Valeria Fiscella - Luigi Gagliano - M. Luisa Li Volsi
Nicosia Percorsi conoscitivi
La “Pedagogia della memoria” per il recupero dell’identità storica locale
Liceo “Fratelli Testa” Nicosia Classico, Socio-psicopedagogico, Scienze sociali
Valeria Fiscella - Luigi Gagliano - M. Luisa Li Volsi
Nicosia Percorsi conoscitivi
La “Pedagogia della memoria” per il recupero dell’identità storica locale
Liceo “Fratelli Testa” Nicosia Classico, Socio-psicopedagogico, Scienze sociali
© copyright 2008 Città Aperta Edizioni s.r.l. 94018 Troina (En) - via Conte Ruggero, 73 Tel. 0935 653530 - Fax 0935 650234 Liceo Classico “Fratelli Testa” Nicosia 94014 Nicosia (En) - via Vittorio Emanuele, 17 Tel. 0935 646454 - Fax 0935631575 e-mail: enpc01000n@istruzione.it Valeria Fiscella 94014 Nicosia (En) - via Leonardo da Vinci, 1 Luigi Gagliano 94014 Nicosia (En) - via Paolo Borsellino, 12 Maria Luisa Li Volsi 94014 Nicosia (En) - Piano Lavatoio, 41 In copertina: Panorama di Nicosia (foto: nonsolovideo - Nicosia)
Finito di stampare nel maggio 2008 dal Villaggio Cristo Redentore s.r.l. 94018 Troina (En) Tel. 0935 657813 - Fax 0935653438
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Presentazione Josè Chiavetta*
Desidero ringraziare per l’invito rivoltomi di presentare il libro prodotto dal Liceo classico “Fratelli Testa” che di fatto ha elaborato e presentato il progetto “Percorsi conoscitivi del territorio nicosiano” ben tre anni fa, nell’anno scolastico 2004/2005 allorché è stato inserito come parte integrante del Piano dell’Offerta Formativa. E così, sullo sfondo della storia complessiva, sono stati individuati più percorsi conoscitivi e creati nessi con il passato, sì da consentire la costruzione di un processo di rielaborazione della contemporaneità in un sistema spazio-temporale. Tra gli obiettivi che i redattori del progetto si proponevano di raggiungere erano: il recupero della memoria storica, attraverso un’ampia gamma di testimonianze della storia e della cultura umana, l’analisi del contesto ambientale in cui esse si realizzano e la promozione in ciascun allievo di atteggiamenti e di comportamenti consapevoli e responsabili verso il patrimonio culturale della città di Nicosia. Si capisce subito che il lavoro ha richiesto anni di paziente ricerca prima di pervenire alla pubblicazione di un testo. Pertanto proprio per la vastità dei temi trattati è sicuramente un compito molto arduo presentare questo libro in poche parole in quanto credo che esso vada letto, per cui ho pensato di concentrarmi sui motivi per cui questo lavoro, a mio avviso, riveste una importanza particolare per i nostri allievi e per la società nicosiana e utilizzare questo spazio per condividere alcune riflessioni.. Sicuramente in questa attività, discenti e docenti del Liceo “Fratelli Testa” hanno acquisito il senso della storia della loro comunità, intrecciando biografia soggettiva e storia, identità individuale e passato collettivo, elementi intellettuali ed elementi emotivi in un rapporto interattivo, diventando essi stessi attori del processo storico. Ed ancora, nell’impostare il percorso del progetto, i docenti non hanno potuto prescindere dalla conoscenza delle metodologie e tecniche di analisi proprie dell’intero campo delle scienze sociali: storiche, antropologiche, sociologiche, etc. Particolarmente significativo è stato l’approccio con la storia locale per consentire una territorializzazione delle conoscenze storiche, mettendo lo studente in rapporto con il proprio passato, con la memoria che ha costituito e costituisce le identità individuali e l’identità collettiva del suo contesto socio-politico, posto in relazione con contesti più ampi a livello nazionale e a livello internazionale. Sottolineo “significativo” perché le generazioni più giovani, quasi sempre, separano nettamente la vita individuale dallo spazio collettivo, vivono al di fuori della storia, non partecipano a scelte ideologiche marcate e non sono parte attiva in eventi decisivi come le generazioni precedenti che hanno attraversato un processo di socializzazione politica, elaborato un loro tempo della storia, vissuto esperienze politiche, enucleando valori e categorie interpretative ed esprimendo aspirazioni rivolte al futuro. Si sa che il rifiuto di politicizzazione proviene dalla fine del conflitto ideologico a livello internazionale e nazionale, dall’assenza di movimenti collettivi che aspirano al cambiamento del futuro e dal disimpegno politico della generazione immediatamente precedente e che il confronto con le aspirazioni politiche dei padri è spesso caratterizzato dalla delusione e, qualche volta, dal senso di sconfitta propri di quella generazione. In tale contesto diventa molto difficile, non soltanto per i giovani ma anche per gli insegnanti, stabilire i nessi per comprendere la realtà socio-politica integrata nel tempo storico e ripristinare l’interesse per le tradizioni di memoria generazionale di lungo periodo ormai cancellate.
* Dirigente Scolastico, Liceo Classico “Fratelli Testa” con annessi Liceo Sociopsicopedagogico e Liceo Scienze Sociali
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Al fine di far superare questa “refrattarietà” i docenti, accostando gli allievi alla storia e alle tradizioni locali nicosiane – realtà sicuramente più vicine al loro vissuto – e stimolando bisogni emotivi e conoscitivi del sapere storico, hanno progettato itinerari didattici atti a recuperare la memoria di un passato trascurato nell’ambito familiare e sociale. È stato così avviato un approccio “laboratoriale”, in cui gli studenti hanno seguito un percorso di ricerca reale e non simulato come di norma avviene in laboratorio, sapendo ricostruire, con l’uso delle fonti storiche e l’interpretazione dei documenti, la memoria del territorio e capire che il presente è il risultato di culture, contingenze ed eventi passati. La realizzazione del progetto ha consentito di ottenere risultati notevoli, sia sul versante didattico sia su quello relazionale. L’impegno richiesto ai discenti, opportunamente guidati, li ha costretti ad un’assunzione di responsabilità, rispetto al normale studio delle discipline, che ne ha potenziato competenze e capacità e rafforzato capacità di ascolto e di interazione. I migliori risultati sono stati tuttavia raggiunti soprattutto da coloro che hanno avuto l’opportunità di sperimentare in prima persona la “scoperta” delle fonti. L’incontro con queste ultime, nei luoghi dove esse sono conservate, si è rivelato ancora una volta, per gli allievi, un’esperienza fondamentale, capace di modificare la percezione stessa delle discipline. Si ringraziano, per essere stati protagonisti del lavoro, gli alunni, i docenti coordinatori del progetto Valeria Fiscella, Luigi Gagliano e Maria Luisa Li Volsi e quanti hanno agevolato la ricerca di documenti e fonti.
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Prefazione Valeria Fiscella*
Nato da un progetto promosso dal Liceo “Fratelli Testa”, il presente volume si propone lo scopo di riacquistare alla discussione critica settori negletti e misconosciuti della vita nicosiana attraverso un viaggio nella memoria collettiva in cui ogni percorso conoscitivo rappresenta una tappa necessaria. La scelta di intraprendere un lavoro di ricerca sul nostro territorio è scaturita da due fattori: una sempre più crescente domanda da parte degli allievi di accostarsi alla microstoria, al vicino, al concreto, al quotidiano, a ciò che forse si conosce superficialmente e che si vuol conoscere più a fondo; ed una maggiore attenzione e rilevanza allo studio del territorio da parte dei docenti, nella consapevolezza che alimentare la memoria significa non far perdere ai giovani il senso della propria vita e il significato dei cambiamenti storici. La nostra istituzione scolastica, sensibile a queste istanze, ha sostenuto l’iniziativa ed ha consentito al progetto di crescere e conquistare il suo spazio offrendo agli studenti la possibilità di apprendere l’uso dell’intervista, del questionario, della scheda di rilevamento, della ripresa con la telecamera, ecc., di familiarizzare con la documentazione storica scritta (così come essa si trova negli archivi comunali e nelle biblioteche) e di addestrarsi, attraverso la pratica, all’indagine di determinati aspetti della realtà sociale e culturale. I campi di ricerca, sui quali gli studenti sono stati chiamati ad esercitarsi, hanno riguardato le forme organizzate della vita sociale locale e le espressioni culturali della comunità, in chiave storica e contemporanea. Sono stati, per esempio, presi in esame aspetti legati alla struttura della vita politica, alle espressioni della religiosità, ai codici morali di comportamento, alla tradizione orale (proverbi, nenie, canti, preghiere, ecc.) e ai sistemi festivi e rituali. Gli studenti, in singole unità o in piccoli gruppi, hanno lavorato in équipe coordinati dai docenti sui vari temi specifici, sui quali sono stati tenuti a scrivere un dossier di ricerca. Nell’arco di tre anni di attività il progetto ha rappresentato un appuntamento consolidato per raccogliere il materiale (anche quello invisibile, attinto alla tradizione orale) e riflettere in modo documentato sulla situazione politica, sociale e culturale del nostro Paese, sulle sue tradizioni e le sue usanze. Gli studenti si sono confrontati così con una realtà sociale e culturale viva – la nostra comunità – giungendo alla conclusione che nell’ultimo cinquantennio del Novecento Nicosia ha vissuto profondi cambiamenti sul piano istituzionale, sul piano economico, sul piano culturale e sociale, ha conosciuto un processo di trasformazione, di sviluppo e innovazione, ma si è arricchita di nuove differenze, che possono essere lette sia in chiave negativa come ulteriori ostacoli, sia in chiave positiva come potenzialità di crescita. Tuttavia i limiti di tempo e di esperienza non hanno consentito uno studio esaustivo di tutta la realtà che si voleva esaminare; nonostante ciò, grazie alla determinazione e all’entusiasmo di tutti gli studenti che si sono susseguiti nella segreteria di redazione, all’impegno dei docenti che hanno offerto un contributo al lavoro in qualità di esperti e coordinatori, alla collaborazione fattiva di tutti coloro che ci hanno supportato nella raccolta del materiale, il lavoro tuttavia ha potuto raggiungere un risultato ed aspetti non secondari della nostra realtà sono stati affrontati, studiati e, per quanto possibile, analizzati con un ritorno di conoscenza (ci auguriamo non trascurabile) per la stessa comunità nicosiana.
*Docente di Italiano e Latino presso il Liceo Classico “Fratelli Testa” di Nicosia
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Ringraziamenti
Prima di entrare nel vivo della trattazione desideriamo ringraziare quanti hanno contribuito al compimento del nostro lavoro. Un riconoscente ringraziamento va innanzitutto al Dirigente scolastico Filippo Virzì, verso il quale ci sentiamo in debito per la fiducia incondizionata accordataci e senza il cui appoggio non sarebbe decollato il progetto che, infatti, per molti anni aveva faticato a trovare consensi. Un sentito ringraziamento va senz’altro ai Dirigenti scolastici Giuseppe Bevilacqua e Giuseppe Chiavetta, che hanno stimolato e seguito con apporti costruttivi la stesura del lavoro, nonché al Collegio docenti e al Consiglio d’Istituto che, rispettivamente, hanno riconosciuto la valenza didattica e formativa e approvato finanziariamente il progetto. Dobbiamo altresì ricordare e ringraziare quanti, mettendo a nostra disposizione materiale documentario, ci hanno consentito di ricostruire il tessuto storico-sociale del nostro territorio, in particolare: i Sindaci Giuseppe Castrogiovanni e Antonello Catania, i Dirigenti e i responsabili degli archivi comunale ed elettorale – la dott.ssa Enza Stivala, le sig.re Rosa Anna Siciliano e Rosalia Cipolla, le dott.sse Ina Pidone e Lina Bonfiglio - nonché la sig.ra Angela Agnello, responsabile della biblioteca comunale, e i commessi Santina Ridolfo e Vincenzo Vazzano. Un particolare ringraziamento al sig. Antonino Campione, per le interessanti informazioni dateci sulle festività religiose, e al dott. Salvatore Lo Pinzino per i suoi preziosi consigli. Vorremmo ancora ringraziare tutti coloro - sindaci, consiglieri comunali, donne del popolo, persone soprattutto anziane – che, con le loro dirette testimonianze, ci hanno fornito preziose informazioni consentendoci di colmare l’inesistenza di fonti documentarie o di integrare quelle esistenti, spesso carenti o eccessivamente sintetiche. Meriterebbero il nostro ringraziamento moltissime altre persone a cui abbiamo chiesto un aiuto, un consiglio, una informazione o che ci hanno fatto arrivare un suggerimento o una annotazione o una foto, o che ci hanno segnalato una svista o un refuso, ma, nell’impossibilità di menzionarle tutte, ci limitiamo ad esprimere a tutte loro la nostra riconoscenza, consapevoli che, se questa edizione è stata resa possibile, il merito è anche un po’ loro. Non vogliamo far mancare il nostro apprezzamento e il nostro ringraziamento, last but not least, ai nostri alunni, infaticabili lettori di verbali e raccoglitori di dati e di tutto ciò che fosse degno di nota, che ci hanno aiutato concretamente nella compilazione delle schede e nella scrittura del testo al computer. Un sincero ed affettuoso grazie a: • Caren Conticello,Vittoria Curcio, Emmanuele De Luca, Cinzia Di Franco, Vitaliano Di Grazia, Jessica Fiscella, Francesco Guadagna, Giovanni Inguì, Michela La Giglia, Chiara La Greca, Barbara Li Volsi, Federica Lipari, Giovanna Lo Gioco, Valentina Mascerà, Manfredi Restivo, Ylenia Tamburello, Damiano Viglianesi (frequentanti nell’a.s. 2004/ 2005 la classe II A e nell’a.s. 2005/2006 la classe III A del Liceo classico); • Serena Cavallaro, Agata Di Pasquale, Ines Farinella, Francesca Gallo, Giusy Giangrasso, Lo Pinzino Manuela (frequentanti nell’a.s. 2005/2006 la classe II A e nell’a.s. 2006/2007 la classe III A Liceo classico); Annamaria Bruno, Maria Calantoni (Classe III B Liceo pedagogico) e Martina Bracco, Cristina Lo Casto, Adelina Mazzara, Milena Mazzara, Eleonora Ratto, Angela Rizzo, Marina Salpietro, Melania Scinardo, Emanuela Spinelli, Letizia Trombetta (frequentanti la classe IV B Liceo pedagogico nell’a.s. 2005/ 2006); • Ylenia D’Amico, Marianna Gagliano, Federica Lorillo, Miriam Maiuzzo, Floriana Raspanti, Sonia Schillaci, Serena Vanadia, Ilary Testa (classe I A Liceo classico); Santa Battaglia, Marina Bonelli, Federico Cassarà, Rosalinda D’Amico, Federico Giulio, Ignazio La Giglia, Silvia Liccardi, Noemi Li Volsi, Elisabetta Macaluso, Adriana Maggio, Valentina Messina, Giuliana Nisi, Antonino Pantuso, Claudia Pirrone, Cristina Smantello, Ivan Tamburello (classe II A Liceo classico); Nicoletta Lo Casto (classe I B Liceo pedagogico), e Ilenia Faro, Arianna Giliberto, Flavia Militello ( classe II B Liceo pedagogico) frequentanti i due corsi di studio nell’a.s. 2006/2007.
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PARTE PRIMA
Fatti e protagonisti della vita politico-amministrativa di Nicosia (1946-1990)
Introduzione Valeria Fiscella* - Luigi Gagliano**
Questo capitolo – come si evince anche dalla scelta del titolo – è nato dall’esigenza di ripercorrere e ritornare in possesso della nostra storia recente e dall’intento di affrontare, sul concreto terreno della ricerca storica, la “politica”, cioè la struttura che organizza, coordina e conferisce significato ai rapporti di convivenza all’interno di un dato sistema, rendendolo altamente significativo. La complessità di questa analisi ha indotto il gruppo di lavoro a spaziare in tutti i settori di ricerca che possono aiutare a cogliere il fenomeno politico nel suo complesso: dalla storia delle idee e delle culture politiche alla storia dei gruppi politici allo studio delle istituzioni rappresentative e amministrative. Naturalmente la politica locale è profondamente diversa da quella nazionale soprattutto perchè, cambiando completamente l’oggetto delle proprie attenzioni (un territorio specifico al posto di una nazione), cambiano anche completamente prospettive, obiettivi – e di conseguenza attività, impegno, intenzioni – politici. Infatti, se a livello nazionale è praticamente impossibile che la politica sia vicina ai cittadini e sono i partiti l’unica istituzione in grado di mantenere rapporti diretti con i cittadini sul territorio, a livello strettamente locale sono i singoli uomini ad instaurare rapporti diretti con la cittadinanza. Il capitolo si propone non solo di inquadrare episodi e singoli personaggi nel giusto contesto temporale ed antropologico, fornendo un complesso di conoscenze che è indispensabile possedere per comprendere e apprezzare tante pagine della cultura del nostro paese, ma anche di indagare sui rapporti tra società civile e istituzioni, di interpretare la storia della seconda metà del nostro Novecento per farne emergere quei processi e quelle dinamiche in cui le forze sociali, materiali e simboliche, modificano radicalmente le forme e le istituzioni politiche. Particolare attenzione è stata dedicata a quei mutamenti strutturali che hanno inciso maggiormente sugli assetti politici del nostro paese, a quei punti di svolta e a quelle crisi in cui il pensiero politico si sforza di dare forma al tempo storico. Il lavoro, che verte su segmenti storici quanto mai delicati, perchè legati alla contemporaneità, (quale è ancora per molti la storia della seconda metà del Novecento), che si intreccia ancora con i ricordi, le emozioni, le passioni individuali e collettive, vuole fornire il suo contributo (in forma non esaustiva, ma solo esemplificativa) alla ricostruzione della storia a noi più vicina nella prospettiva dello sviluppo del senso della memoria, che è anche senso di identità e di appartenenza ad una comunità, valori quanto mai fondamentali per le giovani generazioni. Abbiamo voluto interrogare gli atti ufficiali, cioè i verbali delle sedute dei Consigli comunali e le delibere della Giunta, considerando questi testi scritti specchio delle principali tendenze e dinamiche della politica nicosiana, fonte privilegiata e significativa per conoscere e focalizzare gli interventi di figure di spicco del Consiglio comunale e cogliere, attraverso l’articolato e vivace dibattito, le diverse posizioni di uomini politici coinvolti nei rivolgimenti politico-sociali dei decenni 1946-1990 e dell’opinione pubblica riguardo a temi cruciali per la vita nicosiana, ma abbiamo anche voluto “dar voce” a tutti i soggetti del discorso politico ricorrendo alle interviste con personaggi significativi, mostrando quanto la ricerca storica possa venire arricchita dalle testimonianze - basate su esperienze e memorie - di coloro che furono direttamente protagonisti di momenti-chiave del passato. Le informazioni raccolte, anche dai quotidiani e periodici dell’epoca, sulla storia politico-istituziona* Docente di Italiano e Latino presso il Liceo Classico “Fratelli Testa” di Nicosia **Docente di Storia e Filosofia presso il Liceo Classico “Fratelli Testa” di Nicosia
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le e socio-economica della nostra città ci hanno consentito di ricostruire la situazione di quegli anni e di comprendere i meccanismi profondi della politica, di comporre un quadro sufficientemente articolato del tessuto connettivo della nostra storia, di puntare l’attenzione sul “nuovo” che ogni generazione ha apportato sulla scena della storia nicosiana, di valorizzare il grande potenziale conoscitivo che certi documenti possiedono, di verificare le varie posizioni nel complesso gioco di convergenze e divergenze, di avvalerci delle testimonianze dirette dei protagonisti della politica nicosiana. Il lavoro, che ha cercato di dare coerenza e visibilità alla ricerca storiografica sulla politica locale del Novecento, mira a sollecitare l’attenzione e la riflessione dei giovani nicosiani verso un settore che fino a questo momento non aveva una tradizione e che spesso sfugge al nostro pensare e vivere quotidiano. A proposito di giovani, non possiamo tacere che una delle motivazioni di fondo che ci hanno sorretto nel lavoro di ricostruzione della storia politico-amministrativa del nostro Comune (lavoro che è stato condotto – doveroso sottolinearlo - grazie anche al prezioso contributo di tanti allievi della nostra scuola) è stata quella di avvicinarli alla politica. In un momento in cui dilaga la sfiducia nella politica (che secondo l’ultimo rapporto annuale del Censis investe oltre otto Italiani su dieci) ed è sotto gli occhi di tutti la disaffezione che colpisce in maniera particolarmente accentuata le nuove generazioni, che tendono a stare sempre più “alla larga” dalla politica, riteniamo essenziale per la sopravvivenza della democrazia che i giovani, al contrario, si appassionino alla politica; ad una politica intesa come scelta di impegno ideale, in favore di una collettività di cui ci si sente parte consapevole e responsabile. Senza nessuna presunzione di diventare punto di riferimento per lo studio della storia politica nicosiana, ci auguriamo solo che la tematica affrontata affascini altri giovani e li spinga ad approfondirla e a completarla, attingendo alle altre numerose fonti che attendono di essere esplorate e rese note e aprendo nuovi contesti. Di certo nella trattazione dell’argomento si rileveranno inesattezze o carenze, spesso inevitabili in un universo di osservazione così vasto, ma nulla toglie che si abbia una loro correzione che consenta di approfondire quel reciproco scambio di ottiche diverse, nel segno, non di una contrapposizione di dati, ma di una concreta collaborazione per meglio capire e per meglio precisare. Ci preme rendere esplicita la scelta da noi operata relativamente alla “presentazione” dei contenuti selezionati. Convinti che un testo che tratta di storia debba essere non un’enciclopedia, un manuale di consultazione, bensì un libro di lettura, abbiamo scelto deliberatamente un taglio narrativo in cui la storia diventasse il più possibile un racconto. Potevamo scegliere di raccontare per esteso alcuni casi e vicende, trascurandone altri, oppure accennare brevemente a tutto. Abbiamo preferito optare per la prima via, anche questo ci stava a cuore segnalare. Riteniamo doveroso, infine, ringraziare l’Amministrazione comunale di Nicosia, che, rispondendo all’esigenza di conservazione e di valorizzazione del proprio patrimonio documentario, ha messo a disposizione il suo archivio storico.
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Il Municipio di Nicosia: sede della vita amministrativa.
Le Amministrazioni di Nicosia dal ‘46 al ‘90 Salomone B.ne Dott. Giuseppe Fasulo Dott.Giuseppe (c.p.) Bruno Cav. Antonino Insinga Comm. Avv. Francesco Salomone B.ne Dott. Giuseppe Campo Dott. Rosario Motta Cav. Salvatore Vanadia Ing. Nicolò D’Alessandro Cav. Avv.Michele Rizzo Sen. Dott. Antonino D’Alessandro Cav. Avv. Michele Angilello Dott. Costantino Rizzo Sen. Dott. Antonino Agozzino Geom. Michele Messina Prof. Nicolò Casale Dott. Antonio Composto Geom. Giovanni Casale Dott. Antonio: Composto Geom. Giovanni
dal 21/01/1944 dal 29/09/1944 dal 19/01/1945 dal 24/04/1946 dal 19/06/1952 dal 08/07/1956 dal 25/11/1960 dal 07/04/1970 dal 14/11/1973 dal 04/07/1975 dal 12/09/1977 dal 01/05/1978 dal 28/04/1979 dal 01/07/1979 dal 09/07/1980 dal 02/02/1983 dal 29/11/1985 dal 18/01/1987 dal 26/11/1987 13
al 28/09/1944 al 18/01/1945 al 23/04/1946 al 18/06/1952 al 07/07/1956 al 24/11/1960 al 06/04/1970 al 13/11/1973 al 03/07/1975 al 11/09/1977 al 15/05/1978 al 27/04/1979 al 30/06/1979 al 08/07/1980 al 01/02/1983 al 28/11/1985 al 17/01/1987 al 25/11/1987 al 05/08/1990
Le Amministrazioni di Nicosia con i nomi dei sindaci (La tabella riporta anche la data dell’insediamento e delle dimissioni).
1. ll dopoguerra e gli anni Cinquanta
Negli anni immediatamente successivi alla conclusione del secondo conflitto mondiale, gli sforzi dei governi che si succedettero in Italia furono orientati prioritariamente alla ricostruzione della sua economia con un occhio di riguardo alla regioni meridionali e alla Sicilia in particolare. Furono gli anni, infatti, della realizzazione di opere di bonifica, costruzione di acquedotti, strade, impianti di elettrificazione e, in generale, di ammodernamento delle infrastrutture del territorio, ma anche di emanazione di leggi di riforma agraria con esproprio da parte dello Stato di vasti latifondi improduttivi e assegnazione (finalmente!) della terra in piccoli poderi ai contadini . Le risorse per la realizzazione del vasto programma di ricostruzione e di incisive politiche meridionalistiche provennero, in larghissima parte, sotto forma di aiuti gratuiti e di prestiti, dagli Stati Uniti, che ormai si imponevano definitivamente come Paese guida dell’Occidente, fortemente interessati a far uscire le popolazioni dall’arretratezza e dalla miseria nel giustificato timore che condizioni di povertà diffusa favorissero l’affermarsi dei social -comunisti, molto abili nel farsi interpreti delle aspirazioni di emancipazione e giustizia sociale di larghi strati popolari. A tal proposito può essere utile ricordare che nelle prime elezioni amministrative dell’Italia post-bellica, svoltesi nella primavera del 1946, la Democrazia cristiana risultò sì la maggiore forza politica nazionale, conquistando oltre 2 mila e 500 amministrazioni comunali, ma quasi altrettante andarono ai socialisti e comunisti uniti. A partire dal 1948 la Dc, partito di riferimento degli Usa, detenne saldamente il potere anche se all’interno di governi di coalizione. Le ragioni del successo democristiano - occorre dire - vanno ricondotte in parte anche all’appoggio della Chiesa cattolica. Non è certo un mistero che negli anni Cinquanta la Chiesa godesse di una forte influenza nella società italiana e quindi nella vita del cittadino. Era infatti la Chiesa che, attraverso le parrocchie e le organizzazioni dell’Azione cattolica ad essa strettamente collegate, organizzava e gestiva, in mancanza dell’iniziativa statale, tutta una serie di attività non solo di carattere assistenziale (nasce in quegli anni, nelle parrocchie, l’usanza del “pacco viveri” per aiutare le famiglie più povere), ma anche di carattere educativo, ricreativo e culturale in generale (dalle scuole materne agli oratori, dalla biblioteca parrocchiale alla proiezione di film, dalle case di cura ai doposcuola e ai campi estivi). Nessuna meraviglia, quindi, se in occasione delle elezioni politiche e amministrative la Chiesa diventava parte attiva e determinante nelle campagne elettorali, dando il suo assoluto appoggio alla Dc, in difesa dei valori religiosi contro le “dottrine materialiste e anticristiane” del comunismo e i valori laici dei partiti minori. D’altra parte, bisogna dire che il “connubio”, lo stretto rapporto tra Chiesa cattolica e Democrazia cristiana, era assolutamente funzionale anche al partito democristiano, il quale, pur aspirando a diventare un partito di massa, non aveva un radicamento sul territorio ovvero non possedeva ancora quella struttura capillare di penetrazione nella società che costituiva, invece, uno straordinario elemento di forza della Chiesa. Per questo nel corso degli anni ’50, in maniera particolare, la Democrazia cristiana dovette fare molto affidamento sulla vasta e articolata organizzazione della Chiesa e sull’appoggio delle gerarchie ecclesiastiche.
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Ritorno alla democrazia
Francesco Insinga ( Nicosia 1914 – 1996). Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’ Università di Roma, esercitò la professione di avvocato prima a Catania (Studio Avvocato Motta ) e successivamente a Nicosia, dove, per oltre quaranta anni, ricoprì la carica di Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Fu Sindaco di Nicosia dall’aprile 1946 al giugno 1952, Segretario provinciale e componente della Segreteria Regionale della Dc. Svolse anche la funzione di Consigliere di Amministrazione e fu componente del Collegio Sindacale della Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele per le province siciliane.
Dopo il ventennio fascista, durante il quale (precisamente dal 1925 al gennaio 1944) la carica di Sindaco-Podestà1 era stata ininterrottamente ricoperta da Giovan Giorgio La Motta, barone di Salinella, si alternarono alla poltrona di primo cittadino di Nicosia il barone, nonché medico, Giuseppe Salomone (gennaio – settembre 1944), il commissario prefettizio Giuseppe Fasullo (che gestì il Comune per poco più di tre mesi) e Antonino Bruno, socialista, che rivestì la carica di Sindaco per oltre un anno, dal 18 gennaio ’45 sino alle prime elezioni amministrative del dopoguerra, svoltesi il 31 marzo 1946. Nella seduta di insediamento (presieduta dal farmacista Battiato, quale consigliere che aveva riportato il maggior numero di voti) del nuovo Consiglio comunale, tenutasi il 23 aprile successivo, fu eletto Sindaco Francesco Insinga che, appena proclamato, pronunziò delle brevi parole di ringraziamento “assicurando che la sua opera, improntata sempre a criteri di imparzialità e di civismo, sarebbe stata diretta al bene del Comune, all’elevazione morale delle masse lavoratrici ed al raggiungimento di tutti gli ideali che sono il patrimonio della cittadinanza”.2 Non mancò, naturalmente, l’auspicio di una “collaborazione di tutti nell’interesse del Comune e della cittadinanza per risolvere i gravi ed assillanti problemi che erano sul tappeto”. La collaborazione evocata dal neoSindaco era, probabilmente, il presagio dei contrasti che si sarebbero avuti per la nomina della Giunta municipale. Atto che venne rinviato, infatti, ad altra data, anche perché il rappresentante del Prefetto di Enna (tale dott. Arnaldo Sciacca) presente in quella riunione di insediamento, ritenne che era necessario “prima di procedere a tale nomina” che venissero presi degli accordi fra tutti gli elementi componenti il Consiglio amministrativo, compresi i consiglieri che facevano parte della minoranza. Tuttavia non bastò una settimana di tempo perché si trovasse un accordo sia relativamente al metodo di elezione che alla composizione della Giunta. Composizione che, secondo alcune “trattative”, di cui riferisce il consigliere La Via, avrebbe dovuto comprendere “i rappresentanti delle varie tendenze cioè: un qualunquista3- un demoliberale –un laburista ed un democristiano quali assessori titolari, nonché un democristiano ed un rappresentante della minoranza quali assessori supplenti”. Dopo l’ennesima richiesta, avanzata dal consigliere La Giglia e decisamente contrastata da D’Alessandro, che la seduta venisse “rinviata di 48 ore per prendere gli opportuni accordi in proposito”, si giunse alla fine, e a seguito di ripetu-
1 Ricordiamo che con legge del 4 febbraio 1926 il fascismo aveva abolito le amministrazioni locali democraticamente elette, sostituendole con autorità di nomina governativa: sindaci e consigli comunali vennero sostituiti, rispettivamente, da podestà e da consulte nominati, appunto, dal governo fascista, tramite il prefetto. 2 L’avvocato Francesco Insinga, già presente nella precedente amministrazione presieduta dal Cav. Antonino Bruno, fu eletto con 16 voti contro i 14 di Francesco La Via. (Avvertiamo che il virgolettato riportato nel corso dell’esposizione è tratto, quando non diversamente specificato, da delibere del Consiglio comunale). 3 “Qualunquisti” erano detti i seguaci de L’uomo qualunque, un movimento politico che intendeva dare voce all’uomo della strada e alla sua insofferenza per la democrazia e il sistema dei partiti (in pratica, la prima ondata di antipolitica dell’Italia repubblicana). Fondato dopo la fine della dittatura fascista dal giornalista e commediografo napoletano Guglielmo Giannini intorno all’omonimo settimanale, quel movimento ebbe effimera esistenza: dopo un discreto successo alle amministrative del ’46 e, soprattutto, alle elezioni del 2 giugno per l’Assemblea costituente (dove il Fronte dell’uomo qualunque ottenne oltre 1 milione e 200 mila voti e trenta seggi) subì un vero e proprio crollo già nelle elezioni dell’aprile ’48, in cui non fu eletto neppure lo stesso Giannini.
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Sala consiliare.
1) Battiato Francesco, farmacista
16) La Via Nicolò
2) Montaperto Francesco, avvocato
17) Salomone b.ne Giuseppe, medico
3) Billone Salvatore
18) Mancuso Michele
4) Militello dott. Enrico
19) Notararigo Giuseppe
5) Di Stefano Michele, geometra
20) Musco Vincenzo
6) La Motta Gaetano, avvocato
21) La Via comm. Francesco, avvocato
7) Ugliarolo Salvatore
22) Picone Giovanni
8) Rizzo Santo
23) Campione Michele
9) Insinga Francesco, avvocato
24) Ferrara Virgilio, avvocato
10) La Greca Salvatore
25) D’Alessandro Guglielmo, medico
11) Castrogiovanni Michele
26) Alleruzzo Felice, avvocato
12) Di Piazza Francesco
27) Castiglia Filippo Paolo, docente
13) Casalotto Salvatore
28) Leone Francesco, avvocato
14) La Giglia Sigismundo Giuseppe
29) Maggio Nicolò
15) Lo Presti Vincenzo
30) Scardino Filippo, geometra
Elezioni amministrative del 31 marzo ’46: gli eletti al Consiglio comunale.
te votazioni che si protrassero sino a notte inoltrata, alla elezione dei sei componenti la Giunta, nelle persone di: Francesco Di Piazza (unico eletto al primo scrutinio), Virgilio Ferrara, Filippo Scardino, Nicolò La Via, quali assessore titolari, e Nicolò Maggio e Salvatore La Greca, quali assessori supplenti. Assessori titolari: Ferrara Virgilio Di Piazza Francesco Scardino Filippo La Via Nicolò
(Stato Civile; Contenzioso e Pubblica Istruzione) (Annona, Sorveglianza dei prezzi e del mercato) (Lavori Pubblici) (Sorveglianza pubblica illuminazione, Servizi di sanità ed igiene)
Assessori supplenti: Maggio Nicolò (Polizia rurale; Sorveglianza del patrimonio terriero comunale) La Greca Salvatore (Sorveglianza pubblica spazzatura)
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Composizione della Giunta.
Giuseppe Salomone, barone. Dopo aver conseguito, l’11 luglio 1922, la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Catania e la specializzazione in Radiologia a Bologna, esercitò la professione di medico in diverse città, tra cui Parigi. Tornato a Nicosia occupò la carica di Sindaco da gennaio a settembre del ’44. Suffragato da una grossa maggioranza di elettori nelle elezioni amministrative del ’52, fu rieletto Sindaco dal Consiglio per il quadriennio 1952-’56.
Tra i primi atti che la nuova Giunta municipale, nella seduta del 29 maggio 1946, deliberò – e che il Consiglio prontamente ratificò il 23 giugno successivo – ci limitiamo a ricordarne due, per il carattere sociale di entrambi: la richiesta al Banco di Sicilia di un’anticipazione di un milione di lire4 per il pagamento dello stipendio al personale e per l’acquisto del materiale necessario a riparazioni dell’acquedotto e “l’assunzione temporanea in servizio del Dr. Battiato Giuseppe di Giovanni quale medico condotto interinale nella frazione di Villadoro”.5 In quanto a questa “deliberazione d’urgenza” della Giunta Municipale, essa era tale dalla necessità di garantire il servizio sanitario nel “sobborgo di Villadoro” per il trasferimento del medico condotto dott. Sfienti dalla condotta di Villadoro a quella di Nicosia6; trasferimento avvenuto, a sua volta, in seguito al collocamento a riposo del medico Giovanni La Via.
Elezioni amministrative ’52 Con le elezioni amministrative del 25 maggio 1952 (nelle quali furono presentate quattro liste: Dc, Msi, Pci e “Blocco del popolo”) giunsero al Consiglio comunale le personalità e i professionisti più in vista del paese: ingegneri, medici, avvocati, insegnanti… La classe politica che si apprestava a governare il Comune di Nicosia risultò pressoché interamente rinnovata. La seduta di insediamento del nuovo Consiglio Comunale si tenne il successivo 18 giugno e fu presieduta dal barone Giuseppe Salomone, quale consigliere eletto col maggior numero di voti. L’elezione del Sindaco fu preceduta da schermaglie polemiche tra chi dichiarò di votare scheda bianca in segno di protesta per “non aver avuto conoscenza dell’orientamento dei consiglieri della maggioranza in ordine alla nomina del Sindaco”7 e tra chi, la presidenza, replicava che il consigliere La Motta e il gruppo cui questi apparteneva “potevano benissimo informarsi dell’orientamento della maggioranza con gli esponenti della stessa”. Fu polemico anche l’intervento del consigliere Guglielmo D’Alessandro che dichiarò di votare pure lui scheda bianca “non essendo stato messo a conoscenza di tutte le manovre di corridoio e di sagrestia intervenute per la nomina del Sindaco”. Il riferimento alle “manovre di sagrestia” fatto dal consigliere D’Alessandro, medico, eletto nella lista del Pci, era un’evidente stoccata polemica contro il determinante appoggio dato alla elezione del barone Salomone, Sindaco in pectore, dalla Chiesa, la quale a Nicosia, agli inizi degli anni Cinquanta, era guida-
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Nel suo intervento il Sindaco chiarì che tale anticipazione sarebbe stata estinta “con i proventi dei fondi comunali cioè sia con il saldo della gabella dell’annualità 1945-46, sia con il pagamento della prima rata dell’annualità 1946-47. Per quanto riguarda il saggio di interesse – continuò – si è stabilito nell’otto per cento annui, oltre al diritto di commissione in lire 0,25”. 5 Nella delibera della G.M., ratificata dal Consiglio Comunale, era specificato (e lo riportiamo solo per il suo valore di dato comparativo) che “lo stipendio assegnato ad esso Dr. Battiato è di lire undicimilacentosessantacinque lorde mensili corrispondenti a lire centotrentatremilanovecentotrentadue annue”. 6 Alla morte del dott. Sfienti, agli inizi del 1952, il dott. Battiato chiese e ottenne (Consiglio comunale del 5 aprile ’52) il trasferimento da Villadoro al posto vacante di Nicosia, mentre il posto di medico condotto di Villadoro, nella stessa seduta del Consiglio comunale, fu assegnato “fino all’espletamento del concorso” al giovane dott. Angilello Cataldo Aldo, da poco laureatosi in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma. Incarico che gli fu confermato dal C.C. nella seduta del 10 maggio ’55. Ricordiamo, ancora, che dal settembre 1960, a seguito del concorso bandito nel giugno ’58, nella terza condotta medica di Villadoro (dove aveva già svolto la mansione di medico), venne nominato il dott. Alberto Murè per la rinuncia del vincitore, tale Filippo La Monaca. 7 E’ Giovan Giorgio La Motta, barone di Salinella, che minaccia di votare scheda bianca “a nome del gruppo cui appartiene”, cioè il Msi.
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ta da una personalità di grande prestigio, quale era il vescovo Pio Filippo Giardina, figura ben radicata nella Diocesi, avendo diretto la sede vescovile nicosiana sin dal novembre 1942. Che il vescovo Giardina, o comunque la Chiesa, avesse avuto parte attiva nelle elezioni amministrative sia del ’46 sia in quelle dell’aprile ’52, sostenendo, in quest’ultima circostanza, la candidatura a Sindaco del barone Salomone, è un dato di fatto che, per quanto detto nella premessa, non può stupire più di tanto. E così, passati all’elezione del Sindaco, con diciannove voti su trentadue (tredici schede risultarono bianche) il Consiglio elesse, al primo scrutinio, alla carica di primo cittadino del Comune di Nicosia il barone Salomone. La Giunta della nuova amministrazione, eletta anch’essa al primo scrutinio, risultò formata da: Vincenzo Nisi, Francesco Leone, Nicolò Vanadia (giovane studente di ingegneria) e Michele Fiscella (il più anziano dei quattro e in possesso della licenza elementare) quali assessori effettivi; da Venezia e Restivo quali assessori supplenti. 1) Salomone b.ne Giuseppe, medico
17) Fiscella Michele
2) Nisi Vincenzo, insegnante
18) Milici Salvatore
3) Leone Francesco, avvocato
19) Provenzale Gabriele, laureato in matematica e fisica
4) Vanadia Nicolò
20) Rizzo Antonino, avvocato
5) La Via Luigi, avvocato
21) Leone Luigi
6) Agozzino Pasquale
22) Sottosanti Graziano
7) D’Alessandro Ugo
23) Algozzino Santo
8) Restivo Pietro
24) Rizzo Emanuele
9) Venezia Salvatore
25) D’Alessandro Guglielmo, medico
10) Buzzone Giuseppe
26) La Motta b.ne Giovan Giorgio
11) Parisi Michele, insegnante
27) La Greca Epifanio, geometra
12) Potenza Mariano, notaio
28) Castellana Giovanni, ingegnere
13) Rizzo Santo
29) Alleruzzo Felice, avvocato
14) Cipolla Raffaele, insegnante
30) Castiglia Filippo, insegnante
15) Bonelli Mariano
31) Alessi Francesco
16) Santangelo Giuseppe
32) Raspanti Antonio
Assessori titolari: Nisi prof. Vincenzo Leone avv. Francesco Vanadia Nicolò Fiscella Michele
Il Vescovo Pio Filippo Giardina. Nato a S.Domenica Vittoria nel 1884, operò nella Chiesa messinese prima come sacerdote (1906-1935) e, successivamente, come vescovo. Nel novembre 1942 Mons.Giardina lasciò Messina per insediarsi nella sede vescovile di Nicosia, dove rimase fino alla morte, avvenuta nel febbraio ‘53.
Elezioni amministrative ’52: gli eletti al Consiglio comunale.
(Pubblica istruzione, Biblioteca) (Lavori pubblici; Igiene; Nettezza urbana e Pubblica Illuminazione) (Stato civile; Delegato anche alla funzione di vicesindaco) (Annona; Sorveglianza e disciplina dei prezzi sul mercato)
Assessori supplenti: Venezia Salvatore (Polizia rurale e Sorveglianza del patrimonio terriero del comune) Restivo Pietro (Delegato amministrativo della frazione di Villadoro con funzione di ufficiale dello stato civile di tutta la borgata)
Primi provvedimenti Una significativa novità attuata dall’amministrazione Salomone, che merita di essere rilevata, è che nella stessa seduta (2 agosto ’52), durante la quale furono assegnati agli assessori i vari incarichi, fu disposto, sia per il Sindaco che per gli assessori, un orario di ricevimento del pubblico “in modo che ciascun cittadino 19
Componenti la Giunta municipale.
potesse esporre liberamente il proprio punto di vista sull’andamento dei servizi e potesse reclamare nella eventualità di difettoso andamento dei servizi medesimi”. Tra i primi problemi che la nuova amministrazione si trovò ad affrontare vi erano quelli del deficit di bilancio del Comune, della situazione urbanistica e dell’approvvigionamento idrico della città. Relativamente al primo problema, il Sindaco lamentò come il Comune avesse debiti relativi a deliberazioni già approvate e fosse moroso verso l’appaltatore della nettezza urbana (tale Montaperto Sigismundo), verso la S.G.E.S. (Società di fornitura di energia elettrica) e verso la Cassa di previdenza nonché in ritardo, in particolare, col pagamento degli stipendi del personale municipale. Uno spiraglio che, almeno in parte, sembrò aprire qualche elemento positivo in fatto di difficoltà di bilancio del Comune fu rappresentato da una recentissima legge, la n.703 del 2 luglio ’52, con la quale il Ministero delle Finanze assegnava il 7,50% del provento complessivo dell’IGE8; provento che si aggirava sui cinque milioni di lire. In quanto alla situazione urbanistica, il Sindaco evidenziò che ogni giorno gli pervenivano “numerosi esposti, istanze, suppliche perché fosse posto fine allo stato di abbandono in cui da anni venivano lasciati interi quartieri e dove principalmente si sentiva la mancanza delle fognature”. Dove esse esistevano - proseguì il Sindaco - “erano in pessimo stato e giornalmente venivano fatte segnalazioni di rotture di fogna ed infiltrazioni di acque luride da queste provenienti, nelle case private, con grave nocumento per l’igiene e la salute pubblica”. Relativamente all’approvvigionamento idrico della città, il Sindaco, nella medesima seduta, informò i consiglieri di aver “dato disposizione che si eseguissero immediatamente i lavori di riparazione nell’acquedotto in maniera da poter fare riaffluire nei serbatoi l’acqua di due sorgenti delle nostre montagne, che da tempo si disperdevano”.
Azienda silvo-pastorale: il pomo della discordia Sul finire dell’53 il Consiglio comunale (seduta del 12 dicembre) affrontò l’argomento relativo alla costituzione, sulla base della recente legge 25 luglio ’52, dell’Azienda speciale silvo-pastorale (Assp), avente il fine di gestire e tutelare il patrimonio silvo-pastorale del Comune. Il dibattito attorno a questo argomento fu molto vivace e articolato, nelle diverse posizioni espresse, raggiungendo talora toni particolarmente polemici. Se da una parte ci fu chi – è il caso dei consiglieri missini Castellana e La Motta – si dichiarò non solo favorevole alla costituzione dell’Azienda, ma sostenne che alla stessa andasse affidata, assieme al patrimonio silvano del Comune, anche la parte seminativa, dall’altra, ci fu chi propose “che prima di votare la costituzione dell’azienda speciale silvo-pastorale, venisse elaborato, da un tecnico designato dal Consiglio stesso, un piano generale dal quale risultassero i benefici derivanti al Comune dalla costituenda azienda silvo-pastorale”. Tale proposta (che, secondo alcuni, era improntata a un evidente atteggiamento disfattista e a una finalità dilatoria), avanzata dal consigliere Alessi, cui si associò anche Rizzo9, venne dura-
8 L’IGE, imposta generale sulle entrate, introdotta nel 1940, incombeva, con l’aliquota normale del 3 %, sulle operazioni di scambio di beni e prestazioni di servizi. Nel 1972 sarebbe stata sostituita dall’ IVA. 9 Si tratta del giovane “Nenè” Rizzo, fresco di Laurea in Giurisprudenza - conseguita presso l’Università di Catania nel febbraio 1952 - e futuro Sindaco e senatore della Repubblica, nonché deputato regionale.
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mente attaccata sia dall’avv. Leone, che dichiarò di votare contro perché la riteneva “contraria agli interessi del Comune e della cittadinanza”, sia dal consigliere Provenzale, che la giudicò “una inutile remora per il riscatto politico e morale dei nostri feudi”. Messa ai voti, la proposta di Alessi venne respinta dal Consiglio. Seguirono vari interventi di diverso orientamento, tra cui quello del consigliere Agozzino, 10 il quale riteneva che “il miglioramento dei pascoli montani fosse una cosa oltremodo difficile, in quanto richiedeva una anticipazione di capitali non indifferente, di cui il Comune non aveva disponibilità”. E pertanto non credeva ai benefici che si sarebbero potuti ricavare dalla costituzione dell’azienda. Tra gli interventi che, invece, manifestavano entusiasmo, ricordiamo quello di Vanadia, il quale, oltre che dimostrarsi fiducioso sul fatto che l’azienda avrebbe apportato “grandi benefici al Comune”, aggiunse che non era possibile “rinunziare ai benefici concessi dallo Stato, dovendo il Comune migliorare il suo patrimonio sia nel proprio interesse che nell’interesse dei cittadini”. Alla fine del dibattito passò la mozione di Leone, il quale propose “che venisse posta prima ai voti la costituzione o meno dell’azienda” e successivamente venisse discusso e approvato il relativo regolamento, già distribuito a tutti i consiglieri11. L’ordine del giorno proposto dal consigliere Leone venne approvato con tredici voti favorevoli, quattro astenuti e nessun contrario. Quindi si passò alla lettura del regolamento articolo per articolo, ritenendo approvato ogni articolo in mancanza di osservazioni. Era l’una del giorno successivo quando anche il regolamento dell’azienda silvo-pastorale veniva approvato12. Nasceva così, quella notte, l’Azienda speciale silvo-pastorale; “primo e coraggioso esempio in tutta la Sicilia e nell’Italia meridionale”, commentò- con evidente orgoglio- Salomone nella sua Relazione al nuovo Consiglio Comunale, relativa all’attività amministrativa nel quadriennio 1952-56. Non è difficile, a posteriori, capire chi allora – tra scettici e disfattisti, da una parte, entusiasti e ottimisti, dall’altra – avesse ragione. Con la storica deliberazione consiliare (la n. 213 del 12/12/1953) si dava vita a un Ente che nei decenni successivi sarebbe divenuto, in seno al Consiglio Comunale, ma anche fuori di esso, ricorrente oggetto di diatribe e di furiose polemiche. Ma si dava vita, soprattutto, a un “carrozzone” attorno a cui avrebbe ruotato tanto spreco di denaro pubblico, per puri interessi clientelari .
Iniziative in campo scolastico Nell’ultimo scorcio del ’53 venne iniziata la costruzione del nuovo edificio scolastico di Santa Maria di Gesù, il quale avrebbe ospitato la Scuola di Avviamento professionale nonché la Scuola Tecnica Agraria (istituita l’anno precedente) e la sezione Industriale Femminile (quest’ultima diretta dal prof. Raffaele Cipolla).
10 Ricordiamo che “Pasqualino” Agozzino, padre del futuro Sindaco Michele, fu tra i fondatori della Coldiretti di Nicosia, della quale fu il primo presidente. 11 La figura dell’avv. Leone, che emerge anche dal dibattito in questione, è quella di una personalità dotata di forte ascendente sui consiglieri e di grande capacità di catalizzare attorno a sé ampi consensi. 12 Il Consiglio comunale, nella seduta del 24 agosto ’54, avrebbe provveduto alla nomina della Commissione amministratrice dell’Assp eleggendo consiglieri effettivi: Giovan Giorgio La Motta, Raffaele Cipolla e Luigi La Via; membri supplenti Guglielmo Mastrojanni e Salvatore Venezia. Nella seduta del Consiglio comunale del 18 ottobre ’58 sarebbe stata nominata la nuova commissione amministratrice nelle persone di Guglielmo Mastrojanni, Angelo Fiscella e Francesco Mancuso Catarinella quali membri effettivi; Francesco Montaperto e Giuseppe Picone quali membri supplenti.
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Per restare in ambito “scolastico”, va registrata l’istituzione, nel corso del 1955, di una Scuola musicale, intitolata a Pietro Vinci ( definito dal Sindaco Salomone “maestro celebrato nei secoli per le sue melodie e per le sue divine armonie”) e avente sede nel vecchio Teatro Comunale. Con l’istituzione di detta scuola, l’amministrazione comunale - scrive ancora Salomone nella citata Relazione - si faceva interprete “dell’antico desiderio di tutta la popolazione di vedere ricostituito quel corpo musicale che in tempi passati era stato gloria e vanto delle sue tradizioni artistiche”.
Lavori pubblici In tale settore furono davvero numerosi gli interventi realizzati, nel corso del quadriennio, dall’amministrazione presieduta da Salomone. Utilizzando i generosi finanziamenti e contributi concessi dalla Regione e dallo Stato, furono sistemate e pavimentate moltissime strade urbane (delle quali Salomone aveva denunziato, a inizio incarico, “lo stato pietoso”) e strade comunali esterne (CrociateS.Simone, S.Michele, S.Giacomo-Spirini-Piemartino) che la nuova amministrazione aveva trovato in condizioni “di assoluta intransitabilità”. La Giunta Salomone si era altresì interessata a ottenere finanziamenti per la costruzione di strade interpoderali in diverse contrade rurali (Marenga, Fontana di Piazza, S.Agrippina-Valpetroso) i cui lavori furono affidati al Consorzio di bonifica Gagliano-Castelferrato. Nel marzo del 1955, in particolare, l’Assessorato Regionale alla bonifica stanziava 100 milioni “per la costruzione del terzo ed ultimo lotto della strada di bonifica S.Giacomo-Castagna-Casale-Bonfiglio”. Un altro settore in cui, nel corso del quadriennio 1952-56, furono realizzati importanti interventi fu quello dell’Edilizia popolare, con la costruzione di complessivi 84 alloggi per un importo di circa 200 milioni di lire. L’amministrazione Salomone si mostrò particolarmente sensibile anche alle esigenze della frazione di Villadoro, dove furono realizzate diverse opere. Segnaliamo, in particolare, la costruzione di un “moderno edificio scolastico di tre aule, oltre la direzione, i servizi igienici e un ampio corridoio”. A Villadoro, inoltre, dove per macello sino ad allora “aveva funzionato una stalla” venne costruito un vero e proprio macello costituito da “diversi ambienti: per mattanza bovini, per tripperia, per ufficio, per il custode e per il ricovero degli animali”. La piccola frazione fu dotata di collegamento telefonico interurbano nonché di “un vero ambulatorio medico, fornito di moderni mobili sanitari in metallo e dello strumentario più indispensabile: chirurgico, ostetrico ed odontoiatrico”. Venne completata, altresì, la pavimentazione della piazza Carlo Alberto; fu ricostruito il ponte all’ingresso della frazione “che era angusto” e successivamente tale ingresso fu migliorato “con pavimentazione in mattonelle di asfalto e marciapiede”. Nella primavera del 1956, infine, “a Villadoro case e strade furono illuminate a luce elettrica”. Pur consapevoli del rischio di cadere nella insidiosa trappola dei laudatores temporis acti, crediamo di poter dire che Salomone, nella sua veste di Sindaco, abbia interpretato al meglio l’impegno politico nel suo significato più autentico ovvero come ricerca e perseguimento del bene comune, del bene della collettività. Per quanto tale ideale possa essere concretamente attuato in una qualsivoglia società, che è sempre - per dirla con Hegel - “il luogo di interessi contrastanti”, riteniamo che il quadriennio presieduto da Salomone rappresenti comunque 22
nella storia nicosiana una delle stagioni amministrative più fattive e ricca di attività e opere realizzate. Chi fosse interessato a una conoscenza dettagliata della vasta attività amministrativa svolta dalla giunta Salomone, può consultare la già citata Relazione13 (dalla quale sono tratte le citazioni da noi riportate), che il Sindaco uscente tenne al nuovo Consiglio comunale nella seduta del 13 giugno 1956.
Elezioni amministrative ‘56 Alle elezioni amministrative del maggio 1956 si presentarono tre liste: quella della Democrazia cristiana, dei Social-comunisti e la lista civica “Campanile”. L’esito dello scrutinio vide piazzarsi al primo posto la lista civica con 3783 voti, seguita dallo “Scudo crociato”, che ottenne 3607 voti, mentre la lista “Falce e martello” ne raccolse 1860. Sebbene lo scarto tra la prima e la seconda lista fosse meno di 200 voti, l’attribuzione dei seggi premiò – a causa della legge elettorale vigente che assegnava i tre quarti dei seggi di consiglieri alla lista che aveva ottenuto il maggior numero di voti – la lista del “Campanile”, a cui andarono 24 seggi (su 32), mentre solo 5 vennero assegnati allo “Scudo crociato”, e 3 ai “Social-comunisti”. Che gli sconfitti, soprattutto della Democrazia cristiana, avessero mal digerito la loro estromissione dal governo, si vide sin dalla seduta di insediamento (13 giugno) del nuovo Consiglio comunale. Nel corso di essa non appena il Presidente, nella persona di Mastrojanni, comunicò che tutti i trentadue consiglieri erano presenti ed erano in possesso dei requisiti, Salvatore Motta, avvocato, a nome del gruppo dei consiglieri di minoranza della Dc segnalò, invece, l’ineleggibilità dei consiglieri Mastrojanni, La Motta e La Greca, in quanto i primi due ricoprivano cariche all’interno dell’azienda Silvo Pastorale, azienda sovvenzionata dal Comune e soggetta al controllo dello stesso, mentre il geom. La Greca non poteva rivestire la carica di consigliere, sempre secondo l’avv. Motta, in quanto tecnico di fiducia dell’Istituto Nazionale Gestione Imposta di Consumo (Ingic) e in quanto tecnico comunale dell’Ente Comunale Assistenza (Eca). 1) Mastrojanni Guglielmo, ingegnere 2) Maugeri Giuseppe, medico 3) Drago Giuseppe 4) La Greca Epifanio, geometra 5) La Motta b.ne Giovan Giorgio 6) Raspanti Antonino 7) Castellana Giovanni, ingegnere 8) Campo Rosario, insegnante 9) Di Stefano Filippo 10) Bruno Giuseppe 11) Fiscella Sigismundo 12) Bonelli Giuseppe 13) Fiscella Giuseppe 14) Cigno Santo 15) Giacobbe Paolo 16) Lo Furno Antonino
17) Militello Nicolò, ingegnere 18) Ugliarolo Salvatore 19) Campione Felice, ragioniere 20) Cipolla Aldo Oreste 21) Tumminaro Antonino 22) Vazzano Mauro 23) Li Volsi Gaetano 24) Rizzo Antonino 25) Battiato Francesco, farmacista 26) Cannata Nicolò, ragioniere 27) Motta Salvatore, avvocato 28) Vazzano Antonio 29) Buzzone Sebastiano 30) D’Alessandro Guglielmo, medico 31) Lo Grasso Salvatore 32) Castiglia Filippo
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Guglielmo Mastrojanni (Bari 21.08.1889 – Nicosia 13.07.1967). Laureato in Ingegneria, progettò la stazione ed un ponte per la rete ferroviaria che avrebbe dovuto attraversare Nicosia. Insieme al fratello Settimio, architetto, lavorò al progetto del nuovo Tribunale ed ideò l’effigie di San Felice divenuta, ad opera dello scultore Michele Guerrisi, monumento bronzeo (monumento che trovasi all’incrocio tra la via Roma e la via Umberto). Studioso della storia e della cultura nicosiane, collaborò con la rivista “Storia illustrata” portando alla luce un dato poco noto: le origini nicosiane del papa Leone X. Partecipò alle elezioni amministrative del ’56 nella lista civica del “Campanile”, risultando il primo degli eletti con 2689 voti di preferenza su 3783 riportati dal suo partito, seguito da Maugeri con 857 voti. Eletto Sindaco, decadde poco dopo da questa prestigiosa e meritata carica per ineleggibilità, in quanto facente parte dell’amministrazione dell’Azienda Silvo-pastorale.
Elezioni amministrative ’56: gli eletti al Consiglio comunale.
Relazione al nuovo Consiglio comunale, relativa all’Attività dell’Amministrazione Comunale di Nicosia nel quadriennio 1952-1956, pubblicata dalla Scuola Salesiana del libro, Catania 1956.
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Francesco Battiato (Nicosia 19.4.1914 15.1.1961). Laureato in Farmacia presso l’Università di Catania il 27.10.1938, fu socio fondatore della sezione Dc di Nicosia, partecipò attivamente alla vita politica del nostro paese fin dalle prime elezioni democratiche del dopoguerra (1946), in cui risultò il primo degli eletti, confermando questo significativo risultato nelle elezioni del ’56, in cui ottenne 1902 voti di preferenza su 3607 riportati dal suo partito.
I primi due, Mastrojanni e La Motta, in ordine all’eccezione di eleggibilità sollevata dall’esponente democristiano, osservarono che l’Azienda Silvo Pastorale non era né dipendente né sovvenzionata dal Comune né sottoposta alla sua vigilanza, ma godeva di un patrimonio autonomo, conferito dal Comune stesso all’Azienda e i suoi bilanci venivano approvati dalla Commissione di Controllo. Tali chiarimenti, tuttavia, non servirono allo scopo, ossia a indurre l’avvocato Motta a demordere. Questi, infatti, dichiarò a nome della Dc di opporsi a qualsiasi convalida dei predetti consiglieri e si riservò di impugnare anche giurisdizionalmente l’elezione dei medesimi. La Motta, a sua volta, sollevò l’ineleggibilità anche del farmacista Francesco Battiato, democristiano, il quale forniva medicine per la condotta medica. L’interessato precisò subito che tale fornitura era già stata sospesa prima dell’inizio della campagna elettorale e ciò fu confermato anche dal dott. Maugeri. Si passò, allora, alla votazione di convalida dei trentadue consiglieri, nominativo per nominativo, secondo l’ordine di elezione. L’esito della votazione, (fatta per alzata e seduta: chi approvava la convalida restava seduto, chi non l’approvava si alzava) fu favorevole per tutti e trentadue consiglieri per i quali, quindi, l’elezione fu convalidata. A differenza del consigliere democristiano Battiato, la cui elezione dopo la sua precisazione fu convalidata all’unanimità, i consiglieri Mastrojanni, La Motta, e La Greca riportarono cinque voti contrari, ovviamente quelli dei cinque consiglieri democristiani. Dopo l’insediamento del Consiglio comunale si passò all’elezione del Sindaco, che avvenne a schede segrete. Con ventiquattro voti a favore e otto schede bianche fu eletto Guglielmo Mastrojanni, il quale - giusto rilevarlo - in quelle elezioni aveva ottenuto uno straordinario numero di voti: ben 2689, seguito da Maugeri e Drago, rispettivamente, con 857 e 298 voti. Si proseguì, quindi, con l’elezione della Giunta Comunale, formata da quattro assessori titolari e due supplenti. Anche questa elezione venne effettuata mediante il sistema della votazione a schede segrete, iniziando con la votazione per la nomina degli assessori titolari e a seguire quella per la nomina degli assessori supplenti. Dallo scrutinio risultarono eletti assessori titolari i consiglieri La Greca, Campo, Maugeri, e Drago, mentre assessori supplenti furono eletti i consiglieri Lo Furno e Giuseppe Fiscella.
Assessori titolari:
La Greca geom. Epifanio14 Campo dott. Rosario
Elezioni amministrative ’56: composizione della Giunta eletta il 13 giugno (non risultano, agli atti, i rispettivi incarichi).
Maugeri dott. Giuseppe Drago Giuseppe14 Assessori supplenti:
Lo Furno Antonino Fiscella Giuseppe14
Dietro l’eccezione posta sulla eleggibilità dei consiglieri Mastrojanni (eletto Sindaco), La Greca (eletto assessore titolare) e La Motta, la Commissione Provinciale di Controllo (Cpc) di Enna bocciò la delibera nella parte relativa alla convalida dei detti consiglieri. Di conseguenza, secondo le disposizioni di legge 14 La Greca fu sostituito il 6 settembre ’58 ( essendo decaduto da consigliere a seguito della sentenza della Corte di Cassazione) da Cipolla, consigliere del Campanile. Drago e Fiscella furono sostituiti nella stessa data, a seguito delle loro dimissioni, rispettivamente dal consigliere Lo Grasso (del gruppo Falce e martello), e dal consigliere Li Volsi ( della lista Campanile).
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in materia, assunse le funzioni di Sindaco, data la sua qualità di assessore più anziano, Rosario Campo. Ciò avveniva il 7 luglio, alle ore 21,30, con la presa di consegna dalle mani di Giuseppe Salomone, Sindaco uscente. Due giorni dopo, il 9 luglio, la posizione di Campo veniva legalizzata presso la Prefettura, dopo aver prestato giuramento. Nella seduta consiliare dell’11 agosto ’56 (la prima successiva all’insediamento del nuovo Consiglio comunale) presieduta da Campo, quale Sindaco facente funzione, il Consigliere Castiglia rivolgeva al neo Sindaco irriguardose e sarcastiche domande: “Chi è il Presidente di questa Assemblea? Che cosa è questo Sindaco f.f.? Chi lo ha nominato? Chi lo ha insediato? Trovasi in quel posto temporaneamente o permanentemente?” E concluse chiedendo che ai quesiti posti venisse data “esauriente risposta”. Cosa che Campo, signorilmente, fece chiarendo in quell’occasione la propria posizione.
