Il PUNTO - FENOMENOLOGIA VISIVA APPLICATA AL DESIGN

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IL

POLITECNICO DI TORINO Design e Comunicazione Visiva Candidato: Tancredi Di Giovanni Relatore: Michele Cafarelli Anno Accademico: 2015-2016


PUNTO

Fenomenologia visiva applicata al Design




Le ricerche, che debbono diventare la prima pietra della nuova scienza - scienza dell’arte - hanno due scopi e nascono da due necessità :


1. la necessità della scienza in generale, che deriva liberamente da uno slancio non-utilitario verso il sapere: la scienza <<pura>>, e 2. la necessità dell’equilibrio nelle forze creative, che debbono essere divise in due parti schematiche - intuizione e calcolo: la scienza <<pratica>>

W. Kandinskij



INTRODUZIONE


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Introduzione

Questo studio nasce dalla necessità di capire qual è la base fondamentale del design e come si è sviluppato rispetto al suo nucleo iniziale. Per comprendere il design bisogna diventare partecipi del dibattito originario che ha dato vita a questa disciplina, cioè di come esso si differenzia dall’arte e dalla scienza ponendosi come anello di congiunzione tra queste due realtà. Il designer diventa così lo scienziato dell’arte (o l’artista della scienza). Ma cos’è la scienza dell’arte, e come viene riconosciuta ora rispetto alla sua posizione originaria? Per capire l’evoluzione del design bisogna osservare questa disciplina, e la corrispondente figura professionale, nella sua genesi storica fino a scoprirne l’importanza contemporanea. Nell’antichità la produzione di oggetti era affidata all’artista che si dilettava a progettare secondo dei canoni stilistici appartenenti alla propria cultura e epoca, in corrispondenza alle necessità dell’uomo, da qui nasce l’artigianato. La lingua greca antica risulta emblematica poichè mostra come l’uomo concepiva l’arte e la tecnica, fuse in un unico


Introduzione

nucleo, la τέχνη (téchne), risultavano due aspetti paralleli di un unica realtà. Ben presto però questa realtà ha cominciato a dividersi rendendo la tecnica e l’arte autonome. L’evoluzione industriale ha portato l’artigianato in una direzione sempre più rivolta alla produzione seriale, rendendo il lavoro meccanico e trasformando l’artista-artigiano in tecnico specializzato. I prodotti di questa nuova epoca vengono elogiati per la loro capacità di creare profitto, la quantità diventa il nuovo indicatore di successo e l’arte diventa l’ornamento estetico. Tuttavia proprio questo processo ha portato l’arte a una profonda crisi, privata dell’oggetto, è diventata una sola questione estetica, non più espressione delle necessità umane ma ornamento delle istituzioni. Questa crisi ha così permesso la nascita di una nuova sensibilità artistica e l’artista ha sentito la necessità di andare più a fondo e capire i meccanismi e i significati intrinsechi dell’arte. La decomposizione dello spazio e gli studi sul colore delle avanguardie storiche, sono stati i primi a portare ad una sintesi sempre più approfondita e astratta degli elementi fondamentali dell’arte. L’astrattismo ha fatto riemergere ciò che l’arte aveva tenuto nascosto, le forme geometriche, le luci e i colori, la spazialità e la temporalità hanno cominciato ad essere analizzati in conformità alle necessità dell’epoca moderna. 1

1 G. Kepes, Il linguaggio della visione, Dedalo, 1986


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Introduzione

Kazmir Malevich scriveva nel suo manifesto del Suprematismo nel 1915: «L’artista ha gettato via tutto ciò che determinava la struttura oggettivo-ideale della vita e dell’ “arte”: ha gettato via le idee, i concetti e le rappresentazioni, per dare ascolto alla pura sensibilità. L’arte del passato, soggetta (per lo meno all’estero) al servizio della religione dello stato, deve rinascere a vita nuova nell’arte pura (non applicata) del suprematismo e deve costruire un mondo nuovo, il mondo della sensibilità.» 2 L’arte pura, purificata dall’oggetto e dal soggetto lascia manifesti gli elementi architettonici dell’arte: lo spazio, la forma e il colore. Nello stesso periodo le avanguardie scientifiche, forti della fenomenologia teorizzata da Edmund Husserl, cominciano a studiare l’uomo e la percezione visiva. La psicologia sperimentale si inoltra ad analizzare le esperienze psicologiche dello spazio, della forma e del colore in parallelo a quelle artistiche. La scuola di Berlino dà vita alla psicologia della Gestalt che studia la forma in un ottica di ragionamento e problem-solving, individuando delle leggi che stanno alla base di come l’uomo vede ciò che lo circonda. 2 K. Malevich, Manifesto del suprematismo, 1916


Introduzione

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È in questo clima culturale che Walter Gropius riesce a ricreare l’antico rapporto esistente tra arte e tecnica, trovando in questi elementi fondamentali della realtà visiva (spazio,forma e colore) il denominatore comune del rapporto arte/scienza e gli strumenti necessari per progettare. In conformità ai dibattiti nati nel contesto dell’Arts & Craft e del razionalismo moderno, con alle spalle l’esperienza del Deutscher Werkbund, Gropius fonda in Germania nel 1919 la scuola del Bauhaus. In parallelo viene fondata anche la sua controparte Russa il Vkhutemas. Il designer, conscio delle tecniche produttive dell’artigianato e dell’industria, dell’esperienza fondamentale dello spazio, della forma e del colore capace di dar valore oggettivo alla sperimentazione artistica pura, fine a se stessa, diventa capace di creare un prodotto nuovo.

«Se riusciremo a fissare una base comune per intendere la composizione, se saremo in grado, fondandoci su ricerche obiettive [objective] piuttosto che su intuizioni personali, di scoprire un denominatore comune, esso dovrebbe potersi applicare a qualsiasi forma di composizione [design] » 3 4

3 W. Gropius, Is There a Science of Design?, 1947 4 M. Sinico, Sulla teoria delle percezione di W. Gropius, A/I/S/Design


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Introduzione

Il Bauhaus deve la sua fama soprattutto alle innovazioni che ha apportato nel sistema didattico introducendo il corso preliminare Grundkurs volto a sviluppare negli studenti una nuova sensibilità. Questa sensibilità viene basata appunto sulle teorie dello spazio, della forma e del colore e nel loro valore percettivo psicologico. Questo corpus di insegnamenti prende il nome di Basic Design ed è la disciplina fondamentale del Design. Senza di essa la disciplina del design si riduce ad arte applicata o a mera progettazione tecnica. L’aspetto pedagogico e formativo del Basic Design del Bauhaus è la prima formulazione della scienza dell’arte.

«...la nuova scienza dell’arte può nascere solamente se i segni diventano simboli e se l’occhio aperto e l’orecchio vigile rendono possibile il passaggio dal silenzio alla parola. Chi non può farlo è meglio che lasci in pace l’arte <teorica> e <pratica> - le sue preoccupazioni artistiche non creeranno mai un ponte ma creeranno sempre di più una scissione fra uomo e arte.» 5

5 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Adelphi, 1968


Introduzione

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La posizione teorica di questa scuola evidenzia il passaggio da artista a designer ponendo in prima linea l’apporto oggettivo della disciplina rispetto alla posizione soggettiva dell’artista, pur tuttavia riconoscendo questa oggettività ad una capacità dell’uomo di porsi nei confronti della realtà osservata.

«L’immediatezza intuitiva, lo scatto di una mente creativa, è sempre indispensabile per creare un’arte profonda. Ma una chiave ottica assicurerebbe una base oggettiva come requisito preliminare per una comprensione generale e varrebbe come fattore di controllo all’interno dell’atto creativo.» 6 7

Il Baisc Design ha visto un costante evolversi dopo le esperienze del Bauhaus conclusesi nel 1933. I vecchi maestri emigrano negli Stati Uniti. Joseph Albers sposta i suoi insegnamenti prima al Black Mountain College(1933-49) e poi a Yale(1950-60). Moholy Nagy fonda il New Bauhaus a Chicago nel 1937 che poi verrà rinominato Chicago School of 6 W. Gropius, Is There a Science of Design?, 1947 7 M. Sinico, Sulla teoria delle percezione di W. Gropius, A/I/S Design


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Introduzione

Design diventando parte dell’Illinois Institute of Technology(IIT). Uno degli allievi di Moholy Nagy al New Bauhaus, Gyorgy Kepes porterà avanti gli studi sul Basic Design fondando nel 1967 il CAVS(Center for Advanced Visual Studies) all’MIT che però anch’esso perderà la sua autonomia venendo assorbito nel programma di formazione artistica prendendo il nome di ACT (Art Culture and Technology). In Europa questa materia ha trovato un altro primato nella scuola di Ulm (Germania) fondata da Max Bill nel 1953. Qui il Basic Design si è arricchito di nuovi insegnamenti teorici basati sulla psicologia, sulla teoria dell’informazione, la semiotica e l’ergonomia. Quando Maldonado assume la direzione della scuola, apporta una riforma della propedeutica volta a perfezionare il sistema pedagogico. In questa riforma vengono progressivamente abbandonate le sperimentazioni libere di estrazione artistica segnando una nuova fase della materia. Questo processo ha portato negli anni ad un continuo orientamento tecnico-scientifico e tecnologico aumentando il distacco del design dall’arte e, per quanto positivo per l’aspetto economico, il Baisc Design si è frammentato in perle di conoscenza che tutt’oggi vengono accennate come esempi ma mai approfondite nel loro nucleo che prevede uno stretto rapporto con l’arte pur differenziandosi da essa.


