamate Comunità Ecclesiali di base, ognuna dedicata a un santo e tutte hanno il proprio rappresentante. Ho saputo infatti che questa divisione è risultata molto utile nell’organizzazione delle attività pastorali parrocchiali rendendole vive ed attive”. Alla luce del Vangelo e del rapporto

con Dio, l’inizio di una nuova esperienza come accompagnatore nella fede, per ogni nuovo parroco è sempre segnata dall’entusiasmo e dall’idea di arricchimento nei confronti dei propri parrocchiani. Ognuno infatti porta con sé aspettative e progetti. “Al mio arrivo ho trovato già tutto ben organizzato e un terreno fertile dove poter lavorare – continua don Ottavio. Mio intento sarà quello di portare avanti le diverse attività che già caratterizzavano la vita di questa comunità parrocchiale. Non ho intenzione di soffocare nulla, ma anzi alimentare ciò che di buono già esiste. Sicuramente ci sarà in seguito qualche dettaglio da aggiustare, ma prima ho bisogno di rendermi profondamente conto di ciò che trovo già avviato”. Ma ogni comunità, si sa, oltre ad avere le proprie peculiarità, porta con sé problematiche e priorità urgenti. “Alla base della mia opera ci saranno ovviamente le famiglie e i giovani – afferma don Angioni. In queste poche settimane ho potuto constatare una discreta frequenza di famiglie intere all’attività parrocchiale e di un buon numero di giovani. Sono queste le basi di ogni società e non possono che esserlo anche nella mia nuova comunità. Una bella iniziativa – continua don Ottavio – risulta essere l’istituzione di una borsa di studio per gli studenti meritevoli residenti nella parrocchia. Proprio la scorsa

BREVI

n DOMENICANI Operazione Container Per la Missione domenicana in Guatemala si sta allestendo un container che verrà poi consegnato in loco con beni di svariata natura, compresi anche medicinali. Per chi potesse dare una mano all’allestimento del container è possibile recarsi al Centro Giovanile Domenicano di Selargius dal 17 novembre tutti i giorni, dal lunedì al venerdì dopo le ore 16.00. Inoltre i domenicani di Selargius hanno necessità di scaffali adatti per i libri e sono inutilizzati, il Centro Giovanile ne ha bisogno per organizzare la biblioteca ad uso comune. Per ogni informazione contattare i padri domenicani di Selargius al numero 070846083.

n IL 22 NOVEMBRE

Incontro formativo per catechisti e animatori Domenica sono stati premiati tutti coloro che hanno riportato ottimi risultati a scuola e nelle attività di catechesi”. Per le diverse situazioni di povertà presenti sul territorio, è molto attivo il gruppo delle Dame di San Vincenzo. Queste ultime provvedono con il loro volontariato alle diverse situazioni di prima emergenza. Il loro lavoro nell’amministrare le offerte devolute ai poveri, dà la possibilità di un immediato intervento. “Ho notato – riprende il sacerdote – la grande dignità di coloro che, pur vivendo la propria povertà materiale, cercano di lavorare sempre per il sostentamento della propria famiglia”. La Chiesa in uscita è ormai diventata una parola ridondante nei moniti

del Papa. Egli chiede una Chiesa che vive in mezzo alla gente, di sacerdoti che abbiano l’odore delle pecore. “Mio impegno sarà quello di accogliere – conclude il parroco. Le porte saranno aperte per i vicini come per i lontani, cercherò di essere presente e disponibile nei confronti di coloro che non frequentano, delle famiglie in situazioni regolari ma ancor di più a quelle irregolari, perché la carità sarà per tutti. Un sorriso lo troverà chiunque mi incontra accompagnato da parole di incoraggiamento, lasciando alla grazia di Dio compiere tutto il resto, per essere dimostrazione di accoglienza e di apertura, perché siamo noi il volto visibile della Chiesa”. Fabio Figus

“Prendi e leggi. La Parola di Dio per la nostra vita” è il titolo del percorso formativo per animatori biblici e catechisti promosso dal “Settore apostolato biblico” dell’Ufficio catechistico diocesano. Dopo il primo appuntamento dello scorso 8 novembre, sabato 22 è previsto il secondo incontro sul tema “Un popolo, il suo Dio. Israele e la sua storia, verso l’evento di Cristo”, e avrà per relatore Mons. Mario Ledda. L’inizio dell’incontro è previsto per le 16.30.

n IL 21 NOVEMBRE

Presentazione del libro di Paolo Curtaz Venerdì 21 novembre alle 18.30 nella libreria “Paoline”, di via Garibaldi a Cagliari, verrà presentato il libro di Paolo Curtaz “Gesù impara”. Sarà presente l’autore.