Terremoto nella maggioranza Quella del ’58 a Nicosia fu, politicamente, un’estate molto “calda” e turbolenta. Tra il dieci e il dodici agosto di quell’anno, infatti, sul tavolo del Sindaco giunsero otto lettere di dimissioni di altrettanti consiglieri del gruppo Msi: Drago, Raspanti, Castellana, Bruno, Fiscella Giuseppe, Militello, Campione; richieste di dimissioni che vennero poste all’odg del Consiglio comunale, nella riunione del ventuno agosto. Il consigliere D’Alessandro, intervenuto nel dibattito, evidenziò e lamentò che l’intero Consiglio era all’oscuro dei motivi che avevano indotto i consiglieri del Msi a presentare le dimissioni e chiese pertanto che lo stesso fosse messo “al corrente dei retroscena che avevano portato alla presentazione delle dimissioni”. Alle parole del consigliere comunista Campo rispose dicendo che anch’egli li ignorava e che per lui le dimissioni dei consiglieri missini erano state “come una doccia fredda” e stigmatizzò, anzi, il deplorevole “contegno dei consiglieri dimissionari i quali non avevano sentito il dovere e non avevano avuto il coraggio di presentarsi al Consiglio comunale per spiegare le ragioni del loro gesto”. Messa ai voti ciascuna delle richieste di dimissione dei consiglieri missini, ne risultarono respinte solo due, quelle di Raspanti e Bruno15. Nella stessa seduta, il Consiglio votò la surroga dei sei consiglieri missini di cui erano state accettate le dimissioni. Col voto contrario dei consiglieri del gruppo Dc venne convalidata la nomina dei rimanenti quattro consiglieri non eletti della lista “Campanile”, nelle persone di Rosario Messina, Stanislao Pontorno, Antonio Rizzone e Michele Giulio. Nomina riconosciuta “priva di vizi di legittimità” dalla Cpc di Enna e, quindi, confermata il primo settembre dello stesso anno. Ma il consigliere Pontorno fece pervenire al Sindaco lettera di non accettazione della nomina, “per motivi personali” e Messina presentò lettera di dimissioni per lo stesso motivo. Ma quali le ragioni della corale decisione dei consiglieri del gruppo Msi? Pare che alla base di quel gesto ci fossero almeno due ordini di motivi, riferibili entrambi a contrasti tra il consigliere Drago, esponente di spicco del gruppo, e il Sindaco Campo. Il primo motivo era legato all’Azienda silvo-pastorale, il secon-
Rosario Campo. Insegnante di lettere, Campo ricoprì la carica di primo cittadino nella seconda metà degli anni ’50, lungo un quadriennio segnato da non pochi contrasti, anche interni alla maggioranza. Morì nel novembre del 1973, all’età di cinquantaquattro anni.
15 Il consigliere Bruno, tuttavia, insisterà nella sua volontà di rassegnare le dimissioni, poiché “le proprie condizioni di salute” non gli consentivano di “espletare ulteriormente il mandato conferitogli dall’elettorato”. Il Consiglio, pertanto, accetterà le sue dimissioni nella seduta del 18 ottobre ’58.
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do alla costruzione del Palazzo di Giustizia. Fu lo stesso Campo che, a suo dire “per non influenzare con le sue parole il giudizio dei consiglieri”, ma contrariamente a quanto replicato precedentemente al consigliere D’Alessandro, spiegò in Consiglio quelli che, verisimilmente, erano i motivi della richiesta di dimissioni da parte dei consiglieri missini. “Da parte dei consiglieri del gruppo del Msi mi si è sempre accusato di non essere stato favorevole all’Azienda silvo-pastorale che amministra i beni del Comune”. Ma si trattava – precisò ancora Campo – di “pura menzogna” poiché egli era stato ed era contrario non tanto alla silvo-pastorale quanto “al sistema che si adottava nella amministrazione del patrimonio terriero del Comune”16 In quanto al secondo motivo accennato, Campo dichiarò: “un altro argomento su cui io ho dissentito dal Cav. Drago, e di conseguenza da tutti i consiglieri del Msi, è stata la scelta della località su cui dovrebbe sorgere il Palazzo di Giustizia, la cui pratica, mercé il valido interessamento di S.E. il senatore Romano, è a buon punto. Giacchè mentre io vidi subito che il punto più adatto è il terreno di proprietà comunale posto alla curva Bruno, su cui potrà sorgere un palazzo di oltre 440 metri di fronte e di oltre 22 metri di profondità, con una piazza antistante ricavata dalla demolizione della casa ex Bruno, il Cav. Drago aveva pensato di fare sorgere il detto Palazzo sul Piazzale derivante dalla demolizione delle casette esistenti nella Piazza S. Francesco di Paola. Di conseguenza, continuò Campo, oltre a fare sorgere un palazzo tanto importante come il Palazzo di Giustizia in luogo eccentrico, il Comune avrebbe dovuto procedere ad espropri, con relative lungaggini burocratiche, e con spesa di alquanti milioni da parte del Comune”. A conferma che questo secondo motivo, cioè la questione della scelta dell’area su cui far sorgere il Palazzo di Giustizia, fosse collegabile alla richiesta di dimissioni dei consiglieri missini, Campo fece notare come essa fosse avvenuta, di fatto, a pochi giorni dalla delibera della Giunta Municipale relativa alla scelta del suolo per il Palazzo di Giustizia, delibera contro la quale, per altro, Drago aveva inoltrato alla Commissione di Controllo di Enna ricorso (che Campo lesse in Consiglio). Ancor più esplicito fu il consigliere Motta che, intervenuto in merito, mise in rilievo il fatto che “le dimissioni che avevano fatto seguito alla adozione della deliberazione relativa alla scelta del suolo per il Palazzo di Giustizia stavano a dimostrare che il sorgere del detto Palazzo nella località prescelta disturbava qualcuno del Msi”. Un ulteriore elemento che aiuta a comprendere il gesto delle dimissioni è sicuramente la sentenza della Corte di Cassazione relativa alla non eleggibilità a consiglieri di Mastrojanni e La Motta. Che la sentenza fosse pervenuta al Comune di Nicosia il quattordici agosto, mentre le lettere di dimissioni portavano le date comprese tra il dieci e il dodici agosto, non serve certo a negare il rapporto tra i due fatti. Infatti già ai primi di agosto la sentenza di ineleggibilità era di dominio pubblico (anche perché ne aveva parlato la stampa), essendo stata emanata, ben sei mesi prima, il ventisette gennaio ’58 e depositata in cancelleria il successivo trentuno luglio.
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Annotiamo, giusto per dare il senso degli enormi interessi, che già allora ruotavano attorno all’Assp, che il bilancio di previsione per l’anno 1959 (la cui approvazione da parte del Consiglio comunale avvenne, nel marzo ’59, dopo reiterati rinvii) era dell’ordine, esattamente, di lire 270.098.167, una cifra all’epoca elevatissima.
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Piove sul bagnato Al “terremoto” che aveva scosso la maggioranza seguì, a poco più di un mese di distanza, una “pioggia” di dimissioni di consiglieri dell’opposizione (e non solo). Tra il ventitré e il venticinque settembre ’58, infatti, presentarono istanza di dimissioni i consiglieri dello “Scudo crociato” (Battiato, Buzzone, Cannata, Motta), il consigliere D’Alessandro, del gruppo “Falce e martello” nonché due consiglieri della maggioranza, Fiscella (Sigismundo) e Antonio Rizzone. L’interrogativo che a questo punto sorge spontaneo porsi è: “Perchè? Quali le ragioni di queste richieste di dimissioni a cascata?” I motivi possiamo solo azzardarli, in relazione ad alcuni avvenimenti che potrebbero (il condizionale è d’obbligo) spiegarli. Un avvenimento fondamentale che, dal punto di vista cronologico, si frappone tra la prima ondata di dimissioni e la seconda fu certamente l’elezione (6 settembre ’58) di Campo a Sindaco da parte del Consiglio comunale17. Un Consiglio comunale, per la verità, molto striminzito (come, peraltro, in tante altre sedute) che stentava a raggiungere il numero legale. Che i consiglieri dello “Scudo crociato” avessero come obiettivo principale della loro presenza in consiglio quello di “minare la compagine del Campanile” (secondo l’espressione usata da Maugeri) o, ancor più esplicitamente, che il loro leader, l’avvocato Motta, non avesse “fatto altro che creare delle beghe sin dal primo giorno per cercare di disgregare l’unità dell’Amministrazione” (l’espressione è di Lo Grasso), non ci sembra tanto lontano dal vero. E per varie ragioni. Abbiamo già detto che la democrazia cristiana, in generale, aveva mal digerito (comprensibilmente, possiamo anche aggiungere) che per una manciata di voti si era vista strappare la guida del paese. In particolare, agli occhi di Motta, esponente di spicco della Dc nicosiana, quella di Campo non poteva non apparire (anche qui comprensibilmente, se si vuole) come una figura di Sindaco “inadeguata”, non fosse altro che per prestigio personale in termini di consenso popolare. Nelle elezioni del maggio ’56, infatti, Motta aveva ottenuto ben 413 voti, risultando il più votato della propria lista, dopo Battiato e Cannata, mentre Campo aveva ottenuto appena 187 voti, piazzandosi all’ottavo posto nella graduatoria dei consiglieri del “Campanile” più votati. Campo, non va dimenticato, subentrò all’ “ineleggibile” Mastrojanni solo in quanto consigliere più anziano della sua lista. Non appare infondato, quindi, che la richiesta di dimissioni dei consiglieri democristiani18 potesse essere legata a un “non gradimento” della elezione (o riconferma) di Campo a Sindaco. Questa tesi troverebbe conferma sia nel voto contrario dei consiglieri Dc alla richiesta di surroga dei consiglieri missini dimissionari con i rimanenti quattro consiglieri non eletti della lista Campanile (pensando così di “minarne” la compagine?), sia nella loro regolare assenza in entrambe le sedute del Consiglio (29 agosto e 6 settembre ’58) con all’odg l’elezione del Sindaco. In quanto alla
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Può essere utile rammentare che sino ad allora Campo era stato Sindaco “facente funzioni” (quale consigliere più anziano) a seguito della decisione della Cpc di ritenere illegittima l’elezione di Mastrojanni a consigliere (e quindi a Sindaco, carica a cui il Consiglio lo aveva eletto il 13 giugno del 1956). In quell’occasione, aggiungiamo, Campo, a elezione avvenuta, prese la parola per ringraziare i consiglieri per la fiducia dimostratagli e aggiunse: “Vi garantisco che sempre presente alla mia mente e al mio cuore sarà il benessere della classe operaia perché anch’io sono un lavoratore” 18 Annotiamo, per completezza d’informazione, che alla richiesta di dimissioni dei consiglieri democristiani fece seguito la dichiarazione, da parte di ciascuno dei ventiquattro componenti la lista Dc non eletti consiglieri, di “non accettare la carica di consigliere comunale nel caso in cui dovessero essere chiamati in surroga di consiglieri comunali dimissionari”. Che tale iniziativa fosse attribuibile alla regia dell’avvocato Motta, riteniamo non sia azzardato pensarlo.
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richiesta di dimissioni da parte del consigliere D’Alessandro, resta il dubbio se essa fu dovuta davvero a “motivi di salute” o piuttosto a un gesto di protesta contro l’ingresso in Giunta, in sostituzione del dimissionario Drago, del compagno Lo Grasso che aveva così scelto di collaborare con un’amministrazione “borghese”19. Relativamente ai due consiglieri di maggioranza che, contemporaneamente a quelli dell’opposizione, presentarono istanze di dimissioni, il motivo può essere ravvisato nella loro esclusione dalla nomina ad assessori al posto di La Greca, decaduto, di Drago e di Fiscella dimissionari? In mancanza di dati è l’unica ipotesi che pensiamo di avanzare. Tutte le richieste di dimissioni, tranne quella di D’Alessandro, presentata per motivi di salute20, furono respinte dal Consiglio (in assenza degli interessati) nella seduta del 18 ottobre ’58.
Nuovi venti di crisi nella maggioranza Non c’è pace sotto gli ulivi, si direbbe. Gli scossoni nella maggioranza non erano infatti finiti. Nella riunione consiliare del 31 ottobre ’59, in apertura di seduta, chiese la parola il consigliere Cannata che, in qualità di capogruppo dei consiglieri della neo-formazione politica Unione siciliana cristiano-sociale (Uscs ) dichiarò che da quel momento al Consiglio si costituiva il gruppo del partito da lui rappresentato e che di tale gruppo facevano parte anche i consiglieri Maugeri Dr. Giuseppe, Ugliarolo Salvatore, Giulio Michele e Cigno Santo. Nel prosieguo della seduta i consiglieri del neopartito abbandonarono l’aula in segno di protesta per il rifiuto da parte del Sindaco della richiesta, avanzata dal consigliere Maugeri, di anticipare la trattazione di alcuni argomenti all’ordine del giorno, considerato il carattere d’urgenza degli stessi e in quanto “oggetto di tre istanze di richiesta di convocazione urgente del Consiglio comunale”. Quest’ultimo intanto discusse e approvò i vari punti all’ordine del giorno, tra cui quello avente per oggetto la ratifica della “cessione in proprietà a titolo gratuito” al Ministero delle Poste di mq 450 di terreno edificabile sito in via Bernardo di Falco per la costruzione del palazzo delle Poste e Telecomunicazioni, come da deliberazione della G.M. del 26/9/59 e relativa approvazione della Cpc di Enna nella seduta del 5/10/59. Quali possano essere stati i motivi che hanno spinto, in particolare, i quattro consiglieri del Campanile ad abbandonare la maggioranza per costituire il nuovo soggetto politico, l’Uscs sorto a Nicosia per iniziativa del democristiano Cannata, non sappiamo21. Appare strana, soprattutto, la defezione di Maugeri,
19 A proposito di questo episodio e dei motivi che possono spiegarlo, ci limitiamo a riferire quanto detto dal consigliere Castiglia nel suo intervento dopo la nomina ad assessore effettivo di Lo Grasso, suo compagno di partito: “Io sono ancora perplesso per la inclusione del consigliere Lo Grasso nel numero degli assessori. Però io prendo la parola per mettere in guardia i cittadini sulle eventuali calunnie che sicuramente saranno messe in giro. Certamente si dirà che la figlia del signor Lo Grasso ha avuto il posto al Comune, che mio fratello ha avuto promesso il posto alla Silvo pastorale, sono tutte calunnie, niente di vero in tutto ciò”. Excusatio non petita, accusatio manifesta? 20 In surroga del medico Guglielmo D’Alessandro, il Consiglio nominò Arturo Ferrara, primo dei non eletti della lista “Falce e Martello”. 21 Ciò che però si sa, e può essere utile ricordare, è che la nascita a Nicosia di quel partito fu il riflesso di quello che allora era un fenomeno politico regionale: il milazzismo. Con tale termine si indica l’operazione politica attuata da Silvio Milazzo, un ex democristiano eletto nell’ottobre 1958 presidente della Regione Sicilia con una maggioranza composita che andava dai comunisti ai missini, associati in odio alla Dc e al suo strapotere, in particolare a quello di Fanfani. Questi, infatti, assumendo nelle proprie
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assessore ai Lavori pubblici e viceSindaco, cariche da cui naturalmente chiese – con lettera del 12 settembre – di essere dimesso.22 Per meglio capire il “contagio Milazzo” a Nicosia, giova ricordare che nelle elezioni regionali del 7 giugno ’59 l’Uscs del “ribelle” exdemocristiano raccolse un enorme successo che, con oltre duecentocinquantamila voti di preferenza, la portarono ad essere il terzo partito (10,6%) dell’Assemblea Regionale Siciliana (Ars) dopo la Dc (38,6%) e il Pci (21,9%) e prima del Psi (9,8%). Tale successo dell’Uscs si sarebbe ripetuto anche a Nicosia nelle elezioni del novembre 1960, nelle quali il “partitino” di Milazzo ottenne ben nove consiglieri.
1956-1960: bilancio Che Campo abbia operato, nella sua funzione di Sindaco, in condizioni di grande difficoltà, se non di aperta ostilità da parte dei consiglieri dell’opposizione (ma non sono mancati, come si è visto, neppure problemi creati da consiglieri della maggioranza), crediamo sia un fatto che si evince agevolmente da quanto abbiamo raccontato sin qui23. Ciò non poteva, naturalmente, non condizionare il Consiglio e la Giunta sul piano dell’azione e, quindi, della loro efficienza amministrativa. Eppure “durante questi due anni qualche cosa abbiamo ottenuto” - disse Campo (con tono di apprezzabile modestia, a noi pare) in occasione della sua elezione a Sindaco da parte del Consiglio. - Ed elencò: sistemazione Diga Rocella (per un importo di 600 milioni di lire); sistemazione del Fiume Cerami (per un importo di altrettanto valore); lavori completamento liceo; lavori di sistemazione del cimitero; bitumazione di alcuni tratti della Nicosia-Agira; strada bivio Villadoro-Villadoro. Quindi concluse: “Ora con maggior impegno cercheremo di sempre meglio operare nell’interesse di Nicosia e per il benessere dei lavoratori”. Tra gli atti deliberati nei successivi due anni di legislatura (con una Giunta, per metà rinnovata) segnaliamo, in particolare, una serie di interventi riguardanti “l’incremento dell’edilizia scolastica”, settore per il quale una legge, la n. 645 del 9/8/54, prevedeva appositi benefici finanziari:
Filippo Castiglia (Nicosia 1915 – 1984). Laureato in Lingue orientali presso l’Università di Napoli nel 1943, fu docente di francese (lingua in cui era specialista) presso l’Avviamento Professionale e poi presso la Scuola Media di Nicosia. Vincitore di concorso, fu - dagli anni Sessanta fino al pensionamento - Preside prima delle Scuole Medie di Cerami e di Gagliano e poi della Scuola Media “Pirandello” di Nicosia. Socio fondatore della sezione nicosiana del Pci, partecipò attivamente alla vita politica e fu eletto Consigliere comunale ininterrottamente per ben cinque legislature, ricoprendo anche la carica di Assessore all’Agricoltura.
mani, oltre alla carica di segretario del partito, anche quelle di Presidente del Consiglio e di Ministro degli Esteri, dava l’impressione di essere il padrone dell’Italia, oltre che della Dc. E così tra il 1958 e il 1960 la Sicilia fu governata da coalizioni (presiedute da Milazzo) tra il nuovo partito di dissidenti democristiani, appunto l’Uscs, e i partiti della sinistra e della destra. Si trattò, secondo alcuni, del primo “inciucio” della storia repubblicana; un “trasversalismo politico” in difesa dell’Autonomia contro la mafia, per i più benevoli. 22 Nel corso della stessa seduta ( 31 ottobre), il Consiglio elesse assessore effettivo al posto di Maugeri il consigliere Castiglia, comunista. Quel Castiglia che nell’agosto ’56 aveva rivolto al neoSindaco le sarcastiche domande da noi ricordate e che, successivamente, si era dichiarato “perplesso” per l’ingresso del compagno Lo Grasso in Giunta. Un certo disagio, però, lo deve aver avvertito egli stesso se sentì il bisogno di accompagnare l’accettazione dell’incarico con una sorta di spiegazione-giustificazione, (quanto persuasiva lo giudichi il lettore): “Io fin dall’inizio di questa Amministrazione ho sempre criticato l’operato del Sindaco e della Giunta ed ero restio ad accettare la nomina di assessore quando qualche amico mi ha officiato in tal senso. Però ho sentito molte critiche fuori ed ho sentito tante dicerie per cui oggi ho ritenuto opportuno accettare la nomina per poter rendermi personalmente conto di quello che c’è di vero o di falso nelle dicerie che fanno il giro del paese. Potete essere certi – è la rassicurante conclusione del neoassessore- che, qualora io vedessi che qualche cosa dell’amministrazione non va, senz’altro la denuncerò alla pubblica opinione”. 23 A parte il vorticoso valzer di dimissioni di cui abbiamo riferito, un dato che dà la misura del grave malessere che caratterizzò l’amministrazione Campo è il seguente: eletto coi voti favorevoli di soli 14 consiglieri sui 15 presenti (si astenne il comunista D’Alessandro), negli ultimi due anni della legislatura il Consiglio deliberò i vari provvedimenti con un numero di consiglieri “presenti e votanti” pressoché dimezzato (il Consiglio, in pratica, venne costantemente disertato anche da una parte della maggioranza).
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– ampliamento edificio scolastico in cui aveva sede la Scuola Media Statale (14 miloni di lire); – ampliamento edificio Scuole Elementari di Villadoro (20 milioni ); – fabbricazione edificio scolastico nella zona “Pozzi Fiera” (44 milioni); – costruzione di un altro piano sopra l’edificio della Scuola di Avviamento Professionale (25 milioni). Altri provvedimenti deliberati nell’ultimo biennio dall’amministrazione guidata da Campo furono: – sistemazione e pavimentazione strada in zona “Pozzi Fiera” (10 milioni); – loculi cimitero: il 18 marzo 1959 il Consiglio deliberava l’approvazione del progetto per la costruzione di n.172 loculi nel cimitero di Nicosia, i cui lavori (per un importo di 12 milioni) furono affidati all’Impresa Vitale Felice (nella seduta del 23 agosto 1960 il Consiglio stabiliva in lire 80 mila il prezzo per l’acquisto di ciascuno di detti loculi); – istituzione e apertura di un cantiere di lavoro per la sistemazione della Via Giacomo Matteotti, deliberata dalla G.M. il 18/2/1960 e ratificata dal Consiglio nella seduta del 23 agosto 1960 (il relativo importo era di lire 9.536.400); – progetto costruzione Palazzo di Giustizia24.
24 Relativamente a quest’ultima opera, va detto, l’Amministrazione da tempo si era attivata presso il Ministero di Grazia e Giustizia per ottenere il finanziamento necessario alla costruzione, nel comune di Nicosia, di un Palazzo di Giustizia. Il progetto, redatto dall’ing. Settimio Mastrojanni, prevedeva un importo complessivo di 170 milioni di lire. Considerato che tale cifra era “al di là delle possibilità finanziarie del Comune” si pensò di incaricare l’Ufficio Tecnico Comunale affinchè ridimensionasse tale progetto “contenendo la spesa necessaria entro i limiti da 50 a 60 milioni”. Fu appunto questo che il Consiglio, nella seduta del 31 ottobre 1959, deliberò col voto “unanime” degli unici 14 consiglieri presenti. Ma il 12 marzo 1960 la G.M. deliberava l’approvazione del progetto per l’intera spesa di 170 milioni e la richiesta di finanziamento totale dell’opera al Ministero di Grazia e Giustizia mettendo a disposizione dello stesso l’area fabbricabile di proprietà del Comune (di mq.1.225,12) sita alla via Roma, cioè attuale sede, allora identificata anche come “Curva Bruno”. Tale delibera veniva ratificata, nella seduta del 23 agosto 1960 (col voto favorevole dei “dodici consiglieri presenti e votanti” ), dal Consiglio, che diede mandato al Sindaco di avanzare istanza per il finanziamento.
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2. Gli anni Sessanta
Gli anni Sessanta, se a livello mondiale furono marcati da indimenticabili e sconvolgenti avvenimenti, quali : la primavera di Praga, la guerra del Vietnam, la crisi per i missili a Cuba, l’uccisione di Kennedy, lo scontro tra l’Unione Sovietica e la Cina di Mao, le guerre arabo-israeliane, rappresentarono per le democrazie dell’Europa occidentale un periodo di complessiva prosperità e di importanti mutamenti politici. In Italia quegli anni sono ricordati spesso come un decennio felice, come il periodo del boom economico, della prosperità, del benessere, delle grandi speranze, delle “provvidenze” distribuite a piene mani dalla Cassa per il Mezzogiorno, l’ Ente economico pubblico italiano, istituito nel 1950 dal governo di Alcide De Gasperi per favorire il progresso economico e sociale dell’Italia meridionale, attraverso il finanziamento di opere pubbliche infrastrutturali (bonifiche, trasporti, acquedotti ecc.) e interventi nel settore industriale, e colmare il divario con le regioni settentrionali. E in effetti questa crescita economica, che coincise con l’entrata al governo dei socialisti, fu reale e si tradusse in consistenti progressi sulla mentalità e sul costume. Tuttavia lo sviluppo economico non spense i conflitti politici e sociali. Basti pensare alla contestazione studentesca del ’68, che, partendo dalla protesta contro la guerra nel Vietnam e dal pacifismo giovanile americano, si era trasformata in un rifiuto più generale dei valori del consumismo, del mito del benessere, dei metodi di insegnamento troppo autoritari e in un rilancio di valori forti, quali la giustizia sociale, la pace, la parità di diritti, la lotta alla povertà e alle discriminazioni. Al Sessantotto delle lotte studentesche seguirono le lotte operaie, che in un crescendo continuo coinvolsero gran parte del Nord - soprattutto le grandi fabbriche - ma anche il Mezzogiorno d’Italia. Un particolare motivo del conflitto sociale era costituito dalla richiesta di abolizione delle “zone salariali”: lo stesso lavoro era pagato in maniera diversa a seconda della collocazione territoriale, con una netta inferiorità dei salari meridionali. Nel Mezzogiorno gli scontri con la polizia provocarono, oltre a decine di feriti, anche la morte di alcuni lavoratori. La durezza del conflitto era non solo la dimostrazione del disagio economico del Sud, ma anche della consapevolezza del mancato recupero del divario con il Nord negli anni del boom economico. Complessivamente nel corso degli anni Sessanta l’intesa tra cattolici e socialisti, sebbene abbia costituito una svolta rispetto ai governi precedenti, non fu in grado di cogliere pienamente le trasformazioni e di rispondere in modo adeguato alle esigenze di cambiamento. Nel Paese si instaurava un clima sempre più teso e drammatico che sfociò, nel pomeriggio del 12 dicembre 1969, nella strage di piazza Fontana. In quegli anni Nicosia, piccolo centro dell’interno della Sicilia, fu completamente distaccata dai problemi internazionali e nazionali e, lontana dalla politica di centrosinistra, rimase legata tenacemente e fedelmente alla Dc e fruì di tutte le agevolazioni e i finanziamenti che in quel periodo a pioggia furono riversati sul Meridione.
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Il Consiglio comunale intrappolato nel dedalo delle norme Le elezioni amministrative del novembre 1960 testimoniarono la fondamentale stabilità dell’elettorato nicosiano, fedele alla Dc, ma non furono parche di sorprese: il popolo diede un responso generoso anche all’Uscs che, pur partecipando per la prima volta alla locale lotta per le elezioni amministrative, ottenne nove seggi. Alle elezioni amministrative del 1960 furono presentate le liste di sei partiti. L’esito dello scrutinio vide piazzarsi al primo posto la Dc con 4109 voti (14 seggi), seguita dall’Uscs che ottenne 2484 voti (9 seggi), mentre la lista del Pci ne raccolse 1582 (5 seggi), seguita dal Msi con 799 voti (2 seggi), dal Pmi (=Partito Monarchico italiano) con 446 voti (1 seggio), e dal Psi con 348 voti (1 seggio). Nella seduta di insediamento del nuovo Consiglio comunale, svoltasi il 24 novembre1960, si riunirono nell’Aula Consiliare del municipio i neo eletti consiglieri:
Elezioni amministrative del 6 e 7 novembre 1960: gli eletti al Consiglio comunale.
1) Motta Salvatore, avvocato 2) Sabella Francesco, ingegnere 3) Vanadia Nicolò, ingegnere 4) Battiato Francesco, farmacista 5) Buzzone Sebastiano 6) Fascetta Salvatore 7) Tuttobene Luigi 8) Cipolla Raffaele, docente 9) Alberti Luigi 10) Trapani Giuseppe 11) Di Stefano Michele, geometra 12) La Motta Gaetano, dottore 13) Trovato Salvatore 14) Latona Leonardo 15) Cannata Nicolò, ragioniere 16) Maugeri Giuseppe, dottore
17) Pecora Mariano 18) Ugliarolo Salvatore 19) Messina Rosario, avvocato 20) Pantaleo Salvatore 21) Adamo Rosario 22) Beritelli Michele 23) Angilello Costantino, dottore 24) Circasso Annibale, insegnante 25) Lo Grasso Salvatore 26) Castiglia Filippo, docente 27) Scinardi Giuseppe 28) Domante Placido 29) La Greca Epifanio, geometra 30) Drago Giuseppe 31) Campo Rosario, docente 32) Mancuso Graziano
La seduta, apertasi con la relazione sul trascorso quadriennio del Sindaco uscente Campo e con l’augurio che la città potesse “essere amministrata da persone scevre da ideologie politiche e nell’interesse della collettività”, venne presieduta dal consigliere eletto più anziano, il cav. Michele Beritelli, che prestò giuramento, seguito da tutti gli altri consiglieri che pronunciarono, a turno, la formula di rito. Allorché si passò all’esame della condizione di ciascun eletto, per accertare che non sussistessero cause di ineleggibilità od incompatibilità con la carica di consigliere comunale (ai sensi dell’art. 5 b della Legge per la elezione dei Consigli comunali nella Regione Siciliana), vennero “ripescate per l’occasione” le solite eccezioni sulla eleggibilità di tre consiglieri: il farmacista Battiato, il dott. Maugeri, il geom. La Greca1.
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Si deve ricordare che i consiglieri della minoranza – Castiglia, Lo Grasso e D’Alessandro (ai sensi dell’art. 17 del Testo coordinato della Legge elettorale nella Regione Siciliana , che recita “Non sono eleggibili a consiglieri comunali... gli impiegati di istituzione pubblica di assistenza e beneficenza esistenti nella circoscrizione del Comune” ) avevano presentato istanza il 7. 02. 1958 circa la decadenza da consigliere comunale del dr. Maugeri , Direttore della Casa di Ricezione degli Esposti, Ente Pubblico di Assistenza e Beneficenza del Comune di Nicosia.
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Questa volta, però, a soffiare sul fuoco furono, rispettivamente, l’avv. Messina, l’avv. Motta e l’ins. Circasso, ma le motivazioni erano le stesse di quelle addotte nella precedente legislatura: il farmacista durante il servizio notturno avrebbe potuto trovarsi nella necessità di dover fornire medicinali per la condotta medica; il dottore era impiegato dell’Istituto per l’Assistenza all’Infanzia nel Comune di Nicosia; il geometra era tecnico di fiducia dell’Istituto Nazionale Gestione Imposta di Consumo (Ingic), tecnico comunale dell’Ente Comunale Assistenza (Eca) e per di più, in quest’ultimo periodo, era stato nominato anche vicedelegato regionale dell’Amministrazione Provinciale di Enna. A rilevare la infondatezza delle sollevate eccezioni di ineleggibilità a consiglieri comunali furono gli stessi “imputati”: il farmacista Battiato difese la propria posizione dichiarando che da oltre un quinquennio non forniva medicine per la condotta medica e che, se si fosse presentata l’occasione, avrebbe preferito regalare il medicinale piuttosto che cadere nel caso di ineleggibilità; il dr. Maugeri, oltre a chiedere che venisse richiamata la deliberazione del Consiglio n. 97 del 20.2.1958 e la decisione della Cpc n. 90 Gab. del 3.3.1958 ad essa relativa in ordine alla eccezione di ineleggibilità contro di lui fatta dopo l’elezione del 1956, precisò che l’incarico di Sanitario del locale Istituto di Ricezione era di natura provvisoria fino alla nomina del titolare del posto, che l’assunzione non avrebbe potuto divenire definitiva perchè subordinata a pubblico concorso e al requisito della specializzazione in pediatria, che egli non possedeva2; il geom. La Greca dichiarò di non percepire dal Comune stipendio alcuno ma solo una percentuale dalla cassa dell’Ingic, di non essere impiegato presso l’Eca ma di esplicare la sua attività di libero professionista quale consulente tecnico delle Opere Pie Ricovero Di Falco ed Ospedale Basilotta amministrate dall’Eca e fece inoltre notare che non erano eleggibili a consiglieri i Delegati e non i Vicedelegati regionali della Amministrazione provinciale. Il dibattito che seguì si concentrò su due consiglieri: Maugeri e La Greca. Tra i difensori del primo ci fu l’avv. Messina e tra gli oppositori i consiglieri Castiglia, Lo Grasso, Circasso ( cui si associò il consigliere Motta) i quali, facendo riferimento all’art. 17, ribadirono il fatto che esistevano in entrambi i casi gli elementi costitutivi del rapporto d’impiego essendoci una prestazione d’opera ed una retribuzione, così come si poteva evincere anche da una sentenza della Corte di Appello che aveva respinto il ricorso del La Greca contro l’eccezione avanzata nella precedente legislazione dall’avv. Motta, riconoscendo innegabile il vincolo di subordinazione del geometra nei confronti degli amministratori dell’Eca di Nicosia. Alle rimostranze del consigliere Maugeri che aggiunse: “E’ doloroso constatare come continua l’opera di demolizione delle minoranze nei confronti degli uomini della ex-lista Campanile: qualche anno fa è stata la Dc a privare la lista di tre dei suoi migliori uomini, oggi è la minoranza comunista che cerca di eliminare un altro degli uomini della ex-lista Campanile”, il consigliere Motta replicò: “E’ grave l’affermazione del dr. Maugeri ...La nostra è opera di moralizzazione, non di demolizione. Le nostre eccezioni tendono non a demolire la lista Campanile, ma a far rispettare le leggi” e il consigliere Lo Grasso ribadì che “l’eccezione a suo tempo sollevata dai consiglieri Dc era stata fondatissima e, se
Giuseppe Maugeri (Nicosia 1923 - Catania 1999). Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Catania nel 1948, conseguì, prima, la Specializzazione in Malattie del tubo digerente, del sangue e del ricambio presso l’Università di Pavia e, poi, quella in Medicina legale e delle Assicurazioni. Fu Direttore della Casa di Ricezione degli Esposti ( Ente Pubblico di Assistenza e Beneficenza del Comune di Nicosia) e svolse l’attività di medico di famiglia per molti anni nella città natale. Entrato in politica, partecipò alle elezioni amministrative del 1956 nella lista civica del “Campanile” (che in quelle elezioni ottenne 24 seggi su 32) piazzandosi al 2° posto (con ben 857 voti di preferenza) e, nella Amministrazione Mastrojanni, fu eletto Assessore ai Lavori pubblici e Vicesindaco. Successivamente nel 1959 aderì alla neoformazione politica “Unione siciliana cristiano-sociale” (Uscs) fondata da Milazzo e fu rieletto consigliere comunale nelle elezioni del 1960.
2 In sua difesa citò una sentenza del Consiglio di Stato del 18.10.1956 che recitava: “L’incarico di natura provvisoria alle dipendenze di una pubblica amministrazione locale fino alla nomina del titolare non dà luogo a rapporto di impiego non avendo le mansioni carattere definitivo”
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Rosario Messina (Nicosia 22.07.1921). Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Palermo nel 1947, ha svolto per lunghi anni l’attività forense, ricoprendo la carica di Vicepresidente dell’Ordine degli avvocati e (sin dal 1980) di Vicepretore presso il Tribunale di Nicosia; è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica con Decreto Presidenziale e della medaglia d’oro dal Consiglio dell’Ordine Avvocati. E’ stato anche componente della Commissione Tributaria di II grado di Enna (1978), consulente legale dell’amministrazione della nostra Provincia. Abilitato all’insegnamento di Materie giuridiche ed economiche, ha insegnato presso l’Istituto “A. Volta” di Nicosia. Socio fondatore della sezione Dc di Nicosia (1943), si staccò dal partito e, dopo aver aderito alla nuova formazione politica di Milazzo (l’Unione Siciliana Cristiana Sociale), è stato eletto consigliere comunale nella lista di tale partito nelle elezioni amministrative del 1960; eletto consigliere provinciale, ha avuto affidato l’ Assessorato alla Igiene e Sanità. Impegnato nel sociale, è stato Direttore del settimanale l’ «Eco dei monti» nel 1946 e Presidente del Lions di Leonforte.
non fosse stata da loro sollevata, sarebbero stati i consiglieri di sinistra a farsi promotori dell’eccezione nel rispetto della legalità”. In effetti l’accusa di Maugeri non appare del tutto infondata se, nella precedente legislatura, anche i consiglieri Castellana e Bruno erano stati pronti a sostenere che era stata proprio la Dc, con le sue eccezioni, a privare la cittadinanza nicosiana di un Sindaco valido (quale sarebbe stato l’ing. Mastrojanni, scelto fra l’altro non soltanto con i voti della lista Campanile, ma anche con i voti dei comunisti) e a far sì che l’amministrazione non potesse essere efficiente, danneggiando così il paese. Smarrito nel dedalo delle norme il Consiglio riuscì, tuttavia, a ritrovare la via d’uscita: venne respinta l’istanza di decadenza, deliberata l’eleggibilità dei tre consiglieri (ovviamente a maggioranza) e convalidata l’elezione di tutti gli altri trentadue - nominativo per nominativo, secondo l’ordine di elezione.
Gli Uscocchi bloccano la nomina del Sindaco Spettò all’ing. Vanadia, quale capogruppo della Dc – partito largamente votato dalla cittadinanza - preparare il terreno per l’elezione del Sindaco proponendo la lettura del programma, che fu accompagnata dall’affermazione di sentire “vivo il dovere di dare a Nicosia una amministrazione in grado di poter risolvere i suoi problemi”. Dopo la dichiarazione del capogruppo democristiano si scatenò una vera e propria gara da parte dei gruppi di minoranza che si affrettarono ad offrire il loro appoggio. Il primo fu il consigliere Drago, che, a nome del suo partito, il Msi, riconobbe alla Dc il diritto ed il dovere di amministrare il Comune e dichiarò che non avrebbe ostacolato ma appoggiato sia dall’esterno che dall’interno le iniziative della Dc, “purchè studiate, vagliate e proposte per il bene e nell’interesse di Nicosia” dal momento che i punti programmatici annunciati dalla Dc non differivano nella sostanza da quelli del suo partito. Subito dopo fu la volta dell’avv. Messina, che, in qualità di capo gruppo dell’Uscs, dichiarò che “il movimento intende partecipare all’Amministrazione Comunale come fattore attivo, ma che la Dc, alla quale ci sentiamo vicini per comunanza di idee, ha rifiutato la nostra incondizionata collaborazione ...non pensando che le strade avventurose conducono in vicoli ciechi ...Volevamo che i nostri voti convergessero alla Dc, la quale, mortificandoci, li ha respinti ... adducendo tre speciosissimi motivi: perchè siamo paracomunisti, perchè chiediamo di estromettere i fascisti dall’amministrazione, perchè siamo inferiori di numero... La Dc, assetata di potere, ha estromesso noi che siamo oro zecchino, che siamo oro colato”. Fu Motta, nella qualità di segretario della Dc di Nicosia, a rispondere alle rimostranze di Messina precisando che l’offerta di collaborazione non era stata “incondizionata” in quanto “in forza dei nove consiglieri eletti, l’Uscs ha chiesto tre assessori effettivi - di cui uno con la carica di vicesindaco – sui quattro spettanti al Comune di Nicosia. A parte questo la Dc non poteva accettare i voti da parte di chi è in combutta con i comunisti, con un partito il cui giornale pubblica in prima pagina con soddisfazione la notizia che in Sicilia 131 Comuni sono andati ai comunisti”. E concludeva la sua arringa lanciando un appello a tutti quelli “che si sentono legati al paese perchè rendano possibile che la Dc, che ha avuto il maggiore consenso da parte dell’elettorato, possa con serenità lavorare per la realizzazione del programma stesso”. 34
Dalle parole di Motta trapelava che forse gli accordi sottobanco erano già scattati e che il “gioco per il possesso del palazzo di città” andava ben oltre la volontà dei cittadini votanti, anzi sembrava proprio che questa contasse poco o quasi nulla. Legittime, pertanto, le parole di Maugeri: “E’ strano il comportamento del consigliere Motta. Ieri con la passata amministrazione ci chiamava per mettere in difficoltà il Sindaco Campo, oggi ci respinge con la motivazione che siamo paracomunisti. La legge proporzionale vuole evitare l’abuso di potere”; ed altrettanto legittimo e determinato il comportamento di Messina, che, dopo aver proposto di rinviare di otto giorni il Consiglio per dare maggiore possibilità alla Dc di rivedere ed esaminare la loro proposta di collaborazione (da lui stesso definita “indispensabile premessa per un sicuro progresso della cittadinanza”), insieme agli altri consiglieri del suo gruppo e di quello del Pci-Psi, abbandonava l’aula. Saltava così la possibilità di eleggere il Sindaco a causa dell’atteggiamento “ostruzionistico” (la definizione era del consigliere Vanadia) dei gruppi dell’Uscs e dei socialcomunisti.
Fumata bianca: Motta è il nuovo Sindaco Ad aprire il dibattito sull’elezione del Sindaco nella seduta del 2 dicembre 1960 fu Messina, che, dopo aver chiesto alla Dc se avesse riesaminato l’offerta di incondizionata collaborazione fatta dal gruppo Uscs e precisato che dalla risposta sarebbe dipeso il comportamento del suo gruppo, “gettò un sasso” affermando che, qualora la maggioranza si fosse costituita per il passaggio di qualche elemento che avesse posposto al proprio interesse quello della collettività, questa non avrebbe potuto reggersi. A dimostrazione che gli Uscocchi avevano subdorato che la Dc si era accordata con il Msi e l’ aveva anche convinto ad appoggiare la lista di maggioranza, fu l’immediata risposta del consigliere Campo, che, sentendosi chiamato in causa, uscì allo scoperto dichiarando di voler appoggiare dall’esterno, senza chiedere nessuna carica, la lista di maggioranza lasciandole la libera scelta degli uomini che avrebbero dovuto far parte dell’amministrazione comunale. La dichiarazione di Campo fu elogiata da Vanadia che sottolineò la incondizionata e disinteressata collaborazione del consigliere, ma suscitò la pronta reazione di Circasso che non perse l’occasione per sottolineare come la Dc, che aveva sempre predicato la correttezza, avesse condotto un’operazione losca, chiedendo a tutti i consiglieri - prima ancora della riunione del Consiglio - la collaborazione a titolo personale e respingendo la collaborazione dell’Uscs e dei marxisti. Di fronte all’evidenza di un’alleanza ormai combinata, Messina – appoggiato da Maugeri - si decise a portare avanti la sua linea “ostruzionistica” affermando che gli Uscocchi avrebbero appoggiato la Dc a condizione che l’uomo preposto alla carica di Sindaco fosse ben visto da tutti i gruppi consiliari ed avesse la fiducia di tutti i trentadue consiglieri; propose, quindi, come Sindaco il consigliere prof. Cipolla “uomo ben visto, stimato, unico individuo che possa dedicarsi disinteressatamente all’amministrazione del nostro paese, evitando che possa aprirsi una combinazione di centro destra”. E, allorquando il consigliere Cipolla declinò l’invito, il consigliere Vanadia redarguì l’avv. Messina con le parole “Non riuscirà questa volta nell’intento di perdere tempo polemizzando” e , passando alle vie brevi, dichiarò che il candidato a Sindaco per la Dc era Motta e indisse la votazione. Ma i guai per la Dc non erano ancora finiti... 35
Il neoeletto Sindaco Motta riceve gli auguri dal Sindaco uscente prof. Rosario Campo (immediatamente dopo la votazione).
Messina, dimostrando di non essere disposto a mollare nemmeno di un millimetro, impugnò la procedura della votazione, sottolineando che “ in barba al disposto di cui all’art. 205 del T.U. regionale della legislazione in materia comunale - da lui precedentemente richiamato e sottolineato dal Presidente - che prescrive che il Sindaco venga eletto a scrutinio segreto per maggiore e ampia garanzia di segretezza, ben dieci consiglieri, vicendevolmente controllandosi, hanno espresso apertamente il voto”. Chiese, pertanto, che le schede venissero ritirate e dichiarate nulle o quanto meno che venisse invalidata l’intera votazione per la manifesta violazione della citata disposizione, perchè la segretezza del voto non poteva essere intaccata dallo strapotere della Dc. A Motta, che così tuonava “…si è data dimostrazione da parte degli Uscocchi e dei comunisti che non si vuole dare un’amministrazione a Nicosia, viste le discussioni demagogiche, l’abbondanza delle polemiche ostruzionistiche e il tentativo di invalidare la elezione del Sindaco”, rispose Messina sostenendo che la loro richiesta era stata faziosamente ritenuta ostruzionistica, mentre era intendimento del suo gruppo battersi perchè la seduta consiliare e con essa tutte le operazioni, compresa l’elezione del Sindaco, avvenissero secondo legge. A seguito di una votazione fatta per scrutinio segreto l’avv. Motta, che ricevette diciotto voti contro i quattordici del prof. Cipolla, venne eletto Sindaco. Dal suo discorso preliminare emersero alcune considerazioni: il suo desiderio di essere sostenuto da tutti i lavoratori di Nicosia data la sua estrazione sociale, rimarcata dall’espressione che anche lui proveniva “da una famiglia di lavoratori”, la sua volontà di rendere edotto il popolo di tutte le decisioni e l’augurio, rivolto all’ex-Sindaco Campo, affinché fosse eliminato ogni residuo polemico. Nella stessa seduta su proposta del Sindaco neoeletto si procedette, con le stesse modalità della votazione del Sindaco, alla nomina della Giunta.
Elezioni amministrative del 6 e 7 novembre 1960: componenti la Giunta municipale.
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Assessori titolari:
Assessori supplenti:
Vanadia ing. Nicolò
Cipolla prof. Raffaele
Sabella ing. Francesco
Battiato farm. Francesco
Buzzone Sebastiano La Greca geom. Epifanio3
Dimissionario, perché nominato Consigliere provinciale, e sostituito da Fascetta Salvatore il 27 giugno 1964 .
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Il Sindaco Motta ringrazia il Consiglio comunale dopo la sua elezione. Nella foto si riconoscono (da sinistra) l’avv. Battiato, l’avv. Stivala e il sig. Celfo.
Mozione di sfiducia della minoranza I leader dell’Uscs, del Pci e del Psi ed alcuni consiglieri firmarono, in data 10 febbraio 1961, la mozione di sfiducia nei confronti del Sindaco Salvatore Motta e della Giunta. Unica voce fuori del coro: quella di Costantino Angilello che inviò una lettera in cui dichiarava di ritirare la firma apposta sulla mozione di sfiducia. I consiglieri della minoranza, nella seduta consiliare del 18 successivo, lamentarono il fatto che, nonostante fosse stata presentata la mozione di sfiducia contro il Sindaco e la Giunta e fosse doveroso discutere su di essa, erano state portate in Consiglio altre tematiche, quali: la sostituzione - del tutto inopportuna, data la vicinanza del decesso avvenuta il 15 gennaio 1961- del consigliere Battiato; la nomina dell’assessore supplente al posto del compianto farmacista; e il riesame della convalida o meno della elezione a consiglieri comunali di La Greca e Maugeri. Anzi, incalzando la maggioranza, chiesero al Consiglio di rinviare la convocazione “perchè la stessa, attesa la negata fiducia alla G.M. ed al Sindaco da parte dei consiglieri dell’Uscs, del Pci e del Psi, va anteposta alla discussione odierna, non potendo i consiglieri suddetti ratificare con la loro presenza o porre nel nulla quanto oggetto della loro negata fiducia”. La Presidenza, però, rilevò che il termine utile per la discussione presentata il giorno undici incominciava a decorrere dal diciannove, mentre era indilazionabile la trattazio37
ne degli argomenti posti all’ordine del giorno, perchè la vita del Comune non poteva subire soste. Nonostante l’intervento di Messina, che contestò energicamente l’illegale surroga di Battiato, disposta unicamente dal solo presidente senza che il Consiglio si fosse pronunziato in proposito, si procedette ugualmente alla nomina del geom. Filippo Scardino, invitato dal Sindaco a prestare giuramento e furono riesaminate le condizioni di eleggibilità dei consiglieri Maugeri e La Greca, problema quest’ultimo che venne superato grazie ad un cavillo burocratico evidenziato da entrambi i due consiglieri4. Non erano stati rispettati, infatti, i termini perentori di notifica, per cui il Consiglio rigettò le sollevate eccezioni a carico dei consiglieri e ne convalidò l’elezione. Si ritornò sulla mozione di sfiducia circa due mesi dopo, nella seduta dell’11 aprile, quando la Presidenza dispose il prelevamento dell’argomento - posto al n. 48 dell’ordine del giorno - giustificandolo con l’affermazione che voleva fare cosa gradita ai consiglieri dell’opposizione, dal momento che avevano richiesto con insistenza che l’argomento fosse trattato con urgenza. Disappunto e preoccupazione “per questi movimenti a sorpresa della maggioranza e per questi raggiri” espressero i consiglieri dell’opposizione, Castiglia, Circasso, Messina, Maugeri, che, vedendosi rifiutata la richiesta di seguire la successione degli argomenti all’odg, avanzarono l’ipotesi che la spiegazione di questo prelevamento fosse riconducibile al fatto che i consiglieri della maggioranza, forti del loro numero e fiduciosi nel rigetto della mozione di sfiducia e nel conseguente abbandono dell’aula da parte dei consiglieri che avevano firmato la mozione, avrebbero potuto - da soli e indisturbati - continuare a trattare i punti all’odg. Nonostante i consiglieri dell’opposizione avessero sottolineato che ogni contraria decisione avrebbe costituito una sfida, un’offesa, un atto “antidemocratico ed irrispettoso” nei confronti di una minoranza che, pur essendo tale, rappresentava larga parte dell’elettorato nicosiano, oltre ad essere un grave oltraggio alla legge e un abuso della maggioranza consiliare, la Presidenza mise ai voti il prelievo dell’argomento e, con 19 voti su 32 votanti, deliberò di trattare la mozione di sfiducia. Venne data lettura dell’istanza presentata dai consiglieri dell’opposizione e da essa emerse che la Giunta comunale, con la presenza di elementi del Msi, costituiva una forma di Amministrazione che non solo non rispecchiava la volontà dell’elettorato espressa il 6-7 novembre 1960, ma anche non trovava sostegno nel dettato della Costituzione della nostra Repubblica (il cui fondamento risiede nella ripulsa morale e politica del fascismo); per di più la maggioranza non aveva sentito il bisogno di rispondere alle interrogazioni e alle interpellanze, creando ragione di discredito e di intolleranza ed aveva presentato un programma privo di qualsiasi garanzia di socialità in favore delle masse meno abbienti e di tutti i lavoratori. Ai motivi che avevano dettato la mozione, i consiglieri ne aggiunsero altri, tra cui: la mancata valorizzazione da parte della Giunta delle ricchezze del sottosuolo esistenti nel territorio del Comune il cui sfruttamento avrebbe potuto dare lavoro a tanti operai costretti ad emigrare; lo scarso interessamento per l’indu-
4 L’art. 60 2° comma del T.U. delle Leggi per la elezione dei Consigli comunali nella Regione Siciliana D.P. 20.8.1960 n.3 stabiliva, infatti, che i ricorsi in materia elettorale dovessero essere notificati alla parte interessata entro 30 giorni dalla pubblicazione della decisione impugnata. Ma il ricorso presentato dai consiglieri Castiglia e Lo Grasso avverso l’elezione del geom. La Greca e quello presentato avverso l’elezione di Maugeri, che avrebbero dovuto essere presentati entro il 27.12.1960, essendo la deliberazione impugnata pubblicata il 27.11.1960, vennero notificati ( ironia della sorte!) il 28.12.1960.
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strializzazione della nostra zona, per gli agricoltori colpiti dalle avversità atmosferiche e per l’organizzazione dell’igiene e dell’assistenza agli anziani e ai bisognosi; ed, infine, la mancata presentazione del bilancio di previsione 1961. Evidentemente le parole suonarono come macigni per la maggioranza che bocciò tutte le richieste dell’opposizione - rinvio della seduta, sospensione per mezz’ora e richiesta di Messina di avere la parola per la dichiarazione di voto costringendo i consiglieri della minoranza ad abbandonare l’aula in segno di protesta e si affrettò, forte dei suoi diciannove consiglieri, a respingere la mozione di sfiducia.
Mozione d’ordine e deliberazioni d’urgenza per mettere il bavaglio alle minoranze? Ma le dimostrazioni di forza da parte della maggioranza non erano sporadiche... Nella seduta del 7 marzo una mozione d’ordine, avanzata dal consigliere Vanadia affinché si procedesse nella trattazione degli argomenti posti all’ordine del giorno, pose termine alle considerazioni di Circasso che, infastidito dal fatto che la Dc non aveva ancora estromesso il Msi dalla Giunta Municipale, sottolineava l’estraneità della Dc nicosiana (“La Dc a Nicosia dorme”) dalla politica nazionale e regionale, la quale invece aveva avviato una nuova formula di governo, quella di centro-sinistra, destinata a garantire una più larga base di consenso nel paese e una maggiore stabilità governativa, in cambio di una politica di riforme che rispondesse più adeguatamente alle esigenze e agli interessi di quei ceti popolari rappresentati politicamente dai partiti di sinistra. Le interrogazioni di carattere sociale di Circasso che sosteneva che “eliminando il concetto borbonico nella amministrazione del Comune” si sarebbero potuti affrontare problemi non risolti che determinavano una profonda crisi, o meglio una vera e propria tragedia per i lavoratori che si vedevano costretti ad emigrare per risolvere i problemi economici, furono tacciate subito da Vanadia come “interventi demagogici e tentativi di seminare discredito sulla attuale amministrazione” e da La Greca come “comizi di piazza” contro il gruppo del Msi pronto a restare in Consiglio ed a “sbarrare il passo ai comunisti e ai loro affiliati”. Con acutezza e stizza, Messina osservava che la mozione d’ordine “gratuita e prepotente” aveva un duplice fine: quello di impedire che venisse reso pubblico che “l’Amministrazione, in aperto disprezzo alle dichiarazioni del Segretario della Dc in vista delle dimissioni del Msi, intende mantenere salda l’amicizia con i fascisti già segregati a Roma e a Palermo”; e quello di troncare la discussione privando i consiglieri d’opposizione del diritto di accusare i rappresentanti della Dc locale per aver rifiutato la collaborazione degli Uscocchi, adducendo il pretesto di non poter estromettere dalla costituenda amministrazione i fascisti per precise disposizioni impartite dai competenti organi regionali. Votata a maggioranza l’accettazione della mozione d’ordine, proposta dal consigliere Vanadia, si passò alla ratifica delle deliberazioni d’urgenza, che essendo di numero spropositato (44 per l’esattezza) indussero Messina e Castiglia a ribellarsi. Il primo tuonò così: “ Questo è un sistema dittatoriale che va eliminato. Se l’art. 201 dà facoltà all’amministrazione di adottare deliberazioni d’urgenza, ciò può avvenire soltanto quando vi è effettiva urgenza di provvedere. E’ deplorevole che si metta il Consiglio davanti a fatti compiuti”. E il secon39
Annibale Circasso nasce a Pisino (PolaIstria) il 12.04.1929 e , dopo aver conseguito il Diploma Magistrale, inizia la sua carriera di insegnante elementare. Entra a far parte del movimento separatista già nel 1944, anno in cui fa il suo primo comizio in Piazza Garibaldi. Crollato questo movimento, all’età di 18 anni si inscrive al Pci, all’interno del quale ricopre la carica di Segretario della sezione di Nicosia “Carlo Marx” e di componente della Segreteria e della Direzione provinciali. E’ eletto Consigliere comunale nelle tre tornate elettorali del 1960, 1964 e 1970, anno in cui abbandona questa carica ed opta per quella di Consigliere provinciale (carica che mantiene per ben quattro legislature). Nel 1990, finita la legislatura provinciale, continua la sua attività politica a Nicosia, quale componente del Comitato direttivo e, allorché si scioglie il Pci, aderisce al Pds, poi al partito dei Ds ed, infine, al Partito Democratico di Veltroni; all’interno di tale formazione politica fa parte del Direttivo con la funzione di Presidente Onorario.
do, a sua volta: “I consiglieri della maggioranza così facendo ledono i poteri del Consiglio. E’ necessario che ciascun consigliere possa dare il suo suggerimento in ordine alle pratiche che vengono sottoposte al vaglio del Consiglio comunale. Speriamo che finisca la consuetudine di mettere i consiglieri di fronte al fatto compiuto e di trattarli come pappagalli”.
In cammino verso la realizzazione del programma Antonio Romano (Grottaminarda 1895 Roma 1976). Magistrato fin dal 1928, fu trasferito da Cuneo a Nicosia, dove sposò Sarina Insinga. Nominato Presidente del Tribunale subito dopo l’ingresso delle truppe americane in Sicilia, fu eletto deputato all’Assemblea Costituente nella lista della Dc. Nelle elezioni politiche del 1948 fu eletto al Senato della Repubblica e rieletto nel 1953 e nel 1958. Nell’ultima legislatura fu Sottosegretario di Stato al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, pur continuando ad esercitare le funzioni di Consigliere della Corte di Appello di Roma e poi di Consigliere di Stato. Si interessò per lo sviluppo urbanistico delle strutture pubbliche in provincia di Enna e, in particolare, per il Palazzo di Giustizia e gli Uffici postali di Nicosia.
Il programma, presentato dalla Dc al Consiglio nella prima seduta successiva alle elezioni amministrative del 1960, intitolato “Un programma concreto per una amministrazione sana ed efficiente”, era abbastanza articolato e caratterizzato da misure “innovative”: dalla realizzazione di opere pubbliche (un nuovo acquedotto che rispondesse alle aumentate esigenze della città, la captazione di sorgenti per il rifornimento idrico, una migliore viabilità interna), alla formazione di un piano regolatore edilizio, dalla costruzione di edifici pubblici (Palazzo di Giustizia, Palazzo delle Poste, ecc.), allo sviluppo dell’edilizia scolastica e al miglioramento dei servizi sociali. Un programma che al momento della presentazione parve “faraonico” al consigliere Circasso, che fra l’altro evidenziò la mancanza in esso di qualsiasi riferimento alle rivendicazioni delle classi lavoratrici in ordine allo sfruttamento dei giacimenti dei sali potassici e allo sfruttamento della S.G.E.S.(Società Generale Elettrica della Sicilia). In effetti, però, tra il 1961 e il 1964 l’Amministrazione si accinse a porre le basi per concretizzare quanto promesso. Intanto, proprio nel 1961, grazie all’interessamento dell’on. Romano, fu completata e inaugurata la succursale delle Poste e Telecomunicazioni con sede a Santa Maria Maggiore. A distanza di qualche anno venne anche inaugurata la sede centrale delle Poste e Telecomunicazioni, per cui l’ufficio venne spostato da Piazza Marconi nella nuova sede in via Bernardo di Falco (sede sorta sul suolo ceduto dal Comune con delibera del 31/10/1959, in seguito alla delibera della Giunta del 26/9/1959).
Succursale delle Poste e Telecomunicazioni (località S. Maria Maggiore).
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Inaugurazione della succursale dell’Ufficio postale a S.Maria (1961) Il sen. Antonio Romano, sottosegretario alle Poste e Telecomunicazioni, taglia il nastro. Sono presenti le autorità: il Sindaco Motta e l’avv. Schillaci (a destra nella foto) e mons. Gaddi, vescovo di Nicosia (a sinistra).
Inoltre il Consiglio, che aveva approvato il progetto relativo al Palazzo di Giustizia, redatto dall’arch. Settimio Mastrojanni e dall’ing. Sebastiano Siragusa, avviò le pratiche per ottenere da parte del Banco di Sicilia un mutuo che avrebbe dovuto essere coperto con i contributi dello Stato (ai sensi del disposto dell’art. 2 della legge 15.2.1956 n. 26), e nel frattempo contrasse con il Banco di Sicilia un mutuo di 170 milioni di lire con garanzia dello Stato al tasso del 7% (poi abbassato al 6,50%) e con la clausola di estinzione in 20 annualità. E nell’aprile del 1963 fu posta la prima pietra del costruendo Palazzo di giustizia. Nella seduta del 15 dicembre vennero espropriati e acquistati dal Comune i terreni di proprietà dei germani Saccone per cederli all’INA Case, affinché fossero costruite case popolari. Il Consiglio affrontò anche il problema dell’approvvigionamento idrico della città, da sempre motivo di disagio di tutta la popolazione e di preoccupazione per gli amministratori specie dopo che Nicosia perse l’occasione di sfruttare la sorgente Grotticelli (in seguito ad un decreto di revoca di concessione) e potè solo avvalersi di sorgenti di modestissima portata (8-9 litri al secondo) in contrada Ciarambelliere ed affidò all’ing. Faranda di Roma l’incarico di progettare una nuova rete interna di distribuzione idrica per un importo di 250 milioni di lire. Grazie ad una delibera del 24 agosto 1962 furono affidati incarichi a tecnici liberi professionisti per la redazione di progetti relativi all’ ammodernamento di strade interne, di fogne e acquedotti in vari quartieri di Nicosia e nella frazione di Villadoro,5 fruendo della legge regionale 15-12-1961, n.25, con cui fu istituito un fondo di 500 milioni di lire a favore dei Comuni nel cui territorio ricadeva il giacimento metanifero di Gagliano Castelferrato, destinato alla progettazione ed esecuzione di un piano di opere straordinarie a prevalente carattere di propul-
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Per esattezza d’informazione si ritiene opportuno ricordare che all’ing. Castellana venne affidata la sistemazione di Via Arena (importo: £ 10 milioni); all’ing. Sabella quella del quartiere Mammafiglia (importo: £ 30 milioni); ai geometri Filippo Raspanti e Carmelo Belfiore quella del quartiere S. Biagio (importo: £ 40 milioni), al geom. Giuseppe Ferro quella di Via S.Andrea (importo: £. 10 milioni); ai geometri Raffaele e Giuseppe Mocciaro la sistemazione di Via Belviso (importo: £. 10 milioni); al geom. Damiano Albanese quella di Via Vittorio Emanuele in Villadoro ( importo: £. 10 milioni)
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Inaugurazione dell’Ufficio delle Poste e Telecomunicazioni (Via Bernardo di Falco). Il Sindaco Motta pronuncia il suo discorso alla presenza di autorità e dell’ing. Sabella (nella foto 3° da sinistra.
Ufficio centrale delle Poste e Telecomunicazioni (Via Bernardo Di Falco).
sione allo sviluppo industriale, nonché a carattere igienico-sanitario, sociale e di miglioramento della rete viaria. Nicosia, infatti, come a suo tempo sottolineò la Presidenza, era stata inclusa (insieme a Nissoria, Agira, Troina, Cerami, Regalbuto, Gagliano Castelferrato) nel gruppo dei Comuni che beneficiavano delle disposizioni di legge per interessamento dell’on. D’Angelo, presidente della Regione Siciliana, a cui spettava di stabilire la ripartizione del fondo e le modalità di impiego in base alle richieste avanzate dai Consigli comunali interessati. Altro traguardo fu l’elettrificazione di alcune contrade (Magnana, Paravola, Marrigo, S.Basile, Vaccarra, S.Giovanni, Gambero, Castagna, Spirini) e l’ammo42
da “La Sicilia”, 7 Aprile 1963.
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dernamento ed ampliamento della rete di distribuzione dell’energia elettrica per l’illuminazione pubblica del paese, cui si aggiunse l’istituzione del servizio telefonico in molte contrade rurali ( S.Agrippina, S.Basile, Vaccarra, Noci, S.Paolo, S.Onofrio, Valpetroso, Pioppo, S. Giacomo, Castagna, Marrocco, Gambero, Milletarì, Valle dei Giunchi, Mancipa, Parrizzo, Spirini, Fontana di Piazza, Pietralunga, S.Giovanni, Paravola, Cannella, Magnana) e del servizio telefonico notturno (dalle ore 22 alle ore 8 del giorno successivo) all’interno del Comune. Il Consiglio fu chiamato più volte a votare l’opportunità di contrarre mutui con la Cassa depositi e prestiti6 per la costruzione di opere pubbliche e di edifici scolastici elementari. L’Amministrazione si impegnò, inoltre, a potenziare il settore dell’istruzione offrendo ai giovani altre opportunità per i loro studi, consentendo a quelli di Nicosia di rimanere nella propria sede ed assorbendo gli studenti provenienti dai paesi viciniori. Furono conquiste degli anni Sessanta l’istituzione sia di una sezione staccata dell’Istituto Tecnico per Geometri di Enna, sia di una sezione staccata dell’Istituto Professionale Femminile di Piazza Armerina, mentre furono avanzate istanze per l’istituzione a Nicosia di una sezione dipendente dall’Istituto Commerciale di Enna e per la statizzazione del Liceo Classico. Fu in questo periodo garantita la partecipazione del Comune di Nicosia al Consorzio per lo sviluppo turistico della provincia di Enna ed al Consorzio per l’area di sviluppo industriale dell’ Ennese di cui fu approvato lo Statuto ( composto da 23 articoli ed inviato a tutti gli altri Comuni dal Sindaco del Comune di Enna, che si era fatto promotore della costituzione del Consorzio fra i Comuni e gli Enti pubblici della provincia ) e si affrettarono ad eleggere, come rappresentanti del nostro Comune per la costituzione del Consiglio Generale, gli avvocati Salvatore Motta e Francesco Insinga. Importante per lo sviluppo edilizio di Nicosia fu la delibera del 27 giugno 1964 con cui venne dato incarico all’ing. Franco Mastrorilli di Palermo e all’ing. Giuseppe Milici di redigere il Piano regolatore7 in ottemperanza alle disposizioni vigenti che obbligavano i Comuni a redigerlo. Mossa strategica fu quella di assicurarsi il sostegno del personale organico generale attraverso l’approvazione di un Regolamento che innovava lo stato giuridico ed economico dei dipendenti comunali.