Introduzione

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«..con l’appoggio degli Stati Uniti, la Germania si avviava al neocapitalismo.Ciò che l’industria tedesca voleva allora dal nostro istituto non era molto diverso da quanto aveva preteso, quattro decenni prima, dal Bauhaus: contribuire a creare un alibi vagamente culturale al programma produttivistico. Noi ne eravamo consapevoli, ma ci illudevamo… che fosse possibile far convergere gli interessi produttivistici del neocapitalismo nascente con gli interessi degli utenti. Ciò che si rivelerà più tardi un grave errore di valutazione. Dal momento che ce ne rendemmo conto, e adottammo un atteggiamento di denuncia e persino dl rivolta.., il destino del nostro istituto era segnato. Da qui allo scandalo della sua chiusura, nel 1968, non c’è che un passo.» 8 9 Il designer privato di questa conoscenza basilare si trova immerso nel metodo progettuale e diventa mediatore tra le necessità di business e le necessità dell’utente senza avere uno strumento oggettivo unitario che lo identifichi, e nel quale poter inserire il proprio lavoro. Il mercato e l’economia consumistica hanno fatto del designer uno strumento volto ad aumentare i profitti a discapito della sua

8 T. Maldonado, Disegno e le nuove prospettive industriali, Avanguardia e razionalità, 1958 9 R.D. Fusco, Storia del Design, Laterza 2010


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Introduzione

disciplina fondamentale del Basic Design. Il marketing è stato sfruttato dal mercato per ingannare e nascondere l’essenza dei prodotti mentre un buon marketing dovrebbe valorizzare i prodotti che hanno effettivamente un valore umano nel senso che rispecchiano la nostra realtà percettiva. «Il gusto del pubblico oggi viene formato principalmente dalla pubblicità e dagli oggetti di uso quotidiano: da questi può essere educato o corrotto. Responsabili sono i direttori artistici delle industrie e delle ditte di pubblicità, e i dirigenti dei grandi magazzini e dei drugstores, che fanno da censori imponendo Design di basso livello agli artisti secondo l’idea che essi stessi hanno dei gusti del pubblico. Essi sono tutti intenti a rifornire la catena di montaggio, e come salvaguardia giudicano il gusto del pubblico peggiore di quanto in effetti non sia. Il fatto che hanno una responsabilità educativa per loro non sussiste neppure.» 10 Dopo aver analizzato l’evolversi del Design, questa tesi si fonda sull’opinione che il Basic Design deve evolversi un’altra volta e mostrare come esista un nucleo teorico e pratico che ogni designer può 10 G. Kepes, Il linguaggio della visione, Dedalo, 1986


Introduzione

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sfruttare e ampliare in base alle necessità. Per fare questo bisogna fondare il Basic Design su basi più solide e al tempo stesso ampliare gli orizzonti di azione in un ottica di multidisciplinarità (cosa che ha sempre fatto nella sua evoluzione storica). Se strutturata in modo sistematico e formale permetterebbe di avere una base solida alla quale attingere per formare la sensibilità progettuale del designer e quella percettiva dell’utenza per creare una corrispondenza reale tra uomo e realtà circostante.Tale studio cerca di trovare e analizzare il fondamento del Design nella logica dei suoi elementi primari SPAZIO, FORMA e COLORE. In realtà uno studio del genere risulta complesso e eccessivo per una sola persona. Difatti molte parti di questo studio sono già state affrontate e si trovano sparse in quei frammenti che oggi sono il Basic Design. Si potrebbe cercare di raccoglierli e riorganizzarli in un nucleo più solido ma per farlo bisogna cominciare dalle fondamenta. Inoltre il Basic Design non va assolutamente pensato come una struttura gerarchica, bensì come una struttura organica nella quale le varie parti pur seguendo una logica consequenziale agiscono in parallelo, spesso evidenziano aspetti paradossali ma caratteristici dei suoi elementi primari.


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Introduzione

«...c’è un altro carattere di straordinaria originalità nel Basic Design e cioè la intrinseca plasticità del corpus dei saperi specifici che lo compongono. Il Basic col procedere del tempo porta – per così dire con sé il proprio orizzonte.. [..]. Il Basic Design è insomma una disciplina rigorosa ma anche vivente e metamorfica.» 11 Per capire cosa sono effettivamente questi elementi primari bisogna spingersi all’interno di essi e dare delle priorità, necessarie ad isolarli nella loro essenza, per poi studiarne i rapporti reciproci. «L’idea di ogni ricerca è: 1. investigazione pedante su ogni singolo fenomeno - considerato isolatamente, 2. interazione dei fenomeni - composizioni, 3. conclusioni generali che si debbono trarre dalle prime due parti.» 12 Nel mio studio in particolare verrà definito lo spazio trovando una corrispondenza stretta tra questo e la forma rispetto al punto di vista umano. Dopo aver definito lo spazio in cui agisco analizzerò la forma cercando di capirne il principio e cioè il punto geometrico. Per concludere analizzerò il rapporto tra questi due elementi in uno spazio ideale che favorisca l’analisi della forma rappresentata. 11 G. Anceschi, Basic Design, Fondamenta del Design, McGraw-Hill, 2006 12 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Adelphi, 1968


Introduzione

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Il colore verrà escluso dallo studio perchè risulta molto complesso e per diversi aspetti soggettivo introducendo problematiche che si estendono alle proprietà della luce.Verrà invece evidenziato come un contrasto forte permetta di evidenziare nel modo migliore il rapporto spazio/forma e come questo contrasto sia idealmente rappresentato dal bianco e dal nero. Questo studio è un introduzione che cerca di porsi come primo passo del Basic Design e spera di creare un metodo che si possa applicare allo studio delle altre forme fino ai colori per poi estendersi agli elementi secondari della progettazione e passare dal bidimensionale al tridimensionale. Il metodo utilizzato vuole mettere in luce la forma come realtà organica e per farlo ha bisogno di estendersi alla multidisciplinarità e insieme rappresentare i suoi risultati nel tempo. Significa che oltre ad esprimere concetti a parole saranno presenti tavole esplicative statiche che permetteranno di visualizzare i concetti. Queste tavole a loro volta presenteranno una vitalità tale che potrà essere portata alla rappresentazione dinamica e cioè all’animazione (all’estremo all’interazione e all’immersività). 13

13 G. Anceschi, Basic Design, Fondamenta del Design, McGraw-Hill, 2006


PREMESSA

R. Cartesio, L’homme, 1664


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Qui io tendo solo di fissare qualche freccia di direzione - un metodo analitico che tiene conto dei valori sintetici. W. Kandinskij


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Premessa

UOMO Per poter cominciare uno studio volto a capire come vediamo la realtà che ci circonda, e come funziona la vista, bisogna partire dall’uomo che si pone come come osservatore senza il quale non ci sarebbe nessun tipo di studio. La relatà che vediamo si presenta nel rapporto che crea con noi, e in questo rapporto ci sentiamo soggetti in prima persona con un oggetto da osservare. Nel suo essere soggetto, l’uomo che guarda l’oggetto, non vede realmente ma percepisce in modo frammentario attraverso i sensi per poi riunificare le percezioni e ricreare l'oggetto nella sua mente. Il modo in cui l'uomo distingue ciò che lo circonda si può esprimere in tre processi che ne facilitano la comprensione in un ottica progettuale, volta ad aiutare a progettare secondo la corrispondenza tra uomo e realtà circostante. Se questa corrispondenza non avviene, il progetto non acquista un valore umano ma diventa un mero strumento di profitto destinato a


Premessa

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peggiorare il modo in cui ci rapportiamo tra di noi e con il mondo in cui viviamo. Il primo processo si può identificare in un atto distruttivo dell'unità visiva legato al suo immediato atto creativo. Ogni uomo è un designer che progetta la sua realtà secondo le regole naturali del suo organismo, ma il designer prima di essere un creativo dev’esser disposto ad accettare la sua natura che prima distrugge ciò che osserva per poi ricomporlo nel modo che più rispecchia la realtà oggettiva. Lo stesso processo l’uomo lo applica per la fantasia, per creare qualcosa di nuovo, ma in questo caso il processo distruttivo/creativo avviene al suo interno, direttamente nella mente. «Vedere un immagine è partecipare ad un processo formativo; è un atto creativo. Dalla più semplice forma di orientamento alla più complessa unità plastica di un opera d'arte, c'è una significativa base comune: il susseguirsi delle qualità sensorie del campo visivo e la loro organizzazione. Ogni esperienza di immagine visiva, indipendentemente da ciò che uno 'vede', è un atto di formazione, un processo dinamico di integrazione, un'esperienza 'plastica'. Il termine 'plastico' quindi è usato qui per designare la qualità formatrice, il plasmarsi delle impressioni sensorie in un tutto unificato, organico.» 1 1 G. Kepes, Il linguaggio della visione, Dedalo, 1986


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Premessa

Ora che le informazioni dell’oggetto sono unificate si può passare alla sua rappresentazione, il secondo processo fa dell’unità visiva distrutta/creata un oggetto mentale unitario, un unità plastica. L’uomo, nel secondo processo, è ora capace di osservare l’oggetto nella sua mente attraverso un immagine mentale unitaria, questo processo può essere considerato rappresentativo/artistico perchè è qui che il designer, ha una prima rappresentazione e organizzazione di ciò che vede che può cominciare a rappresentare sul piano. Il terzo processo è quello osservativo/valutativo, cioè il momento in cui l’uomo osserva l’oggetto rappresentato e lo ricollega alle informazioni dell’oggetto originario valutandone le differenze e le similarità, per poi migliorare il suo oggetto mentale e il suo prodotto finito. Il designer dev'essere conscio della sua idea progettuale, del suo oggetto mentale da progettare, per produrre al meglio una rappresentazione di questo, e non lasciare che fattori esterni si insinuino nel progetto, come necessità economiche che richiedono tempistiche brevi, distorgendo l'idea generatrice senza una valutazione a priori. Questi prodotti sbagliati mostrano subito la loro debolezza in quegli elementi aggiunti che fanno perdere la vitalità corrispondente alla natura dell'oggetto mentale.


