Eureka! An app to train visual intelligence and creativity.

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Eureka!

uno strumento per esercitare la creatività

Tania Boa matricola 271834 relatore Emanuele Arielli sessione di laurea Aprile 2013

Università IUAV di Venezia Facoltà di Design e Arti Laurea Specialistica in Comunicazioni Visive e Multimediali



Eureka!

uno strumento per esercitare la creativitĂ

Tania Boa


abstract Eureka! è un’applicazione smartphone pensata per tutti coloro che vogliono allenare e potenziare la loro creatività. Eureka trasforma la fotocamera del proprio dispositivo mobile in un strumento di osservazione e manipolazione dello spazio circostante; attraverso filtri e distorsioni dell’immagine vuole stimolare chi osserva a creare nessi e relazioni significative tra elementi della realtà circostante e termini lessicali, allenando in questo modo l’intelligenza visiva. Eureka, oltre che un’app, rappresenta una community di designer, professionisti e non solo, che condividono l’interesse per la creatività e per l’originalità delle soluzioni visive. L’applicazione non si presenta come un social network, seppure disponga di una connessione alle principali piattaforme, ma volutamente rivolge l’attenzione non all’individuo nel suo singolo, ma alle idee che egli è in grado di generare, le ‘eureka’ appunto. Un’eureka si presenta come un’immagine, una foto, scattata attraverso lo smartphone e nello

stesso istante manipolata e distorta attraverso filtri che si fondano sui principi della Gestalt e della psicologia cognitiva. Ognuna di esse nasce da un tema che si attiva contemporaneamente per tutti nello stesso momento della giornata e che consiste in un termine di uso comune associato ad una figura retorica. Il termine consiste in un oggetto concreto, mentre la figura retorica indica il tipo di relazione con cui collegare la realtà alla parola fornita in partenza. L’utente interagisce quindi attivamente con l’ambiente, in cerca di elementi che soddisfino il tema del giorno e nel mentre si confronta anche con altri utenti dell’applicazione, o meglio con le loro creazioni, in un costante gioco di stimolo reciproco e di circolazione di idee. Il presente manuale raccoglie tutto il percorso che ha portato alla luce Eureka, dalle ricerche iniziali in ambito storico e psicologico, all’analisi delle correnti di pensiero, agli strumenti attualmente esistenti per esercitare la creatività, fino ai dettagli dell’applicazione, al suo design e al suo funzionamento.


Eureka! is a smartphone application, designed for people who want to train and enhance their creativity. Eureka turns the camera on a mobile device into a tool to observe and manipulate the surrounding space, it is equipped with filters and image distortion, in order to encourage the user to create connections and meaningful relations between elements in the real world and lexical terms. The purpose of this is to train and improve the user’s visual intelligence. Eureka is more than an app, it is a community of designers, professionals and other people, who likes to share their interests towards creativity and amazing visual design solutions. The application, even if is provided with several connections to all main social platforms, it’s not a social network in itself. The app wants to focus the attention from the community to the single, not as an individual, but more as all the ideas that he is able to generate, the so called ‘eureka’. An eureka is a picture, a photograph, taken through the smartphone and at the same time

manipulated and distorted with all embedded filters that are based on the principles of Gestalt and cognitive psychology. Each eureka comes from a theme that is showed at the same time for all users, and in general is a commonly used term, associated with a figure of speech. The term is a name, (such as physical objects), while the figure of speech indicates the type of relationship that should connect the term provided at the beginning with the present reality. With Eureka the user interacts actively with the environment, looking for items that match the topic of the day, and in the meantime check what other users are creating, in a perpetual circle of shared ideas. This manual contains all the steps that gave birth to Eureka, from the initial research in the historical and psychological analysis, to some of the schools and authors, to some of the existing tools to exercise creativity, and finally to the details of the app, where is presented the final design and the complete mechanism.



INDICE

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prefazione introduzione capitolo

1

LE TEORIE PSICOLOGICHE SULLA CREATIVITÀ 19

i primi studi

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il dibattito scientifico

35

gli approcci allo studio capitolo

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I MECCANISMI DELLA MENTE TRA VISIONE E PENSIERO 65 105

le teorie ed i principi della percezione il pensiero visivo capitolo

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IL PENSIERO CREATIVO 127 137

progettazione e creatività tipi di relazioni capitolo

4

L’IDEA PROGETTUALE 159 165

gli strumenti per la creatività un esercizio per osservare capitolo

5

IL PROGETTO 179

Eureka! capitolo

6

203

conclusioni

209

ringraziamenti fonti

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prefazione cos’è la creatività? “Prova a chiedere una definizione di creatività e ti ritroverai con tante opinioni quanti sono gli individui.” Barry Day

Seppure non sia un concetto a noi sconosciuto, se qualcuno ci chiedesse la definizione di creatività probabilmente non saremmo in grado di dare una definizione precisa. Creativo è considerato, per esempio, un libro fantasy, un bambino che disegna qualcosa di insolito, un ragazzo che veste in modo anticonformista, il pittore di un quadro astratto, una pubblicità che cattura la nostra attenzione, il cuoco che fa accostamenti insoliti e il coreografo di un musical di successo. Si parla di creatività nell’arte, nel design, nella musica, nel ballo e nella letteratura, ma anche nella scienza, nella matematica, nell’ingegneria e nell’imprenditoria; questo termine sta per stranezza, novità, bizzarria, estro, inventiva, genialità, ingegno. Spesso, infatti, la creatività è associata a determinate professioni quali l’artista, il pubblicitario, il musicista, il comico, lo stilista, il designer, l’architetto, l’arredatore, l’illustratore, l’acconciatore, il coreografo, il cuoco, lo scrittore, il poeta e molti altri; e spesso, nell’immaginario comune, queste personalità hanno caratteristiche peculiari: si vestono in modo stravagante, sono persone divertenti, si atteggiano in maniera particolare,ecc. Con l’aggettivo creativo designiamo anche un’idea, un progetto o un prodotto, come un libro, un piatto, un dipinto, una pubblicità,un’auto, un murales. Sebbene sia un termine molto usato, la creatività rimane un concetto ampio e privo di una definizione chiara, proprio perché viene impiegato in molteplici contesti assumendo differenti sfumature. Esso viene spesso associato e talvolta assimilato alla fantasia, all’invenzione e all’immaginazione,


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prefazione

rendendo difficile distinguere queste facoltà umane proprio perché agiscono contemporaneamente. una definizione in divenire Da uno studio etimologico, la parola ‘creatività’ deriva dal latino creo(fare, creare), il quale verbo condivide con cresco la radice KAR, che ritroviamo nel greco KRAINO (realizzare, produrre), KRANTOR e KREION (dominatore, e propriamente colui che fa, che crea) e KRONOS (il creatore, padre di Giove). Nell’antichità l’atto creativo era attribuito esclusivamente alle divinità poiché erano considerate le uniche entità capaci di creare qualcosa dal nulla; le persone con particolare ingegno ed immaginazione venivano definite ‘geni’. La creatività come facoltà dell’essere umano viene presa in considerazione soltanto nel Novecento ed il termine ‘creatività’ viene registrato nel dizionario italiano per la prima volta nel 1951, e nel 1970 nel dizionario Zanichelli appare il sostantivo ‘creativo’ per indicare la figura professionale di colui che “elabora annunci pubblicitari”. È interessante notare come quest’accezione si modifica nel corso della storia: da caratteristica esclusiva della divinità ad attributo dell’essere umano, dal concetto di creatore in grado di dare la vita a capacità della ragione. Inoltre con il passare del tempo e l’interesse degli studi sulla materia la creatività è stata sempre meno considerata un talento esclusivo di alcune persone, mentre viene vista come una capacità cognitiva della mente di creare ed inventare, propria di tutti gli esseri umani e che come tale può essere allenata e sviluppata. alcune definizioni Il dizionario Devoto-Oli definisce la creatività come la “capacità produttiva della ragione o della fantasia”, mentre nel Cambridge Dictionary l’aggettivo ‘creative’ viene associato al produrre o all’usare idee originali ed inusuali, e nell’ Oxford Dictionary viene identificato come l’uso di quegli strumenti necessari per produrre qualcosa di nuovo o un lavoro artistico. Dunque, la creatività non è un’attività fine a se stessa, ma orientata al conseguimento di un obiettivo, attraverso la pratica di alcune tecniche che, come tali, possono essere affinate. Una definizione molto usata per semplicità e chiarezza è quella del matematico francese Henri Poincaré per il quale la creatività è unire elementi esistenti in combinazioni nuove che siano utili. Secondo la sua opinione, il criterio per definire una combinazione

Poincaré, H. esprime il suo pensiero sulla creatività nel libro Science et méthode (1908). [trad. it., Scienza e metodo (1997)]


prefazione

“Un risultato nuovo ha valore, se ne ha, nel caso in cui stabilendo un legame tra elementi noti da tempo, ma fino ad allora sparsi e in apparenza estranei gli uni agli altri, mette ordine, immediatamente, là dove sembrava regnare il disordine. [...] Inventare è discernere, è scegliere. [...] Quel che più lascia colpiti è il fenomeno di queste improvvise illuminazioni, segno manifesto di un lungo lavoro inconscio precedente [...] a proposito delle condizioni in cui avviene il lavoro inconscio, vi è un’altra osservazione da fare: esso è impossibile, e in ogni caso rimane sterile, se non è preceduto e seguito da un periodo di lavoro cosciente.” J. H. Poincaré

utile è che essa sia ‘bella’, considerando come bello un qualcosa che sia armonico e funzionale, ovvero che la sua funzione corrisponda ad uno scopo. Poincarè sottolinea il fatto che niente si crea dal niente e che, per fare delle buone combinazioni, è necessaria la capacità di unire elementi e di selezionare quelli giusti da combinare, bisogna quindi conoscerli, avere delle buone intuizioni, avere esperienza e tenacia per procedere per prove ed errori. Il risultato è quindi qualcosa di nuovo e utile, e l’atto creativo consiste essenzialmente nel superare le regole (creare qualcosa di nuovo) per istituire una migliore regola condivisa dalla società (che sia utile). questi due ingredienti possono essere presenti in misura differente, ma non possono essere assenti. Prendendo in considerazione le definizioni date dagli psicologi che si son interessati di creatività, possiamo osservare che ci sono opinioni varie e talvolta discordanti. Alcuni la associano al prodotto dell’atto creativo; per esempio Bruner la definisce come la produzione di ciò che genera sorpresa, per Parnes i prodotti creativi sono quelli che vengono apprezzati in un contesto per il loro valore e la loro originalità, e Taylor considera creativi quei processi che portano al concepimento di nuovi prodotti. Vi è poi chi fa riferimento al processo di ideazione, come Henle che la individua nel far buon uso degli errori, Getzels e Jackson che definiscono la creatività come l’abilità di congiungere elementi solitamente pensati come dissimili e indipendenti, Mednick che la identifica nell’abilità di formare

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prefazione

nuove combinazioni, e Drevdhal nella capacità di formare composizioni nuove e prima sconosciute. Queste sono soltanto alcune delle definizioni che sono state date alla concetto di creatività; molte teorie sono state avanzate al riguardo e molti studiosi si sono cimentati nell’analisi dei processi e nei meccanismi in cui essa è coinvolta, ma senza trovare una definizione univoca e soddisfacente. Al contrario, la moltitudine di descrizioni rischia di fare confusione intorno a questo concetto che potrebbe venir percepito come un concetto vuoto, ambiguo e privo di utilità che è possibile applicare indistintamente a tutto.


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introduzione

L’interesse ad approfondire il tema della creatività nasce dalla consapevolezza che questa capacità svolge un ruolo molto importante nel lavoro di ogni designer, essendo questo spesso chiamato a risolvere creativamente dei problemi con idee innovative. La creatività non è però né genetica né peculiare di determinate professioni, come si credeva in passato, ma è un fattore comune a molte professioni ed è inoltre importante nella vita di ogni giorno, poiché aiuta a risolvere anche i piccoli problemi che si presentano nelle situazioni quotidiane. Un’altra considerazione che mi ha spinto nella scelta del tema riguarda il poco interesse che l´educazione scolastica rivolge alla capacità di osservare e manipolare immagini, prediligendo invece il testo e la parola.Nella società contemporanea, però, le immagini ricoprono un ruolo fondamentale nella comunicazione e nella cultura in genere. È ingenuo infatti pensare che la creatività possa prescindere dalle immagini; al contrario, essa fa uso del linguaggio visivo come di quello verbale per trovare nessi nuovi tra elementi, concetti e forme. Inoltre, mentre la fluidità di parola viene costantemente allenata in ambito scolastico e sociale, il pensare per immagini è stato a lungo trascurato e rilegato quasi unicamente all’educazione infantile, ne consegue dunque che l’intelligenza verbale abbia di fatto sempre il sopravvento. Alla luce di queste considerazioni, ho deciso di compiere questo viaggio nella creatività, cercando di comprendere i principi psicologici che le sottostanno ed osservandola con gli occhi


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introduzione

di un graphic designer. Mi sono quindi domandata se e come l’abilità nel trovare nessi nuovi in cose note, facoltà che è alla base della creatività, può essere allenata nell’ambito visivo. Questa tesi si propone quindi di osservare ed analizzare la creatività da molteplici punti di vista cercando di mettere ordine in questa ‘galassia’ al fine di comprendere il concetto nella sua interezza e complessità. La creatività viene studiata partendo dalle differenti teorie che si sono susseguite nel corso degli anni e che hanno cercato di definire e far chiarezza sui diversi aspetti, per poi passare ad analizzare i fondamenti di psicologia cognitiva, al fine di capire il modo di operare del pensiero creativo in ambito visivo. Nasce quindi Eureka, un’applicazione per smartphone che offre l’opportunità di allenare l´intelligenza visiva tramite un esercizio quotidiano che tutti gli utenti iscritti possono sviluppare contemporaneamente. Lo scopo dell´esercizio è quello di stimolare nell’utente la capacità di osservare e cogliere relazioni inusuali tra gli elementi che lo circondano, in un continuo dialogo tra visione e pensiero. Nelle pagine che seguono viene presentata inizialmente un’analisi storica generale, utile ad inquadrare l´ambito di ricerca, e di seguito viene mostrato lo sviluppo tecnico e concettuale del progetto Eureka. Nel primo capitolo viene preso in esame lo stato dell’arte sulle teorie e le ricerche sulla creatività, ripercorrendo le tappe principali degli studi psicologici e delineando le mappe dei differenti approcci soffermando l’attenzione sui modelli più noti e significativi. Il secondo capitolo analizza i fondamenti della psicologia cognitiva per quanto riguarda la visione: la percezione delle immagini, l’attenzione selettiva, la generazione e la manipolazione delle immagini mentali, la memoria ed il rapporto che sussiste tra percezione ed immaginazione. Si entra poi, nel terzo capitolo, nel vivo del processo creativo attraverso un’analisi metodologia che prende in esame come essa viene utilizzata nelle diverse fasi della progettazione, fino a definire alcune modalità di operare, cioè di fare relazioni, del pensiero creativo.


introduzione

Nel quarto capitolo si gettano le basi del progetto finale, raccogliendo gli aspetti interessanti della ricerca e prendendo in esame alcuni strumenti di creatività esistenti; si definiscono quindi gli obiettivi ed il concept del progetto. Il quinto capitolo è interamente dedicato alla spiegazione di Eureka; è qui che viene mostrato nel dettaglio il design dell’applicazione ed il suo funzionamento. L’ultimo capitolo contiene alcune riflessioni sul percorso svolto e sulle future possibili evoluzioni di Eureka. A tutti, buona lettura.

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capitolo

1

TEORIE PSICOLOGICHE SULLA CREATIVITÀ I PRIMI STUDI IL DIBATTITO SCIENTIFICO il comportamentismo e l’associazione tra stimoli e risposte la psicologia della Gestalt e l’Insight il cognitivismo e la soluzione di problemi il costruttivismo e l’apprendimento attivo la psicoanalisi e l’inconscio la visione umanistica e l’autorealizzazione GLI APPROCCI ALLO STUDIO la metodologia operativa della creatività la personalità creativa la pedagogia della creatività



teorie psicologiche sulla creatività

i primi studi

I primi studi sulla creatività risalgono alla seconda metà dell’Ottocento e riguardano la ricerca delle cause genetiche per definire il talento creativo sulla base biologica ed ereditaria; seguendo questa intuizione, Francis Galton, antropologo e cugino di Charles Darwin, pubblicò nel 1865 un articolo intitolato Hereditary Talent and Characters in cui dimostrò che l’intelligenza umana era il prodotto di processi biologici. In questo stesso periodo si cominciò a delineare un filone di analisi, seppure ancora molto debole, che associava il genio creativo alla parte irrazionale della psiche, individuando le somiglianze con la malattia mentale. È di questa opinione il crimonologo e psichiatra Cesare Lombroso, che nel suo libro Genio e Follia (1894) individuò nell’anormalità psichica e in particolare nell’essere eccessivi, una caratteristica che contraddistingueva sia l’uomo di genio che il criminale ed il folle dal resto della popolazione. All’inizio del Novecento altri studiosi si dedicarono a cercare i fattori che influenzano la creatività ed il talento al di fuori delle cause genetiche. Uno di questi è Lewis Terman che nel 1920 iniziò delle ricerche all’Università di Stanford, volte ad esaminare lo sviluppo delle caratteristiche dei bambini ‘intellettualmente dotati’ nell’età adulta e cinque anni dopo pubblicò il primo volume della sua opera Genetic Studies of Genius nel quale egli dimostrò che non esiste un legame tra quoziente intellettivo e successo nell’età adulta. Continuando

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capitolo 1

questi studi, Catherine M. Cox, assistente di Terman, raggiunse la conclusione che i successi di quelle persone che avevano dato un contributo importante in vari campi, non dipendeva dal loro quoziente intellettivo, quanto dalla “persistenza di motivazione e impegno, fiducia nelle proprie capacità e grande forza di carattere”. Nonostante queste prime intuizioni, la creatività veniva spesso associata all’intelligenza e molti sforzi fatti dagli studiosi erano finalizzati a cercare un metodo per misurare il quoziente intellettivo; essa rimase perciò un ambito periferico di scarso interesse. Altri motivi per cui la creatività è stata per molto tempo un campo inesplorato sono stati attribuiti da Robert J. Sternberg ad ostacoli culturali che consideravano la creatività qualcosa di inspiegabile e mistico e al fatto che era difficile trovare dei criteri di misurazione e quindi essa era difficilmente indagabile. Decisivo per l’ampliamento delle ricerche in questo ambito fu il discorso dello psicologo statunitense Joy P.Guilford che fece come presidente uscente dell’American Psychological Association nel 1950, nel quale egli sottolineò “l’importanza sociale del pensiero creativo e del riconoscimento delle personalità ricche di potenziale creativo” e lanciò un appello a favore di un’apertura verso le indagini in questo settore. Da questo momento le ricerche si intensificarono e andarono in molteplici direzioni, la creatività venne studiata su diversi aspetti catturando l‘interesse non soltanto degli psicologi, ma anche di pedagoghi, matematici, scienziati, scrittori, ecc.

Si veda Cox, C. M. (1926). Genetic Studies of Genius Series, Vol. II, Early Mental Traits of Three Hundred Geniuses, Stanford University Press, Stanford.

Sternberg R. J. (1999). Handbook of creativity. Cambridge University Press, New York.


teorie psicologiche sulla creatività

il dibattito scientifico

Il vasto dibattito scientifico che si sviluppò a partire dalla seconda metà del ’900 vide gli studiosi impegnati nell’interpretazione della creatività secondo diverse prospettive in base al loro background; si venne così delineando una complessa tassonomia delle varie teorie. Questi studi psicologici, come osservano Amadori e Piepoli, “hanno avuto il merito di scindere, scomporre il processo creativo in una serie di fasi gerarchicamente organizzate a formare un autentico percorso psicologico che conduce progressivamente l’individuo alla messa a punto di un’espressione creativa”. I pensieri che si delineavano spesso erano tra di loro in contrasto, a volte prendevano solo sfumature diverse, altre volte cercavano di descrivere i processi con termini più precisi. Risulta quindi difficile poter classificare queste teorie dentro a delle correnti definite. In ogni caso possono essere individuate alcune correnti di pensiero principali dai confini molto labili: la psicoanalisi, il personalismo, il costruttivismo, il cognitivismo, la psicologia della Gestalt e il comportamentismo. Nelle pagine seguenti vengono analizzati sinteticamente ognuno di questi filoni, prendendo in considerazione le teorie più rilevanti della creatività che si son definite attraverso il pensiero di numerosi studiosi.

Si veda Amadori, A., Piepoli, N. (1992). Come essere creativi. Sperling & Kupfer, Milano.

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LE PIÙ IMPORTANTI CORRENTI DI PENSIERO E LA LORO INTERPRETAZIONE DEL CONCETTO DI CREATIVITÀ

1970

1960

1950

1940

1930

1920

COMPORTAMENTISMO lo studio del comportamento

PS. DELLA GESTALT la teoria della percezione

1910

1900

realtà esterna

creatività Capacità di comprendere relazioni tra stimoli e effetti e generare nuove associazioni, procedendo per prove ed errori. (pr. riproduttivo)

creatività Insight (intuizione); è l’ illuminazione improvvisa che avviene in seguito ad una ristrutturazione degli elementi. (pr. produttivo)


COSTRUTTIVISMO la centralità dell’esperienza

PERSONALISMO l’attenzione alle sensazioni

COGNITIVISMO il funzionamento della mente

PSICOANALISI la teoria dell’inconscio

interiorità dell’individuo

creatività Frutto dell’esperienza; capacità di costruire delle opportunità aprendo problemi e dubbi e facendo emergere nuovi significati.

creatività Autorealizzazione; espressione del perfetto funzionamento dell’individuo, che raggiunge un equilibrio stabile e si realizza.

creatività

creatività

Risoluzione di problemi; i processi cognitivi riguardano il modo di immagazzinare ed elaborare informazioni nella memoria.

Capacità di far ricorso a contenuti inconsci e preconci che sono particolarmente vivaci e produttivi per risolvere i conflitti interni.


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capitolo 1

IL COMPORTAMENTISMO E L’ASSOCIAZIONE TRA STIMOLI E RISPOSTE Il comportamentismo, definito anche behaviorismo, è una corrente di pensiero che si è sviluppata a partire dagli anni ’10 ed ha dominato il panorama psicologico fino agli anni ’60 sia in Europa che in America. Il contesto in cui è maturato questo modello era caratterizzato dalla contrapposizione tra strutturalismo e funzionalismo, due approcci che rappresentavano i primi tentativi di considerare la psicologia come una scienza e di utilizzare un metodo sperimentale per lo studio della memoria, dell’apprendimento, ecc. Questi approcci erano, però, ancora troppo esposti al rischio del soggettivismo poiché si ostinavano a studiare il costrutto della mente. Soltanto il pensiero comportamentista riuscì a porre le basi per costruire la psicologia su fondamenta oggettive. Tale modello si propone di studiare tutti i fenomeni psichici eliminando ogni riferimento a concetti non suscettibili di verifica e basandosi esclusivamente su materiali osservabili scientificamente, per questo motivo i behavioristi rifiutano l’introspezione abbandonano i concetti di mente, di coscienza e dell’io; la mente viene ora considerata come una scatola nera il cui funzionamento non può essere conosciuto. Il comportamentismo restringe la psicologia sia umana che animale allo studio del comportamento, considerato l’unico aspetto scientificamente osservabile e studiabile, e si dedica a studiare le associazioni tra gli stimoli provenienti dall’ambiente e le risposte in termini di comportamenti umani; in pratica, con attenti esperimenti, cercavano di confrontare i comportamenti in situazioni controllate per determinare i fattori che li condizionavano. Sotto questa prospettiva la creatività è considerata come la capacità di dare una giusta risposta a determinati stimoli e la fase di apprendimento è costituita da un processo per prove ed errori (processo riproduttivo). Precursore di questa teoria è Edward L. Thorndike, che aveva già dalla fine dell’800 intrapreso degli studi sulle intelligenze animali, i quali sfociarono nella definizione del suo sistema teorico che egli definiva connessionismo, una forma particolare di associazionismo. Egli enunciò tre principi fondamentali: il primo afferma che l’apprendimento si verifica per tentativi ed errori, il secondo che le risposte corrette tendono ad essere ripetute ed il terzo sostiene che i comportamenti più spesso esercitati vengono appresi più saldamente ed è più facile che vengano di nuovo emessi

E. L. Thorndike (1874/1949), psicologo statunitense. Egli espone la legge dell’effetto, sull’apprendimento per prove ed errori, nel suo libro The Fundamentals of Learning (1932).


teorie psicologiche sulla creatività

in situazioni analoghe a quelle in cui sono stati appresi. L’avvio al comportamentismo fu dato dal filosofo russo Ivan P. Pavlon che aveva applicato i principi dell’associazionismo al comportamento degli animali e aveva quindi definito delle leggi che regolano associazioni tra stimoli e risposte. Ma il movimento nacque ufficialmente nel 1913 con la pubblicazione dell’articolo Psychology as the behaviorist views it (La psicologia così come la vede il comportamentista), dello psicologo John B. Watson, il quale si dedica a scomporre in parti elementari l’insieme degli atti con cui l’individuo risponde agli stimoli. All’interno di questa corrente, alcuni psicologi associazionisti individuano la creatività in particolari associazioni. Per esempio, Sarnoff A. Mednick ha suggerito di identificare la creatività con la capacità di mettere insieme in modo utile idee che normalmente vengono considerate lontane, infatti determinati stimoli esterni potrebbero favorire associazioni nuove tra le informazioni memorizzate nella mente. Secondo lo psicologo esistono tre forme di associazioni creative: l’associazione per contiguità accidentale (serendipity) che si manifesta quando sono casualmente presenti nell’ambiente oggetti o manifestazioni che evocano idee lontane, l’associazione per somiglianza se sono presenti stimoli che hanno proprietà e funzioni simili, ed infine l’associazione attraverso mediazione, caratterizzata dal fatto che due elementi molto distanti vengono collegati da passaggi intermedi in ciascuno dei quali vengono colte analogie o legami. Mednick sottolinea inoltre che ci sono dei fattori da cui dipende la possibilità che un individuo produca più associazioni creative rispetto ad un altro: la quantità di informazioni di cui il soggetto dispone, che determina l’abbondanza delle idee che sorgono nella sua mente, e la facilità del soggetto a muoversi verso i livelli inferiori della gerarchia di elementi associati ad un concetto. Recentemente, alcuni autori che provengono da campi diversi della psicologia associazionista hanno riconosciuto la creatività in particolari tipi di associazioni. Per esempio, Gregory Bateson identifica la creatività con la capacità di combinare due sorgenti di informazione o di ricombinare in modo originale gli elementi. Arthur Koestler espone il concetto di bisociazione, ovvero l’operazione di collegare elementi o idee che sarebbero normalmente incompatibili; l’individuo creativo è quindi colui che

S. A. Mednick (b. 1928), psicologo e psichiatra. La sua teoria circa l’aspetto ricombinatorio della creatività viene descritta nell’articolo The associative basis of the creative process, pubblicato nella rivista Psychological Review (1962).

Si veda Koestler, A. (1975). L’arte della creazione. Ubaldini, Roma (ed. or., 1964, The act of creation. Hutchinson, Londra).

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riesce a operare contemporaneamente su piani cognitivi e a mettere poi in contatto tali piani tra di loro. Sulla stessa scia, Albert Rothenberg definisce il pensiero creativo come pensiero bifronte o gianico ( il termine deriva da Giano, la divinità che guardava in due direzioni opposte poiché aveva due volti) caratterizzato dalla combinazione consapevole di termini antitetici e apparentemente paradossali. LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT E L’INSIGHT La psicologia della Gestalt, detta anche ‘psicologia della forma’, è una corrente di pensiero che nacque e si sviluppò in Germania tra il 1912 e il 1935 e successivamente proseguì negli Stati Uniti poiché i suoi esponenti furono costretti ed emigrare con l’avvento del nazismo. Questa corrente di pensiero si sviluppò in parallelo al comportamentismo dal quale si differenziò, proponendosi di cogliere una oggettività più genuina e in grado di estendersi anche agli aspetti non perfettamente misurabili. Gli psicologi della Gestalt assegnarono particolare valore alla percezione e si dedicarono a reinterpretare l’intera fenomenologia della vita psichica dell’individuo. Il pensiero gestaltista sostiene una corrispondenza per analogia tra forme e strutture del mondo fisico e del mondo psichico, e considera il tutto come diverso dalla somma delle singole parti. Un’altra profonda differenza tra il modello fenomenologico (quello gestaltista) e quello behaviorista riguarda il criterio con il quale si risolvono situazioni problemiche: mentre per i comportamentisti si procede per prove ed errori, cioè in seguito a reiterati e casuali tentativi che vengono corretti con l’osservazione dei risultati, i gestaltisti introducono una spiegazione formata dal pensiero, dalla comprensione e dall’intuizione. Per questi ultimi, il pensiero risolutorio è caratterizzato da un momento di intuizione improvvisa in cui si trova la risposta adeguata ad un problema: l’Insight, definito così da Wolfgang Köhler. Nella sua teoria, egli attribuisce intelligenza al soggetto che apprende, sia che sia uomo che animale, il quale è capace di cogliere i nessi chiave di una situazione e compiere delle azioni in base ad una strategia non casuale. L’atto creativo consiste, quindi, nel ristrutturare degli elementi del problema e nel cogliere le relazioni presenti e le proprietà tra essi, così da riuscire a vedere la situazione da una nuova prospettiva. Questo processo viene definito pensiero produttivo. Sebbene l’Insight viene considerata un’illuminazione improvvisa,

Si veda Rothenberg, A. (1979). The emerging godness: the creative process in art, science and other fields. University of Chicago Press, Chicago.

