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Poste Italiane SpA Spedizione in abb.to postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 comma 1 - DCB Cagliari

SETTIMANALE DIOCESANO

A N N O X I I N .1

Sardegna

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Chiesa

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DI

CAGLIARI

DOMENICA

Società

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GENNAIO

€ 1.00

2015

Papa Francesco

La famiglia è una vera risorsa

Il ricordo di Padre Giuseppe Pittau

Difendere il valore della vita

La coerenza nel servizio alla Chiesa

a manifestazione promossa dalle L Famiglie Numerose

scomparso il gesuita sardo, per È anni missionario in

’intervista a Carlo Casini, presidente L nazionale del

l Santo Padre è intervenuto in Ioccasione degli auguri di

davanti alla Regione

Giappone

Movimento per la Vita

Natale alla Curia Romana

EDITORIALE

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Società. L’incontro del Papa con le Famiglie Numerose

Un dono del Signore ubblichiamo di seguito il testo del discorso che Papa Francesco ha rivolto all’Associazione Nazionale delle Famiglie Numerose durante l’incontro di domenica 28 dicembre.

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Il Vangelo oggi ci mostra Maria e Giuseppe che portano il Bambino Gesù al tempio, e lì trovano due anziani, Simeone e Anna, che profetizzano sul Bambino. E’ l’immagine di una famiglia “larga”, un po’ come sono le vostre famiglie, dove le diverse generazioni si incontrano e si aiutano. Ringrazio Mons. Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, - specialista nel fare queste cose che ha tanto desiderato questo momento, e Mons. Beschi, che ha fortemente collaborato a far nascere e crescere la vostra Associazione, sbocciata nella città del beato Paolo VI, Brescia. Siete venuti con i frutti più belli del vostro amore. Maternità e paternità sono dono di Dio, ma accogliere il dono, stupirsi della sua bellezza e farlo splendere nella società, questo è il vostro compito. Ognuno dei vostri figli è una creatura unica che non si ripeterà mai più nella storia dell’umanità. Quando si capisce questo, ossia che ciascuno è stato voluto da Dio, si resta stupiti di quale grande miracolo sia un figlio! Un figlio cambia la vita! Tutti noi abbiamo visto – uomini, donne – che quando arriva un figlio la vita cambia, è un’altra cosa. Un figlio è un miracolo che cambia una vita. Voi, bambini e bambine, siete proprio questo: ognuno di voi è frutto unico dell’amore, venite dall’amore e crescete nell’amore. Siete unici, ma non soli! E il fatto di avere fratelli e sorelle vi fa bene: i figli e le figlie di una famiglia numerosa sono più capaci di comunione fraterna fin dalla prima infanzia. In un mondo segnato spesso dall’egoismo, la famiglia numerosa è una scuola di solidarietà e di condivisione; e questi atteggiamenti vanno poi a beneficio di tutta la società. Voi, bambini e ragazzi, siete i frutti dell’albero che è la famiglia: siete frutti buoni quando l’albero ha buone radici – che sono i nonni – e un buon tronco – che sono i genitori. Diceva Gesù che ogni albero buono porta frutti buoni e ogni albero cattivo frutti cattivi (cfr Mt 7,17). La grande famiglia umana è come una foresta, dove gli alberi buoni portano solidarietà, comunione, fiducia, sostegno, sicurezza, sobrietà felice, amicizia. La presenza delle famiglie numerose è una speranza per la società. E per questo è molto importante la presenza dei nonni: una presenza preziosa sia per l’aiuto pratico, sia soprattutto per l’apporto educativo. I nonni custodiscono in sé i valori di un popolo, di una famiglia, e aiutano i genitori a trasmetterli ai figli. Nel secolo scorso, in tanti Paesi dell’Europa, sono stati i nonni a trasmettere la fede: loro portavano di nascosto il bambino a ricevere il Battesimo e trasmettevano la fede. Cari genitori, vi sono grato per l’esempio di amore alla vita, che voi custodite dal concepimento alla fine naturale, pur con tutte le difficoltà e i pesi della vita, e che purtroppo le pubbliche istituzioni non sempre vi aiutano a portare. Giustamente voi ricordate che la Costituzione Italiana, all’articolo 31, chiede un particolare riguardo per le famiglie numerose; ma questo non trova adeguato riscontro nei fatti. Resta nelle parole. Continua a pagina 2

Avere cura della famiglia «Vi sono grato per l’esempio di amore alla vita, che voi custodite dal concepimento alla fine naturale, pur con tutte le difficoltà e i pesi della vita, e che purtroppo le pubbliche istituzioni non sempre vi aiutano a portare. Giustamente voi ricordate che la Costituzione Italiana, all’articolo 31, chiede un particolare riguardo per le famiglie numerose; ma questo non trova adeguato riscontro nei fatti. Resta nelle parole. Auspico quindi, anche pensando alla bassa natalità che da tempo si registra in Italia, una maggiore attenzione della politica e degli amministratori pubblici, ad ogni livello, al fine di dare il sostegno previsto a queste famiglie»

Cagliari

7 Diocesi

Dopo la delusione di Zeman, il Cagliari si affida a Zola

L’Incontro di Natale dei docenti di religione

Solidarietà 13 Chiesa Presentato il Dossier 2014 della Caritas

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L’Anno dedicato dal Santo Padre alla vita consacrata


Attualità

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domenica 4 gennaio 2015

La fine della guerra fredda tra Usa e Cuba Barack Obama e Raul Castro hanno annunciato la ripresa dei rapporti diplomatici tra i due stati, interrotti dopo la rivoluzione cubana. Decisivo l’intervento di Papa Francesco opo oltre cinquant’anni, nelle relazioni tra gli Stati Uniti d’America e Cuba, c’è stata quella che, a buon motivo, viene definita la volta storica. Infatti, ad un anno dalla stretta di mano in Sudafrica, alla cerimonia per la morte di Nelson Mandela, il presidente americano Barack Obama e quello cubano Raul Castro, hanno dato avvio alla “normalizzazione” delle relazioni diplomatiche fra i loro stati. Tra i primi atti conseguenti uno scambio di prigionieri, cui seguiranno l’apertura delle rappresentanze diplomatiche, un allentamento dell’embargo e la rimozione delle restrizioni sui viaggi. In un discorso alla nazione, che sicuramente passerà alla storia, il presidente Obama ha riconosciuto: “La politica rigida su Cuba, che abbiamo adottato negli ultimi anni,

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non ha avuto risultati. L’isolamento non ha funzionato. Cinquantatre anni di embargo non sono serviti a nulla. Oggi mettiamo fine a un approccio datato”. Affermazioni cui Raul Castro, anche lui intervenuto con un discorso pubblico, ha risposto dicendo che la decisione di Barack Obama di imprimere una svolta ai rapporti tra Stati Uniti e Cuba «merita il rispetto e la riconoscenza del nostro popolo». Nello stesso discorso, rivolto alla nazione cubana, Castro ha annunciato il nuovo corso delle relazioni tra L’Avana e Washington. «Siamo riusciti a fare progressi verso la soluzione di numerose questioni di interesse per entrambe le nostre nazioni», ha detto Castro, che ha ringraziato Papa Francesco e il Canada per il ruolo svolto nelle trattative. «I progressi compiuti negli scambi che abbiamo avuto

n DALLA PRIMA Auspico quindi, anche pensando alla bassa natalità che da tempo si registra in Italia, una maggiore attenzione della politica e degli amministratori pubblici, ad ogni livello, al fine di dare il sostegno previsto a queste famiglie. Ogni famiglia è cellula della società, ma la famiglia numerosa è una cellula più ricca, più vitale, e lo Stato ha tutto l’interesse a investire su di essa! Ben vengano perciò le famiglie riunite in associazione – come questa italiana e come quelle di altri Paesi europei, qui rappresentate –; e ben venga una rete di associazioni familiari capace di essere presente e visibile nella società e nella politica. San Giovanni Paolo II, a tale proposito, scriveva: «Le famiglie devono crescere nella coscienza di essere protagoniste della cosiddetta politica familiare e devono assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le vittime di quei mali che si sono limitate ad osservare con indifferenza» (Esort. ap. Familiaris consortio, 44). L’impegno che le associazioni familiari svolgono nei diversi “Forum”, nazionali e locali, è proprio quello di promuovere nella società e nelle leggi dello Stato i valori e le necessità della famiglia.

Ben vengano anche i movimenti ecclesiali, nei quali voi membri delle famiglie numerose siete particolarmente presenti e attivi. Sempre ringrazio il Signore nel vedere papà e mamme di famiglie numerose, insieme ai loro figli, impegnati nella vita della Chiesa e della società. Per parte mia vi sono vicino con la preghiera, e vi pongo sotto la protezione della Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria. E una bella notizia è che proprio a Nazareth si sta realizzando una casa per le famiglie del mondo che si recano pellegrine là dove Gesù è cresciuto in età, sapienza e grazia (cfr Lc 2,40). Prego in particolare per le famiglie più provate dalla crisi economica, quelle dove il papà o la mamma hanno perso il lavoro, - e questo è duro - dove i giovani non riescono a trovarlo; le famiglie provate negli affetti più cari e quelle tentate di arrendersi alla solitudine e alla divisione. Cari amici, cari genitori, cari ragazzi, cari bambini, cari nonni, buona festa a tutti voi! Ognuna delle vostre famiglie sia sempre ricca della tenerezza e della consolazione di Dio. Con affetto vi benedico. E voi, per favore, continuate a pregare per me, che io sono un po’ il nonno di tutti voi.

mostrano che è possibile trovare una soluzione a molti problemi. Dobbiamo imparare a vivere insieme in modo civile, nonostante le nostre differenze», ha poi proseguito il presidente cubano. Decisivo per la svolta, come dichiarato anche da Obama e Castro, è stato l’intervento della diplomazia vaticana e in particolare di Papa Francesco. I colloqui tra rappresentanti americani e cubani, mediati da inviati del Pontefice, sono andati avanti in segreto per diciotto mesi con numerose riunioni tenute in Canada. E l’estate scorsa il Papa, con due lettere personali indirizzate a Barack Obama e a Raul Castro, li aveva invitati a riprendere i rapporti. La lettera del Papa «ci ha dato maggiore impulso e slancio per andare avanti», ha riferito una fonte dell’Amministrazione Usa, rivelando che agli incontri tra i negoziatori americani e cubani hanno partecipato anche rappresentanti del Vaticano. Proprio il tema del disgelo tra Usa e Cuba era stato al centro anche dell’incontro nel marzo scorso in Vaticano tra Papa Francesco e il presidente americano. E non a caso, entrambi i leader nei loro discorsi sulla normalizzazione delle relazioni tra i due stati hanno ringraziato il Santo Padre. Il primo atto della svolta è stata la liberazione del contractor americano Alan Gross da una prigione a Cuba. Collaboratore dell’agenzia americana per lo sviluppo internazionale che fa parte del Dipartimento di Stato americano, Gross era stato arrestato cinque anni fa mentre distribuiva materiale elettronico alla comunità ebrea all’Avana, con l’obiettivo di creare una rete informatica alternativa e condannato a quindici anni di prigione per spionaggio. Per il

rilascio di Gross gli Usa hanno accettato di liberare per motivi umanitari tre agenti cubani detenuti negli Stati Uniti, dopo un processo controverso che li ha condannati per spionaggio nei confronti di gruppi anti-Castro a Miami. Anche per i media Usa è indubbio che lo storico risultato sia stato raggiunto grazie al coinvolgimento del Vaticano che, secondo il senatore Richard Durbin, ha svolto un ruolo importante nei negoziati. Per il New York Times la liberazione di Gross è frutto di trattative segrete durate diciotto mesi, ospitate in gran parte dal Canada e incoraggiate da Papa Francesco, che a sua volta ha ospitato un incontro conclusivo in Vaticano. Da parte sua la Segreteria di Stato in una nota ha sottolineato “il vivo compiacimento” di Papa Francesco per “la storica decisione” dei due governi, e ha confermato il ruolo di mediatore del Pontefice che nei

mesi scorsi ha scritto ad entrambi i capi di Stati, invitandoli a risolvere le “questioni umanitarie d’interesse comune”. Per il momento il disgelo si è concretizzato nello scambio di prigionieri. Successivamente seguiranno l’apertura delle rappresentanze diplomatiche e in prospettiva la fine dell’embargo, che Obama chiederà al Congresso americano. Ma anche la cooperazione tra i due paesi su varie questioni, compresa la lotta al crimine e l’eliminazione di Cuba dalla lista nera degli stati terroristi. Da subito, gli Usa si impegnano a facilitare l’accesso dei cubani alle telecomunicazioni e a internet. «Siamo separati da 90 miglia di acqua ma speriamo entrambi in un futuro migliore per Cuba», è stato scritto in un comunicato stampa della Casa Bianca. Una speranza ampiamente condivisa, non solo dai cubani. Franco Camba


domenica 4 gennaio 2015

La famiglia è una risorsa per l’intera Sardegna L’Associazione delle Famiglie Numerose della Sardegna ha manifestato davanti al Consiglio Regionale. Richiesto un sostegno concreto per le famiglie el pomeriggio del 17 dicembre l’Associazione Famiglie Numerose della Sardegna ha manifestato in via Roma, a Cagliari, davanti al Palazzo del Consiglio Regionale, per chiedere la reintroduzione di un Bonus di tre milioni di euro che, prima di recenti interventi, veniva destinato ai nuclei familiari con almeno quattro figli ed un ISEE non superiore a 30.000 euro. Come abbiamo scritto qualche settimana fa, un’indagine dell’Osservatorio Politico dell’Associazione Famiglie Numerose ha evidenziato come un figlio costi 9.000 euro all’anno. Una cifra non indifferente, considerando non solo che mediamente i redditi dei sardi sono bassi, ma anche i dati della disoccupazione sempre crescente ed il Dossier Caritas 2014 per la Sardegna presentato pochi giorni fa: 410.000 sardi (un quarto della popolazione della nostra Regione) sono poveri e, di questi, 233.000 versano in stato di grave deprivazione. In questa cornice drammatica, erano in tanti, il 17, per dire che le famiglie sono al collasso e che avere un figlio è

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A che punto è l’Isola? Presentato l’XI Rapporto dell’Osservatorio sull’Economia Sociale e Civile della Sardegna Emerge il quadro di una realtà segnata dalla crisi

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felice”, il 21,4% “non molto felice”, il 52,17% afferma di essere “piuttosto felice” mentre il 16,05% si definisce “molto felice”. Tra coloro che si definiscono “per niente felice” i giovani sono solo il 6,7%. Percentuale che cresce in modo lineare fino al 19,6% tra coloro che dichiarano di sentirsi “molto felici”. Per gli ultra sessantacinquenni, invece, si passa dal 38% dei “per niente felici” al 23% dei “molto felici”. Andamento costante invece per l’età intermedia, che occupa il 55% dei “per niente felici” e il 57% dei “molto felici”. «Un elemento per molti versi collegato al livello del benessere soggettivo è naturalmente il reddito - dettaglia. Anche se gli studi più recenti hanno messo in luce come questa relazione sia decisamente più complessa e meno diretta di quanto non si pensasse è indubbio che reddito e benessere siano in qualche modo collegati». Un secondo ambito di ricerca ha riguardato invece la fiducia interpersonale e istituzionale. «La fragilità della fiducia, sia quella interpersonale e ancor più quella generalizzata e istituzionale – spiega il direttore - deriva anche e fondamentalmente dalla sua stessa natura di bene comune. Di particolare interesse sono i dati riportati relativi alla variazione dei livelli di fiducia interpersonale durante il ciclo di vita. Si nota infatti come la fiducia sia più bassa nei giovani, aumenti nell’età matura e si riduca nuovamente con l’avanzare della vecchiaia. Un altro elemento che influenza il livello di fiducia interpersonale è il titolo di studio. Tra coloro che non possiedono un titolo di studio, solo il 7,3% si definisce fiducioso, contro il 31% di chi possiede una laurea e addirittura il

diventato un lusso che non tutti si possono permettere: “Hanno partecipato – ci dice Eugenio Lao, il coordinatore dell’associazione organizzatrice - circa duecento persone fra ‘grandi’ e ‘piccoli’, molti di Famiglie Numerose ma anche tanti di altre associazioni e movimenti”. In concreto, “abbiamo potuto parlare con diversi Consiglieri Regionali che ci hanno portato il loro sostegno: tra questi Paolo Truzzu, Valter Piscedda, Piero Comandini, Attilio Dedoni e Daniela Forma. Michele Cossa non poteva essere presente ma, in questi mesi, ci ha aiutato parecchio. Altri ancora, come Alessandra Zedda e Marcello Orrù, ci hanno espresso pubblicamente la loro solidarietà”. Da una collaborazione iniziata in particolare con i Consiglieri Michele Cossa e Paolo Truzzu, è poi nato un interesse di vari altri Consiglieri regionali. Ed è da notare come i Consiglieri che si sono interessati della protesta siano di vari partiti, sia della maggioranza che dell’opposizione, a dimostrazione del fatto che una manifestazione seria e costruttiva può sbloccare situazioni dannose per le famiglie e consentire il dialogo tra Istituzioni e mondo civile: “Abbiamo avuto un colloquio con l’Assessore Arru, il capogruppo del PD in Consiglio Regionale, Daniela Forma, ed il nostro Arcivescovo Miglio”. E le soluzioni, a quanto pare, sono state trovate: “L’Assessore Luigi Arru ci ha garantito il suo impegno ad incrementare per il 2014 le risorse del Bonus con altri 300.000 euro e, per il bilancio 2015, il ripristino dell’originaria dotazione del Bonus Famiglie Numerose, vale a dire almeno

tre milioni di euro. E, per raggiungere quest’ultimo risultato, il Consiglio Regionale quasi all’unanimità ha sottoscritto e presentato, mentre si svolgeva la nostra manifestazione, una mozione unitaria che impegna la Giunta Regionale ad assicurare questa dotazione finanziaria”. Il sostegno è necessario perché “è in gioco il futuro dei nostri figli. Di fronte alla spietata eloquenza delle statistiche che dicono come la Sardegna si avvii ad un inarrestabile declino e ad una vera e propria corsa verso il baratro dell’inverno demografico, in un’area in cui le famiglie con tre e più figli sono spinte oltre la soglia di povertà, in una terra che vanta il triste primato della minore natalità a livello nazionale”, un sostegno concreto alle famiglie con tanti figli è assolutamente necessario. Oggi, all’esito della manifestazione, l’auspicio di Eugenio Lao (e quello di tante famiglie sarde) “è che possa essersi aperto un canale di dialogo con le associazioni familiari e che la politica abbia scoperto che la famiglia può essere una risorsa sociale ed economica da valorizzare. Abbiamo chiesto e confidiamo che col nostro concorso possa presto elaborarsi e discutersi una proposta di Legge Regionale sulla famiglia sopratutto per perseguire l’obiettivo strategico della ripresa della natalità in Sardegna. Lo ha sottolineato con grande forza anche Monsignor Miglio: la questione natalità è la vera grande emergenza sociale ed economica della Sardegna e, per superarla, bisogna agire immediatamente, senza perdere tempo”. Gian Mario Aresu

n IL FATTO

n ECONOMIA. Il Convegno promosso dall’Istituto IARES

ardi e felici? Fiducia, benessere e istituzioni nella Sardegna della crisi» è stato il tema al centro del seminario promosso di recente a Cagliari dallo IARES (Istituto Acli per la Ricerca e lo Sviluppo) durante il quale è stato presentato l'XI Rapporto dell'Osservatorio IARES sull’Economia Sociale e Civile in Sardegna. «Il seminario – spiega il direttore Antonello Caria - parte dall’interrogarsi sullo stato della felicità dei sardi. Dopo le precedenti rilevazioni relative ormai al 2009, abbiamo ritenuto fosse necessario verificare come i sardi si sentissero». Dal precedente Rapporto, presentato nel 2012, emergono diversi dati e in particolare alcuni dettagli relativi al Terzo settore e all’economia sociale. In entrambi i casi si evince che pur subendo la crisi si riesce a mantenere equilibri strutturali discreti e a permanere con alti livelli di resilienza alle trasformazioni in atto. «Parliamo di Felicità – prosegue Caria - ma intendiamo parlare di determinanti essenziali del Capitale Sociale della nostra Sardegna, ritenendo che ogni “buona analisi” dovrebbe in ogni occasione presentare le differenti e complesse situazioni su cui è costruita la complessità umana. Il primo ambito di indagine che abbiamo approfondito è quello del benessere soggettivo. Da anni ormai si è capita l’importanza di sviluppare misure del benessere soggettivo e di monitorare regolarmente tali variabili». La situazione della Sardegna nel 2014 vede il 10, 37% dei rispondenti dichiararsi “per niente