Premessa

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Una sintesi del genere, di come l’uomo guarda e ricrea la sua realtà, è sicuramente limitata e discutibile su molti punti, da approfondire nei suoi aspetti neurofisiologici e psicologici per una reale oggettività. In ogni caso qui ci servirà per mettere in luce un metodo che porta un oggetto, o un idea progettuale, a confrontarsi con il modo in cui viene rappresentata abitualmente per poi valutarne l'effettiva corrispondenza. In sintesi, tenendo conto di questi due processi, e del terzo, che ci permetterà di porre un giudizio nuovo, possiamo analizzare un unità visiva e rinnovare la corrispondenza tra uomo e realtà circostante. -processo distruttivo/creativo -processo rappresentativo/artistico -processo osservativo/valutativo

C’è da aggiungere che esistono in realtà altri pro-


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Premessa

cessi biologici,fisici e intellettuali che agiscono in questo meccanismo su diversi livelli. Partendo dall’occhio che ha una struttura complessa, andrebbero approfonditi gli studi sull’ottica e sull’oftalmologia che ne mostra il funzionamento partendo dalle patologie. La luce che permette all’occhio di vedere andrebbe senz’altro studiata tra le prime cose insieme al colore. Rimanendo nel campo ottico, la percezione visiva e le sue leggi della Gestalt si sono dimostrate tra le più applicate e studiate nell’ambito della comunicazione visiva. Le neuroscienze e la neurobiologia hanno invece approfondito come l’occhio scompone a livello cerebrale ciò che vede per poi ricomporlo, dando vita a nuovi indirizzi come la neuroestetica e valorizzando l’aspetto singolare delle unità visive. Qui si aggiungono senz’altro gli studi di semiotica e visual literacy e la loro funzione pedagogica. Un altro campo assolutamente indispensabile è la matematica con la geometria che trattano gli stessi oggetti che vediamo nel loro aspetto astratto e ideale, e le loro branche contemporanee più importanti come la topologia già citata e sfruttata da grandi designer come Bruno Munari nelle sue strutture concavo-convesso.


Premessa

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Il limite di questi processi arriva quando ci si pone realmente la domanda che cosa sia la creatività, la fantasia e l’immaginazione fino alle ricerche sul sogno e le sue immagini oniriche. Per cercare di effettuare un discorso sul fenomeno del visibile bisognerebbe non limitarsi ad analizzare le composizioni e manifestazioni di quegli elementi che sono essenziali per poter osservare qualcosa, ma spingersi all'interno di esse e sezionarle nei loro elementi costitutivi.

«in «modo astratto» cioè isolato dall’ambiente reale della forma materiale.» 2

Kandinskij aveva proposto questo tipo di analisi per la forma nel 1926 nel suo libro ‘punto, linea, superficie’ con l’intenzione di indicare in generale quegli elementi che sono primari. Qui verrà approfondita la prima parte del suo studio tentando di arrivare ad un sistema completo di ciò che viene considerato il principio della forma con la sua applicazione nello spazio. Ma per fare ciò bisogna capire prima cos’è lo spazio e come l’uomo lo vede.

2 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Adelphi, 1968


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Premessa

SPAZIO/ FORMA Il problema dello spazio è senza dubbio il primo da affrontare, perchè non è possibile rappresentare qualcosa senza un luogo nel quale rappresentarla. Cercando studi su questo argomento, ci si rende conto che la maggior parte delle posizioni sul concetto di spazio cercano di indagarlo nella sue relazioni interne e non nel rapporto con l’uomo e con la vista. Facendo questa osservazione si può ridurre il problema nei termini della relazione tra vista e spazio, scoprendo come in realtà esistano due tipologie diverse di spazio, uno autonomo ed uno legato strettamente al nostro modo di vedere e al concetto di forma, da qui il titolo di questo capitolo.


Premessa

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L’uomo osserva lo spazio. Ma come? Con i suoi occhi ovviamente. Il campo visivo umano permette di osservare un area particolare di quello che noi consideriamo abitualmente come spazio, ma quest’area che osserviamo è limitata nonostante questi limiti non siano strettamente definiti. «Le forze di attrazione visiva -...- esistono in uno sfondo ottico e agiscono nel campo ottico. Questo è proiettato sulla superficie retinica degli occhi come uno sfondo inseparabile per le distintive unità visive. Non è quindi possibile afferrare unità visive come entità isolate ma solo come relazioni. ...possiamo dare delle cose che vediamo, dalla loro posizione ed estensione, solo una interpretazione spaziale basata sulla nostra propria situazione nello spazio.» 3 Lo spazio visto dall’uomo è incorniciato all’interno di contorni oltre i quali non possiamo vedere, se non spostando il nostro campo visivo, ma a sua volta questo nuovo spazio scoperto risulterà visibilmente limitato. È proprio in questa constatazione che nasce lo spazio/forma, poichè essendo circoscritto lo spazio visivo diventa uno spazio chiuso, 3 G. Kepes, Il linguaggio della visione, Dedalo, 1986


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Premessa

esattamente come la forma. Spazio e forma sono percepiti nello stesso modo dal nostro sistema visivo, tuttavia l’illusione che uno spazio aperto esista è sempre radicata nel nostro pensiero, perchè possiamo muoverci nonostante i limiti dello spazio visivo e perchè possiamo guardare in profondità grazie alla luce. La luce è l'elemento che ci permette di distinguere una cosa da un altra facendo da mediatore tra noi e la realtà circostante. In assenza di luce il nostro spazio visivo sarebbe uno spazio nero senza possibilità di definire la forma come elemento visivo. Che lo spazio fuori dal nostro campo visivo sia realmente aperto è un dilemma che la fisica sta cercando di scoprire e la filosofia sta indagando già da secoli, tuttavia anche se questo spazio esistesse il nostro attuale sistema visivo non ci permetterà mai di osservarlo direttamentem ma solo tramite una forma. «Lo spazio - appartiene al dominio di quei fenomeni originari che, secondo quanto dice Goethe, al loro contatto provocano nell’uomo una sorta di paura che si impadronisce di lui fino all’angoscia? Infatti dietro lo spazio, a quanto pare, non vi è più nulla cui esso possa essere ricondotto. Di fronte a esso non è possibile distrarre la propria attenzione verso qualche altra cosa.» 4

4 M. Heidegger, L’arte e lo spazio, Il melangolo, 1979


Premessa

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L’esistenza di uno spazio chiuso e di uno spazio aperto implica un diverso rapporto con l’oggetto rappresentato al suo interno. Lo spazio/forma imporrà l’interazione tra i suoi limiti e l’oggetto rappresentato, inoltre esisterà un interazione interna allo spazio che ne evidenzierà i rapporti strutturali della forma usata come spazio. Al contrario uno spazio aperto implica che la forma sia isolata e perciò le uniche interazioni avverranno all'interno di essa e non tra figura e sfondo. Il limite del visibile è l’impossibilità di osservare l’oggetto isolato. In realtà sembra che l'uomo sia capace di superare il limite visivo perchè lo spazio illimitato diventa una realtà mentale, questo implica che quando noi immaginiamo qualcosa diventiamo capaci di isolare il nostro oggetto mentale osservandolo unicamente nei suoi rapporti interni. In questo studio io parlerò solo dello spazio chiuso che ho chiamato insieme spazio/forma per via dell’elemento in comune dato dai loro contorni. Quando rappresentiamo fisicamente qualcosa lo inseriamo sempre in uno spazio bidimensionale e quello spazio dovrà interagire con l’oggetto rappresentato al suo interno. In questo modo la forma e lo spazio risultano un complesso che si sostiene a vicenda in cui lo spazio della rappresentazione è una forma rappresentata e la forma rappresentata al suo interno è un potenziale spazio.


