N on potrei dire nulla con certezza, sarebbero solo supposizioni. Quello che è certo è che ho trovato un rottame. Mi è anche chiaro che questo rottame è qualcosa di nuovo. Passeggio nei boschi, specialmente quando sono nervoso. Mi aiuta a mantenere la calma e a ricordare che, spesso, questioni transitorie assumono più peso di quello che sarebbe meglio attribuir loro. O meglio, mi ricordo che hanno un loro peso, che io lo voglia o meno, e che l’unico modo per attenuarlo è controbilanciare. Fare altro. Capita che io cerchi delle consolazioni in queste occasioni. Ciò che ho trovato quella mattina non aveva nulla a che fare con il mio rimuginare pensieri.
Martedì 4 febbraio
Sabato, prima di pranzo, sono andato a fare un giro nel bosco. Mentre camminavo ho trovato, tra le foglie che diventano fango, una specie di cilindro metallico da cui fuoriuscivano dei fili. Che fosse un estintore? Da campeggio? Portatile?
Ho pensato ad un estintore, oltre che per la forma cilindrica, perché l’oggetto spiccava tra la boscaglia per un rosso abbagliante. Mi stava però venendo il dubbio che non si stesse trattando di un estintore, bensì di qualcosa di nuovo.
Quel colore non era un vero e proprio rosso, tanto meno il rosso di un estintore.
Probabilmente, se non avessi notato questo dettaglio, non avrei mai recuperato il rottame e ora non starei scrivendo nulla al riguardo. Non avevo mai visto un rosso così intenso prima di quel momento.
Un’intensità che rendeva quel colore uno spessore, etereo e solido. L’aria attorno a quel colore prendeva corpo.
Era come se una sottile aura lo stesse circondando. Uno strato di fitta nebulosa di circa mezzo centimetro.
Avvicinandomi all’oggetto ho notato come quell’aura non fosse semplicemente rossa. Potevo descriverla come rossa ma
la percepivo come iridescente. Si trattava però di una iridescenza inconsueta.
I colori non fluttuavano per ogni mio movimento. Erano loro che si dimenavano in continuazione. Non riuscivo ad osservare quell’oggetto attentamente perché guardarlo a lungo mi procurava una sorta di fastidio che ora non riesco neanche a descrivere. Il colore dell’oggetto, agitandosi, dava vita ad un contraddittorio arcobaleno cinetico rosso. Una piccola battaglia di iridescenze carminio contenuta in una pellicola gassosa di mezzo centimetro.
Mai provata una sensazione del genere.
Ho sentito testimoniare molto seriamente l’esistenza dell’aura, anche da persone di cui mi fido pienamente. Ho sempre pensato che le auree percepite nei miei vari tentativi di sperimentarne le sensazioni fossero un miscuglio di suggestioni immaginifiche e persistenza ottico-retinica dell’immagine.
Invece, il ricordo di ciò che ho provato di fronte all’oggetto nel bosco, per quanto sfumato sia, mi esalta. Oggi mi esalta.
Al momento del ritrovamento percepire quel colore mi intimoriva. Restio nel toccare l’oggetto a mani nude, dopo averci riflettuto,
l’ho avvolto nel maglione con la cura di un artificiere sotto pressione, per poi metterlo nello zaino. Sono tornato a casa di fretta con l’idea di pulirlo dalla boscaglia che era rimasta appiccicata. Appena arrivato, ho pensato che la cosa migliore sarebbe stata quella di spegnere quell’aura che mi intimoriva. Così avrei potuto analizzare meglio l’oggetto.
Un po’ agitato e di gran fretta, ho provato con tutto quello che mi è capitato sotto mano: acqua ragia, diluente nitro, trementina, alcool, sgrassatore, succo di limone. Non ho fatto caso alle reazioni dei solventi sulla superficie dell’oggetto. Non so dire se uno in particolare sia stato decisivo o se sia stata la mescolanza di tutti. Alla fine ho notato - sollevato - che quel colore non era più così disturbante. Lo avevo spento.
Il suo effetto particolare, quasi spaventoso, era svanito. Rimaneva del mistero, ma non era più lo stesso colore del momento del ritrovamento. Ora, per quanto l’oggetto si mostri non poco deteriorato, non farei difficoltà a descriverlo come carminio, o comunque, rosso. Dell’effetto ottico-percettivo iniziale non ne rimane nulla se non descrizioni inadeguate. Non importa, se non lo avessi pulito probabilmente non avrei scoperto nulla, anche se so ancora poco di cosa ho tra le mani.
Dopo il lavaggio, sperando di rimetterlo in sesto, ho lasciato asciugare il marchingegno per timore che tutte le sostanze utilizzate avessero potuto comprometterne un qualche possibile utilizzo.
L’ho appoggiato sulla scrivania, davanti alla finestra completamente aperta, e sono andato a dormire. Il mattino seguente mi sono svegliato, era uno di quei risvegli in cui non ci si ricorda subito di ciò che è accaduto il giorno prima. Alzandomi dal letto ho visto l’oggetto rosso sulla scrivania e sono ripiombato prepotentemente nella condizione di estraneità della sera prima. Quella mattina però potevo cominciare ad analizzare con calma quello strano oggetto, libero dalla foga incredula che i bambini mettono nello scartare i regali.
Finalmente potevo osservarlo bene. Due fasci di fili, composti da filamenti più sottili e cavi più spessi, fuoriuscivano dalle estremità del cilindro. Dovevano essere stati strappati dagli apparecchi che probabilmente completavano il dispositivo. Però dovevano pur condurre a qualcosa di rilevante se seguiti fino all’interno. Rigirandomi l’oggetto tra le mani ho notato alcuni simboli incisi sulla superficie, come un numero di serie. Non riconoscevo neanche una lettera di quello strano alfabeto, sembravano ideogrammi ma erano fatti per lo più di cerchi
e segmenti. Non capivo cosa significassero, sembravano una scrittura cuneiforme cyberpunk. Inoltre il cilindro non era propriamente regolare, presentava due protuberanze. Il lavaggio aveva levato le incrostazioni più spesse. Ora potevo distinguere uno sportelletto di forma rettangolare. Le protuberanze non erano altro che piccoli cardini, parte di quella che doveva essere l’apertura. Ad un tratto ho sentito con le dita un sottile rilievo.