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Attualità

50% di chi ha un titolo post laurea. Un simile discorso vale per il reddito. Al crescere di quest’ultimo cresce anche la percentuale di soggetti fiduciosi». Il ruolo del volontariato; la valutazione dei servizi di Welfare e gli orientamenti politici rappresentano gli ultimi tre aspetti al centro dell’indagine. «Un tema rilevante e per molti versi collegato a quello della fiducia istituzionale ed interpersonale è quello del volontariato. Studi a livello nazionale ed internazionale hanno evidenziato come la percentuale di cittadini che si impegnano in attività di volontariato, il numero di associazioni no-profit e di volontariato, sono delle utili misure di civismo, che a sua volta è una componente del capitale sociale ed una conseguenza del livello di fiducia diffusa in una data comunità». In Sardegna la percentuale di cittadini che dichiara di essere impegnata in attività di volontariato è pari al 22,74%, mentre a livello nazionale il dato si attesta al 9,4% (ISTAT). «I servizi più utilizzati in assoluto – prosegue - sono quelli per gli anziani (assistenza domiciliare o residenziale), seguiti dagli asili nido (28,43%), da quelli di orientamento e formazione professionale (23,91%) e dai centri di aggregazione sociale (18,9%). I servizi di contrasto alla povertà e al disagio hanno riguardato il 9,2% dei rispondenti, quelli di recupero del disagio e della tossicodipendenza l’8,86% e infine quelli di accoglienza e inclusione per il migranti, il 2,68%. Per quanto riguarda gli orientamenti politici dei sardi infine, abbiamo rilevato il livello di interesse per la politica e le questioni politiche in generale. Il 33,61% afferma di non essere “per niente interessato” in tali questioni, il 22,74% si dice “non molto interessato”, il 31,10% invece è “abbastanza interessato” e il 12,21% invece è “molto interessato” – conclude». Maria Luisa Secchi

Le colpe di chi non vigila La professionalità dei soccorritori onostante il grande impegno dei soccorritori una nave ha preso fuoco e diverse persone, che erano a bordo, hanno perso la vita. La vicenda del traghetto Norman Atlantic (fino a due anni fa si chiamava Scintu e viaggiava sulle rotte sarde) fotografa ancora una volta la precarietà che caratterizza il trasporto marittimo, un settore dove, spesso, si viaggia con navi vecchie e dotazioni di sicurezza al limite del regolamento, se non addirittura non a norma. La vetustà del naviglio commerciale ed in parte anche militare nella stragrande maggioranza delle nazioni, Italia compresa, è l’ulteriore conferma di come la sicurezza sia l’ultima delle preoccupazioni. Eppure le norme esistono, sono chiare per chiunque vada in mare: dal diportista estivo che esce con il gommone preso a noleggio e magari non sa neanche nuotare, al più grande armatore pubblico o privato che investe cifre irrisorie per mantenere in sicurezza la propria flotta. Lo sanno bene gli uomini della Guardia costiera e quelli della Finanza impegnati quotidianamente in mare per i servizi di polizia e di controllo. È sufficiente scorrere le cifre pubblicate ogni anno dalle autorità per comprendere come l’andare per mare sia considerato un gioco quando invece non lo è. Nell’ultima vicenda solo l’abilità e la professionalità dei soccorritori, e forse anche una dose di fortuna, hanno evitato l’ecatombe registrata in altre occasioni, vicenda Moby Prince in testa. Il coraggio e la preparazione degli uomini della Guardia Costiera, unitamente al supporto di altri natanti e navi, ha permesso in poco più di 24 ore di trasbordare diverse centinaia di passeggeri da una nave in fiamme: una situazione limite, con l’impossibilitata di avvicinarsi in condizioni di sicurezza e in condizioni meteo - marine proibitive, onde altre sei metri mare forza nove. L’inefficienza delle scialuppe di salvataggio della nave, rivelatesi insufficienti e malfunzionanti, e dei sistemi antincendio, che non hanno bloccato il propagarsi di fiamme e fumo, sono state determinanti nel creare i danni alle persone e alle cose. In questo contesto hanno operato i soccorritori e c’è chi ha anche lamentato ritardi nell’intervento. Un’accusa forse ingiusta visto che i soccorsi sono partiti dall’Italia, mentre la nave si trovava a 33 miglia nautiche al largo dell’isola di Othonoi sulla costa greca. Una distanza che può essere coperta solo in alcune ore di navigazione. Al di la delle responsabilità, che saranno accertate dalla magistratura, restano due elementi. Il primo la disinvoltura con la quale si effettuano controlli e si rilasciano autorizzazioni, o meglio ancora con cui armatori e proprietari di natanti bypassano le proprie responsabilità,. La seconda è la professionalità e la preparazione degli uomini del soccorso. Sono uomini e donne che questa volta hanno tratto in salvo passeggeri di un traghetto in fiamme, ma che tutti i giorni nel Mediterraneo salvano la vita di quanti (immigrati compresi) sono in difficoltà in mare, senza fare distinzioni, proprio come prescrive la legge del mare. Altro che togliere il tappo e far affondare i barconi. I. P.

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LE PIETRE

n IRAQ

Gli interventi del Santo Padre durante il periodo natalizio vari interventi legati alle celebrazioni del tempo di Natale hanno segnato la settimana del Santo Padre. Nell’omelia della S. Messa della Notte di Natale, Papa Francesco ha invitato a guardare alla luce che proviene dal Figlio di Dio che si è fatto uomo per noi: «Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione. In questo consiste l’annuncio della notte di Natale. Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto; e tutti i giorni, con pazienza. La pazienza di Dio». Per il Pontefice è necessario interrogarsi su come viene accolta la tenerezza di Dio che desidera incontrare ogni uomo: « mentre contempliamo il Bambino Gesù appena nato e deposto in una mangiatoia, siamo invitati a riflettere. Come accogliamo la tenerezza di Dio? Mi lascio raggiungere da Lui, mi lascio abbracciare, oppure gli impedisco di avvicinarsi? "Ma io cerco il Signore" – potremmo ribattere. Tuttavia, la cosa più importante non è cercarlo, bensì lasciare che sia Lui a cercarmi, a trovarmi e ad accarezzarmi con amorevolezza. Questa è la domanda che il Bambino ci pone con la sua sola presenza: permetto a Dio di volermi bene? Abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo! Pazienza di Dio, vicinanza di Dio, tenerezza di Dio». Nel Messaggio prima della Benedizione Urbi et Orbi del giorno di Natale il Papa ha ricordato i vari conflitti in atto in varie parti del mondo, in Africa e in Asia, e in modo particolare nel Medio Oriente: « A Lui, Salvatore del mondo, domando oggi che guardi i nostri fratelli e sorelle dell’Iraq e della Siria che da troppo tempo soffrono gli effetti del conflitto in corso e, insieme con gli appartenenti ad

Vita dura per i cattolici

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Lasciarsi coinvolgere dalla tenerezza del Bambino Gesù All’Angelus del giorno di Santo Stefano il Papa ha insistito sul valore della coerenza: “Nelle prove accettate a causa della fede, la violenza è sconfitta dall’amore, la morte dalla vita. Per accogliere veramente Gesù nella nostra esistenza e prolungare la Notte Santa, la strada è quella di dare testimonianza a Lui nell’umiltà e nel servizio” altri gruppi etnici e religiosi, patiscono una brutale persecuzione. Il Natale porti loro speranza, come ai numerosi sfollati, profughi e rifugiati, bambini, adulti e anziani, della Regione e del mondo intero; muti l’indifferenza in vicinanza e il rifiuto in accoglienza, perché quanti ora sono nella prova possano ricevere i necessari aiuti umanitari per sopravvivere alla rigidità dell’inverno, fare ritorno nei loro Paesi e vivere con dignità. Possa il Signore aprire alla fiducia i cuori e donare la sua pace a tutto il Medio Oriente, a partire dalla Terra benedetta dalla sua nascita, sostenendo gli sforzi di coloro che si impegnano fattivamente per il dialogo fra Israeliani e Palestinesi». Nelle parole del Papa il riferimento è andato in modo particolare alle sofferenze patite dai più piccoli: « Il mio pensiero va a tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita; sia a quei bambini sfollati a motivo delle guerre e delle persecuzioni, abusati e sfruttati sotto i nostri occhi e il nostro silenzio complice; e ai bambini massacrati sotto i

bombardamenti, anche là dove il figlio di Dio è nato. Ancora oggi il loro silenzio impotente grida sotto la spada di tanti Erode. Sopra il loro sangue campeggia oggi l’ombra degli attuali Erode. Davvero tante lacrime ci sono in questo Natale insieme alle lacrime di Gesù Bambino!». All’Angelus del giorno di Santo Stefano, Papa Francesco ha insistito sull’impegno di coerenza che deve contraddistinguere il cristiano, anche in mezzo alle prove del mondo nel quale è immerso: «Il Vangelo di questa festa riporta una parte del discorso di Gesù ai suoi discepoli nel momento in cui li invia in missione. Dice tra l’altro: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22). Queste parole del Signore non turbano la celebrazione del Natale, ma la spogliano di quel falso rivestimento dolciastro che non le appartiene. Ci fanno comprendere che nelle prove accettate a causa della fede, la violenza è sconfitta dall’amore, la morte dalla vita. E per accogliere veramente Gesù nella nostra esistenza e prolungare la gioia della Notte Santa, la strada è proprio quella indicata da questo

Vangelo, cioè dare testimonianza a Gesù nell’umiltà, nel servizio silenzioso, senza paura di andare controcorrente e di pagare di persona. E se non tutti sono chiamati, come santo Stefano, a versare il proprio sangue, ad ogni cristiano però è chiesto di essere coerente in ogni circostanza con la fede che professa. E la coerenza cristiana è una grazia che dobbiamo chiedere al Signore. Essere coerenti, vivere come cristiani e non dire: "sono cristiano", e vivere come pagano. La coerenza è una grazia da chiedere oggi». Nella Festa della S. Famiglia poi, sempre all’Angelus, il Santo Padre ha invitato a pregare in particolare per le famiglie provate dalle difficoltà: «La luce che viene dalla Santa Famiglia ci incoraggia ad offrire calore umano in quelle situazioni familiari in cui, per vari motivi, manca la pace, manca l’armonia, e manca il perdono. La nostra concreta solidarietà non venga meno specialmente nei confronti delle famiglie che stanno vivendo situazioni più difficili per le malattie, la mancanza di lavoro, le discriminazioni, la necessità di emigrare». Roberto Piredda

n ALCUNI PASSAGGI DELLA LETTERA DI PAPA FRANCESCO AI CRISTIANI DEL MEDIO ORIENTE

Il coraggio della testimonianza Cari fratelli e sorelle, che con coraggio rendete testimonianza a Gesù nella vostra terra benedetta dal Signore, la nostra consolazione e la nostra speranza è Cristo stesso. Vi incoraggio perciò a rimanere attaccati a Lui, come tralci alla vite, certi che né la tribolazione, né l’angoscia, né la persecuzione possono separarvi da Lui (cfr Rm 8,35). Possa la prova che state attraversando fortificare la fede e la fedeltà di tutti voi! Prego perché possiate vivere la comunione fraterna sull’esempio della prima comunità di Gerusalemme. L’unità voluta dal nostro Signore è più che mai necessaria in questi momenti difficili; è un dono di Dio che interpella la

nostra libertà e attende la nostra risposta. La Parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera, la fraternità alimentino e rinnovino continuamente le vostre comunità. La situazione in cui vivete è un forte appello alla santità della vita, come hanno attestato santi e martiri di ogni appartenenza ecclesiale. Ricordo con affetto e venerazione i Pastori e i fedeli ai quali negli ultimi tempi è stato chiesto il sacrificio della vita, spesso per il solo fatto di essere cristiani. Penso anche alle persone sequestrate, tra cui alcuni Vescovi ortodossi e sacerdoti dei diversi Riti. Possano presto tornare sane e salve nelle loro case e comunità! Chiedo a Dio che tanta sofferenza unita alla croce del

Signore dia frutti di bene per la Chiesa e per i popoli del Medio Oriente. In mezzo alle inimicizie e ai conflitti, la comunione vissuta tra di voi in fraternità e semplicità è segno del Regno di Dio. Sono contento dei buoni rapporti e della collaborazione tra i Patriarchi delle Chiese Orientali cattoliche e quelli ortodossi; come pure tra i fedeli delle diverse Chiese. Le sofferenze patite dai cristiani portano un contributo inestimabile alla causa dell’unità. E’ l’ecumenismo del sangue, che richiede fiducioso abbandono all’azione dello Spirito Santo. Che possiate sempre dare testimonianza di Gesù attraverso le difficoltà! La vostra stessa presenza è

preziosa per il Medio Oriente. Siete un piccolo gregge, ma con una grande responsabilità nella terra dove è nato e si è diffuso il cristianesimo. Siete come il lievito nella massa. Prima ancora di tante opere della Chiesa nell’ambito scolastico, sanitario o assistenziale, da tutti apprezzate, la ricchezza maggiore per la Regione sono i cristiani, siete voi. Grazie della vostra perseveranza! Il vostro sforzo di collaborare con persone di altre religioni, con gli ebrei e con i musulmani, è un altro segno del Regno di Dio. Il dialogo interreligioso è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada. 23 dicembre 2014

Sono più di ottocento le famiglie cristiane fuggite da Mosul e dalla Piana di Ninive che hanno trovato finora riparo in Iraq. La loro condizione è quella degli “ultimi arrivati” in un Paese già destabilizzato dall'arrivo di più di un milione di profughi siriani. La maggior parte di loro gravita nell'area di Beirut e ha trovato sostegno solo da parte della locale eparchia caldea. I profughi cristiani iracheni arrivati in Libano non hanno lo status dei richiedenti asilo, e vivono nella speranza di ottenere i permessi per emigrare nei Paesi occidentali. Non trovano lavoro, vengono sfruttati da chi approfitta della loro condizione di emergenza per rincarare gli affitti delle case, e sono privi di qualsiasi aiuto da parte delle istituzioni civili e delle Organizzazioni internazionali.

n EGITTO

Minacce sul Natale cristiano Anche quest'anno prima delle celebrazioni del Natale la rete internet è stata veicolo di attacchi e minacce nei confronti delle comunità cristiane locali. Siti islamisti hanno richiamato i musulmani a esimersi da ogni forma di partecipazione, anche indiretta, alle feste cristiane, attaccando gli islamici che presentano felicitazioni e auguri ai propri vicini cristiani in occasione del Natale. Sono state così diffuse anche minacce di morte e istigazioni a organizzare attentati contro le chiese in occasione delle affollate celebrazioni liturgiche natalizie, soprattutto da parte di gruppi islamisti legati ai salafiti e alla Fratellanza Musulmana. La gravità delle minacce ha spinto alcuni rappresentanti del mondo accademico islamico a scendere in campo per denunciare e condannare le intimidazioni e i diktat contro i cristiani. Alcuni intellettuali hanno ribadito che slogan e minacce anticristiane per il Natale rappresentano un tradimento dell'autentico islam, e hanno invitato “cristiani e musulmani” a proteggere insieme le chiese da qualsiasi possibile attacco, così da permettere ai cristiani egiziani di celebrare in serenità le solennità liturgiche.

n PAKISTAN Cristiani denunciati per blasfemia Undici cristiani di Islamabad sono stati denunciati per blasfemia da una donna per vendetta dopo una lite privata. La donna infatti era stata a sua volta denunciata e ha reagito tirando in causa una presunta blasfemia, del tutto inventata. La donna, in passato cristiana, si è convertita all’islam sposando un musulmano da cui ha avuto tre bambini. La donna ha riferito alla polizia che il Pastore e altri 50 cristiani avevano fatto irruzione in casa sua, minacciandola e infamando anche l’islam e il Corano. Quattro tra i denunciati sono stati anche fermati e sono finiti in carcere.