Statizzazione del Liceo classico Nei primi anni Sessanta, esattamente con D.P.R. del 30/9/1962, venne istituito il Liceo Ginnasio Statale “Fratelli Testa”, il quale nell’anno scolastico 196263 inglobò le classi del Ginnasio e fissò la sua sede in Via Vittorio Emanuele n. 17, in un edificio ristrutturato nel secondo dopoguerra che originariamente era un antico palazzetto nobiliare ( appartenente al cav. Gregorio Speciale), e che successivamente era stato acquistato dal Comune per farne una “ Casa degli studi ” a struttura universitaria. A Nicosia esisteva, sin dal 1929, il “Regio Ginnasio” intestato ai “Fratelli Testa”- due tra i più eminenti cittadini nicosiani vissuti nel 6
La Cassa depositi e prestiti, istituita nel 1863 subito dopo l’unità d’Italia, era sostanzialmente la Banca di Stato, facente capo al Ministero del Tesoro, la quale, come suggerisce il nome, riceveva in deposito denaro, titoli di stato di enti locali e, soprattutto, del risparmio postale (buoni postali fruttiferi). Il denaro incamerato serviva, appunto, a erogare prestiti a enti locali (Comuni, Province e Consorzi) per opere di utilità pubblica a tassi inferiori a quelli di mercato. 7 La spesa di redazione del progetto ammontava a £.10.757.376 e gravò per metà sul bilancio dell’Assessorato Regionale per lo sviluppo economico e per metà sul bilancio comunale.
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Settecento: Francesco, arcivescovo, storico e letterato, e Alessandro, giurista – ma mancava il triennio del Liceo classico. Pertanto, agli inizi degli anni Cinquanta, grazie all’iniziativa di tale prof. Benedetto Virzì si ebbe l’istituzione di un liceo classico privato, che il 26 maggio 1952 ottenne, con Decreto dell’Assessorato Regionale alla P.I., il riconoscimento legale, ovvero la concessione di parificazione. Nel 1954 l’Amministrazione comunale, guidata dal Sindaco Salomone, pose con lodevole determinazione il problema della istituzione di un Liceo classico statale. Merita di essere sottolineato, in particolare, l’impegno del prof. Vincenzo Nisi, che all’epoca docente di materie letterarie al Ginnasio Statale, nella qualità di assessore alla Pubblica Istruzione, nonché di vicesindaco, nella seduta del Consiglio comunale del 31 agosto ’54 intervenne per richiamare l’attenzione sulla importanza dell’istituzione, a Nicosia, di un Liceo classico statale. E lo fece, bisogna sottolineare, con una lunga relazione e così ben articolata nell’illustrare le motivazioni e le ricadute socio- culturali sul territorio, ma soprattutto così appassionata, come solo un uomo di scuola che crede fortemente – anche per la propria storia personale - nella cultura come strumento di elevazione spirituale e materiale può fare. Di quella relazione riportiamo, di seguito, alcuni significativi stralci. “Una città che vanta una storia culturale come la nostra, che è sede di Diocesi e di Seminario, di Tribunale, di Compagnia dei Carabinieri, di Direzione didattica, di una fiorentissima Scuola Media e Ginnasio, di una pregiosissima Biblioteca, che sta nella prima terna delle città più importanti e più popolate della provincia, ha diritto a sollevarsi sempre più e a completarsi culturalmente. Se i tempi trascorsi ci sono stati avversi, per tante circostanze che ora non è il caso di ricordare, è tempo che uno dei suoi problemi, quello del Liceo, venga risolto. La mancanza del Liceo classico statale è elemento di scoraggiamento per le famiglie che temono per l’avvenire dei figli in considerazione delle gravose spese che dovranno sostenere per avviare i figli verso la città. Non abbiamo ferrovia, non abbiamo facili comunicazioni, e non solo il popolo, ma neppure la classe impiegatizia, che è quella che dà maggiore alimento umano alla Scuola, trova il modo di affrontare serenamente il problema della prosecuzione degli studi per i propri figli. L’istituzione del Liceo classico statale sarebbe anche la soluzione dello stesso problema per i paesi al nostro vicini e che a noi guardano con speranza – Sperlinga, Cerami, Troina, Capizzi, Villadoro, Gagliano, Nissoria, Agira, Gangi - che hanno da sempre riversato i loro giovani nel nostro centro perché vicino, perché comodo, poco dispendioso, e il Liceo di Nicosia assolverebbe il compito di alleviare gli enormi sacrifici finanziari sostenuti finora, di incoraggiare quelli che si dispongono alla rinuncia o hanno già rinunziato. Il problema dell’Istituzione del Liceo classico statale a Nicosia è una esigenza essenzialmente umana, sociale, di educazione e di previdenza, che noi abbiamo l’obbligo di portare a soluzione con ogni sforzo, con ogni impegno”. Ma quello della istituzione, a Nicosia, di un Liceo classico statale era, o almeno tale si è rivelato, un obiettivo di medio-lungo termine. Ancora nell’ottobre ’58 il consigliere Filippo Castiglia affermava in Consiglio comunale: “In considerazione dei buoni risultati avuti dal Liceo comunale sollecito l’amministrazione perché si occupi e si preoccupi a che il liceo stesso sia statizzato”. Va, infatti, ricordato che nell’attesa del provvedimento di statizzazione, l’amministrazione 45
Vincenzo Nisi (Nicosia 1921,Catania 2006). Laureatosi in Lettere nell’anno accademico 1945/ 1946 presso l’Università di Lettere di Catania, fu docente di lettere fino al 1962, anno in cui ottenne la nomina di Preside del Liceo classico “Fratelli Testa” di Nicosia, occupando tale carica fino al pensionamento avvenuto nel 1979. Uomo di grande cultura vinse più borse di studio internazionali che gli permisero di insegnare in America presso l’Università di Buffalo e presso le Scuole superiori di Paterson e di Newton. Militante nella Dc, fu consigliere comunale ed assessore alla Pubblica istruzione e alla Sovrintendenza della Biblioteca comunale dal 1952 al 1956.
comunale aveva assunto a proprio carico la gestione del Liceo parificato di Virzì. Il passaggio di gestione dall’ex – proprietario al Comune era stato deliberato dal Consiglio comunale nella seduta del 31 ottobre 1955. La pratica di trasferimento di gestione sarebbe stata perfezionata nel giugno dell’anno successivo, con la stipula del contratto tra il Comune e il Prof. Benedetto Virzì. E così dall’anno scolastico 1956-57 fino al 1961-62 si ebbe un Liceo classico comunale, che continuava a portare il nome dell’ex proprietario Virzì. Giusto quattro anni dopo la delibera consiliare, relativa al passaggio di gestione, il Consiglio comunale (amministrazione Campo) nella seduta del 31 ottobre ‘59 deliberava di dar mandato al Sindaco perché avanzasse istanza al Ministero della P.I. per la statizzazione del Liceo comunale. Ma bisognò attendere il 1962 perchè venisse istituito (con D.P.R. n.1978 del 30.9.1962) il Liceo Ginnasio Statale “Fratelli Testa”, che nel giro di pochissimi anni raggiunse buoni risultati grazie alla professionalità, alla tenacia e alla fiducia nell’azione del preside Vincenzo Nisi, che realizzò una struttura organizzativa impensabile per quei tempi, fornendo la scuola di una ricchissima biblioteca e di un attrezzatissimo laboratorio scientifico. Egli gettò le basi per un ampliamento dell’istituto che, nell’anno scolastico 1990/91, accorpò l’Istituto Magistrale “Pietro Vinci”, ubicato in Contrada Magnana inizialmente per quel solo anno e, poi, definitivamente nel 1995. In seguito all’applicazione del Piano Brocca nel 1996, il Magistrale con la nuova denominazione di Liceo Socio–psico–pedagogico divenne il secondo indirizzo presente nel Liceo “Fratelli Testa”, e successivamente, nel 1999, il Liceo si arricchì di un terzo indirizzo: il Liceo delle Scienze Sociali.
Quale l’origine dei massicci investimenti? Quando l’Amministrazione comunale presentò il bilancio preventivo 1961, che ammontava a 700 milioni di lire a fronte di quello del 1960 che ammontava a poco meno di 280 milioni di lire, molti si chiesero da dove provenissero queste nuove fonti di ricchezza e, forse anche oggi, la domanda si ripropone. Per poter giustificare una così articolata politica delle infrastrutture e un bilancio così nutrito, bisogna guardare al contesto italiano degli anni Sessanta. Era il periodo in cui la Cassa per il Mezzogiorno metteva a disposizione dei Comuni e delle grandi industrie pubbliche e private nazionali un’incredibile quantità di agevolazioni e incentivi, una pioggia di finanziamenti per rafforzare le industrie elettrica, siderurgica, chimica e petrolchimica nel Sud, specie in seguito alla scoperta di giacimenti petroliferi e di metano in alcune zone della Sicilia orientale, all’’istituzione dell’Eni (Ente petrolifero italiano), nel 1953, e all’emanazione nel 1957 di una legge che obbligava le imprese a partecipazione statale a localizzare il 40% dei loro investimenti nel Mezzogiorno. A Gagliano Castelferrato, per esempio, l’ENI aveva scoperto un giacimento di metano ed Enrico Mattei, il 27 ottobre 1962, si era recato nella cittadina dove aveva rassicurato i Siciliani che il metano sarebbe rimasto in Sicilia “per le industrie, per tutte le iniziative e per quello che la Sicilia dovrà esprimere”. Prima di partire da Catania Fontanarossa era anche venuto a Nicosia, dove aveva incontrato il Sindaco Motta, monsignor Vitale ed i notabili del paese, promettendo loro la costruzione di un Motel nel nostro paese. E fu proprio grazie alla Cassa per il Mezzogiorno, che Nicosia poté sperare in 46
L’on. Enrico Mattei, (nella foto al centro tra il sac. Stazzone, il Sindaco Motta e, in primo piano, l’on. D’Angelo), in visita al municipio di Nicosia.
L’on. Mattei a colloquio con il Sindaco Motta, l’on. D’Angelo (Presidente della Regione) e mons. Vitale.
un nuovo acquedotto, costruito a totale carico dell’Ente, che aveva approntato ed inviato all’esame ed all’approvazione dei competenti organi deliberanti un progetto di massima per la costruzione dell’acquedotto dell’Ancipa a patto che ne avesse affidato all’Ente Acquedotti Siciliani (E.A.S.) le opere e la gestione. E allo stesso modo, fu grazie ai lauti contributi (l’87%) concessi dalla Cassa del Mezzogiorno, che l’Amministrazione Motta poté concretizzare l’ambiziosa politica di infrastrutture, portando a termine l’elettrificazione con il supporto della SGES e godendo di tutte le agevolazioni finanziarie e dei mutui erogati dal 47
Partenza dell’on. Enrico Mattei dal campo sportivo di Nicosia. Il Sindaco Motta, mons. Vitale, padre Felicino Di Fini salutano Mattei; a destra è il fotografo statunitense del Time William McHale E’ triste ricordare che qualche ora dopo lo scatto di questa fotografia il piccolo bireattore su cui Enrico Mattei viaggiava, un “Morane Saulnier”, di proprietà dell’ENI, esplose prima di atterrare a Milano Linate (esattamente a Bescapè il 27 ottobre 1962 alle ore 18.57 e 10 secondi) causando la morte del più potente manager di stato italiano, del pilota Irnerio Bertuzzi e del giornalista e fotografo statunitense del Time William McHale. Pare che fosse stata innescata una bomba, come dichiarò anni dopo Tommaso Buscetta, indicando come esecutori materiali della strage gli uomini del boss di Riesi Giuseppe Di Cristina e rivelando che la mafia americana aveva chiesto a Cosa Nostra di eliminare Enrico Mattei “nell’interesse sostanziale delle maggiori compagnie petrolifere americane”: le famigerate “Sette Sorelle”, alle quali non poteva non dar fastidio il ruolo via via sempre più importante che, nei piani di Mattei, l’Italia doveva assumere in campo petrolifero.
Ministero del Tesoro e dalla Cassa depositi e prestiti ad un tasso molto basso, ammortizzabile in 20-30 annualità comprensive del capitale e dell’interesse con l’intero onere a carico dello Stato. La Democrazia cristiana ebbe la fortuna, lungo tutti gli anni Sessanta e in tutto il Sud, di essere al posto giusto al momento giusto, di avere la possibilità di gestire alcune risorse essenziali derivanti dai nuovi poli di sviluppo industriale sovvenzionati dalla Cassa per il Mezzogiorno e dalla distribuzione di fondi da parte del governo. Conseguenza di questi finanziamenti a pioggia fu la lottizzazione degli incarichi e non è certo una novità il fatto che norma quotidiana nel settore pubblico divenne la stretta collaborazione tra ingegneri, costruttori e appaltatori edili, proprietari di terreni e amministratori locali e che grosse somme di denaro pubblico furono stornate in mani private. E non è neppure una novità il fatto che in ogni città o paese il posto-chiave fu l’assessorato ai Lavori pubblici e che il boom dell’edilizia favorì parecchi settori delle classi medie tecniche e professionali – ingegneri, architetti, geometri - ed anche artigiani e piccole aziende che producevano e trasportavano materiali per l’edilizia. E non è sicuramente una novità per i Nicosiani il fatto che molti incarichi (sede del Commissariato di P.S., direzione dei lavori del Palazzo di giustizia) vennero dati in via prioritaria ad ingegneri e tecnici appartenenti alla Dc.
L’opposizione propone una politica sociale Nonostante in tutta Italia gli anni Sessanta fossero caratterizzati da una timida avanzata della Sinistra, che permise di attuare in più centri il primo esperimento di centro-sinistra, di fatto i socialisti italiani non seppero adottare comportamenti incisivi, capaci di tradurre in atto le linee programmatiche del partito e furono costretti ad una posizione subalterna alla Dc, mentre il Partito comunista, rimasto solo all’opposizione di sinistra, mantenne una forza organizzativa e continuò a dare buona prova di efficienza nell’amministrazione locale. 48
Comizio d’Annibale Circasso (Pci) in piazza Garibaldi. A sinistra dell’oratore l’on. Pompeo Colajanni; ultimo a destra il dott. Maugeri (Uscs).
A Nicosia, dopo le elezioni amministrative del 1960, non si formò affatto un governo di centro sinistra e toccò all’opposizione, formata dagli Uscocchi e dal partito Social-comunista, portare avanti una politica sociale. Di fronte al grave problema della disoccupazione non sufficientemente attenzionato, che aveva costretto molti cittadini a scioperare e ad emigrare, espressero nelle varie sedute il loro disappunto tutti i consiglieri della minoranza (Circasso, Scinardo, Domante, Lo Grasso, Castiglia, Cannata, Maugeri, Adamo, Pantaleo, Pecora, Messina, Beritelli, Mancuso), specie quando i lavoratori del campo edilizio alle dipendenze dell’unica impresa, la IRMO, che gestiva i lavori idraulici-forestali finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno, per esaurimento dei fondi furono licenziati in massa. Ecco perchè venne contestata la scelta della maggioranza di destinare la somma di 100 milioni di lire, (derivante dal fondo di 500 milioni di lire a favore dei Comuni nel cui territorio ricadeva il giacimento metanifero di Gagliano Castelferrato), ad opere ordinarie di “risanamento” stradale anziché ad opere straordinarie di propulsione industriale, che avrebbero garantito più posti di lavoro. Per mettere a fuoco il problema e risolvere con sollecitudine nella nostra provincia - ultima in Italia per il reddito pro capite - la disoccupazione, il cui indice nei mesi di aprile era stato altissimo, venne richiesta la convocazione straordinaria d’urgenza del Consiglio comunale per poter organizzare un Convegno economico in Nicosia8, dato che si erano venute a creare le premesse per la industrializzazione e per la rinascita dell’agricoltura nella nostra zona. Erano stati ritrovati proprio in quegli anni giacimenti di sali potassici nelle zone di Nicosia, Villapriolo, Centuripe, Regalbuto, Assoro, metano e petrolio a Gagliano Castelferrato e si intravedeva la possibilità di creare industrie per la raffinazione
8 La proposta di organizzazione del Convegno, che avrebbe dovuto assicurare la presenza di tutti i Sindaci delle province economicamente depresse, dei parlamentari regionali e nazionali, dei rappresentanti di tutti i sindacati di lavoratori, di una rappresentanza tecnica della regione siciliana dell’ENI e degli istituti IRFIS, SOFIS e della Cassa per il Mezzogiorno, fu però respinta nella seduta del 26 luglio 1961.
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dello zolfo e dei sali potassici, per la produzione di laterizi, per lo sfruttamento delle mandorle e delle nocciole, per la produzione di oli, per l’impianto di industrie dolciarie, per la trasformazione degli agrumi, per la lavorazione delle carni e delle pelli, per la fabbricazione di cordami, per la lavorazione del legno e della cellulosa. Ed ancora l’opposizione richiese provvedimenti alla Presidenza contro l’Azienda silvopastorale, che non aveva concesso i terreni per i pascoli, carnaggi (peraltro vietati dalla legge) e la costituzione di una commissione per la qualifica ai lavoratori, per l’aumento del salario, per la riduzione dell’orario degli operai addetti al rimboschimento. Chiese, inoltre, al Consiglio di intervenire per sospendere il provvedimento inteso a limitare lo sfruttamento dei pascoli dall’1 ottobre al 31 dicembre e dall’1 aprile al 31 luglio di ciascun anno, considerato che i pastori pagavano per dodici mesi mentre godevano dei pascoli per sette mesi e rimarcò che tale scelta acuiva la grave crisi esistente nel settore della pastorizia locale. E nella seduta del 27 giugno 1964 , quando fu proposto in Consiglio il rinnovo dell’Azienda la cui durata decennale scadeva il successivo 5 dicembre, l’opposizione votò per lo scioglimento del Consiglio di amministrazione dell’Azienda, in quanto essa aveva tradito lo scopo che era quello di spronare gli agricoltori e gli allevatori e fatto crollare il sogno di un rapporto tra agricoltura ed industria, e chiese che all’interno di un eventuale nuovo Consiglio fosse prevista la presenza di agricoltori e di pastori. Sempre a favore degli agricoltori danneggiati dalle intemperie, la minoranza chiese di intervenire presso gli organi competenti affinché anche i Nicosiani fossero inclusi fra gli aventi diritto ai benefici e, a favore degli allevatori, chiese che il veterinario provinciale revocasse l’ordinanza relativa alla sospensione delle fiere a causa dell’insorgenza dell’afta, non più allarmante, di modo che i piccoli allevatori vendessero gli animali e potessero così sopperire al mancato reddito derivante dal danno avuto a causa delle calamità atmosferiche. Per superare la sperequazione nell’assistenza mutualistica tra una categoria di operai ed un’altra, l’opposizione si batté affinché a favore dei braccianti agricoli fossero stipulate regolari convenzioni con gli istituti di assistenza; inoltre in favore della categoria richiesero che fosse sospesa la legge Bertinelli per evitare che i lavoratori della terra non fossero privati degli assegni familiari a causa della mancata denunzia dei datori di lavoro. A favore degli operai, invece, i consiglieri dell’opposizione richiesero la municipalizzazione del servizio della nettezza urbana e del trasporto delle carni macellate fresche, l’ampliamento dell’organico dei netturbini (fino a 30 unità), il miglioramento del trattamento economico della categoria, corrispondendo il salario fissato dalle vigenti tariffe sindacali. Infine, a favore degli indigenti, chiesero all’Amministrazione di provvedere alla compilazione dell’elenco dei poveri e di istituire armadi comunali per la distribuzione gratuita di medicinali (così come avveniva nei Comuni di Regalbuto, Leonforte, Troina), al fine di garantire una più completa assistenza farmaceutica. Tutte queste richieste, determinate dall’esigenza di migliorare la qualità della vita, laddove l’amministrazione si mostrava carente, rimasero (purtroppo!) lettera morta e furono disattese dalla maggioranza, per cui all’opposizione non restò altra possibilità se non quella di porre all’Amministrazione interrogazioni su interrogazioni per cercare di aprire la discussione almeno su problemi di interesse generale e quotidiano che non potevano essere ulteriormen50
te dilazionati9 e reclamare vigorosamente contro alcuni comportamenti definiti dai consiglieri della minoranza “stratagemmi”10.
Resistenze democristiane al cambiamento I motivi per cui le richieste legittime dei lavoratori non venivano neanche tenute in considerazione possono essere rintracciati non solo nella condotta dei politici nicosiani quanto, in parte, nella condotta dei politici a livello nazionale. Erano, infatti, gli anni in cui la Dc viveva un momento molto delicato del suo processo di crescita: aveva dovuto abbandonare la strategia del governo Tambroni di creare un governo di centro-destra, per non scatenare conflitti laceranti, ma non si rassegnava all’idea di formare un centrosinistra con il Psi, sospettato di essere il cavallo di Troia del Pci. Inoltre proprio nel 1962 era aumentato il fermento delle masse lavoratrici, che, sostenute dal Pci, erano decise a pretendere salari adeguati e non più disposte a seguire le indicazioni delle confederazioni sindacali ormai burocratizzate. Tutto ciò non poteva non creare timori nella Dc (soprattutto nell’ala destra del partito), che, sostenuta dalla Chiesa e dagli Stati Uniti, cercava in tutti i modi di difendersi impedendo alle sinistre l’accesso al potere. Non è certo un caso che, all’apertura dei settori democristiani più favorevoli a un dialogo con il partito socialista, seguisse un sensibile calo di consensi nella Dc, che nelle elezioni politiche dell’aprile 1963 subì una flessione di ben quattro punti percentuale, passando dal 42,3 % (delle elezioni del ’58) al 38,3 %. Se a livello nazionale l’allontanamento dell’elettorato conservatore di destra non impedì alla Dc di proseguire la sua politica di apertura a sinistra (anche in considerazione dell’avanzata del Pci), a livello nostrano le cose andavano in maniera diversa. A Nicosia, infatti, le sinistre furono tenute abbastanza a bada dalla Dc, la quale, forte dell’appoggio dei vescovi della nostra Diocesi, ottenne nelle elezioni amministrative del ’64 (rispetto a quelle del ’60) oltre mille voti in più, in controtendenza rispetto a quanto avveniva nel resto d’Italia ( sottolineiamo che in controtendenza era anche la flessione, quantunque leggera, del Pci). Stante gli stretti legami tra Chiesa e Dc, occasione importante era considerata l’ arrivo di un nuovo vescovo che veniva accolto con i dovuti onori dai politici. E così quando al vescovo mons. Gaddi, che aveva guidato la diocesi di Nicosia 9
Tra i provvedimenti richiesti meritano di essere menzionati: il calmiere per eliminare la differenza di prezzo del 100% tra le derrate alimentari nel mercato trisettimanale e nei comuni esercizi di erbivendoli; il censimento delle case malsane ed il reperimento di aree edificabili per cederli all’Istituto Case Popolari, all’ESCAL e all’INA CASA per la costruzione di alloggi popolari; la presenza del veterinario o dell’ufficiale sanitario all’arrivo del pesce al mercato ittico di Nicosia; l’adozione di un criterio nella distribuzione dell’acqua e la previsione di muretti o ringhiere in luoghi esposti al rischio di cadute. 10 Per la sua singolarità riportiamo un episodio così come emerge dal verbale del Consiglio comunale. Allorquando, nella seduta del 15 luglio 1961 convocata di mattina, si passò all’approvazione del bilancio, i consiglieri Circasso e Maugeri chiesero il rinvio della seduta per sopravvenuti ed indifferibili motivi strettamente familiari e professionali. Il rinvio venne accordato e fissato alle ore 18.00, ma i due consiglieri chiesero al vicesindaco e al Sindaco un’ulteriore dilazione di mezz’ora (cioè dalle 18.00 alle 18.30). Nonostante questo spostamento fosse stato accettato e comunicato agli altri consiglieri della minoranza, di fatto la seduta si svolse all’ora stabilita, cioè alle 18.00, e, così come sostennero pubblicamente i due consiglieri, nel giro di venti minuti con una deliberazione- lampo vennero approvati il bilancio e i restanti argomenti all’odg. L’opposizione protestò contro la maggioranza e il consigliere Circasso, a nome di tutta la minoranza, ribadì che “solo un’amministrazione clerico-fascista poteva venir meno e in maniera così clamorosa alla parola data e che la maggioranza aveva dovuto ricorrere ad un espediente del genere per sottrarsi alla sicura condanna che sarebbe inevitabilmente seguita se avesse avuto luogo un serio dibattito sul bilancio di previsione, privo fra l’altro di qualsiasi contenuto sociale, sordo alle istanze delle categorie meno abbienti, basato soprattutto su una sorta di politica di lavori pubblici, peraltro episodica e disorganica”.
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Mons. Clemente Gaddi (vescovo della Diocesi di Nicosia dal 1953 al 1962) lascia la carica al subentrante mons. Costantino Trapani (vescovo della nostra Diocesi dal 1962 al 1976). A fianco di mons. Trapani il Sindaco Motta e la consorte, sig.ra Maria La Noce.
dal 1953 al 1962 subentrò mons. Trapani, il Sindaco Motta rese omaggio all’uno e all’altro nel corso di una solenne cerimonia.
Elezioni amministrative ‘64 Per le elezioni amministrative del novembre 1964, furono presentate le liste di sei partiti. L’esito dello scrutinio registrò, rispetto alle elezioni del 1960, importanti cambiamenti: l’elettorato assicurò una schiacciante maggioranza alla Dc che con 5.118 voti (rispetto ai 4109 del ’60) si assicurò ben 20 seggi, mentre al Pci confermò quasi lo stesso numero di voti (1.494 voti rispetto ai 1.582 del ‘60) e premiò le liste del Psiup (che raccolse 822 voti), del Psi (che quasi raddoppiò i voti rispetto alle elezioni del’60, passando da 348 voti a 627 voti) e del Psdi (che si presentò per la prima volta e riportò 245 voti). Il Msi, invece, ebbe una “bella batosta” infatti dimezzò i voti passando da 799 a 437 voti. Nella seduta di insediamento del nuovo Consiglio comunale, svoltasi il 10 dicembre 1964, si riunirono nell’Aula Consiliare del municipio i neoeletti consiglieri, che a turno giurarono pronunciando la formula di rito e si procedette alla surroga dei consiglieri rinunciatari (Insinga, on. Michele Russo e La Greca) e venne convalidata all’unanimità l’elezione di tutti e 32 consiglieri. Dopo le parole di ringraziamento pronunciate dal consigliere Vanadia, che, nella qualità di segretario della Dc, espresse l’orgoglio e la soddisfazione per “la più chiara ed inequivocabile attestazione di fiducia verso il partito della Dc” dimostrata dall’elettorato nicosiano, la volontà del partito di rispettare il programma non disdegnando “l’apporto derivante da forze e da uomini di sincera vocazione democratica”, fioccarono sia le proposte sia le reazioni polemiche di alcuni consiglieri della minoranza che lessero tra le righe del discorso di Vanadia una certa protervia. Il consigliere Enzo Circasso chiese cosa intendesse dire il consigliere Vanadia con l’espressione “apporto di voti democratici” ed il consigliere Annibale Circasso rilevò che la Dc, pur avendo la maggioranza, non pote52
1) Motta Salvatore, avvocato 2) Vanadia Nicolò, ingegnere 3) D’Alessandro Ugo 4) Catania Carmelo 5) Nisi Vincenzo, preside 11 6 ) Tuttobene Luigi 7) Angilello Costantino, dottore 12 8) Alberti Luigi 9) Lo Presti Bartolomeo, geometra 10) Fascetta Salvatore 11) Insinga Francesco, avvocato 13 12) Mocciaro Giuseppe, geometra 13) Gentile Gaetano, dottore 14) Scardino Filippo, geometra 15) Notararrigo Santo 16) Bonelli Giuseppe
17) Castrogiovanni Sigismundo, insegnante 18) Picone Felice, insegnante 19) Cerami Pietro 20) Agozzino Pasquale 21) Circasso Annibale, insegnante 22) Boggio Luigi, perito agrario 23) Lo Grasso Salvatore 24) Castiglia Filippo, docente 25) Scinardi Giuseppe 26) Spallina Carmelo 27) Russo Michele 14 28) Buttafuoco Gaetano 29) Circasso Enzo 30) Fiscella Angelo 15, avvocato 31) Cigno Santo 32) La Greca Epifanio 16
Elezioni amministrative del 22 e 23 novembre 1964: gli eletti al Consiglio comunale.
Consiglieri dell’opposizione nella seduta di insediamento. In prima fila e in piedi (da sinistra): Angelo Fiscella, capogruppo del Psi e Cigno Santo; in seconda fila (da sinistra): Lo Grasso (Pci), Enzo Circasso e Buttafuoco (Psiup).
va non tener conto dei 3200 voti che erano stati dati ai partiti d’opposizione e che sarebbe stato auspicabile abbandonare il comportamento di sordità nei confronti delle proposte del suo partito a favore dei lavoratori. Il capogruppo del Psi, avv. Angelo Fiscella, si limitò a suggerire di inserire nel programma della Dc alcuni punti contenuti nei programmi dei partiti di minoran11 Dimissionario perché, nell’ambito del programma di scambi culturali tra l’Italia e gli Stati Uniti, si era trasferito a Newton, Kansas, U.S.A., per motivi di studio e di insegnamento, e fu sostituito il 5.11.1968 dall’ins.Castrogiovanni Sigismundo 12 Dimissionario e sostituito il 10.12.1968 dall’avv. Pidone Graziano. 13 Sostituito da Sutera Michele. 14 Sostituito da Panatteri Ignazio. 15 Va rilevato che i risultati ottenuti dal Psi in quella tornata elettorale sono da ascrivere al successo personale di Angelo Fiscella, il quale riuscì a far raddoppiare i voti al suo partito (da 348 a 627) riportando 310 voti di preferenza, seguito da Cigno con 111 voti. Un risultato che potrebbe apparire, oggi, insignificante, ma che in quell’anno rappresentò un successo, se si tiene conto sia dell’enorme consenso ottenuto dalla Dc che della diffusa diffidenza nei confronti dei partiti di sinistra, soprattutto a livello locale. Il consigliere fu sostituito, in seguito a decesso avvenuto il 2.06.1957, dall’ins. Filippo Grillo. 16 Sostituito da Castellana ing. Giovanni.
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za e formulò interessanti richieste, fra cui: una maggiore frequenza delle riunioni del Consiglio - possibilmente bimestrali - per far sì che i problemi della città già attenzionati dagli Assessori fossero dibattuti in sede consiliare; una rappresentanza delle minoranze nei posti di sottogoverno per garantire un maggior controllo; ed, infine, l’istituzione di un Ufficio di pubbliche relazioni a supporto dei cittadini per il disbrigo delle pratiche amministrative.
Salvatore Motta. Nato a Nicosia il 19/8/1926, laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Catania ha esercitato la libera professione forense, ricoprendo molti incarichi: Giudice Conciliatore di Nicosia (dal 1956 al 1961), Vicepresidente dell’Associazione Pro Loco di Nicosia (dal 1953 all’aprile 1956), Dirigente della sezione Dc di Nicosia (fin dal 1950), componente del Comitato Regionale della Dc (dal 1964 al 1966), consigliere e capogruppo democristiano di opposizione del Comune di Nicosia (dal 1956 al 1960). Sindaco del Comune di Nicosia (dal 1960 al 1970) per ben due legislature , ha ricevuto nel 1963 l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica con Decreto Presidenziale. Nominato Presidente della Commissione Provinciale di Controllo di Enna (1970 -1976), è stato Vicepresidente di Sezione in seno alla Commissione Tributaria di 1° grado di Nicosia dal 1985 al 1996.
La “nuova” amministrazione monocolore e le sue dichiarazioni programmatiche Venne eletto Sindaco per la seconda volta con i soli 20 voti del partito di maggioranza l’avv. Salvatore Motta, anche se, prima della votazione, i consiglieri Annibale ed Enzo Circasso attraverso una dichiarazione di voto proposero per la candidatura a Sindaco il prof. Filippo Castiglia, che riportò 7 voti. Quando poi si votò per l’elezione degli assessori, i consiglieri della minoranza riversarono i loro voti su tre candidati della Dc: Filippo Scardino (voti n.26), Vincenzo Nisi (voti n. 28), Pasquale Agozzino (voti n. 29), mentre non votarono Vanadia che ebbe solo 20 voti (quelli del gruppo Dc) presumibilmente per i motivi precedentemente accennati. La differenza nella votazione indusse il consigliere Vanadia a sospendere la seduta per dieci minuti, dopodichè gli assessori eletti dal canto loro dichiararono di rinunziare all’incarico, in quanto si trattava di un risultato polemico che offendeva la dignità del capogruppo della Dc, mentre i consiglieri d’opposizione sostennero che avevano votato persone capaci e meritevoli e che era vergognoso che non venissero accettati i voti che provenivano da settori diversi da quelli democristiani. Ritornati a votare i consiglieri riconfermarono i quattro assessori, assegnando questa volta 29 voti ai consiglieri Scardino, Nisi e Agozzino, e 19 voti a Vanadia. Nella seduta del 14 aprile 1965 il Sindaco espose le dichiarazioni programmatiche da cui si evinceva, oltre la volontà di assicurare la più larga partecipazione possibile alla vita del Comune a tutti i consiglieri mediante l’approfondimento dei temi all’interno del Consiglio, il desiderio di inserire Nicosia nel piano del progresso economico e sociale perseguito dai governi nazionale e regionale e di avvalersi di tecnici e di esperti che potessero rilevare le concrete possibilità esistenti nel nostro paese, adottare le possibili soluzioni, ricercare i collegamenti con il resto del circondario superando le difficoltà del nostro paese che si trovava tra le zone più depresse e meno sviluppate, e “spianando le vie per un più rapido raggiungimento delle mete auspicate”. Aggiunse che era sua intenzione, però, riservare la trattazione di interpellanze e interrogazioni ad apposite sedute, per non turbare la serenità dei lavori consiliari. Nella relazione del Sindaco vennero attenzionati tutti i settori ed i relativi problemi ad essi connessi. Nel campo dell’agricoltura, ci si proponeva di incoraggiare tutte quelle iniziative atte ad assicurare la permanenza nelle campagne degli agricoltori attraverso una preparazione tecnica che potesse favorire un’imprenditorialità contadina ed il potenziamento dei servizi indispensabili ad assicurare un moderno vivere civile, quali le scuole, la luce, i telefoni, la rete viaria per collegamenti più rapidi con il centro urbano. Per incentivare l’allevamento zootecnico si pensava di istituire premi annuali da assegnare agli allevatori più produttivi e di realizzare un moderno campo boario acquistando un apposito terreno. 54
Assessori titolari: Scardino Filippo Nisi Vincenzo Agozzino Pasquale Vanadia Nicolò
(LL.PP.- edilizia ed urbanistica) (Istruzione,sport, turismo e spettacolo, scuola musicale) (Agricoltura-Foreste e Cooperazione) (Vicesindaco e sviluppo economico)
Assessori supplenti: Catania Carmelo Fascetta Salvatore
(Servizi municipali) (Igiene-Sanità e Annona)
Giunta Municipale eletta nella seduta del 10 dicembre 1964.
Per quanto concerneva il campo dell’istruzione - essenziale per una formazione sia personale sia professionale volta ad un soddisfacente inserimento di ogni cittadino nel mondo del lavoro – manifesta fu la dichiarazione di voler continuare sulla scia della legislatura precedente incrementando o ammodernando l’edilizia scolastica, istituendo borse di studio per i bisognosi meritevoli, potenziando e aggiornando la biblioteca comunale, costituendo associazioni culturali e sportive per i giovani, attrezzando le pinete, i boschi e la zona del castello per il tempo libero. Captante fu la promessa di risollevare il settore turistico, effettuando una ricognizione dei monumenti e del patrimonio artistico cittadino e provvedendo alla stesura di una guida, proponendo espressioni folcloristiche del passato, approntando mostre e costituendo una filodrammatica per richiamare a Nicosia un pubblico vasto proveniente anche dai paesi limitrofi. Per soddisfare i bisogni della collettività si avanzò il proposito di migliorare i servizi municipali, l’annona, l’assistenza e si indicarono le strategie per raggiungere l’obiettivo: l’illuminazione urbana di tutti i quartieri, l’automatizzazione del 55
Consiglieri di maggioranza. In prima fila ( da sinistra): Vanadia, Nisi, Sutera, Cerami, Notararrigo; in seconda fila (da sinistra): Alberti, Catania, D’Alessandro, Agozzino, Bonelli, Tuttobene.
servizio telefonico, l’aggiornamento della segnaletica stradale, il potenziamento del corpo dei vigili urbani, il controllo dei prezzi, il risanamento dei quartieri in cui carente o insufficiente era la rete fognaria, l’allargamento del cimitero, l’assistenza medico-chirurgica, ostetrica e farmaceutica a beneficio dei bisognosi, l’ampliamento dell’Ospedale, la realizzazione del ricovero di mendicità. Per quanto riguardava l’istituzione di un apposito Ufficio di pubbliche relazioni - sollecitata dal consigliere del Psi Fiscella, per agevolare i cittadini nel disbrigo di certificati e documenti vari, incoraggiarli nell’intraprendere iniziative coraggiose e rischiose, informarli e dare chiarimenti di ordine giuridico-tecnico su disposizioni di legge proficue per il singolo e per intere categorie l’Amministrazione dichiarò che l’iniziativa per quanto lodevole non era attuabile, in quanto avrebbe costituito un inutile appesantimento della burocrazia e sarebbe stato difficile dislocare nel nuovo ufficio un impiegato di notevoli capacità ed esperienza. Relativamente alla politica dei lavori pubblici, il Sindaco affermò “non smorzeremo il fervore di iniziative e di interventi che ha caratterizzato in questo settore la precedente amministrazione...ci muoveremo su quattro direttrici: approvvigionamento idrico (riesumando la progettazione per l’acquedotto di Grotticelli senza però perdere di mira le prospettive offerte dalla Cassa del Mezzogiorno per l’utilizzazione della diga Ancipa), sistemazione della rete idrica e fognante, realizzazione di strade (soprattutto la traversa interna Carmine-Piano Lavatoio cercando di arrecare il minor danno economico possibile ai proprietari delle case espropriate), edilizia pubblica e popolare (redigendo un piano regolatore per lo sviluppo ordinato e civile della nostra città ed assicurando un alloggio ai senzatetto e agli abitanti di case malsane)”. A tutela del patrimonio del Comune, infine, promise una nuova politica di riutilizzazione di quei beni comunali che per ragioni di vetustà o inidoneità o di bassi canoni di locazione non costituivano più fonti di entrate comunali ed uno svecchiamento ed aggiornamento del personale dei servizi amministrativi. I consiglieri Fiscella, Annibale ed Enzo Circasso, ad integrazione delle dichiarazioni del Sindaco, richiesero la triplicazione dei cantieri regionali e nazionali, una maggiore tempestività nell’approntare i progetti per il risanamento dell’abitato di Nicosia e nell’espletare le formalità necessarie e gli atti occorrenti per avere il finanziamento affinché i lavoratori potessero trovare stabile occupazione e l’emigrazione potesse subire una battuta d’arresto. La relazione programmatica, che su richiesta di alcuni consiglieri era stata messa a disposizione dalla Presidenza presso la Segreteria per essere letta e vagliata con attenzione, venne approvata nella seduta del 23 aprile 1965 grazie al voto di diciotto consiglieri della maggioranza, ma non venne votata da sei consiglieri della minoranza non tanto perchè priva di proposte valide quanto perchè la Dc aveva insistito nel formare un’amministrazione monocolore di centro, mostrando di non essere disposta ad aprire un colloquio con le sinistre così come avveniva a livello nazionale e regionale. D’altronde chiara ed inequivocabile era stata la posizione del Sindaco che aveva affermato: “La collaborazione amministrativa deve essere distinta dalla collaborazione politica e perchè ci sia la prima non è necessario che ci sia la seconda” ed aveva aggiunto: “Non disdegnerò la collaborazione di chiunque, da qualsiasi parte provenga, ma l’Amministrazione non cederà ad alcuno posti di privilegio che ritenesse dovessero spettargli”.
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Interpellanze e dibattiti per sottolineare ritardi, inadempienze, pratiche clientelari Nella stessa seduta del 14 aprile il consigliere Fiscella presentò in assemblea più interpellanze alla Giunta per conoscere i motivi della sua condotta contraria agli interessi dei contadini nicosiani, costretti a pagare ingiustamente un contributo del 12,50% (che avrebbe dovuto essere a totale carico della Cassa per il Mezzogiorno) per il finanziamento di opere di bonifica nel territorio ricadente nel comprensorio del consorzio di Gagliano Castelferrato. Chiese anche il motivo dell’assenza dell’assessore all’agricoltura alla riunione prefettizia del 12 aprile e le ragioni per cui non era stata richiesta al Consorzio di bonifica di Gagliano una progettazione per la trasformazione di alcune trazzere in rotabili, sottolineando che tutto questo costringeva i contadini ad abbandonare le loro terre. Ed ancora, nella seduta del 30 aprile il consigliere Enzo Circasso pose un’importante interrogazione all’amministrazione per sapere quali iniziative avesse preso nei confronti dell’allarmante notizia secondo cui l’Assessore regionale all’Industria avrebbe predisposto la costruzione di un metanodotto GaglianoBronte, portando così il metano della nostra zona in provincia di Catania. Invitò il Consiglio ad inviare un’energica protesta al Presidente della Regione e all’Assessore del ramo affinché fosse respinta la decisione tendente al totale depauperamento delle ricchezze della nostra zona e alla mortificazione di qualsiasi possibilità di sviluppo economico. Il consigliere Annibale Circasso interrogò il Sindaco per sapere cosa intendesse fare per la casa di riposo degli anziani e degli inabili, visto che già nel 1961 egli aveva posto la stessa interrogazione, e invitò il Sindaco a rispolverare la pratica onde procedere alla ripresa dei lavori del ricovero fruendo dei cospicui contributi regionali (75%). Motivo di scontro tra maggioranza e minoranza fu, nella medesima seduta, la discussione sull’opportunità o meno di ratificare alcune deliberazioni aventi per oggetto il rinnovo del contratto di locazione al Circolo di cultura e alla sede della CISL. Si sottolineò da parte del consigliere del Psi, Fiscella, che il Comune pagava a terzi cifre elevate per l’affitto di locali ed invece dava in affitto i locali di sua proprietà a prezzi irrisori (cinquemila lire al mese era il canone di locazione dei locali della CISL), mentre l’art. 249 del T.U. legge comunale e provinciale) prevedeva che i contratti riguardanti l’alienazione o la locazione dovessero essere preceduti da pubblici incanti o da licitazione privata regolarmente autorizzati e che solo in casi eccezionali si potesse ricorrere alla trattativa privata. In più sedute del Consiglio, ed in particolare in quella del 6 novembre 1966, animato fu il dibattito sulle “cattive abitudini” dell’Amministrazione, che, pur avendo a disposizione mesi e mesi per convocare il Consiglio, indulgeva ai ritardi e poi indiceva sedute straordinarie d’urgenza su 40-50 punti all’odg. facendo sì che l’esecutivo esercitasse una sopraffazione sul potere deliberante dell’assemblea elettiva. Il consigliere Annibale Circasso, nella seduta del 15 dicembre 1966, accese il dibattito accusando la democrazia di aver favorito un sistema clientelare e, a supporto della sua requisitoria, riportò alcuni esempi: “Il prof. Salvatore Fiscella fa parte, quale Presidente dell’Ente provinciale del Turismo, del Patronato scolastico ed è delegato scolastico; all’ing. Sabella vengono affidati tutti i progetti o le direzioni dei lavori; per di più è membro del Consiglio di Amministrazione dell’Azienda Silvo pastorale... Si vocifera che vi sia una specie di matrimonio 57
Angelo Fiscella (Nicosia 1919- 1967) Laureatosi nell’anno accademico 1944/ 1945 in Giurisprudenza presso l’Università di Catania, esercitò la libera professione forense. Socio fondatore, alla fine degli anni Cinquanta, della sezione nicosiana del Psi, primo presidente della Pro Loco di Nicosia (1962) e presidente dell’Azienda Silvo Pastorale, fu stroncato da infarto durante un comizio elettorale nel 1967 ed il partito gli intitolò la sede della sezione, che successivamente, quando il Psi si trasformò prima in Movimento Unitario Socialista (Mus) e poi in Socialisti Democratici italiani (Sdi) fu intitolata a Sandro Pertini.
morganatico con l’ing. Vanadia e che i lavori vengano eseguiti assieme; per l’Assessore geom. Scardino si dice che passino alla Commissione Edilizia solo i progetti fatti da lui o quelli per i quali mostra un interessamento particolare”. Nonostante il consigliere Nisi in quell’occasione si fosse eretto a difensore dei compagni di partito, dalla lettura dei verbali si evince che forse Circasso non aveva tutti i torti quando asseriva ciò, infatti all. ing. Sabella, per esempio, era stato dato l’incarico per la progettazione e la costruzione di un mercato comunale ed erano stati affidati i lavori di completamento del Palazzo di Giustizia.
In discussione tre temi “scottanti” Il Consiglio comunale, nel corso del 1965 dibattè su molteplici argomenti, in particolare trattò tre problemi rilevanti per la collettività nicosiana e relativi alla gestione della Azienda Speciale Silvo Pastorale, alla costruzione della strada Carmine-Lavatoio e alla disoccupazione. Nella seduta del 13 maggio 1965 (prosieguo di quella del 30 aprile), discusse ampiamente in merito agli indirizzi da assumere nelle nomine della Commissione amministratrice dell’Azienda Speciale Silvo Pastorale, dopo che il presidente Guglielmo Mastrojanni aveva presentato le dimissioni a seguito del rinnovo del Consiglio comunale e due componenti, il prof. Biagio Cipolla e il cav. Giuseppe Drago, si erano trasferiti. Si doveva procedere a nuova nomina dei componenti effettivi e di quelli supplenti e naturalmente i consiglieri d’opposizione, temendo che fosse stata già fatta una scelta dei nominativi e che non si avesse intenzione di garantire la rappresentanza delle minoranze consiliari nei suddetti ambiti, chiesero quali fossero le intenzioni della Dc. I timori non erano infondati… Con l’arroganza che talora caratterizza chi vince le elezioni ed è convinto di avere il diritto di gestire da un punto di vista politico le nomine all’interno delle partecipate, venne risposto seccamente che, indipendentemente dall’orientamento politico, sarebbe stato opportuno chiamare all’amministrazione dell’Azienda esperti e persone competenti. La risposta non mancò di scatenare le rimostranze dei consiglieri d’opposizione che sottolinearono come nelle nomine politiche, (che l’Amministrazione Comunale aveva in passato gestito), non era stata mai rispettata la Carta costituzionale che prevede la rappresentanza delle minoranze nei governi e sottogoverni della cosa pubblica, che troppo spesso avevano assistito ad una inaccettabile lottizzazione partitica che non aveva garantito quella qualità che sarebbe stata necessaria per affrontare la gestione dell’Azienda e ribadirono di sentirsi offesi dal comportamento degli esponenti della Dc. Il consigliere Scinardi rimarcò che “non si potevano abbandonare tremila ettari di terreno ad una Commissione che fosse gradita solo alla Dc” e che “nessun vantaggio il Comune aveva tratto da un simile carrozzone al servizio del partito di maggioranza”. Ma le lamentele non vennero tenute in alcuna considerazione. Infatti, indetta la votazione per l’elezione dei componenti effettivi e supplenti della Commissione amministratrice, la maggioranza compatta assegnò 19 voti a tutti e cinque i componenti scelti: avv. Francesco Insinga, ing. Sabella, sig. Vincenzo Agozzino, geom. Francesco Campione e prof. Bartolomeo Li Volsi. All’opposizione non restò altro, se non la strada dell’astensione. Animata e ripresa in più sedute fu la discussione sullo spinoso problema delle espropriazioni per la costruzione della traversa interna Carmine-Lavatoio. Fu l’informazione, data dalla Presidenza al Consiglio sulla necessità di richiedere 58
Attuale Via S. Agata (dopo la costruzione della traversa Carmine- Lavatoio).
un’anticipazione di cassa all’Ingic (per l’ammontare di 40 milioni di lire all’interesse dell’8.50% pagabili in 60 rate mensili) per pagare le indennità di espropriazione relative alla costruzione della traversa, a sollecitare le critiche sull’inefficienza dell’Amministrazione. Il primo a condannarne l’operato fu il consigliere Castiglia, che, pur ritenendo necessario lo sventramento per lo sviluppo commerciale della città, accusò l’Amministrazione di non aver chiesto in tempo il mutuo alla Cassa DD.PP. costringendo il Comune a mettersi nelle mani dell’Ingic; il secondo fu il consigliere Lo Grasso che sottolineò come lo sventramento avesse privato delle loro case tante famiglie (52 per l’esattezza!), senza che il risarcimento fosse sufficiente a coprire l’acquisto o l’affitto a lungo termine di altra casa. L’osservazione non era priva di fondamento in quanto le case erano state valutate la metà del loro effettivo valore, sulla base di una iniqua legge che prevedeva una valutazione fondata sulla media fra il valore commerciale e la rendita catastale. L’Amministrazione scaricò la colpa dell’insufficiente valutazione all’Amministrazione provinciale e rimarcò che nel 1964 aveva previsto nelle spese di esproprio un contributo di trenta milioni di lire e si prodigò in mille promes59
Giuseppe Scinardi (Nicosia 1923- 1996). Autentico “compagno” cresciuto dentro il Pci, protagonista di quella generazione che non ha mai rinunciato a far politica, militò per anni all’interno del partito, al quale si era iscritto alla fine degli anni Quaranta. A partire dagli anni Sessanta, fu sindacalista della Cgil di Nicosia e, grazie al suo attivismo e al suo impegno, divenne Segretario del sindacato, mantenendo per anni tale carica. Sempre in prima fila nelle battaglie in difesa dei diritti dei lavoratori, fu eletto più volte ( nelle elezioni amministrative del 1964, del 1970 e del 1975) Consigliere comunale nella lista del Pci, distinguendosi in seno ai Consigli comunali per i suoi interventi concreti, ma senza dubbio schietti, diretti e caratterizzati da un taglio acuto e critico.
se: avrebbe cercato di “risparmiare” il maggior numero possibile di abitazioni, si sarebbe rivolta all’Istituto Case Popolari affinché fossero costruite due palazzine di circa 12 alloggi, avrebbe messo a disposizione degli espropriati aree fabbricabili e reperito tratti di suolo da sdemanializzare, per mettere i cittadini nelle condizioni di potersi fabbricare una casa in sostituzione di quelle espropriate. Un vero e proprio vespaio scatenò la discussione sullo stato di disoccupazione e di disagio economico in cui versavano i lavoratori. Il numero dei disoccupati - secondo quanto affermato dal consigliere Scinardi - era di 300 per il settore edilizio e di altri 300 per il settore agricolo ed il numero era destinato a salire per il fatto che molti cantieri erano di prossima chiusura. A questo punto l’assessore Vanadia rileva che, nonostante vi fossero numerosi cantieri e si stessero eseguendo lavori per mezzo miliardo di lire, tuttavia essi non riuscivano ad assorbire tutta la mano d’opera locale, che versava nella disoccupazione. Individuò il motivo di questo grave disagio nel fatto che le ditte nicosiane che operavano a Nicosia erano poche e avevano lavori di modesta portata, mentre molte erano le ditte forestiere che si erano aggiudicate i lavori più consistenti (la Ucciardi, la Sicil-beton, la Gallone, la Mustica) ed additò come via d’uscita l’opportunità che i nostri operai formassero cooperative essendo prossima la gara d’appalto per i lavori della traversa interna del centro abitato ( il cui importo era di 205 milioni di lire) ed essendo imponente la mole dei lavori progettati (il cui importo ammontava ad oltre 1 miliardo e 300 milioni di lire) per i quali era stato richiesto il finanziamento agli organi competenti. Nella seduta del 14 giugno 1965 Vanadia propose al Consiglio di approvare per poi poterlo inviare all’Assessorato regionale - un ordine del giorno in cui non solo si rilevava che indilazionabili erano alcuni problemi relativi al completamento della sistemazione delle strade rurali e delle trasformazioni di trazzere in rotabili nelle varie contrade, allo sfruttamento dei giacimenti di sali potassici in contrada Mandre – Salina, alla trasformazione di impianti per la realizzazione di un’industria latteo-casearia e di impianti per la trasformazione e la conservazione di carni , ma anche si lamentava la carenza legislativa regionale che non aveva adottato criteri di equità nell’assegnazione di benefici al nostro paese che faceva parte del bacino metanifero di Gagliano Castelferrato. Al discorso del capogruppo della Dc rispose il consigliere Castiglia sottolineando che tardivi gli sembravano questi interventi, considerato che negli anni precedenti erano stati i consiglieri di Sinistra ad attenzionare il problema e a proporre un convegno economico, e rimarcando che nessun vantaggio derivava ai nostri lavoratori dal fatto che si stavano eseguendo lavori per mezzo miliardo e che, pertanto, nessun merito spettava all’Amministrazione che si era limitata a fare approvare progetti senza suggerire il modo per risolvere il problema della disoccupazione. Seguì l’intervento del consigliere Annibale Circasso che osservò come la “Dc calcasse sempre la vecchia strada” parlando di miliardi di lavori solo sulla carta ma eludendo il problema della disoccupazione, attenzionato invece dalla politica della Sinistra che in più occasioni aveva avanzato proposte per lo svolgimento di un convegno economico e di una conferenza sull’agricoltura (richiesta il 4 giugno 1965 per poter usufruire degli incentivi previsti dal Piano Verde) nonché per la nomina di un Comitato dell’Agricoltura. Ripercorrendo, poi, la storia politica nicosiana e facendo un sintetico bilancio delle varie amministrazioni il consigliere comunista sottolineò che la classe dirigente (nella maggioranza Dc) nel periodo 1946-1952 non aveva saputo risolvere il problema dei lavoratori e aveva chiu60
so il periodo del suo mandato con il fallimento del suo programma che puntava sulla costruzione di una diga e della ferrovia; successivamente, nel periodo 19561960 , invischiata in battaglie di ineleggibilità, aveva trascurato il problema dei lavoratori e, infine, nel periodo 1960-1964 aveva mostrato uno spirito reazionario e lontano dai nuovi equilibri politici di centro-sinistra, “preoccupandosi di spartirsi i posti di sottogoverno presso l’Azienda Silvo Pastorale e l’Eca e scendendo a patti con i fascisti ”. A conclusione del suo appassionato intervento, a nome delle minoranze di Sinistra, presentò una mozione proponendo che il Consiglio adottasse provvedimenti di emergenza assumendosi tutte le responsabilità previste dalla legge e formando un comitato cittadino di agitazione permanente (formato da una rappresentanza del Consiglio comunale, da tutti i rappresentanti dei settori economici, commerciali, artigiani, da rappresentanti dei sindacati e dei sodalizi di Nicosia). Sottolineò che lo sciopero era “un’arma democratica nelle mani della classe lavoratrice e che votare l’odg significava procastinare a lunga scadenza lo stato di disoccupazione della classe lavoratrice...prospettare altre emigrazioni... riconfermare la linea reazionaria portata avanti dalle forze più retrive del nostro paese”. Il consigliere Fiscella, nell’esprimere il suo compiacimento per il fatto che grazie alle pressioni della minoranza era stato finalmente affrontato l’argomento, additò due soluzioni per sanare la grave deficienza: inserire nel bilancio la somma di 200 milioni di lire per lavori in economia o fare ricorso a prestiti presso istituti bancari e, nel frattempo, approvare la mozione della minoranza in modo da far sentire alle autorità il peso delle loro responsabilità o, al massimo, votare l’odg proposto dal capogruppo della Dc a condizione che, trascorso il termine massimo di venti giorni, si costituisse un Comitato di agitazione. La maggioranza, ritenendo che lo sciopero fosse sinonimo di disordine, a conclusione della seduta, approvò l’odg proposto da Vanadia e bocciò la mozione della Sinistra, che non si diede per vinta e ritornò all’attacco richiedendo la convocazione straordinaria ed urgente del Consiglio e riproponendo l’argomento della disoccupazione nella seduta del successivo 15 novembre. I consiglieri di minoranza, infatti, in quella occasione accusarono l’Amministrazione di aver trascurato per ben 5 mesi i problemi della classe operaia e dei ceti produttivi di Nicosia, di non aver partecipato alla conferenza comunale di fine ottobre alla quale avevano partecipato oltre 400 lavoratori, di non aver sollecitato i finanziamenti dei progetti e richiesero con insistenza l’attuazione della legge dell’ Ente Sviluppo Agricolo (E.S.A.), lo sfruttamento dei sali potassici e la formazione di un comitato di agitazione. Ma ancora una volta la loro proposta venne respinta e pertanto pochi giorni dopo, il 29 novembre, i lavoratori indissero uno sciopero generale, cui seguì un’ ulteriore richiesta da parte dei consiglieri delle minoranze di sinistra di una seduta urgente e straordinaria del Consiglio comunale, in cui si richiese di nominare seduta stante una delegazione che, a Palermo, si rendesse interprete delle giuste rivendicazioni della classe operaia e di approvare l’ordine del giorno formulato dalla Camera del Lavoro. Per l’ennesima volta l’ordine del giorno proposto dalla Sinistra venne baipassato e votato quello presentato dalla Presidenza definito dal consigliere Enzo Circasso “inefficace, privo di mordente... un semplice pezzo di carta come tutti gli ordini del giorno scialbi e sbiaditi che una parte di questa Amministrazione comunale è solita inviare alle Autorità competenti”.
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Vero giro di boa per la politica delle infrastrutture? L’Amministrazione si concentrò prioritariamente nel settore delle infrastrutture impegnandosi a contrarre mutui con la Cassa DD.PP. in quanto erano necessarie misure per la costruzione di scuole, di case, di strade e di rete fognante. Furono create le condizioni per attuare un piano strategico di infrastrutturazione, adeguatamente supportato da finanziamenti, e garantito da progettualità definite. Innanzitutto, richiedendo il relativo finanziamento della spesa al Ministro di Grazia e Giustizia, furono sbloccate opere che non riuscivano ad essere completate (ci riferiamo ai lavori di completamento e sistemazione esterna del Palazzo di giustizia). Il Consiglio comunale diede inoltre mandato al Sindaco, nella seduta dell’11 giugno 1966, di inoltrare istanza per richiedere contributi statali e regionali per opere di costruzione degli edifici scolastici ( scuole materne; scuole elementari nelle zone di S.Vincenzo e Largo Peculio e nelle zone rurali di Fontana di Piazza, Spirini, Spina Santa, Castagna, S. Giacomo, Sperone e Vaccarra; Liceo Classico), di ampliamento, riattamento o sopraelevazione di quelli esistenti (Scuola Media Pirandello, Scuola Media Dante Alighieri e Scuola di Villadoro), di costruzione di strade (strada Pisciarotta, strada Mammafiglia, strada di collegamento tra il Viale Vittorio Veneto e il quartiere Ina-Casa) e di rete idrica e fognante (sia a Nicosia che nella frazione di Villadoro) nella consapevolezza che occorreva migliorare le condizioni scolastiche e igienico-sanitarie nelle scuole primarie e secondarie del nostro paese (prive di aule sufficienti, di impianti di termosifone, di attrezzature) e fronteggiare i nuovi bisogni del paese: dalle strade necessarie per snellire il traffico cittadino e per agevolare i cittadini residenti in quartieri dislocati rispetto al centro, ad una nuova rete fognante ormai vetusta ed inefficiente, agli alloggi popolari, ecc. Tradotto in numeri, nel 1966 si prevedeva l’avvio di un volano di risorse per circa 1 miliardo di lire, con l’apertura di numerosi cantieri.17 Purtroppo non si trattò di un vero giro di boa per la politica delle infrastrutture, nel senso che esso non consentì subito il passaggio dalla fase di impostazione programmatica a quella realizzativa. Infatti i risultati raggiunti in questo settore divennero tangibili solo negli anni successivi.
Piccoli passi in avanti per l’Opposizione A seguito delle interpellanze e delle interrogazioni presentate in assemblea e alle lamentele della minoranza che, pur rappresentando un largo strato della popolazione, era stata discriminata in tutte le più importanti commissioni (Amministrazione dell’Ospedale, Amministrazione dell’Azienda Silvo Pastorale, Consiglio di Amministrazione del Patronato Scolastico, Commissione Edilizia), l’Amministrazione incominciò a nominare in alcune Commissioni, dapprima formate solo da componenti della Dc, anche membri dell’opposizione e ad assumere determinate iniziative volte alla risoluzione dei problemi più urgenti. Come 17
Per la costruzione degli edifici scolastici i progetti prevedevano le seguenti somme: 190 milioni di lire per la Scuola elementare di. S.Vincenzo; .265 milioni per la Scuola elementare del Largo Peculio; 200 milioni per 5 Scuole materne; 250 milioni per il Liceo Classico; 30 milioni per l’ampliamento dell’edificio scolastico di Villadoro e della Scuola Media Pirandello. Per la costruzione delle rete fognante si prevedeva la somma di 100 milioni e di 70 milioni per la costruzione di 12 alloggi popolari. Infine per la sistemazione di strade comunali si richiedeva un finanziamento di 50 milioni per la strada Pisciarotta e di 164 milioni per la strada di collegamento Viale Vittorio Veneto - quartiere Ina-Case.
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ebbe ad osservare il consigliere Annibale Circasso “da un dialogo fra sordi, da una sorta di incomunicabilità si passò ad una convergenza, alla discussione di problemi comuni”. La Presidenza informò il Consiglio che era intendimento dell’Amministrazione dare impulso allo sviluppo economico della città, ricercando i mezzi e le soluzioni più idonee per un risveglio dell’economia del paese, e affidò il coordinamento di una Commissione di studio per lo sviluppo economico della città all’ing. Vanadia , assessore del ramo, “per ricercare i mezzi e le soluzioni più idonee al risveglio dell’economia del paese”. Nella nomina dei membri della Commissione egli inserì i componenti di diritto (cioè gli Assessori allo Sviluppo economico, all’Agricoltura, ai LL.PP., al Commercio, al Turismo; nonché gli exsindaci della città; i presidenti dell’Azienda Speciale Silvo Pastorale, della ProLoco, dell’ACLI, dei coltivatori diretti, dei sodalizi; i segretari dei sindacati CISL, CGIL, CISNL, UIL; i Direttori del Banco di Sicilia e della Cassa di Risparmio V.E.) e propose come componenti da eleggere il dr. Gaetano Gentile, il geom. Giuseppe Mocciaro, il perito Santo Notararrigo, il geom. Bartolomeo Lo Presti, l’ins. Annibale Circasso, l’ing. Giovanni Castellana, l’ing. Francesco Sabella, l’avv. Lino D’Alessandro, il dr. Stanislao Pontorno, il prof. Salvatore Fiscella, e rappresentati del settore economico: Salvatore Lo Grasso, Franco Striglia, Giuseppe Parisi, Salvatore Imbarrato, Vincenzo Di Noto, Felice D’Amico. Dimenticò di inserire tra i componenti di diritto tutti i Capigruppo delle minoranze e ciò suscitò il risentimento dei consiglieri del Psi che si astennero dalla votazione. Subito dopo proliferarono altre Commissioni: la Commissione per la compilazione di uno schema di regolamento per il servizio delle due condotte veterinarie di Nicosia (da sottoporre al Consiglio comunale); la Commissione per chiedere alla Cassa per il Mezzogiorno di assumere in toto l’importo dei mutui contratti dal Consorzio di Gagliano per seguire e sollecitare tutte le iniziative tendenti a risolvere il problema che aggravava le condizioni dell’economia agricola nicosiana; la Commissione giudicatrice per l’assegnazione di borse di studio a studenti meritevoli e di disagiate condizioni economiche (nominata su proposta del preside Vincenzo Nisi, assessore alla Pubblica Istruzione). Inoltre, su richiesta dei consiglieri di opposizione dello schieramento di sinistra preoccupati per gli accordi ENI-EMS-EDISON che potevano turbare l’equilibrio tra capitale pubblico e privato e restringere la possibilità di sfruttamento e di verticalizzazione del prodotto minerario in tutto il territorio della Sicilia, fu nominata - nella seduta del 22 aprile 1966 - una Commissione con il compito specifico di occuparsi della questione dei giacimenti di Sali potassici, che, secondo precedenti ricerche effettuate dai tecnici dell’ EMS (Ente Minerario Siciliano) si trovavano in quantità notevoli nel nostro territorio e avrebbero potuto migliorare l’economia locale attraverso la creazione di posti di lavoro stabile per i nostri operai. La Commissione ( formata dal Sindaco avv. Salvatore Motta, dall’ing. Nicolò Vanadia, dal sindacalista Alberti, dall’avv. Angelo Fiscella, dall’ins. Annibale Circasso) si diede da fare per interessare i cinque deputati della nostra provincia (gli onorevoli Pompeo Colajanni, Giuseppe D’Angelo, Giuseppe Sammarco, Michele Russo, Antonino Buttafuoco), che in verità risposero tutti con lettere e telegrammi mettendosi a disposizione. I membri della Commissione, però, colsero al volo l’opportunità offerta dall’ on. Colajanni che aveva fissato un colloquio con il dott. Musco (funzionario dell’EMS) per il 20 maggio; si recarono quindi a Palermo per far sì che venisse 63
Perlustrazione delle zone dopo il terremoto del 1967. Il Sindaco Motta con il Prefetto e mons. Trapani. In seconda fila, al centro, l’assessore ai Servizi municipali Carmelo Catania.
approntato subito dall’Ente un piano razionale di sfruttamento dei sali potassici nella zona Mandre. Nella seduta dell’11 giugno il Sindaco comunicò gli esiti dell’incontro, sottolineando che ottime erano le prospettive di sfruttamento e che al più presto sarebbe stata aperta una galleria per accertare la natura e la consistenza dei giacimenti. Un ulteriore momento di convergenza della maggioranza e della minoranza si registrò nella seduta del 15 dicembre quando venne approvato - quasi all’unanimità (con un solo voto contrario) - il bilancio consuntivo 1966 presentato dal dott. Gaetano Gentile, direttore tecnico dell’Azienda Silvo-pastorale. Per la prima volta non vennero mosse critiche, anzi venne da molti consiglieri elogiata la relazione che dimostrava che l’Amministrazione dell’Azienda aveva cambiato rotta, trasformandosi in un’azienda-pilota e lasciando sperare che ci si poteva avviare verso un’industrializzazione realizzando un caseificio e un’ industria per la lavorazione delle carni. Dopo il terremoto del 31 ottobre 1967, essendo rimasti gravemente danneggiati o addirittura distrutti dalla calamità numerosissimi edifici privati, urbani e rurali, fu costituita una Commissione per la distribuzione dei generi di aiuto e di conforto a quelli colpiti dal terremoto e per richiedere la sospensione per 6 mesi del pagamento di tributi comunali. Inoltre, essendo stati notevolmente compromessi nelle loro strutture principali edifici pubblici o aperti al pubblico ed essendo seriamente minacciata da numerosi massi rocciosi crollati dal sovrastante Castello di Nicosia la viabilità lungo la statale 117, il 4 Agosto 1968 il Consiglio votò per l’ingresso di Nicosia nel Consorzio per un piano urbanistico comprensionale tra i comuni di Alimena, Buon Pietro, Caltavoturo, Castellana Sicula, Cerami, Gagliano, Gangi, Nicosia, Nissoria, Pe64
tralia Soprana e Sottana, Polizzi, Resuttano, Scillato, Sperlinga, al fine di fruire dei primi provvedimenti previsti dalla legge regionale n.1 del 3 febbraio 1968 per la ripresa civile ed economica delle zone colpite dal sisma.