Diocesi

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CONFERENZA EPISCOPALE SARDA I vescovi della Sardegna assistono con profonda preoccupazione alla crescente crisi economica e occupazionale dell’Isola. Il numero dei disoccupati è ai massimi storici. Le vertenze per il mantenimento dei posti di lavoro sono sempre più numerose e acute. Il malessere monta in modo esponenziale. I pastori delle comunità ecclesiali non possono non condividere il grido di dolore e la paura per il domani che si leva da ogni angolo della nostra regione. Dopo la visita di papa Francesco, i vescovi hanno dato eco alle sue parole con la lettera pastorale collegiale e con il convegno regionale tenutosi a Cagliari lo scorso 25 ottobre. La vertenza Meridiana assume, in questo momento, il valore di triste emblema del disagio del mondo del lavoro e dell’impresa. Sentendo il peso della propria responsabilità pastorale nei confronti di tutti i figli della nostra Isola e delle loro famiglie, la Conferenza Episcopale Sarda, in modo collegiale, sotto la presidenza di S.E. monsignor Arrigo Miglio e alla presenza di tutti i vescovi, lunedì 17 novembre terrà un incontro di preghiera e di riflessione presso la cappella dell’aeroporto “Costa Smeralda” di Olbia, con inizio alle ore 10.30. In tale circostanza i vescovi sardi – oltre innalzare la preghiera perché lo Spirito Santo illumini le menti di tutti e di ciascuno per trovare le giuste soluzioni – rivolgeranno un appello alle forze politiche interessate ad ogni livello e grado, alle forze sociali e all’Azienda perché riconvochino il tavolo delle trattative, riprendendo a parlarsi e ad ascoltarsi reciprocamente, al fine di trovare un’equa soluzione per tutte le parti. Identico appello verrà rivolto anche per la soluzione positiva di tutte le altre vertenze attualmente aperte nei vari comparti. Infine, essendo la vigilia del primo anniversario dell’alluvione, auspicheranno, anche da parte di chi di dovere, il recupero del tempo sinora perso nel sostegno alle famiglie e alle aziende danneggiate. + Sebastiano Sanguinetti Segretario CES

Padre Stefano, un testimone della misericordia di Dio Il ricordo di Padre Stefano Mascia, religioso cappuccino, scomparso a Cagliari lo scorso 28 ottobre l 28 Ottobre scorso, presso l’Ospedale SS. Trinità (Is Mirrionis), dove era ricoverato dalla sera del 4 Ottobre, ci lasciava, per tornare alla Casa del Padre, Padre Stefano Mascia. Chi lo conosceva, sa che lo stato di salute di Padre Stefano era precario da una quindicina d’anni, a motivo di una grave insufficienza polmonare, evidenziata dall’ininterrotta ossigenoterapia. Tale situazione fu all’origine anche dei suoi frequenti ricoveri ospedalieri, che, però, nonostante le cure, non hanno potuto risolvere il male che ne minava l’organismo. Col passare degli anni, si è così manifestato un progressivo indebolimento generale, che portò Padre Stefano ad abbandonare totalmente il servizio in sacristia e in confessionale già due anni fa. La sofferenza e l’affaticamento gli resero difficile la prosecuzione della cura delle anime e il dialogo con quanti venivano a trovarlo. Documento di questa dolorosa situazione sono le numerose preghiere alla Vergine, pubblicate mensilmente su Voce Serafica, richiamando l’attenzione e l’apprezzamento di numerosi lettori. Le preghiere sono state poi raccolte in numerosi volumi e costituiscono una sorta di autobiografia dell’Autore. Padre Stefano – al secolo Giancarlo - era nato a Guspini il 13 Novembre del 1941. Nell’Ottobre del 1957 vestì l’abito cappuccino nell’antico e austero convento di San Barnaba a Genova, dove il 7 Ottobre dell’anno successivo, emetterà i voti semplici. Dopo l’anno di noviziato, P. Stefano fu a Savona per gli studi liceali e filosofici e quindi di nuovo a Genova per quelli teologici. Qui, a Genova, fece, il 29 novembre del 1962, la professione perpetua. Terminati gli studi teologici, fu ordinato sacerdote, sempre a Genova, da Mons. Chiocca, allora vescovo ausiliare della città, il 16 luglio 1966. Fu successivamente inviato al Collegio Internazionale San Lorenzo, a Roma, per continuare gli studi. Conseguì la licenza in Diritto Canonico presso l’Università gregoriana (1968-1970).