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Chiesa BREVI

n ORATORIO

In memoria. Il ricordo di Padre Giuseppe Pittau, gesuita missionario in Giappone

Una vita donata per l’annuncio del Vangelo Compagnia di Gesù. Per due anni Pittau visita nel mondo le diverse case dei gesuiti e collabora con Dezza nella fase di transizione della Compagnia dopo l'uscita di scena di padre Pedro Arrupe. Dopo l’elezione del nuovo preposito generale, padre Peter-Hans Kolvenbach, Pittau diventa suo consigliere generale e nello stesso tempo assistente per l’Italia e l’Asia orientale. Nel 1991 diventa rettore dell’Università Gregoriana e cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze sociali. Nel 1998 fu designato da Giovanni Paolo II Segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica, incarico che ha ricoperto fino al 25 novembre 2003. Il 26 settembre 1998 fu ordinato arcivescovo titolare di Castro di Sardegna, mentre il 25 novembre 2003, all'età di 75 anni, abbandona la carica di Segretario della Congregazione, scegliendo di ritirarsi e tornare in Giappone per svolgere attività pastorali e d'insegnamento. Padre Federico Lombardi, gesuita, Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, lo ha ricordato con queste riflessioni, affidate ad una nota della Radio Vaticana: «Egli chiese di andare in Giappone come missionario quando era ancora molto giovane; a 24 anni fu effettivamente inviato in Giappone. E lì, dimostrò una capacità di inserirsi, di imparare la lingua, di entrare nella cultura e nella società giapponese assolutamente eccezionale; direi che è stato un grande erede, nel

Un esemplare ministro di Dio, vissuto per la causa del Vangelo». Con queste parole Papa Francesco ha voluto ricordare la figura di Mons. Giuseppe Pittau, padre Gesuita, originario di Villacidro, scomparso lo scorso 26 dicembre in Giappone, dove ha trascorso gran parte della sua esistenza come missionario, all’età di 86 anni. Padre Giuseppe Pittau nel 1945 era entrato nella Compagnia di Gesù: aveva frequentato il seminario di Cuglieri, in Sardegna e aveva fatto il noviziato tra Ariccia e Cuneo. Aveva studiato filosofia all'università di Barcellona, dove si era laureato nel 1952. In quello stesso anno i superiori lo avevano inviato in Giappone, dove si sarebbe fermato per quasi trent'anni, fino al 1981. Dal 1952 a Yokosuka, Pittau aveva studiato per due anni la lingua, iniziando subito a insegnare lettere al liceo. Si era laureato in teologia a Tokyo nel 1959. Dopo una breve parentesi all’Università di Harvard negli Stati Uniti, per conseguire il dottorato di ricerca in scienze politiche, aveva fatto ritorno in Giappone, all’Università Sophia per insegnare scienze politiche nella facoltà di Diritto. Dal 1968 al 1981 è rettore della stessa Università ed anche provinciale dell’ordine dei Gesuiti. Nel 1984 l’imperatore Hirohito gli conferirà una delle onorificenze più prestigiose: l’Ordine del Sol Levante. Durante il suo viaggio in Giappone, nel 1981, Giovanni Paolo II chiede a padre Pittau di tornare in Italia e lo nomina coadiutore del padre Paolo Dezza, delegato pontificio per la

Weekend formativi per genitori Sono aperte le iscrizioni per il week-end di formazione rivolto ai genitori che collaborano in oratorio. In collaborazione con l’Ufficio di Pastorale Familiare della diocesi la Pastorale Giovanile di Cagliari vuole offrire un momento di incontro e formazione che possa aiutare, sostenere e qualificare la presenza degli adulti in oratorio. Il corso si terrà a Solanas dal 24 al 25 gennaio nella casa “La scogliera” delle suore Giuseppine. Potranno partecipare coppie di genitori. L’ufficio accoglierà anche l’iscrizione dei figli che verranno poi coinvolti nell’animazione e nelle tematiche del week-end. Per le iscrizioni e le notizie logistiche potete contattare direttamente l’Ufficio di Pastorale Giovanile: don Alberto Pistolesi; indirizzo e-mail: apisto@tiscali.it oppure ancora: giovani@diocesidicagliari.it.

n 25 GENNAIO nostro tempo, della tradizione dei gesuiti che si inculturavano nelle culture orientali e ottenevano la capacità di un rapporto estremamente positivo con la società circostante […] Giovanni Paolo II, dopo la malattia di padre Arrupe, nominò padre Dezza come suo delegato per il governo della Compagnia di Gesù, volle che padre Pittau fosse il suo braccio destro e quindi lo chiamò dal Giappone per questo incarico. Quindi nella storia recente della Compagnia di Gesù, padre Pittau oltre ad essere stato un grande missionario è stato anche, insieme a padre Dezza, una persona di cui noi abbiamo grande gratitudine, perché aiutò in questo passaggio dopo la malattia di padre Arrupe all’elezione del nuovo padre generale, padre Kolvenbach, quindi

Cammino formativo “Prendi e leggi”

rientrando nella piena normalità della conduzione della Compagnia di Gesù […] Abbiamo un grande dovere di gratitudine verso di lui per quello che ha fatto, non solo qui a Roma negli anni in cui è stato qui, ma in particolare nella missione in Giappone. Padre Pittau era una persona di una spontaneità e di una facilità di rapporti con gli altri, affascinante, sempre sorridente, sempre cordiale. Questa fu anche una delle chiavi del suo "successo" nel rapporto con il mondo giapponese ma anche con tutte le persone che ha incontrato. Ne abbiamo tutti un ricordo estremamente piacevole e affettuoso da un punto di vista spirituale e umano». I.P.

Riprenderà il 25 gennaio il cammino formativo “Prendi e leggi. La Parola di Dio per la nostra vita” per animatori biblici e catechisti promosso dal “Settore apostolato biblico” dell’Ufficio catechistico diocesano. Relatore dell’appuntamento sarà monsignor Arrigo Miglio, sul tema: “Vi do una grande gioia. Il lieto annuncio del Regno nell’incontro con Gesù di Nazareth”. Appuntamento è fissato nei locali del Seminario Arcivescovile dalle 16.30 alle 18.30.

n UN AMORE COSÌ GRANDE

Il Natale e la solitudine l Natale è per tutti, per chi ha il cuore e la casa colmi di affetti e per chi – pur cercando di avere uno sguardo di fede – guarda con sofferenza ai giorni di festa perché teme di sentir acuirsi ancor più il peso della propria solitudine. Per questo vorrei dedicare l’appuntamento natalizio della nostra rubrica alle persone sole: sole perché non hanno ancora trovato l’amore, perché l’hanno perso o ancora perché quell’amore vive un tempo di prova e fatica nel quale la solitudine punge anche se si è in coppia (o in famiglia). Molte canzoni parlano della solitudine, ma me ne viene in mente in particolare una, dei Green Day, un gruppo rock Americano di ormai ventennale esperienza, che si intitola: “Boulevard of broken dreams” e dice “I walk a lonely road, The only one that I have ever known, Don't know where it goes, But it's home to me and I walk alone, I walk this empty street, On the blvd. of broken dreams, Where the city sleeps, And I'm the only one and I walk alone. My shadow's the only one that walks beside me, My shallow heart's the only thing that's beating, Sometimes I wish

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someone out there will find me, 'Til then I walk alone”. La traduzione è pressappoco: “Cammino lungo una strada solitaria, l’unica che abbia mai conosciuto, non so dove conduca, ma è la mia casa e cammino da solo. Cammino in questa strada vuota, nel viale dei sogni infranti, dove la città dorme e io sono l’unico e cammino da solo. Solo la mia ombra cammina accanto a me, il mio squallido cuore è l’unica cosa che batte. A volte vorrei che qualcuno mi trovasse, ma fino ad allora cammino da solo”. Quanto è evocativa questa immagine della strada solitaria, buia, nella quale a farci compagnia c’è solo la nostra ombra e non c’è una casa a cui tornare, perché proprio quella strada solitaria è la nostra unica casa… ci sono tempi nella vita in cui ci sentiamo davvero così, in cui ci sembra di girare a vuoto senza poter dare e ricevere quello che è l’ossigeno di ogni vita umana: l’amore, in tutte le sue forme! Quando non si riesce a trovare un compagno, oppure lo si è perduto, ci si sente imprigionati in un paradosso assurdo: tutto l’amore che avrei, tutto quello che sono nel profondo del mio essere, tutto anela ad essere donato eppure non c’è nessuno a ricevere un tale dono… e allora quella forza vitale chiamata amore sembra

perdersi nell’etere, annientarsi, svanire, mentre su quella strada vuota il battito del mio cuore resta l’unico rumore. Ecco, io penso - e lo penso davveroche il Natale sia per noi credenti la prova del nove e lo sia proprio quando viviamo situazioni di questo genere: perché il Natale è un Dio che viene a squarciare il nero della nostra notte, mette la Sua tenda in mezzo a quella strada buia e solitaria e ci dice, con Sant’Agostino, che è il Suo cuore la nostra cosa, non la notte! E se anche non toglie nulla alla fatica che umanamente facciamo quando attraversiamo deserti così dolorosi, viene a dirci che “Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente” (cfr. salmo 83): che il nostro boulevard of broken dreams in Lui diventa una sorgente perché “qualcuno ci ha trovato”, parafrasando sempre la canzone dei Green Day. E allora il Natale ci costringe ad aprire il cuore e a lasciare che il “Figlio” che ci è stato dato (cfr. Isaia 9) ci dica ancora una volta che quell’amore che abbiamo da donare non va perduto, ma Lui lo raccoglie goccia a goccia come le nostre lacrime (cfr. Salmo 55) e che del Suo amore possiamo vivere. Possiamo vivere del Suo amore, ma non

dobbiamo temere di domandare anche un altro tipo di amore, se lo desideriamo profondamente… a volte sembra quasi “impudico” domandare a Dio il dono dell’incontro e dell’innamoramento, eppure è un aspetto vitale per noi, determinante per la nostra felicità, quindi perché non dovremmo parlarne con il nostro Padre che è nei cieli? E allora in questo Natale concediamoci la fiducia allegra dei bambini e osiamo domandare a Dio

ciò che desideriamo, quel Dio che è venuto a stanarci, che ha portato la luce nella nostra strada buia, accolga questa preghiera che sgorga dai nostri sentimenti più profondi e parla dei nostri desideri più belli: donaci l’amore Signore, donaci qualcuno da amare se non l’abbiamo, donaci di saper amare di più e meglio se quella persona c’è, donaci il coraggio di andare avanti se il nostro amore è perduto. Paola Lazzarini Orrù


Famiglia

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Promuovere con coraggio la vera cultura della vita L’intervista a Carlo Casini, già deputato nazionale ed europeo, presidente del Movimento per la Vita, presente a Cagliari per un incontro di formazione dei volontari i presenta con la simpatia tipica dei toscani, Carlo Casini, in una soleggiata mattina cagliaritana. Classe 1935, natali a Firenze, è stato magistrato e giornalista pubblicista; scuola Dc, poi Ccd e Udc. Parlamentare ed europarlamentare. La proposta di legge che a Roma che lo vide relatore, fa da spunto per la prima domanda; On. Casini, è fiero di essere stato uno dei principali artefici dell’abolizione dell’autorizzazione a procedere? “Io sono stato relatore nella proposta di modifica della vecchia norma; in base al principio di eguaglianza: tutti siamo uguali di fronte alla legge, non ci devono essere privilegi per i parlamentari, coloro che guidano la cosa pubblica. Si sta verificando un fenomeno, per cui se uno è un politico, viene immediatamente considerato corrotto, e questo è un errore grave, perché come ha detto Napolitano, distacca i cittadini dalla democrazia, e soprattutto non è una verità. I processi li deve fare il magistrato, io ho fatto il magistrato e so che per giudicare ci vuole tempo. Qui i processi si fanno ormai in televisione, quindi sono ancora d’accordo sull’eliminazione dell’autorizzazione a procedere, però devo dire che almeno per quanto riguarda i media, ci vorrebbe qualche norma che rendesse il processo un fatto di giudici, non di mezzi di comunicazione sociale. Uno preferisce stare in silenzio in galera per un anno, senza che nessuno lo sappia, piuttosto che andare su tutti i giornali e in televisione indicato come colpevole. Tra le pene accessorie per i condannati, c’è la pubblicazione della condanna su uno o più giornali. La condanna deve essere definitiva, quindi nel sistema del codice la notorietà è considerata una pena che si applica soltanto dopo che tutto il processo è fatto, non il contrario”. Che importanza viene data dal parlamento ai cosiddetti “valori non negoziabili”? Anche nel legislatore c’è ignoranza sul reale valore della Vita? Se si guarda le maggioranze, poca importanza; peggio nel parlamento europeo che in quello italiano. Il dramma è che anche coloro che attribuiscono importanza ai suddetti valori, parlando della vita e della famiglia, sono intimiditi; ci sono, ma non parlano. La cosa più tragica, per esempio, è che oggi l’aborto è stato introdotto in Italia sotto il concetto di stato di necessità, come situazione estrema, viene presentato come diritto umano fondamentale; cioè c’è un rovesciamento: non è più diritto alla vita, ma diritto a uccidere. Questo però non ci deve scoraggiare, non rassegnarsi di fronte a questo fatto è indispensabile. Sono d’accordo sul fatto che i vari movimenti per la vita dovrebbero federarsi, come dice Adinolfi. L’unità delle forze per la vita è sempre stato un mio obiettivo, più all’estero che in Italia. I movimenti per la vita sono stati poco credibili perché divisi: così è stato in Spagna, Francia, Polonia, è così tutt’ora in Inghilterra, e questo significa debolezza, non si conta niente. Io anche all’estero ho cercato di realizzare quest’unità, e oggi in questi paesi c’è una federazione.

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Qui in Italia fin dall’inizio abbiamo cercato l’unità; inizialmente eravamo solo noi, e abbiamo cercato di inserire nel MPV anche tutte le forze di area cattolica che fossero sensibili a questo tema; lavoriamo ancora per l’unità. C’è qualche polemica, sulla strategia e sul linguaggio da usare. Io per esempio credo che si convince di più, indicando il positivo e la bellezza della vita, che non l’orrore della morte. La apartiticità? È giusto, è scritto nel nostro statuto che siamo apartitici, ciò non vuol dire che si debbano disprezzare i partiti, perché la politica senza partiti non si fa. Perché non si entra nelle aule dove si decidono le leggi e le politiche, e quindi ci vuole anche un rapporto con i partiti, possibilmente un rapporto interpartitico, cioè non verso un solo partito. Questo è più difficile di quando c’era la Democrazia Cristiana, perché, anche per lo statuto, era più facile dire “io rispetto i valori non negoziabili”. Che ci sia uno o più partiti che nel programma di partito indicano la difesa della vita è auspicabile: ora non c’è nessuno che lo fa”. Bisogna far diventare la lotta per la vita, da una battaglia di nicchia, ad una di molti; come riuscirci? “Dal punto di vista politico è vero che siamo una realtà di nicchia; dal punto di vista della sostanza non lo siamo, perché abbiamo salvato dalla morte 160.000 bambini. Quindi sarà una nicchia, ma una nicchia molto affollata. Non siamo però una nicchia se anziché la fotografia dell’oggi, pensiamo alla storia: la storia ha avuto dei cambiamenti lunghi: l’uguaglianza tra bianchi e neri, l’uguaglianza delle donne rispetto agli uomini, che un tempo erano più soggette”. A che punto è l’iscrizione del diritto alla vita fin dal concepimento tra i diritti dell’uomo? “In Italia con una proposta di legge di iniziativa popolare, che raccolse 200.000 firme nel ’95, proponemmo che il primo articolo del codice civile, venisse modificato per riconoscere la personalità giuridica ad ogni essere umano fin dal concepimento; è stata più volte presentata anche in sede parlamentare, ma giace lì. Sulla base di questo siamo riusciti, nella legge 40, quella sulla fecondazione artificiale, effetto di questa proposta di legge, ad inserire che “la presente legge garantisce i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”. Il concepito che ha diritti, come gli adulti, è un’affermazione di principio, che in pratica resta lì, però è anche la consacrazione che ha la personalità giuridica: se ha diritti, è una personalità giuridica. A livello europeo abbiamo lanciato quest’iniziativa “Uno di noi”, due milioni di cittadini l’hanno chiesta, con forme piuttosto complesse, che tuttavia noi siamo riusciti a realizzare; però la commissione non ha dato seguito a questa iniziativa, che naturalmente avrebbe introdotto nel parlamento europeo un dibattito serio sullo statuto del concepito. Non ci siamo arresi, abbiamo fondato una federazione europea che si chiama “Uno di noi”, tra le varie iniziative è prevista un’altra petizione, questa volta una petizione con forme libere di medici, giuristi e politici che dicano, noi in quanto testimoni della verità, della giustizia e del

bene comune, chiediamo che questa iniziativa di due milioni di cittadini europei sia presa in considerazione; sulla questione della vita nascente alla fine uno solo è il punto: si sta parlando di un essere umano o no? Se si sta parlando di un essere umano, lo possiamo chiamare bambino? Come ha detto anche il Papa, è il più piccolo fra tutti”. In questi anni è cambiata la posizione degli storici sostenitori di eutanasia e aborto? O pensare di far prevalere la vita sulla morte rimane un’utopia? “Bisogna distinguere tra l’inizio e la fine della vita; e anche gli stati intermedi, perché la vita è tutta. Riguardo alla vita nascente, per un verso, si rivendica il diritto all’aborto come diritto fondamentale, e si cercano sempre nuove possibilità di distruggere questo bambino in forme il più possibile silenti, con le “pillole del giorno dopo”, “pillole di cinque giorni dopo”. Per altro verso si sta affermando il cosiddetto principio di preferenza per la nascita: non discutiamo se è un bambino o non è un bambino, è meglio che nasca. C’è anche il problema dell’inverno demografico, con serie conseguenze anche di carattere economico. Credo che anche la predicazione della Chiesa e un po’ anche l’azione dei movimenti per la vita abbiano inciso, la preferenza per la nascita c’è, oggi diciamo non vengono più contestati certi valori; se tu salvi delle vite umane insieme alla mamma, aiutandola, nessuno ti dice che sei cattivo e non lo devi fare. Sul piano del fine vita invece, è in corso questa battaglia per l’eutanasia che sta assumendo toni molto virulenti, ed è una battaglia un po’ più difficile, perché è facile rispondere che non esiste un diritto alla morte, come quando uno si butta dalla finestra e viene soccorso. Evidentemente non è un diritto quello di morire; neanche per una causa nobile. Questo problema si collega col diritto alle cure: fino a che punto le cure devono continuare? Siamo contro