W. Köhler (1887/1967), psicologo tedesco. Dopo aver osservato a lungo il comportamento degli scimpanzé posti di fronte a situazioni di tipo problematico, Köhler formulò il concetto di Insight. Il testo di riferimento è Intelligenzprüfungen an Anthropoiden (1917).


teorie psicologiche sulla creatività

essa non arriva dal nulla, ma dopo un periodo di esplorazione degli strumenti a propria disposizione, durante il quale si penetrano a fondo le strutture del problema. A questo proposito, lo psicologo Max Wertheimer, dall’analisi di alcune biografie, ricava che “i processi produttivi hanno spesso questa natura: un nuovo esame e un’indagine cominciano col desiderio di giungere a una vera comprensione”, mettendo in evidenza che una condizione necessaria affinchè l’Insight si manifesti è una motivazione forte a trovare la soluzione. IL COGNITIVISMO E LA SOLUZIONE DI PROBLEMI Negli anni ’60, in contemporanea alla crisi del modello comportamentista, si assiste all’ascesa di una nuova corrente di pensiero: il cognitivismo. Questo indirizzo psicologico rifiuta il modello stimolo-risposta, non ritenendolo in grado di tener conto della complessità dei processi cognitivi; esso porta al centro dell’indagine l’organismo in quanto mediatore attivo tra le sollecitazioni provenienti dall’ambiente (input) e i comportamenti (output). L’oggetto di studio del cognitivismo è l’insieme dei processi mentali mediante i quali un organismo acquisisce informazioni dall’ambiente, le elabora ed esercita su di esse un controllo. Questo interesse nasce dalla costatazione, espressa da Ulric G. Neisser, che “tutto quel che sappiamo della realtà è stato mediato non solo dagli organi di senso, ma da sistemi complessi che interpretano continuamente l’informazione fornita dai sensi”. In questa prospettiva, gli stimoli provenienti dall’esterno sono tradotti in stati simbolici o rappresentazioni che vanno a costituire la mole di informazioni che la mente può elaborare attraverso i processi cognitivi (percezione, attenzione, linguaggio, memoria, pensiero e creatività). Le metafore ‘mente-computer’ e ‘processi cognitivi-operazioni’ evidenziano come la psicologia cognitiva sia stata influenzata da scienze come l’intelligenza artificiale. Questo filone di ricerca ha portato all’identificazione della creatività con la soluzione di problemi e ha dimostrato come le attività che si mettono in atto nel processo creativo e le abilità cognitive dell’individuo assumono un ruolo particolare. Infatti, gli studiosi cognitivisti ritengono che alla base dell’attività creativa ci sono delle disposizioni mentali come la flessibilità, la fluidità, la capacità di sintesi e di analisi. Proprio dall’analisi di queste abilità cognitive e dei costrutti che sorreggono l’attività creativa, gli studiosi hanno prodotto numerose mappe (Guilford, 1950; D’Alessio e Manetti,

Si veda Wertheimer, M. (1965). Il pensiero produttivo, a cura di Bozzi P. Ed. Universitaria, Firenze (ed. or., 1945, Productive Thinking, Harper & Row, New York).

U. G. Neisser (1928/2012), psicologo statunitense di origine tedesca. Egli è noto per aver posto le basi del nascente cognitivismo ed aver coniato il termine ‘psicologia cognitiva’ nel libro Cognitive Psychology (1967). La citazione riportata è presa dalla traduzione italiana del libro (Psicologia cognitivistica, a cura di G. B. Vicario, Martello Giunti, Milano, 1976).

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1976; Pagnin e Vergine, 1974, 1977; Rubini, 1980). Il cognitivista Jerome S. Bruner sostiene che colui che ha un pensiero creativo riesce a guardare le cose da una diversa angolazione collegando le conoscenze pregresse alle nuove ed armonizzandole; questa attività richiede un processo di autocoscienza e di entrata in contatto con la propria realtà interiore. Per approfondire, egli definisce l’azione creativa come “qualsiasi atto che crea una sorpresa produttiva, cioè una modificazione concreta inaspettata nelle diverse attività in cui si è coinvolti. La capacità di combinare e disporre i dati secondo prospettive nuove richiede la dimensione euristica che ha come momento essenziale l’atto della scoperta: un’operazione di trasformazione di fatti evidenti che permette di procedere al di là di quei fatti verso una nuova intuizione”. Secondo questa teoria la creatività si sviluppa attraverso momenti di osservazione e auto-osservazione ed un ruolo importante viene giocato dalla metacognizione, ovvero l’attività di riflessione ed il riconoscimento dei propri processi cognitivi. Bruner sottolinea che l’attività metacognitiva compare nelle persone in modo disuguale in rapporto al loro background culturale, ma può essere insegnata con successo; a tale proposito egli elabora una fortunata teoria dell’apprendimento. IL COSTRUTTIVISMO E L’APPRENDIMENTO ATTIVO Il costruttivismo viene spesso considerato come una corrente del cognitivismo seppure abbia degli aspetti teorici profondamente differenti. Lo stesso George Kelly, considerato il padre di questo filone della psicologia, affermava: “sfatiamo il mito che il costruttivismo sia collegato al cognitivismo”. Esso nasce dalla consapevolezza che qualsiasi conoscenza non considerata come innata non può che essere generata dalle attività fisiche e concettuali dell’individuo. Si inizia quindi ad indagare il modo in cui egli conosce, individuandolo in un processo di costruzione attiva della conoscenza. Il modello costruttivista segna il passaggio da un approccio oggettivistico, che poneva l’attenzione sulla realtà esterna da apprendere attraverso la conoscenza, ad uno soggettivistico, centrato sull’individuo che apprende e che viene considerato come un partecipante attivo nella costruzione della propria conoscenza. Il concetto alla base è che ogni individuo costruisce un suo sapere personale e che l’apprendimento viene raggiunto attraverso l’esplorazione, l’esperienza e la manipolazione di oggetti

J. S. Bruner (b. 1915), psicologo americano. Egli espone la sua teoria sulla creatività nel libro On Knowing. Essays for the left Hand (1962). La citazione riportata è presa dalla traduzione italiana del libro (Il conoscere. Saggi per la mano sinistra. Armando, Roma, 1976).


teorie psicologiche sulla creatività

e materiali. La realtà viene determinata dal modo, dai mezzi e dalla disposizione nell’osservarla, conoscerla e comunicarla, oltre che dal significato che attribuiamo a tale esperienza. L’ambiente non viene più considerato come un insieme di informazioni precostituite dall’esterno che devono essere raccolte ed elaborate (concezione cognitivista), ma diventa luogo dell’esperienza che offre molte possibilità per costruire un sapere personale; questa costruzione si poggia su mappe cognitive che servono per orientarsi nel mondo e costruire delle interpretazioni. Secondo questa prospettiva, la creatività e lo sviluppo del pensiero creativo necessitano una partecipazione attiva dell’individuo nel processo stesso. Tra i padri del costruttivismo psicologico possiamo ricordare L.S.Vygotsky e J. Piaget, che si sono interessati principalmente della questione dell’apprendimento. Lo psicologo Lev Semyonovich Vygotsky aveva teorizzato che le possibilità creative del fanciullo potevano essere favorite, arricchite ed espanse da un’appropriata interazione tra lo stesso ed il gruppo degli adulti e/o dei pari. Inoltre un ruolo fondamentale è assunto dall’ambiente nel quale l’individuo vive, poiché l’attività immaginativa è più articolata in ambienti ricchi di stimoli e sollecitazioni. Infatti la fantasia attinge sempre ad elementi concreti, quindi più ricca è l’esperienza del soggetto più abbondante è il materiale che egli può rielaborare mentalmente, dunque maggiore è la probabilità che questa rielaborazione conduca a prodotti innovativi. Interessante è anche il lavoro di Jean Piaget che sviluppando una teoria degli stadi di sviluppo delle funzioni del pensiero, individua un collegamento diretto fra lo sviluppo del pensiero creativo e l’apprendimento attivo dell’individuo, per questo si intende attenzione agli interessi, alle propensioni e alle caratteristiche del fanciullo. Per Piaget, lo sviluppo delle capacità cognitive ha una base individuale innata e non dipende necessariamente da fattori esterni come l’ambiente e le interazioni sociali, fattori ritenuti invece determinanti nella teoria di Vygotsky. LA PSICOANALISI E L’INCONSCIO La psicoanalisi, avviata da S. Freud, è una teoria che nasce verso la fine del ’800 come una prassi psicoterapeutica per curare disturbi mentali indagando le dinamiche inconscie dell’individuo e tutti quei processi che non possono essere separati con precisione da quelle attività psicologiche che coinvolgono le facoltà creative. Questa ha elaborato, nel corso del suo sviluppo, delle teorie per

L. S. Vygotsky (1896/1934), psicologo americano. Iniziatore del costruttivismo sociale, espone la sua teorie sulla zona di sviluppo prossimale in un libro che viene pubblicato nel 1934, successivamente alla sua morte, col titolo Myshlenie i rech (in inglese, Thinking and Speaking).

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la comprensione delle attività mentali dell’uomo, focalizzandosi su quelle che sono indipendenti dalla coscienza dell’individuo e che risiedono nella sfera dell’inconscio. Gli psicoanalisti si sono interessati alla fantasia, al genio e all’arte, considerando l’opera d’arte come espressione di comunicazione con l’inconscio e come liberazione delle tensioni della psiche e hanno analizzato gli aspetti che portano alla realizzazione di una dinamica creativa. Essi, servendosi delle vicende biografiche degli artisti, hanno interpretato le loro opere, fornendo delle spiegazioni utili alla comprensione delle loro vite e delle loro opere. Tra le varie interpretazioni della spinta creatrice possiamo sintetizzare due filoni principali: il primo, quello psicopatologico, sostiene che nell’uomo ci siano conflitti psichici causati da pulsioni non scaricate e desideri inappagati, il ricorso alla creatività sarebbe quindi un tentativo di sublimare e risolvere questi conflitti attraverso il ricorso a contenuti inconsci; il secondo considera invece la creatività come una funzione dell’attività sana dell’individuo, un elemento indispensabile alla sua crescita. Fa parte del primo filone Sigmund Freud, il quale aveva teorizzato una struttura tripartita della psiche: l’io, l’es e il super-io. L’ es è il subconscio istintivo nel quale le tensioni spingono l’individuo a cercare di scaricarle, il super-io rappresenta una coscienza che deriva dalla civilizzazione e dall’educazione, e l’io è la parte conscia che media tra le due e stabilisce un equilibrio tra le pulsioni interne e gli eventi esterni per cercare il momento in cui essa sia in armonia con le esigenze della realtà. L’opposizione tra queste forze origina un conflitto interno che costringe l’individuo a vivere una situazione di frustrazione rispetto alla sessualità e ad altri ambiti della vita. Freud aveva collegato la creatività alla sublimazione delle pulsioni che provenivano dall’es, all’appagamento di certi desideri attraverso delle attività socialmente utili e riconosciute; la creatività, in definitiva, usa le forze inconscie per scopi produttivi. Fa invece parte del secondo filone Donald W. Winnicott, per il quale la creatività coincide con uno stato di vitalità essenziale, sostenendo che “vivere creativamente sia una condizione di sanità” e che appartiene alla condizione stessa del vivere poiché riguarda “la maniera che ha l’individuo di incontrarsi con la realtà esterna”. Egli conferisce un ruolo fondamentale al gioco, nel quale l’individuo rielabora creativamente la realtà poiché “è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è soltanto

S. Freud (1856/1939), neuropsichiatra austriaco, considerato il padre della psicoanalisi. Dopo una rigorosa analisi egli pubblicò Die Traumdeutung (1900), opera che segna l’atto di nascita della psicoanalisi. La sua teoria dell’io, super-io e l’es è stata trattata nel suo libro Das Ich und das Es del 1922.

D.W. Winnicott (1896/1971), pediatra e psicoanalista inglese. Egli affronta il tema della creatività e del gioco nel suo libro Playing and Reality (1971).


teorie psicologiche sulla creatività

nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé”. L’evoluzione della psicoanalisi vede la comparsa di vari orientamenti teorici che hanno attribuito alla creatività valenze e significati concordi al pensiero originale seppure con diverse sfumature. Carl G. Jung, inizialmente vicino alla teoria freudiana, se ne distacca prendendo in considerazione la storia della collettività umana e non soltanto quella personale dell’individuo. Secondo il suo pensiero, nell’individuo esiste anche un inconscio collettivo, ereditato, che deriva dalla sedimentazione delle esperienze e degli eventi che hanno segnato l’evoluzione dell’uomo, come il succedersi delle stagioni e l’alternarsi del giorno e la notte. Questo inconscio si esprime negli archetipi, che sono forme di pensiero universale, ovvero impronte di esperienze che si sono ripetute ciclicamente e che tendono a ripetersi nella storia personale dell’individuo con l’aggiunta modificatoria dell’attuale sapere; in questo modo l’individuo raggiunge il fine cui tende in quanto essere umano: l’individuazione. Questa è la genesi del pensiero creativo secondo Jung, per il quale la creatività si manifesta di più in persone capaci di entrare all’interno di questo inconscio collettivo. Secondo Alfred Adler le potenzialità creative sono insite nella natura dell’individuo e devono essere esplicate attraverso l’azione, la quale necessita di un adeguato livello di autostima. Melanie Klein individua, invece, la creatività nel bisogno di ricostruire l’oggetto buono distrutto nella fase depressiva, essa è infatti considerata come una necessità riparativa nei confronti di tendenze distruttive innate. Dalle teorie di Freud si è elaborato un pensiero che attribuisce all’io diverse funzioni che permettono all’uomo di adattarsi all’ambiente, questo filone prende il nome di Ego-Psychology. Ne fa parte Lawrence S. Kubie che localizza la creatività nel preconscio, ovvero tra il conscio e l’inconscio; è qui che, secondo il suo pensiero, sono collocate sia emozioni e sentimenti che provengono dall’inconscio che sensazioni provenienti dall’ambiente esterno. In quest’area si concentrano quindi energie disponibili e malleabili che l’individuo creativo riesce ad elaborare in nuove combinazioni. Sempre appartenente all’ Ego-Psychology, Ernst Kris ipotizza che alla base della creatività ci sia il processo della regressione, ovvero quando l’individuo riesce a distaccarsi dalle esigenze della realtà e a ricreare uno stato mentale simile a quello

C. G. Jung (1875/1961), psichiatra, psicoanalista ed antropologo svizzero. Egli elabora la teoria della psicologia analitica dando origine ad un nuovo approccio metodologico incentrato sulla persona ed il suo contesto. Jung espone il suo pensiero riguardante la coscienza collettiva nel libro Über die Psychologie des Unbewussten (1943).

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dei bambini, nel quale le idee inconscie diventano più accessibili alla mente cosciente. Un’altra interressante prospettiva è quella di Silvano Arieti il quale distingue tra creatività ordinaria, capace di migliorare la vita dell’individuo rendendola più piena e soddisfacente, e creatività straordinaria, che inventa nuovi paradigmi e migliora la vita di tutti contribuendo al progresso. Colui che è capace di produrre creatività straordinaria è colui che ha un accesso alle immagini, alla metafora e alla verbalizzazione accentuata. Egli parla di magia della sintesi creativa riferendosi all’atto creativo che necessita sia di una maggiore passività ricettiva per permettere ai concetti di emergere improvvisamente, sia di una maggiore attività intenzionale per gestirli consapevolmente. “È una magia”, dice Arieti, “di cui la persona creativa rimane la depositaria [...] un segreto che non può rivelare né a se stesso né agli altri”. LA VISIONE UMANISTICA E L’AUTOREALIZZAZIONE Una nuova corrente psicologica si sviluppò negli Stati Uniti a partire dagli inizi degli anni ’60, quando si fondò l’Associazione di Psicologia Umanistica (1962) per opera di un gruppo di psicologi, guidati da A. Maslow. Questa approccio nasce in contrapposizione a quelle che erano all’epoca le teorie psicologiche dominanti in America: la psicoanalisi e il comportamentismo; da qui l’appellativo di ‘Terza Forza’. La psicologia umanistica voleva essere una protesta contro l’allora visione frammentaria dell’essere umano: infatti, sia la psicoanalisi, che considerava l’uomo in balia delle sue pulsioni, sia l’approccio comportamentista, che considerava l’uomo come una sorta di macchina funzionante secondo il modello stimoli-risposte, applicavano una semplificazione riduttiva dell’essere umano. Secondo la visione personalista, l’uomo andava studiato nella sua interezza e sopratutto era importante considerare l’intenzionalità, il senso ed i valori della vita come elementi fondamentali di una personalità sana e consapevole e considerare l’individuo come animato da un forte desierio di autorealizzazione, spinto dal bisogno di crescita e di affermazione. L’attitudine creativa è quindi espressione del perfetto funzionamento dell’individuo che tramite essa raggiunge il proprio equilibrio personale. In pratica, la vera rivoluzione della psicologia umanistica sta proprio nell’aver considerato l’uomo come vero artefice della sua esistenza.

Si veda Arieti, S. (1976). Creatività, la sintesi magica. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma.


teorie psicologiche sulla creatività

Abraham H. Maslow si sofferma sullo studio di quelle persone che si definiscono soddisfatte e appagate e, attraverso l’uso di interviste e test, nota che queste hanno degli aspetti in comune, come la maggiore disponibilità all’esperienza, maggiore spontaneità ed espressività, capacità di fondere concretezza ed astrazione, ecc. Egli considera tutte queste caratteristiche come insite nella natura umana che l’individuo può sviluppare per realizzarsi nella vita. Maslow parla di motivazione come della spinta interiore a diventare ciò che potenzialmente siamo e definisce una scala di bisogni che va dalla soddisfazione dei bosogni fisiologici, per passare poi alla sicurezza, poi all’appartenenza, alla stima ed infine alla piena realizzazione di sé. La caratteristica dominante della persona autorealizzata è la creatività che egli intende come la capacità di essere aperti alle esperienze, di relazionarsi con il mondo in modo pieno ed aperto e che si esprime in tutte le attività che egli intraprende; la creatività è un potenziale da liberare per essere persone migliori. In altre parole, la creatività è, per Maslow, una qualità particolare del carattere (freschezza, spontaneità, efficienza della percezione) che permette all’individuo di mettersi in relazione con il mondo cicostante e che si esprime in tutte le attività da lui intraprese. La psicologia umanistica prese avvio soprattutto tramite l’opera di Carl Rogers che intende la creatività come la piena espressione della tendenza dell’individuo a sviluppare le proprie potenzialità. Egli è convinto che ogni uomo abbia tutte le potenzialità per una crescita sana e creativa e anche che la mancata realizzazione di questa sia dovuta ad influenze che la hanno deviata o limitata, come pressioni sociali ed educazione. Soltanto prendendo consapevolezza di ciò e assumendosi le responsabilità della propria vita l’individuo potrà vincere e scavalcare questi condizionamenti. In definitiva, per lo psicologo l’uomo ha un bisogno naturale di svilupparsi, di maturare e di crescere fino alla consapevole valorizzazione di se stesso, ed il modo con cui tutto ciò si attua è proprio attraverso l’attività creativa. Un altro esponente di rilievo di questa corrente di pensiero è Erich Fromm che si interessa al problema della maturità e al modo in cui l’uomo può trascendere la sua cultura fino a raggiungere la salute mentale. Fromm sosteneva che “la salute mentale è caratterizzata dalla capacità di amare e di creare, dall’emergere dai legami incestuosi con il clan e la terra, da un senso di identità basato sull’esperienza di ognuno di sé

A. H. Maslow (1908/1970), psicologo statunitense. Egli è noto per aver sviluppato il concetto di Hierarchy of Needs (gerarchia dei bisogni) divulgata nel suo libro Motivation and Personality (1954). Espone la sua teoria sulla creatività in Toward a Psychology of Being (1962).

C. Rogers (1902/1987), psicologo statunitense. Egli illustra i fondamenti teorici e pratici della psicologia umanistica nel suo libro Client-centered Therapy (1951).

Fromm E. (1955). The sane society. La citazione riportata è presa dalla traduzione italiana del libro Psicanalisi della società contemporanea, Edizioni di Comunità, Milano (1960).

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come soggetto e agente del proprio potere, dalla capacità di comprensione della realtà dentro e fuori di noi attraverso lo sviluppo dell’obiettività e della ragione”. La trascendenza creativa, è quindi per Fromm, la capacità di liberarsi dalle convenzioni della propria cultura.


teorie psicologiche sulla creatività

gli approcci allo studio

Come è stato accennato precedentemente, a partire dal discorso di Guilford in poi le ricerche sulla creatività si sono intensificate e hanno indagato ed interpretato il costrutto secondo prospettive eterogenee. Nell’analizzare questi studi si tende spesso a definire delle macro aree di ricerca che hanno interessato diversi settori scientifici, dalla psicologia alla pedagogia, dalla sociologia alla filosofia, dall’antropologia alla neurofisiologia, ecc. Non è sempre possibile, però, collocare i diversi studi entro queste macro aree proprio perché, mentre alcuni studiosi si sono dedicati ad indagare un’area di ricerca, altri le hanno percorse trasversalmente. Inoltre, nell’affrontare una tassonomia delle ricerche sulla creatività, non è possibile fare una classificazione unica, poiché anche nel definire delle categorie di indagine vi sono diverse opinioni. Una classificazione interessante è quella di Alain Beaudot che nel 1973 ordinò le ricerche americane secondo tre diverse piste: - ricerche di tipo psicometrico, che cercavano di indagare e valutare la creatività con “strumenti di misura obiettivi”, nello specifico si utilizzavano precisi test per cercare di misurare i tratti dell’individuo creativo; - ricerche orientate a delineare i tratti caratteristici della personalità creativa, tenendo in considerazione che la presenza di alcune caratteristiche non implica che l’individuo sia creativo; - ricerche dal punto di vista della pedagogia e dello sviluppo, per accrescere la creatività sopratutto nei bambini e negli adolescenti.

Si veda Beaudot, A. (1977). La creatività. Loescher, Torino (ed. or., 1973. La créativité. Recherches américaines. Dunod, Parigi).

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Un’altra interessante classificazione è quella di Dean K. Simonton che, riprendendo le “4 P” della creatività elaborate da Rhodes (1961), raggruppa le definizioni in quattro categorie: - processo: esse considerano la creatività in base al percorso mentale che la caratterizza; - prodotto: si intendono oggetti o idee che vengono definiti creativi dagli esperti nel settore; - persona: comprende tutte le definizioni degli psicologi che indagano la personalità; - persuasione: questa ritiene che un individuo può considerarsi creativo se è in grado di impresionare gli altri con la sua leadership e la sua creatività. Recenti orientamenti statunitensi suggeriscono un approccio multidimensionale alla creatività, distinguendo quattro differenti ambiti d’interesse: - studi sulla persona creativa, attraverso questionari sulla personalità per misurare i tratti caratteristici; - studi sul processo, finalizzati a definire procedure e strategie per favorire un pensiero creativo; - studi sul prodotto, valutato in base alla novità, all’efficacia, ecc; - studi sull’ambiente sociale, culturale e lavorativo che favoriscono o inibiscono la creatività. Al fine della mia ricerca, tralascerò gli studi sul prodotto creativo, principalmente adottato nelle ricerche di organizzazione aziendale ed economica, per focalizzare l’attenzione sulle ricerche di matrice psicologica e pedagogica. L’analisi che segue si propone di approfondire gli studi sulla metodologia operativa della creatività, sulla personalità dell’individuo creativo e sulla pedagogia.

CAMPI DI RICERCA

METODOLOGIA OPERATIVA

PERSONALITÀ

PEDAGOGIA

Si veda Simonton, D. K. (1984). Genius, creativity, and leadership. Harvard University Press, Cambridge. Rhodes, M. (1961). “An analysis of creativity”. Phi Delta Kappan, 42, pp. 305–310.


teorie psicologiche sulla creatività

METODOLOGIA OPERATIVA DELLA CREATIVITÀ Gli studiosi che si sono interessati ai processi cognitivi si sono inizialmente dedicati a misurare le capacità mentali attraverso rigidi test scientifici che si proponevano di definire quantitativamente il quoziente intellettivo degli individui; per intelligenza si intende la capacità di percepire gli stimoli e riconoscerli, la capacità di memorizzare e di comparare stimoli complessi. Successivamente, l’approccio psicometrico ha percorso una diversa strada con l’intento di definire qualitativamente l’intelligenza. Da una concezione unitaria di intelligenza si è passato a considerarla come una somma di funzioni e, in questa prospettiva, si intende la creatività come una forma di intelligenza che possiede delle caratteristiche specifiche. Gli studiosi, per indagare e definire una metodologia operativa della creatività, si sono serviti dell’analisi fattoriale, una tecnica statistica che permette di individuare dei fattori ricorrenti nelle osservazioni effettuate; ciò permette una notevole semplificazione del fenomeno al fine di individuarne gli aspetti cardine. In questo modello fattorialista, di orientamento cognitivista, il pensiero viene considerato come un’unità articolata, scomponibile in parti chiamate fattori le quali corrispondono a distinte abilità cognitive individuabili attraverso appropriate metodologie sperimentali e di analisi statistica. Le ricerche in questo campo si sono evolute nel corso degli anni e hanno prodotto un gran numero di modelli, talvolta contrastanti, con l’intento di individuare i fattori che caratterizzano le attività intellettive; a capo di questa corrente viene posto il lavoro di Guilford (1956), che elaborò un modello della mente umana chiamato struttura dell’intelletto. Due importanti modelli fattorialisti della struttura dell’intelligenza sono quello di Spearman (1927), costruito su una scala gerarchica, e quello multifattoriale di Thurstone (1941); autori successivi hanno continuato su queste due linee di pensiero, talvolta prendendo una posizione decisa e altre volte cercando di combinare le due teorie per individuare punti in comune. Altri studi psicometrici, a partire da Wallace (1926), hanno invece cercato di comprendere il processo creativo scomponendolo in fasi distinte e tappe successive. Più recentemente, alcuni studiosi come Gardner (1983) e Sternberg (1985) hanno osservato l’intelligenza da una prospettiva più ampia considerando

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TEORIE PSICOLOGICHE SULLA METODOLOGIA DELLA CREATIVITÀ Nel grafico vengono presentati i personaggi ed i pensieri più interessanti riguardo agli studi psicometrici sulla creatività. Queste teorie sono divise in tre categorie: quelle che cercano di individuare i fattori interessati nei processi mentali, quelle che scompongono il processo creativo in fasi e quelle che si propongono di definire le diverse tipologie di intelligenze.

tip

1931

1959

ROSSMAN le 7 fasi

fasi

TAYLOR i 5 livelli di creatività

1953

1926

OSBORN i 7 stadi

WALLAS le 4 fasi

1956

1941

fattori 1927

1950

SPEARMAN modello fattoriale semplice

1920

1930

GUILFORD la struttura dell’intelletto

THURSTONE le abilità primarie

1940

VERNON i fattori di gruppo

1950

1960


teorie psicologiche sulla creatività

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1985

ologie

STERNBERG il modello tripartito

1983 GARDNER le intelligenze multiple

1996 CSÍKSZENTMIHALYI i 3 gradi della creatività

1993

2005

JAOUI le 5 tappe

JOHNSON-LAIRD i 3 processi computazionali

1991 DE BONO il pensiero laterale

1977 TORRANCE le componenti del pr. creativo

1970

1980

1990

2000

2010


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capitolo 1

SPEARMAN

THURSTONE

fattore generale

visualizzazione spaziale

comprensione verbale

velocità di percezione fattori specifici

facilità di calcolo

ragionamento

fluidità verbale memoria associativa

le abilità mentali anche in relazione ad aspetti pratici della vita dell’individuo e sostenendo che vi sono diversi tipi di intelligenza di cui egli dispone. Una critica che viene fatta a questi lavori è che, focalizzandosi sulla scomposizione in parti e sull’individuazione dei singoli elementi, gli studiosi hanno tralasciato un approfondimento sulle relazioni che ci sono tra questi. Quindi, usando le parole del pedagogo Franco Larocca, “la creatività, nell’approccio fattorialista, è di difficile identificazione perché poggia su di una teoria che analizzando l’uomo ne perde l’unità”. Di seguito vengono presentati nel dettaglio alcuni dei modelli psicologici più rilevanti, con lo scopo di avere una panoramica più definita di questi studi. il modello fattoriale semplice Charles E. Spearman fu il primo ad applicare la tecnica dell’analisi fattoriale allo studio dell’intelligenza e nel 1927 giunse alla definizione di una teoria gerarchica. Egli osservò i comportamenti che presuppongono l’utilizzo di abilità cognitive ed individuò dei fattori ricorrenti, detti anche abilità. Spearman formulò un modello fattoriale semplice secondo il quale vi è un unico fattore di intelligenza generale e quindi superiore per importanza, chiamato fattore g, che è determinato da molteplici capacità specifiche, i fattori s. Il fattore g controlla tutti i compiti intellettuali, mentre i fattori s risolvono un solo compito specifico. le abilità mentali primarie In contrasto con la teoria di Spearman, Luis L. Thurstone individuò una serie di fattori diversi che chiamò abilità mentali primarie e che non sottostavano a nessun fattore generale. Questo modello multidimensionale prevedeva invece 7 fattori dell’intelletto, tutti di uguale importanza e senza un ordine definito. Essi sono: - Comprensione verbale: la capacità di capire il significato di singole parole o di interi testi; - Facilità di calcolo: abilità nell’eseguire calcoli matematici; - Fluidutà verbale: facilità di produrre vocaboli; - Memoria (associativa): propensione alla riproduzione mnemonica di serie di parole o frasi, e capacità di riprodurre dei nomi associati alle immagini; - Ragionamento (induttivo): abilità nell’individuare una regola o un principio ed applicarlo ad un problema; - Velocità di percezione: rapidità nel riconoscere forme;

C. E. Spearman (1863/1945), psicologo e statistico inglese. Viene considerato il pioniere dell’analisi fattoriale essendo stato il primo ad applicare questa tecnica di analisi statistica. Egli raccoglie le sue ricerche nel libro The abilities of man (1927).