Tirando, facendo un po’ di forza con l’unghia, il piccolo sportello si aprì, con mio grande stupore.
L’interno custodiva una piccola sfera trasparente a cui erano attaccati i fili provenienti dall’esterno. Dentro alla sfera era collocata una pietra irregolare nera, traslucida, dai riflessi ambra-catramosi. Era come se i cavi avessero, un tempo, attinto informazioni o energia da questo strano minerale per poi attraversare quelli che sembravano essere due piccoli processori, nascosti dietro la sfera stessa.
Quell’apparecchio era spento, ne ero certo e in quello stato era solo una curiosa bombola. Stava nascendo in me l’idea che quella potesse essere una tecnologia a noi aliena. Ho cercato di capire qualcosa di più osservando meglio i fili. Uno mi ricordava un cavo di alimentazione, tranciato.
Ho pensato che alla fine gli alieni non dovevano essere poi così diversi da noi. Ma forse non si trattava di un marchingegno alieno, poteva appartenere ad una qualche civiltà aliena al nostro presente, al nostro tempo più che al nostro spazio. Ho cercato un vecchio alimentatore universale che tenevo nell’armadio e, una volta trovato, ho provato ad attaccare il tutto alla corrente. Ho cominciato impostando l’alimentatore sul minimo voltaggio per poi salire gradualmente. Arrivato a 9 volt ho sentito un brusio, come un’interferenza. Una gioia indescrivibile!
Ma i fastidiosi rumori si sono interrotti presto. Svanito lo stupore è cresciuta la curiosità. Cosa avevo ascoltato? Come potevo andare più a fondo nella comprensione di un oggetto così enigmatico? Potevo trarre delle informazioni sulla sua origine?
Mi sono arrovellato sull’oggetto ancora per un po’ ma non ho notato altro. Non ho alcuna competenza di mineralogia e quindi dalla pietra, sempre che di pietra si tratti, non ho potuto ricavarne gran che. Ho pensato quindi di andare più a fondo sul lato tecnologico e informatico rivolgendomi a O., lui se ne intende di queste cose. Ero assalito dai dubbi. E se quell’oggetto avesse contenuto un messaggio rivolto solo a me? E se fosse stato pericoloso e avessi
rischiato, che so, di diffondere un contagio? Non mi sono fatto prendere da questi pensieri e ho chiamato O.! Uno scienziato che si sente raccontare la visione di una sfinge da un contadino: immagino che O. possa essersi sentito così nell’ascoltare il mio racconto. Non mi pareva particolarmente stupito, sembrava non credermi. Spostando la sfera contenuta all’interno del marchingegno, è riuscito a guardare da vicino uno dei processori. Dopo aver richiuso il tutto, se l’è portato via dicendo che mi avrebbe fatto sapere.
Un paio di giorni fa mi sono giunte sue notizie. Mi ha chiamato per dirmi che ha ricavato dei file dal dispositivo, anche se non ho la più pallida idea di come abbia fatto. I file sono in un formato incomprensibile, qualcosa come “8gDt ” o “Giulia”, ciò non fa che rendere il tutto più misterioso. File da decriptare sono, per uno come O., una sfida troppo avvincente. Negli ultimi due giorni non abbiamo fatto altro che cercare di venirne a capo. Inutilmente.
Domenica 15 marzo
Ho vissuto qualcosa di tanto affascinante quanto incredibile. Poco più di dieci giorni fa O. ed io siamo finalmente riusciti a convertire i file in un formato leggibile dai nostri computer. In un primo momento sotto forma di suoni che ricordavano più uno sciame d’api che un messaggio intelligibile. Successivamente abbiamo ottenuto delle immagini molto disturbate e distorte, esteticamente interessanti, ma per nulla comprensibili o utili a capire qualcosa in più di quello strano oggetto.
Il caso ha voluto che alcuni giorni dopo, circa una settimana fa, abbiamo recuperato e riparato un visore per realtà virtuale che era stato abbandonato nella discarica sul fiume. Sull’orlo della rassegnazione, abbiamo arrangiato un collegamento improvvisato tra il visore e l’oggetto. Abbiamo potuto vedere e sentire ciò che non ci saremmo mai immaginati.
Cercherò di esprimere come meglio posso l’esperienza che abbiamo avuto ma immagino che risulterà, con tutta probabilità, poco comprensibile se non assurda.
Siamo stati testimoni di una narrazione che definirei cosmogonica, di una qualche forma di vita aliena, che il misterioso oggetto ci ha comunicato, trasmesso, attraverso il visore. Purtroppo non ci rimane che l’esperienza fatta. I file che siamo riusciti a scaricare e tradurre con i nostri computer ora sembrano, per qualche oscuro motivo, definitivamente corrotti. L’oggetto, nel corso dell’esperienza, collegato al visore si autoalimentava. Ora non dà più segni di vita. Provo comunque a scrivere.
Un universo, Odri
Q uando c’erano solo il vuoto e il silenzio, l’energia iniziò ad aggregarsi attorno ad essi. Agendo sempre più forte sui due, venne generata una fortissima esplosione che emise un’immensa quantità di materia. Questa materia, aggregandosi più o meno ordinatamente, col tempo formò un universo. Gli scarti d’energia prodotti da quest’esplosione presero il nome di Odri.
Un Odre necessita solo di comprensione.
Essendo i primi esseri a poter percepire la materia, compresa quella non propriamente tattile come il suono, si possono considerare gli inventori del tempo. La materia ha dato la possibilità, agli Odri, di poter esperire le modificazioni compiute da essa dentro allo scorrere di quello che verrà poi considerato flusso temporale.
Così queste entità hanno da sempre vagato per i vari sistemi del loro universo con lo scopo di comprendere la materia e ogni sua mutazione.