l’eutanasia, ma siamo anche contro l’accanimento terapeutico. Il problema è molto più serio di quello per l’aborto. Non si può invocare un diritto alla morte neppure per eliminare il dolore che oggi invece si elimina attraverso le cure palliative”. Che significato ha l’iniziativa di Cagliari? “Cagliari è un incontro regionale di vari Centri di aiuto alla vita, quindi è il rilancio in tutta la Sardegna del servizio alla vita, che ha radici antiche e fruttuose, ma che dev’essere esteso ancor di più. Devo trattare di quarant’anni di servizio alla vita, e del perché continuiamo; perché ci sono di mezzo bambini, vite umane”. I medici sono ancora difensori della vita o vedono la morte come soluzione più indolore e, purtroppo, anche più economica? “Penso che ancora in grande maggioranza, i medici siano contrari all’eutanasia. Magari teoricamente sono d’accordo, ma nessuno concretamente darebbe un veleno per uccidere un paziente. Ci sono delle ideologie dietro, appartenenze partitiche o culturali. C’è il momento in cui tutti dobbiamo alzare bandiera bianca: ma un discorso è arrendersi perché non c’è più possibilità di lottare, un altro è alzare le mani e concedersi al

nemico”. Per difendere la vita forse non sarebbe meglio essere riuniti tutti sotto un unico simbolo? “Nella grande enciclica di Giovanni Paolo II sulla vita, l’Evangelium Vitae che è stata pubblicata nel marzo ’95, la frase finale dice: “urge una mobilitazione generale in vista di una nuova cultura della vita”. Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita. Io non vedo questa mobilitazione, c’è bisogno di una mobilitazione generale, a cominciare dalla Chiesa. Due domande: viene celebrata la giornata per la vita in tutte le parrocchie d’Italia? In tutte le scuole cattoliche d’Italia? Questa giornata è la prima domenica di febbraio, ma viene ricordata solo in una ristretta minoranza di Messe, a volte neanche nella preghiera dei Fedeli. Però preghiamo di più per questa vita, come si pregava per la pace con la preghiera dettata da Pio XII. Papa Woytjla ha concluso l’enciclica con una preghiera a Maria, “Aurora del Mondo nuovo, madre dei viventi, affidiamo a te la causa della vita”. Se questa preghiera venisse letta alla fine delle Messe la domenica, in tutte le chiese d’Italia, tra cinque anni avremmo già vinto. Inoltre molti aborti vengono determinati da necessità economiche, allora abbiamo creato questo strumento piccolo ma affettuoso che è il “progetto Gemma”: una famiglia o una scuola si impegna a dare 160 euro al mese per 18 mesi ad una mamma che è in difficoltà. La si aiuta anche nella ricerca di un medico, di una casa. In questo modo abbiamo salvato 15.000 bambini, e raggiungiamo le 7-8mila adozioni, infatti il motto è “Adotta una mamma, salva il suo bambino”. Ci vuole innanzitutto la forza della Chiesa, e io indico come strumenti: la celebrazione della giornata per la vita ovunque, e il progetto Gemma”. Come far riscoprire ai giovani la bellezza della politica, e in particolare la politica per la vita? La maggior parte sono attratti dalla parte opposta e da altri “ideali”. “Il problema è la coerenza, personale e culturale. La politica la si può concepire come potere, e quindi voglia di diventare qualcuno. La politica invece è servizio, per il bene comune, di tutti, soprattutto quelli che hanno bisogno. Questo concetto è ancora capace di entusiasmare verso la politica, l’importante è che i giovani non si lascino inquinare dal desiderio di potere. Coloro che sono a rischio di vita sono quelli che hanno più bisogno”. Marco Scano


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Cagliari

Un’app per riscoprire il valore del “vicinato” Presentata l’applicazione che permette, attraverso internet, di chiedere aiuto al vicinato per le piccole faccende quotidiane na mano tira l’altra. Questa la filosofia di sei giovani che hanno sviluppato l’app Mano. È un modo per connettersi tra vicini di casa, per aiutarsi e conoscersi, soprattutto nelle grandi città dove il senso del “vicinato” è andato perso. Il progetto pilota ha visto coinvolto il quartiere di Santa Teresa a Pirri, che ha sperimentato l’app e presentato il frutto del periodo di prova lo scorso 13 dicembre durante l’evento “Santa Teresa Laboratorio Aperto” . Che cosa è Mano? Riccardo Atzeni: Mano è un’app che permette di chiedere aiuto a livello di quartiere per svolgere le piccole faccende quotidiane. Tramite Mano si invia una richiesta d’aiuto per i vari aspetti che riguardano ad esempio l’organizzazione di una festa e le persone vicine – perché il messaggio è geolocalizzato- vedono la richiesta d’aiuto e decidono di partecipare e di fare qualcosa tutti insieme. Dietro questa funzionalità pratica c’è un intento etico e sociale che è quello di creare una rete di vicinato in quei quartieri residenziali

moderni in cui c’è sempre più isolamento. Il nostro prodotto vuole intervenire in questo senso, inserendosi in un discorso di social innovation, cioè quel percorso di risoluzione di questioni sociali e moderne tramite strumenti non convenzionali e tecnologici. Perché siete nel quartiere di Santa Teresa? Nicolò Fenu: C’è un progetto che si chiama “Mano a Santa Teresa”. La app è stata presentata all’Open Campus, durante lo Startup Weekend. L’allora Cagliari candidata a Capitale Europea della Cultura 2019 se ne è innamorata e ha voluto testarla all’interno del quartiere di Santa Teresa. Come siamo arrivati ci siamo resi conto, dopo due o tre incontri con le persone, che questo spirito esisteva già. È un quartiere fortemente identitario, c’è uno spirito d’aiuto, un po’ “su bixinau”. Parlando tra di noi e con gli abitanti abbiamo desiderato raccontare quest’esperienza. Così abbiamo coinvolto un regista -Massimo Gasole-, e due fotografi, Stefano Ferrando e Valeria Malavasi. È nato un documentario che si chiama “Una mano tira l’altra” e una mostra fotografica allestita nella ex scuola di via Santa Maria Goretti. Il risultato è che il quartiere che si scopre e racconta se stesso, allo stesso tempo gli abitanti si raccontano e organizzano una festa di quartiere, nello spirito di Mano.

Come è nato il progetto? R.A. Mano è nata da due gruppi separati che stavano lavorando su idee simili perché io, Ernesto Puddu e Sergio Picciau – i due sviluppatoriabbiamo iniziato a gettare le basi per il progetto Mano. Dall’altra parte della città c’erano degli appartenenti al collettivo SardArch che sono Nicolò Fenu, Matteo Lecis Cocco Ortu e Francesco Cocco che stavano creando un progetto analogo–“Bixinau”- e stavano facendo degli interventi nel quartiere di Stampace. Ci siamo incontrati e abbiamo pensato che più che diventare concorrenti di un’area molto piccola sarebbe stato meglio unire le forze, rispettando lo spirito di entrambi i progetti. Mano è il risultato di questi due gruppi che si sono uniti. Quanto Mano può trovare spazio in città diverse da Cagliari? R.A.: È un prodotto che nasce proprio per i quartieri e le città moderne. Negli ultimi anni sono usciti sul web molti progetti di social networking dal vivo. Il percorso non è facile. Ci vuole molta comunicazione, bisogna essere presenti e dinamici con il prodotto perché deve essere leggero e funzionale, però quello che abbiamo notato è che in giro per il web c’è una grande richiesta su questo fronte. Questo tipo di richieste hanno a che fare con l’attuale crisi

economica? N.F.: Non vogliamo trasformarci in uno di quei prodotti – e ce ne sono tantissimi- che tolgono lavoro ai veri professionisti. Infatti non c’è un sistema di pagamento, è tutto fondato sulla gratuità. Cerchiamo solo persone che si vogliono

conoscere e aiutare. R.A.: E magari lavorare a progetti comuni per il proprio quartiere. È uno strumento che facilita il primo contatto. Poi bisogna fare la cosa più antica del mondo: incontrarsi.

n CURIA

n PELLEGRINAGGIO

n IL 18 GENNAIO

n SAN CARLO

n AL TEATRO MASSIMO

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Notiziario Diocesano Nelle scorse settimane è stato stampato un nuovo numero del “Notiziario Diocesano”, la rivista quadrimestrale che raccoglie, tra le altre cose, i testi dei discorsi più significativi proposti da monsignor Arrigo Miglio, nei diversi incontri e appuntamenti in Diocesi. La pubblicazione è curata da monsignor Ottavio Utzeri, Cancelliere della Curia.

Nuovo numero de Il Segno Come tradizione nei giorni che precedono il Natale viene dato alle stampe Il Segno, il notiziario di collegamento per gli amici del pellegrinaggio Sinnai Bonaria. La pubblicazione semestrale ha lo scopo di aggiornare i lettori sulle ultime novità circa il pellegrinaggio che si svolge ogni anno la notte tra il 24 ed il 25 aprile.

“Cagliari Avvenire Mese” Come ogni terza del mese, domenica 18 gennaio è prevista la pubblicazione di quattro pagine sul quotidiano Avvenire. Congiuntamente a “Il Portico”, l’inserto contribuisce a riflettere sui temi che stanno maggiormente a cuore ai lettori. Le modalità di ricezione sono disponibili sul sito www.chiesadicagliari. L’iniziativa consente di diffondere a livello regionale le notizie della Diocesi.

Il Cagliari si affida a Zola per rimanere in serie A Dopo le roboanti dichiarazioni estive la “rivoluzione” targata Zeman si è scontrata con una realtà fatta di sconfitte e goal subiti. Tocca all’ex numero 10 risollevare i rossoblù histionai pagu, traballai meda”. Era uno degli slogan scelto dalla nuova proprietà del Cagliari Calcio in sede di campagna abbonamenti, rappresentato graficamente accanto al volto di Zdenek Zeman, tecnico scelto da Tommaso Giulini come nuovo vate del calcio rossoblù. Fino alla scorsa settimana, quando l’ennesimo ko subito da Conti e compagni ha spinto la dirigenza a mettere la parola fine al famigerato “progetto”, tanto sbandierato in estate e abbandonato alla prima vera paura di retrocessione in Serie B. Il tecnico boemo è stato liquidato dopo giorni di indecisione che hanno messo a dura prova la pazienza dei tifosi rossoblù, lasciati con un senso di incompletezza e incertezza fino alla nomina del nuovo tecnico. La patata bollente passa ora nelle mani di Sir Gianfranco Zola, icona della Sardegna sportiva e non solo. L’ex fantasista di Chelsea, Napoli e Parma, che ha chiuso la carriera da calciatore proprio a Cagliari, torna nella città che l’ha visto protagonista per due indimenticabili stagioni

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Scuola di preghiera Lunedì 12 gennaio a partire dalle 20.30 nei locali della parrocchia San Carlo Borromeo riprende, dopo la pausa natalizia, la “Scuola di preghiera per giovani”, guidata dal parroco don Luca Venturelli. L’iniziativa è destinata a coloro che desiderano vivere un momento di condivisione. Per informazioni www.parrocchiasancarlo.it.

calcistiche (una promozione in Serie A dopo anni di cadetteria e un’ottima annata nella massima serie), stavolta nei panni dell’allenatore, dopo l’altalenante esperienza inglese tra West Ham e Watford. A “Magic Box” e al suo vice Pierluigi Casiraghi, all’esordio su una panchina italiana, il compito di riportare in carreggiata il Cagliari dopo sedici partite di cura Zeman che, nonostante il ritrovato entusiasmo del pubblico – che ha in larga parte criticato duramente la sua cacciata – , non ha prodotto risultati accettabili. Il boemo lascia Cagliari con un ruolino negativo: due sole vittorie su sedici gare, con ben otto sconfitte e sei pareggi, per un totale di 12 punti. Di cui soltanto 3 al Sant’Elia, frutto di altrettanti pareggi. È proprio il rendimento casalingo a punire Zeman, raramente capace di ottenere dai suoi giocatori un briciolo di calcio offensivo. Resteranno nella memoria dei tifosi rossoblù le imprese con Inter ed Empoli, con quattro reti rifilate (in trasferta) a entrambe le squadre, con prestazioni praticamente impeccabili. Peccato, però, che in casa non siano giunte risposte altrettanto positive. Al di là del folle match di Coppa Italia contro il Modena – vinto ai rigori, dopo l’incredibile 4-4 dei supplementari – i rossoblù sono stati vittime della tensione, con numeri impietosi (cinque sconfitte, con un desolante meno 10 di differenza reti). L’appoggio incondizionato di Giulini nei confronti di Zeman si è sgretolato gradualmente. Definito dapprima maestro di calcio, il patron a lungo ha tessuto le lodi del boemo, visto dagli

Susanna Mocci

Enrico IV di Pirandello

Dal 14 al 18 gennaio per la rassegna teatrale “Giù la Maschera - Stagione Cedac 2014/2015” il Teatro de “Gli Incamminati” e “CTB Teatro Stabile” di Brescia presentano al Teatro Massimo di Cagliari “Enrico IV” di Luigi Pirandello. In scena Franco Branciaroli, che cura anche la regia, Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti, Tommaso Cardarelli, Valentina Violo, Daniele Griggio.

stessi tifosi come “uno di loro”. Poi il crollo di consensi, dovuto allo scarso rendimento e ad alcune scelte tattiche controverse, come i sei difensori schierati (inutilmente) contro la Juventus. Il preferito del patron era probabilmente Walter Zenga, ex numero 1 di Inter e Nazionale: l’Uomo Ragno (così era soprannominato da calciatore) ha però declinato l’offerta, preferendo di fatto la sua condizione di disoccupato di extralusso in quel di Dubai. «Con dispiacere – ha scritto Zenga su Twitter – sono costretto a declinare. In questo momento, per motivi professionali e personali intendo rimanere a Dubai per dare il mio contributo al movimento calcistico in questa parte del mondo», ha scritto l’ex portiere. Così, per la gioia della stragrande maggioranza dei tifosi rossoblù, la scelta è caduta su Sir Gianfranco Zola da Oliena, per nulla spaventato nell’accettare una sfida tutt’altro che semplice. Una rosa numericamente ampia ma, al momento, inadeguata per sostenere la Serie A come dimostrato dalla gestione Zeman. Giulini e il ds Marroccu dovranno necessariamente fornire a Magic Box alcuni rinforzi di peso, almeno uno per reparto. Un portiere d’esperienza, un centrale difensivo affidabile da affiancare a Rossettini, una mezzala in grado di fare 3-4 reti da qui a maggio e, imprescindibile, un killer d’area di rigore che garantisca i gol-salvezza. Perché oggi, visti i tanti punti lasciati per strada finora, è questo l’unico obiettivo. Francesco Aresu


Parola di Dio

8 II Domenica dopo Natale (Anno B)

Il Verbo si fece carne

di Michele Antonio Corona

urante l’ottava del Natale la liturgia ci offre per la terza volta, in pochi giorni, il brano splendente che apre il vangelo di Giovanni. Lo abbiamo ascoltato nella messa del giorno di Natale e la mattina del 31 dicembre. I primi 18 versetti, dunque, accompagnano il mistero della natività e dell’incarnazione del Signore Gesù. Accostare un testo come il ‘prologo di Giovanni’ senza animo aperto e spalancato è come partecipare ad un’armonia orchestrale e rimanere freddi. La riflessione su questo brano, o ad alcune sue parti, non può essere totalmente scientifica o accademica, ma deve coinvolgere il cuore, i sentimenti, l’emozione, la volontà, il desiderio. Giovanni celebra il Verbo incarnato toccando le corde del cuore umano e coinvolgendo l’umano nella dinamica divina dell’attendamento. In 1,14 Giovanni toglie dal suo cilindro la ricchissima espressione: ‘Il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi’. Fin dal principio della creazione è la ‘parola del Signore’ la protagonista della storia salvifica. La ‘Parola’ irrompe. Le ‘dieci parole’ nella creazione immettono nel mondo le realtà benedette; sul Sinai sono le ‘dieci parole’ (i dieci comandamenti) ad essere fissate come itinerario di santità; nell’attività profetica la menzione della ‘parola del Signore’ è continua; nella vicenda della prima comunità cristiana è la definitiva parola di Dio a prendere la scena. Gesù non è più una parola riferita, un oracolo, una profezia. Egli è la Parola che diventa debole carne; è la Parola fatta fragile debolezza; è la Parola che assume la debole fragilità della carne umana. Per noi, ‘abituati al vangelo’, questa notizia sembra scontata, naturale, eppure essa è l’annuncio sconvolgente a cui nessun profeta aveva pensato, nessun patriarca avrebbe potuto sperare. L’Antico Testamento aveva osato sognare un intervento decisivo di Dio nella storia, ma solo nel progetto di Dio si poteva ipotizzare che suo Figlio, la sua Parola, il suo Verbo sarebbe addirittura divenuto uomo e avrebbe preso carne umana. Nelle culture antiche (e non solo!) l’umano è sempre stato visto come il decadimento del divino, il suo opposto, il servitore, lo zenit opposto al nadir. Tra uomo e Dio era assodata l’incolmabile distanza e l’inconciliabile distacco. Giovanni proclama: ‘Il Verbo si fece carne’, Il Logos divenne carne’. È chiara la concezione che il Verbo non si ‘travestì da uomo’, né ‘si mascherò da debolezza’, ma assunse totalmente quella fragilità per poterla risollevare, compiere, divinizzare. Nella seconda parte della frase, Giovanni utilizza un’immagine tipica della tradizione ebraica, richiamata diffusamente anche dalla prima lettura: la tenda. Con essa ci si spostava per il pascolo; tra le tende si rafforzavano i legami tribali; attraverso la tenda ci si riparava dalle difficoltà dell’esodo; nella tenda (shekinah) Dio scelse di abitare nei quarant’anni del deserto; dietro un velo (tenda) si nascondeva all’interno del tempio il Santo dei Santi. La tenda ha in sé la caratteristica di essere luogo abitabile, sebbene mostri pienamente la sua fragilità di protezione e stabilità. È facile penetrare in una tenda, rovinarla, distruggerla. Giovanni utilizzando l’immagine della tenda (‘e pose la

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sua tenda in [mezzo a] noi’) annoda la grandezza dell’incarnazione del Verbo con la duratura fragilità della stessa carne. Dio sceglie di essere bambino per potersi contemporaneamente svelare e nascondere; si mostra indifeso e non autonomo per trasmettere il necessario abbandono al Padre; abbraccia la condizione dell’errante per porre i propri passi sul sentiero sicuro di Dio. Fino a quando l’incarnazione del Cristo sarà considerata fatto naturale, scontato e derubricabile in un’iniziativa religiosa non potremmo mai amarci come uomini, come figli. Paolo (seconda lettura) prospetta la grande vocazione ad essere ‘santi e immacolati nell’amore, essendo predestinati ad essere per lui come figli adottivi per mezzo di Gesù Cristo’. L’incarnazione del Verbo non è un’azione straordinaria di Dio a proprio vantaggio, ma è l’esplosione dell’amore che Dio ha per l’uomo. Questo amore è serio, totale, pieno, vivido, paterno, esagerato,concreto, incarnato. Signore Gesù rendici aperti ad un mistero di amore che ci coinvolge, poiché in noi hai voluto piantare la tua tenda per poter albergare nel nostro cuore. Infondici la passione per l’uomo debole, sofferente, caduco, peccatore e per noi stessi, che continuamente sperimentiamo il bisogno di te, Parola da ascoltare, tenda in cui dimorare, volto da contemplare.

domenica 4 gennaio 2015

Dal

Vangelo secondo

Giovanni

Gv 1,1-18-28

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.


domenica 4 gennaio 2015

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Vita cristiana

L’amore vero è principio e forza della comunione San Giovanni Paolo II riflette sul disegno di Dio per la famiglia, tale realtà ha tra i suoi compiti principali la formazione di una comunità di persone el disegno di Dio Creatore e Redentore la famiglia scopre non solo la sua «identità», ciò che essa «è», ma anche la sua «missione)», ciò che essa può e deve «fare». I compiti, che la famiglia è chiamata da Dio a svolgere nella storia, scaturiscono dal suo stesso essere e ne rappresentano lo sviluppo dinamico ed esistenziale. Ogni famiglia scopre e trova in se stessa l'appello insopprimibile, che definisce ad un tempo la sua dignità e la sua responsabilità: famiglia, «diventa» ciò che «sei»! In tal senso, partendo dall'amore e in costante riferimento ad esso, il recente Sinodo [il riferimento è a quello del 1980 n.d.r.] ha messo in luce quattro compiti generali della famiglia: 1) la formazione di una comunità di persone; 2) il servizio alla vita; 3) la partecipazione allo sviluppo della società; 4) la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.