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Premessa

COLORE Prima di passare allo studio della forma bisogna parlare del colore. Più volte mi sono chiesto come dovesse essere trattato e più volte ho trovato difficoltà ad inserirlo qui. La complessità del mondo cromatico è dovuta alla sua relatività. I colori quando vengono elaborati dal nostro occhio tendono a mescolarsi tra di loro, e la loro percezione non è mai univoca bensì legata al colore alla quale vengono affiancati. Questo effetto ottico chiamato contrasto simultaneo è stato sottoposto a ricerche scientifiche da Hermann von Helmholtz e Michel Eugène Chevreul che nel 1854 scriveva:


Premessa

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ÂŤAll the phenomena I have observed seem to me to depend upon a very simple law, with, taken in its most general signification, may be expressed in these terms: In the case where the eye sees at the same time two contiguous colors, they will appear as dissimilar as possible, both in their optical composition and in the eight of their tone.Âť 5 contrasto simultaneo

5 M. E. Chevreul, Harmony and contrast of Colours, Bell and daldy,1860


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Premessa

Pittori come William Turner, George Seurat e Umberto Boccioni avevano cominciato ad usare questo principio per superare la crisi che l’arte figurativa stava vivendo. La ricerca di questi pittori permise di riscoprire la ‘vibrante ricchezza sensoria’ dei colori.

«È esperienza comune che la qualità sensoriale insita in un segno, una parola, un evento, viene, col tempo assorbita dalla cosa che rappresenta. Solo ripetendo parecchie volte una parola che ci è familiare, ad esempio, possiamo restituirle la qualità sensoria del suono, renderla indipendente dal contesto e restaurarne l’intensità originale. [..] Solo allora sarà consentito ai colori, prima incorporati nei loro oggetti, di parlare il loro puro linguaggio, il linguaggio dei sensi. [..] Questa innovazione aprì la strada alla riscoperta del piano di colore come elemento costitutivo fondamentale dell’immagine plastica - nella sua forma embrionale, la macchia di colore dei dipinti impressionisti.» 6

6 G. Kepes, Il linguaggio della visione, Dedalo, 1986


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[img puntinismo ]

G. Seurat, La tour Eiffel, 1889


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Premessa

Nel suo libro ‘interazione del colore’ 7 Joseph Albers, allievo e poi maestro nel Bauhaus, spiega ai suoi studenti questo effetto relativo del colore con un esempio semplice ed immediato che spiegherò di seguito. Josef Albers , Homage to the square, 1964

7 J. Albers, Interazione del colore, Il saggiatore, 2009


Premessa

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Prendiamo tre bacinelle di acqua, una fredda, una calda ed una tiepida nel mezzo. Immergiamo la mano destra in quella fredda e la sinistra in quella calda, dopodichè togliamo le mani dalle bacinelle laterali e mettiamole in quella tiepida nel mezzo. La mano che avremmo tenuto nell’acqua fredda sentirà caldo e quella che era nell’acqua calda sentirà freddo nello stesso tempo, nonostante l’acqua della bacinella centrale fosse tiepida. Il colore si comporta allo stesso modo in relazione ai colori che lo circondano determinandone la sua relatività. «..i colori scappano sempre da tutte le parti, scappano al rallentatore, come le parole, che scappano sempre, come la poesia che non si può tenere nelle mani, come i racconti belli, i colori scappano da tutte le parti, non si riescono mai a fermare, non si riesce mai a dire il colore numero 225, perché non si sa mai se il numero 225 è messo vicino alla finestra o se è lontano dalla finestra […] Le visioni cromatiche; il gusto per cataloghi di colori, le architetture delle simbologie, i riferimenti poetici, si muovono con la storia, scappano sempre rappresentano sistemi inventati o no per sapere di esistere.» 8 9 8 E. Sottsass, Note sul colore, Elementi, 1993 9 F. Oppedisano, I colori? scappano sempre...scritti sul colore in Italia fra gli anni settanta e novanta, A/S/I/Design


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Interazione tra colori primari e secondari


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Premessa

Alla fine ho cercato di semplificare il mio studio lasciando il colore al prossimo obiettivo da analizzare. Questa rinuncia non è un esclusione bensì un riconoscimento dell’indipendenza e complessità della realtà cromatica, sicuramente un buon Designer deve utilizzare il colore, se necessario, valorizzando proprio quella qualità sensoria ed emotiva che trasmette. Per il mio fine è stato necessario escluderlo prediligendo un contrasto forte che potesse evidenziare il rapporto spazio/forma. Cercando di evitare anche la complessità fisica legata alle frequenze che ogni colore possiede ho optato per quei due non-colori che riflettono o assorbono tutte le frequenze cromatiche e cioè il bianco ed il nero, rappresentando la presenza o no di luce, l'elemento che nella sua interazione con l'occhio ci permette di osservare la realtà. Il bianco assume qui valenza spaziale, lo sfondo, ed il nero diventa la forma, la figura, definita dal contrasto della luce con il buio, tuttavia si può osservare lo stesso risultato invertendo il bianco con il nero (come fanno i popoli orientali, specialmente il Giappone). 10

10 R. Berthens, L’impero dei segni, Einaudi, 2002


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IL PRINCIPIO DELLA FORMA


Tiene in una mano una figura sferica, o circolare, in legno ch’è Iddio infinito, ed eterno, non avendo il circolo né principio, né fine, che perciò è simbolo dell’infinito [ a quello che dicono i Matematici], e nel mezzo vi è il punto, ch’è cosa piccolissima, ed indivisibile, che significa la natura umana assunta dal verbo, la qual è di pochissimo valore, e cosa fragilissima a rispetto di Dio immenso.

C. Ripa, Iconologia, 1593


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Il principio della forma

IL PUNTO La forma si presenta come l’oggetto principale del nostro vedere, e si mostra articolandosi e interagendo con lo spazio. La complessità di questo rapporto, rende la forma un elemento dinamico, che spesso sfugge alla nostra comprensione, nascondendosi nella sua visione unitaria. Il Design sfrutta proprio questa dinamicità per creare oggetti nuovi, che interagiscano adeguatamente con lo spazio e con l’uomo, e allo stesso tempo sviluppando il suo lato pedagogico del Basic Design, volto a insegnare i modi in cui svelare la complessità nascosta per poterla usare nel modo adeguato. La forma si articola in una serie di figure, ognuna con una diversa configurazione e particolari proprietà


Il principio della forma

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intrinseche. Analizzando la varietà di forme esistenti, in cerca di un punto di partenza per cominciare a studiare la forma, ci si renderà subito conto come proprio il punto sia il primo elemento di questo mondo visivo. Appare sintetico e semplice, l’ideale per il nostro studio, perchè permette di osservare come, dietro ad un’apparente semplicità, si nasconda una realtà complessa propria di ciò che noi chiamiamo forma. La domanda sorge spontanea.

- Che cos’è il punto?

Fin da subito risulta evidente come pensando a questa domanda sia difficile mettere a fuoco quello che ognuno di noi intenda per punto, se non quel banale segnetto su un foglio. Il rapporto che esso ha con la matematica e la geometria, con la musica, la grammatica, ed il linguaggio aumenta la difficoltà a decifrare questo apparentemente semplice segno, facendoci ragionare sul significato e sull’aspetto semiotico, inseparabile da quello visivo poichè ogni forma comunica.


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La fine di questa frase ha un punto.

Esempi di punti pratico-funzionali

Questa ambiguità del modo in cui pensiamo al punto si riflette a tutto il sistema della forma, ogni forma infatti è un insieme di punti, mostrando fin troppo bene la superficialità del rapporto che abbiamo con ciò che guardiamo. Il valore di uno studio più specifico su questo elemento visivo, risulta evidente sin dalla prima formulazione della domanda e mostra come un approfondimento sia necessario per una visione più ampia dei rapporti tra spazio e forma. Kandinskij per primo si è approcciato a questo tipo di studio, nel suo libro ‘punto,linea,superficie’ illuminando la via con un tono idealista e spirituale, in


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mancanza di un vocabolario adeguato che potesse mostrare lo stupore provato di fronte alla scoperta grafica di un così semplice elemento. Le sue parole animano la forma, ma la novità sta proprio nel modo in cui, oltre all’espressività soggettiva, introduce il punto in modo autonomo, cioè staccandolo dalle sue rappresentazioni pratico-funzionali per poi dargli vita nello spazio e nelle relazioni con questo. Il suo percorso sul punto, seppur breve, introduce molti aspetti sul rapporto spazio/forma che qui verranno approfonditi in un linguaggio meno estetizzante e rivolto alla rappresentazione grafica. In questo modo si cerca di esprimere in modo visivo la vitalità del punto nella sua totalità, senza introdurre elementi successivi che ne comprometterebbero la percezione unitaria.

«Il punto è il risultato del primo scontro tra lo strumento e la superficie materiale. [..] Attraverso questo primo scontro viene fecondata la superficie di fondo.» 1

1 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Adelphi, 1968


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PUNTO COME PERCEZIONE MINIMA Inizialmente l’uomo osserva la forma dalla sua prospettiva esterna. Immaginiamo di osservare una mela che per magia fluttua esattamente davanti ai nostri occhi. Ora proviamo ad allontanarci camminando all’indietro in modo da tenere sempre la mela di fronte a noi. Più ci allontaniamo da questa più essa diventerà piccola e sfocata fino a diventare un piccolo tondo e poi scomparire.


