Un ballo in maschera. Breve introduzione all'opera di Giuseppe Verdi

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44a Stagione lirica Guida all'ascolto Giuseppe Verdi

con il patrocinio della Provincia di Lecce


IL PIU’ MELODRAMMATICO DEI MELODRAMMI

Breve introduzione all’ opera “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi, secondo allestimento scenico in Cartellone per la 44° Stagione Lirica della Provincia di Lecce di Fernando Greco

UNA GENESI TRAVAGLIATA

Storica incisione di Maria Callas

“Un ballo in maschera” rappresenta il frutto della piena maturità umana e artistica di Giuseppe Verdi (1813 – 1901), icona del teatro musicale europeo, di cui quest’anno si celebra il 200° anniversario della nascita. Eppure l’opera ebbe una genesi travagliata che scoraggiò non poco il Bussetano, già conosciuto nei teatri di tutta Europa come il più celebre compositore del suo tempo grazie ai titoli della cosiddetta Trilogia Popolare (Rigoletto, Trovatore e Traviata). Dopo l’insoddisfacente esperienza parigina de “Les vêpres siciliennes” (1855) e il parziale insuccesso del “Simon Boccanegra” a Venezia (1857), Verdi si era impegnato a comporre un’opera per il Teatro San Carlo di Napoli lavorando a braccetto con il librettista Antonio Somma sul dramma di Eugène Scribe “Gustavo III di Svezia”, già musicato da artisti coevi (Auber, Mercadante), dramma ispirato all’omicidio dell’omonimo re svedese compiuto nel 1792, durante un ballo in maschera, da parte di un gentiluomo di corte. Purtroppo l’argomento storico della pièce, culminante con l’assassinio di un monarca, ricevette il netto divieto da parte della censura borbonica, all’indomani dei falliti attentati nei confronti sia di re Ferdinando II sia di Napoleone III. A nulla valsero i mille rimaneggiamenti del libretto, tanto che alla fine il compositore, vivamente infastidito, ruppe il contratto con i committenti procurandosi una citazione in tribunale dalla quale però uscì vittorioso. Ci pensò l’intraprendente “sor Cencio” alias l’impresario romano Giuseppe Jacovacci, già artefice del debutto del “Trovatore” nel 1853, a far debuttare a Roma la nuova creazione verdiana, dopo aver ottenuto il visto della censura pontificia a patto di trasferire lo scenario del dramma fuori dall’Europa. L’azione venne dunque spostata da Stoccolma a Boston, Gustavo III di Svezia divenne Riccardo conte di Warwick e l’opera, il 17 febbraio 1859, giunse sul palcoscenico del teatro Apollo, dove ottenne un successo strepitoso. Il vento tornava a spirare favorevolmente per l’insigne Maestro, che nello stesso anno sposò il soprano Giuseppina Strepponi, con la quale già da otto anni si era stabilito nella villa acquistata a Sant’Agata, frazione di Villanova sull’Arda in provincia di Piacenza.

LA CIFRA DELL’AMBIGUITA’

Sor Cencio in una caricatura

Nonostante la farraginosità di un libretto talora imbarazzante (si pensi al famigerato verso “sento l’orma de’ passi spietati”) si può concordare con Gabriele D’Annunzio (1863 – 1938) nel definire quest’opera “il più melodrammatico dei melodrammi” quando si pensi al geniale canovaccio drammaturgico-musicale in cui trova posto l’elemento tragico e il grottesco nonché la complessa psiche dei personaggi, evidenziata dalla musica ancor prima che dal canto o dalla vicenda tout-court. Un piatto di tale prelibatezza non può mancare poi di una spolverata di magia, quel carattere “noir” così caro


a certo Romanticismo, qui presente negli scuri accenti della maga Ulrica. La cifra dell’ambiguità, così estrinseca nelle sopranili colorature del paggio Oscar, serpeggia nondimeno nei caratteri di tutti i protagonisti, così divisi tra pubblico e privato, ragione e sentimento. In quel formidabile gioco di specchi che è il teatro, a sua volta riflesso dell’esperienza umana reale, tutti i protagonisti sono al contempo vittime e carnefici, traditori e traditi. E se non meraviglia trovare in Renato la complessità di figure baritonali per le quali il compositore ha già mostrato particolare predilezione (pensiamo a Nabucco, il doge Foscari, Rigoletto, il Conte di Luna, Macbeth, Boccanegra), piace notare nella galleria verdiana la comparsa di un tenore finalmente interessante, non il solito damerino dal cliché vistosamente ortodosso, ma un personaggio di estrema intensità e grande ricchezza, inferiore soltanto al più tardivo Otello. In Riccardo si sovrappongono ben tre tipi psicologici: quello del monolitico uomo di stato, quello dell’innamorato senza speranza, quello del gaudente sornione. Di conseguenza il ruolo necessita di una voce tenorile che, oltre ad avere una notevole espansione lirica, sappia anche piegarsi a virtuosismi belcantistici (è il caso del finale primo, quando Verdi pretende che Riccardo canti “con eleganza”).