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I. La formazione di una comunità di persone L'amore, principio e forza della comunione 18. La famiglia fondata e vivificata dall'amore, è una comunità di persone: dell'uomo e della donna sposi, dei genitori e dei figli, dei parenti. Suo primo compito è di vivere fedelmente la realtà della comunione nell'impegno costante di sviluppare un'autentica comunità di persone. Il principio interiore, la forza permanente e la meta ultima di tale compito è l'amore: come, senza l'amore, la famiglia non è una comunità di persone, così senza l'amore, la famiglia non può vivere, crescere e perfezionarsi come comunità di persone. Quanto ho scritto nell'enciclica «Redemptor Hominis» trova la sua originaria e privilegiata applicazione proprio nella famiglia come tale: «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato

RISCRITTURE

Accogliere il Verbo incarnato l Verbo di Dio fu generato secondo la carne una volta per tutte. Ora, per la sua benignità verso l'uomo, desidera ardentemente di nascere secondo lo spirito in coloro che lo vogliono e diviene bambino che cresce con il crescere delle loro virtù. Si manifesta in quella misura di cui sa che è capace chi lo riceve. Non restringe la visuale immensa della sua grandezza per invidia e gelosia, ma saggia, quasi misurandola, la capacità di coloro che desiderano vederlo. Così il Verbo di Dio, pur manifestandosi nella misura di coloro che ne sono partecipi, rimane tuttavia sempre imperscrutabile a tutti, data l'elevatezza del mistero. Per questa ragione l'Apostolo di Dio, considerando con sapienza la portata del mistero, dice: «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!» (Eb 13, 8), intendendo dire in tal modo che il mistero è sempre nuovo e non invecchia mai per la comprensione di nessuna mente umana. Cristo Dio nasce e si fa uomo, prendendo un corpo dotato di un'anima intelligente, lui, che aveva concesso alle cose di uscire dal nulla. Dall'oriente una stella che brilla in pieno giorno guida i magi verso il luogo dove il Verbo ha preso carne, per dimostrare misticamente che il Verbo contenuto nella legge e nei profeti supera ogni conoscenza dei sensi e conduce le genti alla suprema luce della conoscenza. Infatti la parola della legge e dei profeti, a guisa di stella, rettamente intesa, conduce a riconoscere il Verbo incarnato coloro che in virtù della grazia sono stati chiamati secondo il beneplacito divino. Dio si fa perfetto uomo, non cambiando nulla di quanto è proprio della natura umana, tolto, si intende, il peccato, che del resto non le appartiene. Si fa uomo per provocare il dragone infernale avido e impaziente di divorare la sua preda, cioè l'umanità del Cristo. Cristo in effetti, gli dà in pasto la sua carne. Quella carne però doveva tramutarsi per il diavolo in veleno. La carne abbatteva totalmente il mostro con la potenza della divinità che in essa si celava. Per la natura umana, invece, sarebbe stata il rimedio, perché l'avrebbe riportata alla grazia originale con la forza della divinità in essa presente. Come infatti il dragone, avendo istillato il suo veleno nell'albero della scienza, aveva rovinato il genere umano, facendoglielo gustare, così il medesimo, presumendo divorare la carne del Signore, fu rovinato e spodestato per la potenza della divinità che era in essa. Ma il grande mistero dell'incarnazione divina rimane pur sempre un mistero. In effetti come può il Verbo, che con la sua persona è essenzialmente nella carne, essere al tempo stesso come persona ed essenzialmente tutto nel Padre? Così come può lo stesso Verbo, totalmente Dio per natura, diventare totalmente uomo per natura? E questo senza abdicare per niente né alla natura divina, per cui è Dio, né alla nostra, per cui è divenuto uomo? Soltanto la fede arriva a questi misteri, essa che è la sostanza e la base di quelle cose che superano ogni comprensione della mente umana. Dai «500 Capitoli» di san Massimo il Confessore, abate (Centuria 1, 8-13; PG 90, 1182-1186)

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l'amore, se non si incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (num. 10). L'amore tra l'uomo e la donna nel matrimonio e, in forma derivata ed allargata, l'amore tra i membri della stessa famiglia - tra genitori e figli tra fratelli e sorelle, tra parenti e familiari - è animato e sospinto da un interiore e incessante dinamismo, che conduce la famiglia ad una comunione sempre più profonda ed intensa, fondamento e anima della comunità coniugale e familiare. L'indivisibile unità della comunione coniugale 19. La prima comunione è quella che si instaura e si sviluppa tra i coniugi: in forza del patto d'amore coniugale, l'uomo e la donna «non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19,6; cfr. Gen 2,24) e sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale. Questa comunione coniugale affonda le sue radici nella naturale complementarietà che esiste tra l'uomo e la donna, e si alimenta mediante la volontà personale degli sposi di condividere l'intero progetto di vita, ciò che hanno e ciò che sono: perciò tale comunione è il frutto e il segno di una esigenza profondamente umana. Ma in Cristo Signore, Dio assume questa esigenza umana, la conferma, la purifica e la eleva, conducendola a perfezione col sacramento del matrimonio: lo Spirito Santo effuso nella celebrazione sacramentale

offre agli sposi cristiani il dono di una comunione nuova d'amore che è immagine viva e reale di quella singolarissima unità, che fa della Chiesa l'indivisibile Corpo mistico del Signore Gesù. Il dono dello Spirito è comandamento di vita per gli sposi cristiani, ed insieme stimolante impulso affinché ogni giorno progrediscano verso una sempre più ricca unione tra loro a tutti i livelli dei corpi dei caratteri, dei cuori, delle intelligenze, e delle volontà, delle anime (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso agli Sposi, 4 [Kinshasa, 3 maggio 1980]: AAS 72 [1980], 426s), - rivelando così alla Chiesa e al mondo la nuova comunione d'amore, donata dalla grazia di Cristo. Una simile comunione viene

radicalmente contraddetta dalla poligamia: questa, infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo. Come scrive il Concilio Vaticano II: «L'unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell'uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore» («Gaudium et Spes», 49; cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso agli Sposi, 4 [Kinshasa, 3 maggio 1980]; l. c.). Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 1981 nn. 17-19

PORTICO DELLA FEDE

Una fede che entra nella storia a Traccia del Convegno di Firenze 2015 è strutturata in cinque capitoli preceduta da una presentazione che tende a porre in evidenza quale umanesimo emerge dalla narrazione del cammino di una comunità. Per orientare la raccolta delle riflessioni che convergeranno ai lavori del Convegno sono state identificate quattro forme di umanesimo tra i contributi già pervenuti: un umanesimo in ascolto; un umanesimo concreto; un umanesimo plurale e integrale; un umanesimo d’interiorità e trascendenza. Cercheremo di comprendere di che cosa si tratta e come queste quattro forme di umanesimo possono guidare e sollecitare considerazioni utili ad un rinnovamento dell’evangelizzazione nei nostri contesti concreti. Un umanesimo in ascolto: l’ascolto è certamente una profonda categoria biblica, non si può cogliere la Parola di Dio se non ci si pone in ascolto, in questo caso è importante ascoltare l’umano, la sua problematicità, ma soprattutto la bellezza che c’è nel vivere la vita pur con i suoi condizionamenti, per aprirsi alla speranza di ciò che ancora non si vede, consapevoli che ascoltare significa che c’è ancora molto da scoprire e da ricevere. Un’altra raccomandazione è quella che riguarda l’umanesimo incarnato,

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cioè quello concreto della vita quotidiana che interroga ogni momento della vita per ricercare la verità insegnata da Gesù, nei vissuti concreti: dunque, saper riconoscere i bisogni per immaginare le risposte adeguate che sappiano andare oltre le domande. In maniera tale che le risposte non si fermino soltanto a soddisfare le domande contingenti ma siano illuminate dalla luce del vangelo per guardare oltre con occhio vigile e profetico così che le comunità si sentano protagoniste di azioni storiche superando il diffuso senso di fragilità e inadeguatezza. Un umanesimo plurale e integrale: un umanesimo autentico può essere declinato solo al plurale cioè ricco di sfaccettature e di molteplici sfumature, composto “dall’insieme dei volti concreti di bambini e anziani, di persone serene o sofferenti, di cittadini italiani e di immigrati venuti da lontano” e in tutto questo “emerge la bellezza del volto di Gesù. L’accesso all’umano, difatti, si rinviene imparando a inscrivere nel volto di Cristo Gesù tutti i volti, perché egli ne raccoglie in unità i lineamenti come pure le cicatrici”. Dunque i volti delle donne e degli uomini di oggi sono concretamente la carne delle Chiese in Italia con le loro rughe più o meno profonde, che se guardate con gli occhi illuminati dal vangelo vi scorgiamo storie

concrete che raccontano la fede vissuta nelle varie città: frammenti da non disperdere ma da raccontare per fare la storia della fede cristiana nel nostro Paese nel quale nonostante tutto, possiamo ancora integrare la dimensione dell’annuncio del vangelo con la prassi caritativa nelle varie azioni pastorali che vi si svolgono nel silenzio solerte degli operatori. E infine l’umanesimo d’interiorità e di trascendenza che la Traccia del Cammino verso Firenze collega alla Gaudium et Spes, la Costituzione pastorale della Chiesa nel mondo contemporaneo, la quale al n. 16 descrive la bellezza della dignità della coscienza: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve invece obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa’ questo, evita quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro il cuore; obbedire è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato”. In sintonia con questo insegnamento vale la pena citare anche Benedetto XVI con la sua Caritas in Veritate, (78): “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia.” Maria Grazia Pau


Idee

10 n LETTERE

La Commemorazione di Mons. Virgilio Angioni Un uditorio particolarmente attento e coinvolto ha seguito la commemorazione dedicata al Venerabile mons. Virgilio Angioni che il Club Lioness ha promosso, presso la sala convegni del Banco di Sardegna di Cagliari. All’iniziale saluto della Presidente del Club Maria Bonaria Pau Pedemonte, è seguita la relazione di suor Maria Rosalba, superiora generale della congregazione delle suore del Buon Pastore fondata da mons. Virgilio. Le sue parole hanno fatto rivivere l’opera di un grande pastore di anime che ha speso ogni energia a favore dei “fratelli poveri ed emarginati.”. Uno spirito capace di trasmettere il suo amore per gli ultimi ai collaboratori e alle future suore che divennero ”i veicoli delle sue mani e del suo cuore”. Una carità che si è

domenica 4 gennaio 2015

Inviate le vostre lettere a Il Portico, via mons. Cogoni 9, 09121 Cagliari o utilizzare l’indirizzo settimanaleilportico@gmail.com, specificando nome e cognome, ed una modalità per rintracciarvi. La pubblicazione è a giudizio del direttore, ma una maggiore brevità facilita il compito. Grazie.

concretizzata nel dare asilo, assistenza e cultura agli emarginati e ai reietti della società. Rimangono nelle pie sorelle gli insegnamenti e le esortazioni di questo grande maestro:“Ogni qual volta la povertà si fa sentire non dite mai di no: accogliete, servite, sacrificatevi”. Sono riuscite a penetrare l’essenza e l’anima di mons. Virgilio, uomo e sacerdote, le considerazioni di don Massimo Noli, parroco della Chiesa di Santa Lucia, nel cui territorio ricade la sede del Buon Pastore. Le sue parole hanno messo in luce la figura di un uomo forte, volitivo e di azione, che non accettava passivamente gli eventi. Un consacrato che credeva fermamente nella provvidenza divina e si affidava all’adorazione e alla preghiera nei momenti di difficoltà e sconforto che inevitabilmente si manifestavano nella vita di ogni giorno. Un sacerdote che può essere paragonato al Santo curato

d’Ars per l’esercizio costante della pietà e a San Giovanni Bosco per le opere di carità verso gli umili e i bisognosi. Il successivo intervento dell’ Arcivescovo di Cagliari mons. Arrigo Miglio è riuscito ad evidenziare “le autentiche doti di uomo di fede” di don Angioni, che non si è lasciato piegare dal fatalismo degli eventi, ma si è affidato completamente alla provvidenza divina che guida e dirige i momenti della storia. L’Arcivescovo ha rivolto un’esortazione ad intensificare la preghiera “affinché si renda manifesta in ciascuno di noi la grandezza del cammino percorso da mons. Virgilio”. Solo una preghiera assidua e costante potrà consentirci di superare “la povertà spirituale” che impregna la società dei nostri giorni. Occorre perseguire obiettivi spirituali sull’esempio di mons. Angioni, che ha operato e realizzato in situazioni ben più difficile e gravi di quelle che oggi viviamo. Particolarmente commoventi

sono state le testimonianze del Sig. Sanna e della signora Mertoli.Il primo, abbandonato dai genitori, fu accolto dal Buon Pastore nel 1933, quando aveva tre anni, la seconda, durante l’ultimo conflitto mondiale, fu salvata e assistita insieme ai suoi 4 fratelli nei centri di accoglienza gestiti da Mons Angioni, mentre altri enti caritativi li avevano respinti. Questo succedeva, in virtù del cuore di mons. Virgilio che non si è fermato dinanzi ai pericoli e alle atrocità della guerra, neppure quando, i terribili bombardamenti del 1943, hanno raso praticamente al suolo la città di Cagliari. A concludere una cerimonia, ricca di riflessioni e spunti significativi, sono seguiti gli interventi delle autorità lionistiche nelle persone del prof. Guido Alberti presidente della zona 6A e del dott. Roberto Targhetta, presidente della Sesta Circoscrizione del distretto 108L. Il primo, nipote di mons. Angioni poiché la

Il pubblico cagliaritano ha accolto con entusiasmo lo spettacolo che ha chiuso la stagione Lirica e di Balletto

ncora nevi e ghiacci in tempo di Natale coprono il palcoscenico del Teatro Lirico di Cagliari, dopo la mirabile prova dello Schiaccianoci; ancora la Russia è lo sfondo dell’ultimo spettacolo della Stagione Lirica e di Balletto 2014; ancora Cajkovskij è il conquistatore dei cuori e del plauso del pubblico che gremisce la sala: l’esaltante rappresentazione de Gli Stivaletti (Cerevicki) chiude il ricco cartellone di quest’anno, segnato da successi di volta in volta più grandi e coinvolgenti. L’opera, pièce comico-fantastica con testo del poeta russo Jakov Petrovic Polonskij (1819-1898), che si è basato sul racconto La notte prima di Natale di Nikolaj V. Gogol’ (1809-1852), non tornava nel capoluogo isolano dal 2000, quando una strabiliante realizzazione suscitò l’emozionata approvazione del pubblico. A quattordici anni di distanza, è lo stesso allestimento creato dal Teatro cagliaritano a ghermire lo spirito dei presenti, grazie all’abilità dell’eccezionale cast. Sono innanzitutto le scene a catturare l’attenzione dello spettatore. Le firma la sapiente fantasia di Vyacheslav Okunen, che cura anche i costumi. Capo scenografo del Teatro Mikhailovskij di San Pietroburgo, fregiato d’importanti titoli nazionali (è Artista del Popolo della Russia) e collaboratore dei più prestigiosi teatri del mondo, fra cui La Scala di Milano, la Staatsoper di Vienna e il teatro di New York, Okunen cerca di stupire il pubblico con le lussuose uova di Fabergé, preziose invenzioni del gioielliere della corte zarista Peter Carl Fabergé che, nate per le festività pasquali, diventano qui il motore della trama natalizia, la materia da cui tutta l’azione prende forma. È un uovo, riccamente decorato e attorniato dall’immobile Coro del Teatro, a rivelarsi dietro il sipario all’inizio dell’atto I. È un altro uovo a costituire la casa di Oksana, prima, e di Solocha, poi. È ancora un uovo a suscitare il più grande e geniale colpo di scena di tutta la rappresentazione:

nonna paterna era sorella del sacerdote, con poche e toccanti parole ha tracciato un breve quadro di vita familiare. Il dott. Targhetta ha sottolineato l’impegno delle Lioness nel campo sociale e culturale e portato i saluti del Governatore del Distretto 108L, Giovanni Paolo Coppola. Ha coordinato i diversi momenti della serata il dott. Paolo Matta, giornalista di grande professionalità ed esperienza. A fine presentazione il conduttore ha espresso l’auspicio che la conferenza svolta non sia destinata a rimanere ”un evento da considerarsi ormai concluso e fine a se stesso” ma rappresenti l’inizio di una serie di iniziative volte a far conoscere, sempre di più e meglio, la figura di un grande uomo di fede e di valori e contribuisca a portare a compimento il processo di beatificazione già avviato. Pietrina Carta

In onda su Radio Kalaritana Frequenze in FM: 95,000 97,500 - 99,900 102,200 - 104,000