L. L. Thurstone (1885/1955), ingegnere e psicologo statunitense. Il primo testo in cui viene esposta la sua teoria è Primary mental abilities (1938); successivamente una più completa versione viene presentata in Factorial studies of intelligence (1941).


teorie psicologiche sulla creatività

VERNON

GUILFORD PRODOTTI classi implicazioni

fattore generale abilità verbale scolastica

relazioni

abilità meccanico spaziale

sistemi trasformazioni unità

fattori specifici

OPERAZIONI cognizione memoria prod. convergente prod. divergente valutazione CONTENUTI comportamentale figurativo semantico simbolico

- Visualizzazione spaziale: abilità nel manipolare mentalmente gli oggetti comprendendo le relazioni spaziali tra di essi. i fattori di gruppo Una teoria che si colloca a metà tra la teoria di Spearman e quella di Thurstone è quella elaborata da Philip E. Vernon. Egli ipotizzò un modello gerarchico più complesso di quello di Spearman, scomponendo il fattore generale in due fattori di gruppo maggiori, che a loro volta sono scomposti in fattori di gruppo minori. In pratica, il modello di Vernon prevede un fattore g che occupa la posizione più alta della gerarchia, sotto al quale ci sono i due fattori di gruppo maggiori: l’abilità verbale-scolastica e l’abilità meccanico-spaziale. La prima è influenzata dalla scolarizzazione ed implicata nelle attività intellettuali, ed è scomposta in abilità verbali, corrispondente alla comprensione di vocaboli e testi, e abilità a lavorare sui numeri, relativa al ragionamento aritmetico. L’abilità meccanico-spaziale non è influenzata dalla scolarizzazione ed è a sua volta divisa in abilità meccaniche e abilità spaziali; queste intervengono nell’utilizzo di strumenti e macchine ed interessano i processi in cui è richiesta immaginazione visiva e comprensione dei fenomeni. la struttura dell’intelletto La teoria multifattoriale di Thurstone è stata successivamente sviluppata da Joy P. Guilford, il quale nel 1956 elaborò un modello che chiamò struttura dell’intelletto. Egli identificò ben 120 fattori indipendenti (portati a 150 nel 1971), che si generano dall’incrocio di tre dimensioni indipendenti: le operazioni che si possono compiere nella mente, i loro contenuti ed i loro prodotti. Nello specifico, le operazioni sono le attività intellettive compiute partendo dalle informazioni che l’individuo riesce a discernere e discriminare. Guilford ipotizza 5 tipi di operazioni: - Cognizione: riconoscimento degli elementi particolari nelle informazioni ricavate; - Memoria: provvista dell’informazione nella memoria: - Produzione divergente: generazione di molteplici e varie alternative logiche partendo da informazioni ricevute; - Produzione convergente: ricerca dell’informazione necessaria, totalmente determinata dalle informazioni ricevute; - Valutazione: confronto dell’informazione in rapporto a specificazioni date, in accordo con i criteri logici quali l’identità e la coerenza. delle informazioni che la mente riceve ed elabora:

P. E. Vernon (1905/1987), psicologo inglese. Egli presenta la sua teoria gerarchica dei fattori di gruppo nel volume The Structure of Human Abilities (1950).

J. P. Guilford (1897/1972), psicologo statunitense. Il suo modello multifattoriale viene presentato nell’articolo The structure of intellect (1956) pubblicato nel Psychological Bulletin, 53.

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TORRANCE

fluidità (quantità)

originalità (unicità)

flessibilità (cambiare direzione)

elaborazione (scegliere ed elaborare)

- Figurale: informazione sotto forma concreta, un’immagine percepita come articolata in figura-sfondo; - Simbolico: informazione che non hanno significato di per sé, ma che lo assumono quando si comprende cosa essa rappresenta; - Semantico: informazione che ha un sognificato che si esprime verbalmente ma che non si identifica con le parole; - Comportamentale: informazione non verbale implicata nelle interazioni umane. I prodotti sono le forme che assumono le informazioni che sono state elaborate dall’organismo; essi sono 6: - Unità: elementi dell’informazione isolati e circoscritti che possono essere individuati singolarmente; - Classi: concezioni che indicano una proprietà comune delle informazioni; - Relazioni: rapporti tra le informazioni fondati su variabili o punti di contatto che sono loro applicabili; - Sistemi: informazioni organizzate e strutturate, costituite da parti collegate e relazionate tra loro; - Trasformazioni: cambiamenti nella informazione esistente o nella sua funzione; - Implicazioni: estrapolazioni di informazione sotto forma di possibilità, di predizioni o di conseguenze conosciute o supposte. In definitiva, il modello guifordiano della struttura dell’intelligenza è un parallelepipedo, in forma tridimensinale, formato da 120 cubi che rappresentano i fattori coinvolti nei processi cognitivi. Il grande problema di questa teoria particolarmente articolata è costituito dal fatto che, dato il numero così elevato di fattori, resta difficile misurarli separatamente e anche individuarli e ricordarli. le componenti del processo creativo Il modello fattoriale di Ellis P. Torrance prevede 4 componenti fondamentali del processo creativo; egli non attribuisce nessun ordine e nessuna scala di importanza a queste, limitandosi ad individuarle e a misurarle attraverso particolari test di valutazione: i TTCT, Torrance Tests of Creative Thinking. Le componenti prese in considerazione da Torrance sono: - Fluidità: abilità nella produzione divergente di un numero elevato di unità (parole e simboli), in risposta ad un determinato stimolo; - Flessibilità: capacità di cambiare rapidamente prospettiva e contesti di riferimento, passando da una categoria all’altra a seconda delle esigenze contingenti; - Originalità: capacità di cogliere relazioni nuove tra gli elementi

E. P. Torrance (1915/2003), psicologo americano. Il TTCT è uno dei test più noti per misurare la creatività; viene presentato nel libro Torrance Tests of Creative Thinking (1974).


teorie psicologiche sulla creatività

DE BONO

A

B

C

WALLACE

D

pensiero verticale

preparazione incubazione

G A

B

illuminazione

C

D

pensiero laterale

verifica

facendo collegamenti non statisticamente frequenti; - Elaborazione: attitudine a scegliere ed elaborare un gran numero di elementi in un’unica situazione. il pensiero laterale Più recentemente, un nuovo modello viene introdotto da Edward De Bono, il quale riflette sul “come pensare” ed individua due modalità di pensiero differenti: il pensiero verticale ed il pensiero laterale. Il pensiero verticale tradizionale è un processo selettivo basato sulle deduzioni logiche. Questo modello, infatti, viene messo in moto soltanto se esiste una direzione verso cui muoversi, uno scopo da raggiungere o un problema da risolvere, e, a tale fine, si generano alternative fino a quando non se ne trova una promettente che viene scelta e sviluppata in profondità, tralasciando le altre. Il pensiero laterale, invece, è produttivo in quanto è mosso soltanto dal desiderio di muoversi, di aprire altre vie, di generare nuove direzioni. Questa modalità di procedere non è fine a se stessa ma è orientata alla rimodellizzazione, al rimescolamento degli elementi; essa prevede un approccio indiretto osservando il problema da diverse angolazioni e cercando punti di vista alternativi ancor prima di cercare una soluzione. Il pensiero laterale si sviluppa, quindi, in ampiezza, mentre quello verticale si sviluppa in profondità. Secondo De Bono se si affronta un problema con il metodo razionale si ottengono risultati corretti ma limitati, mentre se viene richiesta una soluzione diversa ed innovativa si deve stravolgere il ragionamento con il pensiero laterale. le quattro fasi Ponendo l’attenzione sul processo creativo, Graham Wallas lo scompone in diversi momenti ed individua delle fasi ricorrenti che lo caratterizzano, includendo anche l’inconscio. Nella sua teoria egli riconosce 4 fasi successive del processo: la preparazione, l’incubazione, l’illuminazione e la verifica. Nella prima fase l’individuo raccoglie informazioni e le lascia vagare nella mente, cerca e ascolta suggerimenti, pensa al problema in modo libero. Successivamente, nello stadio dell’incubazione, ci si dedica ad altre attività e non si pensa in modo conscio al problema nonostante la mente continui ad elaborare le informazioni immagazzinate. Improvvisamente le idee diventano chiare e la soluzione ovvia, è questo il momento dell’illuminazione;

E. De Bono (b. 1933), psicologo maltese. De Bono è considerato uno degli studiosi di primo piano nel campo del pensiero creativo, nonché creatore del concetto di pensiero laterale, ormai entrato in uso nel linguaggio comune. Il testo di riferimento in cui egli ne tratta è Parallel Thinking (1991).

G. Wallace (1858/1932), psicologo inglese. Egli descrive la sua teria delle fasi nel libro The Art of Thought (1926).

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capitolo 1

ROSSMAN

osservazione delle difficoltá formulazione del problema revisione delle info disponibili formulazione di soluzioni esame critico delle soluzioni formulazione di nuove idee sperimentazione e accettazione della soluzione

OSBORN

orientamento preparazione analisi ideazione incubazione sintesi valutazione

a chiudere questo processo c’è la fase di verifica della soluzione per praticità, efficacia e appropriatezza. Il modello di Wallace è stato ripreso e sviluppato da molti altri studiosi, sebbene con pochi cambiamenti poiché in esso vi è la sintesi effettiva del processo creativo. le sette fasi Joseph Rossman ha ampliato i quattro stadi di Wallas a sette gradi, sostenendo che la condizione necessaria affinchè si inneschi un processo creativo è che si avverta il bisogno di creare. Egli esamina il processo creativo di 710 inventori mediante un test sotto forma di questionario e individua le seguenti fasi: - osservazione di un bisogno o di una difficoltà: è il momento in cui si prende coscienza di un problema o della necessità di qualcosa di nuovo; - analisi del bisogno: si analizza razionalmente il problema al fine di conoscerne le diverse sfaccettature; - rassegna di tutte le informazioni disponibili: si raccolgono e si verificano dati che sono facilmente individuabili; - formulazione di tutte le soluzioni oggettive: è la fase in cui si deducono delle soluzioni semplici in maniera oggettiva; - esame critico delle soluzioni: esse vengono valutate con lo scopo di individuare vantaggi e svantaggi di ognuna di esse; - nascita di una nuova idea: ovvero il momento dell’invenzione; - sperimentazione e accettazione delle soluzioni: in cui vengono realizzate concretamente le idee al fine di perfezionarne gli aspetti per giungere all’idea definitiva. i sette stadi Anche Alex F. Osborn divise il processo creativo in sette stadi, in parte coincidenti con quelli di Rossman, ma usando una terminologia diversa. Essi sono: - orientamento: l’ identificazione del contesto e del problema; - preparazione: raccolta delle informazioni pertinenti alla questione in esame; - analisi: eliminazione delle informazioni irrilevanti per conservare soltanto il materiale pertinente; - ideazione: accumulazione di alternative sotto forma di idee; - incubazione: allentare la fase di ricerca in attesa dell’illuminazione; - sintesi: assemblare tutto il lavoro fatto fino a quel momento; - valutazione: giudicare le idee scaturite dalla fase di sintesi per orientarsi verso quelle che si adattano maggiormente al problema.

J. Rossman, psicologo. Di lui abbiamo pochissime informazioni, mentre il suo pensiero possiamo leggerlo nel testo The Psychology of the Inventor (1931).

A. F. Osborn (1888/1966), pubblicitario statunitense. Osborn è l’autore della tecnica di creatività del brainstorming e ha pubblicato diversi libri riguardanti il pensiero creativo, tra cui Applied Immagination (1953), dove vengono descritti i sette stadi del pensiero.


teorie psicologiche sulla creatività

TAYLOR

JAOUI

nascita di un´intenzione

emergente innovativa inventiva

preparazione incubazione

produttiva espressiva

illuminazione verifica

i cinque livelli di creatività Sempre ponendo il processo creativo come elemento da studiare e determinare, Irving A. Taylor individua cinque tipologie o livelli di creatività che vanno da quella primitiva ed intuitiva di qualsiasi individuo a quella propria del genio creativo e di persone particolarmente dotate: - la creatività espressiva: in cui l’originalità e la qualità del prodotto sono irrilevanti, ma è determinata da una volontà di esprimersi (ne sono esempi i disegni infantili); - la creatività produttiva: propria di chi viene istruito e acquista padronanza dei mezzi e delle tecniche e si manifesta in rappresentazioni realistiche; - la creatività inventiva: propria di chi sperimenta con i propri mezzi, riesce a percepire relazioni insolite e collegare elementi separati producendo oggetti originali ed ingegnosi; - la creatività innovativa: posseduta da pochi individui, permette di produrre modificazioni significative nei proncipi e nei fondamenti di una disciplina o di una corrente artistica; - la creatività emergente: propria del genio creativo o di persone con particolari attitudini, produce principi totalmente nuovi, idee che spesso sfuggono una spiegazione. le cinque tappe Sempre con il proposito di individuare le fasi del processo creativo, Hubert Jaoui formula una teoria che riprende ed approfondisce il processo descritto da Wallace sottolineando il fatto che un processo debba necessariamente scaturire da una volontà, da un’intenzione. Egli definisce, quindi, il processo in cinque stadi: - la nascita di un’intenzione: la quale può essere più o meno vaga a seconda dei casi; - la preparazione: questa fase può avvenire in modo attivo, come cercando informazioni, compilando schede e preparando schizzi, oppure in modo passivo, ovvero lasciandosi penetrare da informazioni di ogni genere fino a quando non potrà più assorbire nulla; - l’incubazione: l’individuo elabora le sue idee, spesso in maniera inconscia poiché i meccanismi di assemblaggio operano anche in maniera inconscia; - l’illuminazione: in questa fase appare la soluzione al problema che può scaturire da un avvenimento esterno oppure può essere un’illuminazione di tipo endogeno;

I. A. Taylor, psicologo. Il testo di riferimento della sua teoria sui livelli di creatività è The nature of creative process (1959).

H. Jaoui, esperto di Creatività Applicata e della gestione dell’innovazione. È l’ideatore del Metodo PAPSA, un approccio creativo completo composto di cinque tappe, per ognuna delle quali sono state messe a punto tecniche creative diverse. Il libro a cui fa riferimento il testo a fianco è Creatività per tutti. Strumenti e metodi da impiegare nel quotidiano (1993).

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capitolo 1

CSIKSZENTMIHALYI

JOHNSON-LAIRD

istituzione di una regola nuova estensione di una regola esistente ad un campo nuovo applicazione nuova di una regola esistente

processo multistadio

processo neo-darwiniano

libertà iniziale

processo neo-lamarchiano

vincoli iniziali

- la verifica: la valutazione è un momento fondamentale per la buona riuscita del processo ed è inizialmente personale, mentre poi richiede l’aiuto di esperti e talvolta anche un confronto con il pubblico o con l’utente. i tre gradi della creatività Secondo Mihaly Csikszentmihalyi, il processo creativo opera secondo 3 diversi livelli, che rappresentano i tre gradi della creatività. Questi sono: - l’applicazione nuova di una ‘regola’ esistente: rappresenta la situazione con il minor grado di creatività, poiché comporta la riproduzione di una regola già nota in un ambito analogo che si ripresenta; - l’estensione di una regola esistente a un campo nuovo: consiste nel trasferimento di una regola ad un problema differente; - l’istituzione di una regola del tutto nuova: è il grado più alto di creatività e consiste nel trovare una soluzione del tutto nuova. i tre processi creativi Molto importante è l’analisi di Philip N. Johnson-Laird, il quale giunge ad individuare tre modelli computazionali, tre differenti processi caratterizzati da diverse modalità di procedere nell’elaborazione delle informazioni fino ad arrivare a risultati creativi: - i processi neo-darwiniani: che procedono per prove ed errori secondo combinazioni casuali di vecchi elementi e successiva selezione dei risultati secondo criteri di adeguatezza al problema; - i processi neo-lamarkiani: che tengono conto sin dall’inizio di tutti i vincoli interessati e selezionano i risultati in modo qasi casuale; - i processi misti: caratterizzati dal fatto che alcuni vincoli governano il processo dall’inizio, mentre altri agiscono come filtri. le intelligenze multiple Nell’ultimo ventennio del secolo scorso si può osservare come si venga delineando un nuovo pensiero che rifiuta la concezione di un’intelligenza oggettivamente misurabile e ricondotta ad un QI, ma che si propone di analizzare la creatività secondo le sue varie forme e tipologie. Howard Gardner, infatti, cercando di integrare punti di vista dfferenti riguardo l’intelligenza, sostiene che ogni persona è dotata di almeno sette intelligenze, cioè può essere intelligente in sette modi diversi. Queste sono presenti in livelli diversi in ognuno e, sebbene sono riconoscibili

M. Csikszentmihalyi (b. 1934), psicologo ungherese. È noto per aver formulato il costrutto teoricopratico del flow, il flusso di coscienza che caratterizza lo stato della mente creativa. Egli eprime la sua teoria in Creativity: Flow and the Psychology of Discovery and Invention (1996).

P. N. Johnson-Laird (b. 1936), psicologo inglese. Il testo di riferimento è How We Reason (2005).

H. Gardner (b. 1943), psicologo americano. È il primo psicologo ad aver parlato di intelligenze multiple in Frames of mind (1983).


teorie psicologiche sulla creatività

GARDNER

corporeo-cinestesica

STERNBERG

logico-matematica

musicale

creativa

analitica

linguistica INTELLIGENZE

INTELLIGENZE naturalistica intrapersonale

spaziale interpersonale

pratica

separatamente, esse collaborano per aiutare l’uomo ad adattarsi all’ambiente e a modificarlo. Le sette intelligenze descritte da Gardner sono: - l’intelligenza linguistica: capacità di usare le parole in modo efficace, sia oralmente che per iscritto, manipolando la sintassi, la fonologia, la semantica; - l’intelligenza spazio-visiva: abilità nel percepire il mondo in modo visivo e spaziale ed operare trasformazioni sulle percezioni, manipolando e rappresentando immagini mentali; - l’intelligenza musicale: attitudine a percepire, riconoscere, trasformare ed esprimere forme musicali; - l’intelligenza logico-matematica: capacità di usare in modo efficace i numeri e di saper ragionare bene, questa intelligenza presuppone una sensibilità verso principi e relazioni; - l’intelligenza fisico-motoria: abilità nell’usare il proprio corpo per esprimere idee e nell’approcciare l’oggetto di apprendimento tramite il contatto e la manipolazione; - l’intelligenza interpersonale: abilità di relazionarsi con gli altri e di percepire e interpretare gli stati d’animo, le motivazioni, le intenzioni e i sentimenti altrui; - l’intelligenza intrapersonale: riconoscimento di sé e delle proprie emozioni, coscienza dei propri stati d’animo più profondi, delle intenzioni e dei desideri, capacità per l’autodisciplina, la comprensione di sé, l’autostima. A queste, Gardner ha successivamente aggiunto un’ottava intelligenza, quella naturalistica, che consiste nella capacità di riconoscere e classificare gli oggetti naturali; e ha anche ipotizzato l’esistenza di un’intelligenza esistenziale riguardante l’attitudine al ragionaento astratto e alla capacità di riflettere su questioni riguardanti l’esistenza. il modello tripartito Robert J. Sternberg ha elaborato una propria teoria riguardo all’intelligenza, ritenendo che il pensiero umano si fonda su tre tipi di intelligenze fondamentali: quella analitica, quella pratica e quella creativa. L’intelligenza analitica riguarda la capacità di analizzare, scomporre, esaminare, scendere nei dettagli, valutare, giudicare ed operare confronti tra elementi diversi. L’intelligenza pratica consiste nel saper utilizzare gli strumenti ed attuare progetti concreti. Ed infine, l’intelligenza creativa è caratterizzata dall’intuizione, dalla capacità di inventare, di immaginare e, quindi, di saper affrontare con

R. J. Sternberg (b. 1949), psicologo statunitense. Egli spiega il modello tripartito in Beyond IQ: A triarchic theory of human intelligence (1985).

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capitolo 1

successo situazioni nuove per le quali le conoscenze e le abilità esistenti si mostrano inadeguate. LA PERSONALITÀ CREATIVA Come abbiamo osservato, la creatività si configura come dotazione di ogni individuo in quanto tale, ma, nonostante essa è in ciascuno di noi, è evidente che alcune persone sono più creative di altre. Proprio con lo scopo di determinare le caratteristiche individuali che favoriscono o inibiscono la creatività, molti psicologi si sono interessati allo studio della personalità creativa. Questo è sicuramente un ambito difficile della ricerca psicologica a causa del suo carattere complesso e della difficoltà di analizzarlo sperimentalmente, ma nel corso degli anni si sono sviluppati numerosi metodi per individuare quelle qualità che favoriscono o permettono l’espressione del proprio potenziale creativo. Gli strumenti utilizzati dagli studiosi vanno da questionari di attitudini ed interessi, di personalità e bibliografici, fino a valutazioni dei prodotti, valutazioni da parte dei supervisori e auto-valutazioni dei risultati. Inoltre, il grande numero dei casi di studio, l’attenta osservazione delle differenze individuali e la molteplicità degli studiosi che se ne sono occupati, hanno permesso di individuare dei fattori riccorrenti per definire le caratteristiche principali di una personalità creativa. Per dirne alcune, il creativo ha un atteggiamento esplorativo e uno spirito avventurioso, è attratto dal rischio, ha una spiccata capacità di pensare per immagini, è coraggioso e indipendente, ha capacità critiche e non si lascia influenzare dal pensiero altrui, è anche tenace e carismatico, ecc. Ma la personalità creativa è anche ricca di contraddizioni: è predisposta al cambiamento e talvolta inamovibile nel proprio punto di vista, è capace di vedere la situazione in modo ampio come di focalizzarsi su un aspetto, è divertente e giocosa ma anche disciplinata e responsabile, alterna immaginazione e fantasia con momenti di profondo realismo, è insieme introversa ed estroversa, solitaria e socievole, umile e orgogliosa, sensibile e aggressiva, tradizionalista e ribelle. Il carattere complesso e poliedrico della sua personalità è quindi una peculiarità dell’individuo creativo, il quale esprime contemporaneamente o in tempi diversi i poli opposti del suo


teorie psicologiche sulla creatività

“Se dovessi descrivere in una parola quello che rende la loro personalità diversa da quella degli altri individui, sarebbe complessità. Con questo intendo che mostrano tendenze di pensiero e azione che nella maggior parte delle persone sono separate. Includono estremi contradditori – invece di essere un individuo ognuno di loro è una moltitudine. Come il colore bianco contiene tutte i colori dello spettro, loro tendono a raccogliere l’intera gamma delle possibilità umane al loro interno.” M. Csikszentmihalyi

carattere: questa compresenza di tratti non induce a scegliere una via di mezzo, ma a potersi muovere agilmente da un estremo all’altro, a seconda delle esigenze in cui si trova. Al contrario, un individuo poco creativo, nonostante queste caratteristiche son presenti in tutti gli individui, cresce manifestando un polo solo dell’estremo. Per individuare un minimo comune multiplo ed avere un’idea complessiva dei tratti della personalità creativa, facciamo riferimento ad un’analisi comparativa degli attributi della creatività che prende in esame i lavori di 18 autori (Amabile, Barron, Freud, Gardner, Gruber, Guilford, Kirton, MacKinnon, Maslow, Newell, Rogers, Rothenberg, Runco, Simon, Simonton, Sternberg, Torrance, Wallace). Il risultato è un elenco dei fattori che favoriscono o inibiscono la creatività, i quali sono stati individuati dal maggior numero di studiosi (vedi pagine seguenti). Anche da questa analisi emergono contraddizioni e paradossi: la creatività è intuizione e metodo, processo conscio e inconscio, frutto dell’esperienza e dell’ingenuità. La creatività è conoscere i limiti e scavalcarli, è la capacità di conciliare gli opposti. Di seguito vengono spiegate nel dettaglio alcune delle più note teorie psicologiche sulla personalità creativa, riportate in ordine cronologico per averne un idea della loro evoluzione. Le caratteristiche cognitive della persona creativa, secondo Guilford (1950), sono divise in tratti dell’intelletto e della

L’analisi a cui si fa riferimento è quella riportata nell’articolo di Maria Cinque, “La creatività come innovazione personale: teorie e prospettive educative” (2010), Giornale Italiano della Ricerca Educativa, N. 5, pp. 104-105.

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I FATTORI CHE FAVORISCONO LA CREATIVITÀ



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capitolo 1

I FATTORI CHE INIBISCONO LA CREATIVITÀ


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personalità; fanno parte dei primi la fluidità delle idee, la flessibilità del pensiero, la complessità della struttura concettuale e la capacità di staccarsi dall’ovvio e dall’ordinario rinunciando a interpretazioni tradizionali. Riguardo alla personalità egli individua nella capacità di adattarsi all’ambiente circostante un’aspetto utile a facilitare la creatività. Lo psicologo E. Fromm (1972) ha individuato cinque condizioni necessarie alla creatività: - capacità di essere perplessi: non dare per scontato nulla, ma sorprendersi di fronte alle cose, guardarle con occhi nuovi e meravigliarsi, come fanno i bambini; - accettazione dei conflitti interiori: non evitarli o reprimerli, ma prenderne consapevolezza e sperimentarli al massimo, ascoltando tutte le emozioni e i desideri; - disposizione a nascere ogni giorno: considerare tutta la vita come un processo della nascita, avere coraggio di rinnovarsi ogni giorno e rimmettersi in gioco; - capacità di concentrazione: vivere intensamente ogni momento, concentrandosi su quello che si sta vivendo in quell’istante; - esperienza dell’io: sperimentare se stessi come generatori delle proprie azioni, che non vengono mutuate dalla realtà. Secondo il pensiero di Gardner (1994), padre della teoria delle intelligenze multiple, la creatività è determinata sopratutto dall’ambiente in cui il soggetto vive e cresce, piuttosto che dall’eredità genetica. L’attitudine creativa dipende, quindi, dall’incontro tra il tipo di intelligenza prevalente e le condizioni culturali e sociali che permettono il suo manifestarsi. In questa teoria assumono particolare importanza i rapporti tra infanzia ed età adulta nella personalità creativa, il rapporto tra l’individuo creativo e gli altri, e il rapporto tra individui creativi in un dato campo. Per Gardner, infatti, l’individuo creativo è una persona che prevalentemente in un solo campo di attività risolve dei problemi, elabora dei prodotti o formula interrogativi in un modo che inizialmente viene considerato originale ma che finisce per venire accettato in un particolare ambiente culturale. In altre parole, egli sostiene che la creatività si manifesta quando un individuo acquista consapevolezza in un determinato campo ed è poi in grado di formulare soluzioni nuove; questo processo si compie con l’accettazione ed il riconoscimento sociale e culturale.


teorie psicologiche sulla creatività

Secondo la teoria di Sternberg e Lubart (1991, 1995), The Investment Theory, la creatività richiede la confluenza di sei distinte, ma interrelate, risorse: - le capacità intellettive: esse si distinguono in capacità sintetiche di vedere i problemi in un nuovo modo, capacità analitiche di individuare le idee più opportune e capacità pratico-contestuale di sapere come persuadere gli altri; - la conoscenza: essa è importante per riuscire a muoversi in un campo, ma allo stesso tempo, può generare una prospettiva chiusa ed evitare che ci si muova per risolvere un problema; - lo stile di pensiero: è importante avere sia una visione globale che una visione particolare del problema; - la personalità: intesa come volontà di superare gli ostacoli, di assumersi i rischi, di tollerare le ambiguità, e l’autoefficacia; - la motivazione: è importante che il soggetto sia spinto da interesse e passione; - l’ambiente: inteso come strutture idonee e atteggiamento positivo delle persone con cui si collabora. Un altro psicologo ad interessarsi a questi studi è Amabile (1996) che tra i tratti della personalità creativa individua l’indipendenza da giudizio, l’autoconfidenza, l’attrazione per la complessità, l’orientamento estetico e la capacità di assumere rischi. LA PEDAGOGIA DELLA CREATIVITÀ La pedagogia della creatività nasce nel momento in cui si accoglie l’idea che la creatività è un potenziale che condividono tutti gli esseri umani e che il successo creativo è determinato, oltre che dalle capacità personali, anche dall’ambiente in cui si vive e dall’educazione che si riceve. L’attitudine creativa può essere quindi potenziata e sviluppata, e deve essere esercitata continuamente affinchè si possa esprimere in tutta la sua complessità fino a diventare una vera e propria forma mentis. Diverse figure professionali tra cui psicologi, sociologi, pedagoghi ed educatori, hanno affrontato il problema di come sviluppare le capacità creative nelle differenti fasi della vita e si sono dedicate allo studio di tecniche e metodi di insegnamento, all’individuazione dei principi dell’educazione, alla formulazione di teorie e pensieri, cercando di definire il valore ed il significato di un’educazione alla creatività.