Un’occasione mancata Un problema di vasta risonanza cittadina, che interessò tutte le categorie sociali e tutti i settori dello sviluppo economico, sociale, turistico, culturale della città fu il progetto del Piano regolatore, redatto dagli ingegneri Franco Mastrorilli e Giuseppe Milici, indicati come progettisti nel 1966. La discussione sul Piano, che si trascinava da oltre un decennio, cioè da quando Nicosia era stata inclusa fra quelle città aventi obbligo di redigere il piano regolatore generale per dare migliore e definivo assetto alla città, era stata ripresa per soddisfare l’esigenza della popolazione aumentata del 10% ed aveva come obiettivo quello di delimitare il perimetro del centro urbano secondo i criteri del piano regolatore (zone di residenza e zone di espansione) e di creare un intimo rapporto tra le zone agricole e le zone residenziali urbanizzate. Il piano, da una parte, proponeva la conservazione del centro storico nelle zone di via Gian Battista Li Volsi, Via Fratelli Testa e Largo Duomo, la creazione di un parcheggio tra il largo Peculio e la via Belviso, lo spostamento del mercato in via S. Anna, dall’altra prevedeva la zona di espansione della città verso le contrade Itria, Ape Magnana, Indovino e la costruzione di una strada di circonvallazione che partendo dalla S.S. 117, in prossimità della curva del Calvario, si collegasse con la stessa all’altezza di contrada Cirata e prospettava anche la demolizione di case ed alcuni sventramenti. I cittadini si illusero di assistere nel giro di pochi anni al cambiamento del loro paese in una vera e propria cittadina, ma di fatto dovette registrarsi un notevole rallentamento se nella seduta del 4 maggio 1968 la Sinistra lamentava che non solo non si era proceduto all’approvazione del Piano regolatore (il cui termine scadeva nel novembre del ’68) ma si era del tutto abbandonata l’idea, con gravi conseguenze nel campo edilizio e in quello dell’occupazione.
Il “Sessantotto” nicosiano Il nostro Sessantotto fu completamente diverso da quello europeo ed italiano. Nicosia non fu attraversata da quella rivoluzione culturale che contestava ogni potere burocratico e ogni autorità, che metteva sotto accusa dirigenti politici, funzionari, intellettuali e insegnanti. Forse perché, come intuì a suo tempo Vincenzo Cuoco, “una rivoluzione ideologica non si può attuare se non si risolvono i problemi più urgenti della popolazione”. Una grave situazione affliggeva la popolazione nicosiana: non solo erano state emesse 300 ordinanze di sgombero di edifici pericolanti a causa del sisma, ma anche il blocco delle costruzioni edilizie, la mancanza di adeguati lavori pubblici nel territorio di Nicosia aveva causato un grave e significativo esodo migratorio. Fu compito dei consiglieri della sinistra chiedere al Consiglio, nella seduta del 4 maggio 1968, di esaminare la situazione dei terremotati e di rivolgersi alle autorità regionali e nazionali per risolvere la preoccupante crisi di alloggi e di posti di lavoro nel nostro Comune. L’Amministrazione pensò di investire nel set65
Scuola elementare S. Vincenzo (oggi).
Scuola elementare “Carmine” (già “Pozzi Fiera”) intitolata oggi a “Carmelo La Giglia”.
tore delle opere infrastrutturali che avrebbero dovuto funzionare da volano per l’economia del nostro paese. Fu dato incarico all’ ing. Sabella di progettare la costruzione di un mercato comunale; fu scelta e ceduta un’ area per la costruzione dell’ edificio dell’Istituto Tecnico per Geometri; fu avanzata istanza per la concessione di contributi necessari per la realizzazione dell’ edificio scolastico del Liceo Classico “ Fratelli Testa”, per la demolizione e ricostruzione dell’edificio scolastico elementare S. Domenico, per l’ ampliamento della Scuola Media Luigi Pirandello e il completamento della Scuola elementare S.Vincenzo e della Scuola elementare Pozzi Fiera. 66
Fu anche presentato all’Assemblea regionale il disegno di legge n. 256 relativo a provvidenze a favore dei comuni e delle province nel cui territorio ricadevano giacimenti di idrocarburi liquidi e gassosi e fu avanzata richiesta di inserimento del comune di Nicosia nel comprensorio turistico siciliano, il cui piano di sviluppo era stato redatto dalla IANUS su incarico della Cassa per il Mezzogiorno. Infatti i precedenti storici del nostro paese - di cui esistono ancora interessanti vestigia - la presenza di pregiate opere d’arte in tutte le sue Chiese, i ridenti dintorni, le davano il diritto di poter diventare meta di visite turistiche. Inoltre, nella seduta del 15 giugno, si procedette alla liquidazione d’indennità di esproprio a favore di tutti coloro che avevano avuto “falciate” le loro case per consentire la costruzione della traversa interna Carmine- Lavatoio e all’assegnazione delle Case Escal.
Mancato decollo di interventi previsti Gravi ed esasperati furono, però, i ritardi con cui i governi nazionali e regionali procedettero all’applicazione delle leggi in favore delle zone colpite dal terremoto, come aveva accertato la Delegazione parlamentare nazionale della Commissione lavori pubblici nella recente visita in Sicilia, mentre esistevano sia le disponibilità finanziarie che gli strumenti legislativi per la ricostruzione e riparazione delle case distrutte o danneggiate, per la rinascita economica e sociale connessa allo sviluppo dell’agricoltura e per gli impianti per lo sviluppo dei centri industriali di tutti i comuni delle 5 province classificate zone sismiche di I e II categoria. La ricostruzione e riparazione degli edifici colpiti dal terremoto del 1967 non aveva avuto inizio, tanto che il consigliere Grillo, nella seduta del 26 luglio 1969, lamentò la lentezza con cui operavano gli amministratori comunali. A circa due anni di distanza dal sisma, infatti, chi aveva avuto la casa rovinata o resa inabitabile non aveva ancora ricevuto nessun contributo per il riattamento o la ricostruzione delle stesse né tanto meno il Comune si era premurato di reperire aree edificabili da concedere ai sinistrati. Un valido intervento del consigliere Circasso, riguardante le provvidenze per i terremotati del sisma, indusse il Consiglio comunale a sollecitare gli organi competenti affinché venisse approvato e finanziato il piano di coordinamento regionale CIPE.18 Fallimentari e intralciati da difficoltà, ritardi e inadempienze a livello nazionale risultarono anche i tentativi di creare un’occupazione diffusa. A richiamare l’attenzione sulla grave e disastrosa situazione economica esistente in Sicilia e a sollecitare tutte le misure che potessero assicurare una rapida ripresa, furono le tre organizzazioni sindacali CISL-CGL-UIL che indissero uno sciopero generale di 24 ore per l’11 luglio 1969, per tutte le categorie di lavoratori per definire gli interventi per le zone terremotate, stilare un programma di sviluppo industriale nei settori chimico, manifatturiero, alimentare istituendo un centro nazionale di ricerche scientifiche in Sicilia, convocare una conferenza urgente regionale sulle partecipazioni statali affinché fosse incentivata la localizzazione industria-
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Istitutito proprio in quegli anni (con legge n. 48 del 27.02.1967) e recentemente riconfermato dalla legge n. 537 del 1993 - con la quale sono stati soppressi diversi comitati interministeriali - il CIPE (Comitato Interministeriale Per la Programmazione Economica) ha, a differenza di altre sedi collegiali consultive, poteri deliberanti. In particolare indica le linee generali per la elaborazione, l’impostazione e l’attuazione del programma economico nazionale; promuove e coordina a tale scopo l’attività della pubblica amministrazione e degli enti pubblici; suggerisce provvedimenti per affrontare congiunture sfavorevoli.
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le nel Mezzogiorno e nella Sicilia. A comunicare la data dello sciopero fu il consigliere Annibale Circasso che sottolineò l’importanza di aderirvi per avviare un programma di sviluppo economico e giungere alla soluzione dei problemi dei lavoratori che andavano dall’occupazione al miglioramento dei salari. Fra l’altro, pochi mesi prima (esattamente il 5 febbraio 1969), dalla stampa si era appreso che i giovani lavoratori nicosiani e sperlinghesi, che avrebbero dovuto partecipare ai corsi di qualificazione per lavorare nella zona mineraria “Mandre” - corsi promessi dal Sindaco e dal sen. Verzotto, presidente dell’EMS - erano stati tagliati fuori dalla partecipazione di detti corsi. Pertanto Circasso chiese di convocare una riunione congiunta delle forze politiche sindacali, dei rappresentati dei sodalizi e delle associazioni varie, affinché, unitamente all’Amministrazione comunale, dessero vita ad un comitato cittadino di agitazione per riprendere la lotta fino al conseguimento di un razionale sfruttamento della nostra zona mineraria. Infine, la Giunta municipale fu sollecitata dal consigliere Pidone ad intervenire affinché l’ ENI, che sfruttava i giacimenti di Gagliano Castelferrato, concedesse il metano per uso industriale a prezzo differenziato e procedesse alla costruzione di una rete di metanodotti a favore dei comuni della provincia di Enna. Infatti, malgrado gli accordi intercorsi tra l’Ente e il governo della Regione Siciliana, l’ENI si era rifiutato di concedere a prezzo ridotto il metano a favore della zona industriale denominata “Pirato” e di costruire una rete di metanodotti per uso civile nei comuni della provincia di Enna.
Impegno nella realizzazione di alcuni punti del programma Il Comune diede incarico all’ing. Sabella di redigere il progetto per il completamento del Palazzo di Giustizia, infatti il 14 febbraio 1969 i Ministri di Grazia e Giustizia, dell’ Interno e del Tesoro avevano dato l’autorizzazione a procedere ed il Consorzio di Credito per le opere pubbliche di Roma aveva concesso un mutuo di 131 milioni e 710 mila lire da destinare ai lavori di completamento. Come collaudatore degli stessi, eseguiti dalla ditta Sicil Beton, venne nominato, nella seduta del 29 dicembre 1969, l’ing. Giovanni Mirabella. Sfruttando la legge n. 634 del 29 luglio 1957, che prevedeva si potessero concedere ai Comuni mutui per acquisto di suolo da destinarsi a installazione o costruzione di impianti per l’esercizio di attività industriali e tendenti all’incremento dell’occupazione locale, il Comune, proprietario di un’area di suolo edificabile in contrada Sacramento, concesse senza alcun sacrificio economico ad una cooperativa edile l’area richiesta per la costruzione di depositi e laboratori. A favore degli operai disoccupati, grazie ai fondi dell’Assessorato del Lavoro e della Cooperazione, vennero istituiti cantieri speciali di lavoro per la sistemazione della via Carlo V e per la sistemazione della via Fontana a Villadoro, e cantieri regionali per la sistemazione stradale e la costruzione di muri di sostegno nel quartiere S. Paolo, per la pavimentazione stradale e la costruzione della rete idrica e fognante nella via S. Salvatore, per i lavori di completamento della rete fognante nel quartiere S. Michele. La Giunta Municipale, inoltre, con deliberazione adottata l’8 maggio 1969, diede mandato al Sindaco di inoltrare istanza alle competenti autorità al fine di chiedere ed ottenere l’istituzione del Liceo Scientifico Statale a Nicosia per l’anno 1970 e l’istituzione in provincia di Enna di una sede universitaria con facoltà 68
tecniche e scientifiche. Il Consiglio comunale votò l’assunzione di un mutuo per il completamento dell’edificio scolastico nel quartiere Pozzi Fiera e deliberò l’assegnazione di borse di studio per gli studenti delle scuole medie inferiori, superiori e per gli universitari. In considerazione dell’espansione del centro abitato verso località della periferia e considerata la necessità di potenziare l’illuminazione pubblica, fu votata l’istallazione di nuovi corpi illuminanti in varie vie e successivamente fu approvato un progetto di ampliamento e rimodernamento della rete pubblica di illuminazione con lampade a vapore di mercurio e ad incandescenza. All’ing. Giuseppe Faranda di Roma fu assegnata la progettazione della rete idrica ed il completamento delle fognature, a totale carico della Cassa per il Mezzogiorno. Il Consiglio richiese ai progettisti Mastrorilli e Milici di presentare un nuovo Regolamento edilizio con annesso programma di fabbricazione in cui fu indicata come zona di espansione la Contrada Magnana e rinnovò l’Azienda Speciale Silvo Pastorale per un ulteriore periodo di 5 anni.19 Nel campo della sanità, per l’anno scolastico ’68- ’69, venne istituito il controllo sanitario degli alunni delle scuole statali dell’obbligo ed il 5 novembre venne rinnovato il Comitato di amministrazione dell’Ospedale. Vennero nominati, per il quadriennio 1968- 1971, quali componenti del Comitato amministrativo dell’ ECA: il giudice Antonino Rizzo 20 la sig.na Maria Di Fini, l’avv. Francesco Insinga, il geom. Michele Di Stefano, il sig. Graziano De Luca, il sig. Filippo Li Volsi, l’avv. Leonardo Latona, Mons. Sigismundo Vitale, il prof. Vincenzo Nisi. Il Consiglio comunale, nella seduta del 20 dicembre 1969, invitò i cittadini e tutti i lavoratori a respingere con fermezza i tentativi di sovversione - da qualunque parte provenissero - e a battersi per dare alle lotte dei lavoratori traguardi sempre più democratici. In seguito al grave fatto avvenuto a Milano (strage di piazza Fontana), che attestava l’esistenza di un piano destinato ad incutere terrore nei cittadini e nel Paese per tentare svolte autoritarie e antidemocratiche, su richiesta del consigliere Enzo Circasso, del gruppo del PSI, il Consiglio espresse le sua esecrazione per l’attentato che aveva provocato la morte e il ferimento di un così gran numero di cittadini.
19 Il Consiglio comunale dell’epoca aveva stabilito che l’Azienda - che aveva iniziato il suo funzionamento il 6/12/1954- avrebbe dovuto avere una durata di 10 anni salvo proroghe successive della durata massima di 5 anni ciascuna. Nel 1964, alla scadenza del decennio, l’Azienda era stata rinnovata per un ulteriore quinquennio, che veniva a scadere proprio nel dicembre 1969. 20 Un anno dopo, al posto di Rizzo, venne nominato Nunzio Costa quale membro del comitato amministratore dell’E.C.A, per lo stesso quadriennio. Infatti il Consiglio di stato si era pronunciato nel senso che i magistrati, non essendo eleggibili a consiglieri comunali nei Comuni dove esercitavano la loro giurisdizione, dovevano ritenersi esclusi dalla carica di membro dei Comitati degli E.C.A.
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3. Gli anni Settanta
Gli effetti della crisi politica, sociale ed economica, nata dal movimento del ’68, si trascinarono per tutti gli anni ‘70. L’inflazione era aumentata fortemente. Molteplici le cause: le difficoltà dell’agricoltura, il peso dello stato sociale, gli aumenti di stipendio, il rapido sviluppo delle città. Lo Stato aumentò le tasse, le banche diminuirono i crediti, la produzione industriale diminuì e aumentò la disoccupazione. Tuttavia, dopo l’autunno caldo del 1969, in cui culminarono le accese proteste e le forti agitazioni dei lavoratori, questi ultimi ottennero buoni risultati: riduzioni dell’orario di lavoro, accordi sulle pensioni, istituzione della scala mobile, un meccanismo automatico di recupero nel salario dell’aumento del costo della vita. Ma i risultati più incisivi del movimento operaio si registrarono nel 1970 con lo “Statuto dei Lavoratori,” un documento che dava regole precise ai poteri del datore di lavoro tutelando la sicurezza e i diritti politici e sindacali dei lavoratori, e con il riconoscimento, quali interlocutori stabili del governo e delle industrie, dei tre sindacati principali: CGIL, CISL, UIL uniti in confederazione. Mutamenti sociali interessarono la famiglia, infatti nel 1970 venne emanata la legge sul divorzio, che poi scatenò la battaglia politica sul tema sino al referendum, effettuato nel 1974 e vinto dai divorzisti; nel 1975 venne approvato il nuovo diritto di famiglia e nel 1978 la legge che permette l’aborto. Gli anni Settanta videro anche la fine dei governi di centro-sinistra e la costante avanzata del Pci, infatti nelle elezioni politiche del 1976 i comunisti raggiunsero quota 34,4%. Questa impennata fu determinata dalla politica di Enrico Berlinguer, che diede un nuovo indirizzo alla politica dei comunisti italiani, proponendo l’eurocomunismo, (una “terza via” tra socialismo democratico e comunismo sovietico), e aveva proposto il cosiddetto “compromesso storico”, cioè una collaborazione fra il Pci e la Dc. Purtroppo proprio nel giorno in cui il Parlamento avrebbe dovuto discutere sulla possibilità di un compromesso, il 16 marzo 1978, un commando delle “Brigate Rosse” rapì e assassinò Aldo Moro e la sua scorta. Molte altre terribili stragi funestarono il clima italiano negli anni Settanta (definiti “Anni di piombo”): gruppi terroristici di destra e di sinistra adottarono la strategia della tensione e provocarono timore e insicurezza nella popolazione italiana, che tra il 1974 ed 1981 assistette all’uccisione di magistrati, giornalisti, funzionari e agenti di polizia, uomini politici, dirigenti industriali e sindacalisti. Nicosia visse questi anni da spettatrice attenta ma distante e, seppure informata dai partiti di sinistra ed in particolare dal partito comunista sulle conquiste ottenute in campo nazionale, non fu teatro di forti agitazioni dei lavoratori, che si limitarono a richiedere la partecipazione dei componenti del Consiglio comunale e della cittadinanza a giornate di sciopero, che risultarono però fallimentari. Tuttavia i politici dell’epoca avvertirono quest’aria nuova e per certi versi minacciosa e si mostrarono più accondiscendenti (almeno a parole) nei confronti della massa dei lavoratori. E così stranamente nella nostra cittadina si registrò un’inversione di tendenza rispetto alle direttive politiche nazionali, infatti mentre in tutta Italia si era registrata la fine dei governi di centrosinistra ed un’avanzata del Pci, a Nicosia in questi anni si formò per la prima volta un’amministrazione di centro-sinistra.
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“L’interregno” di Vanadia Il titolo che abbiamo voluto dare a questo paragrafo non è stato dettato da alcun intendimento ironico, ma solo dalla volontà di trovare un termine che desse concretamente l’idea di un breve periodo di transizione, quale fu quello che si venne a determinare tra le dimissioni del Sindaco Motta, chiamato a presiedere la Commissione provinciale di Controllo di Enna, e l’elezione del suo successore nelle elezioni amministrative fissate per il 7 giugno 1970. Essendosi, infatti, venuta a creare per Motta una incompatibilità tra le cariche ricoperte finora e la nuova carica, si dovette procedere alla integrazione della composizione del Consiglio comunale e all’elezione del nuovo Sindaco. Fu così che, convocato d’urgenza il Consiglio comunale il 10 aprile 1970, si procedette alla sostituzione di Motta con il consigliere Sigismundo Pidone e a quella del dimissionario consigliere comunale Luigi Alberti con Salvatore Casale. In quella stessa seduta la maggioranza elesse Sindaco l’ing. Nicolò Vanadia (con 16 voti su 21 votanti e con 5 schede bianche, frutto dell’astensione dalla votazione, pubblicamente dichiarata, dei consiglieri Enzo Circasso, Buttafuoco, Cigno e Grillo). Il nuovo Sindaco non mancò di tessere il panegirico al suo predecessore che aveva lavorato con impegno per Nicosia assicurando fra l’altro la viabilità di strade interne ed esterne, la luce e i telefoni nelle contrade rurali. Ma le lodi furono intaccate dal consigliere comunista Annibale Circasso che espresse invece un giudizio politico negativo su tutta la Dc, rimarcando che la vecchia Amministrazione aveva lasciato irrisolti molti problemi: dalla disoccupazione dilagante all’emorragia migratoria (ben 300 lavoratori nicosiani avevano lasciato il nostro paese per cercare lavoro altrove), dal mancato sfruttamento dei sali potassici di Mandre alle piaghe lasciate dal terremoto, dalla crisi dell’ospedale al disagio della scuola, dal problema dell’agricoltura a quello dell’ Azienda Silvo Pastorale. E, a conclusione della sua requisitoria, si augurò che il nuovo Sindaco adottasse dei criteri di apertura verso i partiti socialisti e che “le elezioni del 7 giugno dessero veramente un nuovo assetto all’Amministrazione di Nicosia, che durante la prima legislatura di Motta era stata clerico-fascista e durante la seconda non era stata capace di risolvere i gravi problemi che affliggevano la cittadinanza”. E, forse, Circasso non aveva tutti i torti, se si considera che il Sindaco neoeletto si trovò ad affrontare, quasi all’indomani della sua elezione, annosi problemi. Primo fra tutti quello dell’approvvigionamento idrico della città. Egli, infatti, dovette tempestivamente nominare una Commissione con il compito di sottoporre il problema all’attenzione delle autorità a Roma, contattare il presidente e i tecnici dell’EAS (Ente Acquedotti Siciliani) per proporre loro il passaggio di gestione degli impianti idrici, adoperarsi per far giungere l’acqua attraverso la condotta dell’ Ancipa e avanzare istanza alla Cassa del Mezzogiorno per il totale finanziamento dell’opera di normalizzazione della rete di distribuzione idrica nelle zone orientali e centrali dell’abitato (opera affidata all’ing. Giuseppe Faranda). Pare, però, che l’entrata in funzione dell’acquedotto Ancipa non fosse stato risolutivo, se a distanza di un anno il consigliere Carmelo Castrogiovanni (eletto nella lista del Psdi) lamentava carenza di acqua e disservizi di particolare entità che lasciavano privi di questo prezioso bene interi quartieri e intere palazzine abitate da un elevato numero di famiglie e se il consigliere Lipari avanzava l’accusa che, in pratica, l’Ancipa non aveva dato l’acqua nella quantità richiesta e convenuta perchè non era stata firmata la relativa convenzione e non erano stati installati neanche i contatori. 72
Altro problema fu quello di superare il disagio della scuola (carente di edifici scolastici sia nel centro che nelle zone rurali) e delle famiglie colpite dal terremoto, tanto è vero che il Sindaco Vanadia si attivò per far redigere una serie di progetti che assicurassero sedi scolastiche elementari idonee ( in Piazza S. Domenico, nella zona Pozzi Fiera, nelle contrade di Spina Santa, Fontana di Piazza e Spirini) e alloggi da destinare ai lavoratori (Case Gescal in contrada Magnana).
Elezioni amministrative ‘70 Dopo il breve “interregno” di Vanadia, le elezioni amministrative del 7 e 8 giugno 1970 attestarono la stabilità della Dc che ebbe 5010 voti di lista e 19 seggi, mentre, degli altri quattro partiti che presentarono la lista, il Pci e il Psiup unificati ebbero un calo (1566 voti con 6 seggi), il Psi un sensibile aumento (1060 voti con 4 seggi) e una vera impennata il Psdi ( 645 voti di lista e 2 seggi), mentre il Msi perse un altro centinaio di voti rispetto al 1964 totalizzando appena 315 voti ed ottenendo un solo seggio. Nella seduta di insediamento del nuovo Consiglio comunale, svoltasi il 24 novembre1970, si riunirono nell’Aula consiliare del municipio i neo-eletti consiglieri:
1) Vanadia Nicolò, ingegnere
17) Messina Nicolò, docente
2) D’Alessandro Ugo
18) Picone Felice, insegnante
3) Catania Carmelo
19) Raspanti Michele
4 Angilello Costantino, dottore
21) Circasso Annibale3
5) Guidara Gioacchino, insegnante
21) Scinardi Giuseppe
6) D’Alessandro Michele, avvocato
22) Raimondi Vincenzo
7) Cerami Pietro, insegnante
23) Panatteri Ignazio
8) Pecora Filippo
24) Ferro Giuseppe, geometra
9) Santiglia Guido
25) Cipriano Giuseppe
10) Tuttobene Luigi
26) Milici Giuseppe, ingegnere
11) Scardino Filippo 1, geometra
27) Belfiore Carmelo, geometra
12) Bonelli Giuseppe
28) Ugliarolo Ignazio
13) Emanuele Mario, insegnante
29) Raspanti Filippo, geometra
14) Castrogiovanni Sigismundo, insegnante
30) Castrogiovanni Carmelo, avvocato
15) Scardilli Vincenzo, insegnante
31) De Luca Salvatore 4
16) Fascetta Salvatore 2
32) Militello Nicolò 5, ingegnere
Elezioni amministrative del 7 e 8 giugno 1970: gli eletti al Consiglio comunale.
1 Nella seduta del 25 giugno 1973 il consigliere Scardino rassegnò le sue dimissioni essendo stato eletto membro del Consiglio Amministrativo dell’ECA e, ai sensi dell’art.175 degli EE.LL. della Regione siciliana, poteva optare per la nuova carica. Venne nominato in surroga il geom. Lo Presti Bartolomeo, primo candidato non eletto della lista della Dc. 2 Nella seduta del 28 aprile 1975, al posto di Fascetta Salvatore venne eletto in surroga Salvatore Castrogiovanni primo dei non eletti nella lista della Dc. 3 Il 25 giugno 1970, durante la seduta di insediamento del Consiglio comunale, Circasso, eletto nella lista n. 1 (Pci-Psiup) presentò le sue dimissioni, avendo optato per la carica di consigliere provinciale non compatibile con quella di consigliere comunale. Gli subentrò, quale primo dei non eletti della propria lista, Lipari Antonino. 4 Nella seduta del 21 marzo 1975, al posto di De Luca venne nominato in surroga Di Noto Vincenzo, primo dei non eletti nella lista del Psdi. 5 Il 12 Maggio 1971 subentrò a Militello, della lista Msi, Nicolò Battiato.
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Nella maniera più pacata e composta si procedette all’elezione del Sindaco nella persona dell’ing. Vanadia e della Giunta Municipale nelle persone di Mario Emanuele, Filippo Scardino, Carmelo Catania, Ugo D’Alessandro, Sigismundo Castrogiovanni e Filippo Pecora.
Riaffiorano problemi non risolti Fu compito doveroso dell’opposizione attenzionare, nelle due sedute dell’ottobre 1970, il crescente esodo migratorio e la mancanza di massicci finanziamenti idonei per la rinascita di Nicosia. Il consigliere Carmelo Belfiore (del gruppo Psi) dopo aver fatto presente che ben 1500 braccianti agricoli non avevano lavoro fin dall’agosto 1969 e che i commercianti e gli artigiani avevano avviato una battaglia perché con i loro introiti non riuscivano neppure a pagare le tasse, chiese quali prospettive si offrissero ai lavoratori per l’inverno ormai prossimo, augurandosi che per il gruppo di potere dominante non valesse il detto “Tanto meno siamo, meglio è”. Ripropose, quindi, lo sfruttamento dei sali potassici in contrada Mandre che avrebbe potuto assicurare posti di lavoro.6 Altra fascia debole attenzionata dal consigliere socialista fu quella dei terremotati. Belfiore chiese al Sindaco di conoscere l’ammontare delle somme pervenute al Comune per i terremotati, l’organo erogante, la data dell’arrivo dei fondi stessi, i criteri adottati per la distribuzione e se esistessero registri contabili o elenchi. Chiese anche i motivi per cui l’ufficio (istituito presso il Comune nei mesi successivi al terremoto del 1967) che provvedeva alla distribuzione di sussidi e indumenti fosse stato chiuso nel 1968 e “stranamente riaperto prima delle elezioni del 7 giugno”. Insistette anche per conoscere “i motivi per cui fossero stati assegnati da parte del Comune, tramite l’ECA, sussidi straordinari e somme di denaro ai coltivatori diretti per la sistemazione di trazzere” e, a nome del Psi, chiese di sapere da quale voce l’amministrazione comunale avesse prelevato dette somme e se nel Consiglio fossero stati esibiti i registri contabili. Espresse anche il suo disappunto per il fatto che “ben 800 pratiche di terremotati del sisma ottobre-novembre 1967 giacevano presso l’U.T.P. in attesa di essere istruite”, sottolineò l’assenza all’interno dell’U.T.P. di un dirigente laureato in ingegneria e aggiunse che questo ritardo “costituiva una grave remora per quei cittadini che avevano in animo di ricostruire le loro case”. Per tamponare le pressanti ed imbarazzanti domande di Belfiore, su proposta della Presidenza, venne subito affidato l’incarico di istruire le pratiche, giacenti presso l’U.T.C. e relative ai danni sismici prodotti ai fabbricati urbani del terremoto, a quattro geometri esercenti la libera professione: Giovanni Composto, Pierfranco Mirabella, Francesco Gaita, Nicolò D’Alessandro. Ma questo provvedimento non mise a tacere il consigliere, che tornando all’attacco ancora più agguerrito nella seduta del 16 dicembre 1970, scoprì definitivamente le carte rendendo la vita dura agli esponenti della Dc. Dopo aver dichiarato di essere venuto a conoscenza che erano pervenuti dalla prefettura e da altri Enti sussidi per un importo di 17 milioni e 500 mila lire, richiese che venissero sottoposti al Consiglio tutti i documenti relativi al terremoto, il carteg6 Relativamente a questa proposta, il Sindaco rassicurò il Consiglio comunicando che una Commissione, costituitasi in seno all’Amministrazione Provinciale, si era recata a Palermo presso l’Ente minerario siciliano, il quale aveva dato incarico ad una società tedesca di esaminare i sali per studiare le loro composizioni e le possibilità di sfruttamento in loco; la società, dal canto suo, si era impegnata a dare, entro 5 settimane, una risposta sulla natura dei sali e sulla convenienza o meno di lavorarli.
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gio assistenziale e gli atti e le documentazioni inerenti l’erogazione di somme a privati per la sistemazione di trazzere comunali e stradelle interpoderali, distribuite presso i locali uffici dell’ECA, precisando che “tra le competenze dell’Ente non gli risultava quella di provvedere - direttamente o con erogazioni di somme a privati - alla sistemazione di trazzere ed altro”. Interrogò inoltre il Sindaco per sapere come mai presso la segreteria del Comune non fosse possibile ad un consigliere comunale prendere visione degli elenchi dei beneficiati e come mai alle citate delibere non fosse allegato il relativo conteggio assistenziale. La Presidenza, eludendo abilmente le specifiche richieste, informò il Consiglio che a favore del Comune era stato erogato un finanziamento di 65 milioni di lire (Legge regionale n. 64) per le case terremotate della Magnana e che questo sarebbe stato impiegato nell’esecuzione delle opere necessarie per ripristinare collegamenti stradali, acqua, luce, fogne. Ma Belfiore ribattè che non esisteva ancora una progettazione delle opere ed altri consiglieri (Ferro, Milici, D’Alessandro) espressero il loro malcontento circa gli interventi del Comune del tutto inadeguati alle emergenze. Fu ancora il consigliere Belfiore a sollevare un altro problema: il “cattivo” funzionamento dell’Ospedale civico Basilotta di Nicosia, rilevando l’incresciosa situazione di molti ammalati costretti a ricoverarsi negli ospedali di Enna e Leonforte per farsi curare ed informando il Consiglio che era giunta notizia dello scioglimento della convenzione con l’INAM per l’assistenza radiologica e che altre convenzioni sarebbero state sciolte. Il motivo di questo disservizio era dovuto al fatto che, mentre gli altri ospedali erano alle dipendenze della Regione, il nostro era rimasto un Ente di beneficenza e assistenza, diretto e amministrato dalla direzione dell’ECA. Pertanto si considerò urgente inviare al presidente della Regione Siciliana e all’Assessore regionale della sanità, Mario Mazzaglia, un sollecito affinché venisse registrato il decreto con cui l’ospedale civico era stato elevato ad Ente ospedaliero, un decreto (incredibile a dirsi!) che risaliva al 20 gennaio 1961. La presidenza, quasi ad attenuare il clima di scontento generale, comunicò che il secondo lotto per la costruzione del nuovo ospedale era stato finanziato dal Ministero per i lavori pubblici e che il completamento dell’opera avrebbe potuto assicurare alle popolazioni del circondario una adeguata e decorosa assistenza sanitaria.
Lo scandalo ECA “travolge” la Dc Ma i problemi non erano finiti! Un gravissimo e clamoroso scandalo esplose alla fine dell’estate del ’71 e culminò con l’arresto della Presidentessa dell’ECA - Ospedale di Nicosia7. Superfluo è dire che generalizzato fu lo stato di disagio ed apprensione dell’opinione pubblica.
7 Per capire cosa fosse l’ECA (Ente Comunale di Assistenza) e quale fosse la sua funzione, ci sembra opportuno tracciare un breve profilo storico-istituzionale di questo Ente, che, istituito nel nostro Comune - come in tutti i Comuni del Regno d’Italia - con la legge 3 giugno 1937, n. 847, amministrava i beni destinati ai poveri da parte di più benefattori, provvedendo al conseguimento del suo scopo per mezzo delle rendite del suo patrimonio, di quelle derivanti dalle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza che amministrava e delle somme che annualmente gli venivano assegnate dallo Stato, dalle amministrazioni pubbliche e dai privati. I compiti dell’ECA erano assai vasti e si esplicavano mediante l’erogazione di sussidi in denaro o in natura (come i pasti per i poveri e il ricovero notturno) e di vari altri provvedimenti volti al soddisfacimento di bisogni immediati (come il soccorso invernale agli indigenti). L’ECA contribuiva per l’invio di bambini bisognosi poveri alle colonie marine e montane, all’assistenza
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Filippo Raspanti. Nato a Nicosia nel 1935, consegue il Diploma di Geometra presso l’Istituto Tecnico “Gemmellaro” di Catania (1955) e successivamente quello di Educazione Fisica (disciplina che ha insegnato in vari istituti superiori di Nicosia). Amante dello Sport, sin da giovane si distingue nei campionati studenteschi divenendo campione siciliano di salto in alto e di salto in lungo e campione italiano (Centro-sud) di salto triplo. Perseverando in questa sua passione, diviene campione italiano Master di salto in alto nel 1978 e successivamente allenatore di atletica leggera, di pallavolo e pallamano. Iscritto al Psi sin dal 1963, viene eletto nel 1970 Consigliere comunale ed Assessore allo Sport, Igiene e Sanità.
Il Consiglio, su richiesta dei consiglieri dell’opposizione, fu convocato d’urgenza il 6 settembre 1971. Appariva improcrastinabile ed indispensabile all’opposizione un chiarimento politico ed amministrativo per discutere sulle responsabilità politiche nell’Amministrazione ECA e fare piena luce sui fatti. Accuse pesanti da parte dei consiglieri d’opposizione vennero fatte ricadere sulla Dc che “da circa dieci anni, incontrastata, aveva governato il paese, cercando alleanze (una volta con il clero, un’altra volta con i fascisti) che si erano rivelate fallimentari e diffondendo il clientelismo”, che “invece di pensare a rendere funzionale il piano regolatore, a sfruttare i sali potassici, a mettere a beneficio dei cittadini le leggi per i terremotati, aveva dato campo libero alle speculazioni di ogni genere”, che “si era rivelata tanto insensibile da lodare circa un anno prima l’Amministrazione dell’ECA, nonostante l’opposizione l’avesse messo in guardia” asserendo che “era in grado di poter assicurare una continuità nella vita amministrativa degli Enti amministrati, rispondendo in pieno alle esigenze della cittadinanza”. La conclusione delle pesanti requisitorie fu la richiesta di dimissioni del Sindaco e della Giunta, incapaci di assolvere i problemi che da tempo assillavano il nostro paese. Il consigliere Ugliarolo, inoltre, rilevò che “fino a poco tempo fa Nicosia era preceduta da fama di città onesta e saggia, mentre oggi mancava l’una e l’altra qualità” ed espresse la sua meraviglia nel constatare che “nonostante abbiano fatto parte di un Comitato di Amministrazione dell’ECA il prof. Nisi, di cui è nota l’intelligenza e la serietà, e il geom. Di Stefano, di cui è nota la capacità, una donna che forse non aveva neanche conseguito la licenza elementare fosse la Presidentessa dell’ECA”. Ed il consigliere Raspanti affermò che “i fatti gettavano una macchia incancellabile su Nicosia. Alla Di Fini si volevano addossare tutte le colpe, mentre queste ultime avevano origini più profonde. Era vero che la Di Fini era una esponente della Dc e apparteneva ai Comitati civici e ad altre associazioni; era vero che era sorella del sacerdote Direttore dei Comitati civici e che aveva servito la Dc durante le elezioni e l’aveva servito bene stando alla Presidenza dell’ECA, ma era anche vero che era stato comodo servirsi di lei”. Aggiunse che “mai era stata ascoltata e raccolta la richiesta di nomina di una Commissione d’inchiesta, mai era stato dato ascolto alla richiesta di presentare il rendiconto dei 56 milioni dati dalla Prefettura per il terremoto, che erano finiti forse a finanziare stradelle” e concluse che “lo scandalo avrebbe potuto riguardare e propagarsi ad altri Enti perché dove c’era la Dc vi era scandalo, corruzione, mafia” e che il Sindaco e la Giunta comunale dovevano dimettersi così come aveva fatto “il Direttivo della Dc che aveva accusato il colpo”. A rimarcare il tentativo di speculazione politica degli avversari, tendenti a coinvolgere il partito e il gruppo consiliare Dc e ad esprimere il proprio biasimo “per il comportamento scorretto di chi, con volantini dal tenore volgare e passibile di querela, aveva creduto di dovere ricorrere alla calunnia per raggranellare ipotetici mandati politici”, fu il consigliere Messina, che ribadì che “il gruppo DC aveva il diritto politico e morale a continuare nel suo mandato amministrativo con sempre più acceso impegno e senso di dovere verso la città di Nicosia”. Anche Scardilli accusò l’opposizione di speculazione politica e colse l’occasio-
di poveri invalidi presso ospedali, ricoveri, istituti assistenziali, orfanotrofi e simili, sosteneva con sussidi in denaro i patronati scolastici, concorreva in varie forme alle occorrenze dei disoccupati, con l’erogazione di sussidi, generi di conforto, sovvenzioni di denaro secondo lo stato di necessità. L’ente comunale di assistenza era amministrato da un Comitato amministrativo i cui membri venivano nominati dal Consiglio comunale.
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ne per lanciare uno strale al Psi “che voleva fare la Cassandra, mentre trascurava i responsabili di ruberie di centinaia di milioni che tuttora venivano mantenuti in posti di preminenza” concludendo il suo intervento con le pungenti parole “i socialisti farebbero bene a guardare le proprie pecche, perché si parla di colpe e di processi e si trascura quello che avviene in casa propria. Il Psi non ha mai detto che Mancini è un ladro, anche se la notizia è data da molti giornali, tuttavia se Mancini è un ladro lo è sul piano personale e non viene minimamente intaccata la dignità del partito, perché il partito ne rimane escluso”. Più diplomatico fu D’Alessandro che, dopo aver espresso il suo disappunto nei confronti di chi aveva voluto includere nel Comitato ECA Maria Di Fini, dichiarò di essere contrario alle dimissioni del Sindaco e della Giunta, in quanto “avrebbero dovuto scindersi le responsabilità morali e materiali degli esponenti della Dc, che avrebbero dovuto rispondere, oltre che di fronte all’Assemblea di partito, anche di fronte alle autorità giudiziarie”. Non mancò, inoltre, di sottolineare che, nonostante i comunisti avessero voluto assumersi l’iniziativa di fare piena luce su quanto era successo all’ECA, di fatto era stata per prima la Dc a volerlo. La risposta dei consiglieri della minoranza non si fece attendere: il fatto, oltre che giudiziario, era anche politico, perché il comitato ECA era espressione della volontà politica della maggioranza che amministrava il nostro Comune. Pertanto il cattivo funzionamento di detto Comitato investiva e coinvolgeva la responsabilità dell’Organo che l’aveva espresso. “I democristiani hanno amministrato sempre l’ECA come loro feudo privato - aggiunse il consigliere Niccolò Battiato - e non hanno mai permesso che venissero eletti quali componenti del Comitato ECA. uomini degni, appartenenti ad altri schieramenti politici e indipendenti, comunque non servi della Dc”. La determinazione dei consiglieri dell’opposizione emerse nel comunicato datato 6 settembre 1971 e letto in Consiglio - in cui veniva evidenziato che “ il Consiglio comunale, preso atto della responsabilità politica della Dc e del gruppo di maggioranza assoluta sullo scandalo ECA-Ospedale, considerato che l’attuale Giunta monocolore non poteva in alcun modo continuare ad amministrare la cosa pubblica con i consueti metodi che si richiamavano al clientelismo, preso atto che la città aveva urgente bisogno di una amministrazione vicina ai bisogni popolari, che risolvesse i problemi inderogabili che la assillavano, invitava il Sindaco e i componenti della Giunta a dimettersi”. Ma il Presidente e la maggioranza Dc, dopo aver respinto le accuse di immobilismo politico e di clientelismo che erano state lanciate nei confronti dell’Amministrazione, mantennero il controllo della situazione, giudicando “inammissibile che si chiedessero le dimissioni del Sindaco e della Giunta municipale che avevano speso la propria attività al servizio del paese” e dichiarando di rimettersi alla Magistratura in cui riponevano la massima fiducia.
Un breve flashback sull’ ECA prima dello scandalo Si deve ricordare che il Consiglio comunale poco prima che scoppiasse lo scandalo aveva ricevuto le dimissioni dei componenti del Comitato amministrativo dell’ECA (prof. Vincenzo Nisi, geom. Michele Di Stefano, sig.na Maria Di Fini, avv. Francesco Insinga, dott. Leonardo Latona, sac. Sigismundo Vitale, sigg. Graziano De Luca, Filippo Li Volsi, Nunzio Costa). In quella circostanza Ugliarolo aveva rilevato che “il Comitato avrebbe dovu77
Giuseppe Milici. Nato a Nicosia il 25/10/1930, si laurea in Ingegneria a Palermo e inizia la sua attività nella città natale. Lavora insieme all’ing. Mastrorilli al Piano regolatore e porta a compimento, tra i suoi numerosi progetti, lo sventramento della Via IV Novembre e la sua pavimentazione. Partecipa alla vita politica nelle file del Psi e nelle elezioni amministrative del 1970 viene eletto Consigliere comunale, riportando 489 voti di preferenza, seguito da Belfiore con 185 voti e Ugliarolo con 159 voti.
to dimettersi da tempo considerato che nell’Amministrazione vi erano degli ammanchi consistenti” e aveva invitato il Consiglio a votare un odg da inviare al Prefetto perché mandasse una Commissione di inchiesta. Nella stessa giornata il consigliere Milici aveva avanzato la richiesta di conoscere il bilancio dell’Ente e la Presidenza gli aveva risposto che non aveva i poteri per controllarlo. Non erano inoltre mancate rimostranze da parte del consigliere Scinardi (che aveva affermato che “la Dc aveva ridotto ad una espressione di partito un Ente che avrebbe dovuto essere espressione di tutto il Consiglio Comunale”) e frecciate da parte del consigliere Carmelo Castrogiovanni (che si meravigliava del fatto che “i componenti dell’Amministrazione dell’ECA, di cui recentemente in seno al Consiglio erano state tessute le lodi, a distanza di due mesi facessero pervenire al Comune le dimissioni senza nessuna giustificazione e senza alcun chiarimento”). Anche il consigliere D’Alessandro (del gruppo di maggioranza) aveva confermato le voci allarmanti che circolavano sul conto del Comitato dell’ECA (si parlava di un ammanco di 100 / 150 milioni di lire!) affermando di sapere con certezza che alcuni dipendenti, che avevano dovuto ricorrere alla cessione del quinto dello stipendio, avevano avuto la “gradita” sorpresa di scoprire che l’Amministrazione non aveva versato le quote, che pur aveva trattenuto dai loro stipendi. In quella seduta la proposta di un eventuale rinnovo del Comitato amministrativo dell’ECA in cui fossero rappresentate tutte le forze politiche - sostenuta dai consiglieri D’Alessandro, Ugliarolo, Milici e Scinardi - non trovò terreno favorevole nella maggioranza che, supportata dal suggerimento del consigliere Messina, votò il rinvio delle nuove nomine (con 19 voti favorevoli e 10 contrari).
«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» A distanza di appena un mese e mezzo dalla discussione sullo scandalo ECA - esattamente nella seduta del 30 ottobre 1971 - tutti e sei gli assessori chiesero le dimissioni. Il consigliere Messina si affrettò a giustificarle, portando avanti il concetto che queste rientravano nel criterio della rotazione degli incarichi e costituivano un giusto mezzo per la valorizzazione di tutti gli uomini disponibili a dedicare il proprio tempo all’amministrazione della cosa pubblica. Egli, inoltre, sostenne che a tale criterio andavano aggiunti elementi personali, in quanto qualcuno degli assessori uscenti aveva reso noto al partito di non poter più dedicarsi al lavoro di Giunta, per effetto del sopraggiungere di nuove occupazioni di lavoro, tali da sottrarre agli stessi il tempo necessario da dedicare all’attività di amministratori. Questa dichiarazione suscitò un vespaio di proteste ed il consigliere Belfiore fu il primo ad accusare la Dc di ricorrere a manovre subdole tendenti a ricreare una Giunta monocolore per non perdere il potere giocando sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini e a chiedere una spiegazione politica ai responsabili del partito al quale gli elettori avevano dato la maggioranza assoluta. Concluse richiamando al senso di responsabilità gli esponenti più qualificati del partito di maggioranza - ed in prima persona il Sindaco - affinché rivedessero la loro posizione. Subito dopo fu il turno di Carmelo Castrogiovanni che non mancò di notare che, “se nel giro di sei mesi si intendeva effettivamente formare il centro sinistra, le dimissioni attuali non servivano, a meno che non si volesse dare sfogo alla libidine della poltrona e non si volesse fare una Giunta Municipale del Re di Maggio”. 78
La difesa del gruppo Dc fu ancora una volta assunta dal consigliere Messina, il quale affermò che “il suo partito, in riferimento ad una possibile formazione di un centro-sinistra per un allineamento ai governi di Roma e di Palermo - proposta da un partito di sinistra - aveva deciso di soprassedere e di rinviare la conclusione delle trattative ad altra data, sia perchè il direttivo del partito era dimissionario ed era impossibile consultare la base, sia perchè l’apertura a sinistra in questo momento avrebbe potuto essere interpretata come una manovra tendente a copertura dello scandalo ECA, il che non avrebbe fatto onore né alla Dc né agli altri partiti democratici di sinistra”. Era chiaro che la Dc aveva trovato l’alibi giusto per rieleggere indisturbata una Giunta monocolore. E fu a questo punto che Ugliarolo citò la famosa frase del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. La Presidenza ribadì che il rimpasto non era una manovra di sottobanco, che era legittimo da parte di qualcuno rinunziare per motivi di lavoro professionale e aggiunse che avrebbe gradito che l’operazione non venisse guardata con sospetto e che tutti i partiti democratici dessero una collaborazione fattiva e lavorassero in un clima di serenità e di chiarezza passando alla votazione della nuova Giunta. Ma i consiglieri del Psi, del Pci e del Psiup, non intendendo prestarsi alla elezione di una Giunta ancora una volta monocolore, disertarono la votazione, che avvenne ugualmente essendo rimasti in aula 21 Consiglieri. Vennero così eletti assessori comunali i consiglieri: Guidara, Raspanti, Emanuele, Angilello, Ugo D’Alessandro e Messina.
Primi segni di condivisione di problemi Dopo solo quattro mesi dallo scontro, la Presidenza si guadagnò calorosi applausi da parte del pubblico presente in aula e si assicurò l’apprezzamento dei consiglieri di sinistra per la sensibilità dimostrata nel convocare con urgenza il Consiglio comunale in vista dell’adesione allo sciopero generale e provinciale del 28 febbraio 1972 per i molteplici problemi dello sviluppo economico dell’Ennese, e nel mostrare fiducia nei confronti dei sindacati. Tutti i consiglieri che presero la parola, nella consapevolezza che non si poteva restare insensibili di fronte alle gravi situazioni economiche in cui versava la provincia di Enna, e in particolare il paese di Nicosia, rilevarono la necessità di aderire in maniera compatta allo sciopero; anzi qualcuno (Scardilli) avanzò l’ipotesi di restituire a Roma, nelle prossime elezioni politiche del 7 maggio, le schede senza votarle e qualche altro rilevò la necessità che tutti i venti consiglieri comunali dell’Ennese e il Consiglio dell’Amministrazione provinciale si dimettessero, perché solo così si sarebbe potuta ottenere l’attenzione degli organi responsabili sulla provincia di Enna. La seduta del 27 febbraio lasciava ben sperare in una collaborazione per il bene del paese. Il Consiglio all’unanimità approvò l’ordine del giorno dei sindacati, in quanto erano state disattese le giuste aspirazioni del Comune di Nicosia riguardanti: – lo sfruttamento dei giacimenti dei sali potassici di Mandre; – la realizzazione immediata delle opere prioritarie previste dallo stralcio al Piano zonale n. 28, già approvato dai Comuni interessati; 79
Ignazio Ugliarolo Nato a Nicosia il 21/11/1941, operatore della Telecom (già SIP ed, ancor prima, Azienda di Stato per i Servizi telefonici), è stato Consigliere del Psi nelle tre tornate elettorali del 1970, 1975 e 1980. In quest’ultima risultò 2° degli eletti, con 472 voti di preferenza preceduto da Fiscella (capolista) che ottenne 573 voti. Consigliere provinciale nelle elezioni del maggio 1985, ha ricoperto la carica di Assessore all’agricoltura e alla Pubblica Istruzione negli anni Novanta. Ha fatto parte della Segreteria Regionale del partito ed è stato anche Consigliere d’amministrazione dell’Ente Acquedotti Siciliani.
Elezioni politiche del 7 maggio 1972. Il Sindaco Vanadia presenta il giudice Nené Rizzo, candidato Dc nel collegio senatoriale di Enna.
– l’immediata erogazione di prezzi d’integrazione del grano e dell’olio ai coltivatori da parte degli uffici competenti; – lo sblocco dei finanziamenti GESCAL- IACP per l’ edilizia popolare; – la soluzione dei problemi dei terremotati per l’ edilizia rurale ed urbana; – la costruzione di strade a scorrimento veloce, atte ad eliminare l’isolamento della zona di Nicosia; – la valorizzazione del patrimonio archeologico, storico, ambientale e paesaggistico di Nicosia
Crisi all’interno della maggioranza A far scivolare Amministrazione e maggioranza in una crisi fu sufficiente la comunicazione delle dimissioni di tre consiglieri del gruppo di maggioranza: Vincenzo Scardilli, Sigismundo Castrogiovanni e Filippo Pecora. Toccò al capogruppo Dc, Michele D’Alessandro, nella seduta del 23 giugno, dare la notizia al Consiglio e chiedere il rinvio e l’aggiornamento dei lavori consiliari per il giorno 28, asserendo che “si rendeva necessaria una revisione interna della maggioranza in seno al Consiglio comunale ed una approfondita valutazione politica dei fatti da parte degli organi competenti della Dc”. Ma che cosa aveva spinto i tre consiglieri a rassegnare le dimissioni e a dichiararsi indipendenti creando una crisi all’interno della maggioranza? La risposta venne fornita dagli stessi tre consiglieri che confermarono la loro indipendenza chiarendo che “la loro azione doveva considerarsi una reazione, un segno di disapprovazione verso il partito nel quale militavano, partito che non era intervenuto per riparare il danno arrecato al giudice Rizzo, candidato nicosiano Dc al Senato della Repubblica nelle elezioni del 1972. Il partito aveva il dovere di venire incontro alle aspettative della provincia di Enna, ottenendo almeno l’opzione dell’onorevole Scelba per la Camera, come era stato più volte assicurato”. Scardilli ricordò che in quei giorni tutti i capi-gruppo della provincia di 80
Enna avevano minacciato le dimissioni collettive, ma poi, quando la elezione del giudice Rizzo non fu confermata e si manifestò apertamente lo scontento della Provincia, a mantenere fede alle minacce erano rimasti solo lui e gli altri due consiglieri che avevano rassegnato le dimissioni dal gruppo consiliare Dc. A questo punto il consigliere Milici, dopo essersi dichiarato lieto di avvertire finalmente un alito di libertà in seno al Consiglio comunale, mostrò la sua avversione al rinvio della seduta e sostenne che non era necessaria altra verifica da parte della Dc, dato che i tre consiglieri comunali avevano notificato le loro dimissioni agli organi di partito. Il capogruppo della Dc giurò di non sapere nulla delle dimissioni dei tre consiglieri e di aver appreso la notizia dal giornale “La Sicilia”; ammise però che, in seguito alle manipolazioni di carattere elettorale che erano state fatte a danno di Rizzo, il partito e la Giunta Municipale in un primo momento si erano orientati verso le dimissioni, ma poi avevano abbandonato questa decisione supportati da una lettera che lo stesso Rizzo aveva fatto pervenire il 5 giugno al Sindaco e alla Giunta. A conferma di quanto dichiarato, D’Alessandro lesse la lettera che Rizzo aveva scritto al Consiglio comunale manifestando “il suo disappunto per l’atto di insensibilità politica dimostrato dal sen. Scelba, che, invano sollecitato dal segretario nazionale del partito (Arnaldo Forlani) ad optare per la Camera dei Deputati, con il suo comportamento poco leale non aveva permesso che la provincia di Enna avesse il suo senatore”. Nella conclusione della lettera, in effetti, Rizzo, pur mostrando di apprezzare la volontà della Giunta Municipale di dimettersi, invitava tuttavia i suoi componenti a riesaminare la loro decisione nell’interesse della comunità cittadina in quanto il partito della Dc non poteva rinunziare a governare nella nostra città e nel Collegio. Ma due consiglieri dell’opposizione, Raimondi e Scinardi, non si lasciarono sfuggire l’occasione di screditare la Dc, che, non avendo più la maggioranza, non aveva più il diritto di governare il paese. Milici e Castrogiovanni, invece, che prima si erano opposti al rinvio, osservarono che la situazione attuale era grave e delicata e che, per sbloccare la situazione, la richiesta di rinvio di pochi giorni poteva essere accolta. E così con 17 voti favorevoli e 10 contrari la seduta venne rinviata al 28 giugno, giorno in cui furono accettate (con 23 voti favorevoli e 2 contrari) anche le dimissioni del Sindaco Vanadia, mentre venne respinta dai consiglieri dell’opposizione la proposta di D’Alessandro di procedere immediatamente al rinnovo dell’Amministrazione. Il motivo era lampante: non ci si voleva prestare ad un gioco di potere, che avrebbe riproposto una “nuova” Giunta Municipale identica alla precedente ed appoggiata solo dal Psdi, la cui sete di potere in campo provinciale, regionale e nazionale era fin troppo nota. L’opposizione, pertanto, disertò anche la seduta del 7 luglio impedendo che si raggiungesse la maggioranza dei 2/3 di consiglieri in carica e determinando il rinvio della elezione del Sindaco.
Vanadia riconfermato Sindaco Che i timori dell’opposizione fossero fondati si vide chiaramente nel corso della seduta dell’11 luglio 1972 che - così come viene anche ricordata anche dai protagonisti - fu lunga e travagliata. Vanadia, infatti, esordendo con la precisazione che l’elezione del Sindaco e della Giunta sarebbe stato il risultato di un accor81
Vincenzo Scardilli Nato a Nicosia il 4/08/1926, insegnante elementare di ruolo sin dal 1951 e dirigente scolastico regionale del Patronato, fu dal 1961 in poi, per molti anni, corrispondente del giornale “La Sicilia”. Consigliere comunale della Dc dal 1970 al 1972, si dimise dal partito dopo la mancata elezione del senatore Rizzo e fondò il Partito Repubblicano Italiano (Pri) che presentò la propria lista, per la prima volta, alle elezioni del 1975. Fu segretario del nuovo partito fino allo scioglimento dello stesso.
Carmelo Castrogiovanni. (Sperlinga 1927 – Nicosia 1995). Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Catania il 4 marzo 1957, svolse l’attività forense per circa venticinque anni e fu Giudice conciliatore presso il Tribunale di Nicosia e, negli ultimi anni, Giudice di pace a Gangi. Iscritto al partito del Psdi nel 1969, fu eletto Consigliere nel 1970 e, allorché il Psdi si unì alla maggioranza durante la prima amministrazione D’Alessandro, ricoprì la carica di Vicesindaco per un breve periodo.
do politico del gruppo democristiano con quello del Psdi, scatenò la protesta del consigliere Belfiore che rimarcò come la crisi avesse favorito il gioco di potere di gruppi che non avevano a cuore i problemi della cittadinanza, ma il desiderio di garantirsi i vari assessorati. Concluse il suo intervento dichiarando che il gruppo di sinistra non avrebbe votato per il Sindaco designato dalla maggioranza consiliare, ma per un proprio candidato, ritenendo il gruppo consiliare di maggioranza non idoneo ad esprimere una persona capace di realizzare le aspettative del Comune. Il consigliere Scardilli dal canto suo dichiarò che, pur manifestando la più aperta e sincera stima per Vanadia, candidato a Sindaco, il suo gruppo non avrebbe espresso il voto in suo favore proprio per la manifestazione di incoerenza dimostrata dalla Dc nel non avere mantenuto il proposito di protestare, apertamente ed energicamente, contro l’ingiustizia commessa verso il giudice Rizzo dimostrando scarsa compattezza, causa prima della mancata incisività nell’azione amministrativa. Aggiunse che “nelle attuali condizioni chi si riteneva amico dell’ing. Vanadia avrebbe dovuto astenersi dal dargli il proprio voto nella elezione a Sindaco come prova di vera amicizia, in quanto egli si sarebbe trovato costantemente nel rischio di essere posto in minoranza”. Le conclusioni di Scardilli vennero smontate da Michele D’Alessandro che fra l’altro non solo sostenne che a Vanadia, candidato del gruppo Dc, dovesse andare il voto compatto del gruppo, ma rimproverò al consigliere dissidente di avere resi pubblici i contrasti che sono fisiologici all’interno di un gruppo, aggiungendo che il candidato Rizzo aveva presentato il suo ricorso e si era certi che sarebbe stata fatta giustizia. Rispondendo, poi, a Belfiore definì “frettolosa e soggettiva la critica fatta alla Amministrazione ancora da eleggere” e invitò le minoranze a volere osservare con obiettività l’azione dell’Amministrazione nei prossimi mesi, riservando le critiche al tempo in cui le sue carenze sarebbero state eventualmente dimostrate. Pronto ad assumere responsabilità amministrative e ad impegnarsi a fondo nella risoluzione dei problemi del Comune, uscendo dalla posizione di oppositore, fu ovviamente il consigliere Carmelo Castrogiovanni del partito Psdi (definito da Raimondi “ruota di scorta” della Dc), che rimproverò a Belfiore il suo intervento volto a criticare l’amministrazione da eleggere, prima di averla vista all’opera. Nell’affermare che sarebbe stato ben lieto se il Governo nazionale avesse potuto avere una diversa e più larga composizione, escluse che la colpa dell’attuale situazione politica potesse essere addebitata al proprio partito e invitò il consigliere socialista ad evitare giudizi aprioristici che scoraggiavano la buona volontà degli amministratori e a fare, invece, opera costruttiva. Completò la sua difesa con una battuta ironica indirizzata al consigliere Raimondi: “Circa l’appellativo di ruota di scorta dato al mio gruppo, esprimo la mia meraviglia nel considerare che a lanciarlo sia stato un partito che ha perduto tutte e quattro le ruote”. Ma né le parole di Castrogiovanni né quelle di D’Alessandro riuscirono a fermare l’ondata di scontento dei gruppi di minoranza, scettici circa la possibilità che un’amministrazione siffatta potesse risolvere i più gravi problemi del paese e tutti si mostrarono uniti nel dichiarare di non voler concedere il loro voto ad una Amministrazione inefficiente che voleva soddisfare solo i propri interessi personali. Nel tentativo di salvare il salvabile Vanadia chiarì che “la crisi dell’Amministrazione comunale dovuta all’uscita dei tre consiglieri dal gruppo consiliare Dc, che aveva posto Sindaco e Giunta in minoranza, era un po’ la crisi di tutti i partiti dopo le elezioni. Certo c’era stata delusione per la mancata conferma del can82
didato locale al Senato, ma le delusioni c’erano state per tutti. Bastava pensare all’uscita dell’on. Russo dal Psiup”. Ribadì che, per essere rieletto Sindaco- così come era nei propositi del gruppo consiliare Dc - faceva affidamento sui voti del suo gruppo e su quelli di altre formazioni che, per intesa politica, avevano promesso il loro appoggio. Dichiarò che avrebbe rifiutato la designazione, se avesse percepito che l’accordo fosse stato fondato su soluzioni personalistiche e diede anzi atto ai consiglieri del Psdi di avere agito con ammirevole senso di responsabilità. Alle accuse di inefficienza della passata amministrazione rispose che si era lavorato seriamente a favore della città, che il problema urbanistico non era mai stato dimenticato ( infatti era stato adottato il Piano Regolatore generale e nella prossima seduta del Consiglio comunale sarebbe stato adottato il piano di fabbricazione). Relativamente alla strada a scorrimento veloce - problema sempre presente all’Amministrazione, che purtroppo aveva sempre dovuto lottare contro l’indolenza delle Amministrazioni regionale e statale - ricordò un suo intervento personale presso il Ministro (socialista) ai Lavori Pubblici Lauricella e diede assicurazione che ulteriori passi sarebbero stati fatti presso il nuovo Ministro dei lavori pubblici, On. Gullotti. Ricordò inoltre l’unanime e attiva partecipazione dell’Amministrazione allo sciopero di protesta indetto nella Provincia di Enna, l’inclusione del Comune di Nicosia nell’elenco delle località ad interesse turistico, l’assistenza medica gratuita a tutti i lavoratori autonomi sprovvisti di assistenza mutualistica. Infine citò le imponenti realizzazioni nel campo della edilizia scolastica, le pratiche già evase per i lavori di sistemazione della rete idrica e fognante e gli stanziamenti ottenuti per il completamento di entrambe. Malgrado il discorso di Vanadia fosse stato preciso e circostanziato e nonostante i consiglieri d’opposizione avessero lasciato trapelare la stima personale nei confronti di Vanadia, questi ultimi riversarono i loro voti su Belfiore. Gli esiti della votazione, però, confermarono Vanadia Sindaco con 18 voti su 31 consiglieri presenti, contro i 10 riportati da Belfiore e i 3 di Messina. Nella Giunta Municipale risultarono eletti gli assessori: Messina, Angilello, Michele D’Alessandro, Emanuele, Carmelo Castrogiovanni e Guidara.