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“Gli stivaletti” di Cajkovskij incantano il Lirico di Alessio Faedda l’apparizione della zarina, al cui gesto scoppiano fuochi d’artificio fra le lodi degli invitati a palazzo, che sfoggiano sfarzosissimi abiti filologici d’ispirazione tardosettecentesca. Perfetto è il connubio con le luci di Irina Vtornikova che, attiva nel panorama internazionale in collaborazioni di rilievo, fa risaltare il blu della notte, il rosso del diavolo e l’oro della zarina. Suggestivo l’effetto onda nel Coro delle Ondine (atto III, quadro I), ottenuto con un’attenta sovrapposizione di tele e proiezioni. La regia è di Yuri Alexandrov, Artista del Popolo della Russia e fondatore

del Teatro Baiseitova di Astana (Kazakistan), che dichiara: «Cerevicki è un’opera di ossessioni e metamorfosi […] non solo materiali, ma anche morali» e, per realizzarle, fa uso proprio delle uova di Fabergé, come sopra accennato, allo scopo di inscenare «una grande fiaba per adulti». Fra i cantanti, la palma della vittoria va alle donne: Solocha, impersonata dall’artista russa Irina Makarova, e Oksana, alias Alex Penda. La prima è un mezzosoprano di eccezionale qualità, d’estensione sensazionale e con ottime capacità espressive unite alla padronanza

della scena. Fin dall’inizio, diverte con la sua passionalità e dà miglior prova di sé sia da sola che soprattutto in coppia con il diavolo Bes (il basso Mikolaj Zalasinski), grottesco essere infernale espressivo e coinvolgente tanto quanto la propria amata. Oksana, invece, sostiene con agilità un ruolo difficile e pesante, che richiede a un tempo delicatezza e potenza, freddezza e ardore; i suoi sopracuti scuotono l’intimo dell’ascoltatore e, anche se un piccolo neo macchia gli stupefacenti virtuosismi dell’atto II, rende gloria imperitura al suo personaggio. Un poco scuro è il timbro di Vakula (il tenore Vsevolod Grivnov) che, all’inizio, sembra affaticato negli acuti, ma presto si cala nella parte e, acquistata maggior sicurezza, appassiona il pubblico, specie nei duetti con Oksana. Rimarchevoli il borgomastro Pan Golova (Alexander Vassiliev), basso non pesante; la brillante tessitura tenorile e la buona presenza scenica del maestro di scuola (Giulio Pelligra); Panas (Gregory Bonfatti); il tenore cagliaritano Mauro Secci (guardia; cerimoniere), già nella Turandot e nella Traviata di questa Stagione; il baritono Nicola Ebau (il Serenissimo; spirito del bosco), già barone Douphol nella passata Traviata; e il giovane Francesco Leone (vecchio cosacco), che matura sempre più a ogni spettacolo. Meno convincente il basso buffo cub (Arutjun Kotchinian), monotono nell’espressione. Orchestra, Coro e danzatori (coreografia: Nadezda Kalinina) d’ineffabile bravura completano il quadro autografato dal maestro Donato Renzetti, habitué del Teatro di Cagliari, che, amante dei volumi forti, riesce a ridimensionarli in corso d’opera, come già nella Traviata. Sette minuti di applausi a suon di musica per ciascun interprete confermano l’immenso successo raggiunto dalla Fondazione del capoluogo in poco meno di un anno e fanno pregustare le sorprese dell’anno venturo.

Oggi parliamo di… arte e fede Le chiese Monastir (Terenzio Puddu) Domenica 4 gennaio ore 18.10 Lunedì 5 gennaio ore 8.30 Cantantibus organis Ascolto guidato alle interpretazioni organistiche bachiane di Marie-Claire Alain (a cura di Andrea Sarigu) Domenica 4 gennaio ore 21.30 Oggi parliamo di… comunicazione Epifania, tripudio di comunicazione A cura di Simone Bellisai Martedì 6 gennaio ore 19.10 Mercoledì 7 gennaio ore 8.30 L’ora di Nicodemo Bibbia e Liturgia La cena del Signore II parte A cura di Goffredo Boselli. Monaco di Bose Mercoledì 7 gennaio 21.40 Oggi parliamo con… Barbara Argiolas Assessore Comunale di Cagliari Mercoledì 7 gennaio 19.10 Giovedì 8 gennaio ore 08.30 L’udienza La catechesi di Papa Francesco Il giovedì ore 21.40 circa Kalaritana ecclesia Informazione ecclesiale diocesana Dal lunedì al sabato 9.30 e 16.30 Radiogiornale regionale Dal lunedì al venerdì 10.30 / 12.30 Lampada ai miei passi (5 - 11 gennaio) Commento al Vangelo quotidiano a cura di don Marco Statzu Dal lunedì al venerdì 5.15 / 6.45 / 21.00 Sabato 5.15 / 6.45 / (21.00 vangelo domenicale) Domenica 5.15 / 6.45 / 21.00 Oggi è già domani Nel cuore della notte con lo sguardo verso il nuovo giorno (A cura di don Giulio Madeddu) Al termine sarà possibile ascoltare le cantate Sacre di Bach. Ogni giorno alle 00.01 circa


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Una solidarietà concreta che va verso i più deboli Presentato il Dossier 2014 della Caritas che permette di conoscere il quadro di tante iniziative destinate ai poveri essere reti, promuovere fiducia, accompagnare la risalita: questo il titolo del dossier 2014 della Caritas diocesana (curatori M.C. Cugusi e V. Frigo), presentato nei giorni scorsi presso la sede della Fondazione Banco di Sardegna, a Cagliari. Dopo i saluti delle autorità civili, l’intervento di Mons. Arrigo Miglio, Arcivescovo di Cagliari, che ha ricordato l’importanza della Dottrina sociale della Chiesa per la comunità cristiana: “Essa è un insieme di indicazioni che vogliono aiutarci ad andare oltre le emergenze, l’assistenza immediata, cercando di intervenire sulle cause delle ingiustizie e delle povertà”. E ancora, l’invito rivolto a tutti, credenti e non, per aiutare la società civile a combattere rassegnazione e scetticismo, a costruire speranza; e l’impegno verso l’onesta, la legalità e la riscoperta della cultura del lavoro. È l’immagine di una Chiesa ‘dialogante’, come ha ricordato don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana, quella che emerge dal Dossier: “Non solo offerta di servizi, ma un criterio di interazione che diventa corresponsabilità, sussidiarietà, un confronto continuo e costante con le istituzioni nazionali e locali, perché le politiche vanno fatte ascoltando la gente, raccogliendo quanto la società reale in questo momento vive”. Una Chiesa capace di creare rete anche con il mondo del volontariato, le associazioni di categoria, “per affermare che il principio del dialogo è una buona azione pedagogica”. L’azione della Caritas si inserisce in uno scenario di crisi, come spiegato da Francesco Manca, responsabile del Centro studi-Osservatorio povertà e

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risorse della Caritas diocesana. Oltre 202mila i pasti forniti dal Sistema Mensa; l’81% dei frequentanti i centri Caritas sono italiani e nel corso del 2014 subiscono un leggero incremento pari allo 0,8%. Per quanto riguarda le classi di età, prevale quella tra 45-54 anni e aumentano le classi più anziane, in particolare quella tra i 65-74 anni. I nuovi poveri (divorziati e/o separati), risultano stabili con il 19,7 %. Per la gran parte si tratta di persone che vivono all’interno del proprio nucleo familiare; solo l’11,2 % risulta senza dimora, con una prevalenza degli stranieri. Accanto a questo servizio ve ne sono tanti altri. Si pensi allo Studio medico polispecialistico - che nel corso del 2014 ha già effettuato oltre 2.500 visite –, allo sportello farmaceutico, al Centro diocesano di assistenza. Si va dalla distribuzione dei pacchi alimentari alle famiglie bisognose, a quella di indumenti, di libri, di giocattoli, fino al pagamento di bollette energetiche o idriche, o di altri bisogni di natura economica che le famiglie non riescono a fronteggiare da sole. Un rilievo speciale merita l’attenzione verso la finanza etica, con l’attività della Fondazione Anti-usura Sant’Ignazio da Laconi, con l’impegno per diffondere una corretta cultura del credito e dell’uso del denaro, per superare le varie forme di dipendenze. In questa direzione sono stati varati anche strumenti come il Prestito della Speranza e il Micro-credito. Inoltre, va ricordata l’attenzione verso l’area giovanile: nel corso del 2014 c’è stata la sigla di un accordo con il Ministero dell’università che ha come obiettivi “Educare alla pace, alla

mondialità, al dialogo, alla legalità e alla corresponsabilità attraverso la valorizzazione del volontariato e della solidarietà sociale costruendo alleanze educative”. Questa iniziativa si affianca a quella già in essere dal 2006, che fa riferimento al “Progetto Policoro”, con percorsi di orientamento per la ricerca attiva del lavoro e di accompagnamento personalizzato verso l’imprenditorialità. Va ricordata anche l’iniziativa “Giovani solidali” che nel corso dell’anno ha visto la partecipazione di oltre 300 ragazzi. I campi estivi, poi, realizzati dal Gruppo di educazione alla mondialità (GDEM), hanno visto la partecipazione di giovani provenienti dall’Algeria, dalla Tunisia, da Padova, da Mondovì, da Cagliari e Oristano. In questo

Superare le barriere per accogliere i fratelli Si è tenuta il 22 dicembre l’iniziativa “È Natale, l’Arcivescovo accoglie gli immigrati” che ha visto la partecipazione di un grande numero di stranieri originari di vari paesi irca 500 immigrati e operatori della Caritas diocesana, una quarantina di nazionalità rappresentate. Sono i numeri dell’iniziativa ‘E’ Natale, l’Arcivescovo accoglie gli immigrati’, organizzata dalla Caritas diocesana, in collaborazione con il CSV Sardegna Solidale, lo scorso 22 dicembre nel Seminario Arcivescovile di Cagliari. Tra i partecipanti, i giovani immigrati accolti dalla Caritas diocesana e dalla Cooperativa Il Sicomoro nell’ambito del Progetto SPRAR e dell’emergenza ‘Mare Nostrum’ e dal Cara di Elmas, le comunità straniere ben radicate nel territorio, le famiglie rom, numerosi sardi. Presenti anche alcune autorità civili e religiose, comprese quelle del Corpo Consolare della Sardegna. Ad accogliere i partecipanti, Mons. Arrigo Miglio, Arcivescovo di Cagliari, a testimonianza dell’attenzione della Diocesi verso il tema dell’immigrazione. “Come Chiesa di Cagliari - spiega l’Arcivescovo abbiamo sentito il bisogno di un momento che andasse al di là dei soliti incontri organizzativi o assistenziali. La questione relativa all’immigrazione

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è complessa e non facile da gestire: di solito è vissuta come un problema, ma almeno a Natale, che è un momento di festa anche per molti non cristiani, è stato bello vedere negli immigrati persone capaci di donarci qualcosa, pur nella loro povertà: così, abbiamo voluto incontrare le persone, con le loro famiglie (quando ci sono) e con la loro cultura, e abbiamo voluto che “venissero a casa”, nel nostro Seminario, perché il Natale si festeggia ‘a casa’. E loro hanno capito molto bene il senso della festa: sono venuti gioiosi, portando i loro canti e soprattutto la loro cordialità’. La Chiesa locale ‘è chiamata per la sua vocazione cristiana ad essere luogo di accoglienza e di integrazione continua Mons. Miglio -. La Caritas è lo strumento principale ma non l’unico e non esclusivo. Credere in Dio, accogliere il Vangelo significa riconoscere la dignità di ogni persona umana; dirsi cattolici significa essere capaci di superare barriere e steccati. Quando accogliamo fratelli cristiani siamo spinti dalla condivisione della stessa fede e dello stesso pane eucaristico; quando accogliamo

persone di altre fedi siamo loro debitori di una testimonianza credibile della nostra fede in Gesù e nel suo messaggio. Prima di ogni altra considerazione di tipo sociale o politico, dobbiamo tenere presenti queste motivazioni, che ci chiedono di essere coerenti con la fede che professiamo’. Un impegno portato avanti in primo luogo dalla Caritas, seppur nelle difficoltà: ‘Non è semplice per la Caritas - continua l’Arcivescovo far crescere nell’intera comunità cristiana la consapevolezza del suo ruolo, ed è imbarazzante quando certe manifestazioni di fastidio vengono da persone che frequentano abitualmente la chiesa. La Caritas ha anche il compito di spiegare, di aiutare a ragionare, e se qualcuno dei nostri concittadini si sente ingiustamente trascurato per colpa degli aiuti dati agli immigrati, essa ha certamente il compito di verificare e di intervenire, perché non ci siano guerre tra poveri’. Sono circa 200 i richiedenti asilo e i rifugiati accolti nell’ambito della ‘emergenza Mare Nostrum’ e del progetto SPRAR. ‘Il nostro territorio spiega don Marco Lai, direttore della

contesto si inserisce, inoltre, l’impegno per costruire reti e ponti anche al di là del contesto locale, con le progettualità promosse sull’altra sponda del Mediterraneo, in Tunisia e in Algeria. Infine, l’impegno nel settore dell’immigrazione, grazie all’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati (nell’ambito del progetto SPRAR e della emergenza ‘Mare Nostrum’), e nell’assistenza dei cittadini stranieri presenti sul territorio, grazie al Centro d’ascolto Kepos. Per far fronte al problema immigrazione, la Caritas diocesana con la Fondazione e la Cooperativa Il Sicomoro ha predisposto dieci strutture per accogliere i profughi, ospitando circa 200 persone. Maria Chiara Cugusi

Caritas diocesana - può costituire un modello d’incontro e di convivenza dei popoli: la strada da perseguire è quella della conoscenza, dell’amicizia e della reciprocità’. Una potenzialità rafforzata da un impegno pluriennale perseguito dalla Diocesi, come ricorda l’Arcivescovo, con iniziative come Migramed, l’incontro annuale delle Caritas del Mediterraneo (svoltosi a Cagliari nel 2012), e come i gemellaggi con paesi dell’Africa e dell’America Latina portati avanti grazie a sacerdoti diocesani che lavorano in quelle regioni e missionari di varie congregazioni: gemellaggi che ‘non sono e non devono essere a senso unico, da noi verso quei paesi, ma sono canali per un vero scambio di culture e di esperienze umane e religiose’. ‘Nella visita pastorale - continua l’Arcivescovo - ho incontrato molti gruppi parrocchiali che fanno animazione missionaria e sono collegati con paesi dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina: dunque, abbiamo già degli strumenti che possono farci diventare davvero un laboratorio di reciproche conoscenze e di integrazione’. E, ancora, Mons. Miglio ricorda le potenzialità offerte dal mondo giovanile e dalla scuola: ‘Molti figli di immigrati sono nati qua, altri comunque parlano italiano, pensano sempre più in italiano: aiutiamoli ad incontrarsi e a conoscersi. Non c’è altra strada’. Inoltre, ‘Non dimentichiamo l’esperienza italiana di integrazione tra nord e sud negli anni ’50 – 70: è stata faticosa ma ha fatto crescere l’Italia. Facciamone tesoro’. M. C. C.

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n 16-17 GENNAIO Stage formativo sulla disabilità

Il Settore catechesi con i disabili dell’Ufficio Catechistico Diocesano, dopo l’appuntamento dello scorso novembre propone il secondo stage formazione per catechisti sensibili all’integrazione dei disabili nella catechesi, per catechisti che hanno esperienza con le disabilità e anche per famiglie inserite, a riguardo, nella comunità parrocchiale. Guidati da esperti (medici, psicologi, pedagogisti ed educatori), oltre alle informazioni e alle conoscenze indispensabili sulla specifica disabilità, si attiverà il confronto sulle opportunità comunicative e sulle attenzioni metodologiche per coinvolgere i disabili nella proposta e accoglienza dell’annuncio, e nella catechesi. Coinvolgere e lasciarsi coinvolgere. L’appuntamento è fissato per il 16 e il 17 Gennaio dalle 16 alle 19, nell’Aula Magna del Seminario. Tema dell’incontro “La Sindrome di Down”.

n RASSEGNE Il rapporto tra il teatro e le neuroscienze

Il rapporto fra arte e nuove tecnologie e su quello fra teatro e neuroscienze è al centro della della prima edizione de “Le Meraviglie del Possibile - Scene digitali, Festival Internazionale di Teatro, Arte e Nuove Tecnologie”, organizzato e curato da Kyberteatro, lo spin-off con cui la compagnia “L'Aquilone di Viviana” svolge le attività teatrali e “tecnologiche”, sotto la direzione artistica di Ilaria Nina Zedda e Marco Quondamatteo. La seconda parte del festival è in programma dal 9 al 31 gennaio a Cagliari nello Spazio OSC, Open Scena Concept, in via Newton 12. Le Meraviglie del Possibile – Scene Digitali – dichiarano gli organizzatori promuove il connubio fra arte e tecnologia e le modalità con cui queste discipline, attraverso il lavoro artistico - concettuale e tecnologico – espressivo, possono produrre un nuovo modo di esperire l’arte e il teatro.

n INIZIATIVE Laboratorio dedicato all’arte del leggere

Il Teatro Stabile della Sardegna, in collaborazione con l’Università di Cagliari e l'Associazione Culturale Athena, promuove da gennaio a maggio un laboratorio dedicato all’arte del leggere nell’ambito del progetto “La bottega delle arti e del pensiero: verso il Festival di filosofia”. Si tratta di una serie d’incontri in cui si approfondiranno, con esercizi pratici, i modi e le tecniche dell’espressione vocale nell’ambito della lettura in pubblico. Il laboratorio si applicherà a una serie di testi connessi alle tematiche di “Incendi”, l’opera di Wajdi Mouawad che sarà messa in scena dal Teatro Stabile della Sardegna, e sviluppati poi nel prossimo Festival di filosofia 2015. Per informazioni www.festivaldifilosofia.it.