La consapevolezza degli Odri è qualcosa di diverso da quello che può essere la consapevolezza di un essere vivente. Essi non sottostanno alle leggi del tempo, lo osservano esclusivamente.
Per loro nulla ha un fine, ne una fine. Essendo creature del vuoto, non hanno interessi personali. Comprendono la materia e trasmettono le informazioni in una rete di consapevolezza a cui ogni Odre partecipa ed accede.
Ho passato gli ultimi giorni a pensare a come raccontare ciò che abbiamo avuto l’occasione di vedere ed ascoltare, sento che sarà come sforzarsi di tradurre la non linearità, la complessità e le ambiguità di un sogno. Ho già scritto una sorta di capitolo e nel farlo riesco a mettere a fuoco dei dettagli, anche se penso di tralasciarne molti. Nel tempo vorrei dar forma ad un dispositivo che permetta a chiunque di vivere un’esperienza che so benissimo che non potrà mai essere la stessa che O. ed io abbiamo fatto. Spero almeno che ci si avvicini.
Vorrei rendere giustizia a quello che mi sembra essere stato un grande viaggio. Non un viaggio nello spazio. Non un viaggio nel tempo. Ma un viaggio nello spazio del tempo. Continuerò, con maggior dedizione, sempre sulle pagine di questo diario. Ho anche iniziato a fare qualche schizzo e dei disegni.
Mercoledì 18 marzo
Un pianeta e l’acqua, vita ed ecosistemi
U n pianeta-materia, in un certo sistema di questo universo, risultava particolarmente difficile da comprendere, così alcuni Odri decisero di specializzarsi nel diventare un tramite in grado di tradurre il pianeta per poi poter trasmettere queste informazioni ai propri simili tramite la rete. Attraversata l’atmosfera di questo pianeta, gli Odri iniziarono a sciogliersi diventando liquidi, diventando acqua. Compirono così la loro prima trasformazione. Fino ad allora gli Odri si erano dedicati alle loro attività comprensive senza mai interferire con la materia circostante. Compiendo questa mutazione, da entità del vuoto ad entità della materia, gli Odri in questione rimasero imprigionati, in forma acquosa, nell’introspezione. Durante questa prima mutazione, di tutta la consapevolezza degli Odri, frammenti di essa risultarono di scarto. Questi scarti sono i primissimi esemplari di quella che oggi possiamo chiamare vita: una nuova forma di consapevolezza che sottostà alle leggi del tempo. Nel frattempo l’acqua colonizzava gradualmente il pianeta
fino a diventare parte integrante di esso. Si generarono così un’atmosfera ed un manto in grado di permettere agli scarti-vita di dedicarsi ad attività differenti dalla comprensione. Gradualmente iniziarono a spostarsi per potersi adattare al meglio e non dover compiere così ulteriori trasformazioni.
Per fare ciò dovettero per forza raggrupparsi in agglomerati autonomi che però mantenevano dentro di sé il desiderio recondito di comprendere il pianeta.
Presto per gli scarti-vita questo tipo di evoluzione si rivelò essere l’unico modo di sopravvivere. Le nuove specie andavano man mano dimenticandosi di immettere dati nella rete di consapevolezza odriaca.
Fu così che, mentre la consapevolezza articolava gradualmente la sua essenza, si svilupparono quelli che oggi definiremmo ecosistemi. Ogni agglomerato agiva in simbiosi con gli altri, cercando di adattarsi al meglio alle caratteristiche del circostante.
Talvolta qualche ecosistema compiva ampie mutazioni a causa di movimenti improvvisi del pianeta.
Ciò non toccava minimamente gli agglomerati-vita che erano concentrati nei loro raggruppamenti.
Scimmia di pietra, Institi e Ratioti
U na mattina una scimmia semibipede qualsiasi incominciò ad osservare un rigagnolo in un punto ben preciso. Due piccole rocce, una muschiosa e l’altra nuda, costringevano lo scorrere dell’acqua. Quel punto catturò l’attenzione della scimmia in questione: essa non distolse più lo sguardo. Questa costrizione di un flusso aveva scatenato un pensiero nella sua mente. Ecco da dove tutti venivano. Erano il prodotto di scarto di una costrizione. Il fatto che questo flusso inizialmente puntasse esclusivamente alla comprensione non era stata che una coincidenza.
I discendenti degli Odri, riorganizzandosi in ecosistemi, puntarono alla sopravvivenza con lo scopo fisso del comprendere. Ma così facendo le nuove specie si erano scordate totalmente di diffondere le informazioni. Tutto questo fu per la scimmia una rivelazione. Passarono i giorni, passarono le notti, e gli scarti-cellule che componevano i tessuti della scimmia iniziarono un veloce processo di fossilizzazione. Stava diventando una pietra, scura. Alcuni simili della scimmia s’accorsero che qualcosa era stato compreso, senza però capire cosa.
Parte di loro sosteneva che fosse giunta la fine dell’era della comprensione. La fossilizzazione delle carni era vista da quest’ultimi come un segno dell’imminente scomparsa della vita sul pianeta.
Tali semibipedi amavano definirsi Ratioti. Altri invece, gli Institi, sostenevano che, seguendo l’esempio della scimmia fossilizzata, la comprensione dovesse assumere più importanza rispetto alla sopravvivenza che la permetteva. Stava succedendo qualcosa di mai accaduto.
Degli agglomerati stavano attingendo consapevolezza da loro stessi, dai propri simili. Poco importa che queste informazioni potessero essere fallaci. Quello che ora conta è che questo interscambio diede luogo al primo conflitto. In molti, venendo a conoscenza di una delle due teorie, ne fecero delle questioni di principio ed iniziarono a cibarsi dei propri simili ancor prima che il loro tempo fosse finito. Una piccola parte di questi semibipedi prese atto delle due teorie ma continuò comunque a cercare di maturare la propria consapevolezza autonomamente. Ad essi interessava la mutazione della materia che era stata compiuta dalle carni della scimmia, ma ciò non pervadeva le loro menti. Per lo meno non come in coloro che si erano schierati.