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Una visione esterna della forma porta subito a concepire il punto come forma minima visibile, a cui vengono attribuiti gli aggettivi ‘piccola’ e ‘tonda’. Tuttavia noi sappiamo che avvicinandoci, la forma risulterà avere delle imperfezioni; anche un segno su un foglio ad un esame ravvicinato mostrerà l’imprecisione del tratto e se guardiamo con attenzione ci sarà anche dello spazio bianco tra gli elementi che lo compongono. Avvicinandoci ancora di più osserveremo i vari atomi degli elementi che compongono il materiale e lo spazio che esiste tra di essi e così via. aereo

segno su un foglio

stella granello di sabbia

uomo dall’alto atomo

mela in lontananza sistema solare


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Il campo visivo dell’uomo, per fortuna, è limitato e le forze della percezione visiva tendono a mantenere l’unità visiva e nascondere ciò che si cela al di là della forma osservabile a occhio nudo, mostrando un elemento monolitico. Per vedere le molecole abbiamo bisogno di rappresentazioni e strumenti di ingrandimento che ci permettano di scandagliare la materia.

Ingrandimento al microscopio di spore

[ingrandimento microscopico]


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In questo ambito si sono mossi gli studi degli psicologi della Gestalt, formulando delle leggi capaci di interpretare questo aspetto della percezione visiva umana, e scoprendo che anche nella realtà osservabile senza strumenti, l’occhio tende a vedere i fenomeni secondo diversi principi di unità.

[esempio gestalt]

Per spiegare perchè un punto visivo viene percerpito come un piccolo cerchio bisogna studiarlo nel suo isomorfismo con la geometria e la fisica. Il cerchio e la sfera infatti, sono le due figure geometriche che risultano più unitarie, permettendo di avere più area visibile a parità di perimetro rispetto alle altre forme. Quando un oggetto si avvicina al limite oltre il quale non riusciamo più ad osservare ad occhio nudo, la sua forma sfoca fino a diventare un punto circolare, mantenendo quindi la maggior area possibile, risulta visibile anche nel punto più estremo del nostro campo visivo.


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Didone e la fondazione di Cartagine o (problema di Didone) La storia della regina Didone narra di come le sia stata data una corda per segnare i limiti di quella che sarebbe stata la futura città di Cartagine, e lei furbamente abbia delimitato l’area con una figura circolare, mostrando la profonda conoscenza dei principi geometrici e del fatto che il cerchio abbia l’area maggiore e possa contenere perciò una città più grande. 2 William Turner - “Dido building Carthage“ 1815

2 P. Virgilio, Eneide


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La bolla di sapone In questo esempio possiamo osservare lo stesso principio sviluppato sulla sfera, che nella geometria tridimensionale equivale al cerchio bidimensionale. Perchè le bolle di sapone sono sferiche? Le bolle di sapone assumono una forma sferica secondo la stessa proprietà isoperimetrica del cerchio applicata a livello tridimensionale. La tensione superficiale tende sempre a creare la superficie minima per cercare di mantenere le forze distribuite su tutta la sua struttura, in questo modo riesce a non avere punti più deboli di altri. Per una data quantità di volume d’aria (quello da noi soffiato), la forma con la superficie più piccola è la sfera.


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Il primo esempio è una proprietà geometrica del cerchio chiamata ‘proprietà isoperimetrica’, mentre il secondo e basato su un principio della fisica che si chiama ‘principio di minimizzazione’ e permette di mantenere l’unità della bolla tramite un equilibrio tra perimetro e area totale, in modo che la bolla non si spezzi Allo stesso modo nel punto come percezione minima, la percezione visiva modifica la forma tramite un processo di sfocatura che, nello stesso modo della bolla e del cerchio, mantiene l’unità. Modificandosi tende alla forma con maggior unità: la circonferenza. Non bisogna però confondersi perchè l’unità non implica la semplicità (come minor quantità di elementi identificabili), anzi, come verrà spiegato più avanti, molti elementi percettivamente unitari sono elaborati su sistemi complessi. Questi esempi dimostrano come l’intuizione del punto come elemento circolare, non sia una semplice espressione linguistica ma rispecchia la corrispondenza del rapporto tra uomo e oggetto osservato. In sintesi quando un oggetto si avvicina al limite oltre il quale non riusciamo più ad osservare, avviene un processo di trasformazione in cui la sua forma sfoca fino a diventare un punto circolare visibile. In questo modo riesce a raggiungere la maggior area possibile e risulta visibile anche in lontananza (ovviamente con un certo sforzo attentivo).





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Da questa analisi risulta che ogni forma potenzialmente può essere un punto, ma, la forma circolare/ sferica è l’unica a risultare visibile ai limiti della percezione. In realtà la definizione di punto come percezione minima pone due quesiti fondamentali che è necessario analizzare per districare la notevole complessità della forma. Il primo è quello della relatività che assume il punto, poichè viene definito in base ad una distanza relativa dipendente dall’osservatore. Bisogna quindi domandarsi, come è possibile estrarre il punto dal suo rapporto diretto con il soggetto per dar vita alla forma come entità autonoma oggettiva e non soggettiva? Il secondo riguarda il modo in cui viene visto il punto, e cioè, il problema che la percezione minima risulta un aggiustamento degli equilibri della forma per mantenere l’unità visiva, aumentando l’area a parità di perimetro, ossia diventando un cerchio o una sfera. Ma allora, cosa differenzia il punto dal cerchio?


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Per superare queste barriere e rendere il punto un’entità oggettiva capace di comunicare in modo univoco, bisogna andare in profondità e soffermarsi sulla forma circolare che sembra esprimere al meglio la realtà osservabile del punto. Bisogna spostarsi da una visione esterna ad una visione interna poiché per capire la differenza tra punto e cerchio bisogna creare un sistema capace di descrivere la forma, astratta da ogni rapporto esterno.

«Se pensato in astratto o immaginato, il punto è idealmente piccolo, idealmente rotondo. È un cerchio idealmente piccolo. Ma, sia le sue dimensioni, sia i suoi limiti sono relativi. [..] Il punto è un piccolo mondo - separato da tutte le parti in modo più o meno uniforme, quasi strappato dal circostante.» 3

3 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Adelphi, 1968


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PUNTO GEOMETRICO E PUNTO MATEMATICO Appena si inizia uno studio volto ad analizzare la realtà visibile nei suoi elementi essenziali, nasce la fenomenologia del visibile, e dal momento che si cerca di applicare queste scoperte al mondo progettuale, nasce il Design o meglio il Basic Design. La prima cosa evidente è il rapporto di complicità tra ciò che possiamo osservare e la realtà astratta, matematica, che cerca di conquistare la comprensione dello spazio attraverso le sue figure semplici e complesse: la geometria. Esistono teorie sull’origine della matematica e della geometria che attestano alla prima la necessità di quantificare il tempo e alla seconda, invece, lo spazio.

«Il punto è designato, in geometria, come O=<origo>, cioè origine. Punto di vista geometrico e pittorico coincidono. Il punto viene designato anche simbolicamente come <elemento originario>.» 4

4 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Adelphi,1968


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In quest’ottica più che esplicita, il punto, genesi della forma (e dello spazio) deve essere spiegato cercando nella geometria quella corrispondenza originaria, capace di astrarre la forma dal suo corrispondente visivo. Il tentativo non deve però essere una conclusione, bensì un nuovo approccio, una nuova prospettiva capace di illuminare l’elemento punto dal profondo per poi ritornare alla sua rappresentazione e visione rinnovata. Negli ‘Elementi‘ di Euclide, al punto è riservata la prima delle definizioni del I libro, dove si indica che punto è ciò che non ha parti, cioè non ha grandezze di alcun tipo (area,volume,lunghezza) e nessuna caratteristica tranne la sua posizione. «In matematica è equivalente ad uno zero.» 5 Molti secoli dopo la geometria cartesiana definirà il punto come insieme ordinato di coordinate6, basandosi sul sistema di riferimento formato da n-assi che si incontrano in un luogo detto origine e di coordinate 0,0. È interessante notare come per definire le coordinate di un punto P(x,y) bisogna riferirsi prima ad un altro punto, l’origine O(0,0), quindi ,l’intero sistema cartesiano è basato su questa forma primitiva che determina l’origine della rappresentazione, allo stesso modo come l’uomo è il punto d’origine della visione. 5 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Adelphi, 1968 6 R. Cartesio, Discorso sul metodo, 1637


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Sistema cartesiano

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Queste definizioni matematiche e geometriche mostrano la distanza che esiste tra la realtà astratta e la rappresentazione, ossia la a-dimensionalità contro la dimensionalità data dalla forma e dalla grandezza. Come può un elemento grafico differire dalla sua idea astratta, così tanto da essere opposto ad essa?

PARADOSSO DI DUVAL Esiste un altro problema, questa volta intrinseco alla matematica che tuttavia riporta a questo dualismo e cioè il Paradosso di Duval.