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educare alla creatività Tuttavia, è difficile individuare con precisione una pedagogia della creatività per il carattere complesso di questa facoltà che è coinvolta in tutte quei processi di risoluzione di problemi e di produzione di qualcosa di nuovo, ma anche al raggiungimento di scopi puramente ludici o al soddisfacimento di desideri interiori o espressivi. Inoltre, ‘formare alla creatività’ è un concetto ambiguo poiché assume connotazioni differenti in base al contesto in cui si colloca. Volendo provare a dare una definizione, possiamo considerare la pedagogia della creatività come l’insieme di quelle azioni che vengono intraprese per condurre gli individui ad una ottimizzazione dello stesso processo creativo che consente loro il cambiamento. Un interessante punto di vista a riguardo è quello di Torrance (1977), che teorizzò una serie di principi per realizzare un’educazione alla creatività: valorizzare le idee nuove, sensibilizzare i soggetti agli stimoli, abituarsi alla tolleranza verso idee nuove, abituare il soggetto a stimare il proprio pensiero creativo, incoraggiare ed apprezzare l’apprendimento autonomo, provocare la necessità di pensare creativamente e formare educatori animati da spirito creativo. Lo psicoterapeuta statunitense C. R. Rogers afferma l’importanza del contesto per un sano sviluppo delle capacità creative che deve essere caratterizzato da stima e accettazione reciproca. Egli sottolinea la necessità che ci sia “quella comprensione empatica che consiste nel capire le altre persone dal loro punto di vista, mettendosi nei loro panni e vedendole con i loro stessi occhi, e che deriva dal fatto di saper accettare ogni individuo diverso come persona distinta, con un suo intrinseco valore riconosciuto e rispettato con piena ed aperta fiducia”. Si può ben osservare come questi principi non riguardano solamente l’ambiente scolastico, ma interessano tutti i contesti e le situazioni in cui l’individuo si può trovare. La creatività non si riduce ad un insieme di lezioni da apprendere, ma piuttosto viene concepita come una forma mentis, uno stile di vita, un atteggiamento dell’individuo che vuole realizzare se stesso e sviluppare le proprie capacità. Educare alla creatività significa quindi educare alla libertà di pensiero, di giudizio e di immaginazione.


teorie psicologiche sulla creatività

la pedagogia dell’infanzia Un lavoro consistente per quantità di teorie formulate, esperimenti svolti e volumi pubblicati è costituito dalla pedagogia infantile che si è occupata di definire dei modelli didattici per favorire lo sviluppo delle facoltà del fanciullo in quella fase fondamentale della vita in cui si forma il carattere e la personalità dell’uomo che diventerà. Gli psicologi dell’infanzia hanno dimostrato che verso i due anni si inizia ad uscire dal proprio mondo per esplorare ed interiorizzare le strutture del mondo esterno; il modo in cui avviene questo passaggio, secondo L. Astruc, autore del libro Creatività e scienze umane, determinerà il tipo creativo dell’adulto che sarà. Agli inizi del ’900, proprio mentre si sviluppavano questi pensieri e la creatività del bambino veniva riconosciuta come un valore da promuovere, alcuni educatori iniziavano a mettere in discussione un sistema educativo fondato sulla rigida disciplina a favore di una maggiore libertà. A tale proposito è doveroso ricordare il grande lavoro svolto da Maria Montessori che elaborò un proprio metodo educativo volto a sviluppare e potenziare la capacità creativa del bambino. Il principio alla base del metodo montessoriano è la libertà dell’allievo, poiché solo la libertà favorisce la creatività del bambino già presente nella sua natura; “fare pensando e pensare facendo”, sono queste le due modalità attraverso le quali il bambino opera e così facendo, diviene artefice del proprio futuro. Nel 1907, la Montessori fondò la prima casa dei bambini, un ambiente il cui arredamento era progettato e proporzionato alle possibilità del bambino. Un metodo simile è quello di Bruno Munari, artista e designer ma anche pedagogo intuitivo, che, interessandosi al mondo dell’infanzia, applicò i principi fondamentali della pedagogia attiva creando giochi didattici, libri per bambini e laboratori per l’infanzia. Lo scopo principale era quello di stimolare la curiosità di conoscere, il piacere di capire e la voglia di comunicare, proponendo il ‘fare’: sperimentare, cercare e scoprire da soli, in modo autonomo, utilizzando tutti i sensi a disposizione. Nel 1977 Munari creò il primo laboratorio per bambini Giocare con l’arte, in un museo presso la Pinacoteca di Brera a Milano. Ad interessarsi di pedagogia è stato anche lo scrittore Gianni Rodari che, nel suo libro Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, propone giochi per lo sviluppo di una mente creativa e plastica. Egli dà alcuni consigli pedagogici

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capitolo 1

Una classe della scuola Montessori.

Bambini di una scuola di Milano durante un gioco creativo con B. Munari.


teorie psicologiche sulla creatività

e sottolinea l’importanza della valorizzazione degli errori, che lui ritiene essere un aspetto centrale dell’educazione creativa poiché spesso dagli errori nascono idee nuove; lo scrittore sostiene che il bambino deve sentirsi libero anche di sbagliare e non dev’essere colpevolizzato per l’errore che ha commesso. il ruolo dell’educatore Secondo il pensiero di Jean Piaget l’apprendimento è un processo di scoperta del sapere, non è importante il risultato ma il cammino di apprendimento, l’esperienza che se ne fa; il punto focale della teoria è il modo in cui si costruisce la conoscenza, ovvero il modo in cui colui che apprende destruttura le informazioni e le ricostruisce secondo le proprie strutture mentali. In questa visione, l’educazione ha tre funzioni essenziali: trasmettere delle conoscenze agli allievi, insegnare loro a servirsene e insegnare loro ad imparare. Il pedagogo israeliano Reuven Feuierstein ha sviluppato nel suo libro Don’t accept me as I am un metodo didattico che attribuisce all’insegnante il compito di far crescere l’autostima dell’individuo, di aiutarlo a comprendere e sviluppare le proprie capacità e spingerlo a conoscersi meglio per definire il proprio percorso di vita; in altre parole significa dare gli strumenti affinchè si realizzi. educazione in ambito universitario Spesso quando si parla di educazione alla creatività si pensa all’insegnamento negli asili o nelle scuole primarie credendo erroneamente che i bambini siano gli unici a poter apprendere questo processo. Sopratutto recentemente ci si sta domandando come sia possibile un’educazione in ambito universitario; qui la creatività potrebbe rappresentare un percorso intellettuale che porta l’individuo motivato all’apertura verso altri temi e alla conseguente possibilità di trasferire contenuti e tecniche da un contesto all’altro. Un importante contributo a riguardo è quello di La Marca (2009) il quale sostiene che educare alla creatività significa rendere consapevoli gli studenti che per trovare soluzioni bisogna “imparare ad imparare”, formulando ipotesi, ponendo domande, cambiando punto di vista, scomponendo il problema per cercare nuove informazioni, evitando giudizi affrettati. È ormai desiderio condiviso da molti quello di voler creare all’interno delle università alcuni percorsi formativi per lo sviluppo della creatività. Educare alla creatività in questo contesto, non significa suggerire delle tecniche e dei metodi di creatività, quanto

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invece insegnare un atteggiamento adatto all’innovazione. A partire dagli anni ’70 la creatività è insegnata in alcuni istituti statunitensi. Il punto di riferimento è la Foundation for Creative Education di Buffalo (istituita nel 1954 per volere di Osborn), dove si sono definiti dei programmi educativi di vario livello (rivolti a studenti di scienze, gestione ed economia), che si basano sulla consapevolezza da parte degli educatori del potenziale creativo di ogni studente e dell’importanza del giudizio differito (che consiste nel rimandare il momento di dare giudizi a favore di una maggiore libertà) ed utilizzano numerosi esercizi che mirano a sviluppare l’agilità mentale. Sempre negli Stati Uniti, il College di Dorsmouth affianca all’insegnamento delle conoscenze proprie del ciclo di studi dell’ingegnere anche un programma di stimolazione della creatività che consiste non nell’insegnare teorie psicologiche o tecniche per produrre più idee, ma nel mettere lo studente-ingegnere direttamente in una situazione che lo motivi a prodorre idee valide ed originali che si tradurrano nella realizzazione pratica di progetti.




capitolo

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I MECCANISMI DELLA MENTE TRA VISIONE E PENSIERO LE TEORIE ED I PRINCIPI DELLA PERCEZIONE le teorie le leggi della percezione le illusioni ottiche le qualità espressive di un’immagine IL PENSIERO VISIVO l’attenzione selettiva le immagini mentali la memoria percezione e immaginazione linguaggio verbale e visivo



i meccanismi della mente tra visione e pensiero

le teorie ed i principi della percezione

Ogni individuo entra in contatto con la realtà che lo circonda attraverso i propri organi sensoriali, i quali, grazie a specifici recettori di senso di cui sono dotati, trasformano gli stimoli provenienti dall’esterno in impulsi nervosi e li inviano al cervello. Qui, i dati sensoriali vengono organizzati immediatamente attraverso processi di filtraggio, scomposizione, ricomposizione, interpretazione. Quello appena descritto è il processo di percezione, il quale ci pone davanti ad un importante concetto di cui bisogna prendere consapevolezza: la realtà fisica così com’è al di fuori dei nostri sensi è diversa da come noi la percepiamo. Volendo dare una definizione di percezione si può dire che essa è l’organizzazione immediata delle informazioni sensoriali corrispondenti a una data configurazione di stimoli; non è una mera registrazione della realtà, ma un’esperienza fenomenica. Ammettere lo scarto tra realtà fisica e realtà fenomenica ci permette di superare il realismo ingenuo (per il quale l’esperienza del mondo esterno è un’impronta delle cose sui nostri sensi) a favore di un realismo critico e ci permetterebbe quindi di non commettere l’errore dello stimolo (affermare che ciò che sappiamo è ciò che percepiamo) o l’errore dell’esperienza (pensare che ciò che percepiamo corrisponde alla realtà). Se la percezione è il modo attraverso il quale acquisiamo le informazioni sul mondo esterno, la vista è senz’altro il senso più importante perché ci permette di conoscere meglio l’ambiente. L’organo della vista è l’occhio che ha la particolarità di essere sensibile

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alla luce, la quale funge da stimolo. La luce che colpisce l’oggetto ma non viene recepito dai nostri organi è definita stimolo distale; soltanto quando raggiunge i nostri occhi, esso diventa stimolo prossimale ed è in grado di attivare i recettori sensoriali (si genera una sensazione), i quali manderanno gli impulsi al cervello che li elaborerà (processo psicologico che rappresenta la percezione in senso stretto). Ciò che accade prima dell’attivazione dei recettori è oggetto di studio dell’ottica, mentre tutto ciò che avviene dopo la stimolazione dei sensi è oggetto di studio della psicologia; questo processo prende, infatti, il nome di catena psico-fisica. Se non avvengono interruzioni nei vari passaggi della catena, la percezione si può dire completa, ma talvolta possono esserci degli ‘inceppi’, dando origine a determinati fenomeni visivi. Per esempio, si ha l’effetto della mimetizzazione quando l’oggetto è presente della realtà e lo stimolo colpisce l’occhio, ma non viene rilevato e percepito; e il principio della realtà virtuale è proprio quello di far percepire qualcosa che nella realtà oggettiva non esiste. Gli effetti postumi, invece, si hanno quando, dopo aver fissato a lungo un oggetto, ne abbiamo la percezione anche dopo averlo tolto dal campo visivo. Interessante è anche il fenomeno delle allucinazioni: false percezioni in assenza di stimoli, chiamate anche ‘percezioni senza oggetto’. LE TEORIE Lo studio dei meccanismi attraverso i quali percepiamo ha da sempre interessato filosofi e psicologi che si sono posti il problema della conoscenza della realtà formulando teorie varie e contrastanti. Tra le principali teorie percettologiche ho di seguito preso in considerazione quella empiristica di Helmholtz, la teoria gestaltista, il movimento del New Look of Perception, la teoria ecologica di Gibson e quella computazionale di Marr. la teoria di Helmholtz L’interpretazione empiristica proposta da Hermann von Helmholtz (1867) considera la percezione come la somma di sensazioni elementari, corrispondenti ai dati sensoriali, che vengono integrate attraverso processi di associazione ed in virtù di conoscenze apprese in passato. Più in dettaglio, egli sostiene che in questi processi agisca il principio dell’inferenza inconscia, un ragionamento rapido e inconsapevole che modifica la percezione retinica aggiungendo informazioni sulla base di ciò che già sappiamo. Ciò si concretizza nei fenomeni delle costanze


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OTTICA

PSICOLOGIA PERCEZIONE COMPLETA

oggetto

stimolo

sensazione

percezione

oscurità, ostacoli cecità, non percepibilità mimetizzazione, disattenzione verso stimolo rappresentazione virtuale, tromp l´oeil

immagine postuma allucinazione, illusione percettiva

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percettive della forma, della dimensione e del colore, secondo i quali un oggetto circolare che viene inclinato è ancora percepito come un cerchio e non come un ellisse, un oggetto che si allontana non si rimpicciolisce anche se lo si percepisce come più piccolo e, infine, al diminuire dell’intensità della luce gli oggetti non cambiano colore sebbene appaiono più scuri. la scuola della Gestalt Rifiutando la visione empiristica, gli psicologi della Gestalt (Wertheimer, Köhler, Koffka, Arnheim, Kanizsa) avevano un approccio globalistico e sostenevano che la percezione fosse un processo primario ed immediato, risultante dall’organizzazione interna delle forze che si creano tra le componenti degli stimoli. Per i gestaltisti, infatti, la percezione è qualcosa di più della semplice somma delle sensazioni che giungono all’occhio. Questo fondamentale punto teorico della psicologia della Gestalt ha permesso di determinare una serie di principi che regolano l’organizzazione di un campo percettivo e di osservare come uno stesso elemento può assumere caratterisitiche differenti se inserito in due diversi campi. Considerando, quindi, le entità come globali e aventi una loro intrinseca organizzazione, i gestaltisti si dedicarono a studiare ed individuare le leggi che regolano la percezione, le cosidette leggi gestaltiche, in virtù delle quali le parti di un campo percettivo vanno a costituire una totalità strutturata (Gestalt). Esse sono indipendenti dall’esperienza esterna e quindi non legate a fenomeni di apprendimento. Un primo fondamentale processo di organizzazione consiste nell’articolazione figura-sfondo, ampliamente indagato da Wertheimer (1923) e Rubin (1921), secondo il quale ogni figura percepita si distingue da uno sfondo separato da un margine: la figura assume un carattere oggettuale ed è posta di fronte ad uno sfondo, il margine viene percepito come appartenente alla figura. Alcuni du questi principi di organizzazione sono: l’inclusione, la forma conosciuta, la dimensione, l’orientamento, la convessità, il colore, ecc. Wertheimer si dedicò anche all’indiviuazione e all’analisi dei fattori che determinano l’organizzazione degli stimoli in unità percettive, individuando i principi dell’organizzazione percettiva; tra questi possiamo ricordare la vicinanza, la somiglianza, il “destino comune”, la continuità di direzione, la chiusura, ladirezionalità, la pregnanza, l’esperienza pasata, il contesto.


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il New Look of Perception Il movimento del New Look of Perception si afferma negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra ad opera di Jerome Bruner e colleghi. Secondo questa prospettiva la percezione è connessa alle aspettative, ai bisogni, agli stati d’animo e alle motivazioni dell’individuo, il quale nel percepire la realtà circostante attua un’operazione di categorizzazione, cioè di identificazione e classificazione dello stimolo percepito. Un importante esperimento di Bruner, condotto insieme alla collega Goodman nel 1957, ha mostrato come le emozioni influenzino le percezioni: ad un gruppo di bambini di diversa estrazione sociale erano state mostrate delle monete e, alla richiesta di ridisegnarle, si osservò che i bambini più poveri disegnavano monete di diametro maggiore attribuendo ad esse un valore maggiore di quanto non facessero i bambini ricchi. Analogamente, Allport e Postman (1947) somministrarono per alcuni secondi ad un gruppo di americani dei fotogrammi che ritraevano un bianco malvestito e con un coltello in mano e un nero benvestito con una valigetta 24 ore; alla richiesta di dire chi fosse il malvestito la maggior parte delle persone sbagliò l’attribuzione mostrando come un’idea dominante tende ad eliminare tutti i dettagli non congruenti in una percezione e a costruire attorno a sé un gruppo di dettagli ad essa conformi che la avvalori. la teoria ecologica di Gibson James J. Gibson (1979) affronta lo studio della percezione da una prospettiva evoluzionistica, cercando di identificare il ruolo della percezione dal punto di vista della sopravvivenza dell’individuo. Egli sostiene che gli stimoli contengono sufficienti informazioni affinchè vengano percepiti, senza necessitare di ulteriori ricordi o elaborazioni per interpretarli. Gli stimoli contengono tutte le informazioni necessarie, chiamate da Gibson affordance, a una precisa distribuzione spaziale e temporale di disponibilità; percepire significa, quindi, essere in grado di cogliere queste informazioni percettive. la teoria computazionale di Marr Un altro modello che descrive l’attività percettiva è quello della teoria computazionale di David Marr (1982). Egli considera la percezione come un processo gerarchio organizzato in tre fasi: - lo schema grezzo originario: costruito sulla base delle differenze

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di luminosità dell’immagine, corrisponde all’individuazione dei contorni dell’immagine; - lo schema a due dimensioni e mezzo: in cui il sistema visivo costruisce una prima ipotesi sulla tridimensionalità dell’oggetto, rappresentando le superfici, la dimensione ed il loro orientamento; - lo schema a tre dimensioni: elaborazione dell’immagine in base alle conoscenze che si hanno dell’oggetto, ovvero attraverso il confronto dell’oggetto percepito con l’oggetto conosciuto, conservato in memoria. gli studi recenti Negli ultimi trenta anni sono stati svolti numerosi studi di psicologia cognitiva e di neuroscienza, atti a definire come da uno stimolo si arrivi al riconoscimento di un oggetto. Alcune teorie contemporanee, di orientamento fenomenologico e cognitivista, hanno suddiviso la percezione in due livelli: -il processo primario, che è strettamente fisiologico e riguarda l’elaborazione degli attributi fisici dello stimolo (la descrizione dell’oggetto attraverso la sua forma); - il processo secondario, che consiste nell’elaborazione cognitiva dell’informazione ed il riconoscimento dell’oggetto; questi richiedono l’intervento di altre funzioni cognitive come l’attenzione, la memoria, il linguaggio, l’immaginazione e la coscienza. Gli psicologi ritengono che nel processo di riconoscimento di un oggetto sono coinvolti due tipi di elaborazione: quello bottom-up e quello top-down. Il processo bottom-up riguarda l’elaborazione di informazioni presenti nella realtà ed interessa i fattori sensoriali e fisiologici; il processo top-down, invece, è guidato dalle conoscenze pregresse e riguarda i fattori mentali superiori. In pratica, dopo aver individuato la struttura dell’oggetto, il cervello la confronta con le tracce depositate in memoria di immagini simili, che costituiscono le rappresentazioni mentali degli oggetti; queste ultime sono cheamate ‘prototipi’. Per quanto riguarda la neurologia, negli ultimi decenni sono state fatte importanti scoperte sul sistema visivo cerebrale che hanno portato ad affermare che l’integrazione dell’informazione visiva è un processo in cui la percezione e la comprensione dell’immagine visiva avvengono simultaneamente; prima, invece, i neurologi separavano il processo della visione da quello della comprensione. Recenti esperimenti, come quello svolto da S. Zeki su pazienti colpiti da danni ad aree specifiche della corteccia cerebrale, hanno messo in luce come nessuna delle aree del cervello,


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in ognuna delle quali si elabora un aspetto particolare legato alla visione, si limita a passare segnali ad altre aree; al contrario, esse trasformano attivamente i segnali in arrivo e contribuiscono, anche se in maniera incompleta, alla percezione come unione di struttura e di significato. Queste ricerche hanno mostrato come il ‘vedere’ sia già un ‘capire’ derivante dall’integrazione di diverse aree corticali. LE LEGGI DELLA PERCEZIONE Poiché gli stimoli visivi vengono organizzati dal nostro cervello in unità percettive coerenti e strutturate, la percezione che ne risulta non dipende dalle caratteristiche dell’oggetto, ma dall’organizzazione totale della configurazione degli elementi. Alla base del modo in cui i dati sensoriali vengono organizzati ci sono processi e fenomeni percettivi fondamentali, molti dei quali sono stati sviluppatti all’interno della scuola della Gestalt. Di seguito vengono presi in considerazione i principi più importanti ed i fattori di struturazione tramite i quali si organizzano gli stimoli visivi; questi vengono trattati in relazione alla comunicazione visiva e per questo accompagnati da esempi di elaborati grafici.

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PRINCIPI DI ARTICOLAZIONE FIGURA/SFONDO


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Bob Noorda, Roberto Sambonet, Pino Tovaglia, Bruno Munari; marchio della Regione Lombardia, 1974. Logo Vodafone, 2006. Pino Tovaglia, Stile industria, n. 33; copertina, 1961. Otto Aicher, Realistische Weltliteratur der Gegenwart; copertina, 1949-51.

INCLUSIONE Una forma inclusa in un’altra emerge come unità fenomenica separata dal resto e viene considerata come figura.

figura forma inclusa

sfondo

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Hans Neuburg, Konstruktive Grafik; poster per il Kunstgewerbemuseum, Zurigo, 1958. Mary L. Beresford, IBM automatic information systems; copertina dal Graphis Annual 63/64. Paul Ibou, Biennal of Sculpture, Middelheim; logo, 1965.

DIMENSIONE Solitamente un’area più piccola è percepita come figura rispetto ad un’area maggiore.

figura area minore

sfondo


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Gabriele Wilson, Blue House; copertina libro per Poetry Society Of America, 1999. Alvin Lustig, Selected Poems by E. Pound; copertina per New Directions, 1949.

SIMMETRIA La simmetria è una caratteristica molto importante di una rappresentazione che induce a vedere con facilità delle figure rispetto ad uno sfondo privo di simmetria. Va precisato che la simmetria verticale è più visibile e quindi più rilevante di quella orizzontale.

figura forma simmetrica

sfondo

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Wim Crouwel, Hussem en Bouthoorn; poster per un’esposizione allo Stedelijk Van Abbemuseum, Eindhoven, 1961. Eugenio Carmi, cartellina per il personale impiegatizio dell’Italsider; Cornigliano, 1958-1965.

ANISOTROPIA Gli elementi di una composizione non sono indifferenti all’orientamento; infatti, in assenza di altre informazioni si considera più facilmente percepibile come figura la forma che sta in basso. Questo è dovuto alla nostra esperienza della forza di gravità e all’abitudine di vedere oggetti elementi che poggiano a terra. figura poggia in basso

sfondo


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Anton Stankowski; poster per l’11° congresso olimpico, 1981. A. G. Fronzoni, 28ª festival internazionale del teatro di prosa, la Biennale di Venezia; poster, 1969. Milton Glaser, Asylum Records; logo, 1983.

CONVESSITÀ Tendenzialmente si percepisce come forma una regione convessa anziché una concava.

figura area convessa

sfondo area concava

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Will Burtin, Vision 65: Conference Program; copertina, 1965.

ORIENTAMENTO Diventa figura la regione i cui assi sono orientati secondo le direzioni principali dello spazio percettivo.

figura orientata secondo assi principali sfondo orientato secondo diagonali


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Otto Aicher, Jazz; copertina del disco, 1950. Helen Yentus, The Myth of Sisyphus: And Other Essays; copertina per Vintage, 1991.

COLORE Spesso le aree di colore più chiaro, cioè con una maggiore luminanza, vengono viste come figure.

figura più chiara

sfondo più scuro

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Ikko Tanaka, Nihon Buyo performance by the Asian Performing Arts Institute; poster, 1981. Alberto Gennari, Campo Grafico, n. 1; copertina della rivista, 1936.

FORMA CONOSCIUTA Se nell’osservare una composizione riconosciamo una forma nota, essa viene facilmente considerata una figura.

figura forma conosciuta

sfondo forma sconosciuta



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PRINCIPI DELL’ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA


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Wim Crouwel, Vormegevers; poster per la mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam, 1968. CiviltĂ delle Macchine, n. 5; copertina della rivista, settembre 1953. Alan Fletcher, logo Reuters,1965.

VICINANZA La distanza tra gli elementi è molto importante per organizzarli, infatti elementi vicini tendono ad essere raggruppati ed unificati.

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Giovanni Pintori, poster per la Diaspron 82 dell’Olivetti, 1959. Peter Mendelsund, Mr. Peanut; copertina per Knopf, 2010.

SOMIGLIANZA Tendenzialmente siamo portati a mettere in relazione gli elementi piĂš simili per dimensione, forma o colore per cercare una struttura emergente.


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Anton Stankowski, Berlin-Layout; copertina, 1971. Lezsek Holdanowicz, Projekt, n. 3; copertina, 1988.

DIREZIONALITĂ€ In una composizione tendiamo a raggruppare gli elementi che hanno la stessa inclinazione e che sembrano andare nella stessa direzione.

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Joseph M端ller-Brockmann, Beethoven; poster, 1955. Will Burtin, Visual Aspects of Science; retro del catalogo, 1962.

DESTINO COMUNE Gli elementi che sembrano muoversi insieme verso una struttura coerente, un obiettivo comune, vengono visti come appartenenti ad una forma unica.


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Dan Reisinger, Independence day; poster, 1974. Emil Ruder, Die gute Form; poster, 1958. Franco Grignani, pura lana vergine; marchio per International Wool Secretariat, 1964. Saul Bass, United Airlines; logo, 1974.

CONTINUITĂ€ DI DIREZIONE Per coerenza, tendiamo ad unificare strutture e linee che sembrano avere una continuitĂ di direzione e non quelli che hanno una variazione brusca della loro traiettoria.

+ percezione prevalente: non ci sono resti

+ percezione non preferita: non hanno continuitĂ

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Paul Rand, IBM; logo, 1972. Saul Bass, AT&T Corporation; logo, 1983. Emil Ruder, poster per un’esposizione del 1958. Helen Yentus, Exile And The Kingdom; copertina del libro per Vintage, 2007.

CHIUSURA La legge della chiusura stabilice che, data una particolare disposizione degli elementi, percepiamo una figura anche quando essa è incompleta o ha dei contorni aperti, perchÊ il nostro cervello tende a fornire le informazioni che mancano.

percezione prevalente: una figura chiusa

+

+

percezione non preferita: elementi divisi del tracciato


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Hans Neuburg, poster per la fiera campionaria svizzera, 1969. Giovanni Pintori, Olivetti logos; poster. Mastercard, logo.

PREGNANZA Il cervello tende ad organizzare gli elementi in base a principi di regolarità e semplicità, interpretandoli come risultante di elaborazioni tra forme il più possibile regolari.

+ percezione prevalente: organizzazione più semplice

+

+

+

percezione non preferita: organizzazione più complessa

ARTICOLAZIONE SENZA RESTI Sempre per lo stesso principio gli elementi della composizione vengono articolati in modo da non lasciare parti in eccesso.

+

percezione prevalente: non ci sono resti

+ percezione non preferita: ci sono resti

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Thonik Studio, Grachtenfestival; poster, Amsterdam, 2008. Wim Crouwel, Calendar; 1963.

COMPLETAMENTO AMODALE Il completamento amodale consiste nella percezione di un’occlusione da parte di una figura in primo piano; in questa situazione si sfruttando i meccanismi della continuazione e della pregnanza per completare la figura occlusa in modo semplice e coerente.

+ percezione prevalente: la figura occlusa è la più semplice

+ percezione non preferita: la figura occlusa non rispetta le leggi della continuità

Il ruolo dell’occlusore è molto importante perché suggerisce il modo in cui avviene il completamento amodale. Spesso la sua assenza rende difficile percepire gli stimoli come frammenti di una figura completa.

+ la figura viene percepita come composta da due forme separate

la parte nascosta della figura viene completata


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Carlo Vivarelli, Forme nuove in Italia; copertina per il catalogo della mostra al kunstgewerbemuseum di Zurigo, 1954. Giovanni Pintori, annunci pubblicitari Olivetti, 1963.

ESPERIENZA PASSATA Gli elementi che per la nostra esperienza passata sono abitualmente associati tra di loro tendono ad essere uniti in forme.

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Bob Noorda e Massimo Vignelli, 33a Biennale Internazionale d’arte; poster, 1966. Bob Noorda, Università Internazionale dell’Arte; logo, 1968. Saul Bass, Dixie; logo, 1969. Paul Rand, Cado; logo.

CONTESTO A volte la capacità di distinguere un oggetto è data dal contesto in cui esso si trova: una stessa forma può infatti essere interpretata in maniera differente.


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LE ILLUSIONI OTTICHE I principi appena descritti possono unirsi e quindi rafforzare l’effetto o possono entrare in conflitto e far percepire una figura in accordo con un principio dominante, sopraffando l’altro. Altre volte ci si imbatte nelle illusioni ottiche, cioè in quelle raffigurazioni che ingannano l’apparato visivo inducendolo a percepire in maniera scorretta la realtà; per esempio, ‘vediamo’ un oggetto che non c’è, in accordo con il principio della pregnanza precedentemente descritto. Molto interessanti sono le illusioni cognitive che riguardano l’interpretazione che il cervello dà a determinate configurazioni e che comprendono le configurazioni bistabili, le figure nasconste, quelle impossibili e le illusioni di movimento. Di seguito vengono trattati ognuno di questi prendendo come esempi di riferimento alcuni progetti di graphic design.