Aperta un’altra crisi dopo i danni dell’alluvione I giorni 1 e 2 gennaio del 1973 furono giornate apocalittiche e tragiche per Nicosia, colpita da un’alluvione di inaudita violenza, eccezionale, imprevedibile, fatale. Un primo bilancio del disastro mise in luce una situazione davvero catastrofica: 3 morti, 332 famiglie sgomberate, 175 fabbricati urbani pericolanti, 500 abitazioni urbane danneggiate, 8 abitazioni distrutte, 41 abitazioni con ordinanza di demolizione. A ciò si aggiungevano i gravissimi danni riguardanti le infrastrutture (la rete dell’acquedotto, le strade interne ed esterne, gli edifici pubblici) e le colture. I primi conteggi dei danni, fatti dal Comune, ammontavano ad oltre 2 miliardi di lire per gli interventi necessari al consolidamento dei movimenti franosi, mentre si stimò un fabbisogno complessivo di circa 8 miliardi per gli interventi necessari al consolidamento dell’abitato e per riparare quello che la pioggia aveva distrutto. Lo stesso Sindaco dichiarò che “la gravità del danno sarebbe stata più facilmente accettabile se si fosse potuto interamente attribuire alla pura fatalità insita nello scatenarsi degli elementi e se si fosse potuta evitare la peno83
Nicolò Vanadia. Nato a Nicosia il 22 /12/1927, laureato in Ingegneria civile presso l’Università di Palermo, è stato docente di Costruzioni (dal 1961 al 1985) presso l’Istituto Tecnico per Geometri di Nicosia. Dopo aver militato nell’Azione Cattolica in seno alla quale ricoprì incarichi di dirigenza ( sia in sede locale che diocesana) aderì alla Dc, ricoprendo per molti anni (sin dal 1948) l’incarico di Segretario di Sezione. Eletto consigliere comunale nella lista capeggiata dal Barone Salomone (1952), ricoprì l’incarico di Assessore ai Lavori pubblici e di Vicesindaco. Con gli stessi incarichi fece parte delle due Amministrazioni Motta. Eletto Sindaco in seguito alle dimissioni di Motta (passato alla Cpc) per tre mesi, fu riconfermato dopo le elezioni del ’70, ricoprendo l’incarico sino al 1973.
sa domanda: “Quanto di tutto questo si poteva prevedere ed evitare?”. Una domanda che Vanadia aveva posto a se stesso infinite volte in quei giorni con la preoccupazione di chi, cosciente della propria responsabilità, voleva essere certo di aver fatto il proprio dovere. Una domanda che anche i Nicosiani si erano posti, dividendosi in colpevolisti ed innocentisti. Risaltava agli occhi di alcuni concittadini la mancanza di un piano serio di protezione civile e soprattutto di salvaguardia delle zone franose, ma agli occhi di altri nessuna responsabilità era da attribuire all’Amministrazione, visto che il Sindaco aveva inviato al Prefetto di Enna il 19 dicembre una relazione in cui gli chiedeva di farsi interprete, presso il competente Ministero, del pericolo che da sempre incombeva su Nicosia per la natura geologica del terreno su cui sorge la città. Non rimaneva (purtroppo!) altro che chiedere con urgenza l’inserimento del nostro Comune nel decreto con il quale si riconosceva lo stato di calamità naturale per la nostra zona così gravemente danneggiata dalla furia degli agenti atmosferici e lo stanziamento di fondi per i relativi interventi di risarcimento e di riparazione degli immensi danni. Bisognava consolidare il centro abitato e ripristinare le opere pubbliche danneggiate dalle calamità atmosferiche (acquedotto e strade), acquisire nuove aree da destinare alla costruzione di case per i senzatetto, sistemare la situazione idrogeologica e forestale di tutto il territorio; bisognava anche provvedere allo sgravio fiscale, alla proroga della scadenza di effetti cambiari, alla concessione di crediti agevolati ai commercianti, agli artigiani, ai coltivatori diretti affinché fosse favorita la ripresa dell’economia. Nei due Consigli del 13 gennaio e del 27 marzo 1973 si deliberò di destinare alla costruzione degli alloggi popolari e delle opere di edilizia sociale un’area di mq. 13.850 per insediamenti di edilizia popolare, vista la gravissima situazione instauratasi nel Comune in seguito ai recenti e disastrosi eventi metereologici. Utilizzando lo stanziamento di 1 miliardo e 55 milioni di lire concesso dall’Assessorato ai Lavori Pubblici venne delegato l’Istituto Autonomo Case Popolari (Iacp) di Enna ad attuare il programma costruttivo, a procedere per conto del Comune all’espropriazione dell’area e a richiedere al Prefetto la necessaria autorizzazione per l’esecuzione dei rilievi. Successivamente fu predisposto un programma complessivo d’interventi da realizzare con il fondo di 4 milioni messo a disposizione dalla Regione Siciliana (Assessorato regionale LL.PP.) per i primi interventi urgenti nel settore delle opere pubbliche. Si deliberò di procedere prioritariamente alla indispensabile sistemazione dell’ acquedotto comunale, gravemente danneggiato dall’alluvione, e alle opere di sistemazione stradale necessarie tanto per il ripristino delle normali comunicazioni, quanto per la bonifica di interi quartieri ove la mancata regolazione delle acque piovane era stata la causa di gravissimi danni ai fabbricati. Tuttavia, nonostante la gestione dell’emergenza fosse stata di buon livello, in quanto si era tempestivamente provveduto alle evacuazioni necessarie a scongiurare altre situazioni di rischio per l’incolumità della popolazione, il Sindaco Vanadia fu rinviato a giudizio “per motivi inerenti al suo ufficio” e il 14 settembre presentò le sue dimissioni, oggetto di discussione nella seduta successiva del 28 settembre. I consiglieri del gruppo Dc, Messina, Emanuele, Michele D’Alessandro proposero di respingerle e di attendere fiduciosi il giudizio della Magistratura che sarebbe stato senz’altro favorevole per lui e avrebbe dimostrato la sua estraneità ai fatti; inoltre non mancarono di sottolineare che le sue dimissioni erano un’ulteriore dimostrazione della sua lealtà, correttezza, rettitu84
dine, scrupolo e alto senso di dignità e di ricordare la sua larga ed umana esperienza, la sua preparazione, il suo valore quale amministratore ed “uomo politico che aveva governato come un saggio padre di famiglia”. Anche i consiglieri della minoranza Scinardi e Belfiore espressero giudizi positivi sulle indubbie qualità di uomo politico di Vanadia, che aveva guidato il Comune in momenti difficilissimi e dimostrato una più larga prospettiva rispetto ai suoi predecessori. Nonostante le dimissioni fossero state rigettate da ben 22 consiglieri su 27 presenti, la decisione di Vanadia fu irrevocabile, come si poté evincere da una sua seconda lettera datata 1 ottobre 1973. Essendosi verificata la vacanza dell’ufficio di Sindaco, la Giunta convocò il Consiglio comunale per procedere alla elezione di un nuovo Sindaco. Si ripresentò la possibilità di intavolare trattative per la formazione di una maggioranza più larga in seno al Consiglio comunale e si auspicò che fra i partiti di sinistra e l’Amministrazione ci fosse un clima nuovo di collaborazione, un continuo colloquio con i sindacati e con le forze dei lavoratori. Ma ancora una volta non ci si mise d’accordo e l’elezione del Sindaco, fallita per ben due volte per mancanza del numero legale, fu rinviata.
Una maggioranza risicata Si ripropose di nuovo, dopo questa seconda crisi, il problema di una maggioranza risicata. Tuttavia, ancora una volta l’appoggio del gruppo del Psdi consentì di ricostituire una maggioranza consiliare, così come dichiarò, nella seduta del 14 novembre, il consigliere Picone, nella qualità di capogruppo della Dc. In effetti laboriose e difficili erano state le trattative prima di giungere a questo risultato, infatti che fosse stato contattato anche il gruppo del Psi emerse all’inizio della seduta allorché il consigliere socialista Belfiore dichiarò di voler “portare alla luce del sole le vicende che avevano portato all’attuale formazione” ripercorrendo le principali tappe. Asserì che il suo gruppo, invitato dalla Dc per le trattative, non aveva trovato divergenze sui programmi da attuare8 per il residuo periodo di carica del Consiglio, ma che “ i nodi erano venuti al pettine nel momento in cui la Dc avrebbe dovuto rinunciare a qualche parte di potere”. Affermazione questa che fu accompagnata da una serie di commenti. Il consigliere Sigismundo Castrogiovanni sostenne che “la Dc si ripresentava in edizione né riveduta né corretta rispetto alla vecchia formazione”, manifestando la volontà “di continuare sui vecchi schemi, non volendo concedere ai socialisti né un posto in Giunta, né rappresentanze negli Enti” e deludendo così la popolazione che attendeva l’accordo con il centro-sinistra. Eppure - aggiunse il consigliere comunista Scinardi - “l’apertura verso il Psi sarebbe stata una buona scelta perchè si sarebbe allargata la maggioranza comprendendovi un Partito che rappresentava i lavoratori;… non sarebbe stata neppure una scelta nuova, perchè già realizzata in campo nazionale...”. Ed il consigliere Ugliarolo, dopo aver lodato la lungimiranza e la capacità del Sindaco dimissionario, Vanadia, che aveva già 8
I programmi da attuare prevedevano: completamento e funzionamento dell’Ospedale, edilizia scolastica e pubblica istruzione, costruzione del nuovo Liceo scientifico con reperimento dell’area, revisione dello statuto dell’Assp, trasformazione delle trazzere in rotabili, costruzione dei laghetti collinari, impegno per il pieno funzionamento dell’acquedotto, progetto di consolidamento dell’abitato, sblocco della viabilità sulle strade provinciali e nazionali, normalizzazione degli Uffici Comunali e copertura dei posti vacanti, intervento dell’Amministrazione per la ripresa dei lavori di rimboschimento, costruzione del mercato coperto, interventi per sollecitare la costruzione della strada Sud-Nord, programma di rilancio turistico e costruzione di impianti sportivi.
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intavolato un dialogo con il gruppo Psi, confessò che “il suo gruppo aveva creduto che si sarebbe potuto giungere a qualcosa di positivo, ma che la Dc si era fermata di fronte alla necessità di cedere una parte del governo al Psi, che doveva e voleva assumere delle responsabilità. Si era voluto escludere l’opposizione dall’Amministrazione dell’Ospedale, dove peraltro, secondo il nuovo ordinamento degli enti ospedalieri, le opposizioni avrebbero dovuto, in futuro, essere rappresentate obbligatoriamente”. Rimproverò ai socialdemocratici di aver prima favorito gli accordi con il centro-sinistra e poi di aver accettato di ricostituire la vecchia maggioranza, per aumentare il proprio potere nell’amministrazione. A sottolineare che le ragioni del mancato accordo stavano in questa “volontà di non cedere potere, pur chiedendo collaborazione”, Scardilli evidenziò che, se la Dc avesse avuto veramente l’intenzione di ampliare la maggioranza, la Giunta avrebbe dovuto dimettersi, cosa che invece non era avvenuta. Poi, per dimostrare ulteriormente che il comportamento della maggioranza equivaleva a dire: “Siamo i padroni e disponiamo come vogliamo”, riportò come esempio la mancata concessione dell’aula consiliare per la manifestazione indetta per il 12 novembre dalla Federazione Sindacale CGIL-CISL-UIL (riguardante lo sblocco di tutte le opere finanziate nei centri urbani e nelle campagne prima e dopo l’alluvione), cui il Consiglio aveva aderito all’unanimità. L’accusa di immobilismo e di tradimento nei confronti dei cittadini nicosiani che “avevano avuto il torto di tributare la propria fiducia ad uomini di una vecchia e superata formula” giunse persino dal rappresentante del Msi. La dimostrazione dell’impossibilità per la Dc di governare con una maggioranza così risicata venne subito offerta dal consigliere del Pri, Sigismundo Castrogiovanni, il quale fece notare che, proprio mentre aveva la parola, non c’era in aula la maggioranza.
Prima amministrazione D’Alessandro L’elezione dell’avv. D’Alessandro a Sindaco (seduta del 14 novembre) venne preceduta da una vera e propria “bagarre” per reali o presunte irregolarità, verificatesi nel corso della seduta. Scinardi osservò che non si poteva procedere all’elezione perchè la maggioranza Dc-Psdi non era presente in aula, ma Vanadia giustificò l’assenza in quanto aveva richiesto la sospensione della seduta per 15 minuti ed il consigliere Emanuele fece rilevare che all’atto della sospensione la votazione non era ancora iniziata, né erano state spiegate le modalità secondo le quali la stessa si sarebbe dovuta svolgere. Pertanto si passò ugualmente alla votazione del Sindaco che, con i voti del gruppo Dc e del Psdi (17 in tutto) risultò essere D’Alessandro. Subito dopo l’elezione del Sindaco, Scinardi tornò all’attacco e presentò un odg, da sottoporre all’esame ed all’approvazione del Consiglio, affinché anche Nicosia aderisse alla programmata giornata di lotta a carattere regionale con concentramento di lavoratori a Palermo. Scopo dell’iniziativa era quello di chiedere una nuova politica economica fondata sullo sviluppo dell’agricoltura, su una adeguata politica di interventi nel credito e di investimenti nell’industria e nelle infrastrutture produttive e sociali, e su una diversa funzione degli Enti Regionali nella attuazione della politica del piano di sviluppo regionale. Egli ribadì che Nicosia per la ripresa della zona aveva bisogno che fossero sbloccati tutti i finanziamenti per le case popolari, le strade, le opere prioritarie ESA, che fossero rapi86
damente applicate le leggi nazionali e regionali delle zone alluvionate ed attuato il piano ESA. Il Consiglio aderì all’odg da lui presentato e diede mandato al nuovo Sindaco di trasmetterlo in copia alla Federazione CGIL-CISL-UIL regionale, provinciale e nazionale, al Presidente della Regione ed al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Clima arroventato in Consiglio L’approvazione del Bilancio di previsione del Comune per l’esercizio 1974, sul quale gravavano i risultati del bilancio dell’Azienda Speciale Silvo Pastorale, proposta nella seduta del 19 gennaio 1974, accese una miccia in Consiglio.Il motivo era valido: il bilancio si sarebbe dovuto approvare in via sanatoria in quanto erano stati rilevati dall’Ufficio di Ragioneria alcuni errori di impostazione del bilancio dell’Assp per quanto riguardava le spese straordinarie. Da parte della Presidenza fu anticipato che il deficit dell’Azienda - che avrebbe dovuto essere saldato col taglio dei boschi, bloccato però da una legge limitativa - era “ fittizio e compensato dalla costruzione di immobili che avevano incrementato il patrimonio”. Purtroppo i contributi regionali per la costruzione di questi immobili avevano coperto solo una parte della spesa, mentre la differenza era stata assicurata con fondi dell’Azienda che, avendo un carattere sperimentale, aveva incontrato alcune difficoltà. La difesa dell’Azienda, oltre che dalla presidenza, venne assunta dall’assessore all’agricoltura e allo sviluppo economico, Messina, e dal segretario della Dc, Emanuele, che ribadirono che il deficit ammontante a 100 milioni di lire era fittizio perchè esisteva un patrimonio che lo compensava; bisognava solo pensare ad una ristrutturazione dell’Azienda per portarla ad un livello di economicità e stilare un programma che tenesse conto degli incentivi statali per l’incremento degli allevamenti e della utilità di creare un’industria di insaccati e un mangificio. “La maggioranza consiliare - commentò Scinardi - è in grave difficoltà nel difendere un’Azienda che non ha mai funzionato anche perchè non vi è mai stato un controllo da parte dell’Amministrazione comunale”. Suggerì quindi di dare all’Azienda un’Amministrazione che rappresentasse tutte le forze politiche per utilizzare al meglio i 3.000 ettari di terreno e le infrastrutture. La cattiva amministrazione e la responsabilità politica del gruppo di maggioranza vennero sottolineate dal consigliere Ugliarolo che affermò: “Il modo di trattare l’argomento mi ricorda un fatto precedente: quello dell’ECA”; poi, ironicamente, aggiunse: “Udendo il discorso del Sindaco mi domando se stesse parlando come capo dell’Amministrazione o come avvocato difensore”. Nonostante queste puntualizzazioni, quello che sicuramente sconvolse la maggioranza fu l’intervento di Carmelo Castrogiovanni, il quale, pur componente della stessa, sottolineò che “ l’Azienda aveva disatteso i suoi scopi che erano quelli di amministrare il patrimonio del Comune, proteggere la pastorizia, favorire la cooperazione tra gli allevatori, creare un’industria lattiero-casearia. Prova ne erano le cause sostenute dall’Azienda contro i pastori che fra l’altro non avevano ancora ricevuto gli indennizzi loro spettanti, le aste per l’affitto dei pascoli fatte contro le leggi sull’equo canone, il mancato utilizzo di stalle e di alcuni pascoli che avrebbero potuto rendere un milione di lire l’anno ed invece erano stati lasciati a beneficenza di chissà chi”. Emergendo da tutti gli interventi l’inefficienza dell’Azienda e la necessità di 87
Michele D’Alessandro (Nicosia 24/02/192121/06/ 2006). Laureato in Giurisprudenza, nel 1992 gli fu conferita la medaglia d’oro per il 40° della sua attività forense svolta presso il Tribunale di Nicosia, istituzione che difese con passione sia nelle sedute del Consiglio comunale sia con interventi in periodici locali, allorché essa corse il pericolo di essere soppressa. Ricevette l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica e fu anche Presidente del Lyons, club nel quale si distinse per il suo attivismo. Rivestì la carica di Sindaco per due volte (dal 1973 al 1975 e dal 1977 al 1978).
procedere ad una ristrutturazione, su proposta di Scardilli, l’Amministrazione si impegnò a riunirsi il 2 febbraio per trattare l’argomento più a fondo. La promessa dell’Amministrazione non bastò a sedare il clima che era diventato “arroventato” tanto che, quando si passò alla votazione in via sanatoria del Bilancio di previsione del Comune, non si raggiunse la maggioranza dei voti dei consiglieri in carica richiesta per legge, per cui la seduta venne prima rinviata al pomeriggio e poi sospesa con la seguente motivazione: “Considerato l’esito della votazione, considerato che il risultato medesimo assume indubbi riflessi politici in seguito alla diversità di posizioni assunte dai due gruppi di maggioranza, la Presidenza propone che la seduta venga sospesa affinché la situazione nuova venutasi a creare, venga sottoposta all’esame dei partiti”.
Per la prima volta un Centrosinistra Il Bilancio non era stato approvato a causa dell’astensione del Psdi e pertanto era emersa nella Dc la necessità di verificare la maggioranza venuta meno in quella circostanza e, nel frattempo, di condurre trattative con il Psi per assicurare una maggioranza più stabile e duratura. Da ciò la necessità di presentare una mozione di sfiducia9 nei confronti della Giunta Municipale “in quanto in data 19/1/1974 i consiglieri del Psdi non avevano mantenuto fede agli impegni politici assunti con la Dc, togliendo a quest’ultima l’appoggio e quindi la maggioranza consiliare nell’approvazione del bilancio dell’Azienda Speciale Silvo Pastorale”. Nella seduta del 9 febbraio il consigliere Carmelo Castrogiovanni protestò contro la mozione sostenendo che essa, oltre ad essere carente di sufficiente motivazione, era lesiva della sua dignità. Anzi, avendo rilevato che alcune firme erano apocrife, sostenne che la mozione avrebbe dovuto essere invalidata e minacciò di denunciare il fatto all’autorità giudiziaria. Non mancò, poi, di puntualizzare che tra la Dc e il suo partito vi erano stati patti ben precisi circa la ristrutturazione dell’Azienda Speciale Silvo Pastorale che doveva avvenire entro l’anno solare 1973, ma questi patti non erano stati rispettati. Dal canto suo il consigliere Belfiore sottolineò che il Psi era stato “sensibile al richiamo della Dc per eleggere una nuova giunta Dc-Psi affinché il Comune disponesse degli strumenti necessari per la sua vita ed evitasse l’arrivo di un Commissario ad Acta”. Si era formata per la prima volta nel nostro paese un centrosinistra con molto ritardo rispetto al “centro-sinistra organico” nato a livello nazionale nel 1963, cioè quando Aldo Moro, divenuto Presidente del Consiglio, chiamò alla collaborazione governativa il Psi di Pietro Nenni, oltre che gli storici alleati socialdemocratici e repubblicani, scartando definitivamente l’alleanza con i liberali. Ricostituita la maggioranza in seno al Consiglio, la mozione venne approvata da 26 consiglieri (su 28 presenti ) con l’astensione dei 2 consiglieri del Psdi. La nuova Amministrazione nelle varie sedute, svoltesi nel mese di luglio, cercò di risolvere i problemi più urgenti. Restituì all’ECA una normale amministrazione procedendo all’elezione dei nove consiglieri, che risultarono essere: Pietro Consentino, Michele ins. Campione, Filippo Di Stefano, Carmelo sac. Montaperto, Filippo prof. Castiglia, Vincenzo ins. Maggio, Vincenzo geom. 9
La mozione era stata presentata in data 31 gennaio 1974 da 13 consiglieri: Picone, Catania, Vanadia, Santiglia, Bonelli, Tuttobene, Fascetta, D’Alessandro, Cerami, Belfiore, Raspanti, Ugliarolo, Panatteri.
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Spinelli, Filippo Fascetta e Arcangelo Lo Ciuro. Membri dell’ Amministrazione dell’Ente Ospedaliero Basilotta - precedentemente amministrato da un Commissario - furono eletti: Mario Emanuele, Giacomo Pidone e Gandolfo Torre. L’Amministrazione assunse in locazione il piano superiore dell’ex Palazzo di Giustizia, di proprietà del Ricovero Bernardo di Falco, per la durata di 5 anni e per il canone di 2 milioni di lire, per sistemarvi parte degli uffici comunali (Ufficio anagrafe e stato civile, con il relativo archivio).10 Concesse all’Azienda Silvo Pastorale di richiedere al Banco di Sicilia un prestito agrario di esercizio per consentire una ripresa della sua attività, specie dopo gli eventi calamitosi del ‘72-’73. Affidò allo studio tecnico dell’ing. Sabella l’incarico di progettazione di alcune opere (riparazione della rete idrica e della fognatura e riparazione della Chiesa S.Michele e della Chiesa Mortificati) per un importo di 95 milioni di lire e allo studio dell’ing. Franco Mastrorilli la progettazione dei lavori di restauro del Teatro Civico per un importo di 25 milioni, utilizzando il contributo statale di 180 milioni concesso dal Provveditorato Regionale alle OO.PP. di Palermo per la riparazione dei danni prodotti dall’alluvione.
L’Azienda Speciale Silvo Pastorale di nuovo nell’occhio del ciclone A riaprire la discussione sull’Azienda Silvo Pastorale (seduta del 28 ottobre 1974) fu una nota dell’Assessorato Regionale indirizzata al Comune in cui si dichiarava che il funzionario dell’Assessorato, rag. Domenico Campo, aveva rilevato che l’Azienda non si atteneva alle disposizioni previste dall’Ordinamento EE.LL., in quanto illegalmente consentiva che il Direttore Tecnico provvedesse direttamente alla vendita degli animali e ne riscuotesse direttamente i proventi, per versarli successivamente al Tesoriere. Il presidente in carica, Francesco Sabella, si era difeso sostenendo che uno specifico articolo del Regolamento aziendale, recitava: “La Commissione può provvedere a licitazione o trattativa privata senza bisogno di speciale autorizzazione”; pertanto - egli aveva aggiunto - “non potendo trattare direttamente le operazioni di compravendita perchè non tecnico, aveva delegato il Direttore Tecnico a trattare, riservandosi di volta in volta di accettare o meno gli affari proposti dallo stesso”; inoltre faceva presente che sin dal 1964, cioè ancor prima dell’insediamento del Direttore Tecnico - avvenuto in data 1 febbraio 1966 - il ricavato della vendita degli animali veniva incassato da chi effettuava la vendita e poi consegnato alla Direzione che provvedeva al versamento, tramite reversale. Non rimasero soddisfatti della relazione prodotta dall’Amministrazione dell’Ente alcuni consiglieri che notarono che il Consiglio avrebbe dovuto sciogliere la Commissione di fronte a queste irregolarità ed imporre all’Azienda di attenersi alle norme. E l’avv. Castrogiovanni aggiunse che, rilevandosi gli estremi di reato, la questione doveva essere rimessa all’autorità giudiziaria. Inoltre sottolineò che trovava strano che i conti consuntivi dell’Azienda dal 1968 al 1973 fossero stati presentati con così notevole ritardo e rammentò che la legge imponeva dei termini al di là dei quali si incorreva nella omissione di atti d’ufficio.
Carmelo Belfiore nasce a Nicosia il 13/01/1934, consegue il diploma di geometra e successivamente quello di Educazione Fisica, disciplina che ha insegnato fino al 2004 presso vari istituti superiori di Nicosia. Entrato nel Psi nel 1964, ha ricoperto per diversi anni la carica di Segretario della sezione di Nicosia e , nelle elezioni amministrative del 1970, è stato eletto Consigliere comunale, ricoprendo tra il 1974 ed il 1975 la carica di Assessore alla Pubblica Istruzione e all’Edilizia scolastica; nello stesso periodo, in qualità di Vicesindaco, è stato delegato alla Presidenza della Commissione Edilizia.
10 In effetti si era già deliberato, nell’agosto del 1972, di assumere in locazione i locali, ma a causa dell’alluvione avvenuta tra il dicembre 1972 ed i gennaio 1973 il palazzo si era reso disponibile per trasferirvi i vecchi del Ricovero, nonché numerose famiglie rimaste senza tetto.
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Concluse affermando che la gestione dell’Azienda aveva avuto “carattere squisitamente personale, che gli animali non venivano portati nella piazzetta, ma si vendevano sul posto (cioè a S. Martino) e il Direttore si metteva i soldi in tasca”. Richiamato dalla Presidenza che lo interruppe osservando che si trattava di “un’osservazione grave perchè una cosa è dire... nel cassetto e un’altra... nella tasca”, Castrogiovanni ribatté che per lui era la stessa cosa e che si assumeva tutte le responsabilità di quello che aveva detto. La Presidenza cercò di giustificare queste irregolarità, definendole “veniali” e rilevando che “le operazioni di compravendita si svolgevano nei giorni festivi quando gli uffici bancari erano chiusi” e che “nessun danno finanziario era derivato all’Azienda”. Concluse la difesa avanzando la proposta di dare assicurazione all’Assessorato Regionale EE.LL. dell’avvenuta normalizzazione dell’Azienda in relazione alla contestazione ricevuta. Proposta, che, appoggiata anche dai nuovi alleati del Psi, fu messa ai voti e passò con 18 voti favorevoli, 6 contrari e 2 astenuti. Ma quando si passò ad analizzare l’operato dell’Azienda, questa venne nuovamente messa sotto accusa. Infatti la Commissione - nominata nella seduta del 19 luglio a seguito di una nota della CGIL sulle disfunzioni rilevate in merito alle condizioni del patrimonio bovino e alle giacenze dei prodotti caseari e formata dal geom. Belfiore, dal prof. Messina, dall’ins. Maggio, dai consiglieri Ugliarolo, Scinardi, Sigismundo e Carmelo Castrogiovanni, Ignazio Panatteri -, aveva constatato durante un’ispezione in loco che quanto denunciato corrispondeva a verità. Pertanto Castrogiovanni pronunciò un vera e propria arringa evidenziando le “defaillances” dell’Azienda: il numero dei bovini si era notevolmente ridotto; l’attività casearia era cessata per mancanza di latte e del mezzo meccanico per il trasporto; provole per un valore di 2 milioni di lire erano andate in malora per guasti alla cella frigorifera; i locali erano in stato di abbandono; lo stallatico non veniva rimosso da 4-5 anni. E concluse con l’espressione: “Se la minoranza avesse potuto far sentire la sua voce, non si sarebbe arrivati a questo punto”. Il consigliere Scinardi colse l’occasione per ribadire che occorreva modificare lo Statuto, aumentare il numero dei componenti della Commissione da 7 a 9 e scegliere gente competente per lavorare ad un piano di sviluppo; e i consiglieri Panatteri e Ugliarolo accusarono la vecchia Amministrazione dell’Azienda di aver governato “in maniera pietosa ed incosciente ignorando lo scopo dell’istituzione”. Chiamato in causa, Messina, già presidente dimissionario dell’Azienda, ribattè che “tutti avevano criticato lo Statuto perchè non garantiva la democraticità, ma anche la nuova Amministrazione era perfettamente orientata nella stessa maniera” e aggiunse che in passato si era fatto moltissimo perchè “c’era da costruire bevai, strade, ricoveri, locali idonei, mentre ora che c’è da industrializzare… io non sono il tipo più indicato; per questo mi sono dimesso” . Si ritornò a parlare della necessità di una ristrutturazione dell’Azienda nella seduta del 20 dicembre allorché il Consiglio fu chiamato a deliberare sulla necessità o meno di rinnovo dell’Azienda per un altro quinquennio. Nonostante il nuovo Presidente, Sabella, avesse illustrato al Consiglio il proposito di iniziare altre sperimentazioni, i consiglieri della minoranza (Castrogiovanni, Scinardi, Scardilli) sostennero che la gestione della produzione lattiero-casearia dovesse essere affidata alle Cooperative, che più proficuo sarebbe stato prendere prima di tutto i necessari contatti con i pastori e far sì che l’Azienda, essendo della città di Nicosia, contenesse le rappresentanze di tutti i cittadini. Il rinnovo fu delibe90
rato all’unanimità, ma a patto che si attuasse una immediata ristrutturazione. Ma la promessa sembrò vanificarsi nel giro di poche ore, infatti l’indomani, nella seduta del 21 dicembre, fu portato all’approvazione del Consiglio il Bilancio di previsione dell’esercizio 1975 senza prima contattare i pastori. Questa mossa venne interpretata come un raggiro tanto che il consigliere Scardilli esordì con queste parole: “L’80% della discussione fatta ieri sera è stata inutile…; questo significa prendere in giro le categorie interessate... il bilancio tende a conservare il vecchio andazzo amministrativo dell’Azienda, precludendo così ogni possibilità di rinnovamento e ristrutturazione pubblicamente promessi ieri sera da tutte le forze politiche rappresentate in Consiglio... Si intende cristallizzare la gestione dell’Azienda nel consueto modo clientelare, per nulla finalizzandola agli scopi economici e sociali alla base dei quali sta la natura stessa della Azienda.” La difesa non si fece attendere. Il Presidente e i consiglieri Vanadia e Ugliarolo fecero osservare che “non si poteva accantonare il bilancio dell’Azienda perchè incastonato nel bilancio del Comune, ... che nessuno aveva in animo di prendere in giro i pastori, i braccianti agricoli, i coltivatori diretti, le cooperative, che l’intesa con le varie categorie sarebbe venuta dopo ... che era necessario intanto predisporre ed approvare il bilancio che era alla base della vita dell’ Azienda”. Per nulla convinti da queste parole i consiglieri Scardilli, Carmelo e Sigismundo Castrogiovanni si allontanarono dall’Aula consiliare, ma tra i 20 consiglieri rimasti ben 17 votarono compatti per l’approvazione del bilancio. Tre mesi dopo, il 21 marzo 1975, venne approvata la nomina della Commissione amministratrice dell’Azienda nelle persone dell’ing. Sabella (presidente), dell’ins. Filippo Grillo, del prof. Biagio Cipolla, di Francesco Platia e Michele Vega, e venne confermato il dr. Gaetano Gentile come Direttore Tecnico.
In discussione il Piano per l’edilizia economica e popolare Nella seduta del 28 aprile, venne rilanciata una tematica di largo interesse: il Piano per l’edilizia economica e popolare11, il cui progetto era stato affidato precedentemente dal Consiglio all’ing. Mastrorilli, che, tenendo conto degli insediamenti esistenti e di quelli di prossima realizzazione, aveva scelto la zona Magnana “particolarmente adatta, data l’ottima esposizione e l’amenità dei dintorni”. Ad aprire la discussione fu il consigliere Sigismundo Castrogiovanni, secondo il quale il Consiglio avrebbe dovuto, prima di approvare il Piano di zona, trattare il Piano di fabbricazione, per soddisfare anche le esigenze di alcuni cittadini che, pur avendo accumulato denaro per costruirsi una casetta, non avevano ancora indicazioni sui terreni disponibili. Subito dopo Carmelo Castrogiovanni, dissentendo da quanto precedentemente affermato dall’ing. Mastrorilli circa la possibilità di una paralisi dell’attività edilizia dovuta alla mancata approvazione del Piano, puntualizzò che “questo pericolo non esisteva perchè il Comune aveva 11
Si trattava di un progetto avviato nel 1962, a seguito di disposizioni legislative che davano la possibilità di istituire un piano per l’edilizia economica e popolare nell’ambito di uno strumento urbanistico generale preesistente, e ripreso nel 1971, quando un’altra legge aveva stabilito la possibilità di redigere e approvare il piano autonomamente rispetto all’adozione dello strumento urbanistico. Il Piano, che mirava alla realizzazione di costruzioni popolari e di abitazioni per cooperative, rispondeva alla necessità di trasferire una parte della popolazione da vecchi quartieri cittadini, a densità eccessiva ed interessati da fenomeni franosi, alle nuove zone di ampliamento.
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messo a disposizione dell’Istituto Case Popolari le aree richieste, che il piano di zona non avrebbe dovuto essere altro che il figlio naturale del piano di fabbricazione regolarmente approvato”, e concluse dicendo che, essendo l’Amministrazione comunale in via di scioglimento, sarebbe stato poco corretto imporre alla nuova Amministrazione una scelta. Non mancò la replica di Mastrorilli che fece osservare che le aree interessate dal piano di zona erano quelle già da tempo previste dal piano di fabbricazione e che “il piano non era suscettibile di variazioni sia perchè non riteneva ammissibile che all’interno del piano di zona si potessero creare nuclei di edilizia privata – che semmai potevano essere adiacenti - sia perchè il piano comprendeva la precisa e minuziosa elencazione delle aree da espropriare; e variare qualcosa significava dover rifare tutto”. All’ulteriore osservazione dell’avv. Castrogiovanni, che aveva chiesto come mai fosse necessaria una somma così ingente (oltre un miliardo) per l’acquisizione di 247.000 mq. di terreno, Mastrorilli precisò che la spesa dell’esproprio era contenuta nel limite di 44 milioni di lire, ma che a tale spesa andavano aggiunte quelle relative alle strade, ai parcheggi, al verde pubblico ed attrezzato, alle reti idrica, fognante ed elettrica. Nonostante il Piano fosse approvato - ma soltanto con 10 voti favorevoli - la votazione evidenziò le perplessità di buona parte dei consiglieri, alcuni dei quali (per l’esattezza 9) votarono contro e 3 si astennero. Ma da che cosa dipendeva questo clima di diffidenza? I consiglieri nella stessa seduta avrebbero dovuto nominare un tecnico per la redazione del piano di fabbricazione ed approvare il regolamento edilizio e il programma di fabbricazione, ma avevano subodorato che la Presidenza, scavalcando l’Amministrazione comunale, aveva deciso di confermare l’incarico all’ing. Mastrorilli, tant’è che questo aveva già presentato e depositato il programma di fabbricazione presso la Segreteria del Comune il precedente 24 aprile. A smuovere le acque era stato Scardilli, supportato dal consigliere del Psdi Castrogiovanni, che ritenne illegale l’affidamento dell’incarico.
Un traguardo per Rizzo, un sogno che si avvera per i Nicosiani Il 15 maggio 1975 il giudice Antonino Rizzo - già primo dei non eletti nella Regione Sicilia quale candidato Dc nel Collegio senatoriale di Enna nelle elezioni del senato del 1972 - subentrò al posto del senatore Arcangelo Russo, deceduto. Divenne così senatore e fu eletto componente di due Commissioni permanenti: la II di Giustizia e la XI del Lavoro. La notizia venne accolta a Nicosia con comprensibile euforia non solo dai democratici, ma soprattutto da tutti i concittadini, che organizzarono una vera e propria festa. Il neosenatore ispirava grande fiducia ed era molto apprezzato come uomo onesto e giudice imparziale, infatti aveva fatto dei problemi della giustizia il suo pane quotidiano costruendosi da solo e maturando esperienze di grande rilievo, tanto da ricoprire molti incarichi nell’ambito della magistratura e da diventare qualche anno dopo (esattamente nel 1978) magistrato di Cassazione.
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Il senatore Rizzo in mezzo al popolo in festa in Piazza Garibaldi.
Elezioni Amministrative ’75 ed elezione di Rizzo a Sindaco Le elezioni amministrative del 15 giugno1975 fecero registrare un notevole calo della Dc, che ebbe 3742 voti di lista e 14 seggi, seguita dalle liste del Pci 1) Rizzo Sen. Antonino, magistrato
17) Gentile Giuseppe
2) Di Stefano Francesco, geometra
18) Garigliano Bartolomeo
3) Bruno Ascenzio, medico
19) La Greca Francesco
4 ) Granata Lorenzo
20) La Porta Costantino
5) D’Alessandro Michele, avvocato
21) Scinardi Giuseppe
6) Mancuso Giuseppe
22) Naselli Domenico, avvocato
7) Gaita Francesco, geometra
23) Scavuzzo Antonino
8) Catania Carmelo
24) Spallina Gaetano
9) Angilello Costantino, dottore
25) Frasconà Lorenzo, medico
10) D’Alessandro Ugo
26) Ugliarolo Ignazio
11) Bonomo Giacomo Roberto
27) Catrini Luigi
12) Castrogiovanni Michele
28) Spinelli Giuseppe
13) Agozzino Michele, geometra
29) Scardilli Vincenzo, insegnante
14) Ciccia Salvatore
30) Beninato Pietro 12, medico
15) Bonelli Carmelo
31) Battiato Nicolò
16) Di Pasquale Giovanni
32) Battiato Giovanni, docente
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Elezioni amministrative del 15 giugno 1975: gli eletti al Consiglio comunale.
Dimissionario per motivi familiari e sostituito dal sig. Li Volsi Giuseppe nella seduta del 28 aprile 1978.
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Antonino Rizzo. Laureato in giurisprudenza nel ‘52, divenne magistrato di Cassazione nel 1978, dove fu molto apprezzato. Guidò il gruppo della Dc durante gli anni '70, fu eletto Sindaco nel 1975 e nello stesso anno senatore in sostituzione di Arcangelo Russo. Il 20 giugno del 1976 compì il grande balzo con l'elezione al Senato nelle liste democristiane. Ebbe l'incarico di Vicepresidente della Commissione Sanità. Fu, inoltre, confirmatario, con colleghi di maggioranza ed opposizione, di importantissimi disegni di legge e membro del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Ricoprì altresì la carica di Deputato regionale dal 1986 al 1991.
con 1316 voti, del Psi con 1312, del Psdi con 286 voti, mentre la lista del Msi con i suoi 306 voti mantenne la stessa posizione raggiunta nelle elezioni del 1970. Tra le nuove liste riportò ben 1376 voti “Spiga e Progresso Agricolo” che si aggiudicò 5 consiglieri, mentre il Pri ebbe 716 voti e 113 voti il partito “Falce, martello e Unità popolare”. Nella seduta di insediamento del nuovo Consiglio comunale, svoltasi il 4 luglio, si riunirono nell’Aula consiliare del municipio i neoeletti consiglieri e si passò all’individuazione dei requisiti necessari per l’eleggibilità. Effettuato il giuramento di rito, il consigliere Angilello, a nome del gruppo consiliare Dc, diede lettura della seguente dichiarazione (che abbiamo voluto riportare per intero, considerato il vespaio di proteste che ne scaturì) : “Il gruppo consiliare Dc, sentite le determinazioni del Partito scaturite dal momento politico nazionale, considerato il fatto che la Dc guarda alla ripresa di un discorso organico tra i quattro partiti dell’area democratica per una ripresa della collaborazione a livello di Governo, discorso accettato da repubblicani e socialdemocratici ma in atto ancora congelato dal Psi, preso atto altresì della volontà di collaborazione con la Dc da parte dei Consiglieri eletti nella lista civica Progresso Agricolo, ritenuto opportuno di dare immediatamente una regolare Amministrazione alla cittadinanza, e ciò in attesa degli ulteriori e definitivi sviluppi del discorso politico nazionale, decide di formare una maggioranza capace di esprimere un discorso organico ed omogeneo attraverso l’intesa e la volontà di collaborazione dinamica con le forze della lista di Progresso Agricolo. Fa voti, pertanto, a che i Gruppi Consiliari che rappresentano le forze dell’arco democratico, interpretando questo primo momento amministrativo come un momento di transizione logico ed opportuno, vogliano aderire a titolo di collaborazione esterna alla impostazione che i gruppi della costituita maggioranza intendono dare, eleggendo a Sindaco di Nicosia l’On. Antonino Rizzo, Senatore della Repubblica”. Il contenuto della dichiarazione, che escludeva dalla collaborazione tutte le forze politiche parlamentari e che imponeva una maggioranza senza che fossero consultati gli altri gruppi consiliari, fece sobbalzare dagli scanni i consiglieri Ugliarolo (del gruppo Psi), Scardilli (del Pri), Scinardi, Scavuzzo, La Porta, Spallina e Naselli (del Pci), che profondamente indignati ed offesi concordemente criticarono la decisione del gruppo di maggioranza relativa e richiesero immediatamente il rinvio della seduta e della nomina del Sindaco, per consentire opportune consultazioni tra i gruppi politici ed impostare un programma serio. Ma il Presidente chiuse la discussione, dimostrando l’improponibilità della richiesta di rinvio, dal momento che era presente il numero legale richiesto per deliberare sulla elezione del Sindaco, e pose l’argomento ai voti per schede segrete. Non si registrò nessuna sorpresa e, come previsto, risultò eletto Sindaco il neosenatore Rizzo con 19 voti su 32 votanti. Si passò, poi, all’elezione della Giunta Municipale che risultò formata da cinque consiglieri democristiani (Di Stefano, Mancuso, Catania, Angilello, Agozzino) e dal consigliere di Progresso agricolo, Giovanni Di Pasquale.
La tela di Penelope Il Piano per l’edilizia economica e popolare – annoso e contrastato progetto “fatto e rifatto” più volte come una vera e propria tela di Penelope - venne affrontato prioritariamente dalla nuova Amministrazione subito dopo le elezio94
ni del 1975, nella seduta del 4 ottobre, allorché venne regolarmente affidato all’ing. Mastrorilli sia l’incarico di redigere il Regolamento edilizio con programma di fabbricazione, sia quello di redigere un Piano per l’edilizia economica e popolare13. Il Consiglio, infatti, considerate l’importanza che il piano urbanistico aveva per tutta la popolazione e le connessioni con il piano per l’edilizia economica e popolare, la cui approvazione era divenuta “conditio sine qua non “ per ottenere l’assegnazione dei fondi per la costruzione di case popolari, ritenne che Mastrorilli, avendo eseguito tutti gli studi ed i rilievi necessari all’impostazione del piano, avrebbe potuto completare il lavoro in tempi di gran lunga più brevi di quelli occorrenti a qualunque altro professionista e diede mandato al Sindaco di richiedere alla Regione il contributo per le spese di progettazione del piano e di assicurare il pagamento delle competenze al tecnico incaricato, istituendo un apposito capitolo di spesa nel bilancio.
Vibrate note di protesta Il primo ad osservare che nella nuova amministrazione mancava una concezione democratica fu il consigliere comunista La Porta che dichiarò il voto contrario del suo gruppo nel momento in cui, nelle sedute di dicembre ‘75 e gennaio ’76, il Consiglio fu chiamato ad approvare i bilanci dell’Assp e del Comune. Intendeva, infatti, con questa dichiarazione esprimere la sua disapprovazione per la politica governativa che costringeva i Comuni alla supina accettazione di direttive centrali togliendo ad essi ogni autonomia. A suffragare la sua critica bastarono i fatti. Come egli ebbe modo di osservare dopo che il Consiglio varò i bilanci, essi furono “approvati dalla maggioranza senza che fossero stati esaminati da tutti i consiglieri, con il contributo dei quali si sarebbero potuti prevedere stanziamenti per lavori da finanziare con le recenti leggi anticongiunturali”. A convincere i consiglieri sulla necessità di approvare il bilancio preventivo dell’Assp (il cui disavanzo era addirittura di 49 milioni di lire) fu la relazione illustrativa del Presidente dell’Azienda, da cui si evinceva che attraverso lo sfruttamento dei beni e dell’attrezzatura esistente si sarebbe potuto colmare senza problemi il deficit. Infatti, a suo dire, il patrimonio aveva avuto un sostanziale incremento (erano sorti nuovi edifici ed erano state acquistate nuove attrezzature) e si intendeva riattivare il centro di pastorizzazione del latte ed utilizzare meglio il patrimonio zootecnico. La Porta, inoltre, sottolineò l’assenza di un dibattito anche a proposito delle dichiarazioni programmatiche, che secondo lui avrebbero dovuto essere presen13 Ci sembra opportuno ripercorrere le tappe del regolamento edilizio con annesso il piano di fabbricazione. Già nel settembre del 1968 erano stati incaricati della redazione del Regolamento edilizio con piano di fabbricazione gli ingegneri Franco Mastrorilli e Giuseppe Milici e il Consiglio lo aveva approvato nel dicembre del 1969, liquidando nel 1972 ai progettisti la parcella stabilita di 5 milioni e 857 mila lire, naturalmente dopo la concessione del contributo regionale. Tuttavia il piano era stato restituito dall’Assessorato Regionale allo Sviluppo Economico per adeguarlo alle nuove disposizioni di legge e l’Amministrazione allora in carica aveva investito l’ing. Mastrorilli (non più l’ing. Milici eletto nel frattempo consigliere comunale) della rielaborazione del piano, senza peraltro deliberare un formale reincarico. Si era caduto nell’equivoco di ritenere Mastrorilli ancora in rapporti con il Comune, dimenticando che tali rapporti dovevano ritenersi risolti nel momento in cui il Comune, ottenuto il contributo regionale, aveva corrisposto la parcella agli incaricati della redazione del piano. E su tale equivoco si continuò ad operare quando nella seduta dell’aprile 1973 il Consiglio comunale approvava il regolamento edilizio rielaborato da Mastrorilli, invitando il tecnico stesso a rivedere la delimitazione della zona sulla scorta di rilievi geologici e nella seduta del 28 aprile quando l’Amministrazione propose al Consiglio l’approvazione di un disciplinare che regolasse i rapporti del Comune con il professionista.
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tate prima al Consiglio per avere o meno la sua fiducia. Riteneva assurdo che dichiarazioni del Sindaco facessero riferimento solo al programma elettorale Dc, senza tener conto delle istanze sociali rivelatesi il 15 giugno e delle vicende interne del partito di maggioranza. A supporto della sua opinione portò ad esempio le centinaia di Comuni italiani in cui i programmi erano stati concordati con tutte le forze politiche, anche quelle rimaste all’opposizione. Concluse il suo intervento invitando la Dc a rivedere la composizione della maggioranza dal momento che la lista “Progresso agricolo” rappresentava interessi settoriali e non generali. A far quadrato intorno all’esponente del Pci La Porta, che aveva anche evidenziato che a Nicosia si era registrata un’inversione di tendenza in quanto da un’amministrazione formata da Dc e Psi si era ritornati ad un’amministrazione monocolore chiusa alle richieste delle altre forze politiche, furono gli altri consiglieri dell’opposizione. Ugliarolo ribadì che la Dc non aveva voluto prendere in considerazione i cambiamenti avvenuti il 15 giugno e polemizzò con i rappresentanti della lista “Progresso agricolo” affermando che “per fare politica ci vuole passione e che una formazione che non é un partito non può sentire questa passione” tanto è vero che la lista, nata in contrapposizione alla Dc, aveva finito per costituire con essa la Giunta. Ricordò che fruttuosa era stata l’esperienza di collaborazione fra Dc e Psi, infatti si erano create le premesse per lo sviluppo delle attrezzature sportive e si era affrontata la battaglia per l’approvazione del piano per l’edilizia economica e popolare. Un’istanza quest’ultima del partito socialista, particolarmente sensibile a questo problema, dal momento che moltissime famiglie colpite dall’alluvione non potevano ricostruirsi le case danneggiate per l’inesistenza di un piano di fabbricazione. Scardilli criticò le dichiarazioni programmatiche sempre “uguali dai tempi più remoti” e rimarcò che il Sindaco non credeva nella programmazione e si limitava “a far riferimento al programma elettorale della Dc, ...considerando le dichiarazioni programmatiche superflue. Viceversa un programma ha grande importanza. Non si deve improvvisare quando si vuole veramente conseguire il bene della popolazione.” Scinardi, dopo aver osservato che la svolta del 15 giugno che aveva portato in molte regioni d’Italia ad un rovesciamento delle maggioranze, non era stata recepita dalla Dc di Nicosia, si dichiarò pronto a presentare un programma redatto dal gruppo di cui faceva parte. Richiamò la necessità di approvare il piano di fabbricazione e quello per l’edilizia economica e popolare, di dare una sede al Liceo Scientifico, di vigilare sull’Assp e sui problemi dell’agricoltura e dell’occupazione operaia e di ristrutturare gli uffici (specie l’Ufficio Tecnico Comunale). A smorzare la virulenza delle accuse intervenne D’Alessandro, che osservò come fosse più facile criticare che operare. “Si è criticato l’operato della Dc - egli disse - per aver composto la maggioranza con il gruppo di Progresso agricolo, contestando il diritto di una parte politica di fare le proprie scelte... ma una maggioranza ha il diritto di governare e questa è vera democrazia”. Aggiunse che il programma era stato formulato sulle reali possibilità del Comune e che se i programmi passati non avevano avuto completa realizzazione ciò era da ricercare nella mancanza di mezzi e non nella mancanza di impegno e di buona volontà da parte degli amministratori. Concluse ribadendo la volontà della maggioranza di accettare consigli e suggerimenti validi da qualsiasi parte provenissero ed invitò tutti i gruppi consiliari a contribuire al bene del Comune. A concludere il dibattito non si fece attendere la replica del Sindaco. Egli sottolineò che le dichiarazioni programmatiche, non essendo previste dall’ordinamento degli Enti Locali, potevano a buon diritto essere definite solo una consue96
tudine; inoltre riteneva giusto conformarle al programma elettorale della Dc, partito al quale apparteneva. Circa le critiche rivoltegli dai vari gruppi consiliari di non averli consultati sul programma dell’amministrazione, sottolineò che esse erano l’espressione di un proposito dell’amministrazione e, come tali, non dovevano essere preventivamente concordate, semmai discusse e criticate successivamente. Concluse affermando che non “temeva le larvate minacce di dimostrazioni o di occupazioni del Comune” e aggiunse, in maniera perentoria, che non aveva intenzione di collaborare con altri partiti che “con un attacco concentrico dileggiano una componente politica che rappresenta le istanze di una parte della cittadinanza e che è rea soltanto di aver accettato di collaborare con la Dc”. Infine, a proposito, del volantino diffuso dal Psi, nel quale si accusava l’amministrazione di non aver tutelato gli interessi della popolazione allorché l’Assessore dei Lavori pubblici aveva revocato lo stanziamento dei fondi per l’edilizia popolare, chiarì che nessuna colpa poteva essere imputata all’amministrazione. Infatti la lettera, con cui l’Assessore assegnava un termine per la scelta delle aree, “conditio sine qua non” per ottenere i fondi, non era pervenuta al Comune e, nonostante questa svista fosse stata comunicata all’Assessore, questi aveva discrezionalmente revocato lo stanziamento, pur potendo avvalersi del potere sostitutivo che la legge gli conferiva. Ma a smontare questa difesa dell’amministrazione fu il consigliere Ugliarolo, che fece presente che la revoca dello stanziamento dei fondi aveva carattere punitivo nei confronti di quelle amministrazioni che non avevano adottato i piani e (purtroppo!) l’amministrazione di Nicosia non l’aveva adottato. Inoltre in mancanza dell’approvazione del piano la norma sul potere sostitutivo dell’Assessore riguardo la possibilità di intervento, non poteva applicarsi. Comunque, affinché venisse fugato ogni dubbio sulla circostanza della mancata ricezione della lettera inviata dall’Assessore, i partiti della minoranza ribadirono la necessità di esperire ulteriori ricerche e nel frattempo il Consiglio, all’unanimità, ratificò la delibera della Giunta Municipale avente per oggetto la protesta contro il provvedimento preso dall’Assessore ai Lavori Pubblici, tanto lesivo degli interessi della popolazione nicosiana, che, pur essendo stata inclusa nel programma di localizzazione per un importo di 637 milioni e 500 mila lire, per un equivoco ne veniva esclusa.
Un avvenimento tra il politico e il sociale A margine della vita politica propriamente detta, nel febbraio del 1976, si celebrò il 1° Centenario di fondazione della Società di mutuo soccorso tra gli operai di Nicosia. La costituzione dello storico sodalizio risale, infatti, al 13 febbraio 1876, periodo in cui il fenomeno dell’associazionismo si andava sempre più diffondendo in tutta Italia. In quegli anni - occorre ricordare - l’associazionismo, superando il particolarismo del modello liberale senza correre il rischio di annullare le specificità individuali, si presentava non solo come strumento di difesa di interessi che solo associandosi potevano essere attenzionati e tutelati, ma anche come luogo che rendeva possibile la formazione dell’indispensabile legame sociale e rapporti di tangibile solidarietà umana, prestando all’occorrenza - almeno in origine - anche assistenza economica ai soci che si trovavano in difficoltà. Tali finalità erano anche supportate dal fatto che “venne inserito nello stemma della società un 97
1° Centenario di fondazione della Società degli operai. Il presidente Carmelo Catania pronuncia il discorso celebrativo; accanto a lui è il vescovo mons. Costantino Trapani.
emblema di alto valore e significato umano, consistente in due mani che si stringono fra di loro” (come sottolineò nel suo discorso il presidente della Società Carmelo Catania). All’interno delle realtà associazionistiche maturavano, altresì, uno spirito e un costume democratici, in quanto i cittadini si autoeducavano attraverso gli strumenti stessi della democrazia (si pensi, per esempio, allo statuto che una società o un’associazione in genere, al suo nascere, si dava). Fu appunto sull’onda di ideali di rinnovamento e di solidarietà sociale che pervadevano, in qualche misura, anche la nostra comunità locale negli anni successivi alla raggiunta unità nazionale, che fu fondata la società degli operai. Che poi accanto agli scopi “istituzionali”, di natura socio-assistenziale e ricreativa, tali organismi avessero anche una rilevanza politica in senso stretto non può certo meravigliare né tanto meno scandalizzare; infatti, in quanto centri di aggregazione sociale, i vari sodalizi hanno da sempre costituito, per dirla in maniera elegante, potenziali luoghi di “formazione del consenso”. Ci viene in mente, a tal proposito, l’arguta poesia “ R´go¢rde¢te¢ da chi vo fé o¢ s´nd´go¢” della nostra Maria Grazia Gangitano in cui nel dare alcuni “piccoli consigli” a chi aspira a diventare Sindaco scrive appunto: Se voi fé o¢ s´ nd´ go¢/ corco¢ nada prima/ fate¢ fratelo¢/ d´ ogno¢ co¢mpagnia … /T´ dai fè socio¢/ du Progresso¢ Agrico¢lo¢, / d´ l’Operai / e d’ogno¢ auto¢ circo¢lo¢… (Se vuoi fare il Sindaco/ qualche anno prima/ fatti confrate/ di ogni confraternita…/ Ti devi fare socio del Progresso Agricolo, / degli Operai/ e di ogni circolo…) D’altra parte, nello stesso discorso celebrativo veniva espressamente affermato che “ …aspetto rilevante della vita della Società, che non restò chiusa in se stessa, fu il proiettarsi e il contribuire alla soluzione dei problemi amministrativi di largo interesse cittadino, facendo dell’Assemblea un centro di vivaci discussioni ed elaborazioni, fino ad esprimere propri rappresentanti in seno al Consiglio Comunale”.
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Centenario di fondazione della Società degli operai. Brindano insieme al presidente Catania, mons. Trapani (vescovo di Nicosia), Nenè Rizzo (senatore della Repubblica), Annibale Circasso (consigliere provinciale); nello specchio si riflette, al centro, anche l’immagine dell’ex- sindaco Motta.
Il Consiglio affronta “annosi” problemi Sin dall’inizio dell’amministrazione Rizzo - come si è già evidenziato - era stata riconosciuta l’importanza preminente di ancorare al territorio le norme del Regolamento e di porre all’approvazione del Consiglio il Programma di Fabbricazione, uno strumento regolatore utilizzato in urbanistica e nella pianificazione territoriale. La redazione di questo necessario strumento urbanistico, oltre ad assicurare all’abitato un minimo livello di disciplina edilizia, rivestiva un’importanza tecnica e politica primaria, infatti su questo campo si erano confrontate le diverse amministrazioni cittadine, ma non era stato facile affrontare un tema simile senza scontrarsi con le aspettative della gente e con le opinioni dei consiglieri. Perciò, quando l’ing. Mastrorilli, nella seduta del 27 febbraio, illustrò il piano ed espose ai consiglieri comunali le ragioni che avevano consigliato le sue scelte, riemersero vecchi problemi e da parte di molti consiglieri (compreso uno della Dc, l’avv. D’Alessandro, che con le sue proposte di modifica rischiò di mettere il Sindaco nella condizione di doversi dimettere) fioccarono le proposte di modificazioni, nonostante le direttrici di espansione fossero state concordate precedentemente con i capigruppo consiliari. Naselli avanzò il sospetto che il piano andasse a riconoscere situazioni di fatto determinate dalle licenze edilizie rilasciate in passato, la cui realizzazione aveva compromesso l’abitato e il centro storico; ed ancora Ugliarolo aggiunse che era stata estesa un’area per comprendere altre zone a vantaggio della speculazione; Scardilli accusò di eccessiva fretta l’Amministrazione e consigliò di riprendere il piano del 1969. Gli unici consiglieri a non opporre remore furono La Porta e Scinardi, che dichiararono di non opporsi al piano per avere finalmente uno strumento urbanistico che consentisse di costruire e superare la crisi edilizia. Comunque la proposta del Presidente di votare il piano così come era stato concepito e di apportare solo qualche piccola modifica (per es. inserire il terreno della Cooperativa “Il Carabiniere” tra le zone di edilizia economico-popolare) venne accolta e finalmente il piano venne approvato quasi all’unanimità (con 26 99
voti su 28). Si era conclusa dopo circa dieci anni la “tela di Penelope” e si aveva quindi via libera per l’approvazione del piano per l’edilizia economica e popolare (redatto sempre da Mastrorilli), che fu nella stessa seduta approvato. Si deliberò anche di localizzare gli interventi in due contrade: Cirata e Crociate, ma successivamente, su richiesta dell’Istituto Autonomo Case Popolari, il Consiglio dovette optare per una sola localizzazione: la Contrada Cirata e delegare l’Istituto a procedere direttamente e per conto del Comune alla espropriazione dell’ area. Altro problema affrontato nella seduta del 2 febbraio 1976 fu quello relativo all’installazione dei contatori per acqua potabile. Venne deliberato di nominare una Commissione consiliare, formata da rappresentanti di tutti i partiti, con il compito di esaminare i problemi di carattere regolamentare e tariffario connessi con l’installazione dei contatori e, nella seduta di alcuni mesi dopo (18 settembre), il Consiglio deliberò di aggiudicare definitivamente alla ditta SIPAM di Roma l’appalto per la posa di 4000 contatori.14
Un coro unanime di gioia Il 20 giugno 1976, Nené Rizzo, già senatore e Sindaco, venne rieletto al Senato nelle liste democristiane e nello stesso Collegio di Enna. Si trattò di una grande vittoria perché questa volta non risultò il primo dei non eletti e non subentrò a nessun senatore deceduto, ma ebbe un largo consenso che lo ripagò delle delusione ricevuta nel ’72 quando l’on. Scelba, che avrebbe potuto optare per la Camera, scelse il Senato a dispetto di quanto concordato all’interno della Dc.
Una folta e gioiosa folla esulta per la rielezione del sen. Rizzo (20 giugno 1976).
14 La suddetta ditta - risultata nel 1973 unica concorrente ammessa alla gara d’appalto, indetta nel 1972 - venne dichiarata dal Consiglio aggiudicataria dell’appalto nel 1974 a condizione che il prezzo unitario richiesto venisse riveduto sulla base delle effettive prescrizioni contenute nell’invito e con esclusione di qualsiasi offerta di prestazioni non richieste.
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L’esito dell’elezione fu accolto con comprensibile entusiasmo e soddisfazione dai Nicosiani, che non solo potevano finalmente dire con orgoglio di avere un loro concittadino “senatore” ma soprattutto potevano cominciare a sperare in qualche aiuto per migliorare la loro qualità di vita. Le aspettative erano rafforzate dalla convinzione che Rizzo nella doppia veste di Sindaco della nostra città e Senatore della Repubblica sicuramente avrebbe richiesto per Nicosia provvidenze e finanziamenti necessari per soddisfare le necessità del paese. Inoltre confidavano nelle parole di Rizzo che in altre occasioni aveva dichiarato che “l’attività di Sindaco gli aveva senz’altro dato maggiori soddisfazioni del mandato parlamentare, permettendogli di avere vicino la popolazione di Nicosia, i suoi problemi, le sue necessità”.
L’Azienda Silvo Pastorale: tallone d’Achille della Dc Il Segretario Generale del Comune, invitato a relazionare nella seduta del 23 dicembre 1976 sul bilancio consuntivo dell’Azienda Silvo Pastorale, dichiarò che il suo disavanzo economico si avvicinava ai 100 milioni, cifra che il Comune non sarebbe stato in grado di coprire nonostante l’Azienda l’avesse dato per scontato. Inoltre dalle relazioni del presidente dell’Azienda, Sabella, e del direttore tecnico, Gentile, emerse una discrasia: il primo sosteneva che esistevano le condizioni per una ripresa dell’Azienda, perchè il centro di pastorizzazione avrebbe potuto assorbire la produzione di latte degli allevatori, i quali a loro volta avrebbero potuto godere della concessione in affitto di 120 ettari di terreno a patto che avessero assunto la custodia ed il mantenimento del bestiame; il secondo sosteneva, invece, che le iniziative lattiero-casearie e gli allevamenti del bestiame si erano rivelati fallimentari e passivi, che il personale costava almeno 30 milioni in più di quanto si otteneva dal contributo regionale, che c’era stata una sostanziale contrazione nelle entrate aziendali mentre si era verificato un notevole aumento delle spese. La mancata crescita dell’Azienda, l’allontanarsi dagli obiettivi e l’esaurirsi delle proposte non potevano non porre seri interrogativi sulla opportunità di sciogliere l’Azienda, ma alla fine la maggioranza concordò sulla necessità di rivolgersi a tecnici in modo da ristrutturarla. Con 18 voti favorevoli e 5 contrari il bilancio venne approvato ed il Comune si assunse l’onere del disavanzo economico di circa 65 milioni di lire, mentre l’Azienda si impegnò a versare al Comune l’utile netto risultante dal taglio straordinario del bosco che ammontava quasi alla stessa cifra. Ma i guai non vengono mai soli…Il Sindaco sen. Rizzo, in quella stessa seduta, annunciò la sua decisione di rassegnare le dimissioni offrendo come motivazione la difficoltà di conciliare l’attività di Sindaco con gli impegni parlamentari.