«...da una parte, l’apprendimento degli oggetti matematici non può che essere un apprendimento concettuale e, d’altra parte, è solo per mezzo di rappresentazioni semiotiche che è possibile un’attività su degli oggetti matematici.» 7

7 D’Amore, Le basi filosofiche, pedagogiche, epistemologiche e concettuali della Didattica della Matematica, Pitagora, 2003


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«Il problema qui si fonda sull’apprendimento e cioè il fatto che il concetto matematico di punto per essere appreso deve passare attraverso varie rappresentazioni semiotiche per raggiungere la graduale e consapevole costruzione cognitiva dell’oggetto, fino a quando l’apprendente non si sarà reso conto che, a fronte di un oggetto O, ci sono varie rappresentazioni semiotiche Ri(O) di O (i = 1, 2, ...).» 8

Questo paradosso mostra un contrasto interno stesso alla matematica e avvicina le differenti rappresentazioni semiotiche per la costruzione di un oggetto cognitivo che equivale ad una sempre maggiore comprensione di cosa sia in effetti il punto. Per quanto P(x,y), un granello di sabbia e un segnetto su di un foglio differiscano, riportano tutti ad un unico elemento concettuale rappresentato semioticamente in modi diversi.

8 S. Sbaragli, L’importanza delle diverse rappresentazioni semiotiche. Il caso degli enti primitivi della geometria, Bollettino dei docenti di matematica, Maggio 2005


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PUNTO AUTONOMO Dopo questo piccolo excursus sulla matematica possiamo tornare al nostro punto rappresentato sul foglio.

Ora, grazie alle nozioni matematiche, assume un significato più ampio mostrando la sua natura interna complessa e la sua evoluzione da concetto a rappresentazione reale. Il punto da adimensionale e coordinata nello spazio, diventa dimensionale e acquista grandezza e forma. La visione rinnovata ritrova nel punto il fondamento dello spazio e della forma, l’elemento in cui avviene il passaggio da spazio a forma, «da silenzio a parola». 9 Ora che ci è più chiaro che cos’è un punto, almeno nei suoi caratteri essenziali, possiamo dire che questo ha una forza concettuale che lo rende unico in quanto elemento fortemente duale e in perpetua tensione tra due mondi, tutti gli altri elementi sono derivati di questo. 9 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Adelphi, 1968


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Il cerchio che si pone all’estremo delle figure geometriche regolari, rispetto al punto che è il principio delle figure primitive e della geometria, manca dello stesso spessore semiotico vertendo su significati più complessi e dinamici riguardanti le operazioni di rotazione ed espansione, fino a portare a nuove figure come la spirale. Tuttavia bisogna tenere in considerazione la volontà di mantenere questa distinzione semiotica tra punto e cerchio, perchè senza le nozioni adeguate il punto rimane indifferente e muto. Certi tipi di operazione a livello grafico come l’ingrandimento, la segmentazione o la texturizzazione, fanno sfumare il punto nei suoi concetti particolari portandolo all’identità col cerchio e viceversa. La rappresentazione del punto come cerchio è quella che più si avvicina alla realtà minimale (principio di minimizzazione) della sua astrazione e quindi ne rappresenta la forma preferibile nella progettazione.

«A questo punto, bisogna fare il punto, e mettere dei punti…» 10

10 B. Munari, poco prima di morire.


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Il principio della forma

LO SPAZIO IDEALE Per poter studiare il punto nella sua forma bidimensionale, bisogna trovare uno spazio che sappia valorizzare la forma, interferendo il meno possibile tramite i suoi limiti. Gli studi sulla Gestalt e sull’attenzione ci aiutano in questo caso perchè ci indicano come la semplicità di una figura geometrica, in termini costruttivi, implica una più svelta stabilità percettiva e attentiva. Le forme basilari sono quelle figure che hanno come limiti dei lati della stessa lunghezza, e degli angoli della stessa ampiezza,ossia i poligoni regolari, partendo dal triangolo, fino ad arrivare al cerchio.


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Prendendo in considerazione che più aumentano i lati, più complessa diventa la sua forma, il triangolo il quadrato ed il cerchio risultano quegli spazi che più facilmente l’uomo riesce ad osservare come figure stabili.

In realtà queste tre forme basilari sono molto differenti tra loro, e ad un analisi approfondita risulterà che solo una di esse è idonea a diventare lo sfondo di questo studio.


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Partendo a ritroso il cerchio mostra subito la sua complessità nel fatto che, rispetto a tutti i poligoni regolari, è quello definito dai matematici con un infinito numero di lati, ed è l’unico che viene rappresentato con una linea curva. Questi due fattori lo rendono una forma particolare anche perchè la linea curva è strutturalmente più complessa delle linee orizzontali, verticali e diagonali, avendo dei punti al di fuori di essa che ne determinano appunto la curvatura.

«Se il quadrato risulta strettamente legato all’uomo e alle costruzioni dell’uomo, all’architettura, alle strutture armoniche, alla scrittura il cerchio ha relazioni divine: un cerchio semplice ha rappresentato fin dai tempi antichi e rappresenta ancora oggi l’eternita, non avendo ne principio ne fine.» 11

11 B. Munari, Il cerchio, Arti Grafiche Castello, 1964


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Il triangolo equilatero invece ha tre lati uguali e tre angoli uguali ed è il più semplice tra i triangoli.

«mentre un triangolo rettangolo può avere lati diversi e quindi forme diverse, il triangolo equilatero è da solo, immobile nella sua struttura di 3 lati uguali e tre angoli uguali, la forma più stabile.» 12

Questa volta la sua complessità si nasconde anche negli angoli, infatti gli angoli del triangolo equilatero sono tutti e tre di 60 gradi cioè angoli acuti. Il triangolo, grazie a questo tipo di angolo, ha la capacità di imprimere una forte direzionalità e proiettare lo sguardo fuori dalla figura, difatti le frecce, come segno direzionale, sfruttano questo aspetto dell’angolo, amplificato nei triangoli.

Gli angoli nascono dall’incontro di due linee che incidono e le prime due sono quella orizzontale e quella verticale, che incrociandosi formano angoli di 90 gradi. 12 B. Munari, Il triangolo, Arti Grafiche Castello, 1976


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Tipi fondamentali delle rette geometriche

Schema dei tipi fondamentali

Schema delle differenze di temperatura


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«Possiamo osservare 3 tipi fondamentali di rette. [...] 1.La forma più semplice è l’orizzontale. [...] 2.Completamente opposta a questa linea è la verticale, che forma con essa un angolo retto 3.Il terzo tipo della retta è la diagonale, che si distacca dalle altre due formando con ciascuna un identico angolo e con ciò mostrando una medesima inclinazione verso ambedue. [...] Tutte quante le altre rette sono solo deviazioni, piccole o grandi, dalle diagonali.» 13

13 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Fig.15-16-17, Adelphi, 1968


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Dopo questa spiegazione legata agli aspetti compositivi della forma risulterà subito evidente come il quadrato sia la forma ideale per uno spazio compositivo semplice. Il quadrato ha 4 lati della stessa lunghezza, due orizzontali e due verticali, e gli angoli formati sono di 90 gradi. «Il quadrato non è una forma subconscia. È la creazione della ragione intuitiva. Il volto della nuova arte! Il primo passo della creazione pura in arte.» 14 Il volto del quadrato mostra un forte equilibrio tra interno ed esterno al contrario del triangolo che si rivolge all’esterno con i suoi angoli acuti ed il cerchio che non avendo angoli è concentrato verso l’interno.La famiglia dei rettangoli è derivata da esso, infatti più un rettangolo tende al quadrato, più l’occhio umano tenderà ad osservarlo come tale, sempre per il principio di unità visiva. Questa figura si pone da sè come spazio ideale grazie all’armonia insita nei suoi rapporti costruttivi, e proprio per tale motivo pensando ad uno spazio ideale pensiamo alla forma quadrata.

14 Frase attestata a K. Malevich


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LE FORZE DELLO SPAZIO QUADRATO Come è stato accennato in precedenza, lo spazio ha degli elementi che interagendo tra di loro determinando i luoghi in cui la percezione visiva viene direzionata e si concentra, creando la struttura dello spazio. Questi elementi oltre ad interagire tra loro, applicano le loro forze su ciò che viene rappresentato su di essi. In questo modo la forma rappresentata potrà posizionarsi in corrispondenza o in contrasto rispetto alle forze dello spazio, rendendo più o meno complessa la percezione che tende alla stabilità.