ILLUSIONI COGNITIVE

figure bistabili

figure nascoste

figure impossibili

illusioni di movimento

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figure bistabili e multstabili In certe situazioni i principi di organizzazione figurale non riescono ad intervenire poiché ci si trova davanti a figure istabili ed ambigue, nelle quali si registra un’alternanza tra figura e sfondo. In queste composizioni ci sono due modi alternativi di ‘vedere’ la figura ed è impossibile percepire contemporaneamente sia l’una che l’altra dato che il contorno appartiene, di volta in volta, soltanto ad una di esse. Avviene quindi una fluttuazione spontanea dell’interpretazione percettiva. Queste figure vengono definite bistabili o, nel caso ci siano più di due interpretazioni, multistabili.

Albe Steiner, XIV Triennale di Milano; poster, 1968. Ferrovie dello Stato, logo. Formula Uno, logo. RAI, logo.


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(a fianco) Shigeo Fukuda, Legs Illusion; poster, 1979. Lemel Yossi, Amnesty International (Israel); poster, 1995. (sotto) Malika Favre, The Kama Sutra; prova per la copertina del libro per l’edizione Deluxe della Penguin, 2012. Simon C. Page, Batman e Pinguino; poster della serie ‘Hero and Villain’, 2010.

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figure nascoste Interessante è osservare come, in particolari casi, alcune figure non sono immediatamente percepibili, ma vengono mascherate nella composizione rendendo difficoltoso il loro riconoscimento. Questo accade quando alcune forme appartengono a due figure o a due interpretazioni differenti. Quando ‘vediamo’ una figura raggruppiamo tutti gli elementi che la compongono staccandola dal resto e riconoscendola come unità; ma talvolta in essa possono esserci altre immagini nascoste o alcuni elementi che appartengono anche al resto della composizione. Un altro caso in cui facciamo difficoltà a riconoscere delle immagini è quando esse rappresentano una minima variazione rispetto ad una struttura predominante, come nel caso delle copertine tipografiche qui sotto.

Victionary, Type Addicted; copertina, 2007. Lance Wyman, Mexico Olympics; logo, 1968. Fiat Punto; logo, 2005.


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(a fianco) Noma Bar, Red Riding Hood e Good and Evil; due poster. (sotto) Studio Lowe-SSP3, un poster della serie Come with a Story and Leave with Another per Colsubsidio Book Exchange, Bogota, 2012. Noma Bar, The Body Artist; copertina del libro per Picador, 2011.

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figure impossibili Le figure impossibili sono interessanti illusioni ottiche che consistono in rappresentazioni bidimensionali di oggetti che non potrebbero esistere nella realtà perché sono fisicamente irrealizzabili. In queste configurazioni, oppurtunamente costruite, le forme si sovrappongono e si intersecano in modo tale da disegnare un oggetto tridimensionale che si oppone alle leggi della geometria e perciò impossibile, ma che ‘si vede’ facilmente e viene considerato reale dal cervello.

Al Nagy, Studies in the Philosophy of History; copertina per Harper Torchbooks, 1965. Wolcott School; logo, Chicago. Lance Wyman per George Nelson & Co., Industrial Design USA; logo, 1967.


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(a fianco) Franco Grignani, Proposte 73; poster, 1973. Franco Grignani, Franco Grignani alla Galleria San Fedele; poster, 1969. (sotto) Shigeo Fukuda, poster.

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illusioni di movimento Un altro caso di composizione illusoria è costituito da quelle configurazioni che, seppure statiche, producono un’istabilità percettiva ed un’illusione di movimento. Questo effetto, causato dall’avvicinamento opportuno di forme e dall’uso sapiente del colore, induce a ‘vedere’ l’immagine come se fosse tridimensionale ed uscisse dal piano o, in alcuni casi, come se si muovesse realmente.

Franco Grignani, Linea Grafica, n. 6; copertina, 1965. Otto Aicher, München 1972; logo dei giochi olimpici di Monaco, 1972.


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(a fianco) Kid606. Sugarcoated, copertina disco, 2004. Black Angels, Phosphene Dream; copertina disco, 2010. (sotto) Franco Grignani, pubblicitĂ per Alfieri & Lacroix, 1964. Isaac Tobin, A naked singularity; copertina.

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LE QUALITÀ ESPRESSIVE DI UN’IMMAGINE La percezione visiva delle immagini consiste nell’elaborare gli stimoli in modo da distinguere gli elementi ed organizzarli in base ai loro fattori formali, ma, come abbiamo visto, questo è anche un processo di interpretazione poiché nella totalità della composizione cogliamo una serie di qualità espressive: - qualità relative alla forma: ampio/ristretto, chiuso/aperto, continuo/discontinuo, separato/fuso, ecc. - qualità relative al dinamismo e alle forze interne: forte/debole, statico/in movimento, in disgregazione/in aggregazione, espanso/compresso, ecc. - qualità generali: simmetrico/asimmetrico, bilanciato/sbilanciato, armonico/disarmonico, ecc. - qualità sinestetiche (in relazione agli altri sensi): caldo/freddo, duro/morbido, ecc. - qualità ‘caratteriali’: frivolo/serio, allegro/triste, aggressivo/calmo, affidabile/inaffidabile, ecc. Nella definizione delle qualità espressive di un’immagine gioca un ruolo molto importante la disposizione spaziale. Infatti figure poste vicino al margine inferiore sono pesanti, mentre viceversa esse sembrano più leggere, elementi sparsi in modo casuale nella pagina sembrano fluttuare, quelli raggruppati in un punto sembrano costruire un nucleo solido, la simmetria è associata all’equilibrio, le linee curve al movimento, ecc. Un altro fattore rilevante è l’orientamento delle figure: gli oggetti sembrano muoversi in maniera fluida nella direzione sinistra-destra, in caso contrario si ha l’impressione che il movimento sia forzato, innaturale. Questa interpretazione dell’immagine è probabilmente influenzata dal nostro sistema di lettura che induce, in assenza di altre caratteristiche, a considerare prima gli elementi che si trovano a sinistra e spostarsi poi verso destra. Naturalmente anche il colore ha un ruolo fondamentale nella percezione dell’espressività di un’immagine, in questo fattore influiscono sia le preferenze soggettive che le differenze culturali; il significato espressivo-simbolico del colore dipende spesso da fattori culturali, per esempio il bianco in Giappone è il colore del lutto mentre è il nero in occidente; altre associazioni sono universali, come il blu per il freddo ed il rosso per il caldo. Interessante è osservare anche gli effetti psico-fisiologici collegati ai colori: il rosso è eccitante, il rosa è calmante, il blu è sereno, ecc.


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(a fianco) Max Huber, Italia URSS; poster, 1966. Helen Yentus, The Fall; copertina per Vintage, 1991. (sopra) Anton Stankowski, Deutsche Bank; logo, 1974. A. G. Fronzoni, Filmalpha & associati; logo, 1987.

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il pensiero visivo

Gli stimoli percepiti vengono elaborati nella mente coinvolgendo quelle facoltà che permettono la conoscenza e la memorizzazione delle informazioni; questi sono meccanismi fondamentali per comprendere l’attività cognitiva dell’individuo. Il processo cognitivo può essere semplificato nel seguente modello: gli stimoli percepiti vengono fermati per un istante nella memoria sensoriale, quelli più interessanti, a cui si presta attenzione, passano nella memoria a breve termine (o memoria di lavoro), dove vengono temporaneamente elaborati e successivamente memorizzati nella memoria a lungo termine in qualità di immagini mentali. Nei paragrafi seguenti vengono prese in esame tutte queste facoltà in relazione al pensiero visivo, con lo scopo di comprendere quei processi attraverso cui vengono acquisite, elaborate, archiviate e recuperate informazioni dall’ambiente circostante. L’ATTENZIONE SELETTIVA Nell’osservare un’immagine o semplicemente nel guardare l’ambiente che ci circonda è chiaro che non siamo in grado di analizzare tutti gli stimoli che ci colpiscono, ma soltanto una quantità limitata di essi. Infatti, operando una continua selezione di questi stimoli, riusciamo a focalizzarci su alcuni elementi della percezione piuttosto che su altri; questa capacità è detta attenzione selettiva. Nell’interazione con il mondo esterno, l’attenzione ci permette di filtrare gli stimoli mettendo in risalto le informazioni che ci interessano e di escludere le altre; se non avessimo questa


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capacità saremo sommersi da migliaia di informazioni e saremo incapaci di elaborarle. La concentrazione è un atto mentale volontario, sebbene spesso non ce ne rendiamo conto, che permette di muoversi in modo opportuno nell’esplorazione di una immagine alla ricerca di ciò che la mente ritiene interessante; a volte, però, essa è indipendente dalla nostra volontà ed è attratta in modo automatico da certe caratteristiche. In ogni caso, mentre facciamo attenzione ad un elemento, possiamo contemporaneamente seguire altri punti differenti con la visione periferica. Nel processo percettivo ci sono elementi che possono essere colti immediatamente ed altri che necessitano di una attenzione maggiore e prolungata nel tempo, come per esempio avviene quando abbiamo di fronte delle immagini nascoste. Alcuni fattori, sia determinati da condizioni dell’ambiente che derivanti da condizioni psicofisiche dell’individuo, possono influenzare l’attenzione in modo da favorirla o limitarla. Tra i fattori che catturano l’attenzione ci sono i forti contrasti, gli stimoli improvvisi ed intensi, la presenza di forme regolari e note, elementi di interesse, elementi che saltano all’occhio poiché hanno delle incongruenze o rappresentano espressioni emotive ed, infine, l’attenzione può essere favorita dal fenomeno di priming positivo che avviene quando uno stimolo (prime)

ATTENZIONE SELETTIVA concentrazione su pochi elementi

forti contrasti stimoli improvvisi ed intensi forme regolari e note elementi di interesse elementi che saltano all’occhio priming positivo

stimolo

l’informazione non selezionata è perduta rapidamente

inibizione del ritorno inattenzione troppi elementi attenzionali priming negativo

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facilita la risposta ad uno immediatamente successivo poiché la mente viene precedentemente preparata a fare un determinato collegamento. La capacità di prestare attenzione agli stimoli è invece limitata dal fenomeno di priming negativo (quando la mente viene indotta ad escludere determinati elementi che vengono successivamente richiamati), dalla difficoltà di ritornare a prestare attenzione a qualcosa (inibizioni di ritorno), dal fatto che dopo essersi concentrati per un determinato periodo segue un periodo di inattenzione, e dal sovraccarico degli elementi attenzionali. Infine, alcuni esperimenti hanno mostrato che l’attenzione è influenzata da concetti precedenti, come per esempio avviene quando si legge il titolo di un quadro prima di osservarlo e quindi si cercano subito elementi corrispondenti al concetto espresso nel titolo. Esistono poi differenze nel prestare attenzione ad un’immagine in base a fattori culturali: da ricerche in campo cognitivo e sociale sono emerse sostanziali differenze che caratterizzano il modo di approcciarsi ad un’immagine da parte di un orientale e di un occidentale. Richard Nisbett ha indagato le differenze di pensiero tra orientali ed occidentali osservando come gli orientali fanno più

Kazumasa Nagai, Japanische Plakateheute; poster, 2006. Kazumasa Nagai, due poster della serie Japan, 1988.


i meccanismi della mente tra visione e pensiero

attenzione all’ambiente mentre gli occidentali si concentrano sui soggetti e sulle azioni. Secondo lo studioso questi due differenti schemi di visione sono dovuti al diverso modo di concepire il mondo che sta alla base delle due culture: per gli orientali l’armonia, sopratutto di elementi naturali, è un concetto centrale, mentre gli occidentali sono concentrati nel raggiungere gli scopi che si sono prefissati. Queste differenze si possono osservare anche nel graphic design: la produzione grafica orientale è caratterizzata dall’interesse verso elementi naturali, in particolare gli animali, con attenzione ai dettagli e alle decorazioni e spesso riprendono elementi e simboli culturali. i messaggi subliminali La nostra mente elabora le informazioni che sono oggetto dell’attenzione, ma non è del tutto indifferente agli altri stimoli che non riusciamo a consapevolizzare perché non ci si sta concentrando su queste informazioni o perché sono troppo tenui e rapidi da essere notati seppure sollecitino i sensi in modo sottile. Essi possono essere assimilati a livello inconscio attraverso una percezione subliminale, influenzando il comportamento degli individui. Questi messaggi sono noscosti all’interno di alcune

Locandina del film The silence of the lambs, 1991 (Sulla testa della falena c’è il teschio di Dalì). Wolff Olins, London 2012; logo delle olimpiadi di Londra, 2012 (secondo alcuni il logo vuole nascondere il termine “zios”, alludendo al sionismo). Immagine di una vecchia pubblicità negli elenchi telefonici americani.

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capitolo 2

immagini e, secondo alcuni, esse rimarebbero nella memoria dell’osservatore in maniera inconsapevole. Sin dall’inizio questi meccanismi vennero sfruttati da pubblicitari e commercianti credendo che fosse uno strumento di controllo delle menti, ma scientificamente non vi è nessuna certezza sugli effetti di questi messaggi. Il primo a dar rilievo a questo argomento è stato il pubblicitario James Vicary che negli anni ’50 dichiarò di aver inserito segretamente in un film dei brevi messaggi che inducevano al consumo di pop-corn e Coca-Cola e di aver riscontrato un aumento considerevole di consumo di questi prodotti; solo successivamente confessò che ciò non era vero e che era soltanto un trucco per dar rilievo alla sua agenzia. Note sono le immagini subliminali a sfondo sessuale nei cartoni animati, nelle pubblicità o nei film, ed alcuni sostengono che ciò ha lo scopo, o forse la pretesa, di catturare maggiormente l’attenzione dello spettatore, perché gli ormoni entrano in fibrillazione, e di sviluppare una preferenza per il prodotto. Una ricerca di Johan Karremans dell’Università di Nijmegen in Olanda, ha mostrato come messaggi subliminali possono avere effetto a breve termine. L’esperimento consisteva nel proiettare brevemente su uno schermo di un frigorifero di un supermercato la scritta “Lipton Ice Tea” e si osservò che la gente, che già aveva lo stimolo della sete, consumava di più questa bevanda. Naturalmente lo stimolo subliminale può avere effetto soltanto in soggetti già predisposti, ovvero in situazioni in cui già ci sia un bisogno, come per esempio la sete. Altre ricerche effettuate all’ University College di Londra hanno evidenziato che i messaggi subliminali negativi hanno più effetto di quelli neutri o positivi, e che affinchè vengano percepiti non bisogna essere troppo impegnati. Questo proprio per il fatto che nell’osservare un’immagine si cerca di comprendere il suo significato cercando di far attenzione agli elementi salienti e tralasciando i dettagli. In definitiva, quindi, non ci sono state conferme scientifiche sugli effetti dei messaggi nascosti, sebbene ci siano stati casi di condizionamento. Come afferma lo psicoanalista Mauro Cosmai: “Uno stimolo non distinguibile, un’informazione non percepita in maniera chiara e obiettiva non viene neppure codificata a livello cerebrale e di conseguenza non può avere

Un caso alquanto curioso riguarda la vicenda della Walt Disney, accusata di aver usato messaggi subliminali a sfondo sessuale nei suoi disegni.


i meccanismi della mente tra visione e pensiero

efficacia sul comportamento”. Ciò non esclude che questo meccanismo non possa venir usato in inserti pubblicitari o in altri prodotti grafici che consentono un’esposizione prolungata (non sono messaggi brevi) e quindi un’osservazione dell’immagine più attenta. In alcuni casi i messaggi subliminali non riguardano le forme che si nascondono in un’immagine, ma il significato che esse si portano dietro: i messaggi aggiuntivi. Ciò che differenzia queste composizioni dalle figure nascoste (vedi pag. 96) è proprio la loro caratteristica di non celare una forma ma un messaggio; esso non può essere scoperto soltanto prestando attenzione a certi particolari subliminali, ma richiede delle conoscenze a riguardo. Spesso inserire messaggi nascoste aggiunge significato all’immagine riuscendo a cattutare l’attenzione delle persone e creando un alone di mistero intorno ad alcune raffigurazioni, come avviene nella celebre copertina del disco Abbey Road dei Beatles.

Copertina dell’album Abbey Road dei Beatles, 1969. Logo del Toblerone nasconde la sagoma di un orso all’interno della montagna; esso è il simbolo di Berna, la città che detiene le proprietà sul marchio. La Sony Vaio è un marchio che simbolizza l’integrazione tra la tecnologia digitale e quella l’analogico; le prime due lettere rappresentano un’onda analogica, mentre le ultime due il sistema binario 0 e 1. Il logo della Northwest Airlines, oltre alle lettere N e W, nasconde l’immagine stilizzata di una bussola con il triangolo puntato verso il nord-ovest.

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LE IMMAGINI MENTALI Gli stimoli selezionati attraverso l’attenzione vengono sottoposti ad un processo di elaborazione e riconoscimento che consiste nel confrontare gli stimoli in attivo con le informazioni presenti nella memoria; ciò presuppone che nella memoria siano archiviate delle immagini mentali che contengono le proprietà peculiari di un certo insieme di elementi. Sulla natura delle immagini mentali c’è stato un vivace dibattito negli anni ’70 che ha visto il confronto tra due schieramenti di pensiero: i pittorialisti ed i proposizionalisti. I primi sostenevano che le rappresentazioni avevano con l’oggetto rappresentato delle relazioni non arbitrarie, ma che c’era una stretta somiglianza tra le due; questo significava sostenere la specificità funzionale delle immagini mentali. I proposizionalisti, invece, ritenevano che le rappresentazioni venissero codificate nella mente sotto forma di descrizioni astratte basate su delle rappresentazione di tipo simbolico simile al linguaggio. Essi non negavano la presenza delle immagini nella mente, ma affermavano che esse erano un effetto secondario, poiché i dati venivano elaborati principalmente in un formato più astratto. Molte risposte sono venute oggi dalle neuroscienze: per esempio, studi di neuro-immagine funzionale hanno accertato che, quando si percepisce e quando si immagina, si attivano le stesse aree cerebrali: le immagini mentali vengono esplorate e manipolate allo stesso modo in cui esploriamo e manipoliamo le immagini reali. Un noto esperimento di Kosslyn (1980) sull’ispezione (scanning) mentale ha mostrato come l’ ‘occhio della mente’ esamini le immagini mentali nello stesso modo in cui l’occhio reale fa con con le immagini percepite. Dopo aver fatto apprendere ad alcuni soggetti una mappa, egli chiese loro di immaginarla e di spostarsi all’interno di essa, osservando come il tempo delle operazioni richieste era proporzionale alla distanza effettiva tra i punti della mappa. Un esempio analogo riguarda esperimenti sulle lettere dell’alfabeto, che mostra come il cervello ruoti mentalmente gli oggetti rappresentati per verificare la sua rispondenza con quelli che ha memorizzato precedentemente. Il ‘pensiero visivo’ ha quindi la capacità di compiere operazioni che ruotano, specchiano, scandiscono, avvicinano e spostano gli elementi dell’immagine fenomenica con lo scopo di identificarla. Volendo dare una definizione, possiamo dire che le immagini mentali sono delle rappresentazione astratte prodotte dal cervello


i meccanismi della mente tra visione e pensiero

e sono il risultato di una generalizzazione e categorizzazione dell’oggetto fino a diventare un archetipo elementare ed invariante; esse costituiscono la base degli schemi mentali su cui si fonda l’intero processo di costruzione della conoscenza. Il processo immaginativo, inoltre, non è necessariamente legato alla presenza effettiva di uno stimolo esterno poiché è in grado di elaborare un oggetto di conoscenza senza che gli stimoli relativi ad esso siano presenti nel sistema senso-percettivo. creazione di un’immagine mentale Quando la figura che si ha di fronte è sconosciuta, il nostro cervello la elabora nella memoria a breve termine e ne astrae la struttura costitutiva, attraverso un processo di sintesi che cerca di escludere tutte le possibili varianti per costituire una rappresentazione il più possibile generale. Questo prototipo di oggetto viene quindi interpretato, associato ad un concetto e spesso ad un nome per essere ricordato più velocemente (codifica sia visiva che verbale). La generazione di immagini mentali è connessa con lo shifting dell’attenzione, cioè lo spostamento della finestra attenzionale sulle parti da costruire, e con l’orientamento dell’oggetto, poiché le immagini vengono memorizzate secondo un determinato posizionamento spaziale sia in relazione alle varie parti che alla totalità dell’immagine.

MEMORIA SENSORIALE

attenzione

MEMORIA codifica A BREVE TERMINE

MEMORIA A LUNGO TERMINE

nte

pia ALBERO

stimolo

individuazione della struttura compositiva

categorizzazione, codifica visiva e verbale dell’immagine mentale

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capitolo 2

recupero di un’immagine mentale Riconoscere un oggetto è un processo cognitivo che consiste nell’analizzare l’oggetto percepito per quelle che sono le sue caratteristiche principali e nel cercare nella mente immagini memorizzate in precedenza (nella memoria a lungo termine) che condividono con queste alcune proprietà; è tramite il confronto

MEMORIA SENSORIALE

A

attenzione

MEMORIA ispezione A BREVE TERMINE

MEMORIA A LUNGO TERMINE

stimolo

confronto tra la nuova struttura e le immagini mentali memorizzate precedentemente

MEMORIA SENSORIALE

B

attenzione

MEMORIA recupero A BREVE TERMINE

stimolo

la figura viene trasformata parzialmente per cercare una corrizpondenza con le immagini memorizzate

MEMORIA A LUNGO TERMINE


i meccanismi della mente tra visione e pensiero

che avviene il riconoscimento della figura (A). Talvolta, per cercare una corrispondenza tra immagine mentale e la nuova struttura percepita, è necessario eseguire alcune trasformazioni delle informazioni (come per esempio rotazione, traslazione, riflessione, ridimensionamento, ecc.); queste avvengono nella memoria di lavoro visiva (B). manipolazione di un’immagine mentale Una caratteristica peculiare della mente umana è la capacità di costruire e manipolare rappresentazioni anche in assenza di stimoli, cioè di recuperare immagini dalla memoria per ispezionarle o per trasformarle in rappresentazioni complesse e mai esistite. Ciò avviene per esempio quando dobbiamo dare indicazioni stradali o quando dobbiamo descrivere la nostra casa e magari pensare a come sposate i mobili. Questa è una capacità centrale per il pensiero creativo ed è molto particolarmente utile in quelle situazioni in cui è chiesto di risolvere compiti insoliti e comunque nuovi; perciò la capacità di creare e manipolare immagini mentali, cioè l’immaginazione, è stata spesso associata alla creatività (Shepard 1978).

rievocazione INPUT

MEMORIA recupero A BREVE TERMINE

MEMORIA A LUNGO TERMINE

“una pianta”

creazione di figure mai esistite a partire da un’immagine mentale

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capitolo 2

LA MEMORIA Nel parlare di immagini mentali, è evidente che esse sono connesse alla memoria visiva in tutte le loro elaborazioni e quindi nella costruzione del bagaglio di conoscenza che l’individuo acquisisce con l’esperienza. Negli studi sulla memoria la psicologia si è interessata di analizzare quei processi specificamente mnestici che riguardano l’immagazzinamento, il consolidamento e il ricordo delle informazioni e hanno dato forma ad un’architettura della memoria che prevede tre principali ‘magazzini’ in base alla durata di trattenimento delle informazioni. La memoria sensoriale dura meno di un secondo e ha il compito di trattenere l’informazione percettiva per un brevissimo tempo prima di scomparire; essa è una traccia sensoriale del passaggio della sensazione. Se in questo frangente l’attenzione non seleziona le informazioni presenti esse svaniscono per decadimento o perché vengono sostituite da altre informazioni, altrimenti passano alla memoria a breve termine o memoria di lavoro. Quest’ultima rappresenta un magazzino a capacità limitata (circa 7 unità visive) nel quale l’informazione risiede per un tempo limitato, ma può essere mantenuta per ripetizione; qui avvengono i principali processi cognitivi di elaborazione. La memoria di lavoro è in continua relazione con la memoria a lungo termine, il luogo dove le conoscenze si organizzano in modo permanente. Le informazioni elaborate vengono codificate e riposte nella memoria a lungo termine e restano recuperabili in qualsiasi momento, sebbene alcune di esse possano perdersi nel tempo. I processi cognitivi che avvengono nella memoria di lavoro prelevano informazioni dalle conoscenze pregresse e le integrano con le nuove informazioni acquisite. Dai risultati di alcuni esperimenti (Baddeley 1990) si è giunti all’ipotesi che la memoria di lavoro sia articolata in due funzioni autonome: il circuito fonologico deputato al mentenimento delle informazioni verbali e il taccuino visuo-spaziale in cui vengono conservate appunto informazioni visive e spaziali; questi sono coordinati da un esecutivo centrale che controlla i processi di elaborazione. I due sottoinsiemi sono indipendenti tra loro e quindi l’immagazzinamento di una tipologia di informazioni non inibisce o interferisce l’immagazzinamento dell’altra e quindi essi possono essere sovraccaricati individualmente. Da un punto di vista descrittivo, la memoria a lungo termine può essere suddivisa in memoria implicita, in cui le informazioni


i meccanismi della mente tra visione e pensiero

RECUPERO (riconoscimento o rievocazione)

MEMORIA SENSORIALE attenzione

(< 1 sec)

MEMORIA A BREVE TERMINE (m. di lavoro) (< 1 min)

mantenimento per ripetizione

MEMORIA A LUNGO TERMINE codifica

sede dei principali processi cognitivi: manipolazione temporanea delle immagini mentali

registro sensoriale: trattiene l’informazione percettiva per un tempo brevissimo

perdita di informazioni per decadimento o interferenza

(permanente) magazzino permanente di informazioni

perdita di informazioni per decadimento o interferenza

alcune informazioni perdute col tempo

MEMORIA A BREVE TERMINE CIRCUITO FONOLOGICO (informazioni verbali)

TACCUINO VISIVO-SPAZIALE (informazioni visive)

ESECUTIVO CENTRALE (controlla i processi di elaborazione)

MEMORIA A LUNGO TERMINE M. IMPLICITA (incosciente) M. PERCETTIVA (rappr. presemantiche)

M. PROCEDURALE (abilità)

M. ESPLICITA (cosciente) M. SEMANTICA (fatti, concetti)

M. EPISODICA (eventi, esperienze)

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capitolo 2

vengono immagazzinate e recuperate in maniera incosciente, e memoria esplicita, in cui vi è consapevolezza. La memoria implicita, a sua voltWa si distingue in memoria percettiva e memoria procedurale, la prima riguarda le rappresentazioni delle caratteristiche degli oggetti a livello presemantico, cioè senza conoscerne il significato, mentre la memoria procedurale si occupa dell’immagazzinamento di abilità motorie e di abilità comportamentali (come andare in bicicletta o camminare verso casa). Nella memoria esplicita possiamo invece distinguere la memoria semantica, che comprende tutte le conoscenze relative al linguaggio e alle informazioni enciclopediche, e la memoria episodica, relativa alle informazioni autobiografiche e degli eventi. Tutte queste informazioni immagazzinate nella memoria a lungo termine diventano disponibili ed accessibili ad essere eventualmente rievocate dalla memoria di lavoro, ma talvolta l’informazione può non essere momentaneamente accessibile, cioè non venir ricordata; in questi casi essa può essere rievocata in presenza di un suggerimento che abbia con essa delle caratteristiche comuni affinchè inneschi un meccanismo di recupero dell’informazione. PERCEZIONE ED IMMAGINAZIONE I meccanismi di elaborazione delle immagini mentali non sono ancora chiari, ma gli esperimenti effettuati hanno sufficientemente dimostrato che essi coinvolgono le stesse funzioni cognitive della percezione. Nonostante ciò tra questi due processi vi sono sostanziali differenze. Prima di tutto è chiaro che esse attingono informazioni da fonti diverse: la percezione avviene nella realtà e ha come oggetto le immagini reali, mentre l’immaginazione è un processo che avviene nella mente e riguarda l’ elaborazione di immagini mentali; è stato detto inoltre che l’immaginazione ha la straoridinaria capacità di manipolare e costruire rappresentazioni mai esistite e complesse, cioè non provenienti dall’esperienza passata (1). La realtà da cui attinge la percezione è piena di dettagli e per descrivere ciò che si trova di fronte ai nostri occhi abbiamo una miriade di informazioni che via via selezioniamo con l’attenzione, in questo modo si può comprendere e descrivere una scena anche complessa; le immagini mentali, al contrario, mancano di vividezza e di dettagli, sono vaghe ed astratte. Queste ultime non sono memorizzate nella mente in modo uniforme, ma sono interpretate ed organizzate mantenendo soltanto quelle caratteristiche della rappresentazione considerate importanti (2).


i meccanismi della mente tra visione e pensiero

PERCEZIONE

IMMAGINAZIONE

immagini percepite dalla realtà

1

immagini mentali codificate nella mente

vividezza, dettaglio

2

vaghezza, astrazione

ambiguità: possibilità di reinterpretare gli stimoli (f. ambigue)