UN TERZETTO SUBLIME Il dramma di Amelia, protagonista femminile dall’animo martoriato, anticipa quello di Aida per analogia di ansie e rimorsi, per l’interiore complessità dei sentimenti che però, al contrario di quanto succederà alla schiava etiope, qui non sfociano nell’estremo e consapevole sacrificio di sé. A lei Verdi dedica in ogni atto i temi musicali più intriganti e le melodie più fascinose, ma il momento più sublime, dal punto di vista sia musicale sia drammaturgico, è rappresentato dal formidabile terzetto del primo atto tra Amelia, Riccardo e Ulrica, in cui l’aerea preghiera del soprano (“Consentimi, Signore”), dalla valenza decisamente liturgica, si contrappunta in maniera geniale alle frasi carnali e passionali del tenore e a quelle sulfuree del mezzosoprano. Al melomane non sarà di certo sfuggita la magistrale interpretazione di Maria Callas, che nel 1956 realizza una storica incisione discografica con l’Orchestra del Teatro alla Scala diretta da Antonino Votto, in compagnia di un Giuseppe Di Stefano in stato di grazia, irresistibile nel ruolo di Riccardo. Antonio Somma

Figurine Liebig

Partiture d’epoca


LA TRAMA Atto Primo

Atto Secondo

Quadro Primo – A Boston, in una sala del palazzo di Riccardo conte di Warwick. E’ giorno di udienza e tutti attendono l’arrivo del conte; tra i presenti anche Samuel e Tom, due congiurati che in segreto complottano per ucciderlo. Il paggio Oscar annuncia l’ingresso di Riccardo, a cui porge la lista di coloro che sono invitati al grande ballo in maschera che si terrà a palazzo fra qualche giorno. Nell’esaminare l’elenco, Riccardo legge il nome di Amelia, moglie del segretario e fedele amico Renato: egli ne è segretamente innamorato e perciò è felice all’idea di rivederla. Renato, vedendo il conte pensieroso, gli dice di conoscere bene il motivo di quest’ansia, ovvero il fatto che alle sue spalle si stia tramando una congiura. Riccardo, inizialmente timoroso all’idea che Renato potesse aver scoperto il vero oggetto dei suoi pensieri, quando sente parlare di congiura si rilassa e rifiuta di voler sapere il nome dei congiurati: all’amico che gli consiglia di essere prudente per salvarsi la vita, il conte risponde spavaldamente che gli è sufficiente l’affetto dei suoi sudditi e l’amore di Dio. Un giudice della contea presenta a Riccardo delle sentenze da sottoscrivere, fra le quali vi è un mandato di esilio nei confronti di una donna. Il conte chiede spiegazioni: si tratta di Ulrica, una fattucchiera dalla pelle scura, che sarebbe responsabile di immonde nefandezze. Il parere del giudice viene però contraddetto da Oscar, che invece loda i formidabili poteri della maga e ne consiglia l’assoluzione. Divertito dalla situazione, Riccardo decide di andare di persona a conoscere Ulrica. Perciò dà appuntamento a tutta la corte nell’antro della strega: egli stesso vi giungerà sotto mentite spoglie, per scoprire la verità senza essere riconosciuto.

E’ notte nel campo delle esecuzioni capitali. Amelia, tremante dalla paura, cerca la magica pianta consigliatale da Ulrica, ma è presa da ripensamenti: perché cercare di estirpare dal suo cuore quell’unica passione per la quale vale la pena di vivere? Si fa avanti Riccardo, inizialmente scambiato per un fantasma: l’uomo le dichiara tutto il suo amore ed ella, dopo le prime reticenze legate al fatto di essere moglie del più fido amico del conte, finalmente ammette di essere perdutamente innamorata di lui. Le amorose effusioni vengono interrotte dall’arrivo di Renato, giunto per salvare Riccardo dall’imminente arrivo dei congiurati. Frattanto Amelia si è coperto il volto con un velo per non essere riconosciuta dal marito. Riccardo fugge, ma prima affida a Renato la misteriosa donna velata, affinché egli la accompagni in città senza cercare di scoprirne l’identità. Irrompono i congiurati tra i quali vi sono Samuel e Tom. Sorpresi di trovare Renato al posto del conte, essi vorrebbero scoprire l’identità della dama. Al rifiuto di Renato nasce una colluttazione. Per interporsi nel tafferuglio Amelia perde il velo: la tragedia si muta in commedia e Renato viene schernito dai cospiratori ai quali per tutta risposta egli dà appuntamento per l’indomani, meditando propositi di vendetta.