Paventata crisi per le annunciate dimissioni del Sindaco e della Giunta La seduta del 27 febbraio 1977 si aprì con un evidente malanimo. Sulla Presidenza, che aveva convocato il Consiglio d’urgenza per ratificare le deliberazioni entro i 60 giorni previsti dalle nuove disposizioni di legge, si riversarono le lamentele dei consiglieri Ugliarolo, Scardilli, La Porta che condannarono l’ormai invalsa abitudine di convocare il Consiglio in seduta straordinaria per ratificare 101
delibere (questa volta 30!) che riguardavano sempre l’ordinaria amministrazione, eludendo i problemi di fondo e facendo sì che l’attività comunale venisse svolta soltanto nell’ambito della Giunta. La maggioranza, però, zittì l’opposizione sostenendo che le ratifiche erano necessarie se non si voleva paralizzare l’amministrazione, e, subito dopo, votò compatta a favore della sussistenza della necessità e dell’urgenza della convocazione e passò alla trattazione dei punti all’odg. Giunti al punto “Comunicazioni del Sindaco”, il senatore Rizzo esprimendo la sua volontà di dimettersi spiazzò letteralmente tutto il Consiglio. Tuttavia la precisazione contenuta nel discorso di commiato “in coerenza con quanto avevo dichiarato nel momento dell’elezione a Sindaco e dando seguito anche alle sollecitazioni avute in tal senso” lasciava trasparire qualche bega interna al partito o qualche pesante critica esterna. Il Sindaco, dopo i ringraziamenti rituali e la dichiarazione di voler mantenere il suo impegno verso la città, collaborando quale consigliere comunale nell’opera amministrativa, sentì il bisogno di fare un breve consuntivo della sua attività. Sottolineò che in un anno e mezzo (dal 18 luglio 1975 al 27 febbraio 1977) erano state assunte 754 deliberazioni; era stato risanato il bilancio definendo i conti consuntivi fino al 1975 (che avevano consentito di accertare un avanzo di amministrazione di 127 milioni di lire) e assicurando al Comune la liquidità necessaria per far fronte a tutte le spese correnti e per saldare molte spese arretrate; era stato affrontato il problema dell’installazione dei contatori per l’acqua potabile; coperto numerosi posti vacanti nell’organico del Comune; utilizzato il piano rialzato e i piani inutilizzati del Palazzo di giustizia per assicurare una sede unica agli uffici demografico, elettorale e sanitario, alla Biblioteca comunale e al Liceo Scientifico; promossi e definiti i piani urbanistici, adottando il piano di fabbricazione e il regolamento edilizio; approntati progetti per lavori pubblici; aggiudicati appalti e organizzati cantieri di lavoro. Ricordò al Consiglio che, nella sua doppia veste di Sindaco e parlamentare, aveva svolto un’azione efficace nel determinare la definitiva stesura del decreto a favore della viabilità in Sicilia e che ora spettava alla Regione e alla Provincia – in cui il Psi aveva voce - utilizzare nel migliore dei modi i fondi stanziati. Tuttavia le dimissioni del Sindaco (alle quali si associarono quelle della Giunta) e le motivazioni addotte lasciarono disorientati anche i consiglieri della minoranza, che a turno espressero la loro amarezza e non mancarono di sottolineare la competenza del senatore nel reggere la carica precisando che non era mai stato nelle intenzioni dei loro partiti chiedere le sue dimissioni e che, se “sollecitazioni” c’erano state da parte loro, queste erano state determinate dalla volontà di allargare la maggioranza per una migliore soluzione dei problemi. Tutti, comunque, conclusero i loro interventi augurandosi che la crisi aperta non fosse il preludio di un rimpasto che lasciasse in vita la situazione precedente, ma l’occasione per una Amministrazione rinnovata, aperta a tutte le formazioni politiche.15
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A dicembre del 1976 il sen. Rizzo aveva in realtà affermato di attendere disposizioni dagli organi provinciali del suo partito per avviare con le altre forze politiche rappresentate in Consiglio le trattative che avrebbero dovuto uniformarsi a quelle condotte e concluse alla Provincia e portare al rinnovo dell’Amministrazione.
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Giochi di potere Che la speranza sia dura a morire si vide nella seduta del 20 marzo 1977, quando l’assenza dell’intero gruppo di maggioranza in prima convocazione e di ben 5 consiglieri (su 14) in seconda convocazione scoprì il gioco di potere della Dc. Non fu difficile per le opposizioni intuire che non erano state composte le divergenze, in seno alla Dc, tra la corrente che voleva promuovere sostanziali avvicendamenti nella distribuzione delle cariche amministrative e la corrente che intendeva mantenere invariato lo “status quo”. Tuttavia a nulla valsero le lunghe “filippiche” contro il gruppo di maggioranza relativa, accusato di disputarsi le poltrone e di trascurare i problemi che assillavano il paese costringendolo all’immobilismo, e contro il “Progresso agricolo”, che “si era messo a disposizione del gruppo di maggioranza facendogli da sgabello pur raccogliendo voti contrari alla Dc”. Il gruppo di maggioranza ancora una volta mantenne il controllo della situazione, infatti il consigliere Bonomo lesse un documento approntato dal partito in cui si proponeva di respingere le dimissioni del Sindaco e della Giunta in attesa di un accordo che in sede provinciale si stava cercando di raggiungere tra tutti i partiti (il famoso “pentapartito”). Le motivazioni espresse nel documento furono supportate anche dall’intervento del Sindaco Rizzo che affermò che “il gioco democratico comportava il diritto e il dovere per le maggioranze di governare” e che egli aveva il dovere di accettare quanto deliberato dal partito evitando che il Comune di Nicosia precipitasse in una crisi della quale non si potevano prevedere gli sbocchi. Le dimissioni pertanto furono respinte, anche se con una risicata maggioranza: 14 palline bianche contro 13 palline nere. Passando a discutere sulle dimissioni della Giunta, fu il capogruppo del Pri, Scardilli, a mettere in scacco la maggioranza chiedendo che le votazioni avessero luogo singolarmente per ciascun assessore, in quanto singole e distinte erano state le dimissioni rassegnate. L’astuta richiesta, che a suo dire mirava a garantire a ciascun consigliere la libertà di respingere o accettare le dimissioni, di fatto era un vero e proprio tiro mancino: in tal modo non solo ognuno (anche del gruppo maggioritario) avrebbe potuto tentare di “mandare a casa” qualche assessore non gradito, ma si sarebbe forse fatto avanti anche qualche “franco tiratore”. La richiesta, subito respinta dalla presidenza, che propose invece la stessa procedura adottata per le elezioni della Giunta, cioè un’unica votazione per tutti gli assessori, fu supportata dal segretario generale che confermò la differenza tra elezione della Giunta e dimissioni dei singoli assessori. Il battibecco stava per riaccendere lo scontro quando Angilello chiese di sospendere la seduta per dieci minuti, tempo sufficiente per aggirare l’ostacolo ed il pericolo delle votazioni singole: infatti gli assessori, al rientro in aula, uno dopo l’altro ritirarono le loro dimissioni.
Iniziative lodevoli Innovativa fu la delibera, assunta dal Consiglio nella seduta del 17 maggio, di nominare 4 Commissioni consiliari permanenti (come previsto dall’art. 7 della Legge regionale 21.2.1976, n.1) e, considerato che i 32 consiglieri dovevano essere ripartiti fra i gruppi nella stessa misura e che la composizione delle commissioni doveva essere proposta dal Sindaco, dopo aver sentito i capigruppo con103
siliari, vennero nominate le seguenti Commissioni (ciascuna formata da 8 consiglieri appartenenti a gruppi diversi): 1ª Commissione: Affari generali, decentramento, istruzione, sport, turismo 2ª Commissione: Lavori pubblici, urbanistica, assetto del territorio, agricoltura 3ª Commissione: Finanze, bilancio, programmazione economica 4ª Commissione: Servizi comunali Del tutto “rivoluzionaria” fu l’altra delibera, assunta nella seduta del 9 luglio, di aderire alla giornata di lotta dell’11 luglio ad Enna, promossa dal Comitato per lo sviluppo e l’occupazione della Provincia di Enna e supportata dal Presidente della Provincia, che, con lettere, aveva invitato gli Enti locali e i cittadini dell’Ennese a partecipare alla manifestazione. I consiglieri di Nicosia deliberarono di partecipare tutti, guidati dal Sindaco con il labaro municipale, e di invitare tutta la cittadinanza ed i giovani ad aderire alla giornata di sciopero. Si era sentita finalmente la necessità di evidenziare con forza e convinzione che la rinascita della nostra zona era legata al raggiungimento di alcuni obiettivi, tra cui: lo sviluppo dell’agricoltura (rientrando nel piano regionale del progetto dei Nebrodi), lo sfruttamento dei Sali potassici di Mandre, lo sblocco delle leggi agrarie regionali (forestazione, zootecnia, irrigazione, credito agrario, elettrificazione rurale,ecc.), il completamento della strada dei due mari (Nord-Sud) per fare uscire dall’isolamento la parte Nord della Provincia, l’applicazione integrale della legge sull’occupazione giovanile. Relativamente a questo ultimo punto, nella seduta del 12 settembre, su proposta del Presidente vennero individuati i settori nei quali la pubblica Amministrazione poteva utilizzare i giovani iscritti negli elenchi speciali (1. Catalogazione dei volumi della biblioteca comunale, 2. Censimento dei beni culturali, 3. Censimento e formazione di una mappa delle trazzere, 4. Censimento delle abitazioni, 5. Prevenzione ed estinzione incendi, 6. Assistenza tecnica in agricoltura, 7. Rilevazione delle aree edificabili nel centro abitato). Venne dato mandato alla Giunta Municipale di predisporre e trasmettere alla Regione Siciliana un organico progetto di intervento che prevedesse le modalità, i tempi di esecuzione, le spese per attrezzature del personale e per il funzionamento dei gruppi individuati. Nella stessa seduta il Consiglio deliberò di far proprio l’ordine del giorno di protesta formulato dall’Assemblea dei Sindaci nella riunione del 31 agosto tenutasi presso l’Istituto Autonomo per le Case Popolari di Enna e di inviarlo all’Assessorato Regionale ai LL.PP. Infatti l’Assessorato, nella ripartizione dei fondi per interventi di edilizia pubblica, aveva assegnato alla Provincia di Enna la somma di 3 miliardi e 900 milioni contro i 16 miliardi assegnati alla Provincia di Agrigento. E, poichè l’art. 16 della legge 8.8.1977 n. 513 stabiliva che gli interventi dovessero avere un importo non inferiore ad un miliardo (per cui la somma assegnata avrebbe reso possibili solo tre interventi in tutta la provincia), i Sindaci avevano formulato un ordine del giorno di protesta contro un provvedimento “discriminatorio e mortificante per la Provincia di Enna, atteso che altre Province non colpite da alluvioni e terremoti ed il cui fenomeno di immigrazione è palesamente inferiore a quello dell’Ennese, andrebbero a beneficiare di finanziamenti di gran lunga superiori.” La deliberazione, con cui si faceva propria la protesta, era oltremodo legittima in quanto Nicosia, pur essendo nella necessità di avere alloggi in quanto colpita da eventi tellurici e da una gravissima alluvione, era stata privata, per un banale equivoco, della somma di 600 milioni di lire, stanziata precedentemente e stornata a favore di altri Comuni. 104
Seconda amministrazione D’Alessandro Le dimissioni di Rizzo dalla carica di Sindaco16 costituirono il principale punto all’odg del 12 settembre 1977 senza che peraltro - come venne evidenziato dal consigliere La Porta - fosse mantenuto “l’impegno di tentare, nel frattempo, un accordo con tutte le forze politiche per dare al Comune una nuova amministrazione. In realtà la Dc non vuole cambiare niente, vuole fare da sé. Non si è voluto accettare il controllo sugli Enti, ci si è rifiutati di concordare persino convegni sullo sviluppo economico... Mentre a livello nazionale vi sono stati molti mutamenti, a Nicosia tutto rimane sempre allo stesso punto... Ci si appresta a cambiare Sindaco ed Assessori, lasciando immutata la situazione politica”. Conclusosi lo sfogo di La Porta, questa volta le dimissioni vennero accettate all’unanimità e la Dc si affrettò a dichiarare che si era deciso di designare quale Sindaco l’avv. D’Alessandro e quali Assessori i consiglieri: Angilello, Agozzino, Bruno, Castrogiovanni, Bonomo e La Greca. La dichiarazione fornì un appiglio ad Ugliarolo che, dopo aver evidenziato che “la crisi apertasi con le dimissioni del Sindaco non era stata una crisi di indirizzo politico ma una questione di potere”, elogiò il senatore Rizzo che era stato “un Sindaco aperto ed efficiente, ... non paragonabile ad altri democristiani che hanno retto il Comune in passato, anche se ha avuto la disgrazia di appartenere alla Dc,” e concluse il suo intervento rinforzando le accuse nei confronti di tale partito “ disposto a trattare oggi con uno e domani con un altro... e pronto a collaborare con il Psi solo quando i voti dei socialisti erano stati necessari”. A difendere la Dc dalle accuse di Ugliarolo fu proprio il sen. Rizzo, che affermò che la Dc aveva condotto la trattativa con molta serietà, ma non poteva accettare le proposte avanzate dai partiti, in quanto “in nessun accordo tra partiti è mai stato previsto un organo politico che si sovrapponesse ad organi costituzionali... nè si poteva accettare il principio di costituire un organo di controllo politico”. A ribadire che, nelle trattative con i partiti, la Dc aveva dato prova di democraticità fu il consigliere Granata che precisò che “se le trattative erano state interrotte la colpa era del Psi, che aveva rifiutato di entrare in Giunta nel momento in cui non si era accettato di ammettere i comunisti in cariche di sottogoverno”. Conclusisi gli interventi, venne indetta prima la votazione per l’elezione del Sindaco e il risultato fu favorevole all’avv. Michele D’Alessandro, che riportò 18 voti su 27. Si passò poi all’elezione della Giunta, che confermò la designazione degli assessori scelti dalla Dc, cioè: Angilello, Bonomo, Castrogiovanni, Agozzino, Bruno (democristiani) e La Greca (di Progresso agricolo). Due mesi dopo (il 5 novembre ), rispettando l’impegno assunto al momento della nomina a Sindaco, D’Alessandro presentò le Dichiarazioni programmatiche relative al proprio mandato con l’intesa che sarebbero state discusse, così come prevede lo statuto comunale, entro 20 giorni dalla presentazione della Giunta. Dopo i ringraziamenti di rito ai gruppi consiliari della Dc e del Pa per
16 In verità questa volta le dimissioni erano state rassegnate precedentemente nella seduta dell’11 giugno - convocata d’urgenza. In quell’occasione il Sindaco aveva affermato che esse erano determinate da una protesta “eccessiva” della rappresentanza sindacale dei dipendenti comunali per questioni riguardanti il trattamento economico del personale. Infatti giorno 4 giugno una delegazione aveva chiesto immediata udienza mentre egli era impegnato con i rappresentanti della Cooperativa “La Provvidenza” ed un dipendente comunale, Lino Bruno, (segretario del sindacato e segretario politico della sezione Dc) aveva rimproverato l’Amministrazione di scarsa sensibilità verso i problemi del personale ed aveva minacciato lo stato di agitazione se entro giorno undici non si fossero adottati i provvedimenti richiesti in altra occasione.
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aver fatto confluire i voti sul suo nominativo, sottolineò che era suo intendimento seguire la linea politico-amministrativa della precedente amministrazione e subito dopo “mise le mani avanti” dichiarando che il programma era volutamente schematico, privo di voli pindarici che non potevano trovare attuazione in un momento di austerità economica. Tuttavia sostenne che si sarebbe potuto realizzare se le forze democratiche, la minoranza, i sindacati e le componenti economiche e sociali della città avessero offerto una leale e costruttiva collaborazione senza ostruzionismo. Promise che il Consiglio sarebbe stato sempre convocato in seduta ordinaria e avanzò la proposta di portare all’esame dei consiglieri un regolamento per disciplinare le sedute. Punti-chiave della sua relazione furono in sintesi: concorsi per coprire i posti resisi liberi nella pianta organica; impiego di 95 giovani (in virtù della legge 285) in vari settori precedentemente individuati; reperimento e ristrutturazione di edifici per sistemarvi la popolazione scolastica; organizzazione di spettacoli ricreativi e folkloristici e di giochi della gioventù; sistemazione dell’acquedotto civico con distribuzione di acqua potabile nelle campagne adiacenti la rete idrica; elettrificazione nelle campagne; viabilità rurale; ristrutturazione dell’Assp; completamento del nuovo Ospedale; costruzione di altri alloggi popolari; utilizzo della “legge Ponte” in attesa del programma di fabbricazione ancora all’esame del Genio Civile di Enna. Puntualmente il 26 novembre si aprì il dibattito sulle Dichiarazioni programmatiche del Sindaco, che manifestò chiaramente l’aria che tirava all’interno dell’opposizione, scontenta per l’assenza nel programma di scelte strategiche di fondo. Ma la replica fu alquanto diplomatica, in quanto fu detto che “senza arroganza l’amministrazione porterà avanti il discorso della Dc e saranno aperti tutti i possibili mezzi ai discorsi dell’opposizione”. Purtroppo non sempre alle parole seguono i fatti…Alcuni minuti dopo, infatti, il Presidente annunciò che non si era ritenuto, da parte degli organi del suo partito, di procedere ad uno scambio di intese con gli altri partiti per la surroga dei quattro consiglieri dimissionari dell’ECA (Filippo Castiglia, Filippo Di Stefano, Michele Campione e Vincenzo Spinelli), visto che limitata nel tempo sarebbe stata l’esistenza dell’ente che stava per essere assorbito dal Comune. Questa dichiarazione irritò i consiglieri del Psi e del Pci che si astennero dall’accettazione delle dimissioni e dalla votazione dei nuovi componenti (Nicolò Di Grazia, Epifanio Incardone, Luigi Falduzzi e Salvatore Castrogiovanni). Medesimo atteggiamento tennero per coerenza quando si procedette alla surroga di Michele Vega, componente del Consiglio dell’Assp, con Salvatore Di Franco. Il fatto, poi, che, quando si procedette alla nomina dei componenti della Commissione per l’assegnazione di contributi agli alluvionati del dicembre ’76 gennaio ’77, venisse eletto Luigi Catrini come rappresentante della minoranza (assieme ai democristiani Francesco Di Stefano e Francesco Gaita) non fu certo un segno di apertura della Dc nei confronti dell’opposizione, in quanto l’elezione di un componente della minoranza in detta commissione era espressamente richiesto dalla legge. Ma lo scontento non serpeggiava solo tra i consiglieri dell’opposizione… se dobbiamo credere a quanto sosteneva Scardilli che in un suo articolo ( pubblicato il 3 dicembre 1977 sul quotidiano “La Sicilia”) affermava che anche il vicesindaco, Costantino Angilello, aveva inviato al Sindaco, al segretario politico e al capogruppo consiliare della Dc le sue irrevocabili dimissioni, infastidito dal “comportamento autoritario e accentratore del Sindaco D’Alessandro, il quale 106
frequentemente prendeva decisioni anche su importanti argomenti scavalcando gli assessori e mettendoli di fronte al fatto compiuto in sede di riunione di Giunta”.
All’attenzione del Consiglio problemi politici nazionali Avuta notizia del criminale attentato, verificatosi il 16 marzo 1978 a Roma, ai danni del Presidente della Dc, on. Aldo Moro, che aveva causato la morte di cinque uomini della sua scorta, barbaramente assassinati, ed il suo rapimento, tutte le forze democratiche rappresentate nel Consiglio comunale – riunitesi in seduta urgente - espressero il loro sdegno e il profondo turbamento di fronte al gravissimo fatto che tendeva a sovvertire l’ordine costituzionale della Repubblica Italiana. Dopo ampio dibattito deliberarono di approvare un ordine del giorno in cui rivolsero “un invito fermo e deciso alle popolazioni, alle forze politiche democratiche e alle forze culturali e sociali perché vigilassero attentamente per la salvaguardia degli alti principi e valori gravemente mortificati dal vile e ignobile attentato” e in cui dichiararono di “raccogliersi in piena solidarietà intorno al gruppo consiliare democristiano” esprimendo “la volontà di non soggiacere ad intimidazioni, consapevoli della necessità di tutelare i valori della democrazia e della libertà”. Poco tempo dopo (nella seduta del 28 aprile), di fronte alla possibilità che venissero installati impianti nucleari in Sicilia, fu il consigliere Ugliarolo a presentare un ordine del giorno, affinché si chiedesse al Presidente della Regione di intervenire per evitare che la Sicilia diventasse un deposito di scorie, sostenendo che nella nostra isola non c’era bisogno di centrali nucleari visto che esportavamo energia. Aggiunse che le centrali nucleari erano costosissime e comportavano una ingente somma per garantirle da eventuali attentati terroristici, oltre ad essere particolarmente pericolose perché potevano lasciare sfuggire quantità di elementi radioattivi che avrebbero potuto creare incidenti di proporzioni catastrofiche. Non dello stesso parere fu La Porta che rilevò che il nucleare avrebbe potuto avere anche risvolti positivi, in quanto avrebbe determinato un avanzamento del benessere e garantito più occupazione. Si trattava, comunque, di un problema politico vasto, che secondo il sen. Rizzo ed il consigliere Scardilli esorbitava dalle competenze del Consiglio. Tuttavia entrambi si dichiararono d’accordo con Ugliarolo sulla necessità di sensibilizzare la Regione Siciliana per evitare che la Sicilia fosse strumentalizzata e trattata come altre località sottosviluppate e proposero di rinviare la trattazione dell’argomento ad altra seduta.
Mozioni presentate dalla minoranza Due mozioni vennero presentate dal consigliere Costantino La Porta, nella seduta del 17 aprile, su due delicati argomenti: la situazione occupazionale nel settore edilizio e lo sblocco dei finanziamenti per opere di forestazione; infatti, a primavera inoltrata, esisteva ancora una forte disoccupazione fra i lavoratori edili e fra i braccianti agricoli. Con le mozioni si intendeva indirizzare la politica del Consiglio verso la promozione di tutte le iniziative necessarie per sbloccare entro tempi brevissimi tutti i finanziamenti assegnati a Nicosia (per l’esattezza un miliardo e 600 milioni) per opere pubbliche, per l’edilizia economica e popola107
re, per il consolidamento dei valloni interni ed esterni dell’abitato, per opere di forestazione, affinché si potessero iniziare i lavori. Il sen. Rizzo invitò il Sindaco ad adempiere quanto era necessario per evitare che le somme non utilizzate andassero in prescrizione e suggerì di inviare una lettera all’Assessorato ai LL.PP. per chiedere l’utilizzo della somma riportata in economia. Ma i consiglieri della minoranza (La Porta, Naselli, Scardilli, Scavuzzo, Spinelli, Ugliarolo, Catrini, Spallina), di fronte a questa “lenta agonia” ed incapacità dell’Amministrazione di “ reggere il peso” ( per usare i loro stessi termini) non erano più in grado di pazientare a lungo. Anzi, a supportare la consapevolezza dell’incapacità dell’attuale Amministrazione comunale “nell’affrontare i gravi problemi di Nicosia e nell’inchiodare il nostro Comune nella più drammatica immobilità”, fu anche un altro ritardo che li spinse a presentare una mozione di sfiducia al Sindaco e alla Giunta. Infatti il capogruppo della Dc, pur sapendo che la presenza di alcuni componenti in seno alla 1ª Commissione consiliare (avente competenza sugli affari generali, decentramento, istruzione, sport, turismo) era incompatibile con la nomina a Sindaco e ad Assessore, non aveva designato i membri da surrogare. Per cui, dovendosi trattare l’importante problema della ristrutturazione degli Uffici, dei servizi e della pianta organica del personale, la Commissione – convocata peraltro all’ultimo minuto - non aveva potuto espletare i suoi compiti per mancanza di numero legale.
Il Consiglio affronta problemi di ordinaria amministrazione Dopo una fitta corrispondenza con l’Amministrazione provinciale ed una riunione congiunta, cui avevano partecipato il Prefetto, il Presidente dell’Amministrazione provinciale, il Preside del Liceo Scientifico di Nicosia prof. Trebastoni e il Sindaco, finalmente nella seduta del 28 aprile 1978, si deliberò di localizzare in contrada Sacramento l’area per la costruzione del Liceo scientifico di Nicosia. Fu inoltre, nella stessa seduta, rinnovato il contratto con la Esso Italiana alla quale venne concesso per altri nove anni il suolo comunale in Piazza S. Francesco di Paola dietro canone annuo di 3 milioni di lire per il funzionamento degli impianti di distribuzione di carburanti con relativa stazione di rifornimento. In effetti le condizioni che, allo scadere del primo contratto di durata ventennale stipulato il 25.10.1956 tra il Comune e il sig. Francesco Parisi, il Comune aveva posto alla Esso erano senz’altro più gravose e penalizzanti in quanto aveva richiesto alla società un canone annuo di 3 milioni e 500 mila lire e un contratto da contenere nella durata massima di cinque anni. La Esso, però, era riuscita ad ottenere qualche vantaggio tirando in ballo il fatto che la zona era stata valorizzata dalle varie iniziative assunte dalla Società (tra cui la sistemazione della villetta) e che il servizio a Nicosia era sempre stato assicurato e svolto con zelo dalla famiglia Parisi sin dal 1912. E così, dopo aver stipulato il contratto, la società aveva deciso di innovare la stazione di servizio, che fu poi inaugurata il 4 settembre 1982, alla presenza del Vicesindaco Antonio Casale e del dott. Alberto Urbinati.
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Piazza S. Francesco di Paola prima della costruzione della stazione di servizio Esso. Sullo sfondo la vecchia sede dell’Ospedale Basilotta. (foto concessa da Franco Projetto).
Nuova stazione di servizio Esso.
Taglio del nastro per inaugurazione nuova stazione Esso (1982). Nella foto (in prima fila, da sinistra): Giuseppe Parisi e Alberto Urbinati (rispettivamente, gestore e presidente della Esso italiana ), Antonio Casale (vicesindaco), Maria Luisa Li Volsi (moglie del vicesindaco), padre Stella.
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Furono anche valutati i benefici che si sarebbero potuti trarre dalla costruzione di un metanodotto che avrebbe dovuto collegare Gagliano con il Nord passando vicino ad Enna, così come concordato con la Società nazionale metanodotti (SNAM). Il sen. Rizzo invitò il Consiglio a trattare il problema con urgenza considerato che alcuni Comuni si erano organizzati in Consorzio, con sede ad Agira, per l’utilizzazione del metano e per avere agevolazioni derivanti dalla presenza di bacini imbriferi nella zona. L’Amministrazione, invitata dal consigliere Naselli a sfrattare il Circolo di cultura (avendo appreso che erano stati spesi più di 500 mila lire per lavori di sistemazione e trovando strano che si fossero restituiti al circolo locali temporaneamente occupati dal Comune), difese quest’istituzione. Infatti il sen. Rizzo fece notare che il Circolo era una tradizione nobilissima che andava mantenuta perché aveva una funzione sociale in quanto unico luogo in grado di accogliere autorità, forestieri, mostre di pittori ed altre iniziative culturali e ricordò quanto era stato fatto in occasione della partenza di mons. Trapani e l’arrivo di mons. Di Salvo. All’osservazione di Naselli che la funzione indicata dal senatore non gli risultava e che il Circolo era di fatto un sede della Dc, il senatore ribatté che il suo partito non aveva locali dati dal Comune così come avveniva per altri Enti o partiti politici, quali il Psi, il Pci e il Psdi ( e per giunta a prezzi irrisori ). Il Consiglio, in seguito al Convegno regionale (tenutosi presso l’Istituto Tecnico Commerciale di Nicosia e a cui avevano partecipato i proff. Ermans e Pelosa e molte personalità e Sindaci dei comuni viciniori), che aveva evidenziato il problema dell’endemia gozzigena, che colpiva ben il 71 % della popolazione, stanziò in bilancio 5 milioni impegnandosi a mettere a disposizione quanto necessario (soprattutto sali iodati) per prevenire il diffondersi del male. Rizzo evidenziò la necessità di far nascere un centro di studi con ricercatori d’intesa con l’Ospedale e di educare il popolo alla profilassi. Scardilli, Ugliarolo e La Porta intervennero per sostenere che bisognava dotare i nostri mercati di sali marini e che i cittadini andavano sensibilizzati, soprattutto quelli delle campagne che facevano uso dell’acqua dei pozzi, il più delle volte non controllata per conoscerne la natura. Venne affrontato il problema del Mercato generale17 e, accogliendo la richiesta dell’Assessore regionale di aggiornamento del progetto, si deliberò di chiedere all’ing. Sabella, esecutore del primo progetto approvato dall’Assessore Regionale ai LL.PP. nel 1973, di rivederlo proponendo una soluzione che consentisse la realizzazione di un’opera completa e funzionale senza superare la spesa di 130 milioni di lire (contributo assegnato a suo tempo dalla Regione Siciliana). Si deliberò anche di approvare il preventivo di spesa per lo studio geologico e per la redazione di un nuovo programma di fabbricazione. Infatti, nel precedente mese di febbraio, il Genio Civile di Enna , dopo un sopralluogo effettuato dal geologo del Provveditorato alle OO.PP. di Palermo, aveva restituito al Comune il regolamento edilizio ed il piano di fabbricazione, specificando che le situazioni geomorfologiche dei terreni non erano consone con la destinazione d’uso dei suoli. Pertanto affinché lo strumento urbanistico venisse al più presto definito, occorreva procedere ad un nuovo studio del piano di fabbricazione con particolare riferimento alle situazioni geomorfologiche del terreno. A tal fine l’Ammini17
La gara per l’aggiudicazione dei lavori di costruzione del mercato generale di Nicosia si svolse nel novembre del 1978, e l’impresa aggiudicatrice risultò quella di Carmelo Sabella. In conseguenza di questa aggiudicazione si poté accelerare la pratica per il definitivo finanziamento dell’opera e per l’inizio dei lavori.
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Saluto di mons. Di Salvo alla cittadinanza dopo il suo insediamento nella sede vescovile di Nicosia (1977).
strazione aveva contattato il dott. Francesco Schillirò del centro di geologia di S. Agata Li Battiati, il quale aveva fatto pervenire un preventivo di spesa per lo studio geologico ammontante ad un milione e 879 mila lire per Nicosia e a 500 mila lire per Villadoro. In seguito alle dimissioni rassegnate dai precedenti componenti della Commissione Edilizia Comunale (ing. Francesco Sabella, Francesco Spuccia e i geometri Bartolomeo Lo Presti e Graziano Vitale), i consiglieri, accolto l’invito della Presidenza di votare quattro nominativi come componenti di detta Commissione, a maggioranza assoluta dei voti, nominarono l’ing. Salvatore Castrogiovanni, il geom. Filippo Scardino, il costruttore Angelo Greco, il prof. Gioacchino Guidara. Trattandosi di posti di sottogoverno, il gruppo di minoranza espresse le sue rimostranze, accusando la Dc di “non aver mai aperto un dialogo di collaborazione” (Scardilli), di “imporre le sue scelte che non erano né giuste né adeguate come nel caso di Guidara, ex-assessore ed ex –consigliere della Dc, che fra l’altro non era un tecnico come avrebbe potuto esserlo il geom. Mocciaro” (Ugliarolo), di “esprimere la precisa volontà di fare e strafare” (La Porta) e di essere “dotata di una maschera di ipocrisia politica… proponendo una selezione settaria e di precisa colorazione politica” (Naselli). Comunque i componenti della Commissione Edilizia Comunale si insediarono subito in modo da consentire l’immediato esame ed espletamento delle pratiche di competenza. Fu anche affrontato il problema delle modifiche da apportare al regolamento edilizio relativamente all’edilizia rurale e agli edifici da adibire ad attività artigianali. L’assessore Agozzino lesse le due relazioni predisposte al riguardo e subito dopo si aprì un acceso dibattito, ma dalla maggior parte degli interventi emerse la necessità di elevare i limiti minimi previsti nelle proposte. Scardilli osservò che alcuni cittadini avevano acquistato dei terreni a prezzi esosi presentando i relativi progetti e, se si fossero posti dei limiti, si sarebbero rese impossibili le realizzazioni con gravi danni per i privati. La Porta ribadì che in ogni caso doveva evitarsi l’abusivismo edilizio e che sarebbe stato opportuno destinare la zona E alle attività artigiane. Rizzo e Ugliarolo si trovarono d’accordo nella volontà di rego111
lamentare la questione e di mettere ordine nell’ambiente e, a conclusione della discussione, tutti convennero sulla proposta di Scinardi di abbassare la superficie di ciascun lotto portandolo ad un minimo di mq.1500 anziché di mq.2000.
“La tre giorni del Consiglio” sfociata nella crisi comunale Abbiamo voluto dare a questo paragrafo lo stesso titolo dell’articolo di Scardilli - apparso sul quotidiano “La Sicilia” il 7 maggio 1978 - perché esso sintetizza la lunga maratona che i consiglieri delle sinistre affrontarono con lo scopo di aprire una crisi. Una mozione di sfiducia contro il Sindaco D’Alessandro e la sua Giunta fu presentata dalle opposizioni che accusavano l’amministrazione di incapacità ed inefficienza. Non si erano, infatti, potuti definire, per mancanza dei prescritti pareri delle apposite commissioni o per altre carenze procedurali, argomenti come l’assestamento del bilancio 1977, il rinnovo della commissione edilizia e la ristrutturazione dell’organico comunale. Ma il fatto che ci appare singolare fu che ad attaccare su più fronti il Sindaco D’Alessandro e la sua Giunta non furono solo le sinistre, ma anche il capogruppo della Dc, sen. Rizzo.18 Naturalmente la cosa ci ha incuriosito e ci ha indotto a spulciare i verbali e gli articoli giornalistici dell’epoca nel tentativo di rinvenire qualche sfumatura o particolare che ci era sfuggito. E così non ci è stato difficile capire che i motivi che avevano portato il senatore a decretare la caduta del Sindaco andavano ricercati sette mesi prima quando l’allora capogruppo Dc D’Alessandro, con analoghi atteggiamenti e sistemi, aveva determinato le dimissioni del Sindaco Rizzo. Si era solo trattato di uno “scambio reciproco di favori” (Scardilli). E così, al terzo giorno di lavori, D’Alessandro comunicò al Consiglio le proprie dimissioni, che per il modo in cui furono formulate aprirono il fianco alla critica più aspra. Il Sindaco infatti, con una lettera, aveva rimesso il proprio mandato al gruppo consiliare e al partito che glielo aveva conferito, al fine di consentire “eventuali opportuni avvicendamenti nell’ambito dello stesso gruppo consiliare”, mentre Scardilli, La Porta e Ugliarolo sostenevano che le dimissioni del Sindaco andavano rimesse nelle mani del Consiglio comunale e non del partito, in quanto era stato il Consiglio a conferirgli il mandato, e accusarono la Dc di scorrettezza. Immediatamente dopo le dimissioni degli assessori (Angilello, Bonomo, Castrogiovanni, Agozzino, Bruno, La Greca) si riaccese la polemica. I consiglieri dell’opposizione colsero l’occasione per criticare ed attaccare la gestione fallimentare della Giunta: si parlò del fallimento del piano di fabbricazione che, pur essendo stato appoggiato dall’opposizione, era stato vanificato da interessi segreti di privati; si lamentò il fatto che, pur essendo stati assegnati a Nicosia fondi per un ammontare di 1 miliardo di lire, l’Amministrazione non si era più interessata e la somma era stata assegnata a Catenanuova e a Centuripe; fu anticipato che
18 In verità non era la prima volta che il sen. Rizzo commentasse con punte assai polemiche il comportamento del Sindaco D’Alessandro. Basti pensare alla dura critica che gli aveva mosso allorché questi aveva licenziato sette netturbini padri di famiglia ( che non essendo stati pagati avevano scioperato lasciando il paese nella sporcizia alla fine dell’anno) o alla posizione assunta contro di lui a proposito dei criteri da adottare nella trattazione delle pratiche per la concessione delle licenze di costruzione.
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“l’opposizione sarebbe stata dura ed intransigente con la nuova Amministrazione” e si accusò anche il sen. Rizzo di non essersi interessato nella soluzione dei più gravi problemi del paese . Questi, a proposito della procedura adottata dal Sindaco nel presentare le sue dimissioni, fece notare che si trattava di una formalità e che era stato il Sindaco in persona a leggere le proprie dimissioni, per cui non restava che accettarle. Poi - forse nel tentativo di non fare apparire spaccata la maggioranza – respinse le accuse rivolte all’Amministrazione e alla Dc per aver svolto una politica clientelare soprattutto nelle gestione dell’Assp, sottolineando che l’Amministrazione D’Alessandro al contrario si era adoperata per alleggerire il carico finanziario del personale dell’Azienda; infine, essendo stato chiamato in causa personalmente, chiarì che la sua posizione di consigliere comunale non andava confusa con quella di parlamentare di tutta la provincia e ricordò che parecchi milioni e miliardi erano stati ottenuti e spesi (900 milioni per la strada statale Nicosia- Leonforte, 700 milioni per Nicosia- Agira, altri 700 milioni per la strada di S. Agrippina, 67 miliardi erano stati impiegati per l’edilizia popolare) ed altri miliardi erano stati finanziati per demolizioni e ricostruzioni nel campo dell’edilizia. A questo punto, con coraggio, Ugliarolo asserì che “non bisognava assumere a merito dell’Amministrazione le opere eseguite in Nicosia, perché gli unici finanziamenti erano derivati dal terremoto e dall’alluvione”; e Scardilli - ancora più pungente - osservò che “il discorso del sen. Rizzo era stato egregiamente, furbescamente ed abilmente condotto dall’oratore, il quale in tre anni, assieme al suo partito non aveva fatto niente incominciando dalle strade per finire alle case popolari… Quello che era piovuto - e si può dire che era piovuto dal cielo - era stato per merito delle leggi e non per merito del senatore . …Cosa dire del programma di fabbricazione? Mancava addirittura la relazione geologica! …” E, rispondendo all’affermazione di Rizzo che “le dimissioni e le nuove nomine costituivano un avvicendamento necessario perché il rinnovamento si aveva anche per effetto dell’ingresso nella scena politica dei giovani della Dc”, Scardilli ribattè: “Chi assiste alle beghe del partito, che si vogliono mascherare con l’idea del rinnovamento e con l’ingresso dei giovani, sa pubblicamente di dimissioni e non dimissioni, di posizioni del capogruppo con la contrapposizione alternata ora dell’uno ora dell’altro; sa che una volta esce uno una volta esce l’altro, che il capogruppo di un periodo attacca il Sindaco il quale, una volta mutate le posizioni, ricambia il trattamento.” E Naselli, intervenendo nel dibattito, mise in risalto che “da una parte il partito doveva tutto al sen. Rizzo, ma, dall’altro, il senatore, volendo accentrare tutto nelle sue mani, non trovava rispondenza negli altri responsabili del partito stesso” e concluse affermando che avrebbe accettato le dimissioni di una Giunta inefficiente perché, forse, “il mutamento della linea politica avrebbe consentito di svolgere discorsi sul piano di una necessaria collaborazione e correttezza politica”. Il vivace dibattito si concluse con l’accettazione, a maggioranza, delle dimissioni della Giunta e con la “rassegnata” convinzione che nulla sarebbe cambiato.
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Domenico Naselli. Nato a Nicosia il 4 gennaio 1942, si laurea il 22 novembre del 1967 in Giurisprudenza presso l’Università di Catania, dedicandosi prima all’insegnamento di Storia e Filosofia e poi all’attività forense. Avvocato penalista e patrocinante in Cassazione, dal 2005 ricopre la carica di Presidente della Camera penale. Impegnato nel sociale è stato anche Presidente del club-service Kiwanis. Presentatosi alle elezioni amministrative del 1975, come indipendente nella lista del Pci, è stato il 3° degli eletti, dopo La Porta e Scinardi, riportando 229 voti di preferenza.
Al timone del paese un giovane della Dc
Costantino Angilello. Nato a Nicosia il 22/08/1934, laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Palermo, funzionario della Cassa di risparmio dal ’63 al ’94, ha ricoperto ininterrottamente la funzione di Consigliere comunale della Dc dal ’60 all’80, di Sindaco dal 1978 al 1979, di Assessore allo sport, di Vicesindaco (durante l’Amministrazione Rizzo), di Consigliere provinciale dal 1985 al 1990 e di Assessore provinciale dello Sport, Turismo e Spettacolo dal 1985 al 1988.
Fu Costantino Angilello ad essere eletto Sindaco nella seduta del 15 maggio 1978. Egli, sciogliendo positivamente la riserva, accettò di assumere l’alta carica, affermando che per lui “era il coronamento di diciotto anni di attività politica svolta con il più grande attaccamento ai principi ideali che avevano guidato la vita del suo partito”. Pur riconoscendo il carico di responsabilità “sperava di poter operare sempre per il meglio con l’aiuto costante di tutti, anche dei settori dell’opposizione”. Promise, poi, la risoluzione di tutti quei problemi su cui si era precedentemente discusso (dal perfezionamento del Programma di fabbricazione allo sblocco dei finanziamenti di opere pubbliche, dall’approvvigionamento idrico ai rapporti con l’ENEL, dalla ristrutturazione dell’Assp all’espletamento dei concorsi per dare lavoro ai giovani). E concluse con un appello “a tutti gli uomini di buona volontà affinché volessero compiere ogni sforzo per fare progredire la nostra città”. Si avverava anche la “previsione” dell’opposizione e cioè la sostanziale riconferma degli assessori della precedente Giunta: Bonomo, La Greca, Bruno, Castrogiovanni, Agozzino (quest’ultimo scelto come vicesindaco) ed , al posto di Angilello, Rizzo. Nella seduta del 27 maggio fioccarono le interrogazioni poste dai consiglieri. All’Amministrazione fu chiesto in che modo intendesse risolvere il grave disagio degli abitanti di S.Maria a causa dell’interruzione del transito lungo la via Francesco Salamone (Ugliarolo) e quello degli abitanti di Monte Oliveto impediti a causa dell’irresponsabile autorizzazione del tiro al piattello a circolare liberamente (Naselli); che cosa si stesse facendo per il Teatro comunale e per le due chiese sconsacrate di S. Giuseppe e di S. Domenica e quali iniziative fossero state prese per la statizzazione del Magistrale. Scinardi chiese il motivo per cui non fosse stato liquidato a tutti gli alluvionati il contributo per le suppellettili e non fosse stata avviata l’elettrificazione rurale. La Porta chiese di trasformare S. Maria di Gesù in isola pedonale vietando il transito degli automezzi tutti i giorni dalle ore sedici in poi, di attenzionare il problema dell’occupazione giovanile, considerato che nelle liste di collocamento vi erano iscritti ben 800 giovani mentre ne erano stati assunti solo 4 e ripropose il problema dell’occupazione degli edili e dei braccianti ed il controllo dei prezzi delle carni e della frutta. Il neosindaco si dichiarò disponibile ad attenzionare il grave problema della viabilità a S. Maria e a visitare la zona unitamente al sen. Rizzo, al Dirigente dell’U.T.C. ed al consigliere Ugliarolo. Per il tiro al piattello rammentò che quell’area era stata destinata per tale sport, ma che sarebbe intervenuto per evitare il disagio della popolazione; per il Teatro comunale assicurò che era stato approvato un progetto per il restauro e per le chiese sconsacrate disse che la Curia intendeva adibirle a musei; per il Magistrale consigliò (concordando con quanto affermato dal sen.Rizzo) di attendere la legge di riforma delle scuole medie superiori di imminente attuazione. Dichiarò anche che si sarebbe interessato per lo sblocco delle pratiche residue relative alla liquidazione di contributi agli alluvionati. Diede assicurazione al consigliere Scavuzzo che sarebbe stato fatto tutto quello che era stato richiesto per la frazione di Villadoro e a La Porta che si sarebbe adoperato per l’istituzione dell’isola pedonale e per l’occupazione giovanile in quanto qualche unità sarebbe stata assorbita con la ristrutturazione. 114
Il Sindaco Angilello (terzo da sinistra in prima fila) con il Segretario comunale Raffaello Senigallia, i Vigili urbani ed alcuni consiglieri, dirigenti ed impiegati del Comune.
Al fine di procedere con tempestività allo studio dei vari problemi, nella stessa seduta, si procedette alla surroga ed alla sostituzione di alcuni componenti delle Commissioni Consiliari Permanenti, vista l’incompatibilità di alcuni componenti e le dimissioni di altri. E dal momento che la designazione per le surroghe spettava ai capigruppo, quello della Dc designò i seguenti consiglieri nelle quattro commissioni: 1ª Commissione: Carmelo Catania al posto di Ascenzio Bruno 2ª Commissione: il geom. Francesco Di Stefano al posto di Roberto Bonomo 3ª Commissione: il p.a. Giuseppe Mancuso al posto di Michele Castrogiovanni 4ª Commissione: Carmelo Catania, Francesco Gaita, Giuseppe Mancuso al posto di Bonomo, Bruno e Castrogiovanni.
Un incidente di percorso scatena polemiche in Consiglio L’Amministrazione Angilello, da poco insediatasi, si ritrovò “per un incidente di percorso” nel mirino dell’opposizione. L’aver riproposto al Consiglio due delibere già approvate un mese prima, cioè il 28 aprile 1978, scatenò un vero putiferio ed una valanga di accuse di inefficienza. Si trattava di due delibere importanti riguardanti, la prima, l’affido di una relazione geomorfologia da allegare al Programma di fabbricazione e al Piano di zona e, la seconda, la nomina della Commissione Edilizia, che non erano state inviate entro i quindici giorni previsti dall’Ordinamento degli Enti locali e che pertanto erano decadute ‘ope legis’. Le parole, pronunciate dal consigliere Naselli, “La nuova Amministrazione inizia male…” diedero il via ad una sequela di critiche più o meno velate tendenti a rimarcare la palese incuria. Ugliarolo ironicamente sottolineò che “contro il Programma di fabbricazione capitano tutti gli incidenti possibili e tale mala sorte colpisce pure la Commissione Edilizia che non opera da diverso tempo…” e concluse “ temo che le pratiche possano avere altri inciampi”. Scinardi incalzò dicendo che si doveva fare di tutto per sbloccare una situazione di stasi cronica che aveva fatto sì che “due pratiche importantissime non avessero avuto esecuzione”. 115
Scardilli disse che trovava strano che l’Amministrazione fosse riuscita a farsi approvare la delibera di nomina del Sindaco e della Giunta e non fosse intervenuta per farsi approvare le due delibere decadute e, asserendo che “ il Programma di fabbricazione ha dei termini di validità” e che non riteneva “cosa rispondente al vero l’aver perduto tanto tempo”, lasciò intendere che potevano esserci state manovre di sabotaggio. La Presidenza si difese facendo presente che al momento dell’insediamento della nuova Amministrazione erano già decorsi i termini di legge, tuttavia, essendosi accorta dell’inadempimento, aveva fatto l’addebito. Rassicurò i consiglieri sul fatto che, qualora si fosse riscontrata malafede da parte dei responsabili, sarebbero stati presi i provvedimenti del caso. “L’Amministrazione - aggiunse Angilello - non aveva subornato nessun componente della Cpc perché le delibere di nomina del Sindaco e della Giunta fossero approvate, anzi si era interessata perché venisse tempestivamente approvata la delibera che riguardava le modifiche al regolamento edilizio affinché, sulla base di esse, la Commissione Edilizia potesse istruire le pratiche”. A questo punto Rizzo si inserì nella discussione osservando che “il consigliere Scardilli deve avere un minimo di rispetto per la verità, perché un incidente amministrativo può facilmente capitare, mentre il suo articolo dal titolo “Zitti! Parla il senatore Rizzo” aveva lasciato intravedere chissà che cosa…” Invitò poi il consigliere repubblicano a non scendere a polemica sterile perché trovava “fuor di luogo chiamare in causa la Commissione di controllo di cui fanno parte elementi di altri partiti”. Scardilli ribattè “Ma che cosa ci stanno a fare un Sindaco, un Vicesindaco, una Giunta municipale? … La funzione di questi organismi è proprio quella di vigilare sulla osservanza, sulla esecuzione dei provvedimenti”. Il senatore si dichiarò d’accordo con quanto detto da Scardilli circa l’efficienza e la responsabilità dell’Amministrazione, ma invitò il consigliere a voler riconoscere i propri torti; poi, data l’ora tarda, il Consiglio approvò il preventivo di spesa per lo studio geologico del piano regolatore di Nicosia e Villadoro, presentato dal dr. Schillirò, al quale andava riaffidato l’incarico, e subito dopo ripropose la nomina dei quattro componenti della Commissione Edilizia. Altro fatto che attestava l’incuria dell’Amministrazione era il ritardo nel pagamento della somma di circa 44 milioni di lire dovuta alla ditta SIPAM, che aveva proceduto alla fornitura ed alla messa in opera dei contatori dell’acqua. L’importo, fissato sulla base di precedenti accordi che prevedevano alcune facilitazioni nel momento in cui questo fosse stato versato nei termini, era aumentato a circa 60 milioni in quanto l’avvocato della Società, dott. Girolamo Cini, aveva richiesto al Comune gli interessi e la fatturazione di quanto dovuto per la manovalanza idraulica. Ma il Comune non aveva pagato e non aveva risposto alle sollecitazioni, per cui era stato diffidato ad adempiere al pagamento. Il malcontento dell’opposizione non fu sedato, nonostante il sen. Rizzo proponesse di liquidare alla SIPAM la somma inizialmente concordata e, qualora la Società non avesse accettato tali condizioni, di pagare le competenze scadute e gli interessi legali dovuti, ma escludendo dal pagamento l’importo della manovalanza idraulica.
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Allarme per la ventilata chiusura del tribunale Diffusa nella seduta del 5 giugno 1978 dall’avv. D’Alessandro la notizia che 35 tribunali della Repubblica (fra cui quello di Nicosia) dovevano essere soppressi, il timore che anche il nostro Tribunale rientrasse nel numero – determinando, a catena, la soppressione degli Uffici Finanziari, delle Commissioni Tributarie di I e II grado, del Carcere, del Catasto e dell’Archivio notarile, - incominciò ad incombere su Nicosia in quanto ciò avrebbe comportato danni per i professionisti interessati e per tutti i cittadini dei Comuni della circoscrizione. Pertanto la proposta di D’Alessandro di intraprendere ogni azione che scongiurasse il pericolo della soppressione del Tribunale, fu accolta dal consigliere La Porta che invitò i partiti ed i sindacati ad organizzarsi insieme all’Amministrazione e al senatore Rizzo. Questi mise in evidenza l’importanza del problema che doveva essere sviscerato sia al Consiglio comunale sia al Collegio dell’ordine degli avvocati e chiarì che il problema era sorto nel momento in cui il Ministro si era reso conto che non aveva senso mantenere in vita quei tribunali che impegnavano personale e spese ed emettevano solo dieci sentenze l’anno contro altri tribunali che ne emettevano 300-400. Rassicurò, però, il Consiglio affermando che dai dati statistici forniti dal senatore Occhipinti la città di Nicosia non era agli ultimi posti e da un suo intervento era emerso che accanto al problema delle soppressioni andava trattato quello delle istituzioni (vedasi Gela). Aggiunse che, non appena aveva avuto la segnalazione da parte del Sindaco Angilello, aveva incontrato il ministro di grazia e giustizia Bonifacio da cui aveva appreso che il problema era allo studio, ma che allo stato non vi era alcun provvedimento e nessun elenco. Comunque consigliò a tutti i rappresentati dei partiti di interessarsi ponendo il problema dell’ampliamento della circoscrizione e invitò a predisporre un ordine del giorno nel quale si mettessero in rilievo i caratteri di funzionalità del nostro tribunale, senza dubbio sede più comoda per i cittadini di Mistretta e Gangi.
Il Tribunale di Nicosia oggi. L’opera, avviata agli inizi degli anni Sessanta, fu completata solo negli anni Ottanta, allorché, (con delibera n.199 del 13.04.1985) furono affidati i lavori di ristrutturazione all’arch. Liborio La Vigna, che, come da progetto, inserì nella facciata i caratteristici pannelli in rame raffiguranti l’evolversi dell’uomo in tutte le sue forme reali - realizzati, con tecnica d’avanguardia, dal maestro Giorgio Sciuto.
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Sul tappeto i bilanci di previsione dell’Assp e del Comune Il vecchio problema dell’Azienda, quello di essere un “carrozzone”, per di più pesante e deficitario, tornò alla ribalta nella seduta del 5 giugno 1978, allorché si dovette approvare il Bilancio di previsione dell’Assp. Dagli interventi dei consiglieri d’opposizione emerse che quella dell’Azienda era una gestione politica e fallimentare con un bilancio negativo che da qualche anno incideva su quello del Comune, creando dissesto, per cui si proponeva di spazzare via l’attuale amministrazione e dare all’Azienda un’impostazione tecnica. Si doveva scegliere se passare alla ristrutturazione o alla chiusura. Rizzo, non accettando la tesi del fallimento assoluto della gestione, evidenziò che con il taglio del bosco, la stalla e il caseificio si era avuto un introito di circa 300 milioni; aggiunse che sarebbe stato opportuno un piano verde regionale a favore delle aziende di Nicosia e Troina potendosi così valorizzare i diecimila ettari di terreno disponibili e che si sarebbe potuta sanare definitivamente la situazione di deficit entro il 30 giugno per assicurare la continuità dell’Azienda. Nonostante Scardilli ribadisse che la proposta del Sindaco di un ripiano fosse una soluzione provvisoria, un ripiego temporaneo, che non poteva essere valido nel tempo perché non si vedeva l’utilità sociale, Rizzo suggerì di provvedere al ripiano e di approvare il bilancio magari con i soli voti della Dc e del Pa con l’intesa di ritornare sull’argomento per dibatterlo successivamente dal punto di vista politico. Il Consiglio prese atto della proposta e deliberò a maggioranza, con i voti contrari dei consiglieri d’opposizione, di approvare i vari capitoli del bilancio di previsione che ammontava a quasi due miliardi e mezzo di lire. Si ritornò ad avanzare la proposta del ripiano sull’argomento nella seduta del 23 settembre allorché la Presidenza sottopose al Consiglio la grave situazione debitoria dell’Assp sia nei confronti degli istituti di credito che avevano concesso delle anticipazioni, sia nei confronti del personale che risultava creditore degli emolumenti di ben tre mesi e sia nei confronti degli Enti previdenziali. Nonostante le perplessità di alcuni consiglieri della minoranza che consigliavano di procedere allo scioglimento oppure alla ristrutturazione dell’Azienda evitando clientelismo e speculazioni, Rizzo, dopo aver sottolineato che sarebbe stato difficile togliere i terreni ai pastori dal momento che la legge li tutelava e che solo la Regione avrebbe potuto deliberare in merito al rilevamento dei terreni destinandoli al demanio, convinse il Consiglio ad appianare la situazione debitoria dell’Azienda (ammontante a poco più di 200 milioni di lire), a condizione che l’Amministrazione dell’azienda stessa – tanto quella in carica quanto le successive- cedesse al Comune tutti i residui attivi di cui l’Azienda fosse titolare e non contraesse debiti, se non previa approvazione e deliberazione del Consiglio comunale. La proposta fu varata a maggioranza con il voto contrario dei 4 consiglieri del Pci. Passando all’altro punto all’odg Comune di Nicosia. Bilancio di previsione per l’esercizio 1978, la Presidenza affermò di aver ricevuto ripetute diffide da parte dell’Assessorato Regionale degli Enti Locali affinché il Consiglio non volesse frapporre alcuna remora alla trattazione del bilancio. Poi, dopo aver sottolineato quanto laboriosa fosse stata la preparazione di esso per adeguarsi alle nuove disposizioni che disciplinavano la materia, informò il Consiglio che si erano rese necessarie delle variazioni per destinare delle somme alle “Spese per profilassi e terapia dell’endemia gozzigena” e “Spese per il corredo, l’armamento, ecc. dei Vigili urbani”. 118
I consiglieri d’opposizione notarono, però, che il bilancio presentato dall’Amministrazione comunale non era altro che “una lunga sequela di voci relative a maggiori entrate e maggiori uscite, ma era privo di una seria e concreta programmazione in merito alle opere pubbliche che l’Amministrazione nel corso dell’anno avrebbe potuto realizzare o chiedere di realizzare con i finanziamenti dello Stato, della Regione o della Cassa del Mezzogiorno”. Rilevarono l’opportunità di un discorso con gli altri partiti, che avrebbero potuto dare un apporto valido e costruttivo e si riservarono di presentare proposte concrete precise ed incisive, affinché il vuoto e la mancanza di iniziative dell’Amministrazione potesse essere colmato dando alla popolazione di Nicosia la possibilità di vedere realizzate quelle opere sociali necessarie perché la nostra comunità locale avanzasse verso la strada del progresso economico, civile e sociale. Naturalmente, a conclusione di questa arringa, votarono di nuovo contro l’approvazione del bilancio del Comune, che però passò, ancora una volta, con i voti della maggioranza. Con 13 voti favorevoli fu approvato anche il conto consuntivo per l’esercizio 1977.
In moto la macchina amministrativa Tra luglio e novembre del 1978 l’Amministrazione si dedicò alla soluzione di alcuni problemi. Assolse gli adempimenti necessari (dalla relazione geomorfologia alla delibera di localizzazione dell’intervento in contrada Crociate, dall’indicazione delle particelle interessate agli estremi catastali e alla delega all’Istituto Case popolari per procedere all’espropriazione delle aree) per poter attuare il programma regionale di intervento costruttivo di un miliardo e 600 milioni per la costruzione di alloggi ed opere di urbanizzazione. Individuò un’area sita in località Sacramento, di proprietà comunale, a valle del realizzando Liceo Scientifico, per la costruzione di un Convitto per studenti dell’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri e del Liceo Scientifico. Utilizzò la somma di 290 milioni di lire - assegnata dalla Regione al nostro paese e destinata ad interventi straordinari per il sostegno e lo sviluppo dell’economia e per il potenziamento delle strutture civili - per risolvere alcuni problemi igienico-sanitari ed eseguire alcuni lavori di riparazione di danni alluvionali (soprattutto in Via Arena). Il Consiglio diede mandato al Sindaco di procedere alla correzione della delimitazione del territorio di Villadoro sulla base delle risultanze delle tavole ISTAT e di procedere all’espletamento della pratica amministrativa per soddisfare l’annosa aspirazione dei cittadini villadoresi di potersi autonomamente amministrare provvedendo a se stessi senza dipendere dal Comune di Nicosia. Nel frattempo deliberò di investire, a favore della frazione, 20 milioni di lire, da attingere dal bilancio, per eliminare alcuni gravi inconvenienti igienico-sanitari. L’Amministrazione curò anche alcune manifestazioni culturali, tra cui la presentazione dei volumi contenenti le opere del poeta nicosiano Carmelo La Giglia, alla presenza dell’editore avv. Mario Veutro.
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Festa della Madonna della visitazione (Enna, 2 luglio 1978) Il Sindaco di Nicosia Angilello (a destra), invitato dal Sindaco di Enna Vito Cardaci (al centro), partecipa con il Sindaco di Piazza Armerina alla processione della Madonna che, portata a spalle dai confrati, procede dal Duomo verso l’Eremo di Montesalvo, per far visita a S. Elisabetta.
Scuola Elementare di S. Domenico: un problema irrisolto
L’editore avv. Mario Veutro presenta le opere di Carmelo La Giglia. A sinistra (nella foto) il Sindaco Angilello.
Dopo ben 11 anni dal terremoto dell’ottobre- novembre del 1967, che aveva causato gravissimi danni all’edificio della Scuola elementare di S.Domenico ed aveva reso necessario lo sgombero e la chiusura della via Salomone, nella seduta del 22 ottobre 1978, il Consiglio affrontò con determinazione il problema. Si decise di avviare tutti gli atti necessari per procedere alla demolizione dell’edificio scolastico salvaguardando con ogni accorgimento tecnico la Chiesa di S. Domenica di particolare interesse architettonico. La Porta e Naselli consigliarono, invece, di non procedere alla demolizione immediata dell’edificio scolastico (che avrebbe fra l’altro determinato la chiusura della strada per un altro lungo periodo e lo sfratto delle famiglie esposte al pericolo) e di riunire, prima di compiere un atto di forza, gli organi competenti per affrontare insieme il problema. Si stabilì, dunque, di indire entro dieci giorni dalla seduta una riunione, richiedendo la presenza dei responsabili della Sopraintendenza ai Monumenti di Palermo, del Genio civile di Enna, della Curia vescovile, dell’Impresa che aveva assunto i lavori, ed anche dei tecnici progettisti e direttore dei lavori, per raccogliere suggerimenti necessari per una rielaborazione del progetto Scuola S. Domenico. Naturalmente a giudizio dell’opposizione un così notevole ritardo non poteva che addebitarsi a precise responsabilità delle amministrazioni comunali succedutesi dal 1967 al 1978, sorde alle sollecitazioni di alcuni partiti fra cui il Pri. Mentre per Rizzo il ritardo era da addebitare al passaggio delle competenze dalla sede di Catania a quella di Palermo ed alle remore frapposte dalla sovrintendenza stessa che peraltro nella stessa zona aveva consentito la demolizione di edifici non pericolanti e di più ragguardevole rilievo storico ( per es. l’edificio delle Canossiane ed il palazzo Militello). A supporto della sua tesi cercò di ricostruire in ordine cronologico le varie tappe di questa paradossale vicenda. Sostenne che, subito dopo il terremoto del 1967, era stato predisposto dall’ing. Sabella un progetto di demolizione e ricostruzione per un importo di 295 milioni di lire, che peraltro era stato approvato e debitamente finanziato dal Provveditorato regionale alle OO.PP nel maggio del 1971. Tuttavia la Sopraintendenza ai monumenti di Catania nel maggio del 1972 aveva espresso parere contrario all’inizio dei lavori ritenuti contrastanti con i criteri di tutela dei valori ambientali della zona circostante (in particolare con l’adiacente Chiesa di Santa Domenica di proprietà della Curia vescovile); il Genio civile di Enna, dal canto suo, d’intesa con il Provveditorato regionale alle OO.PP aveva autorizzato il Comune a disimpegnarsi con l’impresa Mustica di Leonforte (aggiudicataria del lavoro) e ad approntare un nuovo progetto con la Sovrintendenza di Catania. Ben cinque anni si persero per predisporre gli elaborati e per approvare i progetti, infatti solo nel 1977 si svolse la gara d’appalto e fu l’Impresa Edilizia Generale di Catania che si aggiudicò i lavori per un ammontare di 500 milioni. Nel frattempo Nicosia non solo era passata sotto la giurisdi120
Scuola elementare S. Domenico.
zione della Sovrintendenza di Palermo, che aveva inibito le opere di demolizione della Scuola elementare, ma anche era stata dichiarata zona sismica di 2° grado. Di conseguenza si rese necessario, da parte del Comune, emanare un’ordinanza (datata 28.1.1978) di demolizione della Chiesa di S. Domenica a carico della curia vescovile e la chiusura al traffico della via Francesco Salomone, che isolò il popoloso quartiere di S.Maria e causò notevoli disagi ai cittadini e ai docenti del plesso scolastico elementare di S.Vincenzo. La Curia, però, riferì che la Chiesa di Santa Domenica, sebbene avesse subito danni, non era stata inclusa fra i programmi di riparazioni urgenti e dichiarò di non poter intervenire su un edificio posto sotto la tutela della Soprintendenza, che fra l’altro era del parere di consolidare e non di demolire la struttura. All’Amministrazione comunale, pertanto, non restò che inviare diffide alla Curia, al Genio Civile, alla Sovrintendenza e minacciare di chiudere con muri la strada interessata, per eliminare ogni pericolo. 121
Chiesa di Santa Domenica (adiacente la Scuola Elementare di S. Domenico, ormai demolita).