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Nell’autunno del 1970, quando i nostri studenti sardi furono inviati ad Assisi per gli studi teologici, anche Padre Stefano fu scelto dai Superiori per accompagnarli in qualità di formatore (vice Rettore) e docente di diritto presso l’Istituto Teologico del Sacro Convento. Trascorse qui quattro anni, che saranno da lui ricordati come i più belli della sua vita, come si deduce anche dai suoi scritti. Quelli furono anni di grandi soddisfazioni, durante i quali ricevette numerosi incarichi anche a livello diocesano e attestati di stima da parte di quanti lo conobbero e gli furono vicini. Il rientro in Provincia, quattro anni dopo (1974), segnò la fine del suo soggiorno ad Assisi: il distacco dalla città di San Francesco gli lasciò nel cuore nel cuore una grande nostalgia. Dal ’74 al ’76 fu di famiglia nel convento di Cagliari, prestando il suo servizio pastorale nell’insegnamento e nella predicazione e nel ministero delle confessioni presso il Santuario di Sant’Ignazio. A partire dal 1976 Padre Stefano fu per sette anni cappellano capo all’Ospedale San Giovanni di Dio, quando la Diocesi di Cagliari affidò ai Cappuccini l’assistenza spirituale di quell’ospedale. Dopo gli anni in ospedale, fu chiamato a guidare alcune delle nostre comunità: prima quella di Cagliari (1983-1986)), poi quella di Sanluri (1989-1995). In tale uffici, espletati sempre con impegno, riuscì con la sua grande pazienza e il suo zelo apostolico a dare il meglio di sé e a salvaguardare la pace e la concordia fra tutti. Dal 1986 al 1989 fu anche Definitore di Provincia. Verso la fine del suo soggiorno a Sanluri, il 15 agosto del 1994, P. Stefano fu colpito da un ictus cerebrale e ricoverato all’Ospedale S. Giovanni di Dio. Recuperata la salute, si dedicò alle normali attività prima a Sanluri e poi di nuovo a Cagliari, dove era stato trasferito nel 1995. In questi anni si dedicò all’insegnamento di etica presso la Scuola Infermieri, la Scuola Ostetriche, e la Scuola degli Assistenti Sociali. La stessa materia

insegnò presso la Facoltà Teologica di Cagliari. Intanto si manifestavano le prime avvisaglie della malattia, perché il 9 gennaio del 2002 gli fu riscontrata un’insufficienza respiratoria cronica con relativi ricoveri. Da allora P. Stefano fu costretto alla ossigeno terapia 24h24, e quindi dovette ridurre le sue attività all’esterno del convento, ma continuò a svolgere il suo instancabile ministero delle confessioni e della direzione spirituale nella sacristia della chiesa. Ogni pomeriggio lui era là, nel suo scranno, intento all’accoglienza e all’ascolto paziente di quanti venivano a lui. Soprattutto venivano a lui giovani e ragazze a chiedergli un orientamento per la vita e in tanti furono da lui preparati al matrimonio. In occasione del suo funerale ne hanno dato testimonianza. Dal 2012, le condizioni di salute di

P. Stefano andarono sempre più deteriorandosi e lo costrinsero a stabilirsi definitivamente nell’Infermeria del convento. Qui trascorreva il suo tempo dedicandosi alla preghiera e alla lettura e accogliendo, quando poteva e quando le condizioni di salute glielo permettevano, quanti gli chiedevano di incontrarlo. “La malattia – ha scritto P. Stefano nella Premessa ai Canti di un povero – mi ha provato duramente, lasciandomi stremato e ponendomi mille domande. È stato il periodo più difficile della mia vita. Un’esperienza dolorosa, incomprensibile, che ancora oggi mi lascia senza parole”. E tuttavia nello stesso testo precisa: “C’è una cosa che mi commuove: non ho mai perso la serenità. Anche nei momenti più difficili. Come questa volta. Ho sentito una pace grande. Il cuore calmo, abbandonato alla misericordia divina”. I.P.