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La missione educativa dell’Irc è un’occasione di santificazione Nell’Incontro di spiritualità in preparazione al Natale per gli insegnanti di religione cattolica, promosso dall’Ufficio Diocesano per l’Irc, si è riflettuto sulla vita ordinaria e professionale come luogo della santificazione a grazia del Figlio di Dio che prende la nostra natura umana e la possibilità di santificarsi nella vita ordinaria. Queste le riflessioni al centro del consueto Incontro di spiritualità in preparazione al Natale organizzato dall’Ufficio per l’Insegnamento della Religione Cattolica per i suoi docenti, che si è svolto lo scorso 19 dicembre in Seminario Arcivescovile. L’incontro ha avuto due momenti: la meditazione, tenuta dal direttore dell’Ufficio, don Roberto Piredda, e la S. Messa. La meditazione ha preso le mosse da due testi, il primo l’omelia di San Josemaria Escrivà, Amare il mondo appassionatamente, sul tema della santificazione nella vita ordinaria, mentre il secondo era la catechesi di Papa Francesco dello scorso 19 novembre, sulla chiamata universale alla santità. Il direttore ha sottolineato, partendo dai testi proposti, il valore della vita ordinaria alla luce dell’avvenimento dell’incarnazione. Il fatto che il Figlio di Dio per portare la salvezza nel mondo abbia scelto di farsi uomo, e sia vissuto poi per trent’anni, prima della sua missione pubblica, nell’esperienza “ordinaria” di Nazaret, immerso nelle occupazioni più comuni, fa intendere come l’umano e la vita ordinaria non siano un ostacolo per

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la santificazione, ma anzi il campo dove chiunque può vivere la sua chiamata cristiana. Nell’omelia di San Josemaria Escrivà si legge a questo proposito: «Non è forse vero che questo sguardo a ciò che abbiamo intorno vi conferma - con un'immagine viva e indimenticabile - che è la vita ordinaria il vero luogo della vostra esistenza cristiana? Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. È in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini». Si tratta allora di “materializzare” la vita di fede, che non deve rimanere un pensiero astratto o un sentimento, ma “farsi carne” dentro le occupazioni comuni di ogni giorno, come richiamato ancora nel testo del Santo spagnolo: «Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana […] Sappiatelo bene: c'è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire. Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli schizofrenici, se vogliamo essere cristiani: vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che dev'essere - nell'anima e nel corpo - santa e piena di Dio:

questo Dio invisibile lo troviamo nelle cose più visibili e materiali. Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai». Questo discorso è stato poi applicato al lavoro dell’insegnante di religione cattolica, che è chiamato a vivere la sua condizione di credente dentro il suo impegno di professionista nel mondo della scuola. L’esperienza insegna come il “di più” che il docente di religione può dare al mondo scolastico viene proprio dalla ricchezza della sua vita cristiana, che offre un contributo insostituibile alla sua missione educativa, che va portata avanti con passione e competenza. L’insistenza sulla possibilità di santificarsi attraverso il lavoro quotidiano è tornata poi anche attraverso le parole della catechesi

di Papa Francesco sulla chiamata universale a essere santi: «La santità è qualcosa di più grande, di più profondo che ci dà Dio. Anzi, è proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno che siamo chiamati a diventare santi. E ciascuno nelle condizioni e nello stato di vita in cui si trova. È proprio Dio che ci dà la grazia. Solo questo chiede il Signore: che noi siamo in comunione con Lui e al servizio dei fratelli». L’incontro si è poi concluso con la celebrazione della S. Messa, presieduta da don Roberto, che nell’omelia ha ulteriormente richiamato la speciale chiamata del docente di religione a rendere presente il Signore attraverso il suo servizio educativo rivolto ai più giovani. I.P.

LETTURE

n IN LIBRERIA Le “Meditazioni” di Luciano Mazzocchi

Stupore per la natura: emozione sempre più rara in un mondo fatto di fretta e distrazione, dove non c’è più spazio per lo sguardo capace di aspettare e di accogliere. A quello stupore si rivolge Luciano Mazzocchi, sacerdote e fondatore dell’Associazione “Vangelo e Zen”, nelle meditazioni raccolte nel suo nuovo libro “Pensieri di vita. Ascoltando il creato”. Il libro è composto da 52 meditazioni, una per ogni settimana dell’anno, divise in quattro gruppi come le stagioni. Ogni capitolo conduce all’incontro con alcuni brani sacri, tratti in particolare dal Vangelo, ma anche dalle ricche tradizioni orientali, soprattutto dallo Zen. E termina con un suggerimento concreto per la vita quotidiana. Nelle sue meditazioni, l’autore contempla la natura che lo circonda ogni giorno, oppure rievoca fatti della sua infanzia o ricorda avvenimenti della sua missione in Giappone o la sua attività attuale. E lo fa cercandone il senso profondo, con poeticità e grande fede. Il libro è arricchito dalla prefazione di Susanna Tamaro, che coglie veramente l’essenza del libro, ma anche perché, come lei stessa annota: “Non è mia abitudine scrivere prefazioni ai libri […]. Ma in questo specifico caso ho accettato perché ho una sorta di debito di gratitudine con padre Luciano. Rileggendo queste sue nuove preziose riflessioni, ho trovato conferma dell’importanza del suo pensiero. Un pensiero che ha sempre il pregio di essere diretto, comprensibile e poetico allo stesso tempo”.


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Celebrazioni. La riflessione di Mons. Miglio nella Messa della Notte di Natale

Contemplare il Verbo fatto carne ontemplare. È la parola d'ordine della liturgia della Messa della Notte di Natale. “Significa mettere da parte quelli che sono i nostri doveri e le nostre aspirazioni, ha sottolineato Monsignor Miglio nell'omelia della Messa presieduta in Cattedrale. Proviamo invece a scoprire ciò che il Signore fa, ciò che ha fatto, ciò che sta compiendo dal momento in cui il suo Verbo è diventato carne, prima nel grembo della Vergine, poi nella notte di Betlemme”. Passare dalla frenesia alla calma e alla meditazione. Il contrario del modo in cui spesso si vive questa festa della cristianità. “Dobbiamo essere più desiderosi di vedere ciò che il Signore compie, ha proseguito l'Arcivescovo. Siamo chiamati a contemplare il suo amore, soprattutto le misure del suo amore. Un amore smisurato. Le misure dell’amore di Dio infatti, vanno al di là di ogni nostra capacità di calcolo. Questo amore il Signore lo ha inserito nel mondo e nella storia, in modo pieno e definitivo proprio con la venuta di Gesù”. É l'obiettivo della sua incarnazione. Entrare nel mondo e rendersi visibile agli occhi degli uomini, con ogni suo più piccolo gesto da cui non può che scaturire amore. “Questo amore è presente, è dentro alla storia dell’umanità, riprende l'Arcivescovo nell'omelia. La pagina del Vangelo della Notte di Natale, non a caso, comincia col ricordare il censimento di Cesare Augusto per aiutarci a capire che l’amore di Dio entra nella storia in un momento preciso della vita ma anche in qualsiasi altro momento, in qualsiasi situazione politica, sociale, religiosa. Non c’è istante della storia che impedisca all’amore del Signore di essere dentro e di cominciare a manifestarsi, perché l’amore smisurato di Dio lo contempliamo soprattutto nella Parola delle

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Scritture, nell’annuncio”. Monsignor Miglio ha fatto riferimento anche all'undicesimo capitolo del libro del profeta Isaia proclamato durante l'Ufficio delle Letture che, come consuetudine in Cattedrale, si è cantato prima della celebrazione eucaristica. “Nella vita concreta noi vediamo soltanto dei germogli. L'apostolo Paolo invece, nella seconda lettura della Messa, ci invitava a vivere in modo adeguato, per poter vedere la benignità e l’umanità del Signore. Siamo chiamati dunque a scoprire i germogli, i segni, a volte molto piccoli di questo amore. Nessuno è in grado di soffocarlo e nessuno riuscirà mai ad eliminarlo dal cammino dell’umanità, dal cammino della storia. I germogli che per adesso vediamo, sono i segni che alimentano la nostra speranza”. Una contemplazione attenta dunque ai germogli e ai segni dell’amore di Dio che passa e lascia le sue orme nella vita personale di ognuno, nelle città, nella società, nel mondo”. Questa l'immagine utilizzata dall'Arcivescovo per spiegare ancora meglio le letture proclamate. “Abbiamo bisogno di vedere qualcuno di questi germogli dell’amore di Dio per poterli indicare a coloro che si trovano nel buio, senza speranza. Ma anche noi abbiamo bisogno ogni tanto che qualcuno ci aiuti a vedere quei germogli d’amore” Riferimento obbligato dunque alla funzione dei pastori, i primi ad accorrere alla grotta di Betlemme dopo l'invito degli angeli. “Sono stati per primi i pastori a vedere la luce del Natale e a diffonderla. Loro diventano l'icona di ciò che noi siamo chiamati a fare per alimentare cammini di speranza”. Invito del Vescovo affidato al Signore durante la preghiera dei fedeli, quando a braccio, ha voluto ricordare le difficili situazioni della

società odierna. “Sono venuto a questa celebrazione carico di richieste di intenzioni di preghiera: ammalati che chiedono di essere ricordati, coloro si preparano all’incontro definitivo con il Signore, poveri, carcerati che attendono un raggio di luce e tante altre sofferenze nascoste. Vogliamo ricordare tutti al Signore e idealmente depositare tutte queste intenzioni di preghiera, di grazie, ai

Il Natale offre a tutti la possibilità di rinascere L’intervista a Padre Massimiliano Sira, cappellano del Carcere, sul primo Natale vissuto dai detenuti e dal personale dopo il trasferimento da Buoncammino a Uta rimo Natale nel nuovo istituto penitenziario di Uta. A poco più di un mese dal trasferimento dei detenuti, nell’occasione delle festività natalizie, abbiamo parlato con Padre Massimiliano Sira ofc, cappellano del carcere, che ci ha raccontato come è stata vissuta la ricorrenza del Natale nella nuova struttura.

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Padre Massimiliano, come è andata? La preparazione è stata un po’ faticosa per via del trasferimento. Nella nuova struttura abbiamo allestito due cappelle, una per la sezione maschile e una per la sezione femminile. Quella di Natale è stata la prima messa che abbiamo celebrato nella nuova cappella, che è molto bella e spaziosa. La messa del mattino è stata presieduta dall’Arcivescovo Monsignor Arrigo Miglio. È stata una messa molto partecipata, c’erano circa centosettanta detenuti, che siamo riusciti a radunare grazie alla presenza del personale. Sono venute anche alcune emittenti televisive che hanno ripreso il momento. È stata una bella celebrazione, è stata vissuta con gioia, in preghiera e condivisione, non c’è

stato nessun disagio. Insomma, è andato tutto liscio. Come vivono questa ricorrenza i detenuti? La festa del Natale è quella dove la lontananza dalla famiglia si fa sentire di più. Questi giorni per loro sono molto faticosi a livello emotivo, più che durante il resto dell’anno. È stato anche il primo mese nella nuova struttura. Quali sono le novità? Per i detenuti il nuovo complesso è uno stimolo: c’è molta curiosità, è tutto da scoprire. Quello di Uta è sicuramente un carcere migliore. Cambiare sede è stato un po’ impegnativo ma vedere che nella nuova struttura c’è una migliore organizzazione ripaga. È più a misura d’uomo, c’è più attenzione e più cura alle persone. Questo potremmo vederlo con uno sguardo natalizio: il Signore nasce, si fa uomo e si prende carico dell’uomo. Non solo come cristiani, ma come uomini, dobbiamo guardare all’uomo, a prescindere da quello che ha fatto e dargli una seconda possibilità. La festa del Natale, che celebra la nascita di Gesù, dà anche a noi un senso di

rinascita e di speranza. È bello sapere che il Signore si può servire di poveretti come noi per aiutare le persone a ritrovare la propria dignità. Quali iniziative avete portato avanti? A causa del trasferimento non siamo riusciti a preparare un grande presepio, così ne abbiamo allestito uno semplice ai piedi dell’altare, con la classica statua del Bambinello che poi è stato baciato a conclusione della messa. Insieme con i giovani volontari – che spesso ci aiutano in varie iniziative- abbiamo organizzato una raccolta fondi. Con quel denaro realizzeremo dei pacchi dono, destinati ai bimbi figli dei detenuti, che verranno consegnati per l’Epifania, giorno in cui ci saranno i colloqui. Inoltre aiuteremo le famiglie dei detenuti a fare la spesa. Gli agenti di polizia penitenziaria invece si sono organizzati per portare dei doni ai bambini ospedalizzati, sempre il 6 gennaio. Nei prossimi anni contiamo di riuscire a organizzare altre iniziative per rendere, anche qui, il Natale sempre più bello. Susanna Mocci

piedi del Bambino nella grotta di Betlemme senza dimenticare il mondo, coloro che fuggono dalla violenza, che muoiono, che sprofondano nel mare e tutti i cristiani perseguitati. Gesù è venuto anzitutto per loro. Ci chiede di essere solidali e di unirci a lui nell’intercessione e nel chiedere al Padre un segno di salvezza e di pace”. Fabio Figus

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n APPUNTAMENTI Formazione liturgica per le parrocchie

L’Ufficio Liturgico Diocesano organizza tre giorni di formazione liturgica per i collaboratori parrocchiali (catechisti, lettori, accoliti, ministranti adulti, coristi e strumentisti, animatori liturgici, membri dei consigli pastorali, religiosi e religiose, altri collaboratori parrocchiali, gruppi e associazioni) e per chiunque desideri parteciparvi. Per facilitare la partecipazione dalle diverse zone della Diocesi, gli incontri si svolgeranno a Cagliari nell’Aula Magna del Seminario Arcivescovile in due turni e presso la parrocchia di Senorbì. Tema del percorso formativo sarà “L’Eucaristia: celebrazione, spiritualità, animazione.” Il calendario per Senorbi prevede gli appuntamenti per mercoledì 21, giovedì 22, venerdì 23 gennaio 2015 nella parrocchia di S. Barbara, in sessione unica dalle 17.30 alle 19.30. Per Cagliari il calendario prevede gli appuntamenti martedì 27, mercoledì 28, giovedì 29 gennaio 2015 nell’aula magna del Seminario arcivescovile. Si può scegliere tra due sessioni: quella pomeridiana dalle 16 alle18, oppure quella serale dalle 19 alle 21. Per le iscrizioni occorre compilare la scheda di iscrizione e spedirla entro il 16 gennaio 2015 all’indirizzo mail liturgia@diocesidicagliari.it o tramite posta ordinaria. L’iscrizione potrà essere presentata dal parroco o rettore della chiesa o un delegato, oppure direttamente da chi desidera partecipare previo accordo col parroco/rettore. Per ciascun partecipante è necessario indicare il nominativo, recapito telefonico ed eventuale email, la parrocchia o chiesa di appartenenza, la sede e la sessione prescelta.


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I ragazzi protagonisti della vita missionaria A livello universale il 6 gennaio è la festa dell’Infanzia Missionaria. In diocesi si terrà il prossimo 15 marzo ella solennità dell’Epifania si festeggia anche la giornata dell’Infanzia Missionaria, ovvero si ricorda ai più piccoli il grande dono della missione. La Diocesi di Cagliari, con il Centro Missionario Diocesano, da alcuni anni ha invece deciso di spostare in avanti questa festa in modo da coinvolgere un numero maggiore di bambini e ragazzi, che in queste settimane sono in vacanza sia dalle attività scolastiche che da quelle catechistiche. Così l’appuntamento quest’anno è stato fissato per il 15 marzo, sempre negli spazi della Fiera di Cagliari con una festa chiamata appunto “Festa dei ragazzi missionari”. In vista di quella data però i volontari e i responsabili del Centro Missionario hanno predisposto l’apposito materiale per sensibilizzare tutte le classi di catechismo della Diocesi. “Non si tratta di un’iniziativa diversa dal programma di catechismoscrivono in una lettera i responsabili del Centro – quanto di arricchire il solito programma con una contenuto missionario che dia più ampi orizzonti ai ragazzi”. Il materiale distribuito nel corso del convegno diocesano di settembre è stato in questi mesi utilizzato in classi o pluriclasse di catechismo, per predisporre un lavoro da presentare sul palco, come accade ogni anno. Quindi

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qualsiasi linguaggio artistico dal cartellone allo sketch, dal canto fino alla poesia, viene utilizzato per raccontare come i più piccoli vedono e vivono il loro essere missionari, in quanto battezzati. Il tema scelto quest’anno è “Gli ultimi saranno i primi”, ed è collegato con il tema annuale per gli adulti “Periferie cuore della missione”. Come ogni anno i piccoli che frequentano la scuola di catechismo stanno predisponendo il loro elaborato, che il 15 marzo verrà presentato in Fiera, mentre il Centro Missionario attende le conferme circa le adesioni sia per la festa che per il progetto a sostegno della famiglie che vivono in Diocesi situazioni di grave disagio. Quest’anno dunque l’impegno missionario è rivolto a prossimi più prossimi, quelle famiglie che per le ristrettezze economiche si trovano in povertà. Un segnale importante di come la Diocesi, anche attraverso il Centro Missionario, continua ad avere a cuore le necessità di chi si trova in difficoltà. Accanto quindi alla necessaria apertura ai progetti alla Mondialità si trova quella relativa alla vicinanza ai fratelli e alle sorelle che vivono in condizioni di povertà, e risiedono negli stessi centri dove i bambini frequentano la scuola di catechismo. Per chi volesse avere maggiori informazioni può prendere contatto con il Centro Missionario Diocesano, nei locali della Curia in via Monsignor Cogoni 9, telefono 07052843211, oppure via mail cmd.ca@tiscali.it. Il termine per la presentazione degli elaborati è fissato per sabato 31 gennaio. I. P.

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Superare le divisioni per costruire la pace L’intervista a Padre Pizzaballa Custode di Terra Santa, presente in Sardegna per la Marcia della Pace che si è svolta il 20 dicembre a Oristano a venticinque anni vive il suo ministero sacerdotale in Terra Santa, dove è responsabile della Custodia, il luogo riferimento per tutti i cattolici del Medio Oriente. Padre Pierbattista Pizzaballa, francescano, originario del bergamasco, poco prima di Natale è stato ospite ad Oristano della “Marcia per la Pace”, organizzata per il 28° anno dalla Diocesi di Ales - Terralba. “E’ importante essere qui - ha affermato - perché è sempre necessario ribadire la centralità della pace, che poi venga fatto a Oristano o in altra città non fa differenza, bisogna coinvolgere tutti, specie i giovani che qui vedo numerosi”. Il tema scelto dal comitato organizzatore era “Per i cristiani pace. Non più schiavi ma fratelli”. Un riferimento alla stretta attualità che segnala quotidianamente episodi di discriminazione e intimidazioni, se non di violenza, a danno dei cristiani. Il Papa di recente ha definito il periodo attuale uno dei peggiori per i cristiani: si calcola che ogni 5 secondo un cristiano viene discriminato per la propria fede. Padre Pizzaballa al termine della Marcia sul palco allestito di fronte al Duomo di Oristano ha raccontato di come i cristiani siano oggetto di attacchi dai fondamentalisti islamici. “La situazione è molto problematica – ha affermato il religioso – perché in Siria come in Iraq molti cristiani sono stati spogliati dei loro averi, le loro case requisite e vendute. Diversi di loro sono finiti in carcere

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se non addirittura uccisi. Ci sono episodi nei quali anche i musulmani hanno difeso i cristiani, ma di questo non viene dato conto. Penso ad esempio a un villaggio siriano nel quale i militanti dell’Isis hanno prelavato ed incarcerato il parroco e i residenti di fede musulmana sono andati a richiedere la liberazione del sacerdote, mettendo a rischio anche la loro sorte. Le persecuzioni a danno dei cristiani ci sono sempre state ma mai come in questi tempi essere cristiani può diventare un pericolo per la propria vita. “Qui non si tratta – afferma ancora il francescano – solo persecuzione quanto di pulizia religiosa e etnica come accade in Siria e in Iraq. Certo i cristiani sono una minoranza, la nostra è una realtà molto piccola e in alcune parti del Medio Oriente è molto perseguitata in altre invece la situazione è migliore, come in Terra Santa, in Israele e Palestina è oggettivamente differente, ma non certa buona. Come ogni minoranza anche quella cristiana soffre per le lotte di potere tra i grandi gruppi”. Il Natale in Occidente è vissuto con i simboli esterni e la parte più commerciale. In Terra Santa come si vive?