Ebbene, coloro che vagavano liberi erano i più detestati,
dall’uno e dall’altro gruppo. Peraltro entrambe le fazioni mettevano raramente in atto le proprie teorie. Essi passavano l’esistenza a contrastare coloro che non credevano in questi princìpi e a trasmettere questo rancore nei più giovani. Questo conflitto era in procinto di entrare nella genetica della specie in questione.
La situazione diventò così pervadente che le due fazioni iniziarono ad erigere sulle rive del fiume due proto-agglomerati abitativi ben distinti.
Bisogna pensare che, data la lentezza di circolazione delle informazioni tra coloro che diventavano man mano sempre più bipedi, le due teorie si radicarono non lontano dai pressi del fiume della scimmia di pietra.
Queste due proto-città presero il nome di Insti e Ratio. Le due furono in guerra aperta per diverse stagioni così da dimenticare totalmente come poter comunicare con le altre specie-agglomerati.
Lunedì 23 marzo
Non ho più scritto dalla settimana scorsa e penso che scriverò più raramente, anche se più intensamente. Questo perché sto lavorando anche ad altre cose. Sto prendendo degli appunti sonori che vorrei confluissero in dei video, per cercare di afferrare qualcosa di più di questo mondo, universo, che ci si è rivelato.
Per ora mi limito a montare e distorcere campioni, in cerca di ottenere quel nonsoché in più.
È difficile essere imparziali coi suoni. Mi faccio prendere la mano e finisco per inscatolare tutto in un brano. Il fatto è che certe dinamiche sono più semplici da trasdurre, con dei ritmi, un inizio ed una fine. In effetti anche lo scritto ha un ritmo e dei capitoli. Ora ho l’orecchio pieno, continuo da dov’ero rimasto.
L’esondazione ed Aru
P arte dei bipedi che aveva scelto di non prendere una posizione precisa aveva nel frattempo tenuto i contatti con una specie di agglomerato-pesce di fiume assai saggia e prosperosa che ancora scambiava informazioni con le acque. Dopo poco tempo la notizia della guerra arrivò al fiume della scimmia di pietra. Fu così che il corso d’acqua, che fino ad allora aveva adattato la sua portata alle stagioni e ai cambiamenti atmosferici, si infuriò e cominciò a gonfiarsi.
Prima Insti e poi Ratio vennero distrutte e i loro abitanti spazzati via. La motivazione di tale collera non risiedeva in un sentimento di vendetta divina.
Semplicemente il torrente aveva qualcosa da dire alla specie bipede e il conflitto causato da Institi e Ratioti ostacolava l’instaurarsi di un dialogo eterocosciente.
Il messaggio era assai importante ed una cosa così insignificante come il primo conflitto bipede non aveva ragione di essere. Sopravvissero solo i bipedi liberi ed alcuni soggetti delle due fazioni che, perdendo le loro società, morirono in poche notti di crisi d’identità.
Fu così che in poco tempo i bipedi liberi da sovrastrutture rimasero gli unici in circolazione. Tra essi, coloro che avevano assistito alla distruzione delle due città, osservarono con particolare attenzione l’accaduto. Mai un fiume aveva agito autonomamente. Il fiume doveva avere qualcosa da dire, ecco il perché di questa esondazione.
Fu così che diversi bipedi decisero di chinarsi sulle sponde del fiume della scimmia di pietra per cercare di ascoltare che cosa quest’ultimo avesse da dire. Il cielo era coperto quella notte. Una squadra non troppo numerosa di bipedi accorse verso il fiume, si inginocchiò e appoggiando l’orecchio al suolo si mise in posizione d’ascolto. Inizialmente nessuno sentì nulla.
Dopo poco tempo uno di loro cominciò a sentire una sequenza di suoni dentro la sua testa: “...aruaruaruaru...”. Fu allora che le sue labbra pronunciarono un timido: “...aru”. Tutti gli altri bipedi sulla spiaggia udirono il compagno pronunciare la parola e, nella loro concentrazione, iniziarono tutti a sentire: “...aruaruaruaru...”.
La piccola folla si precipitò verso l’acqua forsennatamente ripetendo: “...aruaruaruaru...”.
Si misero a scavare con foga nel letto del fiume, vicino a due
rocce, una muschiosa e l’altra nuda. Le mani setacciavano la sabbia ricoperta dalle acque. Uno dei bipedi smise quando riuscì ad estrarre una particolare pietra: “...aruaruaruaru...”. In poco tempo tutti i presenti avevano tra le mani un piccolo minerale lucente che, passate le nubi, aveva iniziato a scintillare e a rifrangere le luci della luna con un effetto quasi ipnotico. Non ci fu molto da discutere, tra i bipedi quel tipo di pietra avrebbe preso il nome di Aru.
Il sonno, il sogno
F ino a quella notte nessuno si era mai addormentato tranquillamente.
Il sonno veniva considerato qualcosa di non desiderabile, incuteva timore nei bipedi. Ma quella notte, un po’ per la fatica accumulata nello scavare ed un po’ perché qualcosa si stava evolvendo nella loro consapevolezza, il riposo fu qualcosa di ricercato e di goduto.
Così come vennero goduti i sogni che sino ad allora erano stati vissuti come un alter vita, mandando in confusione tutti gli esseri viventi che, al risveglio, iniziavano di nuovo a vivere senza tener consapevolmente conto delle esperienze dei giorni e delle notti passate. Dopo quanto accadde iniziò ad essere compresa l’impalpabile e relativamente assoluta verità del sogno.
Il mattino seguente la squadra di bipedi che aveva scoperto Aru si radunò per descrivere che cosa la pietra avesse rivelato a loro nel sonno.