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Catechisti DETTO TRA NOI

Il compito di annunciare il Vangelo di Cristo non è legato soltanto a qualche particolare categoria di persone ma appartiene ad ogni battezzato che è chiamato a condividere con gli altri la sua fede. Ogni uomo ha il diritto di essere raggiunto dalla proposta del messaggio cristiano

Voi non trovate lavoro? Un curioso ed interessante cartello è stato esposto in un bar di Ponticelli, quartiere napoletano. I titolari hanno scritto: “Voi non trovate lavoro, noi non troviamo personale”. Se questo è vero, e non abbiamo motivi per dubitare, viene a galla un fenomeno di cui si sente parlare ogni tanto e, cioè, che molti (o pochi?) giovani non vogliono lavorare o, meglio, non vogliono fare certi lavori che richiedono impegno, fatica e soprattutto turni. Si sa che in Italia la disoccupazione è quasi al 13 % e quella giovanile raggiunge quasi il 40%.Quindi il fenomeno è reale, osservando una faccia della medaglia: circa 3 milioni di italiani non hanno lavoro. E, si sa, che il lavoro nobilita l'uomo, gli da dignità, lo impegna per guadagnarsi il sostentamento e una vita dignitosa, ma con il sudore della fronte. Però, se guardiamo

La Chiesa esiste per evangelizzare rima di addentrarci nelle tematiche dell’Iniziazione cristiana, del primo annuncio e dell’evangelizzazione, della formazione dei catechisti e dei percorsi catechistici in senso stretto, così come procede il documento Incontriamo Gesù, è importante lasciarsi provocare da quell’innovativa e programmatica affermazione di Paolo VI rintracciabile nella Evangelii nuntiandi al n. 14: “ La Chiesa esiste per evangelizzare.” Questa è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda che, di conseguenza, la costringe a non chiudersi mai in se stessa, ma farsi pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e a tutti i popoli per condurli alla fede in Cristo. Una missione che non guarda solamente verso coloro che ancora non conoscono Cristo ma si rivolge, oggi più di prima, a coloro che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, lo hanno dimenticato e abbandonato e non si riconoscono più nella Chiesa; molti ambienti, anche in società tradizionalmente cristiane, sono oggi refrattari ad aprirsi alla parola della

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fede. La Chiesa di oggi, dunque, è chiamata a ritrovarsi, in ogni sua espressione, in questo prezioso, non delegabile e inderogabile impegno affidatole dal Signore: annunciare l’amore di Dio, permeare cultura e società con il lievito del Vangelo che rinnova la storia, testimoniare fiducia, gioia e speranza. In questo senso si muove l’invito di Papa Francesco a pensarsi come “Chiesa in uscita”: comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, si coinvolgono, accompagnano e celebrano. Incontriamo Gesù, descrive l’impegno della Chiesa che evangelizza nei numeri 15-18. In primo luogo è l’intera comunità che evangelizza: l’annuncio del Vangelo non riguarda solo qualcuno ma è insito nella vocazione battesimale di ogni cristiano e ad ogni battezzato, inserito nelle concrete vicende della storia e negli ambienti più quotidiani della vita, è chiesto di essere “Vangelo vissuto”, testimonianza autentica della novità del Regno di Dio. La Chiesa non deve, poi, perdere di vista che l’annuncio del Vangelo è per tutti: non ha destinatari classificati ma è un diritto

di ogni uomo essere raggiunto dal Vangelo. “La sfida che ci attende è far sì che ogni persona, nei molteplici ambiti di vita, possa sperimentare una Chiesa capace di comunicare il Mistero di Cristo; una Chiesa sensibile, partecipe, vicina, “esperta di umanità”, ricca di buona notizia, compagna disinteressata di viaggio.” (IG, 16). La missione evangelizzatrice della Chiesa si esprime, inoltre, nella celebrazione dei Sacramenti e nel servizio della Carità. Tre compiti, annuncio, liturgia e carità, che si presuppongono a vicenda e che

non possono essere separati l’uno dall’altro. In tal senso diventa essenziale la formazione biblica e far si che la Sacra Scrittura divenga sempre più sorgente ispiratrice di ogni attività della Chiesa; allo stesso modo è indispensabile rendersi conto che, secondo l’affermazione di Papa Francesco, “la Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di rinnovato impulso a donarsi.” (EG, 24). Emanuele Mameli