3

determinazione: imm. codificata con concetti ed interpretazioni

riconoscimento immediato di un’immagine capovolta se essa viene poi ruotata

4

orientamento fond. per la comprensione delle immagini mentali

Un’altro aspetto fondamentale riguarda la difficoltà di vedere l’ambiguità di una figura rappresentata mentalmente. Infatti nel guardare una figura ambigua l’occhio riesce a reinterpretarla parcependo prima l’una e poi l’altra rappresentazione anche se lo stimolo rimane lo stesso; nel rievocare la figura mentalmente, invece, non si riesce più a ‘vedere’ l’ambiguità, in pratica chi ha interpretato l’immagine secondo un concetto non riuscirà, richiamandola alla mente, a reinterpretarla secondo l’altro concetto. Questo perché le immagini mentali sono determinate da concetti ed interpretazioni (3). L’orientamento degli oggetti è un fattore importante per il loro riconoscimento: non sempre è semplice riconoscere una figura capovolta, ma nel momento in cui viene ruotata fisicamente l’identificazione è immediata. Non avviene lo stesso se la figura capovolta viene memorizzata e viene ruotata mentalmente, poiché probabilmente l’asse di orientamento rimane invarato dato che appartiene alla conoscenze che si hanno di un oggetto (4). LINGUAGGIO VERBALE E VISIVO Nella mente le informazioni vengono rappresentate sia in modo figurativo che logico-proporzionale, ovvero utilizzando un linguaggio visivo ed un linguaggio verbale. Secondo alcuni studiosi nella mente esistono processi che operano su immagini

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capitolo 2

mentale e altri che operano su proposizioni verbali; questi due processi non solo si escludono a vicenda, ma probabilmente funzionano parallelamente. A. Paivio (1971) ha teorizzato la presenza di un doppio sistema di codifica delle informazioni: quello immaginativo che immagazzina informazioni in unità spaziali e quello verbale relativo alle unità linguistiche. Da questi studi deriva l’ipotesi secondo cui i soggetti si dividono in visualizzatori e verbalizzatori, ma sarebbe più opportuno considerare questi due aspetti come due modalità più o meno sviluppate negli individui e considerare che la tendenza ad usare sia le verbalizzazioni che le immagini è collegata ad un migliore sfruttamento delle abilità cognitive. Attività quotidiane come leggere un giornale o descrivere un oggetto implicano un continuo scambio di codifica e decodifica tra immagini e parole, tuttavia non è ancora noto come sia possibile una trasposizione da un linguaggio all’altro. Un’ipotesi a riguardo prevede che entrambi siano codificate nella mente secondo un ‘codice comune’ che permetterebbe, oltre che la traduzione, anche il confronto delle informazioni. Sulla natura di questo codice si è discusso molto, supponendo che esso potesse essere un linguaggio mentale oppure un modello astratto alla base di entrambi le raffigurazioni verbali e visive. Sebbene sia possibile rappresentare una parola con un’immagine e viceversa, la traduzione non potrà mai essere completamente aderente all’informazione che viene data perché vi sono sostanziali differenze tra i due linguaggi. Per prima cosa il linguaggio verbale è una rappresentazione schematica e logica poiché è composto da elementi separabili, le parole, e combinati secondo determinate leggi; il testo, inoltre, può essere scritto secondo diverse forme (su più righe, in verticale, ecc.) senza cambiare di significato. Al contrario, le immagini sono costituite da elementi che perdono di senso se vengono separati e l’interpretazione dell’intera rappresentazione è strettamente legata alla forma che gli viene data, basti pensare a mappe e diagrammi (1). Se si mette a confronto un romanzo con il corrispondente film si può facilmente comprendere come il testo, seppure contenga delle descrizioni dettagliate, è fortemente sottodeterminato poiché non riuscirà mai a descrivere perfettamente la totalità di una scena, di compenso le immagini sono sovradeterminate e mostrano una quantità maggiore di caratteristiche di quelle che servirebbero (2). Il linguaggio verbale è per sua natura generico e astratto in quanto


i meccanismi della mente tra visione e pensiero

PAROLE

IMMAGINI

composto da elementi separabili

1

gli elementi non hanno senso se vengono separati

sottodeterminato: da poche informazioni

2

sovradeterminato: mostra caratteristiche superflue

generico e astratto: può descrivere generalità di una classe

3

specifico e concreto: usa prototipi per indicare categorie generali

puó esprimere qualcosa di impossibile

4

può rappresentare cose che non si esprimono con le parole

deve essere codificato

5

deve essere interpretato in base al contesto

si può facilmente rappresentare un’intero gruppo di oggetti soltanto con un termine, per esempio ‘pianta’; un disegno invece non potrà mai raggiungere questo grado di astrazione poiché rappresenta sempre qualcosa di specifico e concreto, si serve pertanto di prototipi, oggetti appartenenti alla categoria aventi delle caratteristiche il più possibile generali. Per rappresentare una ‘pianta’ si utilizzerà quindi un albero piuttosto che un’alga marina o un cespuglio di erba (3). Un testo può essere a volte troppo vago e dispersivo e quindi difficile da memorizzare e ricordare mentre uno schema o un disegno può facilitare la comprensione; per esempio, osservando una mappa della metropolitana ci si rende subito conto delle distanze e della posizione delle diverse stazioni, ma se essa venisse tradotta in linguaggio verbale sarebbe difficile individuare le informazioni interessanti e costruire una mappa mentale del percorso da fare. Una rappresentazione visiva è più concreta ed intuitiva e può comunicare qualcosa che non sarebbe possibile spiegare con le parole, al contempo l’indeterminatezza semantica riesce ad esprimere qualcosa di impossibile da rappresentare come emozioni, sentimenti o oggetti impossibili,

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capitolo 2

per esempio un quadrato di sei lati (4). Il linguaggio verbale è chiaramente un sistema convenzionale che per essere compreso ha bisogno di essere codificato, mentre le immagini hanno una valenza pressochè universale: l’immagine di una mela verà ricondotta comunque al concetto di ‘mela’ anche se verrà codificata nelle varie lingue con parole diverse. Eppure, osservando alcuni segnali stradali ci si accorge come le figure rappresentate acquistano un significato simbolico differente a seconda del contesto in cui si trovano: l’immagine di un letto può significare sia ‘albergo’ che ‘ospedale’ in base alla presenza o assenza della croce rossa, e la rapresentazione di due abeti indica una ‘foresta’ e due pini una ‘pineta’, ma un abete vicino ad un’abitazione simboleggia un ‘ostello della gioventù’ e non una casa vicino ad una foresta, così come un pino ed una casa indicano una ‘zona residenziale’ e non una casa nei pressi di una pineta. Ciò è determinato dalla diversa rilevanza che viene attribuita ai particolari dell’immagine e dipende dal contesto in cui si trova l’immagine o dalle convenzioni culturali (5). Proprio per le peculiarità di questi due linguaggi, testo ed immagine non possono sostitursi a vicenda, ma spesso entrano in relazione per comunicare meglio un messaggio, nello specifico: - il testo può rispecchiare quello che dice l’immagine; - il testo può sintetizzare l’immagine; - il testo può offrire una chiave di interpretazione; - il testo può offrire un promemoria per ricordare le informazioni contenute all’interno dell’immagine; - il testo può avere soltanto la funzione di abbellimento dell’immagine, senza particolare significato. Queste relazioni valgono anche per l’inverso: un’immagine può aiutare il testo a comunicare un’informazione rappresentandola, può spiegare un concetto o riassumerlo, può aiutare a ricordare un’informazione oppure fungere da decorazione. Una buona integrazione tra il linguaggio verbale e quello visivo si può vedere nei lavori di infographic design, dove concetti complessi vengono organizzati e rappresentati sfruttando le possibilità comunicative del testo e delle immagini. Alcuni psicologi (Carmichael, Hogen e Walter, 1932) hanno osservato come il linguaggio verbale e quello visivo si influenzano a vicenda non soltanto nell’interpretazione immediata delle informazioni, ma anche nel modo in cui esse vengono memorizzate

Segnaletica stradale in uso in Italia.


i meccanismi della mente tra visione e pensiero

Francesco Franchi, infografica sul mercato delle biciclette, IL Magazine n. 07, pag. 28-29.

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capitolo 2

e recuperate. Gli esperimenti compiuti hanno mostrato che le etichette verbali incidono su come vengono memorizzate le informazioni visive: dopo aver presentato una figura astratta associata ad un nome è stato chiesto ai soggetti di ridisegnarla e si è osservato come l’immagine era stata adattata modificandone alcuni tratti per assomigliare al prototipo fornito dalla definizione. Un altro interessante esperimento a riguardo è quello di Van Sommers (1984) che ha osservato come le descrizioni verbali influenzano l’ordine in cui si tracciano le linee per riprodurre una figura. In un compito come “disegnare un cerchio ed un quadrato appoggiati su una linea”, l’individuo nella maggior parte dei casi disegnerà prima un cerchio, poi un quadrato e soltanto infine una linea di appoggio.




capitolo

3

IL PENSIERO CREATIVO

PROGETTAZIONE E CREATIVITÀ fantasia, invenzione e creatività le fasi della progettazione pensiero riproduttivo e pensiero produttivo gli ostacoli alla creatività le tre architetture cognitive

TIPi DI RELAZIONI le analogie la retorica visiva



il pensiero creativo

progettazione e creatività “Non ritengo che le parole o il linguaggio scritto o parlato abbiano alcun ruolo nel meccanismo del mio pensiero. Le entità psichiche che sembrano servire da elementi sono piuttosto alcuni segni o immagini che nella mia mente entrano in un gioco combinatorio di tipo visivo e a volte muscolare.” A. Einstein

Il concetto di immaginazione è stato a lungo considerato come sinonimo di fantasia, assimilato alla creatività e contrapposto a quelle discipline obiettive come le scienze. In realtà, come abbiamo già visto, il termine ‘immaginazione’ designa quella particolare capacità della mente di elaborare le informazioni, ricombinandole e producendo altri significati, idee e pensieri. Questa facoltà viene usata in molte attività della vita quotidiana, per esempio nel decidere dove appendere un quadro, nel pensare a cosa cucinare con gli ingredienti in frigo, nello svolgere un problema di matematica, nell’organizzare la giornata, nel ricordare una passeggiata in montagna, nel pensare di stare facendo surf in California, ecc. L’immaginazione viene impegata nell’ipotizzare soluzioni possibili, nel fare delle previsioni, nel pianificare il futuro, nel pensare a qualcosa di improbabile o impossibile, nel sognare ad occhi aperti e nel gioco; essa può dar vita ad attività di tipo sognante, a creazioni armoniose o a soluzioni pratiche. Naturalmente questo processo è un elemento fondamentale nella progettazione artistica e nella produzione letteraria e poetica, ma è anche coinvolto nelle attività organizzative e nelle ricerche scientifiche e tecnologiche. Va puntualizzato che una caratteristica fondamentale dell’immaginazione è la libertà di esercitarla quando e dove si vuole: si può in quasiasi momento immaginare un tramonto e provare delle emozioni ad esso collegate col solo pensiero, ed in alcuni casi avere quasi l’impressione che sia un fenomeno

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capitolo 3

sensibile. Talvolta, però, i ricordi ed i pensieri vengono in mente senza volerlo e possono essere fonte di immensa gioia come di grande preoccupazione; fantasie ricorrenti, immagini ossessive, ricordi allegri o situazioni tristi possono irrompere all’improvvis0 e cambiare lo stato d’animo delle persone. FANTASIA, INVENZIONE E CREATIVITÀ La capacità del cervello di ricombinare le immagini mentali è quindi una facoltà comune a più processi, da quelli che compiono associazioni più fantastiche a quelli più intuitivi e logici; possiamo distinguere tre attività differenti che portano alla produzione di nuove idee: la fantasia, la creatività e l’invenzione. La fantasia è quella più libera di tutte e consiste nel pensare a qualcosa che prima non esisteva senza porsi nessun limite; è l’ingrediente fondamentale delle storie, delle favole e delle illustrazioni dove possono esser creati personaggi, situazioni ed ambienti assurdi, incredibili, impossibili, basti pensare alle figure mitologiche nate dalla combinazione di caratteristiche animali ed umane e alle quali vengono attribuiti anche poteri sovrannaturali e storie leggendarie. L’invenzione usa l’immaginazione finalizzandola esclusivamente a scopi pratici, cercando di produrre qualcosa di perfettamente funzionante ed utile. In questo processo è molto importante che gli elemeti siano uniti in maniera logica attraverso un ragionamento rigoroso e coerente; il percorso che porta all’invenzione è spesso lungo e necessita ottime conoscenze e buone intuizioni. Infine c’è la creatività che usa la fantasia con metodo per produrre idee nuove a scopo applicativo e compie associazioni sia logiche che fantastiche. Essa è coinvolta in tutti i processi di design e di progettazione in generale sia che si parli di prodotto, di servizi o di comunicazione, e ha come scopo l’ideazione di qualcosa di nuovo, realizzabile e funzionante; essa deve anche considerare l’aspetto psicologico, sociale, culturale, quello economico e l’interazione con l’utente. La creatività è la capacità di produrre connessioni inusuali, scoprire nuove relazioni e creare nuovi significati, ha un ruolo centrale nella risoluzione dei problemi di design e nella costruzione di nuove opportunità. Quindi fantasia, invenzione e creatività sono tre usi differenti dell’immaginazione e possono essere messi in atto per rispondere ad uno scopo, come scrivere una storia, progettare l’impaginazione o inventare un processo di stampa economico, oppure possono


il pensiero creativo

FANTASIA libertà di pensare a qualsiasi cosa, anche irrealizzabile

AGINAZIONE IMM

NOZIONI E IMMAGINI

IDEE E PENSIERI

CREATIVITÀ facoltà di creare qualcosa di nuovo e utile

INVENZIONE processo finalizzato ad un uso pratico

essere processi spontanei, in questo caso sembra che le idee generate nascono dal nulla, senza un’intenzione. LE FASI DELLA PROGETTAZIONE Con lo scopo di indagare la creatività nella progettazione di artefatti comunicativi procediamo nell’analizzare il processo per spiegare i metodi con i quali si affronta un progetto e quindi per definire una metodologia operativa del pensiero creativo. Il processo del design della comunicazione consiste nell’individuare un messaggio e nel progettare la sua comprensione, cioè nel trovare il modo più adatto per veicolarlo. Si può sintetizzare il processo in tre fasi distinte: la comprensione del problema, la generazione delle soluzioni e la verifica.

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capitolo 3

COMPRENSIONE DEL PROBLEMA raccolta di informazioni analisi dei dati

GENERAZIONE DI SOLUZIONI sintesi e ragionamento creazione

VERIFICA valutazione riflessione

la comprensione del problema La maggior parte dei progetti inizia con un problema, come la difficoltà di comprendere le indicazioni, un’interfaccia poco intuitiva, un servizio da implementare o un brand da rinnovare. Comprendere il problema permette di costruire le fondamenta dell’intero processo e di identificare i bisogni e gli obiettivi su cui si baseranno le soluzioni. Per prima cosa si ricercano tutte le informazioni necessarie per conoscere l’ambito in cui ci si muove, i mezzi a disposizione e gli eventuali casi analoghi; essendo il progetto indirizzato ad essere fruito il designer deve ben conoscere il targhet di utenza, cercando di individuare i bisogni e le esigenze anche attraverso osservazione dirette ed interviste dei possibili fruitori, dalle quali spesso emergono bisogni latenti ed impliciti. È molto importante che la ricerca rimanga il più possibile visiva e si collezionino spunti ed ispirazioni, esempi di altri progetti o semplicemente immagini evocative. Tutte le informazioni vengono poi organizzate in diagrammi e mappe, utili per avere uno sguardo d’insieme sulla situazione e facilitare l’individuazione dei punti critici del problema. In questa prima fase la creatività si manifesta nella curiosità verso la conoscenza, nell’osservazione attenta e scrupolosa, nel non dar nulla per scontato e nell’essere recettivi verso gli stimoli esterni. la generazione delle soluzioni Dall’analisi del problema emergono i vincoli che la soluzione dovrà rispettare, i macro-concetti base su cui impostare l’attività creativa e, nel caso del design della comunicazione, il messaggio che dovrà essere veicolato; si passa ora alla generazione delle soluzioni attraverso la manipolazione delle informazioni raccolte e all’integrazione di queste con le conoscenze personali precedentemente acquisite. Tra i metodi più usati dai designer per generare idee ci sono il brainstorming e le mappe mentali. Il brainstorming, letteralmente ‘tempesta di cervelli’, consiste in un flusso libero ed incondizionato di idee: si dimentica il problema e, partendo da un tema, si generano quante più idee


il pensiero creativo

possibili senza nessun limite, collegamento logico o censura; anche le idee assurde e strampalate sono ben accette poiché altri possono trovarvi spunto. Questa tecnica è tanto più efficace quante più persone vi partecipano e solitamente si usano post-it, pennarelli e lavagne che permettono un’annotazione veloce e volutamente disordinata delle idee, favorendo associazioni casuali tra queste. Le mappe mentali sono una forma di ricerca per libere associazioni che permette al designer di esplorare rapidamente un ambito: si pone nel mezzo di un foglio il tema centrale e si inseriscono man mano nuovi concetti collegandoli a quelli presenti. La struttura che ne deriva è di tipo gerarchico-associativo e il punto di forza di questa è la trama di relazioni che si vengono a creare, i legami spontanei che talvolta includono anche conoscenze emotive ed affettive. A questi momenti di libertà immaginativa segue un periodo di analisi dei risultati per definire le possibili linee di pensiero attorno al quale elaborare le idee e generare alcune soluzioni possibili. Tale periodo è molto delicato e a volte ci si imbatte in alcuni ostacoli alla creatività, dei quali bisogna prendere coscienza e riuscire a superare. Le caratteristiche che favoriscono la creatività sono: velocità di pensiero, fluidità e flessibilità di ragionamento, tolleranza verso le idee altrui, capacità di cambiare contesto e prospettiva di riferimento, di sviluppare analogie ed associazioni anche tra elementi differenti ed insoliti, ecc. la verifica delle soluzioni La scelta della soluzione migliore avviene confrontando tutte quelle generate in relazione alla rispondenza ai vincoli, le potenzialità comunicative, la fattibilità, l’originalità, il prevedibile successo, la preferenza soggettiva, ecc. Qui si mettono in gioco le abilità critiche, le capacità di intuizione, di riflessione e di previsione che spesso sono caratteristiche delle persone più esperte. La valutazione può avvenire anche attraverso una discussione con colleghi e committenti o tramite la valutazione di possibili utenti. Se tra tutte non vi è una soluzione ritenuta valida, si ritorna alla fase di generazione o addirittura si rivede l’impostazione del problema. Se il concept viene approvato si passa allo sviluppo del progetto, si trova un linguaggio visivo coerente e si procede tramite un aggiustamento progressivo. Questo percorso è costellato da piccoli e grandi problemi e le decisioni che si prenderanno caratterizzeranno la buona riuscita del progetto.

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PENSIERO RIPRODUTTIVO E PENSIERO PRODUTTIVO In base alla natura del problema ci sono due modi di approcciarsi ad esso: il pensiero riproduttivo, che consiste nell’applicare una regola, ed il pensiero produttivo che invece richiede una riorganizzazione del problema in una nuova forma. Il pensiero riproduttivo si utilizza quando vi è un problema ben definito, cioè un problema formulato in maniera chiara e completa e l’obiettivo è espresso; in questo caso la risoluzione consiste nell’individuare la regola giusta ed applicarla per giungere alla soluzione esatta ed il processo di apprendimento avviene per prove ed errori, vale a dire mediante tentativi. Qui la creatività sta nella capacità di risolvere i problemi attraverso la tenacia, l’attenzione e la memoria. Il designer si trova in questa situazione quando, per esempio, dovendo produrre un catalogo, dopo aver definito l’aspetto visivo e l’impostazione dell’elaborato, procederà ad inserire i contenuti secondo le regole che si è dato. Quando invece il problema iniziale è mal definito, cioè quando non si ha né una chiara formulazione né procedure che garantiscono una soluzione corretta ed univoca, è necessario mettere in atto il pensiero produttivo che adopera mediante una ristrutturazione del problema fino a trovare una soluzione adeguata. Questo modo di operare consiste nel neutralizzare il modo in cui si osserva il problema e riorganizzare gli elementi cogliendo i rapporti funzionali tra essi. La mente reinterpreta la situazione e l’atto creativo sta proprio nella ristrutturazione di questa fino ad arrivare ad un momento di Insight (come lo chiamavano i gestaltisti) in cui improvvisamente viene in mente un’idea. Questo pensiero è fondamentale in quelle situazioni in cui il designer viene lasciato libero e deve trovare l’idea di progetto. Il pensiero produttivo può essere aiutato dall’esperienza dei progettisti, i quali avendo alle spalle molta pratica, riescono ad andare più a fondo in un problema indagandolo in profondità e vedendo un numero maggiore di variabili su cui operare.

PENSIERO RIPRODUTTIVO (prove ed errori) problema ben definito

applicazione di regole

soluzione esatta

PENSIERO PRODUTTIVO (insight) problema mal definito

ristrutturazione creativa

soluzione possibile


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Anche il lavoro di gruppo è un fattore importante poiché stimola la produzione di più idee, ma talvolta può essere un’ostacolo perché il pensiero di gruppo può inibire il pensiero del singolo. GLI OSTACOLI ALLA CREATIVITÀ Durante la progettazzione si possono incontrare alcuni ostacoli interni che intralciano la creatività e non permettono di ristrutturare il problema; i più importanti sono la focalizzazione, la fissazione e il blocco interno e per superarli occorre che il progettista ne prenda consapevolezza e venga a conoscenza di alcune strategie. Può succedere che la fretta, la pigrizia ed il senso di pericolo portino a decidere in maniera frettolosa semplificando il problema, concentrandosi su ciò che è chiaro agli occhi del progettista e trascurando altri possibili punti ANALOGIA AUTOCONFUTAZIONE

conoscenze pregresse testardaggine

FISSAZIONE

DISSOLUZIONE

SEDIMENTAZIONE

difficoltà nel cercare informazioni (pigrizia, paura, senso del pericolo)

FOCALIZZAZIONE

DEFOCALIZZAZIONE

PENSIERO LATERALE

difficoltà nell’organizzare le conoscenze

BLOCCO

DISSOLUZIONE

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di vista. Questo ostacolo prende il nome di focalizzazione ed impedisce di cercare informazioni utili; il progettista che si trova in questa situazione dovrebbe rilassarsi e non pensare al problema, così che le informazioni possano venir sedimentate e si possano creare le premesse per una ristrutturazione e quindi una defocalizzazione. A volte si può avere resistenza nel modificare il modo di pensare ad un problema e ci si fissa sulle proprie idee, cercando di provare la validità di esse; la dissoluzione di questo blocco può avvenire solamente se si cerca di darsi torto avanzando ipotesi che confutano l’idea di partenza oppure trovando delle analogie con altri elementi, oggetti o fenomeni. Un altro ostacolo riguarda l’organizzazione e nell’interpretazione delle conoscenze nella mente, questi crampi mentali devono essere dissolti e il problema ristrutturato tramite il pensiero laterale che consiste nel discostarsi dal problema per cercare punti di vista alternativi. LE TRE ARCHITETTURE COGNITIVE Il processo risolutorio deve tener conto di alcuni vincoli che possono essere impliciti al problema oppure autoimposti dal progettista. A volte, per restringere il campo delle opzioni possibili o per imporre una scelta stilistica, si può fare uso di un generatore primario, cioè un principio organizzatore, un’idea dominante di partenza non prodotta dall’analisi del problema. In base alle fasi della progettazione in cui agiscono i vincoli è possibile individuare tre architetture cognitive. La prima riguarda il processo neo-darwiniano caratterizzato da un pensiero divergente che esplora il problema prendendo in considerazione i diversi aspetti di uno stesso elemento (ricerca in ampiezza). Il processo generativo consiste nel produrre liberamente idee secondo variazioni casuali, solo successivamente vengono applicati i vincoli che agiscono come filtro ed infine le soluzioni rispondenti ad essi vengono sottoposti ad un processo di selezione che scarta le alternative fino ad arrivare ad una soluzione finale. Questo procedimento viene utilizzato in situazioni in cui vi è una maggiore libertà ed è richiesta una soluzione fuori dagli schemi ed inaspettata; inoltre viene associato al group thinking poiché la collaborazione facilita la produzione di idee. Nel processo neo-lamarkiano, al contrario, si parla di pensiero convergente: l’attenzione viene focalizzata su di un unico aspetto (ricerca in profondità), si applicano tutti i vincoli a monte e poi si sceglie tra le arternative. Questa architettura è utilizzata


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PROCESSO NEO-DARWINIANO pensiero divergente (in ampiezza)

soluzioni secondo variazioni casuali

i vincoli agiscono come filtri

selezione della soluzione

PROCESSO NEO-LAMARCHIANO pensiero convergente (in profonfitĂ )

applicazione di tutte le restrizioni

generazione di soluzioni adatte

scelta tra le alternative

PROCESSO MULTI-STADIO alternarsi delle due strategie

modesti vincoli iniziali

applicazione di altre restrizioni

selezione della soluzione

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in presenza di problemi chiusi e ben definiti, produce buoni risultati in poco tempo, evita gli sprechi ed è più razionale, viene per esempio utilizza nel rinnovamento di un brand. Infine il processo multi-stadio è un ibrido tra le due: modeste restrinzioni vengono applicate all’inizio e altri vincoli agiscono come filtro in un secondo momento. Esso viene usato quando ci sono vincoli sociali a cui bisogna rendere conto e la creatività viene filtrata dal mercato. In conclusione, in una attività creativa, il designer deve essere capace sia di pensiero convergente che di pensiero divergente alternandole in base alle necessità, infatti egli deve sia saper esplorare un problema in tutti i suoi aspetti, ma deve pure esser in grado di approfondire un aspetto e concretizzare il progetto.


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tipi di relazioni

Il prodotto della creatività nasce dalle relazioni che la mente fa tra le informazioni apprese, quindi più cose si conoscono maggiori saranno le relazioni che si potranno fare tra le informazioni e maggiore sarà la possibilità di trovare delle buone idee. Una persona curiosa con una buona conoscenza avrà delle ottime basi da cui partire per una ricerca approfondita su un determinato tema, avrà maggiori possibilità di produrre relazioni interessanti e potrà verificare se ciò che si è pensato è veramente nuovo. LE ANALOGIE Di fronte alle conoscenze apprese l’immaginazione non deve restare passiva, ma deve servirsene per riorganizzare e reinterpetare la realtà sempre in modo nuovo, offrendo nuove opportunità e aperture. Infatti la capacità di cogliere analogie tra costrutti mentali che sembrano dissimili tra loro rappresenta un fattore essenziale della creatività. Il pensiero analogico è una strategia mentale che permette di vedere al di là di ciò che è noto, ponendosi in un altro punto di vista personale per dare alla realtà fenomenica un’interpretazione differente. Esso consiste nell’applicare ad un’informazione percepita delle caratteristiche appartenenti ad un’altra area di conoscenza, chiamata fonte; vengono quindi rievocate immagini mentali per formulare nuovi concetti: da queste relazioni emergeranno degli elementi in comune, delle analogie, che permetteranno di vedere l’informazione reale sotto un’altra luce e quindi cogliere degli aspetti peculiari ed interessanti,

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aggiungere significati altri all’oggetto e scoprire connessioni nuove tra i fenomeni. L’analogia produce una categorizzazione trasversale rispetto alle categorie comuni poiché si allentano le barriere tra le categorie e si fa un salto tra i confini concettuali. Trovare delle analogie è uno dei modi più efficaci per superare la fissità e facilita la comprensione dei fenomeni permettendo di interpretarli assegnando loro un altro significato. La difficoltà che si incontra quando si creano queste corrispondenze non è tanto quella di trovare le relazioni, ma di saper selezionare quelle significative e di considerare quelle caratteristiche utili ad una nuova interpretazione. Il pensiero analogico può essere sviluppato e potenziato attraverso la pratica e l’esercizio che aiutano a migliorare la versatilità e l’elasticità mentale dell’individuo ed è facilitato dall’acquisizione di sempre maggiori conoscenze. L’uso di analogie è uno strumento che permette di comunicare dei concetti in modo incisivo arricchendoli di significati aggiuntivi: se ne fa infatti molto uso nella pubblicità, nella comunicazione


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sociale e politica, nella progettazione di poster e copertine, ma anche nell’ideazione di slogan, nella titolazione di libri e racconti, nella poesia, nei racconti di narrativa e nei testi delle canzoni, ecc. Inoltre il pensiero analogico non interessa solamente la comunicazione visiva, ma investe tutti i campi in cui è coinvolta la creatività, come il design, l’architettura, la moda, la cucina, ecc. a volte l’analogia offre un’ispirazione da cui partire, altre volte rappresenta la chiave interpretativa di un’opera oppure può diventare una questione stilistica. In alcuni progetti di design della comunicazione vengono usati elementi che non hanno apparentemente nulla a che fare con l’oggetto per spiegare alcune caratteristiche di esso; comprendere questi messaggi corrisponde a comprendere ad individuare quale siano i pensieri analogici che si trovano dietro alla progettazione della comunicazione. Le analogie tra due o più elementi possono riguardare la forma, la funzione, la struttura, la somiglianza fonetica o semantica, le emozioni che si provano, il significato simbolico degli elementi, ecc.

Interno della Sagrata Familia di WGaudì, Barcellona. L’architetto prende spunto dal mondo vegetale. Ron Arad, PizzaKobra; lampada da tavolo per iGuzzini, 2008. La sua forma e la flessibilità dei movimenti sono ispirati dalla struttura dei serpenti. Giorgio Armani, un vestito della collezione New Moon, Spring/ Summer, 2010. I capi sono chiaramente ispirati alla luna.