R. Arnheim, Art and visual perception, Fig.3, University of California press, 1997


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Lo spazio quadrato ha delle forze interne e delle forze esterne che nel complesso ne costituiscono la struttura. I limiti , cioè le linee orizzontali e verticali con i loro angoli di intersezione di 90° sono quelle forze direzionali esterne perchè visibili, mentre le diagonali e le mediane sono forze nascoste ma agenti quando l’occhio indaga la figura in cerca di equilibrio. Inoltre esiste un luogo, facente parte di quelle direttrici attentive interne, dove il focus è maggiore per via dell’incrocio tra mediane e diagonali: il centro. Riveste un ruolo essenziale nella percezione visiva dell’unità, difatti nel processo di sfocatura della forma che avviene ai limiti della visione, esso si palesa e da punto potenziale diventa punto visibile. Il punto centrale risulta quello maggiormente attentivo, poichè tiene unite tutte le altre forze impedendo allo sguardo di allontanarsi, come avviene invece nel triangolo. «Enigmatico nella sua semplicità, nella monotona ripetizione di quattro lati eguali, di quattro angoli uguali, genera una serie di interessanti figure[...] Con le sue possibilità strutturali ha aiutato artisti e architetti di ogni epoca e di ogni stile a dare uno scheletro armonico ove fissare la costruzione artistica.» 15

15 B. Munari, Il quadrato, Arti Grafiche Castello, 1960


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Una volta fissata percettivamente questa struttura si ha una esperienza visiva stabile dello spazio quadrato, ma quando una forma viene posizionata all’interno di uno spazio dovrà interagire col campo di forze di questo, spingendo l’occhio a trovare nuovamente la stabilità. Immaginiamo di avere una forma che vaga liberamente sulla nostra superficie, quando questo si troverà in corrispondenza delle linee direttrici delle forze la stabilità sarà più facilmente raggiungibile altrimenti sarà necessario uno sforzo maggiore. La capacità visiva umana di raggiungere la stabilità quando non c’è una corrispondenza tra le forze dello spazio e la forma rappresentata è dovuta a un altro sistema automatico del nostro apparato visivo che viene usato da sempre a scopo progettuale. L’occhio spostandosi dal luogo in cui si trova la forma alle direttrici delle forze spaziali, crea delle strutture spaziali secondarie per creare una corrispondenza tra i due elementi (spazio e forma) e ritrovare la stabilità. Da qui nascono le griglie, sistemi di strutturalizzazione dello spazio secondo diversi modelli di ordine. Designer, architetti e artisti hanno sempre usato e amplificato queste strutture, coscienti del fatto che per organizzare un oggetto nello spazio esistono luoghi più facilmente percettibili e altri che hanno bisogno di un sistema che li faccia comunicare con il luogo in cui sono.


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Regola dei terzi

Griglia mista

Roger Coqart, Structure Square Series Inwards, 1976


Spirale logaritmica

Le Corbusier, Modulor, 1948


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Il principio della forma

Le corbusier, The panel exercise


Il principio della forma

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Un argomento necessario da trattare in questo capitolo è proprio il rapporto che esiste tra un sistema armonico e un sistema caotico quando una forma viene rappresentata all’interno di uno spazio. Infatti un sistema armonico implica un immediatezza percettiva che permette di stabilizzare l’immagine in un elemento unitario, la sola struttura dello spazio basta per far coincidere la forma in un sistema. Nel caso opposto la forma avrà bisogno di un sistema alternativo perchè, essendo posizionata fuori dagli elementi costitutivi dello spazio, l’occhio tenderà ad oscillare tra la forma e le forze spaziali fino a trovare un sistema equilibrato. Gli effetti ottici giocano in questo campo condizionando l’occhio a mantenere un oscillazione costante, e quindi creando immagini altamente dinamiche e percettivamente instabili, difficili da gestire in un’esperienza unitaria. Esiste un limite però, le strutture possono sovrapporsi e perfino creare sistemi ricorsivi16 fino ad impedire totalmente la ricerca di stabilità da parte dell’occhio per il sovraccarico di griglie presenti, la natura ne è un esempio poichè anche a livello visivo mostra immagini che vanno oltre l’armonia apparendo caotiche. Bisogna allora analizzare il rapporto tra forma e spazio non solo alla ricerca dell’armonia propria di un sistema stabile ma insieme spingersi al caos per svelarne le moltitudini di strutture possibili. 16 D. R. Hofstadter, Godel, Echer, Bach, Adelphi, 1984


IL PUNTO


NELLO SPAZIO


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Il punto nello spazio

Ora che abbiamo tutti i pezzi del nostro puzzle, possiamo metterli insieme e osservare che cosa succede. Questo è il principio della grafica, l’inizio dell’osservabile sintetizzato nella sua formula più essenziale.

«Questo caso rappresenta il prototipo dell’espressione pittorica.» 1 Servendoci dello spazio/forma ideale e del contrasto forte bianco/nero, possiamo inserire il punto, principio della forma, in un piano a due dimensioni; per la prima volta avviene il passaggio da a-dimensionale a dimensionale e il punto prende vita come rappresentazione visibile. Le forze spaziali hanno già indicato il luogo in cui nascerà, il centro, in perfetta armonia con la struttura, permettendo una percezione unitaria immediata rispetto a tutte le altre posizioni possibili. 1 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Adelphi, 1968



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Il punto nello spazio Il punto nello spazio

«Oggi il teorico, nel sistematizzare gli elementi artistici è portato necessariamente a separare gli elementi fondamentali e ad esaminarli con particolare attenzione; ma altrettanto importante [...] è il problema del numero di essi necessario per un opera pensata anche solo in modo schematico. Questo problema appartiene al grande problema della composizione, che fino a oggi è rimasta occultata, ma anche qui si deve procedere in modo conseguente e schematico si deve cominciare dal principio.» 2 Quando la superficie ‘viene fecondata’ dal punto, nasce anche la teoria della composizione, i due elementi spazio e forma si uniscono e si stabilizzano. In questa parte dello studio verrà proposta una teoria compositiva dinamica, basata sul tempo e sul movimento, e sulla visualizzazione totale delle possibilità compositive. Verranno create strutture secondarie, componendo quelle primarie, che a loro volta avranno una sequenza dettata dalla logica degli eventi. Ogni tavola equivarrà ad una possibilità rappresentativa del punto nello spazio, e seguendo le proprietà che assume (posizione, dimensione e quantità) sarà possibile riunire le tavole per i diversi ambiti e affiancarle trattandole come fotogrammi di un processo dinamico.

2 W. Kandinskij, Punto,linea,superficie, Adelphi, 1968


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Il punto nello spazio

POSIZIONE E DIMENSIONE Nel momento in cui la forma viene rappresentata acquista una posizione all’interno dello spazio ed una dimensione, perfino il punto, che come abbiam visto per definizione matematica è a-dimensionale. A seconda delle necessità è possibile dare una priorità ad una o all’altra proprietà, ma viaggiano sempre in parallelo quando si parla di forma rappresentata nello spazio. In questo caso possiamo analizzare prima la posizione e definire quelle tavole compositive che ne esauriscono le possibilità rappresentative, sempre partendo dal principio e muovendoci dall’armonia al caos, usando una dimensione arbitraria per poter visualizzare chiaramente cosa accade.


Il punto nello spazio

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Il punto nello spazio

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Seguendo la tavola principale e le forze strutturali dello spazio il punto comincia a muoversi e ad assumere posizioni differenti. Nel piano cartesiano la posizione di un oggetto, dato un luogo di origine, si può calcolare in base agli assi x e y che creano una griglia regolare dello spazio determinandone ogni parte. Sviluppando la griglia regolare del quadrato, si trovano i luoghi che determinano una più facile percezione unitaria, come avviene per il centro. Qui il punto si disporrà automaticamente per creare un unità armonica e sviluppando la stessa logica regolare su griglie standard più complesse, si può osservere come ogni volta aumenterà la percezione ottica, sia del punto dotato di posizione che della realtà spaziale quadrata. Secondo questo ragionamento, parlare di una posizione caotica significa allontanarsi il più possibile dal reticolato più semplice verso le nuove direzioni non ancora stabilite e principalmente rispetto al centro, quindi, nel caso di un solo elemento nello spazio, il caos si può intendere come un rapporto che aumenta con la risoluzione dello spazio. Sarebbe opportuno sostituire la parola caos con la parola organico, perchè la natura, essendo possibile osservarla sia nell’infinitesimalmente piccolo che nel grande, è la realtà osservabile con maggior risoluzione spaziale.



Il punto nello spazio 101

La dimensione è una proprietà che trae in inganno perchè implica l’aumento di spazio interno di una forma e, portato letteralmente ai limiti, diventa il passaggio da forma a spazio. Il punto, appare per la prima volta sulla superficie e comincia adespandersi... diventa simile ad un cerchio e poi va oltre, ritorna all’origine, diventa spazio. Se abbiamo un piccolo punto, pensare al suo spazio interno sembra un errore poichè la sua forma astratta non ammette dimensione, ma aumentandola possiamo visualizzarla e venire confusi. È un punto o è un cerchio? La risposta, come è stato detto nel capitolo precedente, necessita di una presa di coscienza, vedere un punto o un cerchio è una scelta dettata dall’ottica progettuale e comunicativa che si intende avanzare implicando significati differenti. Vedere un punto ingrandirsi porta la dimensione in un ottica diversa, ossia dell’osservazione microscopica, il punto non si stà realmente ingrandendo ma siamo noi che tramite uno strumento per visuallizarlo ci avviciniamo ad esso. Quello che possiamo vedere è uno spazio impenetrabile, che non ammette nessun tipo di rappresentazione al suo interno, uno spazio nullo.













Il punto nello spazio 113

Le tavole che rappresentano la realtà dimensionale del punto andrebbero rappresentate seguendo una sequenza lineare e possono essere amplificate. Proprio come avviene per la posizione, basterà aggiungere dei fotogrammi intermedi che catturano ogni volta dimensioni mediane, così da aumentarne l’effetto ottico.

Volendo rappresentare entrambi i fenomeni nel loro rapporto reciproco applicando la variante dimensionale alle tavole della posizione. Anche in questo caso si possono sviluppare una serie diversa di possibili elaborati che esprimono l’operazione posizione + dimensione.

Ogni fotogramma di questi elaborati grafici è da intendersi come indipendente, ma legato ad un rapporto specifico alle altre tavole quando si trova all’interno di un ulteriore composizione, in tal modo si può osservare ogni tavola come singola unità, successivamente rompere l’unità per osservare il rapporto con le tavole circostanti, ed infine osservare tutte le tavole insieme come una nuova unità .