Portare il Vangelo all’uomo L’annuncio del Regno di Dio è, secondo la testimonianza unanime dei Vangeli, il centro della predicazione di Gesù, e le comunità cristiane devono sempre più prendere coscienza di essere a servizio del Regno, e delle sue prerogative: la comunione fraterna, la libertà, la pace, la gioia. Compito della Chiesa è, dunque, «portare la buona novella in tutti gli strati dell’umanità e con il suo influsso trasformarla dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa». Questa missione chiede di: annunciare l’amore di Dio, che si è rivelato in Gesù Cristo crocifisso e risorto e che ci chiama a collaborare per costruire il Regno e introdurre tutti gli uomini nella comunione con Lui; permeare la cultura del nostro tempo con l’annuncio del Vangelo, per rinnovare stili di vita, criteri di giudizio, modelli di comportamento e ridare fondamento cristiano a quei valori che fanno parte integrante della nostra tradizione, ispirata dal cristianesimo; testimoniare fiducia, gioia e speranza: in tal senso la Chiesa è promotrice di «alleanze educative» con tutti coloro che hanno come finalità lo sviluppo armonico della persona e della società. Tale dinamismo caratterizza – secondo le parole del Papa – una Chiesa «in uscita», rendendola «comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano»; la comunità evangelizzatrice, preceduta nell’amore dal Signore, «sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade CEI, Incontriamo Gesù, n. 15 per invitare gli esclusi.

n PERSONAGGI DELLA BIBBIA

Il re di Ninive ra i Dodici Profeti, chiamati anche ‘profeti minori’ a causa dei loro scritti esigui rispetto ai quattro maggiori, è ben nota la vicenda parabolica di Giona. La narrazione è avvincente nello stile, movimentata nella trama, suggestiva nella concatenazione di scene che si rincorrono. Inoltre, il profeta è un figura singolare nella bibbia, dal momento che il suo atteggiamento davanti alla chiamata di Dio è la fuga dal Signore stesso. Dio lo invita a predicare la conversione in una delle città-simbolo del male: Ninive. In verità, quando fu scritto il libro (VI-V sec. a.C.), della città assira non esisteva che il ricordo, dal momento che venne definitivamente rasa al suolo nel 612. Un elemento che ci ricorda quanto la vicenda narrata sia figurativa e simbolica per sottolineare il profilo finale di Dio. Giona, dopo diverse vicissitudini si reca a Ninive

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e predica l’imminente catastrofe sulla città, a causa delle malefatte, della violenza, della malvagità abnorme. È molto curioso ed interessante notare la prontezza non solo dei niniviti, ma addirittura del suo re. Questi doveva essere l’emblema più terribile della malvagità, dell’oppressione, della brutalità. In un’analogia suggestiva, Andrea Corti scrisse che il compito di Giona equivale al compito ‘affidato idealmente ad un romano, che dopo la strage delle Fosse Ardeatine, fosse stato inviato a Berlino davanti ad Hitler a predicare sciagura e conversionÈ. Immaginiamo che a chiunque sarebbe venuta paura, nessuno lo avrebbe fatto con troppa leggerezza. Il re di Ninive incarna la figura del ‘cattivo’. Eppure, la narrazione biblica lo caratterizza in modo del tutto diverso: ‘Giunta la notizia al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto,

si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenerÈ. Il re compie le azioni tipiche della penitenza, della richiesta di grazia, della umiliazione finalizzata al revocare la condanna. La sollecitudine del re è rafforzata dalla precisazione che compie tutto ciò al solo ‘sentito dirÈ della predicazione. Il re sembra un ottimo credente, un perfetto uomo di ascolto e di azione. Il testo ci stupisce ancora maggiormente con l’ordine che il re emana: ‘Uomini e animali, armenti e greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e animali si coprano di sacco, e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire’. L’ordine del re sembra una catechesi sul modo di ingraziarsi il