Noi non abbiamo simboli esterni perché minoranza con poca visibilità pubblica o perché è vietato o resa difficoltosa la possibilità di manifestazioni pubbliche come accade in Siria o Iraq, e quindi si è costretti a vivere il Natale in maniera più intima. Cerchiamo comunque di far vedere che ci siamo e vogliamo restare lì per testimoniare la nostra fede. Il significato del Natale è lo stesso ovunque uno lo viva ma celebrarlo a Betlemme è una grande grazia perché ti costringe ogni volta a ritrovare il senso profondo di questa festa, che è sempre la stessa perché riguarda del trionfo della vita sulla morte, ma cambia ogni anno perché ognuno di noi cambia, così si modificano le circostanze intorno a noi. È un rinnovare in maniera sempre drammatica e profonda il senso di questa festa. In Medio Oriente convivono tante Chiese cristiane. Come portate avanti il lavoro insieme? In Medio Oriente le diverse identità religiose e sociali convivono da sempre l’una con le altre e devono marcare molto bene i confini tra di loro. Questo non significa essere l’uno contro l’altro, a volte succede anche questo. La sfida di oggi nella modernità, giunta anche in Medio Oriente, è che le diversità devono diventare occasione di revisione delle relazioni tra le diverse comunità e non motivo di scontro, come oggi purtroppo sta accadendo. Roberto Comparetti

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Spiritualità DETTO TRA NOI

Papa Francesco ha deciso di dedicare a livello universale quest’anno pastorale alla vita consacrata. Si tratta di una grande opportunità per riscoprire questo grande dono che il Signore fa alla Chiesa e all’intera umanità

Polemiche sul discorso del Papa alla Curia

Essere nell’oggi uomini e donne del “di più” arissime consacrate e carissimi consacrati!...Facendomi eco del sentire di molti di voi…in occasione del 50° anniversario della Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa, che nel cap. VI tratta dei religiosi, come pure del Decreto Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita religiosa, ho deciso di indire un Anno della Vita Consacrata. Avrà inizio il 30 novembre corrente, I Domenica di Avvento, e terminerà con la festa della Presentazione di Gesù al tempio il 2 febbraio 2016”: così inizia la Lettera apostolica con la quale Papa Francesco indice l’anno della vita consacrata. Egli la indirizza ad ogni consacrato del mondo: nel suo stile appassionato e diretto, parla al cuore di ciascuno, da religioso a sua volta, che conosce bene il momento critico e particolarmente difficile che essa oggi sta vivendo. La Lettera ha una triplice struttura: esamina gli obiettivi, le attese e gli orizzonti di questo anno. Ci

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soffermiamo in particolare sugli obiettivi, nella triplice dimensione temporale che viene privilegiata: guardare il passato con gratitudine, vivere il presente con passione, abbracciare il futuro con speranza. Guardare il passato con gratitudine. Ciascuno dei nostri Istituti ha una ricca storia. Occorre, dice il Papa, recuperare uno sguardo grato alla storia passata che fonda il nostro oggi, sguardo grato e insieme vero che non nasconde le fragilità e le pone davanti al Signore e anche davanti all’uomo del nostro tempo, nostro fratello, con un atteggiamento coraggioso e audace. Vivere il presente con passione. Su questo coraggio e audacia si fonda anche l’esortazione a vivere il presente, ponendo al centro della nostra vita il Vangelo e solo esso. Ci chiediamo, sulla scorta di queste esortazione del Papa: abbiamo sempre e solo posto il Vangelo come unica regola della nostra vita? O

anche noi, come i maggiorenti del tempo di Gesù, abbiamo spesso anteposto la tradizioni degli uomini, le nostre tradizioni, al comandamento di Dio (cfr. Mt 15,6)? Allora valorizzare il presente, significa vivere “la fedeltà alla missione che ci è stata affidata. I nostri ministeri, le nostre opere, le nostre presenze…sono adeguati a perseguirne le finalità nella società e nella Chiesa di oggi? C’è qualcosa che dobbiamo cambiare?” Parliamo sempre di cambiamento, lo poniamo a tema delle nostre riflessioni nei Capitoli generali e nelle Assemblee, ma poi concretamente continuiamo a “fare come si è sempre fatto”, perché, ci costa meno fatica e non ci pone dinanzi al temuto “nuovo”. Abbracciare il futuro con speranza. Solo così riusciremo allora ad essere speranzosi verso il futuro, abbracciandolo come dono di Dio, perché comunque si ponga, il tempo che ci è dato da vivere è dono e come tale va valorizzato. Continua ancora Francesco: “…siamo chiamati ad offrire un modello concreto di comunità che… permetta di vivere rapporti fraterni”. La vita fraterna e il celibato caratterizzano la nostra vita, costituiscono la nostra identità. Se viene meno la vita di comunione e di amore, a partire dalla nostra comunità di appartenenza, rischiamo davvero di essere “segni vuoti”. Questo si aspetta la gente da noi: che ci vogliamo bene, semplicemente. Certo, è facile farsi prendere dallo scoraggiamento,

guardando al passato fulgido e fecondo. È facile vivere un presente di depressione, pensando ai mille problemi che affliggono la nostra vita. E’ anche facile chiedersi che ne sarà di noi, come finiremo…A dare non una risposta, ma una traccia di vita arriva il messaggio del Vescovo delegato per la vita consacrata, Mons. M. M. Morfino, Vescovo di Alghero – Bosa: in una riflessione suggestiva e intrisa di Parola, indirizzata a tutti i religiosi, dal titolo Donne e uomini “del di più”, (www.diocesialgherobosa.it), egli ci invita ad essere appunto donne e uomini del magis, donne e uomini dell’hodie, donne e uomini del cras. Soprattutto, parafrasando la celebre espressione di Paolo VI, il Vescovo ribadisce che i consacrati sono chiamati ad essere esperti in umanità, vivendo “nel presente una misura alta – la più alta – di umanità tra voi e con coloro che il Signore vi dona da amare e da servire”. Credo che questo “di più” sia non una sorta di piedistallo che ci colloca in una corsia privilegiata (la via perfectionis), ma un surplus di umanità che ci è richiesto. Uomini e donne fragili come tutti, siamo chiamati a camminare con, in, dentro l’umanità, con i fratelli che sentiamo fin nel profondo e dal di dentro compagni di cammino, con cui crescere, fidandoci di loro senza aver nulla da insegnare ma tutto da imparare. Fosse solo questa la nostra eredità, varrebbe più che mai la pena vivere questa avventura! Rita Lai asf

Pietro Apostolo sino al 1978. Dal 1978 al 1982 parroco presso la parrocchia Madonna della Difesa in Sisini. Infine nuovamente nel suo paese di origine ad Assemini sino al 2011, anno in cui ha fatto ritorno a Dolianova nella “Casa della Serenità Mons. Ernesto Maria Piovella” gestita dalle Suore Compassioniste Serve di Maria, per trascorrere gli ultimi anni della sua vita. Il 24 Dicembre è stato ricoverato d’urgenza presso l’Ospedale San Giovanni di Dio a Cagliari, dove gli è stata diagnosticata una leucemia fulminante. Ha avuto la possibilità di incontrare per un’ultima volta il suo vescovo, Mons. Arrigo Miglio, con il quale ha avuto modo di pregare e di ricevere il sacramento dell’Unzione degli infermi, consapevole dell’ormai imminente chiamata del Signore. Il giorno di Natale ha cessato di vivere e vogliamo pensare questa a questa coincidenza come la sua nascita al cielo. Come da suo desiderio è stato rivestito dei

suoi paramenti sacri, in particolare la pianeta della sua Prima Santa Messa. La mattina di Sabato 27 Dicembre, alle ore 10,30, nella parrocchia San Pietro Apostolo in Assemini l’Arcivescovo ha presieduto la celebrazione delle esequie alla quale hanno partecipato Mons. Antioco Piseddu, vescovo emerito di Lanusei e compagno di classe di Don Paolo, una quindicina di sacerdoti, i familiari e un gran numero di fedeli. Durante la celebrazione Mons. Spiga e Mons. Piseddu hanno voluto ricordare brevemente i tratti salienti di questa figura sacerdotale che resterà sempre cara agli asseminesi tutti e a chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerlo. Francesco Deffenu

n IN MEMORIA

Don Paolo Carboni ella tarda mattinata del 25 Dicembre, all’età di 82 anni, è tornato alla casa del Padre Don Paolo Carboni, anziano sacerdote del nostro presbiterio cagliaritano, pensionato ormai da alcuni anni. Più volte mi è capitato di servirgli messa e ne ho un vivo ricordo. Nacque ad Assemini il 15 Settembre del 1932. Ricevette l’ordinazione sacerdotale nella Cattedrale di Cagliari, all’età di 27 anni e celebrò la sua Prima Santa Messa il 29 Giugno del 1960 nella parrocchia di San Pietro Apostolo, durante i festeggiamenti del santo patrono. Più conosciuto dagli asseminesi come “Dott. Carboni”, a motivo dei sui titoli di studi, frequentò prima il Seminario Minore e il Liceo a Dolianova, poi successivamente il Pontificio Seminario Regionale Sardo del Sacro Cuore di Gesù in Cuglieri dove ha conseguito la Licenza in Sacra Teologia e infine l’Università di Cagliari nella quale ha conseguito nel 1976 la Laurea in Scienze naturali, insegnando succes-

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sivamente materie scientifiche nelle Scuole Statali e presso il Seminario Arcivescovile. Don Carboni era anche un forte appassionato di musica: lo vogliamo ricordare mentre suonava l’organo o l’harmonium e mentre cantava; nonché appassionato scrittore: tra i suoi scritti spicca sicuramente una pregevole biografia di Mons. Ernesto Maria Piovella. Ha collaborato con diversi parroci dell’hinterland cagliaritano: nel 1964 è stato vicario parrocchiale presso la parrocchia San Giorgio Martire in Quartucciu e nel 1965 vicario parrocchiale presso la parrocchia Nostra Signora delle Grazie in Sanluri. Poi dal 1966 al 1969 parroco presso la parrocchia Beata Vergine Assunta in Arixi e collaboratore della parrocchia Santa Barbara Vergine Martire in Senorbì. Dal 1969 al 1976 invece parroco presso la parrocchia San Basilio Magno in Serri. Nel 1976, per motivi familiari, è tornato come collaboratore nella sua parrocchia di origine San

Premesso che la vocazione consacrata in genere e quella al ministero ordinato in specie, è certamente la più difficile ma anche la più esaltante, tuttavia Dio che prende l'iniziativa di scegliere e chiamare uomini e donne comuni, non rende immuni gli stessi dal commettere errori. Così come ogni uomo che vive in questo mondo è, purtroppo, soggetto a commettere errori di ogni genere. Come risponde Dio alle infedeltà dell'uomo? Con la misericordia e il perdono senza limiti!!! Tanto premesso, prima ancora di entrare nel merito del discorso del Papa, mettiamo in evidenza che già nella Bibbia non si conta il numero degli interventi di Dio per richiamare l'uomo ad una vita buona, compresi i cattivi Pastori, dei quali il Signore si lamenta chiamandolo addirittura “sentinelle addormentate” e “cani muti” (cfr. Ezechiele). Per non parlare di Gesù che ha espressamente messo in guardia i 12 dal pericolo di farsi servire piuttosto che servire. Venendo ai nostri tempi, sono fondamentali 2 citazioni: una del 29.06.1972 del beato Paolo VI che si chiese: “attraverso quali fessure il fumo di satana è entrato nella Chiesa?”, un grido angoscioso che lasciò molti stupiti e scandalizzati, anche all'interno del mondo cattolico. L'altra citazione riguarda il Cardinale Ratzinger che, nel 2005, commentando la 9° stazione della Via Crucis scrisse: “quanta sporcizia c'è nella Chiesa e proprio anche tra coloro che nel sacerdozio dovrebbero appartenere completamente a Lui. Quanta superbia, quanta autosufficienza e quanto poco rispettiamo il Sacramento della riconciliazione del quale Egli ci aspetta per rialzarci dalle nostre cadute. Non ci rimane che rivolgere a Dio dal profondo del nostro cuore: Signore pietà!”. Papa Francesco il 22 dicembre scorso, in occasione degli auguri natalizi alla curia romana, ha presentato 15 “malattie” dalle quali tutti possono essere colpiti e dalle quali bisogna, in tal caso, cercare di guarire. Tralasciamo l'elenco nello specifico, affermando che si tratta in sintesi dell'invito ad osservare il 10 comandamenti, a combattere i 7 vizi capitali e a superare le tentazioni classiche che ebbe anche Gesù nel deserto: avere, potere e sfidare Dio. A chi si rivolgeva il Papa? Lo dice lui stesso testualmente alla fine del discorso: “tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano, per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, sia a livello individuale sia a livello comunitario”. Il pericolo ampiamente previsto, è stata la strumentalizzazione da parte dei media e della gente. Titoloni in prima pagina del tenore: “frustata del Papa alla curia” (la Stampa), “il Papa asfalta il Cardinali” (il Giornale) etc., non hanno ragion d'essere. Meno male che Massimo Gramellini, nel primo, scrive: “sono parole rivolte a tutti noi” e Massimo Introvigne nel secondo: “chi parla di una bordata ai preti, sbaglia. Al 90% è un discorso spirituale e certi problemi si trovano ovunque”. Lo stesso Papa Francesco, in conclusione ha detto: “i sacerdoti sono come gli aerei, fanno rumore solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano....”. Ogni altro commento è superfluo.


Papa Francesco

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Essere servi fedeli del Signore Gesù

curiosità SETTIMANALE DIOCESANO DI CAGLIARI Registrazione Tribunale Cagliari n. 13 del 13 aprile 2004

Direttore responsabile Roberto Piredda

Alcuni passaggi del discorso del Papa alla Curia Romana. Le sue parole sono “per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale” 1. La malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile”, trascurando i necessari e abituali controlli. Una Curia che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo. Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfrLc 12,13-21), e anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti […] 2. La malattia del “martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi ai piedi di Gesù (cfr Lc 10,3842). Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” (cfr Mc 6,31), perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica. 3. C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e la “testa dura” (cfr At 7,51); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non “uomini di Dio” (cfr Eb 3,12). È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che perdono “i sentimenti di Gesù” (cfr Fil 2,5) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfr Mt 22,34-40) […] 4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo: quando l'apostolo pianifica tutto minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscano, diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è necessario, ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo, che rimane sempre più grande, più

generosa di ogni umana pianificazione (cfr Gv 3,8). Si cade in questa malattia perché «è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo – addomesticare lo Spirito Santo! – … Egli è freschezza, fantasia, novità. 5. La malattia del cattivo coordinamento: quando le membra perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza, diventando un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra. Quando il piede dice al braccio: “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”, causando così disagio e scandalo. 6. C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della propria storia di salvezza, della storia personale con il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non hanno il senso “deuteronomico” della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé muri e abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani. 7. La malattia della rivalità e della vanagloria[11]: quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di san Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma

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anche quello degli altri» (Fil 2,3-4). È la malattia che ci porta ad essere uomini e donne falsi e a vivere un falso misticismo e un falso “quietismo”. Lo stesso San Paolo li definisce «nemici della Croce di Cristo» perché «si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (Fil 3,18.19). 8. La malattia della schizofrenia esistenziale. E’ la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete. Creano così un loro mondo parallelo, dove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri e iniziano a vivere una vita nascosta e sovente dissoluta. La conversione è alquanto urgente e indispensabile per questa gravissima malattia (cfr Lc 15,11-32). 9. La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. Di questa malattia ho già parlato tante volte, ma mai abbastanza. E’ una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere, e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche, che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle. San Paolo ci ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil 2,1415). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere! 10. La malattia di divinizzare i capi. E’ la malattia di coloro che corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio (cfr Mt 23,8-12). Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. Persone meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo (cfr Gal 5,16-25). Questa malattia potrebbe colpire anche i Superiori quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità. 11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri. Quando ognuno pensa solo a sé stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti. Quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli altri. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo. 12. La malattia della faccia funerea, ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e

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arroganza. In realtà, la severità teatrale e il pessimismo sterile sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili. […] 13. La malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà, nulla di materiale potremo portare con noi, perché “il sudario non ha tasche” e tutti i nostri tesori terreni – anche se sono regali – non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo. A queste persone il Signore ripete: «Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo ... Sii dunque zelante e convertiti» (Ap 3,17.19). L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il cammino inesorabilmente! […] 14. La malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro che minaccia l’armonia del Corpo e causa tanto male – scandali – specialmente ai nostri fratelli più piccoli. L’autodistruzione o il “fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo. È il male che colpisce dal di dentro; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso in se stesso va in rovina» (Lc 11,17). 15. E l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi, quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. è la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri. Anche questa malattia fa molto male al Corpo, perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza! E qui mi viene in mente il ricordo di un sacerdote che chiamava i giornalisti per raccontare loro – e inventare – delle cose private e riservate dei suoi confratelli e parrocchiani. Per lui contava solo vedersi sulle prime pagine, perché così si sentiva potente e avvincente, causando tanto male agli altri e alla Chiesa. Poverino! Fratelli, tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire sia a livello individuale sia comunitario. 22 dicembre 2014

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