Alcuni descrissero gloriose società ricche di costruzioni tappezzate di Aru, dove chiunque poteva mangiare Aru ed essere sazio, dove Aru era in grado di soddisfare qualsiasi
desiderio. Altri avevano visto la pietra come una reincarnazione dello spirito dei propri antenati, per loro Aru aveva la capacità di trasmettere saggezza a chiunque e di poter indicare la via da seguire. Qualcuno aveva avuto fantasie stravaganti dove Aru, prendendo la forma di un destriero tremolante, poteva essere cavalcato per arrivare più lontano della mente, oppure, per altri Aru poteva essere presente all’interno di ogni cervello animale per mettere in moto qualsiasi agglomerato-vita. Molti di coloro che avevano espresso queste visioni si ritrovarono per crederci fermamente. Persero la capacità di avere sonno e la loro vita terminò presto in una follia autodistruttiva. Altri iniziavano a comprendere le varie nature del sogno. Compresero che Aru sì, era importante, ma che poteva essere qualcosa di così importante da diventare pericoloso. Bisognava, prima di perdersi in una ricerca senza senso, comprendere come mai questo tipo di pietra avesse preso così piede nelle loro fantasie notturne. Bisognava comprenderne la natura e capire se potesse esserci un utilizzo non dannoso della nuova risorsa. Quello che certamente compresero, coloro che non persero
il senno dopo quella notte, fu che il sonno era qualcosa di costruttivo. Non era la morte della giornata, bensì un meritato riposo che il fisico e la mente richiedevano per poter continuare ad estendere la propria consapevolezza a livelli che erano stati considerati fino ad allora irraggiungibili. Inoltre alcuni capirono che per non odiare il sonno era necessaria una sorta di sicurezza. Serviva una fiducia che non risiedeva esclusivamente nel sapere di svegliarsi ogni mattina. Era necessario fidarsi degli altri viventi e soprattutto dell’ambiente che circondava i bipedi la notte. Bisognava fidarsi degli alberi e delle grotte. Fidarsi dei torrenti e dei fiumi, dei fuochi. Fidarsi del cielo. Bisognava prima comprendere al meglio questi elementi per non rimanere inghiottiti dal flusso di ciò che era altro.
A volte questa comprensione non era sufficiente e qualcuno finiva sbranato da una bestia o morto annegato in una grotta. I bipedi aprirono gli occhi come mai avevano fatto prima, grazie ad Aru. Inizialmente alcuni intuirono che il fiume della scimmia di pietra potesse avere una propria autonomia. Un’autonomia che non sottostà alle leggi del tempo. Ci si accorse man mano che tutti i fiumi e torrenti possedevano questa consapevolezza,
anche l’acqua che li alimentava attraverso le sorgenti o dal cielo possedeva questa caratteristica. Ogni elemento che componeva il pianeta possedeva una sua propria consapevolezza dalle montagne ai fili d’erba, dalle nuvole agli insetti. L’auto-consapevolezza non era più l’unica componente necessaria, o meglio, stava risultando obsoleta.
Arkei
Oltre a continuare la ricerca apparentemente insensata di pepite di Aru, in molti si misero a studiare in maniera approfondita gli elementi per poterli comprendere in maniera esaustiva. Gran parte dei bipedi cominciò a passare le giornate ad osservare il tutto, le notti a rielaborare i dati in base alla consapevolezza acquisita.
Alcuni si impuntarono nel voler comprendere un singolo elemento, trascurando cosi la fase notturna. In una stagione questi ultimi fusero la propria consapevolezza con ciò che stavano studiando. Presero vita gli Arkei: creature che fino ad allora non avevano mai vissuto sul pianeta, creature non dotate di consapevolezza.
Le due consapevolezze in contrasto avevano dato un risultato nullo, dotando questi esseri di una duplice natura, di un duplice istinto, di una duplice fame. Nacquero bipedi quercia, fiamme parlanti, colline mangiatrici e qualsiasi altra combinazione possa venire in mente.
Coloro che si fidavano ciecamente degli elementi davano vita ad una nuova forma di Arkeo.
Avendo una duplice fame, queste creature pensavano
esclusivamente a nutrirsi. Un Arkeo-fiamma divorava le foreste e risucchiava avidamente l’aria, Un Arkeo-fiume si espandeva enormemente per raccogliere più pioggia possibile e, così facendo, distruggeva tutto ciò che toccava. Inoltre quando due esemplari differenti si mangiavano a vicenda davano vita ad una nuova specie che, possedendo ancora più fame, si nutriva di tutto ciò che gli stava attorno forzando le leggi del tempo.
Dai bipedi rimasti gli Arkei erano considerati creature terribili, che ostacolavano la ricerca di Aru e della consapevolezza, ostacolavano l’esistenza.
Molti si fermarono a questo primo giudizio fino a che alcuni non decisero che era giunto il momento di arrestare quest’ondata distruttiva. In molti persero la vita cercando invano di contrastare queste creature.
Dopo diversi giorni i bipedi che si erano riuniti per trovare una soluzione escogitarono un piano. Bisognava che un volontario, tenuto strettamente sotto controllo, si trasformasse in un Arkeo-tempo così da poter velocizzare il trascorrere dell’esistenza degli altri Arkei, riuscendo a farli soccombere prima che si potessero cibare di altre distruzioni.
Farlo non sarebbe stato semplice.
Nessun Arkeo era mai riuscito a mantenere il controllo ed un Arkeo-tempo libero di vagare avrebbe potuto portare a perdite inimmaginabili.
Fu così che una squadra di cinque bipedi si recò su un altopiano lì vicino. Giunti al centro di una radura si sedettero. Uno si posizionò al centro per contemplare lo scorrere del tempo, gli altri quattro si sistemarono attorno, mantenendo comunque una buona distanza. Loro avevano il compito di osservare e controllare la trasformazione in modo da capire se fosse possibile arginare la potenza di un Arkeo. Passò un giorno ed una notte.
Venerdì 24 aprile
È
passato un mese dall’ultima volta che ho scritto. Scrivendo si fa veloci e si astrae con più disinvoltura. Ho messo sul fuoco tanta carne che è un po’ più lenta nella cottura. Stanno prendendo forma delle tavole illustrate, oltre a dei piccoli dipinti. Sto cercando di fare dei video, seguendo le tracce audio. Sono arrivato al quinto.