Ancora scontri sui bilanci di previsione dell’Assp e del Comune Nella seduta del 4 aprile 1979 il Consiglio venne invitato ad esaminare ed approvare il bilancio di previsione per l’anno in corso dell’Assp del Comune di Nicosia, che aveva già ottenuto parere favorevole dalla apposita Commissione consiliare permanente. Rizzo aprì la discussione elogiando l’Amministrazione comunale che era riuscita a sbloccare la situazione deficitaria dell’Azienda procedendo al ripiano ed avviandola alla normalità, ammise che la Dc era in difetto verso il Consiglio perché non aveva mantenuto la promessa di aprire un dibattito sull’Azienda, ma s’impegnò a nome del suo gruppo ad analizzare il problema con maggiore tranquillità una volta sistemata la partita contabile. Ma ai consiglieri dell’opposizione non sfuggì l’abile strategia del senatore, infatti Scinardi, Scardilli, La Porta, Ugliarolo non persero l’occasione per rimar122
care che in maniera ingiustificata ed ostinata la Dc continuava a sostenere un’Azienda che aveva avuto una “allegra gestione” registrando un preoccupante deficit che era costato al Comune centinaia di milioni. Ribadirono per l’ennesima volta che fallimentare era risultata l’esclusiva gestione dell’Azienda da parte della Dc e che era necessario aprire un discorso politico e programmatico serio in modo da migliorare la realtà socio-economica del patrimonio di cui era proprietario il Comune. E, dopo aver dichiarato di non voler approvare un bilancio che era stato approntato da un’Amministrazione dimissionaria e decaduta da più di un anno, auspicarono il rinnovo della Commissione amministratrice dell’Azienda. Le affermazioni dell’opposizione furono definite “pretestuose” da Rizzo, che, dopo aver respinto “ogni infondata e falsa affermazione di clientelismo” e alluso al fatto che alcune persone ( che a suo tempo avevano militato nei partiti di opposizione) avevano preteso ed ottenuto l’affitto dei pascoli, invitò i consiglieri a votare. Relativamente al bilancio del Comune l’opposizione evidenziò che esso risultava “inficiato” (per usare un termine del consigliere Scardilli) dall’inserimento del bilancio di previsione dell’Assp e dalla mancata convocazione di un’Assemblea aperta per discutere sull’opportunità di predisporre progetti per ottenere finanziamenti. Per di più, quando la Presidenza informò il Consiglio che nel bilancio di previsione era prevista la contrattazione di mutui (per un ammontare complessivo di circa 5 miliardi di lire) per la realizzazione di opere pubbliche (tra cui lo sventramento della Via IV Novembre, l’ampliamento del Cimitero, il mattatoio, ecc.) La Porta colse l’occasione per rimarcare che l’impostazione del bilancio non conteneva interventi nel settore dei servizi sociali e civili e che mancava “la volontà all’attuale Amministrazione di darsi un programma serio, rigoroso, democratico in modo da soddisfare esigenze legittime ed indilazionabili dei lavoratori” . Ma evidentemente le opinioni dei consiglieri di minoranza non avevano in seno al Consiglio lo stesso peso di quelle del senatore che valevano più di quanto si potesse immaginare. E così i due bilanci furono approvati entrambi con 17 voti.
La Dc ripropone il solito copione Fu questa volta il Sindaco Costantino Angilello, nella stessa seduta del 4 aprile, ad annunciare le sue irrevocabili dimissioni dalla carica di Sindaco adducendo come giustificazione il suo trasferimento per motivi di lavoro nella nuova sede di Leonforte che “non gli consentiva di essere attivamente presente per impostare e portare avanti i problemi che travagliano la popolazione nicosiana … Con i nuovi compiti che incombono sui Comuni siciliani, Nicosia ha bisogno di un Sindaco a tempo pieno o quasi e di amministratori solerti”. Dopo aver ringraziato i colleghi di Giunta che lo avevano degnamente sostituito e che avevano svolto con alto senso di responsabilità il compito loro assegnato, lasciò intendere che il suo successore sarebbe stato il sen. Rizzo. Tutti i consiglieri d’opposizione, pur accettando le dimissioni, non trascurarono di esprimere i loro commenti negativi: Scardilli lamentò che “il Consiglio era chiamato a continuare una farsa che perdurava da quattro anni come attestavano le dimissioni continue di Sindaci, di Vicesindaci, di Assessori (addirittura 20 !) in coincidenza con malumori, dissidi, che erano espressione della loro inca123
pacità di amministrare il Comune; La Porta si dichiarò sicuro che non ci sarebbero state sorprese perché Rizzo sarebbe stato nominato al posto di Angilello; Naselli ribadì che si trattava di un rito squallido che da un certo tempo si ripeteva a Nicosia e che era prova di malgoverno; Ugliarolo sottolineò la mancanza di responsabilità del senatore che aveva assunto le redini della Dc proprio in un momento di crisi in cui i democristiani non esitavano a dilaniarsi dentro e fuori; Spallina fece notare che l’alternanza distruggeva gli interessi della cittadinanza. Rizzo, dopo aver manifestato la sua amarezza perché si voleva trasformare un fatto amministrativo in un fatto politico, ribadì che la Dc che aveva ottenuto una maggioranza aveva il diritto di escludere le opposizioni dal governo. Le sue parole scatenarono le rimostranze di Scavuzzo che evidenziò la precisa volontà della Dc di amministrare senza la collaborazione dei partiti laici. Ma nella seduta successiva del 27 aprile 1979, in cui si passò all’elezione del nuovo Sindaco e della nuova Giunta, non si ebbero sorprese: fu infatti eletto, come previsto, il senatore Rizzo e furono eletti assessori i consiglieri: Bruno, Castrogiovanni, Agozzino, Bonomo, Di Stefano e, per Progresso agricolo, La Greca Francesco.
La seconda amministrazione Rizzo tra scelte contestate e provvedimenti condivisi Contestata dall’opposizione, che ancora una volta accusò la Dc di essere chiusa a qualsiasi apertura democratica e di aver interpretato la norma in maniera politica non cogliendo lo spirito della legge che suggeriva di inserire un rappresentante della maggioranza ed uno della minoranza, fu la nomina di Messina e Tuttobene, quali rappresentanti (per cinque anni) del Comune in seno all’Assemblea generale del Consorzio per il bacino imbrifero dell’alto Simeto e del Salso. Allo stesso modo non condivisa fu la scelta di corrispondere al parroco della Basilica di S. Maria Maggiore la somma di 250 mila lire per i festeggiamenti del terzo venerdì di novembre, ma la proposta di Rizzo, che sottolineò il particolare sentimento religioso che animava la popolazione nicosiana nei confronti del Padre della Misericordia, ebbe la meglio e, a maggioranza, fu deliberato di assegnare la somma richiesta a condizione che detta ricorrenza venisse solennemente celebrata come in passato. Unanime fu invece il consenso di cedere in locazione all’Amministrazione Provinciale di Enna, i locali del primo piano seminterrato del Palazzo di Giustizia per la sede (provvisoria) del Liceo Scientifico e di istituire un servizio di trasporto urbano per collegare i vari quartieri, particolarmente quelli periferici, ed alcune zone residenziali esterne (S. Giacomo, Serravigneta, Paravola) al centro abitato. Il Consiglio fu d’accordo nel localizzare le aree in favore delle Cooperative edilizie (Vigilum domus- Biancaneve- G.Matteotti) per lo svolgimento del programma costruttivo di edilizia sovvenzionata. Inoltre, essendo stata Nicosia inclusa nel programma dell’edilizia residenziale pubblica ed essendo stata destinata dall’Assessorato Regionale ai LL.PP. la somma di 500 milioni di lire, il Consiglio, accogliendo la richiesta dell’Iacp di Enna di avere assegnata un’area per attuare l’intervento costruttivo, individuò prima, nella seduta del 27 aprile, due superfici: una in contrada Crociate di Nicosia e l’altra nella frazione di Villadoro. Poi, essendo successivamente pervenuta la notizia che l’intervento predetto doveva essere localizzato su un’unica area e non in due aree diverse, 124
trattandosi di unico finanziamento e unico programma di intervento, il Consiglio nella prima seduta del dicembre 1979 deliberò di localizzare l’intervento costruttivo in Villadoro.
Polemica per l’inaugurazione dell’Ospedale civile “Basilotta” Tempo d’elezioni: ogni motivo è buono per “polemizzare”. Fu la cerimonia di inaugurazione del nuovo Ospedale di Nicosia, organizzata con notevole tempestività, a ridosso delle elezioni politiche del 3-4 giugno 1979, un’occasione di polemica, che fece parlare di strumentalizzazione politica. Ma, come insegna Machiavelli, “Il fine giustifica i mezzi....” ed in ogni caso l’apertura dell’ospedale civile, salutata con entusiasmo oltre che dagli esponenti politici anche dai semplici cittadini, fu un grande traguardo raggiunto, soprattutto considerando che questo momento si aspettava da dodici anni, dal momento che il progetto, stilato dagli ingegneri Sabella e Vanadia, risaliva al 1967. La struttura, moderna e dotata di attrezzature avanzate (tac, radiologia digitale, scanner, ecografia…) e di servizi (numerosi posti letto, un laboratorio di analisi, reparti di medicina, radiologia, chirurgia, cardiologia, pediatria, ginecologia e maternità, geriatria, pronto soccorso), tesi a migliorare la qualità dell’assistenza a coloro che ne hanno bisogno, rispondeva alla logica di mettere a disposizione della gente servizi specifici importanti per la tutela della salute e prometteva di diventare uno dei centri ospedalieri più efficienti della provincia di Enna. Fu pertanto un momento importante per la nostra comunità, un giorno che a buon diritto merita di entrare nella storia della nostra città. Alla manifestazione di inaugurazione intervennero, oltre il personale amministrativo medico, e di servizio dell’ospedale, il Presidente della Regione Piersanti Mattarella (che, di lì a pochi mesi, sarebbe stato vittima di un attentato che gli costò la vita il 6 gennaio 1980), l’Assessore regionale alla Sanità, il Presidente della Provincia di Enna, che si congratularono con gli addetti ai lavori per aver
Ospedale Basilotta di Nicosia (nuova struttura).
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Inaugurazione Ospedale Basilotta (giugno 1979) con la partecipazione del Presidente della Regione Piersanti Mattarella (secondo da destra). Nella foto (da sinistra): Roberto Bonomo, Alberto Muré, Mario Emanuele. Dietro l’on. Mattarella si riconosce l’on. Mario Mazzaglia.
ultimato l’opera nei tempi previsti ed espressero la soddisfazione per il risultato raggiunto, frutto di grande impegno da parte di tutti coloro che avevano creduto e sostenuto il progetto.
Dimissioni del Sindaco Rizzo ed elezione di Agozzino
Michele Agozzino. Nato a Nicosia il 19/12/1948, ha conseguito il diploma di geometra nel 1967. Entrato per la prima volta al Consiglio Comunale nel 1975, ha ricoperto la carica di Sindaco dal 1 luglio ’79 all’8 luglio ’80. Rieletto sia nelle elezioni amministrative del 1980 che in quelle del 1985 è stato più volte nominato assessore e vicesindaco. Nel 1992 è entrato, sempre per la lista della Dc, al Consiglio Provinciale. E’ stato a Nicosia tra i fondatori, fine anni Novanta, del Ccd, poi Udeur, partito di cui a tutt’oggi è consigliere nazionale.
A distanza di appena due mesi dalla sua elezione a Sindaco, nella seduta del 30 giugno 1979, Rizzo rassegnò le proprie dimissioni, dichiarando che essendosi concluso il suo mandato parlamentare (le nuove elezioni politiche si erano, infatti, svolte nei giorni 3-4 giugno) aveva chiesto di rientrare nei ruoli della magistratura ordinaria. Dopo aver affermato che non esisteva nessuna incompatibilità tra la sua posizione di magistrato (carica esercitata a Catania, fuori della circoscrizione del Tribunale di Nicosia) e la sua posizione di consigliere comunale o di Sindaco, dichiarò che si trattava di un gesto di correttezza verso l’ordinamento giudiziario cui apparteneva. Assunse la Presidenza il Vicesindaco, geom. Michele Agozzino, che il Consiglio quella stessa sera elesse Sindaco, carica che manterrà fino al rinnovo del Consiglio (elezioni amministrative giugno 1980). La Porta intervenne per ribadire che le dimissioni di Rizzo erano il frutto dell’incapacità della Dc di amministrare e di garantire da sola la soluzione di tanti problemi, quali il programma di fabbricazione, la ristrutturazione dell’Azienda Silvo Pastorale, la disoccupazione del bracciantato agricolo, la strada Nord-Sud. Ed Ugliarolo, dal canto suo, osservò che l’elezione del sesto Sindaco (in sei anni) avveniva in coincidenza con la trattazione del programma di fabbricazione, mentre Scardilli mostrò la sua indignazione nel costatare che il senatore compiva un atto di deferenza verso l’ordine giudiziario e non teneva conto dei cinquemila e più voti che la popolazione gli aveva dato.
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A pioggia le contestazioni Oggetto di contestazioni fu ancora una volta il Programma di Fabbricazione. Infatti, se la maggioranza, convinta dal consigliere Rizzo circa la necessità per il nostro paese di uno strumento urbanistico che potesse soddisfare le esigenze di tutti, espresse subito parere positivo circa l’opportunità di trasmettere all’Assessorato Regionale allo Sviluppo Economico il Programma di Fabbricazione adottato nel 1976 con la nuova relazione geomorfologia allestita dal prof. Francesco Schilirò19, molte furono le perplessità espresse dai consiglieri d’opposizione, che al momento della votazione si astennero. I motivi addotti possono riassumersi nelle parole del consigliere La Porta che riportiamo integralmente: “ Il programma non affronta in maniera adeguata i problemi di una sana e democratica programmazione del settore edilizio tale da soddisfare globalmente le richieste dei cittadini e dei lavoratori; tale strumento non è adeguato a favorire l’iniziativa privata per cui si assiste ad un monopolio nel campo delle costruzioni e ad un’esorbitante elevazione dei prezzi degli appartamenti; infine la gestione di questo programma, in difformità con quanto espresso nell’art.7 della legge n.71, che prevede la rappresentanza delle opposizioni per assicurare un controllo ed una gestione democratica dello stesso, per volontà della Dc ancora una volta viene monopolizzata dal Partito di maggioranza”. Comunque, la maggioranza decise di trasmettere lo stesso il Programma di Fabbricazione e l’annesso Regolamento edilizio adducendo la motivazione di sbloccare la grave situazione edilizia venutasi a creare nel nostro Comune. L’aver adottato questa delibera permise al Consiglio di dare mandato al Sindaco di prendere accordi con il progettista affinché venissero individuate le aree (che in seguito risultarono essere: Crociate e Cirata-Panotto) per insediamenti produttivi di tipo artigianale e commerciale andando così incontro alle numerose richieste degli operatori economici. Anche la proposta di ratificare il provvedimento della Giunta di affidare alla Cooperativa Edile “Turati” da Nicosia l’appalto dei lavori di costruzione dell’acquedotto in contrada S. Giacomo (per l’importo di circa venticinque milioni di lire) venne contestata dall’opposizione che non solo non condivise né la procedura né il motivo per cui dovesse essere prioritariamente servita questa contrada, ma paventò anche la possibilità di avere meno acqua nel centro urbano. Il consigliere Rizzo rassicurò tutto il Consiglio sottolineando che l’Amministrazione aveva inteso accelerare i tempi di realizzazione dell’acquedotto in alcune contrade di Nicosia, dando il via al programma più vasto di portare l’acqua in tutto il territorio del Comune partendo da una contrada tra le più frequentate. Aggiunse che non vi era nessun pericolo di avere diminuzione di acqua in quanto si poteva usare il serbatoio di contrada Mercadante e chiarì che sarebbero state servite a poco a poco tutte le altre contrade. Una accesa polemica sorse in seno al Consiglio (11 ottobre 1979) contro la decisione dell’Assp con cui questa aveva disposto di concedere in affitto agli allevatori locali alcuni terreni pascolativi. I consiglieri dell’opposizione, infatti, erano dell’avviso di concedere l’utilizzo di questi terreni ed il funzionamento
19 Bisogna ricordare che il Genio Civile aveva restituito in data 23.02.1978 il Programma di Fabbricazione ed il Regolamento edilizio (adottato dal Consiglio con la delibera n. 45 del 27.02.1976) con la seguente motivazione: le situazioni geomorfologiche dei terreni non erano consone con la destinazione d’uso. Pertanto occorreva procedere ad un nuovo studio del piano di fabbricazione con particolare riguardo alle situazioni geomorfologiche
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delle strutture zootecniche aziendali alle Cooperative e non ai singoli. Pertanto essi, irritati per questa manovra scorretta, avanzarono la richiesta di sospendere la seduta e di affrontare l’argomento dopo aver trattato i problemi dell’Azienda così come era stato promesso in tante altre sedute. Nel momento in cui la Presidenza fece osservare che la sorte dell’Azienda non poteva dipendere dai duecento ettari di terreno pascolativi, i consiglieri del Pci e del Psi abbandonarono l’aula e la seduta venne sciolta per mancanza di numero legale.
Provvedimenti ed iniziative sotto il Sindaco Agozzino Nella stessa seduta in cui il senatore si era dimesso, si deliberò di rinviare la discussione dell’impiego di circa 177 milioni per servizi e di utilizzare invece la somma di oltre 200 milioni di lire, assegnata dalla Regione Siciliana, per la costruzione del mercato coperto (130 milioni di lire) e per eliminare lo stato di pericolo del plesso scolastico elementare San Domenico (70 milioni di lire) e consentire il ripristino del traffico in Via Francesco Salomone. E così, grazie a questi fondi, si poteva realizzare il mercato generale, per il quale la somma stanziata dall’Assessorato ai LL.PP. era andata in prescrizione per scadenza dei termini, ed anche avviare i lavori del complesso ex Chiesa di S. Domenica con annesso plesso scolastico, informando i tecnici progettisti della disponibilità dei 70 milioni. Seguendo l’indicazione proposta da Rizzo di effettuare il pagamento a semestre posticipato, fu approvato dal Consiglio lo schema di regolamento dell’acquedotto civico. A tal fine era stato organizzato un “Ufficio Acquedotto” in maniera da consentire il disbrigo della complessa pratica e far sì che i cittadini potessero pagare il corrispettivo del consumo effettivo dell’acqua. Infatti l’intera rete di utenti dell’acquedotto civico nel centro urbano era stata dotata di contatori, senza che fosse entrata ancora in funzione la lettura del consumo. Tra i provvedimenti adottati dal Consiglio rientrò il progetto di realizzare la Caserma dei Vigili del Fuoco contraendo un mutuo di 320 milioni di lire con la
Scambio di gagliardetti tra il Sindaco Agozzino e il Ministro della cultura di Malta (in occasione del Carnevale 1980)
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Cassa di Risparmio V.E. e coprendo in parte le rate di ammortamento pagabili in 20 anni con l’affitto dei vecchi locali per un totale di 11 milioni e 150 mila lire all’anno. La delibera scaturiva dalla necessità di evitare il pericolo di una soppressione del distaccamento. Infatti se il Comune avesse approntato dei locali idonei, il distaccamento di Nicosia (la cui competenza di interventi giungeva fino a S.Agata di Militello) non solo non sarebbe stato soppresso e assorbito da Enna, ma sarebbe stato potenziato giungendo ad avere 20 unità. Al Consiglio, in seguito all’entrata in vigore della legge regionale n.1 del 2.01.1979 che prevedeva la soppressione degli EE.CC.AA. e dei Patronati Scolastici, spettò il compito di nominare i revisori dei conti (nelle persone dei consiglieri Francesco Gaita, Giuseppe Mancuso e Costantino La Porta) e di provvedere all’inquadramento del personale del soppresso Ente Comunale di Assistenza (Giovanni Leonardi e Maria Francesca D’Alessandro).20 Al Segretario Comunale vennero demandate tutte le operazioni conseguenti alla soppressione dei due Enti (dalla rilevazione della consistenza patrimoniale all’elencazione e descrizione dei rispettivi beni, dalla ricognizione dei servizi prestati all’accertamento dei mezzi con i quali i due Enti provvedevano al finanziamento). Ebbe l’incarico di preparare e approvare i conti consuntivi dell’ Ente dal 1964 al 1970 il rag. Angelo Politi, nominato commissario ad acta dall’Assessore Regionale degli EE.LL., in quanto il Comune non avrebbe potuto svolgere questi adempimenti perché l’Ospedale godeva di autonomia propria e il materiale, relativo all’ex-ECA e alle OO.PP. da esso amministrate, era stato sequestrato dall’Autorità giudiziaria. Nella seduta del 26 novembre il Consiglio ratificò la deliberazione della Giunta di intitolare al poeta Carmelo La Giglia la Scuola Elementare del 1° Circolo didattico, mentre in quella del 15 dicembre il Consiglio ratificò la delibera della Giunta, con cui il Comune si assumeva l’onere per il completamento della cuspide della Cattedrale di Nicosia e diede mandato al Sindaco di contattare le ditte specializzate per poter procedere all’affidamento a trattativa privata. Ricordiamo, infine, che durante l’Amministrazione - seppur breve- di Agozzino, ebbero luogo significativi eventi culturali, tra cui l’incontro con il Ministro della cultura di Malta e l’importante Convegno di Chirurgia tenutosi nella nuova struttura dell’Ospedale Basilotta, con l’intervento del rinomato prof. Attilio Basile di Catania.
1° Convegno di chirurgia presso il nuovo Ospedale “Basilotta” di Nicosia (1980). Il Sindaco Agozzino si complimenta con il prof. Basile.
20 Fin dal 1977 un decreto aveva stabilito la soppressione degli enti comunali di assistenza ed il trasferimento ai Comuni, in cui gli enti stessi avevano sede, delle loro funzioni e competenze, del personale e dei beni. Tuttavia questo decreto non venne subito applicato, tanto è vero che nel 1979 erano entrate in vigore leggi regionali ed addirittura pare che solo negli anni Novanta avvenisse di fatto lo scioglimento dell’Ente e il trasferimento del patrimonio immobiliare e mobiliare ai rispettivi Comuni.
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4. Gli anni Ottanta
Quello che ci apprestiamo adesso a raccontare è il periodo compreso tra le elezioni comunali del giugno ’80 e quelle del maggio ’90; un decennio nel corso del quale si ebbe una doppia alternanza alla carica di Sindaco tra Casale e Composto che appare incomprensibile, o comunque strana, agli occhi del comune cittadino, ma spiegabile alla luce ( meglio all’ombra ) delle logiche di potere e di equilibrismi politici. È un decennio contrassegnato, a livello nazionale e regionale, da avvenimenti di straordinaria rilevanza politica e sociale. Dal violento terremoto in Irpinia all’uccisione (30 aprile 1982), a Palermo, di Pio La Torre, deputato e segretario regionale del Pci , seguito a distanza di pochi mesi dall’ assassinio del prefetto Dalla Chiesa alla installazione dei missili nucleari NATO a Comiso alle elezioni politiche del giugno ’83, in cui la Dc toccò il suo minimo storico; dalla formazione del governo Craxi ai fatti di Sigonella, alle elezioni politiche del giugno ’87, che videro il rafforzamento del Psi e un ulteriore calo dei comunisti, al massacro (giugno 1989) di Piazza Tien An Men … è un susseguirsi di vicende che trovano riflesso anche nel dibattito politico nostrano. Ma gli anni ’80 furono anche anni non facili per l’ Italia sotto il profilo economico. Era diffusa la consapevolezza che la lunga stagione di sovvenzioni pubbliche e di elargizioni a pioggia, prodotto di una politica del consenso, era entrata in crisi e che si imponeva ormai la questione del controllo della spesa pubblica. Quello che occorreva trovare era un delicato equilibrio che permettesse di risparmiare senza tuttavia venire meno ai servizi pubblici essenziali, come la sanità, l’istruzione e la previdenza. È certamente un fatto minore, ma significativo di quanto stiamo dicendo, che proprio intorno alla metà degli anni Ottanta venisse varato - e per giunta da un governo guidato, per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, da un socialista - un decreto che tagliava quattro punti della scala mobile. Si trattava di un provvedimento che diminuiva il grado di copertura delle retribuzioni nei riguardi dell’ aumento del costo della vita. Giustificazione di un tale sacrificio che si chiedeva ai lavoratori era, appunto, la (lodevole ) volontà da parte del Governo di contenere il costo del lavoro e, insieme, di rimettere in sesto le finanze dello Stato. In realtà, però, questo obiettivo non solo non fu conseguito, ma di fatto fu contraddetto da un intervento statale nell’ economia e, quindi, da una dinamica della spesa pubblica che continuavano ad essere, sostanzialmente, quelli di una finanza allegra, da Paese di Bengodi. La spesa pubblica divenne uno strumento impiegato essenzialmente a fini politici, ossia per accrescere il consenso al blocco politico dominante, ma anche per diminuire il dissenso. Non è un caso, infatti, che il debito pubblico dai 200 mila miliardi di lire del 1980 sia triplicato nell’ arco di quattro anni, per esplodere a oltre un milione di miliardi di lire alla fine degli anni ’80, avvicinandosi alla parità col Pil . Se ricordiamo questi dati di macroeconomia relativi al sistema Italia è perché essi trovano conferma, in piccolo, anche nella nostra realtà politico-amministrativa locale, ovvero nell’andamento della spesa pubblica, nella quale non è dato scorgere segni di una sua significativa contrazione, come pure la situazione oggettiva della finanza nazionale avrebbe richiesto. Ed è il caso, pensiamo, di sottolineare tale aspetto poiché da allora stiamo ancora scontando quel decennio vissuto da cicale.
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Elezioni comunali 1980 Alle nuove elezioni amministrative che si svolsero l’8 e il 9 giugno 1980 parteciparono sei liste (Dc, Psi, Pci, Pa, Pri, Msi ) per un totale di 170 candidati. Alla Dc, che ottenne quasi il 50% dei consensi, vennero assegnati 16 consiglieri, seguita dal Psi con sei consiglieri; quattro ne ottennero sia il Pci che il Progresso Agricolo (Pa)1, due il Partito repubblicano. Nessun consigliere, invece, fu attribuito al Movimento sociale che, con i sui dodici candidati, aveva ottenuto appena 142 voti. Il nuovo Consiglio si riunì il 25 giugno successivo sotto la presidenza provvisoria del medico Antonio Casale, risultato il più suffragato fra i consiglieri democristiani .
Elezioni amministrative del 6-7 giugno ’80: gli eletti al Consiglio comunale.
1) Casale Antonio, medico
17) Fiscella Giuseppe, docente
2) Granata Lorenzo, perito chimico
18) Ugliarolo Ignazio
3) Composto Giovanni, geometra
19) Torre Sergio Luciano
4) Agozzino Michele, geometra
20) Catrini Luigi
5) Castrogiovanni Michele
21) Calabrese Antonino
6) Di Stefano Francesco, geometra
22) Sabella Cataldo
7) Bonomo Giacomo Roberto, dottore
23) Boggio on. Luigi
8) Messina Nicolò, docente
24) Campione Luigi, medico
9) Bruno Ascenzio, medico
25) Spallina Gaetano, perito agrario
10) Battiato Valerio, farmacista
26) La Porta Costantino
11) D’ Alessandro cav. Ugo
27) Tuttobene Luigi
12) Gaita Francesco, geometra
28) Castrogiovanni Giuseppe , geometra
13) Leanza Edoardo, insegnante
29) De Luca Francesco
14) La Blunda Rosario
30) La Porta Giuseppe
15) Cammarata Vincenzo Antonino
31) Scardilli Vincenzo, insegnante
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16) Proetto Antonino , geometra
32) Li Volsi Giuseppe
Espletato il primo punto all’ordine del giorno, ossia prestazione di giuramento da parte dei neoconsiglieri e loro convalida mediante voto del Consiglio medesimo, l’ odg prevedeva al punto successivo l’ elezione del Sindaco. Ma intervenne il consigliere Granata che, a nome della Dc, propose che il Consiglio si aggiornasse al cinque luglio prossimo. Quale il motivo? A dire della maggioranza il motivo del rinvio era da ravvisare tutto nella volontà della stessa di promuovere una serie di incontri con gli altri partiti, al fine di “poter dare un assetto stabile all’Amministrazione” come disse il capogruppo della Dc. Di beghe interne al partito di maggioranza parlò, invece, l’opposizione, in particolare il Pci che, attraverso il consigliere La Porta, denunciò, appunto, che dietro l’alibi degli incontri si nascondeva in realtà l’incapacità della Dc di esprimere il Sindaco. Anche il consigliere Ugliarolo del Psi, che pure si dichiarò favorevole al rinvio dei lavori in vista degli incontri di cui detto, si augurava che “al più presto potessero essere sanate le beghe interne della Dc”.
1
Progresso Agricolo è, secondo una ricorrente definizione del suo esponente di riferimento, Tuttobene , “un’ organizzazione di categoria, senza colorazione politica ed è distinta dalla Dc; ha propri interessi e propri programmi”. In realtà si trattava di una formazione politica di estrazione democristiana e , di fatto , collaterale alla Dc. 2 Il consigliere Proetto , primo dei non eletti della lista Dc, subentrò al posto dell’ ing. Francesco Sabella, che optò per il Consiglio provinciale.
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In tale polemica ebbe buon gioco Granata nel replicare a La Porta come la posizione del Pci fosse strumentale e contraddittoria; infatti “ nella passata amministrazione - come egli fece notare - la Dc aveva presentato subito il Sindaco ed in conseguenza era stata definita arrogante dal Partito Comunista, mentre ora che la Dc aveva assunto l’iniziativa di tenere dei contatti con altri partiti, e quindi non aveva presentato nessun candidato, era stata definita carente”. Intervenne anche Messina che difese l’iniziativa della Dc, la quale, a suo dire, non era affatto arrogante e che, assieme al Progresso agricolo, aveva sentito “il bisogno di un allargamento di una maggioranza sia pure programmatica”, e attaccò il Pci che, avendo rifiutato l’invito, sentiva “il timore di restare isolato, in un ghetto inevitabile” animato solo dalla “intenzione di calunniare, di dire menzogne”. Alla fine venne messa ai voti la proposta di rinvio dei lavori al cinque luglio che venne approvata dal Consiglio a maggioranza assoluta dei voti: 22 favorevoli, 6 astenuti, 3 contrari (era assente l’On. Boggio, che era contemporaneamente consigliere comunale e parlamentare nazionale alla Camera dei Deputati.).3 All’appuntamento del cinque luglio si arrivò senza che gli annunciati incontri tra i partiti fossero approdati ad alcunchè; ciò in quanto le trattative a livello provinciale si erano fermate, soprattutto “per colpa del Psi ” (denunciava Scardilli). In realtà l’obiettivo cui la Dc puntava, come esplicitamente dichiarato dal suo capogruppo Granata, era un monocolore con l’astensione del Pri e l’appoggio del Pa. E così, nella votazione per l’elezione del Sindaco, il candidato della Dc, “Nicolino” Messina, ottenne venti voti. Nella stessa seduta si procedette all’elezione della Giunta (con astensione dei consiglieri del Psi e del Pri), che risultò così composta: Assunta la presidenza dell’assemblea, il neosindaco rivolse un grazie ai consiglieri in un breve discorso nel quale, tra l’altro, disse: “ E’ un incarico che mi
Bonomo Dr. Giacomo Roberto
Castrogiovanni Michele
Bruno Dr. Ascenzio
Composto Geom. Giovanni
Casale Dr. Antonio
Di Stefano Geom. Francesco
Nicolò Messina. Nato a Nicosia il 9/01/1931 ha svolto la professione di insegnante elementare fino al 1968, anno in cui si è laureato in Lettere presso l’Università di Catania; ha ricoperto l’incarico di docente di Lettere presso l’Istituto Tecnico Commerciale di Nicosia. Entrato nella Dc agli inizi degli anni Settanta, è stato nominato per ben due volte Segretario del partito ed ha ricoperto la carica di Sindaco dal 1980 al 1983.
Elezioni amministrative ’80: gli assessori componenti la Giunta Messina (luglio ’80-gennaio’83).
lascia pensoso e perplesso, non per paura del lavoro, ma per lo scrupoloso senso di responsabilità che ho sempre sentito in ogni incombenza attribuitami nel corso della mia attività e della mia vita”. Conoscendo la persona, riteniamo - e per questo l’abbiamo riportato - che tale passaggio del discorso del Sindaco costituisca quanto di più sincero e veritiero potesse dire.
3 Luigi Boggio, nato a Nicosia il 2/01/ 1942 e si trasferisce per motivi di studio a Messina. Ancora giovanissimo aderisce alla Federazione giovanile comunista (Fgci) della città e tra il 1963 e il 1964 dirige la Fgci ennese. Nel 1964 è eletto Consigliere comunale nella lista del Pci di Nicosia. Dopo il servizio di leva e dopo un breve periodo in cui dirige la Camera del lavoro di Lentini (SR), fa ritorno ad Enna dove viene eletto prima Segretario provinciale della Cgil (1970-1974), poi della Federazione del Pci (1974-1976) e successivamente entra a far parte della Segreteria regionale comunista. Eletto nel 1979 alla Camera dei deputati per la circoscrizione della Sicilia orientale, è componente della Commissione Industria e Segretario della Commissione bicamerale per il Mezzogiorno. Nelle elezioni amministrative del 1980 è eletto (per la seconda volta) al Consiglio comunale di Nicosia, risultando primo degli eletti, con 484 voti di preferenza.
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Elezione “ nuova” Giunta e dichiarazioni programmatiche Forse non erano lontani dal vero quanti accusavano allora la Dc di “beghe interne” o, in maniera più esplicita, denunciavano che nell’ambito della maggioranza vi era “una vera e propria guerriglia interna senza esclusione di colpi anche a costo di mandarsi in galera l’un l’altro” (Scardilli), se a distanza di pochi mesi dall’elezione di Messina a Sindaco, lo stesso rassegnava (con lettera del 25 marzo ’81) le proprie dimissioni. Dimissioni che nella seduta dell’11 aprile successivo furono respinte a maggioranza assoluta, mentre vennero accettate quelle che contemporaneamente presentò l’intera Giunta comunale. Ma i “nuovi” assessori eletti costituivano in realtà una “Giunta fotocopia”, una riproduzione esatta della precedente con la sola sostituzione di Composto con Tuttobene. Quale il senso di tutto questo? Riteniamo che la lettura più aderente ai fatti l’abbia data il consigliere Boggio, secondo il quale la Dc “chiusa la parentesi di nove mesi di sceneggiata”, concludeva una sua operazione all’interno del partito “facendo uscire un democristiano e facendo entrare un altro democristiano in Giunta , all’interno di una logica di potere … ma sarebbe stato più logico, corretto e giusto fare solo un rimpasto”. A chiusura di questo episodio non si può passare sotto silenzio il fatto che il democristiano che usciva ( Composto ) per far posto a un altro democristiano (Tuttobene), non era un democristiano qualsiasi, ma un consigliere che, con 525 voti, si era piazzato al terzo posto dei candidati più votati nella lista dei Dc. Bisognò aspettare il 6 luglio successivo, giusto un anno dalla elezione del Sindaco, perché questi presentasse al Consiglio le Dichiarazioni programmatiche, con le prevedibili accuse che ciò sollevò nell’opposizione, in particolare nel Pci. Accuse alle quali il Sindaco replicò sostenendo che, in realtà, le Dichiarazioni pro-
Comizio dell’on. Luigi Boggio durante la manifestazione per il lavoro e la democrazia contro il terrorismo.
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grammatiche erano pronte nel suo cassetto fin dal settembre 1980, ma che l’Amministrazione non aveva notificato al Consiglio per volontà stessa di quest’ultimo. Infatti “a livello interpartitico ed intergruppi - ricordò il Sindaco - prevaleva allora l’opinione di attendere l’esito delle note trattative politiche, e perciò il Consiglio, nella sua totalità, ritenne opportuno rinviare la formulazione e l’enunciazione dei programmi amministrativi a data da destinarsi. Ci fu, anzi - concluse Messina - chi dai banchi dell’opposizione espresse il concetto secondo cui vale ciò che in realtà si fa e non le parole di una enunciazione programmatica che possono restare soltanto parole” (il riferimento era all’on. Boggio). Dei vari interventi seguiti alla lettura del Programma amministrativo, il Sindaco considerò “il meno demagogico” quello del consigliere Campione, il quale - premesso che il giudizio del Pci era “sicuramente non positivo”- evidenziò, in realtà, una serie di obiettivi e di lacune del Programma piuttosto concreti: da una maggiore “democratizzazione del paese”, attraverso l’istituzione di “Consigli di quartiere”, alla pubblicizzazione degli atti amministrativi più importanti, mediante affissione al pubblico in bacheca ; dall’invio ai capigruppo delle copie delle delibere alla necessità di promuovere incontri per il gozzo, sino al problema delle sedie per la sala consiliare, la cui positiva soluzione avrebbe consentito, secondo il consigliere comunista, “una maggiore partecipazione delle masse popolari”.
La staffetta Per il venticinque gennaio 1983 fu convocato, in seduta straordinaria, il Consiglio comunale con all’ordine del giorno un unico punto: Dimissioni del Sindaco – Provvedimenti. In apertura di seduta assunse la presidenza il vicesindaco Antonio Casale, che informò il Consiglio della decisione del prof. Messina di “volersi dimettere” (sic!) dalla carica di Sindaco del Comune di Nicosia. Ma quando Messina lesse in Consiglio la lettera, inviatagli precedentemente deal partito, si apprese che le dimissioni in questione erano state in realtà espressamente richieste dal Segretario della sezione nicosiana della Dc, geometra Lino Bruno, che le aveva giustificate con l’esigenza di “dare attuazione alle proposte avanzate dalla Commissione paritetica e consistente nella rotazione dell’Amministrazione del nostro Comune”. Come si evince da altri stralci della missiva del Segretario - che di seguito riportiamo tra parentisi - quest’ultima, pur grondando di ringraziamenti (“...per la fattiva opera da Te svolta a capo dell’Amministrazione Comunale, non sottacendo che a Tuo merito vanno riconosciuti gli immensi sacrifici personali sopportati e l’impronta personalissima con cui hai diretto la cosa pubblica”) eppur concludendosi con attestati di stima (“Sono certo che alla nuova Amministrazione non farai mancare l’apporto della Tua consolidata esperienza e del Tuo come sempre disinteressato e affettuoso consiglio”), era di fatto una cortese “lettera di licenziamento”. L’apparente fair play con cui il Sindaco rispondeva agli apprezzamenti di Bruno (“Il mio modesto apporto non mancherò certo di darlo, in questo il Segretario può essere certo, specialmente a livello di Consiglio comunale”) erasmascherato e contraddetto dalla sibillina conclusione della lettera del Sindaco, nella quale venivano avanzati sospetti e lanciate certe insinuazioni: “Comincio fin da ora, quasi a titolo di consegna a sottolineare al Consiglio stesso due punti fondamentali sul piano della legalità e del decoro: 135
Costantino La Porta nasce a Nicosia il 3/12/1950 e consegue la maturità classica nel 1969 presso il Liceo classico “Fratelli Testa”. Iscritto al Pci sin dal 1971, è stato eletto consigliere comunale nel 1975 e riconfermato per ben tre volte nelle elezioni del 1980, 1985 e 1990. E’ stato componente della segreteria provinciale negli anni Settanta e più volte Segretario della sezione nicosiana del Pci negli anni Settanta e Ottanta. Durante la sua lunga militanza politica si è distinto per lo spiccato spirito battagliero e per l’impegno profuso nell’attività consiliare.
- l’attenzione massima al funzionamento degli Uffici e delle Commissioni, come quella edilizia4; - l’evitare che dipendenti comunali, azionisti di Partiti in quanto possessori di pacchetti di tessere comunque comprate, possano influenzare le decisioni politico- amministrative del Consiglio stesso , quali appartenenti a Direttivi che discutono e determinano linee di comportamento. La qual cosa può anche rivestire le caratteristiche dell’interesse privato in atti d’Ufficio, cioè di reato perseguibile ope legis”. Apriti cielo! Fu una gragnuola di interventi infuocati da parte dei principali esponenti dei partiti di opposizione, tutti compatti nell’invitare il Sindaco a ritirare le dimissioni. Tant’è che uno di loro, il consigliere comunista Campione, non potè non rilevare come fosse un caso insolito, anzi “un fatto anormale che i gruppi di opposizione chiedessero il ritiro delle dimissioni”. Ma quali i motivi di una tale corale richiesta? Si era dinanzi a un vero e proprio paradosso, come rilevò il primo consigliere a prendere la parola, Ugliarolo, che così esordì: “Non si riesce a intravedere quale utilità possa avere una rotazione di persone ma non di programma e, soprattutto, non si capisce come un dipendente comunale possa dire al Sindaco: Vattene”. Perché quest’ultima affermazione risulti chiara, occorre precisare che Lino Bruno, segretario politico della Dc, era anche dipendente comunale, nella qualità di Caposervizio dell’U.T.C. di Nicosia. Incalzato dall’opposizione a voler chiarire senza reticenze al Consiglio le allusioni al “decoro” e alla “legalità” cui aveva fatto riferimento in conclusione della lettera di dimissioni, il Sindaco deluse tutti. Non solo dribblò, nel suo intervento di replica, la richiesta di chiarimenti che tutta l’opposizione sollecitava, ma andò al contrattacco, per così dire, accusandola di avere frainteso le sue parole. Egli, infatti, rammentò “l’episodio dello scrittore che a proposito di un suo libro ebbe a dire che la critica aveva visto nel testo cose che non gli erano passate neanche per la mente”. Di fronte a questa palese retromarcia, o che comunque tale era apparsa all’opposizione, le repliche di quest’ultima furono abbastanza risentite, per usare un eufemismo. La Porta disse: “Stasera, dalla discussione che si è svolta, il prof. Messina è uscito come una figura patetica, avendo deluso l’intero Consiglio ed avendo subìto la direttiva del partito”. Rincarò la dose il consigliere Fiscella, del Psi, che dichiarò, senza mezzi termini, che “il comportamento del prof. Nicolò Messina è stato vomitevole essendosi rimangiato quanto aveva detto con atto di coraggio”. Peraltro, i tentativi di una convincente spiegazione da parte della maggioranza in realtà non spiegavano nulla, incentrati come erano sulla tesi che le dimissioni del Sindaco e della Giunta trovavano la loro motivazione nell’opportunità di “una semplice rotazione degli uomini alla guida dell’Amministrazione comunale [in quanto ] un partito che ha la responsabilità del governo deve consentire ai propri uomini di avvicendarsi” (Granata). Ancora meno serve sapere che “la decisione del partito è maturata dopo lunghe e laboriose sedute” (Leanza).
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“Non sembra – scriveva all’epoca Scardilli su La Sicilia commentando la lettera di Messina indirizzata al Consiglio comunale – che il Sindaco richiami a caso l’attenzione del Consiglio sul funzionamento degli Uffici (e in particolare della Commissione edilizia) se si considerano le molte chiacchiere sulle tante concessioni edilizie nonché sulle lunghissime vicissitudini del programma di fabbricazione sul quale si sono accaniti diversi amministratori e consiglieri comunali, molti dei quali sono interessati direttamente alle zone di espansione del piano o sono addirittura diretti operatori edili” (Vincenzo Scardilli, Dimissionari a Nicosia il Sindaco e la Giunta, “La Sicilia”, 25 gennaio 1983).
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Può avere un fondamento il motivo suggerito da La Porta, il quale, nel corso della discussione seguita alle dimissioni di Messina, adombrò il sospetto che esse fossero da mettere in relazione anche alla legge 167, cioè alla questione della “localizzazione” del Programma di Fabbricazione5: “…ci sono – disse il consigliere comunista – delle forze di potere, ci sono operatori economici che hanno degli interessi contrastanti con la 167 e quindi il Sindaco, sostenitore dell’attuazione della 167, va liquidato”. A parte tale motivo, sicuramente importante se si considerano gli ovvi interessi economici connessi all’adozione del Piano di zona6, riteniamo molto più semplicemente che il criterio della staffetta, (perché di questo si è trattato) trovi la sua fondamentale spiegazione nell’unica logica che vale in politica, cioè il rapporto di forza in termini di consenso elettorale. Ricordiamo, a tal proposito, che nella graduatoria dei candidati diccì più votati nelle ultime elezioni comunali, Messina si era piazzato all’ottavo posto, con 424 voti, mentre Casale, con ben 794 voti, era stato il consigliere più votato. D’altronde il “cambio di guardia” nella Giunta, che di lì a poco si ebbe, a nostro avviso conferma tale ipotesi: gli assessori che subentrarono (guarda caso!) erano, così come gli uscenti, i consiglieri più votati ( tutti con oltre quattrocento voti ). Può darsi che si tratti di una casuale coincidenza, ma il dubbio che tra “rotazione” di amministratori e forza elettorale degli stessi possa esserci un preciso nesso, crediamo sia legittimo e ragionevole nutrirlo.
Amministrazione Messina: bilancio Prima di addentrarci nelle vicende relative alla nuova amministrazione guidata da Casale, tentiamo di tracciare un bilancio della precedente. A giudicare dalle diverse delibere della Giunta, decadute perché non sottoposte a ratifica nei termini, si dovrebbe concludere che il Consiglio comunale dell’epoca non deve essere stato particolarmente attivo ed efficiente. E non è, forse, un caso se non solo La Porta (consigliere dell’opposizione), in occasione del dibattito riguardante le Dichiarazioni programmatiche del Sindaco, dopo aver lamentato la sporadicità delle convocazioni del Consiglio comunale, proponeva che di esso “dovrebbe aversi una convocazione almeno ogni mese”; ma anche Tuttobene (un alleato della Dc) richiamava, in altra occasione, “tutti i consiglieri della maggioranza” a partecipare assiduamente ai lavori del Consiglio, magari “evitando di fare i propri comodi … o andando a giocare a carte”. Tuttavia, nonostante tali rilievi critici, nei due anni e mezzo di amministrazione Messina non sono state poche le opere e i provvedimenti attuati, sia come prosecuzione di delibere precedenti sia come atti avviati; anche perchè i contributi pubblici (regionali, statali, del Fondo Europeo per lo sviluppo regionale) erano ancora abbastanza cospicui. Tra le deliberazioni più rilevanti vanno senz’altro annoverate quelle relative alle opere seguenti:
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La legge n. 167 del 18/4/1962 è quella che faceva obbligo ai Comuni di individuare, per la concreta attuazione del Programma di Fabbricazione, il Piano di Zona, che è lo strumento urbanistico attraverso cui gli interventi in materia d’edilizia economica e popolare possono essere organicamente strutturati. 6 Il Piano di Zona fu approvato in via definitiva il 20 febbraio 1984. Esso individuava quattro aree del territorio comunale e precisamente: una in località Panotto; una in località Magnana; una in località S.Pietro Martire e un’altra nella frazione di Villadoro.
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Viabilità urbana. Nella seduta del 19 dicembre 1980 il Consiglio deliberava l’approvazione del progetto – redatto dall’ing. Giuseppe Milici - relativo alla sistemazione (definita, con un crudo termine, sventramento) della via IV Novembre; il cui importo complessivo inizialmente era di circa un miliardo e duecento milioni di lire7. Viabilità rurale. Si ebbe l’impegno di finanziamento, comunicato da Tuttobene al Consiglio nella seduta del 6 luglio 1981, per la trasformazione in rotabili di tre trazzere; per un complessivo importo di oltre un miliardo e trecento milioni di lire. Metanizzazione. Il Consiglio, nella seduta del 29 novembre 1982, ratificando la delibera della Giunta municipale 28/10/82 (con la quale si apportavano alcune modifiche alla Convenzione Comune – Siciliana Gas del 21 novembre 1981), portava a compimento, amministrativamente, il lungo iter relativo alla realizzazione della rete di distribuzione del gas metano nel territorio comunale, per complessivi Km 17, 7248. Piano di Fabbricazione. Il provvedimento più importante, per il suo impatto in termini sociali ed economici, è sicuramente l’approvazione, dopo oltre quindici anni di discussioni (e di liti), del Piano di Fabbricazione, con annesso Regolamento edilizio, che il Consiglio deliberò nella seduta dell’8 maggio ’82. Fu il provvedimento, aggiungiamo, che Messina, a distanza di anni, ricorda con una punta di orgoglio. Nella seduta dell’11 ottobre 1980 il Consiglio varò, tra gli altri, due significativi provvedimenti: Servizio di Guardia Medica notturna e festiva. Portando a compimento una delle ultime delibere consiliari della precedente amministrazione (la n. 129 del 19 aprile 1980) il nuovo Consiglio, infatti, deliberò l’istituzione nel Comune di Nicosia (con sede nei locali, di proprietà comunale, siti alla via Gregorio Speciale) del detto Servizio, che comprendeva anche il Comune di Sperlinga e la frazione di Villadoro. Campo sportivo “Stefano La Motta”. Il Consiglio deliberò la realizzazione di lavori di ammodernamento della tribuna del campo e di costruzione dei sottostanti spogliatoi9 (lavori che vennero affidati alla ditta Felice D’Amico, per un importo di circa quaranta milioni di lire). Con delibere consiliari del 31 marzo ’82, venne approvata l’istituzione di: - Servizio di consulenza specialistica per la prevenzione e la cura della malattia da gozzo, patologia molto diffusa nel nostro territorio, per cui venne approvata una Convezione tra il Comune e l’Università di Catania per l’istituzione del servizio, (finanziato dall’Assessorato Regionale per la Sanità) e la cui durata era prevista sino al 31 dicembre ’82;
7 Giova ricordare che in realtà l’iter relativo alla sistemazione urbanistica della Via IV Novembre per tutta una serie di ragioni e di controversie (che preferiamo risparmiare al lettore) si allungò molto. L’approvazione definitiva, da parte del Consiglio, del progetto (rielaborato) si avrà solo ai primi del 1985, mentre l’effettiva realizzazione dell’opera, in gran parte finanziata mediante contrazione di mutuo con la Cassa DD. e PP., avrebbe preso l’avvio (previa indizione licitazione privata per l’appalto dei lavori) solo agli inizi del 1987. Nel frattempo l’importo dell’opera era salito di oltre duecento miliardi di lire, per arrivare a fine ’89 (a seguito di ripresentazione di perizia di variante e suppletiva) a un importo complessivo di un miliardo e settecento milioni di lire. 8 Il Consiglio aveva deciso la metanizzazione del Comune (tramite l’affidamento in concessione esclusiva della costruzione e dell’esercizio dell’impianto alla Siciliana Gas S.p.a) con delib. n. 140 del 7/10/81. Ciò a seguito della legge che prevedeva la concessione ai Comuni di agevolazioni finanziarie per la realizzazione di reti urbane di distribuzione di gas metano nel Mezzogiorno. 9 Ricordiamo che all’epoca Nicosia aveva due squadre di calcio: l’U.S. Nicosia e la S.S. Erbita, militanti rispettivamente in I e II categoria.
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Via IV Novembre prima dello “sventramento”. A sinistra si vede, nella foto scattata in occasione della sfilata di Carnevale del 1983, una delle case che, insieme a tante altre, sono state demolite per allargare la strada.
Via IV Novembre dopo lo “sventramento”.
- Sezioni di scuola materna (una nel quartiere S. Croce e l’altra in quello di Magnana), dando mandato al Sindaco di inoltrare la relativa istanza al Provveditorato. Durante l’amministrazione Messina proseguirono, inoltre, i lavori di completamento del Mercato generale. 139
Convegno sulla metanizzazione delle zone interne. Intervento del Sindaco Messina.
Stipula del contratto di metanizzazione. Il Sindaco Messina firma, alla presenza del Presidente della Siciliana Gas (on. Giuseppe D’Angelo ) e dell’Amministratore delegato della Società, il contratto di metanizzazione del nostro Comune.
Prima Amministrazione Casale Nella stessa “seduta storica” (è la definizione data dal consigliere Ugliarolo in apertura del suo intervento con cui aveva preso avvio il dibattito sulle dimissioni del Sindaco Messina) del 25 gennaio 1983, furono eletti10 sia il nuovo Sindaco, nella persona del medico Antonio Casale, sia la nuova Giunta, della quale entravano a far parte i consiglieri: 10 L’elezione della nuova Amministrazione avvenne al termine di una seduta fiume, durata circa sette ore ( era trascorsa l’una di notte quando venne sciolta ) e fu caratterizzata, come abbiamo cercato di riferire, da punte di estrema durezza e persino di offese personali.
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Gaita geom. Francesco
(Lavori Pubblici)
Agozzino geom. Michele
(Pubblica Istruzione, Sport e Turismo)
D’Alessandro Ugo
(Solidarietà, Bilancio)
Battiato dott. Valerio
(Polizia urbana, Igiene e Sanità)
Composto geom. Giovanni
(Artigianato e Commercio)
Tuttobene Luigi
(Agricoltura e Foreste)
Gli assessori componenti la prima Giunta Casale
La prima riunione consiliare dell’amministrazione Casale si svolse il successivo 24 Marzo. Primo punto all’odg. di quella “tardiva convocazione”, secondo il disappunto espresso da La Porta, furono le Dichiarazioni programmatiche del Sindaco, cui votarono contro il Pci e il Pri, mentre si astenne il Psi (ricordiamo che allora il Psi di Craxi non solo governava con la Dc, ma da lì a poco, aprile ’83, si sarebbe avviata, a livello nazionale, l’esperienza di un governo presieduto da Craxi). In linea con quanto era ormai un leit motiv nazionale, il neosindaco sottolineò in apertura delle Dichiarazioni, che “l’Amministrazione aveva ben presente la gravità del momento, le difficoltà finanziarie del paese… [e che] il governo costringeva le amministrazioni comunali, rendendole magari impopolari, ad imporre nuove tasse alla gente per avere garantiti i servizi indispensabili”. E concluse, su questo aspetto, ricordando agli “amici consiglieri” che ci si doveva convincere “che i tempi della finanza aurea erano solo un ricordo”. Tale consapevolezza non impedì, però, a Casale di confezionare un nutrito elenco di opere e di affrontare problemi ritenuti prioritari: dalla “tanta attesa e sognata Nord-Sud” alla circumvallazione Panotto-Magnana-Crociate alla strada esterna “S.Simone”, che collega il quartiere S. Maria con le Crociate11; dalla sollecitazione a “finanziamenti più consistenti per l’edilizia popolare e l’edilizia convenzionata” alla “formazione di piani artigianali e commerciali per consentire a queste categorie di operatori economici di realizzare opifici utilizzando i contributi previsti dalla legge”. Un pensiero andò anche agli anziani, mediante “attuazione e potenziamento del Servizio di assistenza domiciliare”, nonché al mondo rurale sia favorendo la costituzione di associazioni agricole per la costruzione di stradelle interpoderali, sia avanzando richieste “costanti e pressanti presso l’Ispettorato Forestale di Enna in modo da assicurare un maggior numero di giornate lavorative ai braccianti agricoli”. L’impegno dell’Amministrazione si estendeva al completamento di alcune opere già avviate, quali il Mercato coperto, il Palazzo di Giustizia, l’Acquedotto di Nicosia e Villadoro, Impianti sportivi, Impianto di depurazione e altre opere ancora. Nel mese di gennaio ‘83, qualche giorno dopo l’elezione a Sindaco di Casale, a Nicosia si ebbe una significativa manifestazione culturale, infatti si tenne un ciclo di conferenze e di manifestazioni celebrative in onore di Pietro Vinci, nostro illustre concittadino e noto musicista siciliano della Musica Polifonica Rinascimentale. La manifestazione, che fu seguita da un pubblico interessato ed entusiasta, era stata organizzata dal vicepresidente regionale dell’associazione “Italia nostra”, prof. Ignazio Nigrelli, e dall’arch. Liborio La Vigna e patrocinata dal Comune di Nicosia, dalla Pro Loco, dal vescovo Monsignor Di Salvo, dai
Antonio Casale. Laureato in Medicina e Chirurgia, specializzato in Cardiologia e in Anestesia-rianimazione, Primario dell’Unità Operativa complessa di Cardiologia presso l’Ospedale Basilotta di Nicosia sin dal 1999, ha ricoperto il ruolo di presidente dell’Assemblea generale dell’Usl n.18 dal 1983 al 1988. Ha partecipato per la prima volta, come candidato della Dc, alle elezioni amministrative del 1980 (risultando il 1° degli eletti con 794 voti di preferenza, seguito da Granata con 616 voti) ed ha rivestito la carica di Vicesindaco e poi di Sindaco. Dal 1985 al 1991 assunse la carica di Segretario della Sezione locale della Dc.
11 In realtà la Giunta Municipale, con provvedimento n. 86 del 4 marzo 1983, aveva già affidato l’incarico per la progettazione di tale opera all’ing. Salvatore Catania. Redatto in data 12/05/87, il progetto, relativo ai lavori di completamento dell’opera (per un importo di cento milioni di lire), sarebbe stato approvato dalla G.M. con delibera n. 406 del 16/07/87.
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Manifestazione in onore di Pietro Vinci nella chiesa di S. Biagio. Nella foto: il Sindaco Casale, l’arch. La Vigna ed il prof. Paolo Emilio Carapezza, direttore dell’Istituto di storia della musica dell’università di Palermo, ed una sua assistente.
Club service (Kiwanis, Rotary di Nicosia e dal Lions di Leonforte). Le conferenze - tenute dai professori Carapezza e Nigrelli – e i concerti per organo del calatino Gianfranco Nicoletti con musiche prevalentemente di Pietro Vinci e del quintetto vocale “Madrigalstudio” di Roma – misero in luce la personalità e le opere del maestro Vinci di cui forse gli stessi concittadini ignoravano il notevole rilievo avuto nella storia della musica. L’amministrazione Casale, occorre riconoscere, si mostrò subito particolarmente attiva ed efficiente. Già nella seduta del 24 marzo veniva approvato, con delibera consiliare n.16, il Regolamento per il Servizio di assistenza domiciliare in favore degli anziani, istituito ai sensi della L.r. 87/1981. Tra i primi provvedimenti deliberati, di un certo rilievo fu la richiesta, da parte del Consiglio comunale (già nella seduta del 30 Maggio 1983) di autonomia della sezione dell’Istituto Magistrale di Agira, con impegno ad assumere a carico del bilancio comunale gli oneri conseguenti. A tal fine il Consiglio diede mandato al Sindaco d’inoltrare la relativa domanda al Ministero della P.I. Nella stessa seduta il Consiglio deliberò l’approvazione della perizia di variante e supplettiva, redatta dall’U.T.C., relativa ai lavori di completamento (di fatto già eseguiti) della tribuna del campo sportivo e di costruzione dei sottostanti spogliatoi, per l’ulteriore somma di settantacinque milioni di lire. L’opera più rilevante, deliberata dall’amministrazione Casale nei primi mesi della sua attività, fu senz’altro l’approvazione (seduta del 9 novembre 1983) del progetto esecutivo relativo all’Acquedotto comunale; progetto che avrebbe realizzato – come disse Scardilli - “un vecchio sogno”: quello di risolvere l’annoso problema dell’approvvigionamento idrico. Il progetto in questione, prevedeva la ricaptazione delle sorgenti e la ricostruzione delle condotte e dei relativi manufatti. L’importo complessivo dell’opera ammontava a due miliardi e mezzo di lire, somma che sarebbe stata reperita mediante contrazione di mutuo con la Cassa DD. e PP. (con ammortamento ventennale).12
12 La Cassa depositi e prestiti, inizialmente Banca di Stato, negli ultimi anni ha cambiato, in gran parte, natura. Trasformata in Spa (anche se rimane tuttora un soggetto semi-pubblico), ha affiancato allo storico ruolo di finanziatore degli Enti locali quello di sostegno alle iniziative infrastrutturali del Paese.
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Un’altra importante delibera del nuovo Consiglio (nella stessa seduta del 9 novembre 1983) fu quella relativa all’approvazione del progetto dei lavori per la sistemazione della già citata strada “S. Simone”, per un importo complessivo di 155 milioni di lire; somma finanziata, anch’essa, tramite assunzione di mutuo (ammortamento decennale ) con la Cassa DD. e PP. Nell’ultima seduta del 1983 (sedici dicembre) il Consiglio deliberò, tra l’altro, l’approvazione del progetto relativo ai lavori per la Costruzione della rete idrica e fognante nella frazione di Villadoro, per un importo complessivo di circa un miliardo di lire. Non potendo il Comune provvedere con fondi propri al finanziamento dell’opera, venne dato mandato al Sindaco di inoltrare istanza alla Cassa per il Mezzogiorno (in realtà l’iter relativo a tale progetto rimase lettera morta per i successivi tre-quattro anni). Opera di rilievo (considerato l’importo di spesa: oltre un miliardo e mezzo di lire) fu certamente quella relativa alla costruzione della nuova Sede del Commissariato di P.S. e del distaccamento di Polizia Stradale, il cui progetto, redatto dall’ing. Sabella, fu approvato dal Consiglio comunale nella seduta del 28 Settembre ’84. Nel corso di quello stesso anno l’Amministrazione ripropose l’iniziativa della Mostra zootecnica, divenuta un importante appuntamento per la valorizzazione dei prodotti agricoli locali. In quell’occasione intervennero: il Presidente della Regione Sicilia Modesto Sardo, il Presidente Regionale Associazione Allevatori Antonio Petix, il Presidente Provinciale Associazione Allevatori Mimmo Sagona. Con delib. n.2 del 30/01/1985 il Consiglio approvava la perizia tecnico-geologica, redatta dal geologo Francesco Schillirò, necessaria per procedere alla redazione del Piano regolatore generale del Comune. Ricordiamo, infine, che nei primi mesi del 1985, vigilia delle nuove elezioni comunali e provinciali, il Consiglio deliberò l’approvazione di alcuni progetti relativi alla realizzazione di opere atte ad “abbellire” il paese. Segnaliamo, tra l’altro, i lavori di costruzione di un moderno impianto di illuminazione sia nel centro urbano (Via Nazionale) che lungo la strada della circumvallazione di Contrada Magnana. A tal fine il Consiglio comunale deliberò l’assunzione di un mutuo con la Cassa depositi e prestiti per un ammontare complessivo di 440 milioni. Vennero deliberati, altresì, lavori di manutenzione straordinaria di molti
2ª Mostra zootecnica (1984). Nella foto (da destra): il Sindaco Casale, Modesto Sardo, Luigi Tuttobene (Assessore Agricoltura e Foreste), Antonio Petix, Mimmo Sagona e l’assessore Francesco Gaita (Lavori pubblici).
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edifici scolastici elementari, sia urbani (Plesso C. La Giglia, S. Vincenzo, Villadoro) sia rurali, in particolare: S. Basilio, Paravola, S. Giacomo, Valpetroso, S. Agrippina.
Verso la soluzione del problema “Viabilità” Ma l’iniziativa politica di maggiore rilievo, assunta in quei mesi, fu certamente l’organizzazione voluta dall’Amministrazione Casale del Convegno sulla viabilità delle zone interne, in occasione del quale intervennero esponenti politici di diverso livello (provinciale, regionale, nazionale, europeo). Durante quell’incontro Casale evidenziò i problemi vissuti dalla nostra comunità montana e principalmente quelli legati alla carenza di attività economiche in loco con notevole disoccupazione giovanile, che, di conseguenza, aveva portato allo spopolamento del nostro centro, alimentando il fenomeno dell’emigrazione e costringendo i giovani a trasferirsi per trovare lavoro. Sottolineò che l’investimento sulle strade si ripercuoteva sull’economia locale in genere e che tutti gli sforzi dell’ Amministrazione nicosiana si sarebbero vanificati se non fossero stati supportati da una agevole viabilità. Pare che i politici non siano rimasti sordi a questo appello e abbiano mostrato sensibilità nei confronti del problema, tant’è che il Presidente della Regione, Rino Nicolosi, s’impegnò in quella sede a porre Nicosia tra le priorità di intervento. La serietà dell’impegno si vide di lì a qualche anno, allorché giunse la notizia che era stato finanziato proprio il tratto della Nord Sud che congiungeva Nicosia nord (contrada Paravola) con Nicosia sud (contrada Salato). Incominciava a concretizzarsi un’idea progettuale da tempo supportata dai politici (tra cui, in particolare, l’on. Luigi Boggio) e accarezzata dalla popolazione nicosiana per il rilevante carattere che la stessa rivestiva anche nell’ambito economico. Un’idea che negli anni Novanta divenne una realtà per il nostro paese, il quale ebbe un tratto di strada nuovo e moderno, che permise in un certo senso di alleggerire i problemi connessi all’attraversamento dell’abitato di Nicosia e di
Convegno sulla viabilità delle zone interne (1985). A partire da destra si riconoscono: Vincenzo Franzone (Segretario provinciale della Dc), on. Nenè Rizzo (Deputato regionale), on. Rino Nicolosi (Presidente della Regione Siciliana), on. Calogero Lo Giudice (Deputato regionale), Antonio Casale (Sindaco di Nicosia), Michele Lauria (senatore della Repubblica e Sindaco di Enna), Palascino (Sindaco di Pietraperzia).
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Nord- Sud: tratto bivio Salso - bivio Cimitero. I lavori relativi a tale lotto hanno avuto inizio nel marzo del 1992 e sono stati ultimati nel marzo del 1997.