perdono di Dio con la confessione della propria malvagità. Il re non è un personaggio minore nella trama teologica e rappresenta la controfigura del testardo e geloso profeta. A Giona Dio dedicherà l’ultima parte del racconto per potergli ricordare che egli è ‘un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e di grande amore, che si ravvede riguardo al male promesso’. Il re ha avuto la paradossale capacità di sperare nel perdono amoroso. Michele Antonio Corona

l'altra faccia della medaglia, scopriamo, ahinoi, che c'è gente che non vuole lavorare. Capitava anche ai tempi di S. Paolo (e credo capiti in ogni tempo), tanto che l'Apostolo delle genti scrive: “diamo quest'ordine: chi non vuole lavorare, neppure mangi”. Parole dure ma chiare! Ora, si potrebbe pensare che il cartello di cui sopra, sia un fatto isolato. Ebbene, no! Ho sentito personalmente un pastore disperato, che avendo bisogno per una ventina di giorni di un operaio per potersi curare, ha fatto la triste esperienza di non trovare nessuno, pur offrendo una remunerazione di 100 euro al giorno. Conosco alcune famiglie che possiedono grandi vigne dietro casa, completamente abbandonate. Eppure i baldi giovanotti che si avviano all'età matura (40 anni) preferiscono ubriacarsi con vino o birra acquistati al bar piuttosto che ubriacarsi con il vino frutto del loro lavoro....fermo restando che ubriacarsi non è una virtù e, tra l'altro, fa male alla salute. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di episodietti insignificanti. No: udite udite.... in alcune agenzie di Cagliari preposte ad offrire lavoro, anche se part-time o lavori come nei call center, le impiegate trascorrono intere giornate al telefono, senza trovare un lavoratore o una lavoratrice. Le condizioni che pretendono molti bamboccioni e bamboccione sono: no il sabato e la domenica e i giorni festivi, no la turnazione, che prevede anche il lavoro notturno, no lavori pesanti, no lavori più distanti di 100 metri da casa di papy e mammy, no....per altri motivi. Ma allora, perché lamentarsi che non c'è lavoro? Sarà pure precario il lavoro offerto, ma i lavori non faticosi e che non richiedono rinunce e responsabilità, non li hanno ancora inventati. O i bamboccioni e bamboccione alle prime armi pretendono di fare i dirigenti, senza arte né parte? E non si illudano i giovincelli di essere mantenuti eternamente dai genitori. Molto opportunamente una canzone degli anni '70 recitava: “la gioventù tramonta, la mamma e il papà muoiono....resta la fregatura del primo amore”. Mi viene in mente un pensiero, o un dubbio; non è che si sia diffusa la contagiosa sindrome della “mandronia” (pigrizia irreversibile, per chi non conosce l'inglese). d. Tore Ruggiu


Cultura

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domenica 16 novembre 2014

curiosità

La Facoltà di Teologia insieme all’Istituto Superiore di Scienze Religiose ha organizzato un seminario di studio dal titolo: “La questione del gender. Rivendicazioni e implicazioni dell’attuale cultura sessuale”. Il Preside Padre Teani sottolinea l’attualità del tema e come questo riguardi concretamente in particolare i genitori e gli insegnanti

SETTIMANALE DIOCESANO DI CAGLIARI Registrazione Tribunale Cagliari n. 13 del 13 aprile 2004

Direttore responsabile Roberto Piredda Editore Associazione culturale “Il Portico” via Mons. Cogoni, 9 Cagliari Segreteria e Ufficio abbonamenti Natalina Abis- Tel. 070/5511462 Segreteria telefonica attiva 24h- su 24h e-mail: segreteriailportico@libero.it Fotografie Archivio Il Portico Amministrazione via Mons. Cogoni, 9 Cagliari Tel.-fax 070/523844 e-mail: settimanaleilportico@libero.it (Lun. - Mar. 10.00-11.30)