Ho usato riprese già esistenti, per lo più scientifiche, prese da archivi online. In computer grafica riesco a fare ben poco. Il computer non ce la fa, per fare un rendering ci ho messo cinque giorni. Allora ho usato per lo più campioni tratti da documentari e film. Distorcendoli riesco ad astrarre leggermente la forma e ad indirizzarla verso ciò che mi serve.
Con fatica, sia mia che del processore. Meglio scrivere, per ora.
L’Arkeo-tempo, un bambino centenne
I l mattino seguente colui che aveva il compito di contemplare il tempo si inscurì in volto. Un Arkeo-tempesta si stava avvicinando. Destinato a stare al centro, il bipede, divenne sempre più scuro fino a diventare interamente nero. Gli steli d’erba e le piante attorno a lui crescevano gradualmente fino ad appassire, per poi diventare polvere. Le carni del bipede iniziarono a contorcersi. Come in un turbine, tutto ciò che lo circondava cresceva rapidamente per poi morire. La terra rinsecchiva, le piante si sgretolavano e l’aria diventava pesante. Il corpo del bipede era ormai diventato un nucleo informe e nero, con sfumature color catrame, al centro di una bufera temporale che aveva ormai raggiunto le dimensioni della radura. L’Arkeo-tempo si era formato. I quattro sorveglianti si erano allontanati frettolosamente dalla postazione, l’Arkeo-tempesta era ormai arrivato all’altopiano. Lo scontro con l’Arkeo-tempo era giunto. Tutto ciò che componeva l’Arkeo-tempesta, dalle nuvole alla pioggia, dal vento ai fulmini, appena entrava in contatto con la sete di
tempo del nuovo Arkeo, velocizzava il suo ciclo muovendosi freneticamente, perdendo infine qualsiasi consistenza. Quando il turbine temporale raggiunse il nucleo nero dell’Arkeotempesta esso scomparve in un bagliore lasciando il cielo sereno. Era stato eliminato un Arkeo con un altro Arkeo. Quando il nucleo della tempesta si estinse continuò ad agire il potere dell’Arkeo-tempo che muovendosi lasciava dietro di se una scia di polvere e morte. Ora aveva fame di altri Arkei.
I sorveglianti intuirono la natura di quell’essere e corsero cercando di avvisare tutti i loro simili sulla traiettoria dell’imminente pericolo. Ma l’Arkeo-tempo si muoveva più rapidamente e si dirigeva verso un Arkeo-frana velocizzando la decomposizione di tutto ciò che si trovava davanti. Fossilizzò l’Arkeo-frana, spense un Arkeo-incendio e asciugò un Arkeofiume. Il tutto in pochissimo tempo. Ma gli Arkei in circolazione erano oramai almeno un centinaio.
L’Arkeo-tempo divorava gli altri Arkei e la rete di traiettorie da lui percorse si infittiva e si espandeva sempre di più. Coloro che sopravvivevano si chiedevano cosa sarebbe successo una volta estinti gli altri Arkei. La paura era nell’aria.
I quattro sorveglianti che avevano assistito al primo conflitto tra Arkei si erano resi conto che per estinguerne uno bisognava
annientare il suo nucleo. Calò la notte e gli Arkei vennero divorati dall’Arkeo tempo. Le distruzioni furono incalcolabili sul pianeta. Nella notte uno dei sorveglianti, che aveva da poco perso una sorella durante la genesi del suo primo figlio, prese una decisione assai combattuta. Decise di sacrificare se stesso e il neonato nel tentativo disperato di estinguere una volta per tutti gli Arkei dal pianeta.
La soluzione gli era giunta in sogno grazie ad una pepita di Aru, decise che al mattino seguente l’avrebbe messa in pratica. Ricavò un ciondolo dalla pepita per poi metterla al collo del bambino, si recò sulla cima di una montagna verso cui l’Arkeotempo stava andando a riposarsi dopo aver distrutto tutti gli altri Arkei.
Il bambino, ignaro della situazione, giocava a girarsi la pepita tra le mani, era nelle braccia del bipede che, nel mentre, piangeva.
Le lacrime avevano iniziato a cadere sulla testa del neonato, che iniziava ora a preoccuparsi.
Il sorvegliante iniziò a correre giù dal pendio della montagna per lanciarsi insieme al piccolo verso il nucleo dell’Arkeotempo.
Fu così che balzando su una roccia spiccò un salto verso il turbine distruttivo della creatura. Urlando lanciò il neonato verso il nucleo arkeico.
In pochi istanti si asciugò per diventare scheletro ed infine polvere. Nel volo il bambino crebbe, diventò in un batter d’occhio ragazzo e poi adulto. Raggiunse il nucleo nero che era ormai vecchio.
La pepita di Aru che aveva al collo iniziò ad assorbire il nucleo del tempo e in un attimo diventò nera e traslucida.
L’Arkeo-tempo era stato distrutto.
Non c’erano più Arkei sul pianeta. Al posto dell’ultimo nucleo giaceva a terra un bambino nel corpo di un centenne che teneva al collo una pietra nera. Questo bipede, per quanto non avesse avuto il tempo di imparare alcun che, possedeva la consapevolezza di ciò che era accaduto.
Per paura di essere ucciso dalla disperazione che aveva assalito i parenti delle vittime dell’Arkeo tempo, fuggì nel bosco.
Aru-kdar
L a scia distruttiva dell’Arkeo-tempo aveva cambiato diverse cose sul pianeta.
Parte dei bipedi più giovani, entrando in contatto con la fame temporale mentre stavano toccando o indossando Aru, non morì ma crebbe, invecchiando. L’Aru in questione divenne nero, quasi traslucido. Divenne Aru-kdar.
Un bipede intento a lavorare con una zappa in Aru invecchiò di punto in bianco. Nelle sue mani, una macrozappatrice ad energia lunare.