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Armando Milani, Africa: The Forgotten Continent; poster. Marks & Rysner, Measuring the Concepts of Personality; copertina, 1971. Paprika, Les aventures de Minette Accentiévitch; copertina per Les Allusifs, 2007.

ANALOGIA FORMALE Alcuni oggetti della realtà possono evocarne altri perché hanno con essi una corrispondenza di forma o di colore.


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Giovanni Pintori, pubblicità per le macchine di calcolo Olivetti, 1947. Darren Haggar, New Bedlam; copertina per Penguin, 2007.

ANALOGIA FUNZIONALE L’uso che si fa di un deferminato oggetto, può richiamare altri elementi che hanno la stessa funzione o che agiscono nello stesso modo.

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Jukka Veistola, UNICEF; poster, 1969. Guide to Bird Sounds; copertina per disco della National Geographic Society, 1983.

ANALOGIA STRUTTURALE La presenza di oggetti in una deternimata posizione può rievocare alla mente altre composizioni nelle quali altri elementi hanno tra loro delle relazioni simili agli oggetti presenti.


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Lora Lamm, Borse Per Acqua Calda; poster per Pirelli, 1960. Henry Sene Yee, Violence; copertina per Picador, 2008.

ANALOGIE EMOZIONALI Le emozioni evocate da un concetto o da un oggetto possono far pensare ad altre situazioni o ad altri oggetti in cui si è provata la stessa emozione.

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Armando Milani, War/Peace; poster, 2004. Paul Rand, Eye Bee M; particolare del poster, 1981. David Drummond, One minute one; copertina (il libro parla di divorzio).

SOMIGLIANZA FONETICA O SEMANTICA A volte possono essere messe in relazione delle parole in base ai fonemi simili o alla presenza nelle parole di elementi comuni o che hanno tra loro delle relazione. Altre volte la relazione può essere semantica, se alcune parole hanno un duplice significato o un sinonimo in comune.


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Milton Glaser, Poppy Head Turkey; poster, 1968. Seymour Chwast, End Bad Breath; poster, 1967.

ANALOGIA SIMBOLICA In alcuni casi le relazioni possono implicare dei contenuti culturali, dei simboli, dei modi di dire, delle tradizioni, ecc.

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LA RETORICA VISIVA Le figure retoriche sono degli accorgimenti espressivi che nascono in ambito letterario e poetico e hanno la caratteristica di rendere più avvincente ed evocativo un testo poiché il discorso è strutturato in modo da generare immagini e giochi di parole che creano un particolare effetto di suono e significato. Esse non sono relegate esclusivamente alla scrittura di testi e poesie, ma vengono usate anche nel parlare quotidiano e nella comunicazione visiva. Basti pensare alla pubblicità che utilizza largamente le figure retoriche per creare degli slogan efficaci e facilmente memorizzabili, ma anche manifesti pubblicitari che mettono in relazione il testo con le immagini creando effetti particolari. Nella pubblicità come nella comunicazione sociale si cerca di comunicare un messaggio in modo il più possibile comprensibile, ma che sia abbastanza originale da catturare l’attenzione e sollecitare la curiosità, talvolta sollecitando anche emozioni forti come paura, disdegno, pietà, ecc. Inoltre, esse vengono molto usate nel linguaggio iconico dei marchi per comunicare dei significati aggiuntivi. Queste figure possono essere semantiche o sintattiche e possono quindi riguardare soltanto il testo, soltanto l’immagine o entrambi i linguaggi. Al fine della trattazione verranno di seguito analizzate le figure retoriche che riguardano la comunicazione di un messaggio tramite le immagini: la metafora, la metonimia, l’iperbole, l’allegoria, la sineddoche, l’antitesi, l’ellissi e la personificazione.


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Travis English, Midnight In Paris; poster. Le vene e le arterie di una casa, Poster Pirelli.

METAFORA Nella metafora due termini vengono messi in relazione poiché hanno delle caratteristiche comuni; il significato viene perciò trasferito per analogia e il potere comunicativo è tanto maggiore quanto i due termini sono lontani nel campo semantico. Per esempio: una mela ed un cuore possono esser messi in relazione perché sono entrambi rossi e hanno una forma simile.

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Raymond Savignac, Monsavon Au Lait, poster. Giulio Confalonieri e Ilio Negri, Annuncio pubblicitario, 1961.

METONIMIA La metonimia è una figura retorica che consiste nel sostituire un termine con un altro che abbia col primo una relazione di contiguità logica o materiale. Alcune metonimie possibili riguardano: - la causa per l’effetto e viceversa; - la materia per l’oggetto e viceversa; - il contenente per il contenuto e viceversa; - l’autore per l’opera e viceversa. Per esempio: una mela e la cassetta che la contiene (contenente-contenuto).


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Raymond Savignac, Gloria Ecreme; poster; 1967. Erberto Carboni; pubblicità di impermeabili Pirelli, 1955.

IPERBOLE L’iperbole consiste nell’esagerazione, per eccesso o per difetto, di un concetto annesso, di un elemento o di una parte di esso amplificandone il significato. La realtà viene trasfigurata al punto di creare una situazione paradossale e si può concretizzare nella variazione delle dimensioni o nella moltiplicazione di elementi. Per esempio: una mela con una foglia gigante.

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Charles C. Murphy, Two Pianos & Twenty Voices; copertina del disco, 1960. Michael Shanks, The Stagnant Society; copertina per Pelican Book, 1962 (il concetto dell’immobilità viene espresso evitando la luce verde del semaforo).

ALLEGORIA L’allegoria consiste nel comunicare un concetto in ‘altro modo’; nel linguaggio visivo essa si basa sulla sostituzione di un elemento con un altro simbolico o astratto che abbia con il primo uno stretto rapporto di significato. Per esempio: una mela e New York (chiamata ‘the Big Apple’).


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Bob Noorda, Milioni di ciclisti scelgono Pirelli; poster, 1957. Franco Grignani; pubblicità stampa per la Necchi, 1959.

SINEDDOCHE La sineddoche è simile alla metonimia ma di tipo quantitativo, infatti consiste nell’uso in senso figurato di una parola al posto di un’altra, mediante l’ampliamento o la restrizione del senso. Tra le relazioni più comuni ci sono: - la parte per il tutto e viceversa; - il singolare per il plurale e viceversa; - la specie per il genere e viceversa; - il generico per il particolare e viceversa. Per esempio: una mela e il genere ‘frutta’.

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The Curious Case Of Benjamin Button And Other Jazz Age Stories; copertina per Penguin Classics, 2008. The Brief History Of The Dead; copertina per Pantheon, 2006.

ANTITESI Questa figura retorica accosta due elementi che esprimono pensieri di significato opposto o fortemente divergente relativamente ad un determinato ambito. Per esempio: una mela ed una torta, che sono opposti se si considerano le calorie.


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Alla loro felicità manca solo la Vespa; poster, 1961-62. Raymond Savignac, Dunlop tires; poster, 1953.

ELLISSI L’ellissi è una figura retorica che consiste nel nascondere alcuni elementi della figura che sarebbero necessari, ma che sono comunque intuibili. Questo avviene, per esempio, nelle silhouette dove sono sufficienti i contorni per far comprendere l’immagine. Per esempio: una mela senza gambo e foglia.

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Artem, Filth; copertina per W. W. Norton & Company, 1999. Art Paul, Playboy; logo, 1953.

PERSONIFICAZIONE La personificazione è una figura retorica che attribuisce agli oggetti o ad altri esseri viventi delle caratteristiche proprie degli umani; per estensione può concretizzarsi anche nell’aggiunta di alcuni accessori o elementipeculiari dell’uomo. Per esempio: una mela che sorride.




capitolo

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L’IDEA PROGETTUALE

STRUMENTI PER LA CREATIVITÀ i libri altri oggetti fisici le app

UN ESERCIZIO PER OSSERVARE dalla realtà alla creatività gli obiettivi del progetto l’evoluzione dell’idea il concept



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strumenti per la creatività

Il pensiero creativo è stato recentemente rivalutato come un ingrediente fondamentale per la crescita personale dell’individuo poiché aiuta ad affrontare le sfide quotidiane e a scorgere nuove opportunità. Proprio per questo, negli ultimi anni si è assistito ad un proliferare di corsi di formazione creativa, workshop e seminari per acquisire le tecniche con le quali stimolare la propria creatività. Si possono inoltre trovare numerosi libri, oggetti, siti internet e applicazione per smartphone che trattano questo tema sotto diversi aspetti: alcuni spiegano le basi teoriche e descrivono le tecniche da applicare, altri generano combinazioni casuali di termini per dare un imput all’immaginazione, altri ancora sono strumenti per fissare ed organizzare le idee, ed infine ci sono una miriade di archivi dai quali prendere ispirazione in ogni settore e numerosi strumenti di post-editing di immagini e di disegno libero. Per quanto riguarda lo sviluppo della creatività infantile ci sono anche diversi esercizi diddattici che sono stati sviluppati da pedagoghi e istruttori per allenare le capacità logiche e fantasiose dei bambini. In questo capitolo vengono analizzate alcune dei più interessanti strumenti di creatività divisi per tipologia. I LIBRI Sicuramente i libri sono la più importante fonte di informazione per quanto riguarda la trattazione teorica della creatività sopratutto dal punto di vista psicologico. Per quanto riguarda le tecniche del pensiero creativo ci sono alcuni libri in cui esse

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vengono spiegate nel dettaglio con esempi e suggerimenti e che sono rivolti principalmente a professionisti del settore o a chi si interesa di progettazione, mentre altri sono più pratici e si rivolgono ad un gruppo di utenti più ampio. Ne è un esempio il libro di Ellen Lupton Graphic Design Thinking: Beyond Brainstorming, nel quale l’autrice analizza il processo di design attraverso ogni sua fase (dalla definizione del problema, alla generazione di idee fino alla creazione della forma) e per ognuna di queste vengono prese in considerazione le tecniche più usate dal graphic designer descrivendo il funzionamento e l’efficacia di ognuna e proponendo dei casi studio in cui questa ha avuto un ruolo determinante. The Graphic Design Exercise Book è invece un testo che propone degli esercizi divisi per temi (packaging, brand identity, layout, grafica di articoli musicali, design dell’interfaccia) e per gradi di difficoltà, per ognuno vengono poi mostrati degli esempi. Un altro libro interessante è Creative Workshop: 80 Challenges to Sharpen Your Design Skills nel quale sono presentati un gran numero di esercizi che spaziano in molteplici campi e che devono esser fatti in poco tempo per allenare la mente. Meno impegnativo ed indirizzato ad un target più ampio è il libro di esercizi pratici Creative Stuff. An Activity Book for Visual Thinkers pensato per tutti coloro che vogliono esercitare la loro intelligenza visiva attraverso dei semplici esercizi da fare diretamente sul libro.

Graphic Design Thinking: Beyond Brainstorming, Ellen Lupton. The Graphic Design Exercise Book, Carolyn Knight e Jessica Glaser. Creative Workshop: 80 Challenges to Sharpen Your Design Skills, David Sherwin. Creative Stuff. An Activity Book for Visual Thinkers, Dave Gouveia e Christopher Elkerton.


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ALTRI OGGETTI FISICI Per aiutare il progettista nella fase di definizione dei bisogni dell’utente l’IDEO, studio internazionale di design, ha progettato nel 2002 le IDEO Method Cards, una raccolta di 51 carte che rappresentano metodi differenti e creativi con i quali tutti i membri di un team di progettazione possono comprendere e definire in modo più appropriato l’utente. Le carte sono divise in quattro categorie: l’analisi dei dati raccolti nella ricerca, l’osservazione dei comportamenti degli utenti, il coinvolgimento delle persone e la simulazione di esperienze d’uso. L’espediente delle carte permette di avere a disposizione una vasta scelta di metodi da utilizzare in modo casuale, senza una successione logica come invece avviene in un libro. Un altra scatola di carte è The Creative Whack Pack creata da Roger Von Oech, questo mazzo consiste in 64 carte ognuna delle quali raffigura una strategia differente che può aiutare

IDEO Method Cards, IDEO. The Creative Whack Pack, Roger von Oech.

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a prendere delle decisioni, a generare nuove idee, a vedere il problema da un altro punto di vista. Entrambi questi mazzi si propongono di offrire dei consigli per migliorare ed incentivare l’attività creative e di problem solving e rappresentano uno strumento semplice di utilizzo proprio per la sintesi e l’incisività del loro mesaggio. Queste carte sono state poi tradotte in due applicazione per smartphone. Ci sono poi alcuni giochi che stimolano l’immaginazione degli adulti dal punti du vista visivo. I Rory’s Story Cubes, per esempio, rappresentano un divertente passatempo per persone di ogni età; esso consiste in nove cubi con dei disegni su ognuna delle facce e il gioco-esercizio avviene gettando i dadi e cercando di costruire una storia con le figure che sono casualmente uscite; questi cubi sono un modo per dar sfogo all’immaginazione ed inventare storie. I Rory’s Story Cubes si trovano anche come app. LE APP Di applicazioni per smartphone e tablet pensate per sviluppare la creatività ce ne sono veramente molte se si considerano quelle che permettono di disegnare, colorare e modificare immagini e video; ma ci sono anche alcune applicazioni che aiutano a generare nuove idee. Le più semplici sono quelle che utilizzano sistemi random che accostano dei termini per cercare di ispirare l’utente a creare nuove storie e nuove analogie. Per esempio Create-O-Mat è un’app che genera tre parole con lo scopo di creare un nuovo flusso di idee che potrebbe essere applicato ad un problema o ad una situazione. Prendere in considerazione questi termini significa riorientare il pensiero verso una nuova direzione. Interessante è anche l’approccio di IdeaMix, un’app che genera ogni giorno un compito da proporre all’utente; alcuni esempi di compiti che l’utente deve mettere in pratica sono: usare il mouse dalla parte opposta della tastiera, disegnare la prima cosa che viene in mente, uscire fuori e fotografare qualcosa di bello, ecc. Lo scopo di questa applicazione è quello di far fare cose semplici e quotidiane in maniera diversa. The Concept Maker è un’applicazione pensata per aiutare gli utenti nella generazione di idee in fase di progettazione; è presente una raccolta di suggerimenti mirati che possono essere presi in considerazione in base al progetto che si ha di fronte, un archivio fotografico al quale ci si può ispirare ed una sezione dove si

Rory’s Story Cubes, The Creativity Hub Ltd.


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possono archiviare suggerimenti ed ispirazioni preferite. Per aiutare i fotografi a generare e salvare idee era stata sviluppata un’app dalla Canon (non è stata poi messa a disposizione per il download) il cui nome è Idea Mine. Il concept prende in considerazione il fatto che ogni foto è composta da quattro componenti: un luogo, un soggetto, un’emozione e una tecnica; l’applicazione permette ai fotografi di annotarsi un’idea completando questi campi oppure, nel caso si è a corto di idee, si possono generare termini random così da produrre delle possibili combinazioni. Una volta individuata un’idea soddisfacente questa viene salvata in una sorta di manifesto grafico da associare poi alla foto che si scatterà. Sempre indirizzata ad appassioniati di fotografia è Project Life 365, un sito internet che propone giornalmente un tema e che gli utenti interpretano caricando delle foto pertinenti. Molto interessante è il fatto che tutti gli iscritti che decidono di partecipare in quel determinato giorno elaborano lo stesso concetto contemporaneamente producendo delle interpretazioni eterogenee fra loro. L’osservazione della realtà è l’elemento su cui si basa EyePaint, un’app per bambini che consiste nel riempire le parti di un disegno catturando colori, pattern e texture dall’ambiente circostante

Create-O-Mat, Gagarin. IdeaMix, Raul Riera. The Concept Maker, Tine Kej & Katrine Granholm. Idea Mine, Canon.

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attraverso la fotocamera. Il bambino è incoraggiato ad esplorare la realtà che lo circonda cercando il giusto riempimento per quella particolare area ed inoltre è stimolato ad usare gli elementi intorno a lui per esprimersi.

ProjectLife365, Design Aglow.

EyePaint, Curious Hat.


l’idea progettuale

un esercizio per osservare

É quindi possibile allenare la creatività? In quale modo? Come si può incoraggiare le persone ad essere più creative? Come si può stimolare l’immaginazione? Quanto è importante il saper osservare? Come si può osservare con ‘occhi nuovi’? In una sala d’aspetto i bambini giocano, si guardano intorno e fanno domande su ciò che vedono, sono curiosi di conoscere e di capire; gli adulti invece spesso si annoiano, osservano un po’ l’arredamento e poi magari per passare il tempo sfogliano qualche rivista, spesso senza nemmeno leggerla. Crescendo le persone perdono il gusto di immaginare, di fantasticare con la mente o semplicemente di essere curiosi perché la realtà che ci circondo diventa spesso familiare e non siamo stimolati ad osservarla in modo attento e nemmeno ad immaginare di cambiarla; quando visitiamo un posto nuovo, invece, tutto sembra più denso, siamo incuriositi e cerchiamo di catturare ogni particolare. Ora mi chiedo: come si può rendere l’ambiente quotidiano più interessante? E come può l’osservazione della realtà stimolare la creatività? È possibile modificare la realtà che ci circonda al fine di osservarla da un’altra prospettiva? DALLA REALTÀ ALLA CREATIVITÀ Come si è detto, l’ambiente che ci circonda è una fonte inesauribile di informazioni, ma alla maggior parte della quali non prestiamo attenzione; esse possono invece essere reinterpretate, si possono

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infatti scoprire nuove forme, nuovi significati o persino nuovi linguaggi. Per esempio il designer Paul Elliman ha creato degli alfabeti esercitando lo sguardo a leggere tra le righe e reinterpretando le figure secondo un nuovo punto di vista; nei suoi lavori i componenti di alcuni oggetti e le riproduzioni di volti nelle fototessere vegono tradotti in alfabeti. Analogamente ha fatto Lisa Reinermann utilizzando lo spazio negativo tra gli edifici. In questi progetti è evidente la relazione tra la forma delle lettere e gli oggetti o le raffigurazioni quotidiane.

(a fianco) Bits, Paul Elliman. Alphabet,(1995) Paul Elliman. (sotto) Type the sky, (1997) Lisa Reinermann.


l’idea progettuale

Curioso è anche il progetto di Caroline Fabès che dall’osservazione dei prodotti sugli scaffali del supermercato ha estratto forme e colore del packaging e, associando ad ogni colore una lettera, ha composto delle ‘poesie’. Il risultato è quindi una traduzione visiva e fonetica di alcune immagini.

Caroline Fabès, Poésie de supermarché, 2008.

E ancora, Daniel Eatock, artista e grafico inglese, per collezionare coincidenze formali, cromatiche, strutturali, ecc. che si possono osservare negli ambienti quotidiani, ha creato un vasto archivio di foto che consiste in un sito internet a cui tutti possono partecipare inviando la propria foto titolata con ciò che di strano essa raffigura. Questi scatti rappresentano un modo diverso di guardare l’ambiente intorno poiché ciò che usualmente abbiamo davanti agli occhi a volte, se ci facciamo attenzione, può assumere significati differenti poiché per coincidenza si trovano ad esser messi in relazione tra loro. Questi esempi mostrano come dall’osservazione della realtà possono essere creati nuovi significati in base all’interpretazione che le si attribuisce.

Alcune delle immagini dell’archivo di D. Eatock dal titolo: camouflage e eclipse.(www.eatock.com)

167


168

capitolo 4

GLI OBIETTIVI DEL PROGETTO Dopo aver analizzato tutti gli aspetti della creatività ho deciso di sviluppare un progetto finalizzato a facilitare l’osservazione della realtà in modo differente e quindi a stimolare l’immaginazione dell’utente. Il progetto consiste in un breve esercizio da fare ogni giorno per allenare la capacità di far connessioni, e quindi per allenare la creatività. La pratica attraverso l’esercizio permette di interiorizzare dei meccanismi di pensiero che poi all’occorrenza verranno facilitati. I due elementi fondamentali del progetto sono quindi l’osservazione della realtà e il fare delle relazioni. Come si è più volte detto, il pensiero creativo è il frutto dell’interazione tra l’individuo e l’ambiente e nasce dalle relazioni che si fanno tra ciò che si conosce e ciò che si ha di fronte; in più, la curiosità e la capacità di stupirsi è essenziale al processo di creatività. Il mio progetto ha l’obiettivo di allenare l’intelligenza visiva dell’utente incoraggiandolo a cercare nell’ambiente che lo circonda nuovi stimoli e nuove opportunità, prendendo consapevolezza di ciò che egli ha di fronte, in altre parole esso vuole stimolare l’utente ad osservare la realtà con occhi nuovi. Un altro elemento fondamentale della creatività è il pensiero analogico che mettendo in relazione le conoscenze pregresse con le nuove rappresentazioni crea delle relazioni significative e quindi nuovi concetti; l’immaginazione creativa viene infatti alimentata dalla capacità di tradurre la realtà in modo inedito e dall’abilità di rielaborare in modo originale le conoscenze acquisite precedentemente. Questo progetto vuole rivolgersi ad utenti adulti, a tutti coloro che per professione o per interesse vogliono allenare il proprio pensiero creativo, inteso come modo di rapportarsi con la realtà, di concepire e vivere le situazioni. L’EVOLUZIONE DELL’IDEA Avendo chiari gli obiettivi da raggiungere ho cercato di definire la strutture dell’esercizio; l’idea da sviluppare girava intorno ad alcuni concetti per me importanti: partire dall’ambiente circostante, proporre un esercizio sempre diverso che si potesse fare in qualsiasi momento, sviluppare le caratteristiche della personalità creativa su più livelli, creare interesse e soddisfazione. La scelta di un supporto digitale e mobile è stata naturale poiché esso risponde alla necessità di avere uno strumento pratico ed accessibile in qualsiasi momento perché le sue funzioni permettono di utilizzare le immagini e rielaborarle in breve


l’idea progettuale

tempo. Inoltre esso mi ha offerto molte possibilità per coinvolgere l’utente sotto diversi punti di vista: nell’interazione con l’ambiente che diventa una sorta di ricerca-ispezione, nel creare curiosità verso rappresentazioni inaspettate (generate in modo casuale), nell’essere un elemento attivo nell’elaborazione delle immagini. Da qui, l’integrazione dei principi psicologici con la tecnologia è avvenuta in un processo spontaneo di compenetrazione dei due campi, poiché le opportunità offerte dalla tecnologia riuscivano a concretizzare ciò che suggerivano le mie ricerche. La parte più difficile del progetto è stata il definire l’esercizio nelle sue fasi, creare qualcosa di stimolante e divertente ma allo stesso tempo utile e funzionale, progettare un’interazione snella ed essenziale, scegliere gli elementi importanti tra le tante opportunità possibili, prevedere dei probabili risultati, ecc. Dalla struttura dell’esercizio, che inevitabilmente coinvolgeva anche la progettazione dell’interazione con il dispositivo, all’identità grafica il passo è stato breve: le scelte hanno risposto ad una domanda di coerenza concettuale e funzionale nel tentativo di definire un’interfaccia il più possibile semplice, ma con un carattere visivo forte. IL CONCEPT Il concept del progetto è un’applicazione per smartphone che vuole essere un allenamento a pensare per immagini, stimolando l’utente a cercare nell’ambiente circostante nuovi significati e quindi ad allenare l’immaginazione nel fare nuove connessioni. Esso consiste in un esercizio quotidiano da portare a termine entro la fine della giornata e che tutti gli utenti iscritti fanno contemporaneamente; questa sorta di brainstorming collettivo dà un carattere social all’applicazione creando una community di creativi. Il progetto combina i principi di psicologia della creatività e le opportunità offerte dalla tecnologia per dar vita ad uno strumento dinamico e stimolante per sviluppare le proprie capacità immaginative. L’esercizio, che si svolge in un giorno, è strutturato in questo modo: viene presentato un tema in cui è indicato un termine e un tipo di relazione da fare, l’utente deve trovare la relazione richiesta osservando intorno a sé la realtà filtrata attraverso lo smartphone, infine l’idea trovata viene condivisa con gli altri. La sfida è proprio quella di trovare delle relazioni visive pertinenti al tema reinterpretando le immagini modificate secondo uno scopo. L’applicazione offre all’utente un motivo per mettersi alla prova

169


170

capitolo 4

STRUTTURA DELL’ESERCIZIO PRESENTAZIONE DEL TEMA GIORNALIERO TERMINE (con cui fare relazioni) + TIPOLOGIA (figure retoriche)

OSSERVAZIONE DELLA REALTÀ MODIFICATA

ASPETTI DI PSICOLOGIA APPLICAZIONE DI VINCOLI (comprensione del problema) problema abbastanza definito guida alla ristrutturazione

PRESENZA DI FILTRI (generazione di soluzioni)

PRINCIPI GESTALT (struttura dell’imm.) + GRAFICA GENERATIVA (realtà astratta)

obbligo a reinterpretare le figure, facilitazione dell’immaginazione

CONDIVISIONE DELLE IDEE GENERATE

PENSIERO CRITICO (verifica delle soluzioni)

OBIETTIVI

comprensione ed interiorizzazione dei meccanismi della retorica visiva

miglioramento dell’attività immaginativa, aumento della fluidità e flessibilità di pensiero

ispirare ed ispirarsi FOTO (imm. evocativa) + TITOLO (secondo termine di relazione)

capacità di ragionamento e sensibilità verso le idee altrui

ed un’occasione per migliore le proprie capacità; non insegna teorie psicologiche o tecniche di creatività, ma le sfrutta per mettere le persone direttamente in una situazione che le motivi a prodorre idee valide ed originali. il tema giornaliero Il soggetto dell’esercizio del giorno arriva all’utente sotto forma di notifica e viene poi visualizzato in una scheda che mostra il termine con cui fare le relazioni e una figura retorica che definisce il rapporto che dovrà esserci; lo scopo dell’esercizio sarà quindi quello di trovare il secondo elemento della relazione. Il termine viene estratto casualmente da un archivio in modo da avere ogni giorno un termine differente; l’archivio è composto da una raccolta di 365 nomi concreti (probabilmente aggiornati annualmente); alcuni esempi possono essere: casa, zebra, tavolo, orologio, stella, mela, ecc.

termine dato

figura retorica

?


l’idea progettuale

figura più piccola dello sfondo

figura più grande dello sfondo

INGRANDIMENTO

assenza di simmetria

RIFLESSIONE

lo sfondo specchiato sembra una figura

figura sugli assi principali

SPECCHIO

assenza di convessità

figura non poggia a terra

figura poggia a terra

figura sugli assi obliqui ROTAZIONE

lo sfondo convesso sembra figura

figura chiara

SPECCHIO CONVESSO

Le figure retoriche vengono anche esse scelte casualmente dall’elenco delle otto figure analizzate nel capitolo precedente: la metafora, la metonimia, l’iperbole, l’allegoria, la sineddoche, l’antitesi, l’ellissi e la personificazione. Per meglio comprendere il modo in cui queste figure retoriche agiscono, nella scheda del tema ci sarà una breve spiegazione accompagnata da un esempio. Il sistema fa quindi delle combinazioni randomiche scegliendo una figura retorica e un termine ed i risultati potranno essere per esempio: “metafora di una casa”, “iperbole di un orologio” e “personificazione di un tavolo”; quindi mentre le figure retoriche sono sempre disponibili per essere riutilizzate dal sistema, i termini estratti non vengono più ripescati permettendo di avere sempre delle relazioni differenti. I vincoli che vengono dati sono importanti per restringere il campo d’azione e guidare l’utente nell’interpretazione delle figure; in questo modo sarà più semplice raggiungere una soluzione

sfondo chiaro NEGATIVO

171


172

capitolo 4

in tempi brevi. Inoltre, tramite la pratica, questi meccanismi di retorica visiva verranno compresi ed interiorizzati senza accorgercene e potranno essere usati in altre situazioni. la realtà modificata La fotocamera dello smartphone viene utilizzata come tramite tra la persona e l’ambiente e vengono qui applicati dei filtri modificatori che sfruttano le leggi della Gestalt e le tecnologie della grafica generativa per svincolare l’utente da una rappresentazione troppo familiare che non lascia spazio all’immaginazione; infatti è molto più semplice trovare figure nelle rappresentazioni astratte, come per esempio nelle nuvole, piuttosto che reinterpretare gli oggetti che già conosciamo. I filtri fungono perciò da facilitatori dell’atto creativo presentando una realtà diversa che necessita una reinterpretazione, una rimodellizzazione degli elementi tramite l’applicazione dei principi di organizzazione percettiva. I filtri sono generati da una combinazione randomica tra modificazioni strutturali dell’immagine che derivano dalla manipolazione dei principi gestaltici e delle varianti astratte dovute all’utilizzo di argoritmi che generano rappresenazioni alterate dell’immagine. Partendo dal presupposto che le leggi della Gestalt sono le basi della percezione di una figura, ne deriva che elaborando l’immagine in modo da ottenerne un’altra che si oppone a questi principi è possibile percepire la figura in modo differente. Ho quindi ripreso i principi e analizzato attraverso quali trasformazioni è possibile stravolgere l’interpretazione di un’immagine; in pratica, partendo da una rappresentazione che rispetta una legge, ho applicato delle trasformazioni per generare una nuova immagine, nella quale si hanno percezioni diverse o opposte se si applica lo stesso principio della Gestalt. Le trasformazioni individuate che creano lo stravolgimento di questi principi sono: l’ingrandimento, la riflessione, lo specchio piano e lo specchio convesso, la rotazione e l’inversione di colori. Inoltre a partire dall’input della fotocamera si generano, nella preview, delle rappresentazioni astratte utilizzando degli algoritmi; questi raccolgono le informazioni relative al colore, alla luminosità e alla saturazione e le traducono in variabili grafiche: la forma, il colore, le dimensioni e l’orientamento. Partendo da una griglia il sistema utilizzerà una forma a scelta tra quadrato, cerchio, triangolo, linea e croce e lo riempirà con il colore delle informazioni in entrata. Alle cinque forme verrà

immagine originale 1/6

modifica strutturale secondo i principi gerstalt

1/23 modifica grafica (forma+trasformazione) immagine filtrata


l’idea progettuale

INPUT

FORMA

+

tonalità (espressa in gradi)

100%

luminosità o%

23

cambio di tonalità

saturazione o%

TRASFORMAZIONE

100%

saturazione

dimensione

saturazione

orientamento

luminosità

dimensione

luminosità

orientamento

DIFFERENTI COMBINAZIONI

IMMAGINE ORIGINALE

0%

LUMINOSITÀ 100%

SATURAZIONE 0% 100%

FORME quadrati

cerchi

triangoli

tratti

croci

saturazione-orient.

luminosità-orient.