Approfondire il valore della persona 'intitola "La questione del gender. Rivendicazioni e implicazioni dell'attuale cultura sessuale" il seminario di studio organizzato dalla Facoltà Teologica della Sardegna in collaborazione con l'Istituto di Scienze religiose di Cagliari per il 14 e 15 novembre, introdotto e coordinato da don Aristide Fumagalli, docente di teologia morale alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale. “La tematica al centro del seminario non solo è di grande attualità ma anche di notevole importanza – sottolinea il Preside della Facoltà Teologica, Padre Maurizio Teani. Sono problematiche che riguardano la società in maniera trasversale, tanto è vero che vengono dibattute anche nelle scuole. Il seminario si pone come primo obbiettivo quello di offrire una mappa in merito alle principali correnti culturali che hanno contribuito ad alimentare la teoria del Gender”. Gli

S

studi di genere rappresentano un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell'identità di genere. Nati in Nord America a cavallo tra gli anni settanta e ottanta nell'ambito degli studi culturali, si diffondono in Europa Occidentale negli anni ottanta. “Parliamo della teoria che afferma il carattere solo socialmente costruito e quindi non naturale dell'identità sessuale – prosegue. La teoria sostiene che non ci sarebbe un legame strettamente necessario tra il sesso biologico e quello psicologico e sociale. Secondo questo pensiero la differenza sessuale rappresenterebbe soltanto un fatto convenzionale”. Per la teoria del gender quindi, l'umanità non sarebbe divisa tra maschi e femmine ma fatta di individui che scelgono chi vogliono essere. “L'altro aspetto che mi interessa sottolineare – afferma Padre

Teani – è relativo all'intento dell'incontro. Non vogliamo infatti soltanto fornire una mappa che sia utile per capire meglio la “questione” ma anche e soprattutto affrontare queste problematiche non solo sul piano della scienza e del diritto ma avviandoci verso livelli più profondi dell'essere umano. Insomma affrontare questa problematica senza pregiudizi ideologici e semplificazioni indebite per poter cogliere come dietro tutto il discorso venga fuori la visione dell'uomo implicata”. L'Unione Europea ha stabilito sostanziosi finanziamenti per favorire la diffusione di tale ideologia in Europa. Questo ha fatto sì che il termine abbia avuto una rapida diffusione. “Spesso l'emotività gioca un ruolo preponderante e finisce per ostacolare una riflessione ponderata. Provare a vedere e capire davvero cosa c'è, non fermandosi al livello più immediato ma sondando nel profondo – spiega”. Tuttavia questi studi non costituiscono un campo di sapere a sé stante, ma rappresentano innanzitutto una modalità di interpretazione. Sono il risultato di un incrocio di metodologie differenti che abbracciano diversi aspetti della vita umana. “In cima alle motivazioni che ci hanno spinto a organizzare questo seminario quella di fornire una figura, che al di là di frasi fatte e slogan, fosse in grado di addentrarsi all'interno della problematica – prosegue offrendo validi strumenti di conoscenza e comprensione del tema. Ritengo sia una questione che riguarda tutti, in

quanto si parla della persona umana, della relazione genitori-figli, passando per le strutture fondamentali che qualificano il vivere”. Gli studi di genere sono caratterizzati da una impronta politica ed emancipativa. Sono strettamente connessi alla condizione di soggetti minoritari. Non si limitano quindi a proporre teorie e applicarle all'analisi della cultura, ma mirano anche a realizzare cambiamenti in ambito della mentalità e della società.“È fondamentale parlare della questione perché il rischio maggiore consiste nel non affrontare il discorso in maniera corretta andando incontro a delle semplificazioni”, conclude Padre Teani. Maria Luisa Secchi

Pubblicità: inserzioni.ilportico@gmail.com Stampa Grafiche Ghiani - Monastir (CA) Redazione: Francesco Aresu, Federica Bande, Maria Chiara Cugusi, Fabio Figus, Maria Luisa Secchi, Roberto Comparetti. Hanno collaborato a questo numero: Tore Ruggiu, Maria Grazia Pau, Michele Antonio Corona, Franco Camba, Marco Scano, Emanuele Mameli, Gian Mario Aresu, Paola Lazzarini Orrù, Raffaele Pontis, Luigi Murtas, Damiano Aresu, Margherita Santus, Chiara Lonis. Per l’invio di materiale scritto e fotografico e per qualsiasi comunicazione fare riferimento all’indirizzo e-mail: settimanaleilportico@gmail.com L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a Associazione culturale Il Portico, via mons. Cogoni, 9 09121 Cagliari. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata (L. 193/03).

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