Un anziano stava cambiando la candela sul suo candelabro. Non riuscì a vedere che esso si era trasformato in un biobulbo nero che riusciva ad accumulare le luci degli ambienti circostanti per poi riuscire a rilasciarne in basse quantità costanti, bastevoli a scrivere la notte.
Questi sono solo esempi. Aru si era evoluta tenendo conto della funzione che gli era stata impressa dai bipedi. Inizialmente questi ultimi non capivano come avvicinarsi a nuove creazioni come incisori automatici multicolore, accendi fiamma a contatto, previsori temporali...
Passò una stagione. I bipedi superstiti la passarono a ricostruire sfruttando anche la rete di strade che aveva lasciato dietro di sé l’Arkeo-tempo. Nel frattempo coloro che possedevano questi nuovi oggetti in Aru-kdar avevano segretamente iniziato a provarli. Spesso i tentativi culminavano in tragedia, ma talvolta si ottenevano ottimi risultati. Sempre in segreto, questi bipedi si riunivano per scambiarsi pareri sull’accaduto. La teoria più diffusa tra questi giovani in corpi di anziani era che Aru gli avesse dato il compito di impartire nozioni ai loro fidati senza però dare strumenti per capirle. Si formò una cricca di devoti a questi sapientoni e all’Arukdar. Odiavano gli Odri e il loro scopo era diventato quello di raccogliere più Aru possibile per arrivare agli Odri. Difatti, un artigiano che stava lavorando ad una sorta di occhiale, aveva visto tutti i vecchi tentativi e gli scarti di materiale riunirsi in un multiscopio dimensionale. Nel provare lo strumento rimase come in catalessi non avendo le strutture cognitive adatte a comprendere ciò che stava vedendo. Triste per la perdita dei suoi simili nel disastro e allucinato dal multiscopio, aveva fuso le sue visioni dando la colpa dell’accaduto agli Odri: creature dello spazio che a suo dire avevano persuaso i bipedi a diventare Arkei per poi ripulire
il pianeta. Il suo delirio aveva convinto i devoti di Aru che vedendo il suo multiscopio lo credevano potentissimo. Così l’ormai anziano artigiano convinse man mano i suoi adepti ad entrare in possesso di più Aru possibile, per poter così costruire un esportatore dimensionale in grado di trasferirli nello spazio a distruggere gli Odri. Questo esportatore era stato visto grazie al multiscopio, ma nessuno sapeva come potesse funzionare o come costruirlo.
Alcuni di coloro che avevano assistito alla distruzione dell’Arkeo-tempo parlavano di un bambino nel corpo si un centenne in possesso dell’Aru-kdar. Nessuno l’aveva più visto dopo la notte dell’accaduto ma si erano convinti che in un qualche modo potesse centrare col disastro, sapere di più sulla natura degli Odri o magari essere in combutta con questi ultimi.
Giovedì
Mi sta venendo la malsana idea di mostrare a qualcun altro questi elaborati.
L’altroieri a cena da G. ho provato a raccontare del mio ritrovamento. Mi guardavano con aria stranita, come se fossi impazzito di punto in bianco. Spero che mostrare anche disegni e video non peggiori la situazione ma che possa convincerli del mio racconto.
7 maggio
L’avvicinamento
A lcuni Odri si erano trasformati in stato liquido. Questa era stata l’ultima informazione che da un pianeta era giunta nella rete della consapevolezza. Risultava solo una piccola anomalia data da un Odrefiume. Quest’anomalia non veniva compresa dagli Odri che nel frattempo avevano finito di analizzare tutto il restante universo. Terminato il lavoro di comprensione, scelsero di cambiare universo, sperando così di poter ampliare la rete di informazioni. Bisognava però risolvere l’anomalia data dal fiume in modo da avere la certezza di non abbandonare alcun Odre a contaminare l’universo . Farlo senza liquefarsi era l’unico modo per non rischiare di aggravare la situazione. Altre trasformazioni di stato da parte di un Odre avrebbero potuto portare nuove anomalie.
Fu così che si spostarono sul confine con l’atmosfera del pianeta in questione per cercare di capire cosa stesse accadendo. Sul pianeta la cosca dei devoti all’Aru-kdar stava gradualmente acquisendo potere, convincendo più o meno persuasivamente i suoi adepti e prigionieri a scavare per raccogliere più gemme
di Aru possibile. Il regno di coloro che andavano delineandosi come veri e propri tiranni si stava espandendo a macchia d’olio grazie alle tecnologie e alle strade lasciate dall’Arkeo-tempo. L’unico Arkeo a non essere odiato da questi ultimi. Difatti i bipedi che ricoprivano i ruoli di maggior rilievo avevano deciso di avviare nuove sperimentazioni per poter ricreare un Arkeo-tempo, in grado di dare nuove strumentazioni super avanzate in Aru-kdar.
Questi esperimenti fallivano sempre, il tempo divorava il corpo di chi provava ad incarnarsi in lui, rendendolo polvere.
La motivazione di ciò risiedeva nel fatto che spesso, coloro che tentavano la trasformazione, erano prigionieri costretti a far da cavia sotto minaccia o bipedi ridotti in miseria che speravano in glorie e fortune.
Parallelamente avanzavano gli esperimenti per la costruzione dell’esportatore dimensionale e dei primi automi da guerra alimentati ad Aru-kdar, pronti per combattere gli Odri. Questi tentativi ottenevano più successi di quanti ne riuscissero ad ottenere quelli per l’Arkeo-tempo.
Gli adepti di Aru avevano in effetti costruito un esportatore in grado di trasferire i bipedi e gli automi in aria, ai confini dell’atmosfera, ma anche loro capivano poco come utilizzarlo.