TRASFORMAZIONI (esempi) cambio di tonalità

saturazione-dimensione luminosità-dimensione

173


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capitolo 4

applicata una trasformazione che converte i valori di tonalità, luminosità o di saturazione in variazioni di colore, di dimensione o di orientamento. In pratica il sistema potrà cambiare la tonalità dei pixel rilevati modificando la tinta all’interno dello spettro dei colori o potrà convertire i valori percentuali della saturazione e della luminosità in percentuale di ingrandimento delle forme oppure in gradi di rotazione. Per semplificare la struttura e le possibilità di combinare questi elementi ho scelto alcune trasformazioni che reputo più significative e ho deciso di non combinarle ulteriormente tra di loro. Per esempio ho preso in considerazione soltanto le relazioni direttamente proporzionali tra i valori di input e la variazione di dimensione e luminosità per far emergere figura dallo sfondo nero. Per ogni rapresentazione generata, l’utente ha la possibilità di interagire con l’immagine modificando la definizione della raffigurazione in termini di densità della griglia e la complessità dell’immagine regolando la trasformazione applicata. Ciò permette all’individuo di esplorare questa realtà modificata e di indagarla in modo attivo. Combinando le 6 manipolazioni dei principi della Gestalt con le 23 differenti trasformazioni grafiche (queste non sono 25 perché il cerchio non è sensibile all’orientamento) si potranno avere 138 possibili filtri. L’utente si trova quindi di fronte ad una rappresentazione della realtà sempre diversa ed imprevedibile. Egli, nel reinterpretare gli stimoli, migliora la sua fluidità nel manipolare gli elementi comprendendone le relazioni e si allena ad osservare in modo progettuale, ovvero a guadare con uno scopo e quindi a cercare nella scena altri significati. Inoltre il fatto che i filtri non possono essere scelti, ma si presentano in modo casuale e sempre differente, elimina la possibilità di fissazione e abitua l’utente ad accettare l’imprevedibilità e l’introduzione di nuove varianti; anche questa è una caratteristica importante della personalità creativa che viene sviluppata. Nello svolgere l’esercizio l’utente può sia avere in mente cosa cercare e quindi indagare le rappresentazioni per trovare una figura che la rispecchi, oppure può lasciarsi ispirare da ciò che vede e mettere in relazione le forme con il tema del giorno; in entrambi i casi viene stimolata l’intelligenza visiva.

Fonte di ispirazione per la grafica generativa basata sulle immagini è stato il lavoro di Rainer Kohlberger, sopratutto le sue app per dispositivi pxl e field. Quest’ultima rappresenta un’esempio di come è possibile generare grafiche astratte nella preview della fotocamera ancor prima di scattare una foto.


l’idea progettuale

la condivisione Quando si trova l’idea si scatta una foto e le si attribuisce un nome che identifica l’elemento o il concetto in cui si è trovata la relazione richiesta, il secondo termine della relazione. L’immagine viene quindi condivisa con gli altri membri poiché entra a far parte di una archivio online di idee. Il fatto di arrivare ad un risultato tangibile che può essere visto ed apprezzato dagli altri aumenta la soddisfazione e la motivazione a mettere in gioco la propria creatività. L’archivio delle idee è fonte di ispirazione ma è anche utile per migliorare le proprie capacità critiche, infatti incentiva a comprendere i ragionamenti che sottostanno ad altre associazioni e a dare un propria preferenza, quindi a confrontare le idee e ad individuarne alcune che sono secondo la propria opinione maggiormente interessanti.

175



capitolo

5

IL PROGETTO

EUREKA! la struttura dell’app l’utilizzo di Eureka il design


Porta la creativitĂ nella vita di tutti i giorni...con Eureka!


il progetto

Eureka!

Eureka è uno strumento per allenare la creatività, un’applicazione per smartphone pensata per tutti coloro che vogliono migliorare la propria intelligenza visiva. L’applicazione rappresenta un’opportunità per esplorare la realtà quotidiana con uno sguardo nuovo, cercando relazioni originali ed esercitando l’immaginazione in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo. Il nome Eureka! fa riferimento ad un’esclamazione attribuita ad Archimede il quale, secondo la tradizione, mentre si stava facendo il bagno ebbe l’intuizione sul come calcolare il volume dell’acqua spostata quando questo veniva immerso) proprio perché immergendosi nella vasca avvertì la spinta dell’acqua e ne comprese la causa; per la felicità egli uscì nudo dalla vasta e cominciò a correre per le strade gridando “eureka!”. Il termine deriva dal greco e significa ‘ho trovato’, ‘ho scoperto’. Con questo nome voglio mettere in risalto il momento in cui l’immaginazione trova l’idea, la relazione convincente che rappresenta il risultato dell’esercizio proposto e voglio esprimere il concetto che le buone idee possono essere trovate in qualsiasi contesto e in qualsiasi momento della giornata. Inoltre ‘trovare’ è il giusto completamento del ‘cercare’ con cui ho inteso l’azione dell’osservare in Eureka. Il logo rappresenta l’intreccio di connessioni che avvengono nella mente e che possono generare idee creative, ma allude anche alla condivisione delle idee tra gli utenti, all’ispirazione reciproca. Il colore che caratterizza questa applicazione è il viola che nella

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capitolo 5

psicologia dei colori è quello che viene associato alla creatività. Il viola è infatti formato dall’unione dell blu, che simboleggia calma e tranquillità, e del rosso, che invece è il colore più energico; la combinazione armonica di queste due forze opposte produce una terza forza, quella dell’immaginazione,della creatività, della fantasia, della sensibilità estetica, della capacità di intuizione e di empatia. Infine, il font usato è il Foco disegnato nel 2007 da Dalton Maag, scelto per il suo carattere riconoscibile e perché ha una buona leggibilità su display. LA STRUTTURA DELL’APP La struttura di Eureka può essere suddivisa in quattro sezioni principali.Subito dopo l’iscrizione e l’accesso si incontra il nucleo dell’app che è rappresentato dalla spiegazione del tema e dalla homepage, dove si raccolgono tutte le idee del giorno che vengono trovate dagli utenti; da qui si accede agli altri tre blocchi: l’esercizio viene svolto nella sezione di esplorazione dove si può osservare l’ambiente attraverso i filtri proposti, nell’archivio sono contenute tutte le idee generate in passato ed infine si può accedere al proprio profilo. L’UTILIZZO DI EUREKA L’utilizzo dell’applicazione non è quindi unico e lineare, ma risponde a diverse necessità ed offre più possibilità: è un intreccio di ricerca e comprensione, sintesi ed analisi, essere ispirati ed ispirare gli altri; si può solamente osservare quello che gli altri hanno trovato cercando di comprendere la relazione fatta o si può indagare la realtà e cercare idee. Eureka può essere usata nel breve tragitto in autobus o mentre si ha tempo e ci si annoia, può produrre un desiderio di mettersi in gioco in questa ricerca comune e quindi cambiare il modo in cui si osserva anche quando non si usa l’app, oppure può essere usata per divertirsi a trasformare la realtà; in ogni caso l’intelligenza visiva viene esercitata e la creatività favorita. Per meglio comprendere come può essere utilizzata l’app ho creato quattro personaggi, ognuno dei quali ha differenti obiettivi e finalità. Questi ci accompagneranno in tutta la trattazione del design dell’applicazione con lo scopo di far capire l’esperienza dell’utente. Lo schema che segue è una mappa che mostra le relazioni tra le parti principali e vuole essere un punto di riferimento per la successiva spiegazione.


il progetto

,

MARK 49 anni, professore di lettere disponibile ed intelligente “tengo sempre la mente allenata, mi piace leggere e viaggiare”

ZOE 32 anni, fotografa solare e simpatica “mi piacciono le sfide di qualsiasi genere”

ALEX 37 anni, graphic designer pigro e disordinato “il mio motto è fare tutto con il minimo sforzo”

NOEMI 20 anni, studentessa timida e sognatrice “adoro disegnare e vorrei diventare un’illustratrice”

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USER JOURNEY utilizzo di Eureka dei quattro possibili utenti Mark accede ad Eureka per la prima volta e la esplora

Zoe riceve la notifica e trova la sua idea del giorno

Alex deve fare un progetto e cerca ispirazione nell’archivio

Noemi vuole ritrovare una delle sue idee dal suo profilo

ACCESS start

walk through

login

St

Wt

Lo

notification

No

EUREKA challenge

homepage

Ch

Ho


EXPLORE filters

save

Fi

Sa

REWIND archive

search

results

Ar

Se

Re

my profile

edit profile

user profile

Mp

Ep

Up

PROFILE


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capitolo 5

IL DESIGN access Si accede a Eureka dall’icona (St) sulla home screen dello smartphone e la prima volta che si apre l’applicazione viene presentato brevemente il funzionamento attraverso le tre semplici schermate del walk through (Wt); qui si spiegano passo dopo passo le fasi dell’esercizio: leggere la sfida del giorno, osservare e cercare, scattare la foto e condividerla con gli altri utenti. Per usare l’applicazione è necessario effettuare un login (Lo) e quindi creare un profilo. Questo permette di entrare a far parte della community, di poter avere un proprio archivio personale e di poter ricevere le notifiche, nonché di essere riconosciuto dal sistema nel caso il profilo si disconnetta e di pubblicare le foto.

Mark ha appena scaricato l’app perché vuole sfruttare questa opportunità per tenere la mente allenata e sviluppare la creatività.

Alex deve progettare una copertina per un nuovo libro che ha come protagonista un ragazzo con la testa tra la nuvole che sogna di andarsene dal posto in cui abita. Come fa spesso, per lasciarsi ispirare accede ad Eureka. Alex pensa che sia un modo per far brainstorming di gruppo pur essendo da solo.

Noemi, per il corso di illustrazione, vorrebbe sviluppare un’idea che le era venuta in mente da un’eureka di un altro utente che aveva apprezzato. Apre l’applicazione per ritrovarla.


il progetto

Mark legge il walk through e si fa un’idea di cosa dovrà fare. Non vede l’ora di iniziare. Crea quindi un account ed effettua il login.

Ch

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capitolo 5

Il tema della sfida del giorno viene comunicato tramite una notifica giornaliera (No) che invita a leggerlo. Il tema è valido nelle 24 ore successive e per permettere a tutti gli utenti che si trovano in luoghi con differenti fusi orari di partecipare contemporaneamente fa riferimento al tempo coordinato universale (UTC). Per questo motivo tutti i temi non sono identificati con la data del giorno corrente, ma con un numero progressivo.

Ch

Zoe usa quotidianamente Eureka e non appena le arriva la notifica si appresta a controllare il tema della sfida. Quando può inizia subito ad usare i filtri dell’app per stimolare la sua immaginazione, mentre quando è occupata chiude l’applicazione ma si guarda intorno cercando qualcosa che le suggerisca un’idea, decodifica ciò che vede interpretandolo in funzione di un concetto. Anche quando non è con lo smartphone in mano Zoe esercita la sua capacità di osservare e fare relazioni. Oggi fortunatamente ha un po’ di tempo libero...


il progetto

eureka La prima volta che si accede all’app durante le 24 ore di validità dell’esercizio corrente, sia che si accede dalla notifica che dall’icona, viene visualizzata la scheda del tema (Ch). Qui sono contenute le informazioni relative all’oggetto da relazionare e al tipo di relazione, la figura retorica da utilizzare (vedi pag. 170); quest’ultima viene quindi spiegata in relazione allo scopo e viene riportato un semplice esempio per dare delle indicazioni sul dove orientare l’immaginazione. Da questa schermata si può iniziare subito ad esplorare l’ambiente entrando nella sezione di osservazione, oppure si può entrare nel vivo dell’applicazione accedendo alla homepage (Ho.1) dall’icona. La schermata principale è dedicata alla sfida in corso che viene

Ho.1

Mark legge il tema, conosce molto bene l’uso delle figure retoriche in letteratura mentre la retorica visiva non è molto trattata. Legge le informazioni e comprende lo scopo dell’esercizio. Lo trova interessante, pensa che sia un modo divertente di far lavorare l’immaginazione come un gioco di enigmistica senza risultato o lo scrivere una poesia sapendo come costruirla.

Zoe conosce oramai il funzionamento relazionale di tutte le figure retoriche di Eureka poiché la usa tutti i giorni. A lei basta leggere parte della schermata e già comincia a vagare con la mente e con gli occhi.

Alex e Noemi pensano che non sia proprio semplice riuscire a trovare l’idea giusta, ma spesso ci provano. Leggono il tema e la spiegazione e iniziano a cercare delle relazioni simili.

Fi.1

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capitolo 5

identificata con il colore viola, infatti tutta la barra superiore di navigazione ha lo sfondo colorato. Il logo a sinistra è identificativo di questa schermata e ogni qualvolta lo si seleziona anche dalle altre sezioni dell’applicazione si torna a questa home, e nel caso ci si trovi già qui esso funge da refresh; nella barra è poi indicato il numero della sfida, il tema e il numero delle foto scattate, e nel lato destro si può cambiare la visualizzazione. Sul bordo superiore si trova una sottile barra di progressione che avanza in relazione al tempo, completandosi al raggiungimento delle 24 ore, per dare un’indicazione dell’avanzamento del tempo senza riferirsi alle ore (non avrebbe senso per la questione del fuso orario). Dal menù inferiore di questa schermata si può accedere alle tre sezioni principali: rewind, eureka e profile.

refresh Ho.3

Ho.2

Zoe si guarda intorno e cambia i filtri alla ricerca di un’immagine significativa da catturare, esplora l’ambiente intorno a sé e cerca di interpretarlo. Gli piace aumentare l’astrazione delle immagini per non avere quasi nessun legame con la realtà. Oggi ha trovato subito una buona idea grazia ai filtri che, casualmente le hanno invertito i colori; la nomina “Bright Glance” e la condivide subito.

Ho.1 1

2

Ho.4 Ho.4

Ar.1

Fi.1

Mp


il progetto

Nella homepage vengono mostrate le foto scattate dagli utenti ordinate a partire dalla più recente; queste immagini vengono presentate a tutto schermo una alla volta in uno slideshow continuo per dare importanza all’immagine singola e per permettere all’utente di focalizzarsi sulla comprensione delle relazioni che sottostanno ad ognuna di esse. È però possibile cambiare visualizzazione (Ho.2) selezionando l’apposita icona, passando ad una galleria di miniature disposte su due colonne, questa per una consultazione più veloce. Premendo sul termine nella barra superiore appare un pop-up con la spiegazione della sfida del giorno (Ho.3). Se si vuole entrare nel dettaglio di un’immagine (Ho.4) la si seleziona, in questo modo si ferma lo slideshow, l’immagine viene visualizata a tutta

Le icone delle tre sezioni sono state create rielaborando rispettivamente il triangolo di Kanizsa, il principio della chiusura, e l’illusione ottica del vaso e dei volti.

add to Up favourite

Ho.1/ Ho.2 4

3

Ho.5

send

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capitolo 5

pagina e si scorrono le foto manualmente. È possibile vedere anche la spiegazione della relazione fatta (Ho.5) dall’utente per meglio comprendere l’immagine oppure si può chiudere la visualizzazione del dettaglio e tornare alla home. Ogni immagine viene identificata con il titolo, l’autore, quanto tempo fa è stata pubblicata e quante persone l’hanno apprezzata. Questa ultima è importante perché consente di individuare quali sono le idee che la community ha considerato più creative e rappresenta uno stimolo maggiore a partecipare alla ricerca visiva che Eureka propone. Se un’immagine viene apprezzata la stellina vuota si colora e l’immagine entrerà a far parte dei preferiti.

5 Mark osserva le immagini scorrere e cerca di comprendere le relazioni fatte. Quella che sta guardando ora è davvero inusuale e preme sullo schermo per vederla meglio; quindi legge la spiegazione.

Ho.4

A Zoe piace guardare le immagini scorrere da sole e ricollegare i due elementi della relazione nel breve tempo, è come un’esercizio per sviluppare la fluidità mentale e nel frattempo si lascia un po’ ispirare.

Alex guarda le immagini dalla gallery, ma si è già dimenticato il tema della sfida di oggi e preme sul nome per rileggerlo.

Noemi preferisce guardare le immagini nel dettaglio, così può scorrerle secondo la sua preferenza e selezionare quelle che reputa più interessanti. “Bright Glance” gli piace e la aggiunge ai preferiti.


il progetto

explore La sezione di esplorazione dell’ambiente circostante consiste in una vista live delle immagini filtrate (Fi.1). I filtri (vedi pag. 172) infatti non vengono applicati nel post editing dell’immagine scattata, ma sono una parte importante dell’osservazione. Non è possibile scegliere un filtro, ma essi vengono casualmente combinati ogni volta che si ricarica la vista con l’apposito comando posto in alto a destra. I filtri possono però essere modificati secondo i parametri di densità e di complessità; in questo modo l’utente può rendere l’immagine più o meno fedele alla realtà in base alla sua volontà. Egli può partire da un’idea elaborata concettualmente e cercare intorno una rappresentazione di essa, oppure può esplorare l’ambiente e cercare di interpretare ciò che

Fi.2

random filter 1

COMPLESSITÀ più astratta

DENSITÀ

Ho.1

Fi.3

più fedele

l’aumento della densità comporta un maggior numero di righe e colonne mentre la complessità intensifica l’effetto applicato aumentando le dimensioni delle forme. Nel caso dell’effetto variazione di tonalità lo spostamento sull’asse della complessità corrisponde allo spostamento sulla barra delle tonalità.

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capitolo 5

Le quattro raffigurazioni al lato sono un esempio di come viene filtrata l’immagine della miniatura in alto secondo un dato filtro muovendo il cursore nello schermo: verso l’alto avremo un minor numero di righe, mentre verso sinistra avremo un minore spessore. Le modifiche del filtro in questione riguardano: specchiamento (principio della Gestalt), linea (figura), spessoreluminosità .


il progetto

vede secondo il tema cercando una relazione adatta. In altre parole si può partire da un concetto e ‘costruire’ un’immagine, oppure si può catturare un’immagine e costruire un significato. É sempre possibile rileggere il tema (Fi.2) e tornare alla homepage, quando invece si è trovata la rappresentazione dell’idea si scatta la foto e, passando per una schermata di conferma (Fi.3), si salva l’immagine (Sa.1-3) con un titolo ed una descrizione che spiega la relazione fatta. Si condivide quindi l’idea creativa con la comunità entrando a far parte delle immagini della homepage.

2

3

Fi.1

Sa.1

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Sa.2

Sa.3 1

2

Fi.3

3 Mark accede alla sezione eureka si guarda intorno. Nell’esplorare il suo studio presta attenzione, grazie al filtro casuale che gli fa vedere l’immagine ingrandita,ad n particolare di un quadro della sua stanza e sta ora osservando una nave sullo sfondo...forse un galeone. Gli viene in mente un verso di uno dei suoi autori preferiti che descriveva la luna come un galeone fantasma. Aggiusta i parametri a suo piacimento e salva l’immagine con la sua descrizione.

Ho.1


il progetto

rewind Se si desidera consultare le immagini dell’archivio si accede alla sezione rewind (Ar.1) dove ci si trova di fronte ad un elenco dei temi dei giorni passati partendo da quella del giorno precedente; il nome della sezione è stato scelto per sottolineare il fatto che non si tratta solamente di un archivio, ma è un ‘riavvolgimento’, un ritornare indietro. Questo elenco può essere anche filtrato in base alle figure retoriche utilizzate nella sfida, qualora si volesse comprendere meglio il suo funzionamento. Selezionando un tema si accede alle miniature delle immagini (Ar.2) dalle quali è poi possibile entrare nei dettagli. Qui le immagini sono ordinate partendo da quella che ha ricevuto più apprezzamenti e quindi da quella che è ritenuta ‘più creativa’. Seppure questo

Ho.1

Se.1

Ar.2

Ar.1 1

detail 2

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capitolo 5

ordine è mutevole poiché è possibile dare la propria preferenza nei giorni seguenti a quello in cui è stata ‘trovata’ l’idea, è comunque un motivo di orgoglio che la propria idea sia tra le prime. Selezionando il termine nella barra in alto è possibile visualizzare i dettagli della sfida, proprio come avviene nella homepage (Ho.3). Dalla prima schermata della sezione si può entrare nella ricerca per termine (Se.1) dove i risultati sono filtrati secondo i due gruppi challenges e titles. In challenges vengono mostrate le immagini trovate durante la sfida riguardante quel termine, qualora il termine sia stato utilizzato come tema. Qui si trovano

Ar.1

Re.2 1

Re.1

1


il progetto

tutte le immagini che hanno con il termine di ricerca delle relazioni ma che non lo rappresantano direttamente. In titles (Re.1) ci sono invece quelle immagini che contengono il termine ricercato nel titolo e che quindi molto probabilmente rappresentano quell’oggetto ma sono anche cariche di altri significati aggiuntivi che derivano dalle relazioni creative che son state fatte partendo da un altro termine. Sia in challenges che in titles le immagini sono ordinate partendo da quella più apprezzata. Da qualsiasi miniatura dell’immagine si può sempre passare alla visione del dettaglio (Re.2) e volendo al profilo dell’utente.

2 Alex, accede alla sezione rewind per cercare delle ispirazioni per la sua copertina sul ragazzo sognatore, scrive la parola ‘cloud’ come termine di ricerca e osserva attentamente le immagini di challenges e di titles nel dettaglio. Una di queste gli ha suggerito una buona idea per il suo progetto: l’eureka dal titolo ‘Stuck in a Cloud’ trovata da Zoe per una sfida il cui tema era ‘ball’.

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capitolo 5

profile Accedendo alla sezione profile (Mp) si entra nella propria pagina profilo dell’utente che si presenta con una foto ed un breve mood message, cioè una descrizione della propria personalità e dei propri interessi; vi è poi la raccolta delle immagini da lui trovate, chiamate eureka, e di quelle prodotte dagli altri che egli ha apprezzato. Selezionando l’icona in alto a destra è possibile editare il proprio profilo (Ep) caricando un’immagine tra quelle salvate nel telefono, cambiando nickname e password, modificare il mood message e volendo si può anche inserire un contatto social esterno. Da qualsiasi miniatura dell’immagine in qualsiasi sezione

Ho.1

Ep

Mp

Up


il progetto

dell’app si può passare alla visione del dettaglio (analoga a Ho.3) e quindi al profilo dell’utente (Up). Il profilo degli altri utenti è analogo al my profile, qui si incontra l’autore dell’idea in questione e, selezionando l’apposita icona in alto a destra, è possibile contattare l’autore. Eureka non prevede un sistema di follower perché vuole mettere le idee sullo stesso piano evitando che si creino delle preferenze dovute alla persona piuttosto che all’idea. In altre parole, l’apprezzamento della creatività di un’immagine non diventa un ‘voto’ per la persona, ma per l’idea.

back

contact

Noemi accede al proprio profilo per cercare un’eureka che aveva aggiunto tra i preferiti. La visualizza quindi a tutto schermo e per curiosità accede al profilo dell’autore e scorre le altre immagini mettendo la propria preferenza su quelle interesanti, arricchendo la sua raccolta di favourites.

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capitolo

6

CONCLUSIONI



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conclusioni

Questa tesi nasce dall’interesse sviluppato durante il corso di psicologia riguardo ai processi di percezione, memorizzazione e rielaborazione di informazioni ed in particolare verso i meccanismi mentali della creatività che portano alla produzione di idee nuove e utili. Quando mi trovo davanti ad un artefatto comunicativo o a un prodotto industriale o artistico, ma anche quando mi imbatto in soluzioni ad hoc che consistono nell’utilizzare oggetti esistenti per scopi differenti, vengo spesso colpita dal come alcune persone sono arrivate ad una determinata soluzione; “Geniale!” mi dico. Mi piace poi collezionare le idee, appuntando una nota o archiviando un’immagine, con l’intento di avere sempre a disposizione qualcosa a cui ispirarmi e con cui magari risolvere problemi reali che capitano nella mia vita di designer di tutti i giorni. Il mio interesse ha prodotto una ricerca estesa, ricerca svolta con soddisfazione e coinvolgimento nonostante di fatto molto impegnativa. Il materiale reperito è vasto, approfondito e specifico e, oltre allo sforzo di comprendere determinati testi e argomenti, la difficoltà maggiore è stata quella di riorganizzare questo materiale raccolto secondo una struttura logica e coerente, per creare una base teorica su cui poi costrire il mio progetto. Ho fatto spesso ricorso all’uso di schemi e grafici, per sintetizzare e comunicare in modo chiaro le informazioni raccolte. Ho svolto questa ricerca in modo personale cercando di interpretare i principi psicologici con gli occhi di un graphic designer,


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capitolo 6

per tradurli ed interpretarli secondo il progetto di design. Sedimentati i contenuti ed individuati gli obiettivi, ho iniziato a pensare a come questi potevano essere utili e, senza accorgermene, mi sono portata dietro in tutte le attività quotidiane questi pensieri, fino al punto di vedere tutto in funzione di un possibile incentivo/allenamento alla creatività. Così l’idea iniziale di un piccolo manuale cartaceo sui principi per aiutare a superare i cosiddetti ‘blocchi creativi’, si è tramutata in un eserciziario e successivamente in uno strumento digitale: un’app per smartphone con cui allenare l’intelligenza visiva. Eureka non è un progetto definitivo ma l’inizio di una sperimentazione. In questa prima fase mi sono concentrata sugli aspetti strettamente educativi tralasciando altri fattori che ipotizzo in un eventuale sviluppo dell’applicazione. L’app potrebbe essere potenziata con la possibilità di inserire commenti alle foto poiché questi potrebbero suscitare nuove relazioni nella mente di altri utenti. Anche lo sviluppo di una piattaforma web associata all’applicazione risulterebbe utile per rendere accessibile la raccolta di idee anche a coloro che non utilizzano l’app, permettendo a tutti di restare in contatto con il mondo di Eureka. Questa tesi è stata per me un significativo momento di crescita e arricchimento sia personale che professionale, nonché un motivo di soddisfazione per il risultato raggiunto. Mi auguro quindi che Eureka possa essere utile ad altri studenti e che sia un valido punto di riflessione ed ispirazione per altre idee interessanti e costruttive.




ringraziamenti bibliografia sitografia riferimenti iconografici



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RINGRAZIAMENTI Giunta alla fine di questo percorso di tesi vorrei ringraziare tutte le persone che lo hanno reso possibile iniziando dal mio relatore Emanuele Arielli per la sua disponibilità e sostegno, per i preziosi suggerimenti e per aver sempre appoggiato le mie scelte. Ringrazio i professori incontrati durante questi anni perché tutti hanno contribuito ad accrescere il mio interesse e la mia curiosità verso i più svariati ambiti del design. Un grazie speciale va a Valerio Calimici per i sinceri consigli e per il suo aiuto costante, per essermi stato vicino con dolcezza e pazienza e sopratutto per avermi insegnato a credere in me. Alla mia splendida amica Federica Carletti vorrei dire un grazie di cuore per esser stata una compagna fantastica durante questi anni di studio. Ringrazio Antonella Ligios e Marcello Musina per l’amicizia sincera e l’affetto dimostratomi, per l’aiuto e la disponibilità. Ringrazio Alessio Franconi, Claudia Ciarpella e Alessandro D’avolio per essere ‘gli amici di una vita’. Un grazie incondizionato va ai miei genitori, Maria Teresa e Marcello, a cui devo tutto e grazie ai quali ho avuto la splendida opportunità di studiare ed arrivare fin qui. Un ringraziamento indescrivibile è per mia sorella Ylenia, per aver condiviso con me i momenti più intensi della vita e perché la sua presenza, ovunque e comunque, mi dà forza e determinazione. Grazie ai nonni per avermi fatto capire l’importanza dell’impegno e della lealtà, e per tutti i loro sorrisi e gli immancabili abbracci. Un grazie davvero unico va alla meravigliosa nonna Nena per avermi insegnato a stupirmi delle piccole cose. Infine, grazie a tutti i no dati senza spiegazioni che mi hanno spronato a cercarle e a tutti i sì inaspettati che mi hanno aperto il cuore.


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colophon I testi ed i grafici sono composti in Scala di Martin Majoor Stampato a Venezia nel marzo 2013




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