Quadro Secondo – Nell’antro di Ulrica. Davanti a una grande pentola in ebollizione, la maga invoca Satana e poi comincia a predire il futuro ai presenti. Giunge Riccardo, travestito da pescatore, e osserva divertito l’ambiente. Il marinaio Silvano chiede alla strega di predirgli se vi sia all’orizzonte qualche premio per lui che da tanti anni è al servizio del conte. Ulrica, leggendogli la mano, intravede un’imminente promozione. Il conte, lusingato dalla fedeltà dell’uomo, fa scivolare furtivamente nella sua tasca una pergamena che contiene la sua nomina a ufficiale. Scoperto il foglio, il marinaio rende partecipi tutti del miracolo, lodando i poteri della maga. Furtivamente, un servo di Amelia riferisce a Ulrica che la sua padrona è fuori e attende di essere ricevuta in maniera riservata; pertanto la strega allontana tutti con una scusa. La scena non è sfuggita a Riccardo che, avendo riconosciuto il servo di Amelia, rimane all’interno dell’antro nascondendosi in un angolo buio. Giunge Amelia: la donna, visibilmente agitata, chiede a Ulrica un rimedio per togliersi dalla testa un amore impossibile. La maga le consiglia una pozione ottenuta da un’erba magica che cresce tra i ceppi del campo in cui vengono giustiziati i condannati a morte. Amelia si propone di andare a raccogliere quella pianta in quella stessa notte; Riccardo, che ha udito tutto senza essere visto, decide di seguire l’amata. La donna va via e tutti gli altri rientrano presso la maga. Riccardo le porge la mano e Ulrica, tra lo stupore generale, predice a malincuore che egli, pur essendo un valido guerriero, presto sarebbe stato ucciso non sul campo di battaglia bensì per mano di un amico, colui che per primo gli avrebbe stretto la mano. Per smorzare il generale imbarazzo, Riccardo porge la destra ai suoi sperando che qualcuno voglia sfidare l’infausto oracolo, ma nessuno osa muovere un dito. Giunge Renato che, ignaro della premonizione, stringe la mano al conte. Tutti tirano un sospiro di sollievo e inneggiano a Riccardo conte di Warwick, che rivela a Ulrica la sua vera identità e si burla di lei poiché non soltanto ella non è riuscita a smascherarlo, ma inoltre le sue previsioni si sono rivelate erronee, in quanto colui che gli ha stretto la mano è il suo amico più caro. Per di più le sue presunte doti sovrannaturali non le sono servite a metterla in guardia contro chi voleva esiliarla. Ulrica accetta con gratitudine il denaro donatole dal conte, ma insiste nel raccomandargli di stare attento, poiché tra i suoi uomini più intimi si cela colui che sarà il suo traditore.

Atto Terzo Quadro Primo – Il giorno dopo, Renato attende Samuel e Tom in casa propria. Nel frattempo litiga con sua moglie, facendole sapere che la ucciderà per vendicare l’onta subìta. A nulla valgono le rimostranze di Amelia, che cerca di spiegare al marito di non averlo mai disonorato; davanti alle insistenze di lui, ella gli chiede infine di poter almeno riabbracciare il figlio prima di morire. Rimasto solo, Renato si lascia andare al suo odio nei confronti di Riccardo, colpevole di aver tradito la sua fiducia. Giungono i congiurati, ai quali Renato spiega di volersi unire a loro per uccidere il conte, a patto che sia lui il sicario. Samuel e Tom propongono invece che il nome dell’assassino sia estratto a sorte e così mettono in un vaso tre biglietti su cui sono scritti i loro nomi. Sarà la mano di Amelia, tornata per annunciare l’arrivo del paggio Oscar, a estrarre il biglietto con il nome di Renato. Il paggio, ignaro del complotto, invita tutti al ballo in maschera che si sarebbe svolto quella sera stessa. Quadro Secondo – Riccardo, seduto allo scrittorio, sta preparando un ordine di rimpatrio in Inghilterra per Renato e Amelia. Il conte ritiene che sia giusto non incontrare più la donna amata, il ballo in maschera che avrà inizio fra poco sarà l’ultima occasione per rivederla. Oscar gli consegna una lettera scritta da una donna ignota, nella quale si fa sapere a Riccardo che durante il ballo in maschera qualcuno attenterà alla sua vita. Il conte non fa troppo caso a quelle parole, pensando che tra poco rivedrà l’amata. Quadro Terzo – Il ballo in maschera. Nel generale trambusto, i congiurati si riconoscono tra di loro attraverso la parola d’ordine “morte”. Malgrado il travestimento, Oscar e Renato si riconoscono a vicenda. Con la scusa di dover rintracciare il conte per delle notizie urgenti, Renato si fa dire da Oscar il tipo di costume indossato da Riccardo: cappa nera con roseo nastro al petto. Anche Amelia e Riccardo si riconoscono a vicenda e si scambiano per l’ultima volta parole d’amore: il conte comunica alla donna che l’indomani sarebbe tornata in Inghilterra insieme con il suo sposo. Il loro discorso è interrotto dalla coltellata con cui Renato colpisce Riccardo a morte. Negli ultimi attimi di vita, il conte porge a Renato l’ordine di rimpatrio, assicurandolo circa la purezza di Amelia, quindi spira. L’opera si conclude nella costernazione di tutta la corte.


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