Una volta trasferiti i bipedi si carbonizzavano per le temperature eccessive dell’esosfera e si schiantavano al suolo, schiacciati dalla forza di gravità, ridotti ad ammassi bruciati. Gli automi sembravano non subire la forza di gravità e riuscirono ad arrivare ai confini con lo spazio, vicino ad ammassi di consapevolezza che cercavano di scrutare all’interno dell’atmosfera. Gli Odri erano giunti per risolvere l’anomalia percepita. L’arrivo degli Odri non era passato inosservato all’anziano tiranno possessore del multiscopio, il quale aveva dato ordine di forzare i tentativi di trasferimento. Fu un massacro di bipedi. Nessuno di loro sopravviveva. Invece un orda di automi sempre più numerosa si aggirava libera per l’esosfera senza qualcuno che potesse dar loro ordini. Sul suolo invece tutti i bipedi fomentati erano pronti ad uno scontro terrestre. Sembrava tutto predisposto per una guerra che minacciava di essere devastante.
Martedì 19 maggio
Questa sera credo proprio che terminerò la parte scritta. Devo fare delle pause. Mi si incrociano gli occhi dopo tanto lavoro al computer. In compenso con video e musica sono a buon punto.
Le reazioni di coloro che hanno visto ciò che sto facendo si dividono, da una parte c’è chi mi crede fuori di senno, dall’altra chi è incuriosito e vorrebbe vedere di più. Sperando che si possa capire qualcosa dal poco che ho capito io, ho deciso che pubblicherò tutto ciò, in un qualche modo.
Probabilmente sarà una pubblicazione stampata che racchiude scritto e tavole, attraverso la quale si potrà accedere ai suoni e ai video.
Magari la rendo fruibile anche in versione digitale, sul web e chissà magari un giorno potrà diventare una specie di installazione.
L’attrazione
Negli ultimi mesi un bambino nel corpo di un centenne, che teneva al collo una pepita di Aru-kdar, si era isolato su una montagna per poter assimilare tutta la consapevolezza che era stata riversata dentro di lui in così poco tempo. Era cosciente dei motivi che lo avevano portato ad invecchiare velocemente. Così passava le giornate ad interrogarsi su questi suoi saperi. Finché un giorno, dentro di lui, iniziò ad affiorare il sospetto di un trapasso di coscienza. Probabilmente il bipede adulto doveva aver trasferito le conoscenze nel neonato durante il salto nel vortice turbolento dell’Arkeo tempo.
Ma come poteva riflettere così lucidamente su ricordi altrui senza mai averli vissuti? L’Aru era stato creato dagli Odri di fiume per raccogliere le informazioni che gli scarti-vita chiamati bipedi avevano iniziato a tenere per se con la creazione dell’Io. Lo scopo degli Odri di fiume era di immettere finalmente queste informazioni nella rete di consapevolezza. Così hanno richiamato i bipedi che, raccogliendo pepite di Aru, hanno depositato le loro informazioni nel contenitore.
L’Aru-kdar non era altro che il contenitore chiuso, pronto per essere assorbito dagli Odri ed essere immesso nella rete.
Il bambino centenne non riusciva a spiegarsi come mai lui potesse essere venuto a conoscenza di queste informazioni in questo momento. Aprì gli occhi e con immenso stupore notò che stava levitando verso il cielo, molto lentamente. Le sue carni stavano iniziando a perdere consistenza. Poco lontano, all’arsenale dei devoti ad Aru, il bambino centenne venne notato fluttuare per aria dal multiscopio. Non ci fu neanche il tempo di lanciare l’allarme. Ogni pepita di Aru aveva iniziato ad inscurirsi e a levitare lentamente verso l’alto assieme all’Aru-kdar. Improvvisamente ogni bipede smise di fare ciò in cui era impegnato, il tiranno del multiscopio si infuriò e inveì contro i suoi adepti che parevano non sentirlo.
I corpi dei bipedi avevano iniziato a rarefarsi e qualcuno si stava già librando per aria. Gli Odri avevano compreso cosa era accaduto e avevano iniziato ad attrarre sempre più forte le particelle di consapevolezza che abitavano il pianeta, i loro simili. Inizialmente attirarono a sé l’Aru, poi i bipedi. Anche gli animali e le piante stavano abbandonando la loro consistenza sganciandosi dal pianeta. Nel frattempo il tiranno si era chiuso nell’esportatore in un
disperato tentativo di fuggire prima di essere attratto dagli Odri. L’unico modo era cambiare universo, cosa che non era mai riuscita all’esportatore. Prese una pepita di Aru-kdar e la inserì nel dispositivo d’alimentazione dell’apparecchio. La forza attrattiva degli Odri era arrivata al culmine. Le ultime piante stavano lasciando il pianeta mentre le acque avevano appena iniziato. Ogni pepita di Aru era diventata nera e come ogni altro corpo perdeva consistenza una volta uscita dall’atmosfera. Rimaneva solo pura consapevolezza che andava ad immettersi nella rete odriaca. Il tiranno, ai limiti dell’inconsistenza, era riuscito a staccarsi dal suolo per cambiare universo ma nel frattempo gli Odri attraevano anche il pesantissimo esportatore. Quando anche le acque iniziarono a staccarsi dal suolo, come in un implosione, l’esportatore sparì. Non raggiunse mai un altro universo, non intero. Frammenti di esso si dispersero per gli universi, mentre il pianeta rimase spoglio di qualsiasi consapevolezza odriaca, immacolato, come se niente o nessuno l’avesse mai popolato.
Sabato 6 giugno
Ho terminato di realizzare tutto, testo, tavole, musica e video. Dopo tutte queste fatiche penso di aver rivissuto l’esperienza con più lucidità. Qualche ricordo rimane troppo confuso. Ma chissà.
O. mi aiuterà nel realizzare un sito web che contenga il materiale. Inoltre presto stamperò la pubblicazione che sto impaginando, che comprenderà anche queste parole che scrivo. Ora, potrei azzardare delle ipotesi su quale sia la natura di ciò che ho trovato nel bosco pochi mesi fa. Non vorrei influenzare le opinioni di chi esperirà questa narrazione, tramite quello che ho elaborato nel frattempo. Queste opinioni sono preziose e vorrei raccoglierle, potrebbero ampliare ciò che è stato.
un agglomerato di scarti
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