116 Il punto nello spazio

QUANTITÀ Dopo aver analizzato dimensione e posizione, ci si può spingere oltre osservando come il punto nel suo rapporto con altri punti porta alla nascita delle texture. Riflettendo su questa proprietà moltiplicativa della forma, ci si rende conto di come effettivamente si può sensibilizzare una superficie, cioè visualizzare il suo spazio interno attraverso sensazioni tattili. Nel mondo dei fumetti vengono utilizzati retini con texture regolari e organiche, essenziali perchè permettono di distinguere spazi, ombre, materiali e colori, un chiaro esempio lo si può trovare nell’arte di Roy Lichtenstein. La stessa tecnica viene utilizzata a dimensioni dell’ordine dei micron nella stampa o della risoluzione pixel nella computer grafica, come per l’effetto ben-day e halftone di cui parleremo anche più avanti, oppure nella retinatura AM e FM, o la tecnica dithering. In alto, Roy Lichtenstein, M-Maybe, 1965 Sotto, Retinatura AM e FM



118 Il punto nello spazio

Sempre seguendo le forze interne del quadrato si possono sviluppare 2 tipi di texture regolare, una basata sulla struttura delle mediane e l’altra su quella delle diagonali, invece in uno sviluppo organico si può avere un altro tipo di texture in cui i punti compaiono sulla superficie in modo uniforme ma senza un ordine predefinito. Esattamente come per la dimensione, il destino del processo di texturizzazione porta i punti ad occupare l’intero spazio della superficie tornando nuovamente allo spazio.

«Per chi ha fatto delle texture a base geometrica, per esempio una texture coperta di punti da un millimetro, distanti un centimetro in reticolo quadrato, potrà addensare il suo reticolo di punti nelle zone volute mettendo un punto in mezzo agli altri, poi un altro punto in mezzo a questi nuovi spazi, riducendo così continuamente gli spazi fino ad avere delle zone addirittura nere di punti fitti.» 3

3 B.Munari, Design e comunicazione visiva, 1993


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I risultati ottenuti hanno diversi effetti visivi che agiscono a seconda della grandezza della tavola, sono gli stessi effetti di zoom-in e zoom-out che differenziamo le retinature dei fumetti da quelle della stampa. Si può osservare anche come l’occhio, seguendo il principio dell’unità, tende a collegare i punti e ad osservare linee dritte e curve che compongono figure apparentemente continue. Infatti utilizzando questi tipi di texturizzazione, si possono creare figure addensando i punti nelle zone d’ombra e rarefacendoli in quelle più esposte alla luce, come avviene nell’effetto dithering, così da creare apparenti sfumature utilizzando unicamente il nero sul bianco.


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Queste tavole si possono studiare sommandole a quelle precedenti ottenendo questa volta uno studio che si sviluppa su due assi dell’operazione dimensione + quantità; lungo un asse possiamo rappresentare la dimensione che giunge al nero, lungo l’altro asse la quantità che pure termina col nero. Otterremo così tutta una serie di tavole intermedie che possono essere intese sia come indipendeti che come zoom in e out di un unica tavola, inoltre per le texture ordinate ho provato a sommare anche le due tipologie in modo da averele rappresentate in un unica pagina.


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SOVRAPPOSIZIONI STATICHE E DINAMICHE Giunti a questo ‘punto’ abbiamo rappresentato tutte le proprietà fondamentali ottenendo un gran numero di tavole. Volendo studiare il punto e non altre forme, in quanto derivate, possiamo riutilizzare questi elaborati grafici e unirli tra di loro ottenendo la sovrapposizione delle strutture che implica una lettura su più livelli. Si potrebbe immaginare di dare un nome ad ogni elemento ottenuto in precedenza seguendo le varie logiche compositive, proprio come accade sulla scacchiera, e quindi comporre la tavola A3 con la B6 ed osservarne il risultato. Questa modalità di sovrapposizione equivale ad una somma e permette di creare infinite varianti contando sul fatto che possono essere sommate anche più di 2 tavole.


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La tipologia di sovrapposizioni precedenti si può considerare statica perchè non avvengono trasformazioni sulle tavole sommate, tuttavia è possibile eseguire una serie di operazioni successive come la rotazione, la traslazione o il ridimensionamento. Questa nuova sovrapposizione è dinamica perchè da un lato riceve un effettivo movimento, dall’altro i risultati di queste azioni creano delle conseguenze che rendono la percezione instabile creando effetti visivi dinamici, soprattutto nel caso in cui le due tavole sommate siano le stesse; questo effetto ottico è anche noto come moirè e deriva appunto dalla sovrapposizione di due texture che creano un interferenza.



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In alcuni processi di stampa come l’halftoning e il ben-day si utilizza la sovrapposizione di retini per ottenere varianti cromatiche e chiaroscurali; l’occhio non riuscendo ad osservare queste texture perchè troppo piccole, tende ad approssimarle e mixarle, come avviene con il contrasto simultaneo utilizzato da puntinisti e divisionisti o nell’effetto dithering della riproduzione digitale. Questi retini, rispettivamente dei colori C, M, Y, K, vengono inclinati in modo da non essere sovrapposti completamente, ma può capitare che interferiscano


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tra loro e si creino effetti moirè visibili considerati difetti di stampa. Proprio per ovviare a questo tipo di distorsione son stati studiati differenti tipi di retini (AM, FM, XM) diverse tipologie di inclinazioni e persino diverse forme di punto (tondo, quadrato, ellittico), in modo da poter scegliere in base alle necessità . La composizione dei retini forma delle figure ciamate rosette che possono essere piene o vuote determinando una differenza sul dettaglio nelle ombre.


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Andando a studiare questo effetto ottico sulla texture in cuia i studiare Andando punti sono questo disposti effetto in modo ottico organico, sulla texpossiamo ture in cui osservare i punti sono come disposti per rotazione in modo organico, centrale vengano generati possiamo osservaredei come cerchi, per rotazione e aumentando centrale il vengano numero digenerati sovrapposizione dei cerchi, conerotazioni aumentando diverse il numero ne verrà aumentato di sovrapposizione l’effetto ottico. con rotazioni diverse ne verrà aumentato l’effetto ottico. Usando questa tavola Usandoe questa provando tavola ad eadoperare provandoaltri ad adoperare metodi di trasformazione altri metodi di trasformazione combinati tra loro, combinati si puòtra giungere loro, si a può molteplici giungere risultati a molteplici che riportano risultatiache strutture riportano molto a suggestive strutture molto simili suggestive a galassiesimili circolari a galassie o ellissoidali, circolari o ellissoidali, lineari o a spirale lineari o a spirale.



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CONCLUSIONE


150 Conclusione

Al termine di questa ricerca si rimane in sospeso... ...e la linea? .......................e i poligoni? ...............................................e il colore? Da un lato perchè ci si chiede che cosa avvenga dopo; si potrebbe persino chiedersi che cosa accadrebbe se questi punti diventassero a tre dimensioni e venissero realmente costruiti nella realtà in uno spazio questa volta tri-dimensionale e quindi cubico. Dall’altro perchè la visualizzazione delle tavole mostrate dovrebbe essere in uno spazio più grande rispetto a quello, spesso troppo limitato, di un libro, in modo da aumentarne i dettagli e dare la possibilità di avvicinarsi ed allontanarsi, percepire una tavola isolata e poi osservarla nell’insieme, dare la possibilità di giocare con i punti. I propositi futuri derivanti da questo studio sono tanti, esplorati e non, ma l’aspetto centrale è il lato pedagogico, basato sull’unione di scienza e arte, che bisognerebbe approfondire e dare la possibilità di sperimentare, liberi da un contesto specifico, per poi riunificare ogni cosa imparata nell’atto progettuale pratico.


Conclusione 151

Tutti i designer sanno quant’è importante la sperimentazione e quanta soddisfazione si ricava da essa perchè non è mediata da nessuno se non dalla volontà di conoscere e scoprire. I miei grandi maestri in questo studio, come si sarà potuto notare, sono stati Kandinskij e Munari, che hanno saputo imprimere nella loro metodologia, una dose essenziale di teoria sempre legata all’aspetto pratico-sperimentale della comunicazione visiva. Questo gli ha permesso di trovare uno spazio comune, il Basic design, e da lì di estendersi oltre la progettazione di oggetti verso il progettare il Design stesso (Designing Design) e il progettare progettisti (Designing Designers) attraverso un unico metodo pedagogico e sperimentale. La cosa più entusiasmante è l’ampiezza di questo campo e la necessità di assumere un comportamento che superi la multidisciplinarità, un comportamento ‘antidisciplinare’ 1, in modo da non avere limiti imposti e spingersi verso la progettazione del microscopico e del macroscopico (come fa il Sistemic Design). Il punto è un piccolo passo essenziale e rappresenta perfettamente la realtà in cui modelli ricorrenti su scale diverse si sovrappongono e dalle particelle elementari, alle formiche agli uomini si arriva ai pianeti, alle galassie e all’universo.

1 Termine introdotto nel Design da Joi Ito direttore dell’MIT Media Lab




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