Visita ufficiale del Presidente della Regione Rino Nicolosi. (Aula consiliare del Comune di Nicosia, 3 novembre 1990). Il Sindaco Casale ringrazia Nicolosi per il finanziamento del tratto della Nord- Sud passante per Nicosia. Nella foto: accanto al Sindaco, Nicolosi e i consiglieri comunali Notararigo, Pidone, Castrogiovanni e (in prima fila da destra) Maiuzzo e Mancuso; negli scranni (in seconda fila) si riconoscono i politici: Lo Giudice, Virlinzi, Lauria, Plumari.
rendere i collegamenti con l’esterno più veloci. La progettazione dei lavori fu affidata all’Anas che si avvalse di un’impresa, la Cosiac di Palermo, per realizzare l’opera. Nel 1990 Casale nel corso di una solenne cerimonia - alla quale parteciparono i parlamentari della provincia, i sindaci della zona, gli amministratori e i consiglieri provinciali, i dirigenti sindacali - espresse la sua gratitudine al Presidente della Regione, Rino Nicolosi, per il sostegno offerto nel portare avanti l’idea progettuale, e rilevò che quello rappresentava un momento storico per la nostra zona 145
in cui molti erano stati i ritardi. In quell’occasione il Sindaco Casale e gli altri sindaci dei paesi vicini, tra cui Bonanno (di Leonforte), Proto (di Cerami), Salamone (di Sperlinga) caldeggiarono l’inserimento ed il finanziamento del tratto Nicosia – Leonforte, assente nel piano triennale delle opere pubbliche, ed ottennero la promessa di Nicolosi che avrebbe affrontato questo problema operando un emendamento nella legge 26 sulle zone interne. Purtroppo, a distanza di quasi vent’anni, quella promessa non ha avuto seguito, nonostante il tratto in questione fosse considerato “cuore della Nord-Sud”. Ascenzio Bruno. Nato a Nicosia il 6/09/1934, si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Catania e consegue la Specializzazione in Malattie Infettive all’Università di Messina, divenendo Primario ospedaliero ed essendo per molti anni Responsabile del Servizio di Igiene Pubblica presso l’USL di Nicosia. Iscritto al partito della Dc, nelle elezioni del 1975 si piazza al secondo posto degli eletti con 411 voti di preferenza, dopo Nenè Rizzo e Francesco Di Stefano (rispettivamente con 1988 e 442 voti). E’ stato rieletto al Consiglio comunale nel 1980 e nel 1985, ricoprendo più volte la carica di Assessore.
Istituto Magistrale Altro traguardo raggiunto durante la prima Amministrazione Casale fu la statizzazione dell’Istituto Magistrale, anche se il merito va attribuito a più amministrazioni, pur con contributi diversi e più o meno determinanti. Dedichiamo uno spazio a sé a questa importante realtà scolastica, per ciò che ha rappresentato (e rappresenta) per la comunità nicosiana in termini socioculturali, nonché economici. Ripercorriamo, molto rapidamente, la sua storia. Sorto nel 1967, come Istituto Magistrale privato, denominato “Don Bosco”, dietro iniziativa di un professore di Giarre - certo Giuseppe Papa, figura a metà fra l’affarista e la persona di cultura eclettica - l’Istituto, divenuto sin dall’anno scolastico successivo alla sua istituzione “legalmente riconosciuto”, consentì per oltre un decennio a centinaia di giovani, provenienti anche da Comuni limitrofi, di frequentare gli studi magistrali. Inutilmente, sin dall’alba degli anni Settanta, il Comune di Nicosia chiese la statizzazione dell’Istituto. La svolta arrivò nell’estate del ’79 quando, con provvedimento dell’Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione, veniva revocato il riconoscimento legale dell’Istituto13, decretando, in sostanza, la chiusura del Magistrale di Nicosia e il contemporaneo trasferimento di tutta la documentazione del “Don Bosco” al Magistrale Statale di Agira. Al che la professoressa Michela Turrisi, allora preside incaricata dell’Istituto, si adoperò, assieme ad altri, per “salvare” il Magistrale di Nicosia. Esperito inutilmente l’improbabile tentativo di una “retromarcia” a livello regionale e incassato il deciso “non possum” del senatore Rizzo, si puntò, anche perché non restava altro, alla via politica locale. Considerati il buon esito dell’operazione e, soprattutto, i tempi insolitamente brevi con cui è stata trattata a livello ministeriale, non possiamo certo escludere - anzi è ragionevole pensarlo - che siano state in tante le persone ad adoperarsi, attraverso interessamenti e pressioni ai diversi livelli del mondo politico, affinché il problema in questione venisse positivamente risolto. Ma, relativamente a tutto ciò ( purtroppo!) non disponiamo di informazioni certe, ma solo di indiscrezioni. Dovendo fondare la nostra ricostruzione dei fatti su dati attendibili, anzi documentati, e non sui “si dice”, possiamo senz’altro dare il dovuto merito all’Amministrazione comunale di allora (guidata dal neo-sindaco Agozzino, con la fattiva collaborazione dell’Assessore alla Pubblica Istruzione Ascenzio Bruno) di essersi attivata, tempestivamente e in modo risoluto, affinché l’Istituto continuasse a funzionare in sede.
13 Il decreto assessoriale regionale era il punto di arrivo di una lunga sequela di lettere anonime, di segnalazioni varie, di esposti, tesi a denunciare la pessima gestione dell’Istituto da parte del suo direttore Papa, una sorta di padre-padrone che intascava le tasse pagate dagli alunni e sfruttava, sostanzialmente, i docenti.
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Il Consiglio comunale, infatti, a fine settembre, ratificava la delibera della Giunta municipale relativa all’assunzione diretta della gestione dell’Istituto, consentendo così ai tanti studenti, non solo nicosiani, la continuità della frequenza. Parallelamente veniva chiesta al Ministro della P.I. la statizzazione dell’Istituto Magistrale e, in subordine, l’istituzione di una sezione staccata del Magistrale Statale di Agira. Nessuna delle due vie proposte, in realtà, venne accolta; infatti si optò a livello ministeriale ( con decreto giunto a dicembre) per una terza via: l’istituzione di una sezione staccata dell’Istituto Magistrale di Agira che prevedeva il funzionamento ad esaurimento della 2ª, 3ª e 4ª classe (anche se, di fatto, in quell’anno funzionò anche la 1ª classe, gestita dal Comune). La prospettiva, evidentemente, era la totale scomparsa a Nicosia dell’Istituto Magistrale con la conseguenza, per quanti avessero voluto frequentare tale ordine di studi, di doversi recare a Enna o ad Agira, con gli ovvî disagi che ciò avrebbe comportato. Anche la Giunta Messina, che nel luglio ’80 subentrava ad Agozzino, perseguì – va ricordato - con determinazione e successo, l’obiettivo di ottenere, innanzi tutto, l’istituzione di una sezione staccata di Istituto Magistrale, dipendente da quello di Agira, “in via permanente e definitiva”, con funzionamento, cioè, di tutte le classi. L’Amministrazione Casale, poi, facendo leva anche sulla notevole affluenza di alunni (nell’anno scolastico ’83-’84 erano state formate nella sezione staccata di Nicosia dieci classi, per una popolazione scolastica di 226 alunni) richiese l’autonomia per la sezione dell’Istituto Magistrale, istituita nel Comune di Nicosia, al Ministero della P.I. (delibera consiliare n. 275 del 16 dicembre ’83), deliberando altresì di assumere a carico del bilancio comunale i conseguenti oneri previsti dalla legge. Ed infatti il nuovo anno scolastico ’84-85 si apriva con una importante novità: l’ex “Don Bosco” aveva finalmente ottenuto dal Ministero della P. I. la tanto agognata autonomia. Ai primi del 1985 il Consiglio comunale, ratificando la relativa deliberazione della Giunta municipale, decideva (delib. n. 30 del 15 febbraio ’85) l’assunzione in locazione dei locali di “Magnana”, di proprietà della Provincia, dove furono trasferite (dall’edificio del vecchio Ospedale Basilotta) quasi tutte le classi. Era finalmente nato, a Nicosia, l’Istituto Magistrale statale.
La “danza di Sindaci”
Alberto Murè. Nato a Gangi il 26/09/1929, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Palermo nel 1955, ha conseguito più specializzazioni (Chirurgia generale, Anestesia/Rianimazione, Otorinolaringoiatria, Medicina legale e delle Assicurazioni) e l’idoneità a Primario di Chirurgia generale, Anestesia e ORL. Relatore in vari Congressi e Convegni, ha al suo attivo numerose pubblicazioni in riviste di categoria. E’ stato Primario chirurgo all’Ospedale di Nicosia con incarico di Direttore sanitario. Nelle elezioni amministrative del 1985, suo esordio in politica, è risultato il candidato più votato in assoluto, seguito dal democristiano Antonio Casale, con 902 voti. Impegnato nel sociale, è stato fondatore del quindicinale “Orizzonti” negli anni Ottanta, nonché Presidente e docente presso l’Università Popolare del tempo libero di Nicosia.
Nei giorni 12 e 13 Maggio dell’85 si svolsero le elezioni amministrative che, a fronte della non partecipazione del Partito Repubblicano, videro l’ingresso di una lista civica, denominata “Associazione autonoma lavoratori” (Aal), formata sostanzialmente da artigiani e commercianti e la riproposizione del Partito Socialdemocratico. Le liste, quindi, che concorsero a quella competizione elettorale furono sette, per un totale di circa duecento candidati. Registrarono una leggera flessione sia la Dc che il Pci, che dai rispettivi 16 e 4 consiglieri ottenuti nelle precedenti amministrazioni scesero a 14 e 3. Si rafforzò sensibilmente il Psi (2.358 voti contro i 1.824 delle elezioni precedenti) che portò i propri consiglieri da sei a otto.14 14
Merito di ciò, occorre dire, è sicuramente da attribuire, almeno in gran parte, ad Alberto Murè, capolista, che ottenne ben 1093 voti di preferenza, seguito da Picone con 520 voti.
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Il Progresso agricolo pur avendo ottenuto circa duecento voti in più rispetto alle precedenti elezioni restò con 4 consiglieri. La lista civica, con quasi mille voti, ottenne tre consiglieri. Nessun consigliere, invece, ottennero il Msi e il Psdi, avendo raggranellato, rispettivamente, solo 126 e 121 voti di lista. Il nuovo Consiglio Comunale15, pertanto, risultò così costituito:
Elezioni amministrative del 12/13 maggio ’85: gli eletti al Consiglio comunale.
1) Casale Antonio, medico
17) Monzu’ Rossello Armando, medico
2) La Blunda Rosario
18) Fiscella Giuseppe, docente
3) Composto Giovanni, geometra
19) Di Franco Michele, ragioniere
4) Granata Lorenzo, perito chimico
20) Calandra Sebastianella Pasquale
5) Ingarao Santa Rita, geometra
21) Catrini Luigi
6) Bruno Ascenzio, medico
22) Torre Sergio Luciano
7) Bruno Giorgio, medico
23) De Luca Francesco, veterinario
8) Gaita Francesco, geometra
24) Castrogiovanni Giuseppe, geometra
9) Agozzino Michele, geometra
25) Mancuso Prizzitano Giacomo
10) Battiato Valerio, farmacista
26) Cammarata Cammarata G.ppe, insegnante
11) Maiuzzo Michele, docente
27) La Via Piergiacomo16, avvocato
12) Proetto Antonino, geometra
28) La Porta Costantino
13) Cirino Antonina, ragioniere
29) Campione Luigi17, medico
14) Greco Angelo
30) Rizzo Mario, perito agrario
15) Murè Alberto, medico
31) Conti Amedeo
16) Picone Francesco, cancelliere
32) Riggio Francesco, geometra
In quanto all’elezione del Sindaco, prevista per il 28 maggio, ma rimandata al successivo 14 giugno, venne riconfermato, con i voti della Dc e del Pa18, l’uscente Antonio Casale, che, con lettera al Consiglio del 7 novembre, rassegnò le dimissioni. E i motivi, ovviamente, erano “improrogabili esigenze professionali” e “pressanti motivi di famiglia”. In merito, ci sembra che colga nel segno l’intervento di Campione quando afferma che “i motivi delle dimissioni non sono quelli strettamente personali contenuti nella lettera, ma sono di natura politica. Il cattivo funzionamento – proseguiva il consigliere comunista – dell’Amministrazione non sta nella persona del Sindaco, ma all’interno della Dc, lacerata da interessi personali e che, pertanto, hanno costretto il Sindaco a rassegnare le dimissioni”. E aggiunse: “E’ sintomatico che la maggioranza sia stata riunita per ben due ore prima dell’inizio della seduta per scegliere un Sindaco e che ancora non abbia le idee chiare perché lacerata e divisa da interessi contrastanti e di gruppi”. E non deve essere certo un caso che nella seduta del 18 novembre, accolte le dimissioni di Casale, il Consiglio abbia proceduto all’elezione di un nuovo Sindaco nella persona del medico Ascenzio Bruno, il quale, però, seduta stante
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Per la prima volta nella storia delle amministrative nicosiane due donne, Ingarao e Cirino, elette nella lista della Dc, occupavano gli scranni consiliari. Il loro contributo al dibattito politico-amministrativo non pare, a dire il vero, sia stato particolarmente significativo. 16 La Via, che avrebbe rivestito la carica di Sindaco ininterrottamente per quasi otto anni nel periodo 1993-2001, aveva esordito in politica, appena ventenne, nelle elezioni amministrative del 1980, passando, però, in quell’occasione, pressoché inosservato, sebbene già allora figura emergente fra i giovani comunisti nicosiani e dotato di brillanti abilità dialettiche. 17 Il consigliere Campione, in realtà, subentrò, quale primo dei non eletti della lista del Pci, al dimissionario Annibale Circasso, il quale optò per il Consiglio provinciale (organo in cui era stato pure eletto il socialista Ignazio Ugliarolo). 18 Componenti della Giunta venivano eletti: i democristiani Battiato, Ascenzio Bruno, Composto, Granata, Proetto e il “coltivatore diretto” Castrogiovanni.
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dichiarò di non poter accettare la carica “per i molteplici impegni di carattere professionale e famigliare”. Di fronte a un evento certamente insolito qual è quello di “un Sindaco che si dimette e di un altro che non accetta” (Campione), c’è chi, indignato, lamentò che quella sera era stata “recitata una squallida commedia” (La Via)19. Il 29 novembre Dc e Pa - respingendo la “provocazione” (così definita dalla Dc), pubblicamente manifestata anche tramite un volantino unitario dalle forze di opposizione (Pci, Psi e Pli20) che si proponevano come alternativa alla guida del paese - elessero Giovanni Composto,21 che avrebbe occupato la carica di Sindaco per circa un anno, fino al gennaio 1987, quando la carica sarebbe tornata a Casale per essere sostituito, dopo appena dieci mesi, ancora da Composto. Nella “ storica” seduta consiliare del 25 gennaio 1983 Messina, Sindaco uscente, “lieto di potersi finalmente riposare”, dichiarava che gli sarebbe dispiaciuto “ se in futuro ci sarebbe stata una danza di sindaci come per la passata legislatura”. Quello che voleva essere una sorta di scongiuro, si rivelò, di fatto, una profezia. Una profezia – aggiungiamo- che a Messina, “vittima” a sua volta della stessa logica di potere, non deve essere venuta particolarmente difficile. A conclusione di questa panoramica sui cinque anni compresi tra il 1985 e il 1990, ci permettiamo di fornire un dato: Composto nelle elezioni del maggio ’85 ottenne 530 voti di preferenza, risultando pertanto il consigliere più votato dopo Casale22. E’ un dato, riteniamo, che potrebbe tornare di qualche utilità, relativamente alla tormentata “danza” di sindaci, a chi si ostina a pensare che matematica e politica non devono essere, in fondo, così indifferenti l’una all’altra.
Un’amministrazione d’emergenza? Quando nel Novembre ’85 la maggioranza, formata dalla Dc e dal Pa, elesse Sindaco Composto, nessuno si fece illusioni che quell’incarico potesse durare per i successivi quattro anni di legislatura, neppure l’interessato (crediamo). Quella elezione, non condivisa dalla maggioranza, fu dettata, probabilmente, dalla volontà della Dc di zittire l’opposizione, la quale continuamente, dinnanzi all’inerzia e alla quasi paralisi amministrativa della maggioranza, prospettava e “offriva” la propria candidatura alla guida del paese. Che l’incarico conferito a Composto, poi, provocasse qualche mal di pancia nella stessa maggioranza lo si deduce da alcuni indizi. La sua elezione, innanzitutto, avvenne a seguito di un travagliato parto, passato finanche dalla elezione-farsa di Bruno, e non con i 18 voti con i quali era stato eletto Casale e lo stes-
Luigi Campione. Nato a Nicosia il 2/10/1950, ha conseguito nel 1974 la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Catania e la specializzazione in Ostetricia e Ginecologia nel 1978; attualmente è Primario ostetrico-ginecologo presso l’Ospedale Basilotta di Nicosia. Ancora giovanissimo, nel 1966 è entrato nel partito comunista ed è stato il fondatore della Federazione Giovanile Comunista italiana (FGCI), che ha intitolato “Gregorio Lambrate” in onore di un patriota greco vittima del regime dei colonnelli ed ha ricoperto la carica di segretario della sezione del Pci. Eletto consigliere comunale nella tornata elettorale del 1980 (in cui risultò 2° degli eletti con 285 voti di preferenza, preceduto dal capolista Boggio), fu riconfermato in quella del 1985.
19 Che quella di Bruno fosse ritenuta una elezione-farsa e che le sue immediate dimissioni apparissero davvero strane, tale da provocare la sdegnata affermazione di La Via, è valutazione che trova una sua giustificazione nel fatto che il medico democristiano era stato eletto con tutti i diciotto voti della maggioranza ( i quattordici Dc e i quattro di Pa: esattamente come Casale). Il che significa, o almeno una tale lettura è legittima, che il consigliere Bruno “Sindaco-dimissionario” è lo stesso che, cinque minuti prima, si era dato il voto come “candidato-Sindaco”. 20 Alle elezioni amministrative del maggio ’85 non aveva partecipato, in realtà, alcuna lista del Pli. Di fatto era successo che all’interno del Consiglio Amedeo Conti (eletto nella lista civica Aal assieme a Rizzo e a Riggio), fedele alle sue solide radici liberali, finì presto per dissociarsi dagli altri due consiglieri per marciare da solo unendosi spesso, come in questo caso, alle uniche due forze politiche d’opposizione. 21 Nella stessa seduta venne eletta la Giunta “monocolore” che, interamente rinnovata, risultava così composta: Michele Agozzino, Giorgio Bruno, Francesco Gaita, Rita Ingarao, Rosario La Blunda e Michele Maiuzzo. 22 Per la verità va registrato che più votato di Composto, anche se solo per uno scarto di 2 voti, era risultato Rosario (detto “Sarino”) La Blunda, noto pasticciere locale. Ma qui il discorso prenderebbe altri sentieri prestandosi a considerazioni che attengono più alla coscienza civile e alla sociologia che alla politica.
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so Bruno, ma con 17 (pur essendo presenti, naturalmente, ed avendo regolarmente votato tutti i 18 consiglieri della maggioranza)23. Strada facendo, a queste circostanze se ne aggiunsero altre: innanzitutto la Giunta fu messa in minoranza su una deliberazione del Consiglio relativa alla revoca di alcuni incarichi professionali24; inoltre molte sedute del Consiglio successivamente all’episodio della Giunta e per evidente segno di protesta andarono deserte (per le assenze di massa, naturalmente, soprattutto tra i banchi della maggioranza). A quel punto, forse, Composto pensò che sarebbe stato meglio togliere l’incomodo rassegnando le dimissioni. E, infatti, il 15 luglio ’86 venne convocato in seduta straordinaria il Consiglio, con all’odg, appunto, le “Dimissioni del Sindaco”. Nella lettera in cui questi rassegnava le proprie dimissioni, si leggeva che le stesse erano motivate “dal venir meno delle condizioni necessarie per una proficua attività amministrativa nell’interesse della collettività nicosiana”. In quell’occasione le dimissioni rassegnate sia dal Sindaco che dalla Giunta non furono accettate dal Consiglio. Il Sindaco, preso atto della deliberazione della maggioranza, ringraziò i consiglieri “per la rinnovata fiducia assumendo l’impegno dell’ Amministrazione per la soluzione dei problemi della cittadinanza ”. La macchina amministrativa, per così dire, sembrava rimettersi in moto, ma in realtà non avrebbe percorso molta strada. Già a distanza di pochi giorni, il 25 luglio, il Sindaco dichiarò sciolta la seduta del Consiglio comunale per la “non sussistenza del numero legale” (essendo assenti ben 9 consiglieri della maggioranza) . Al ritorno dalla pausa estiva le difficoltà - difficoltà della maggioranza nell’ affrontare e risolvere con incisività ed efficienza i vari problemi che aveva dinnanzi a sé - riemersero ben presto. E così a fine ottobre il Consiglio si ritrovò a deliberare sulle dimissioni della Giunta, che quella volta furono accettate, anche perché finalizzate a un suo allargamento ad altre forze politiche. Infatti all’intervento di Campione, il quale dichiarò che la Dc con le dimissioni della Giunta municipale si apprestava “ a pagare un debito di riconoscenza nei confronti di Progresso agricolo e Associazione commercianti”, fece seguito quello di Casale che ammise ufficialmente che le dimissioni di quella sera rappresentavano “un segno di onestà per un impegno precedentemente assunto nei riguardi di Progresso agricolo e Associazione commercianti”, aggiungendo, anzi, che a nome della Dc porgeva “un sentito ringraziamento” ai due assessori che avreb23
Considerato che i dodici voti andati a Campione erano quelli di Socialisti (8), Comunisti (3) e di Conti (su Rizzo, infatti, confluirono solo due voti ), l’unico voto andato a Gaita fu, verosimilmente, il voto di un franco tiratore della maggioranza. 24 Riassumiamo rapidamente la questione degli incarichi. Agli inizi del 1986 la Giunta conferiva diversi incarichi di progettazione (relativa a opere nel settore agricolo, in sostanza realizzazione di strade rurali) ad altrettanti liberi professionisti: gli ingegnieri Castrogiovanni, Lombardo, Vanadia, Lo Ciuro, Catania e i geometri Imbarrato, Cannizzo, Spinelli, Mancuso. Secondo l’opposizione, il conferimento di tali incarichi era avvenuto con “sistema mafioso” (La Porta), evincendosi chiaramente – è il giudizio dell’opposizione – che si era voluto “favorire amici, parenti, soci di lavoro di Amministratori e di Consiglieri comunali della Dc e del Pa”. Per tale ragione l’opposizione presentò nella seduta consiliare del 22 maggio ’86 una mozione (firmata dai consiglieri del Psi, Pci e Pli ) per la revoca di detti incarichi chiedendo al Consiglio di votare quella mozione. Secondo il Sindaco, però, l’argomento in questione non poteva essere votato sia in quanto era dubbio che il Consiglio avesse il potere di revocare atti deliberativi della Giunta, ma soprattutto perché non iscritto all’odg. Tesi, quella del Sindaco, confermata dal Segretario comunale, interpellato in merito. La questione sembrava giunta ad un punto morto allorché il consigliere Campione propose, per uscire dall’impasse, che la questione venisse formulata nel modo seguente: “Il Consiglio comunale chiede alla Giunta Municipale di revocare le delibere in argomento per i motivi elencati nell’ordine del giorno”. E così, dopo qualche residua resistenza del Sindaco, si procedette alla votazione, per scrutinio segreto; il cui risultato fu di 16 voti favorevoli all’approvazione della mozione e 13 contrari. Pertanto il Consiglio “invitava” la Giunta municipale a revocare “per i motivi esposti nell’ordine del giorno” gli atti deliberativi relativi al conferimento di detti incarichi professionali. Ma la Giunta, nella seduta del 16 giugno successivo, deliberava “di non aderire all’invito formulato dal Consiglio comunale”, determinando così un insolito corto circuito tra maggioranza consiliare e organo esecutivo.
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Cerimonia per la realizzazione della rete di metanizzazione. (Piazza Garibaldi, 2 febbraio 1986). Giovanni Composto - Sindaco da due mesi –accende la “prima fiammella”.
bero ceduto il posto”. Ma a guastare la festa alla maggioranza pensò l’opposizione, che in quell’occasione si mostrò davvero diabolica: dopo aver fatto votare – e aver votato essa stessa, ovviamente - le dimissioni della Giunta25, sollevò la questione della ineleggibilità del nuovo organo esecutivo, sulla base di una recente legge regionale ( L.r. 9/86, art. 33), la quale prevedeva la presentazione, prima, al Consiglio della lista degli assessori candidati, per poi procedere all’ elezione in successiva seduta da tenersi entro 8 giorni. Quella sera, quindi, la maggioranza, spiazzata e in qualche modo sbeffeggiata, dovette accettare che il Consiglio deliberasse “di rinviare ad altra data le elezioni della Giunta Municipale”. Ma alla successiva seduta, svoltasi il 13 novembre, il Consiglio si trovò all’odg le “Dimissioni del Sindaco”, rassegnate con lettera del 6 novembre. Alla fine di un lungo e, com’è immaginabile, vivace dibattito, fatto soprattutto di interventi dell’opposizione, il Consiglio deliberò (con 17 voti contrari e 13 favorevoli) di respingere le dimissioni. Questa volta, però, Composto, ringraziato il Consiglio 25
Fu l’unico caso, rileviamo, di deliberazione del Consiglio avvenuta all’ unanimità: 30 consiglieri presenti, 30 voti favorevoli all’ accettazione delle dimissioni.
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Festa per il completamento della rete di metanizzazione. Accanto al Sindaco Composto mons. Pio Vigo e l’on. D’Angelo.
“per l’ulteriore prova di fiducia concessa”, dichiarò con fermezza, anche se “con sommo dispiacere”, che non poteva “retrocedere dalla decisione già assunta”, in quanto si considerava “già dimissionario”. Su proposta dello stesso Sindaco (che ribadì – si badi - la sua volontà di “considerarsi dimissionario”) il Consiglio all’unanimità decise di rinviare la seduta per il giorno 25 novembre. In quella nuova convocazione (che si svolse in realtà il 28 novembre) le dimissioni del Sindaco, come d’incanto e con …grande stupore dell’ opposizione, erano sparite dall’ ordine del giorno, il quale prevedeva, invece, tutta una serie di importanti argomenti da trattare. I vari interventi dei consiglieri dell’ opposizione e le obiezioni sollevate concordavano su un fondamentale punto e cioè che, prima di passare alla trattazione di altri e pur urgenti argomenti, si sarebbe dovuto procedere all’ elezione del Sindaco e della Giunta. Inevitabile epilogo, questo, cui si sarebbe giunti nel gennaio successivo, con l’elezione a Sindaco di Antonio Casale. Ma qui fermiamo il racconto delle relative vicende per soffermarci ancora su qualche considerazione relativa all’amministrazione Composto. Che quella di Composto-Sindaco sia stata una figura sostanzialmente poco accetta (e quindi indebolita nella sua operatività), più che una tesi da dimostrare, crediamo sia un dato di fatto che emerge chiaramente dalle vicende che hanno caratterizzato la sua Amministrazione e che abbiamo cercato di raccontare. Le dimissioni di Composto appaiono, come rilevò Murè, “l’epilogo di una vicenda che si trascinava da tempo, anzi la conclusione di una crisi che si prolungava dall’indomani delle elezioni”. Pare, anzi, che l’Amministrazione Composto avesse, concordemente, il carattere della provvisorietà, in attesa di “trattative avviate dalla Dc con tutte le forze politiche per la formazione di una Giunta unitaria” (La Porta). Anche se, proseguiva il consigliere comunista, “ risultati in tal senso” non se ne erano visti26. 26 Le “trattative” in questione, cui faceva riferimento La Porta nel corso del dibattito in occasione delle prime dimissioni (15 luglio ’86) di Composto, furono confermate, successivamente, dallo stesso Casale che ne attribuì l’esito negativo a “un dispositivo della Segreteria Provinciale del Partito”, che imponeva “una certa linea politica nell’ambito della Provincia”.
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Che, poi, a peggiorare la debolezza del Sindaco Composto molto abbia contribuito l’opposizione non vi è dubbio. Crediamo di non esagerare dicendo che, forse, mai un Sindaco si era trovato a fronteggiare un’opposizione tanto agguerrita, oltre che compatta,27 come è successo a Composto. Un’opposizione che ha incalzato il Sindaco e la sua Giunta, sin dall’inizio del mandato, con un dinamismo, una partecipazione attiva al dibattito politico-amministrativo e, in definitiva, con una preparazione sugli argomenti di volta in volta oggetto delle sedute consiliari, che, se non ha costituito un unicum nella storia di Nicosia, riteniamo sia stato un fatto piuttosto insolito. Un’opposizione, aggiungiamo, che tenne sulla corda l’Amministrazione Composto denunciando regolarmente (o minacciando di denunciare) i comportamenti illeciti della stessa alle varie Autorità, compresa quella giudiziaria (sotto questo aspetto non è difficile individuare la regia, soprattutto, in La Via). Appare indubitabile, d’altra parte, che se questa “pressione” dall’esterno ebbe un effetto tanto destabilizzante sull’Amministrazione sino a provocare, per ben due volte, le dimissioni del Sindaco, le ragioni vanno cercate anche altrove; in quella, per esempio, che La Via indicava come “necessità di effettuare un assetto di potere all’interno del gruppo di maggioranza” o, più specificamente, nel fatto che il Sindaco - per usare ancora le parole del consigliere comunista - non ebbe “un partito politico dietro le spalle”, ma fu “uno strumento forse sbagliato dell’attuale classe dirigente della Dc”. Cosa dire, in conclusione, relativamente all’attività amministrativa vera e propria? Il giudizio dell’opposizione fu netto e concorde: a distanza di un anno, l’Amministrazione Composto rassegnava le dimissioni lasciandosi alle spalle un vuoto operativo disastroso, in quanto non aveva risolto un solo problema. Fu lo stesso interessato, a dire il vero, che nell’attribuire alla propria Amministrazione un qualche risultato in attivo (e si limitava a citare “l’avvenuta firma del decreto per la captazione delle sorgenti dell’acquedotto” e “l’interessamento per la realizzazione della circonvallazione”), riconobbe che era vero che “l’Amministrazione avrebbe potuto fare di più, tuttavia bisognava tener conto delle condizioni in cui era stata costretta a operare”. Non sappiamo se le parole di Composto si riferissero all’opposizione o piuttosto alla stessa maggioranza (o a entrambe), ma riteniamo che esprimano, comunque, una valutazione improntata a realismo e senso della misura.
La grande coalizione Nel pomeriggio del 9 gennaio 1987 si riunì il Consiglio, con la presidenza di Antonio Casale, quale consigliere anziano, per eleggere il successore di Composto, dimissionario da quasi due mesi. Si verificò un importante fatto nuovo: le due forze sociali, Pa e Aal, che avevano collaborato con la Dc, sostenendola con il loro appoggio esterno, dichiararono, per mezzo dei rispettivi capigruppo, di considerare chiuso il loro rapporto con la Dc, che veniva, per così dire, 27 Circa la compattezza se ne era già avuto un segnale proprio in occasione dell’elezione a Sindaco di Composto, allorché sul consigliere comunista Campione, come abbiamo ricordato, erano confluiti i dodici voti di Psi, Pci e Pli. Un’altra significativa occasione, fra le tante, in cui le tre forze politiche d’opposizione dettero prova di coesione fu quando la Dc, di fronte al perdurante stato di crisi, aveva proposto ai Socialisti il loro coinvolgimento nell’Amministrazione, ricevendone un secco “no”. (Il rifiuto del Psi di collaborare con la Dc è tanto più significativo se si considera che a livello nazionale, a quell’epoca, i due partiti costituivano ancora, seppure in un’alleanza conflittuale, l’asse del governo di pentapartito).
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Pino Fiscella nasce a Nicosia il 15/03/1949 e, dopo aver conseguito la Laurea in Chimica Industriale presso l’Università di Catania nel 1973, inizia ben presto l’attività d’insegnamento. Preside dal 1996, dirige attualmente l’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri di Nicosia. Attivista politico sin dalla giovane età e candidato nella lista del Psi, entra per la prima volta al Consiglio comunale nel 1980; rieletto nelle elezioni del 1985 e del 1990, è stato più volte Vicesindaco e Assessore. Consigliere provinciale, a seguito delle due tornate elettorali del 1994 e del 1998, rispettivamente nelle liste dei “Progressisti” e in quella dei Ds, dal giugno 2007 è Assessore provinciale allo “Sport e politiche giovanili”. Dalla fine degli anni Novanta ad oggi ( con una interruzione di qualche anno) è Presidente della “Società Multiservizi”di Enna.
“sfiduciata”, non approvandone la “linea di condotta” tenuta nel corso degli ultimi mesi. De Luca, manifestando “disponibilità ad intraprendere iniziative di qualsiasi tipo con tutti i gruppi rappresentati in Consiglio”, ritenne che occorresse dare al paese “un governo di salute pubblica, anche di alternanza”. Sulla stessa posizione fu Mario Rizzo, di Aal, il quale dichiarò che il suo gruppo, considerato il perdurare delle difficoltà all’interno della Dc per risolvere la crisi, a datare da quella sera si riteneva “disponibile a qualsiasi soluzione” affinché venisse data al paese “un’Amministrazione valida e duratura”. Questa “svolta”, operata dalle due forze alleate della Dc, fu accolta con ovvia soddisfazione da parte di tutte le forze politiche presenti in Consiglio, che però non mancarono di puntualizzare come il “pentimento manifestato dai gruppi di Pa e Aal” (Conti), la loro “insolita presa di posizione” (Campione), fossero “arrivate con ritardo, in quanto l’alternativa era stata già proposta tempo addietro dalle forze di opposizione” e fosse da imputare ai due gruppi “la responsabilità nel non aver voluto accettare allora la proposta fatta dalle forze del Psi, Pci e Pli “(Muré). Fiscella, capogruppo del Psi, dichiarò la disponibilità del suo Partito ad accettare l’invito dei due gruppi ad un incontro “per tentare di dare una soluzione della crisi e una valida amministrazione al Paese” e aggiunse che il Psi non si poneva “ alcuna pregiudiziale, dichiarandosi favorevole alla formazione di una Giunta di emergenza anche con la partecipazione della Dc”. Preso atto del nuovo orientamento di Pa e Aal e della necessità, quindi, di trovare un accordo tra le varie forze politiche, emersero in Consiglio due proposte: votare per l’elezione del Sindaco quella stessa sera oppure autoconvocare il Consiglio una settimana dopo, onde consentire un accordo tra i partiti. Poiché la prima proposta era sostenuta dalla Dc e dai gruppi del Psi, Pci e Pli, si procedette seduta stante all’elezione del Sindaco. Il candidato ufficiale della Dc, Casale, ottenne undici voti (che era il numero dei consiglieri Dc presenti); undici voti riportò anche La Porta; sei De Luca; uno Fiscella. Non avendo alcun candidato ottenuta la maggioranza assoluta dei voti, si procedette ad una seconda votazione, che confermò esattamente il risultato precedente. La Presidenza invitò, pertanto, il Consiglio a procedere ad una votazione di ballottaggio tra i due candidati (Casale e La Porta ) che avevano ottenuto il maggior numero di voti. Visto che anche la terza votazione confermò l’identico risultato delle due precedenti, la Presidenza dichiarò sciolta la seduta, rinviando l’elezione ad altra adunanza, che si tenne il successivo 17 gennaio. Nella settimana che precedette quell’appuntamento tutti e sei i partiti presenti in Consiglio raggiunsero un accordo per la formazione di una “Amministrazione di programma”, cui anche la Dc – obtorto collo – accettò di far parte, visto che inutilmente nei mesi trascorsi aveva tentato di “ricercare altre formule più aderenti al quadro politico regionale e nazionale” (Battiato). Tutti i partiti, quindi, avrebbero avuto un proprio rappresentante in Giunta e per il primo anno – come prevedeva l’accordo – si sarebbe avuto un Sindaco della Dc. Nella seduta del 17 gennaio, Giorgio Bruno, dopo aver sottolineato come quella sera rappresentasse “un momento storico per la vita politica di Nicosia”, rese pubblico che la scelta effettuata dal suo partito circa l’uomo che avrebbe occupato la carica di primo cittadino era caduta su Antonio Casale, al quale augurava l’elezione a Sindaco “con l’unanimità dei voti”. In realtà, quella sera, dei trenta consiglieri presenti (erano assenti Picone del Psi, e Mancuso di Pa) solo 27 154
diedero il loro voto a Casale. Dei tre “ribelli” uno aveva votato scheda bianca, un altro Catrini e il terzo Rizzo. Giusto una settimana dopo, il Consiglio elesse - secondo le modalità specificate dalla nuova normativa28 - i componenti della Giunta che avrebbero collaborato con Casale in quell’inedita formula di “esapartito”. Dei 28 consiglieri presenti (erano assenti Battiato, Picone e Riggio) votarono “SI” in 22; quattro consiglieri espressero voto negativo, due votarono scheda bianca. A completamento d’informazione aggiungiamo che, quella sera, al momento di votare per l’immediata esecutività della deliberazione del Consiglio relativa Bruno dr. Giorgio
(Igiene e sanità; Assistenza e beneficienza; Problemi del tempo libero; P.I.)
Conti Amedeo
(Sport, turismo e spettacolo; Ambiente ed ecologia)
De Luca dr. Francesco
(Agricoltura e foreste; Sviluppo economico e cooperazione)
Fiscella prof. Giuseppe (Lavori pubblici) La Porta Costantino
(Servizi tecnologici)29
Rizzo p.a. Mario
(Commercio e artigianato; polizia urbana)
Composizione della “Giunta di programma” (24 gennaio - 30 novembre 1987).
alla lista degli Assessori30, il consigliere Granata dichiarò di astenersi dalla votazione, mentre Gaita e Composto si allontanarono. Non sappiamo dei primi due, ma Composto deve aver abbandonato l’Aula di umore molto nero e, comprensibilmente, profondamente irritato. Egli, infatti, a conclusione del dibattito sul programma della nuova Amministrazione che si apprestava a governare il paese (dibattito svoltosi in un generale clima di festa e durante il quale non una parola era stata spesa sull’Amministrazione uscente, se non per sottolinearne “incapacità” e “inettitudine”), fece un intervento piuttosto risentito. Lamentò, innanzitutto, che durante la sua Amministrazione l’opposizione aveva messo in moto sistematicamente la “macchina della giustizia”, creando in Consiglio un clima di lotta continua che aveva reso tutto più difficile, ma che, nonostante ciò, qualcosa era stata realizzata. E , in merito, ricordò: il “finanziamento dell’acquedotto per un importo di 2 miliardi e 500 milioni di lire; il finanziamento dell’acquedotto esterno ed interno, nonché della fognatura della Frazione di Villadoro; l’ adesione della Cassa Depositi e Prestiti per la costruzione di loculi del cimitero di Nicosia e Villadoro; l’avvenuta emissione dei decreti di finanziamento delle opere i cui incarichi di progettazione erano stati contestati”. A questo punto intervenne Casale che - dopo aver dato atto all’ex Sindaco come in effetti fosse vero che ci si sarebbe potuti avvalere “di progetti e di pro-
28 Come stabilito dalla citata L.r. 9/86, art. 33, l’elezione della Giunta prevedeva un’unica votazione a scrutinio segreto mediante l’apposizione di un SI o un NO sulla scheda recante a stampa la lista degli assessori: il SI espresso a maggioranza assoluta dei votanti implicava l’accettazione della lista, il NO esprimeva la volontà di rifiutarla. 29 La delega a La Porta raggruppava vari servizi (dalla Nettezza urbana alle Fognature, alla Viabilità, al Trasporto urbano, alla manutenzione di ville e giardini, ai servizi cimiteriali), ma quello cui l’assessore comunista dedicò anima e corpo fu il Servizio idrico. Raccontano che si aggirasse per il paese, anche di notte, lungo le condutture, alla ricerca di eventuali perdite d’acqua. Durante il suo incarico di assessore avanzò anche concrete proposte per risolvere la cronica carenza d’acqua che affliggeva Nicosia. Fu promotore, innanzitutto del conferimento di un progetto finalizzato ad accrescere la disponibilità idrica attraverso opportune opere di captazione di sorgenti delle nostre montagne e propose, inoltre, di incaricare una ditta di Milano, specializzata nella ricerca elettronica delle perdite sotterranee di acqua potabile, perché ispezionasse tutta la condotta idrica interna all’abitato. 30 Lista degli Assessori che fu integrata con l’attribuzione al consigliere Giuseppe Cammarata (del Pa) della delega per i servizi di stato civile, nella frazione di Villadoro.
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grammi della vecchia Amministrazione” - ricordò altresì come i lavori della precedente Giunta venissero bloccati dalla situazione esistente in Consiglio e non fossero da imputare ad “incapacità o inettitudine degli uomini”. E concludeva affermando che da quel momento in poi si sarebbe avuta, viceversa, “una responsabilità di tutti”, in quanto tutte le forze politiche erano coinvolte. E così, tra qualche polemica e molte speranze, la “Giunta unitaria di emergenza” (secondo una delle definizioni allora ricorrente per indicare la nuova formula di maggioranza) iniziava il suo cammino.
La breve stagione dell’ “esapartito”: bilancio L’idillio tra le forze di quella che abbiamo definito “la grande coalizione”, di fatto una sorta di inedito esapartito, fu decisamente breve se si considera che già al rientro dalla pausa estiva, Casale, con lettera del 12 settembre, presentava le proprie dimissioni dalla carica di Sindaco, accompagnate da quelle di quattro assessori comunali, precisamente Bruno (Dc), De Luca (Pa), Fiscella (Psi) e Rizzo (Aal). Dimissioni che furono portate all’ordine del giorno del Consiglio comunale nella seduta del 23 settembre ’87. Assenti gli otto consiglieri socialisti, le dimissioni del Sindaco e degli Assessori furono deliberate col voto contrario dei due consiglieri comunisti presenti (La Via e La Porta) e di Conti. E così, dopo appena otto mesi, l’esperimento della “Giunta unitaria” o “Amministrazione di programma” era finito. Va comunque dato atto che nei suoi pochi mesi di vita la grande coalizione sbloccò, in seno al Consiglio comunale, un nutrito carnet di provvedimenti, in gran parte deliberati – è giusto e doveroso sottolinearlo – dalla Giunta della precedente Amministrazione, ma non ratificati dal Consiglio nei termini. Ciò a riprova che la precedente Amministrazione – guidata dal Sindaco Composto – si trovava a operare, effettivamente, in una sorta di stallo e di vera e propria paralisi amministrativa, dovuti soprattutto alla contrapposizione esistente in Consiglio comunale tra maggioranza e opposizione. Tra i tanti provvedimenti deliberati dal Consiglio nel corso della breve stagione dell’esapartito ci limitiamo a segnalare i più importanti: – Indizione licitazione privata per la realizzazione di interventi nel settore agricolo per un importo di oltre 300 milioni di lire (delib. consiliare n. 14 del 30/01/1987); – Richiesta all’Assessorato Regionale Beni Culturali e Ambientali e della P.I. per l’istituzione di una sezione di scuola materna statale in località S. Elena e di una in via Nazionale (delib. consiliare n. 66 del 30/01/1987); – Approvazione terza perizia di variante e suppletiva – redatta dall’ing. Franco Barberi da Palermo – relativa ai lavori di costruzione dell’impianto di depurazione delle acque reflue dell’abitato di Nicosia, per un importo complessivo di circa un miliardo e mezzo di lire (delib. consiliare n. 72 del 30/01/1987)31; – Assunzione con la Cassa depositi e prestiti di un mutuo di 430 milioni di lire per esecuzione lavori di costruzione di n. 436 loculi nel cimitero di Nicosia (delib. consiliare n. 85 del 17/02/1987); 31 L’esecuzione dei maggiori lavori in variante (per un importo di circa 400 milioni di lire) fu affidata alla medesima impresa nissena “Ricottone Giuseppe”, cui venivano concessi cinque mesi di proroga per l’ultimazione dei lavori.
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– Assunzione con la Cassa depositi e prestiti di un mutuo di 70 milioni di lire per lavori di costruzione di n. 88 loculi nel cimitero di Villadoro (delib. consiliare n. 86 del 17/02/1987); – Indizione licitazione privata per appalto lavori relativi alla ricostruzione della condotta adduttrice e dei serbatoi dell’acquedotto esterno della Frazione di Villadoro, importo complessivo 268 milioni di lire (delib. consiliare n.89 del 17/02/1987); – Indizione licitazione privata per appalto lavori costruzione strada rurale “Roccascino – Canale”, primo lotto, per un importo di 1 miliardo di lire (delib. consiliare n. 106 del 17/02/1987); – Indizione licitazione privata per appalto lavori di trasformazione in rotabile di un tratto della regia trazzera delle Montagne e dei Santi Quaranta, primo lotto, per un importo di 746 milioni di lire (delib. consiliare n. 107 del 17/02/1987); – Indizione licitazione privata per appalto lavori di costruzione strada rurale “Case popolari c/da Stanziazze – Portella Pero – Giumenteria”, primo lotto32; importo di 1 miliardo di lire (delib. consiliare n.108 del 17/02/1987); – Richiesta a ditte specializzate (compresa l’aeronautica militare, come da proposta del consigliere La Porta) di preventivo di spesa per l’esecuzione di aerofotogrammetria del territorio, da servire per la realizzazione del Piano Regolatore Generale (delib. consiliare n. 159 del 31/03/1987); – Individuazione in c/da “S. Pietro Martire” (Crociate) dell’ area per la costruzione di numero 20 alloggi popolari, per un importo di 1 miliardo e 200 milioni di lire. Con questa ultima importante delibera (n. 239 del 30/06/1987), il Consiglio comunale sbloccava, finalmente, una pratica che si trascinava da oltre tre anni.33
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Giova ricordare, giusto per dare l’idea della rilevanza economico–sociale di tali provvedimenti, che l’importo complessivo dei tre progetti generali (approvati dalla precedente Giunta municipale con delibere del 9 agosto ’86 ), relativi alla costruzione di strade rurali e redatti, rispettivamente, dall’ing. Nicolò Vanadia (congiuntamente al geom. Michele Spinelli), dall’ing. Salvatore Castrogiovanni, dall’ing. Calogero Lo Ciuro (congiuntamente al geom. Giuseppe Mancuso Prizzitano), ammontava alla ragguardevole cifra di 6 miliardi e 470 milioni di lire. 33 Per la curiosità del lettore ricostruiamo, in un rapido excursus, le principali tappe della questione di cui abbiamo visto sopra la sua positiva conclusione. Nell’aprile del 1984 l’Assessorato Regionale LL.PP. comunicava che in sede di ripartizione dei fondi per l’edilizia sovvenzionata era stato localizzato nel Comune di Nicosia un programma costruttivo di n. 20 alloggi popolari (per l’importo prima ricordato) da realizzarsi a cura dell’Istituto autonomo case popolari (Iacp) di Enna. A tal fine occorreva individuare l’area su cui realizzare gli alloggi. Già nel mese successivo, il Consiglio comunale deliberava all’unanimità (delib. n. 75 del 21/05/1984) di individuare tale area – così come indicato dall’U.T.C. – in località Sacramento. Ma nel marzo del 1986, quindi a distanza di quasi due anni, il Consiglio – nel frattempo passato alla presidenza del Sindaco Composto- veniva chiamato a convalidare un provvedimento della G.M. che, sulla base di una nuova relazione geologica, individuava l’area su cui costruire i 20 alloggi in località Panotto, con conseguente richiesta di revoca della delib. C.C. n. 75/84. Tra gli interventi contrari a detta revoca, segnaliamo quella del consigliere Fiscella che mosse delle riserve sulla nuova individuazione del lotto interessato all’intervento edilizio dell’ Iacp, evidenziando “la stranezza, che il terreno vicino al lotto originariamente individuato fosse geologicamente migliore”. Un altro intervento polemico fu quello del consigliere Campione, il quale da persona che notoriamente non ama i giri di parole, probabilmente esplicitò le “riserve” di Fiscella dichiarando: “E’ chiaro che i proprietari si sono interessati perché non fossero scelti i loto terreni”. Ma, pur condividendo le perplessità del consigliere socialista, Campione era dell’avviso che, se non si fosse provveduto alla revoca della delibera, si sarebbe corso il rischio di perdere il finanziamento. E così, alla fine, il Consiglio deliberò di convalidare il provvedimento della Giunta, con 6 voti contrari (verosimilmente i 6 socialisti presenti; erano assenti Murè e Monzù). Ma la questione della localizzazione del piano costruttivo dei venti alloggi non era ancora chiusa. Nell’aprile del 1987, infatti, l’Iacp di Enna comunicava che l’indagine geologica, eseguita anche nella seconda area destinata per la realizzazione del programma costruttivo, aveva dato risultasti “tali da sconsigliare per motivi economici la realizzazione dell’intervento” e invitava, quindi, l’Amministrazione a localizzare altra area idonea. Il 30 giugno successivo il Consiglio deliberava all’unanimità di individuare l’area di costruzione nel lotto insistente nel piano di zona di c/da S. Pietro Martire (come da nota dell’U.T.C. del 28/05/1987, con cui veniva segnalato il lotto in questione).
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Giovanni Composto. Nato a Nicosia il 23.06.1937, ha conseguito il Diploma di Geometra ad Enna nel 1958. Ancor giovane ha aderito, nel 1960, alla Dc e all’interno del partito è stato più volte componente del Direttivo. Dal 1975 al 1982 è stato membro del Consiglio di amministrazione dell’Ospedale Basilotta. Entrato in Consiglio comunale con le elezioni amministrative del giugno 1980 e riconfermato in quelle del 1985, è stato eletto – nel corso di quest’ultima legislatura – tre volte Sindaco. Dal maggio 1998 è stato Consigliere provinciale, con l’incarico di Assessore alla Pubblica istruzione e all’Edilizia scolastica sia nella prima legislatura (1998-2003) che nella seconda (2003-2008).
Peccato, verrebbe da dire, che quella felice stagione sia stata di vita tanto breve. In quanto alla legittima domanda circa i motivi del suo rapido epilogo, le tradizionali forze politiche di opposizione ne addebitarono la responsabilità alla Dc: vuoi per la sua smania di “riaffermare l’egemonia all’interno del Consiglio comunale” (Pci), vuoi perché le avrebbe “dato fastidio la linea di condotta trasparente adottata dall’Amministrazione di programma” (Conti). Dal punto di vista della Dc, la responsabilità della caduta di quella inedita formula politica sarebbe, invece, “da attribuire a tutti i partiti che non hanno dato il giusto supporto alla stessa” (Proetto). La spiegazione più veritiera, probabilmente, è quella dataci molti anni dopo, in un’amichevole conversazione, da uno dei protagonisti di quella stagione: “Venuta meno l’opposizione esterna si era ben presto sostituita ad essa quella interna alla coalizione e ai partiti, ancor più subdola e corrosiva perché fatta di intrighi e accordi trasversali”.
L’opposizione dissotterra l’ascia di guerra Anche se il 23 settembre 1987, come abbiamo già ricordato, il Consiglio comunale aveva regolarmente deliberato di accogliere le dimissioni rassegnate dal Sindaco Casale e da quattro dei sei assessori della sua Giunta, l’elezione del nuovo Sindaco fu portata all’ordine del giorno del Consiglio solo il 13 novembre successivo, per essere ancora differita a giorno 23. In realtà il Consiglio, in seduta straordinaria, fu convocato per l’elezione del Sindaco il 25 novembre, data in cui fu eletto Composto. Motivo di tanto temporeggiamento fu anche il tentativo di coinvolgere il Psi nella maggioranza. Tentativo che, però, risultò alla fine vano34. E così la nuova Giunta ( eletta il 30 novembre) fu formata dalla Dc sostenuta, ancora una volta, da Pa e Aal, partiti che ebbero, rispettivamente, tre assessori (Michele Agozzino, Valerio Battiato e Giorgio Bruno), due (Francesco De Luca e Antonino Proetto) e uno (Mario Rizzo). Tornati al ruolo di opposizione, ripresero a “dare filo da torcere” alla maggioranza i partiti Psi, Pci e Pli, che furono accusati di sollevare questioni pretestuose per puro ostruzionismo; l’opposizione, invece, si difese sostenendo che si era attenuta semplicemente a un comportamento improntato al rispetto della legalità, alla trasparenza e alla legittimità degli atti. E se il fine giustifica i mezzi, perché non brandire, all’occasione, l’arma del ricorso all’Autorità giudiziaria? O, addirittura, - come auspicava Conti – perché non fare assistere un magistrato “allo svolgimento delle sedute comunali, per poter accertare con quale leggerezza, mancanza di cognizione e assoluta disconoscenza dei problemi posti all’ordine del giorno” era esercitato il diritto di voto dai consiglieri di maggioranza? 35
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Di ciò si dolse pubblicamente il neo-sindaco Composto in occasione dell’esposizione del programma della nascente Amministrazione: “Un discorso a parte - egli disse - riteniamo debba essere fatto al Psi. Sinceramente rammaricati per il suo mancato ingresso nella coalizione amministrativa … diciamo, sin da ora, che per quanto ci riguarda il dialogo con questo partito non è chiuso, anzi speriamo possa presto riaprirsi e portare al risultato che fino ad oggi non è stato possibile”. 35 Sottolineiamo che l’intervento di Amedeo Conti si inscrive nella seduta consiliare del 19 luglio 1988, in cui era all’ordine del giorno la trattazione del “Programma di utilizzo delle somme assegnate per l’anno 1988”. In quel suo intervento il consigliere liberale denunciava anche come fosse impossibile “conoscere i problemi trattati dormendo sui divani della stanza del Sindaco e della sala giunta”. Occorre precisare, per capire il contesto, che erano quasi le 6 del mattino (del 20 luglio) quando Conti fece quel suo intervento.
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Al di là di qualche indubbio “eccesso di zelo”, va dato comunque atto ai maggiori esponenti delle forze di opposizione di essere ben documentati sui problemi trattati in Consiglio, sicuramente meglio di molti consiglieri della maggioranza.
Azienda speciale silvo pastorale: il caso “incarichi” Uno dei primi bersagli contro cui i gruppi politici consiliari del Psi, Pci e Pli condussero una serrata battaglia in Consiglio comunale fu una questione in realtà non da poco, relativa al conferimento di incarichi professionali da parte del presidente dell’Assp, Costantino Angilello, per un importo di circa 9 miliardi di lire. La questione fu sollevata da Murè nel corso del Consiglio comunale del 13 novembre ’87. Il consigliere socialista denunciò, in merito, “gravi irregolarità”, invocando “il rispetto della legalità, della giustizia e della dignità morale”. Fiscella, comprensibilmente indignato per l’agonia (se non la morte dichiarata) in cui versava l’esperimento della “Giunta unitaria”, rincarò la dose rilevando “l’assurdità del fatto che mentre da un lato la Dc non aveva permesso a questa Giunta di poter conferire incarichi, dall’altra si permetteva a un presidente dell’Assp dimissionario da anni36 di poter conferire incarichi a proprio piacimento per la somma di 9 miliardi e mezzo di lire, senza investire il Consiglio comunale sull’argomento”. A seguito di una lettera-esposto del 5 dicembre - inviata al Consiglio a firma dei capigruppo consiliari del Psi, Pci e Pli37 - la questione degli incarichi venne portata il successivo 19 dicembre all’ordine del giorno del Consiglio comunale. Murè chiese che il Consiglio votasse per “dichiarare illegittima la determinazione presidenziale dell’Assp del 24 ottobre 1987 relativamente al conferimento degli incarichi per presunti miglioramenti” e richiamò l’esistenza di apposita delibera consiliare del 1959 in cui veniva espressamente stabilito che “il Consiglio comunale esercita il controllo sugli atti dell’Assp”. Dopo Murè intervenne il consigliere liberale Conti, il quale, “onde evitare – egli precisò - ogni sua personale responsabilità di carattere penale e civile”, rinnovò l’invito al Sindaco e al Consiglio di “voler procedere alla revoca della delibera presidenziale della Assp”. Con l’intervento di La Porta il clima si surriscaldò e il linguaggio si colorì: infatti il consigliere comunista sostenne che l’atto del presidente dell’Assp, oltre che illegittimo e illegale era “un atto di stampo prettamente mafioso, considerando la questione della cosa pubblica come proprietà privata. Atto inammissibile anche dal punto di vista politico, non essendo stato investito dell’argomento il Consiglio, il quale avrebbe dovuto determinare i criteri di programmazione dell’Azienda e non vederli determinare con un atto monocratico”. La Porta, valutando “la determinazione del presidente dell’Assp un atto arrogante con totale disprezzo delle regole democratiche e delle leggi che regolano la civile convivenza”, osservò che “ l’Assp non è proprietà privata di nessuno, ma è un bene demaniale della collettività nicosiana e quindi soggetto al controllo del Consiglio comunale” e concluse invitando “tutti i consiglieri a revocare l’atto in questione perché illegittimo, illegale e inopportuno sotto il profilo etico”. 36
Amedeo Conti. Nato a Nicosia il 30.08.1953, è entrato ben presto nella “Gioventù liberale italiana”, sezione giovanile del Partito liberale, in cui ha rivestito vari incarichi: Vicesegretario provinciale, Delegato al Congresso nazionale, e - nella seconda metà degli anni Ottanta - Consigliere nazionale. Nel 1974 si è impegnato attivamente nella battaglia referendaria pro-divorzio, durante la quale ha partecipato a comizi congiunti Pli- Psi, in aperto contrasto con l’orientamento antisocialista della base conservatrice del partito. Eletto Consigliere comunale nel 1985 nella lista civica della “Associazione Lavoratori Autonomi”, nel 1994 è stato candidato al Consiglio provinciale nel partito “Forza Italia”.
Angilello, infatti, era dimissionario dalla carica di presidente dell’Assp sin dal 1983, mentre dall’anno successivo era dimissionaria l’intera Commissione amministratrice. 37 Va detto, a onor del vero, che il consigliere liberale, allergico – per indole e formazione – a ogni forma di “intruppamento”, pur senza dissociarsi dal gruppo di opposizione, mostrò uno spirito battagliero, per così dire, molto distaccato rispetto alle questioni qui di seguito esposte, riconoscendone il carattere in gran parte strumentale.
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Lorenzo Granata. Nato a Nicosia il 31.05.1950, consegue nel 1970 a Catania il Diploma di Perito chimico industriale. Lavora per oltre vent’anni presso il CO.RE.CO. e presso l’Azienda Foreste Demaniali di Enna, ed attualmente è in servizio presso il Dipartimento Regionale di Protezione Civile con la qualifica di funzionario direttivo. Entrato in politica, viene eletto Consigliere comunale nella lista della Dc nel 1975 e riconfermato nelle successive tornate elettorali fino al 1990, rivestendo la funzione di capogruppo consiliare e la carica di Assessore al Bilancio e Commercio. Dal 1990 ad oggi è Consigliere Provinciale di Enna, eletto nella lista della Dc, poi in quella di Alleanza Nazionale (dal 1994) ed ha rivestito per brevi periodi la carica di Assessore Provinciale ai Lavori Pubblici, ai Trasporti e al Turismo e Spettacolo. Nel 2006 aderisce all’Udc, partito di cui attualmente è capogruppo provinciale. Ha ricoperto anche la carica di Commissario ad acta per la gestione integrata dei rifiuti presso diversi Comuni della provincia, tra cui Nicosia.
Il gruppo consiliare della Dc pur non intenzionato a difendere il presidente Angilello, da cui, in qualche modo, prese anzi le distanze,38 volle però evitare di sconfessare con un formale pubblico voto il suo operato. E così puntò a guadagnare tempo, chiedendo il parere all’Ufficio legale della Presidenza della Regione e all’Assessorato EE. LL. circa la competenza o meno del Consiglio comunale ad esercitare il proprio controllo sugli atti dell’Assp. A tale linea, proposta dal capogruppo Granata, si opposero fermamente le forze di opposizione che puntarono invece a un voto del Consiglio teso a dichiarare illegittimo il provvedimento del presidente dell’Assp. Alla fine, però, la presidenza mise ai voti la proposta di Granata che venne deliberata con undici voti favorevoli a fronte di otto contrari. Il consigliere La Porta, a nome del Pci, chiese che gli atti della seduta inerenti l’argomento “Incarichi” venissero inviati al Prefetto e alle Procure della Repubblica di Nicosia e Caltanissetta. La proposta dell’opposizione, formulata da Murè (ovvero la richiesta al Consiglio di votare sulla illegittimità del provvedimento), venne trattata in un successivo Consiglio comunale, il cui dibattito costituisce un esempio da manuale di quella cattiva politica fatta di cavilli procedurali, di furbizie tattiche e di logica sofistica. Ci limitiamo a registrare che la proposta Murè passò con dieci voti favorevoli, a fronte di tredici astenuti ed uno contrario. Ma quando, subito dopo, si votò, su proposta di La Via, perché il Consiglio dichiarasse “immediatamente esecutivo il superiore provvedimento sulla illegittimità della determinazione del presidente dell’Assp”, il risultato fu che i tredici consiglieri precedentemente astenutisi espressero voto contrario, sicché il risultato della votazione fu di quattordici contrari e dieci favorevoli. A quel punto votare, come l’ordine del giorno prevedeva, su quello che costituiva, in fondo, il vero argomento del contendere (revoca degli incarichi di progettazione conferiti a vari professionisti: ingegneri, architetti, geometri) diventava per l’opposizione un sicuro boomerang. Pertanto non le restava che aggrapparsi alla prima votazione e sostenere la tesi, espressa da Murè, secondo cui la votazione per la revoca fosse inutile poiché la dichiarazione dell’illegittimità dell’atto annullava qualsiasi atto successivo. Granata sottolineò che da quanto affermato dal dott. Murè si evinceva che i tre gruppi Psi, Pci e Pli non intendevano più votare sulla proposta di revoca. Resosi conto del vicolo cieco in cui si era cacciata l’opposizione, La Via prese la parola per comunicare che i tre gruppi Psi, Pci e Pli avrebbero partecipato alla votazione, anche se “per un fatto meramente formale”. Procedutosi alla votazione, il risultato (prevedibile!) fu di dieci favorevoli alla revoca e quattordici contrari. A disinnescare la mina “incarichi” con relativa scia di irregolarità, pensò la stessa Commissione amministratrice dell’Assp (d’intesa, ovviamente, con la maggioranza). Nella stessa seduta consiliare del 9 gennaio 1988, infatti, al punto terzo dell’ordine del giorno risultava inserito l’argomento “Dimissioni Commissione Assp”. Le dimissioni dalle loro rispettive cariche39, presentate dai componenti della Commissione ( Presidente compreso) furono messe ai voti e accettate dal Consiglio comunale con ventidue voti favorevoli e uno solo contrario. In apertura di discussione su quest’ultimo argomento Murè, unico consiglie-
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La posizione ufficiale della Dc è che il partito “non ha saputo nulla nella questione degli incarichi” (Granata) e che comunque “non intende coprire nessuno e vuole che tutto venga fatto nel rispetto della legge” (Proetto). 39 La Commissione amministratrice dell’Assp dimissionaria era costituita, oltre che dal presidente Costantino Angilello, dai seguenti componenti: Ferro Vincenzo, De Luca Domenico, Lo Grasso Giuseppe e Ugliarolo Ignazio Giuseppe.
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re che chiese la parola, in considerazione del fatto che le dimissioni del Presidente e dei componenti risalivano, rispettivamente, al 1983 e al 1984 chiese di “sapere se a decorrere da tale data erano stati adottati da parte dell’Assp dei provvedimenti ed eventualmente da parte di chi erano stati firmati”. Ricordò, altresì, l’esistenza e la validità dell’art. 12 del Regolamento. Il senso dell’intervento di Murè era palese. Il Consiglio, infatti, contemporaneamente all’accoglimento delle dimissioni deliberò di “dare atto che, ai sensi dell’articolo 12 del Regolamento dell’Assp e fino all’elezione dei nuovi membri della Commissione amministratrice, l’Amministrazione temporanea dell’Azienda restava affidata alla Giunta municipale, con gli stessi poteri della Commissione”.40 L’opposizione, alla fine, l’aveva sostanzialmente spuntata.
Questione “ineleggibilità” Chiuso il “caso incarichi”, il dibattito consiliare fu dominato, per tutta la prima metà del 1988, da un altro “argomento scottante” (come ebbe a definirlo La Porta), cioè la questione della ineleggibilità di alcuni consiglieri comunali. Una recente legge regionale, la n. 31 del 24 giugno 1986, sanciva, infatti, l’ineleggibilità alla carica di consiglieri comunali di coloro che avessero “rapporti” con l’Unità Sanitaria Locale.. Non può certo considerarsi casuale che tale questione scoppiasse solo agli inizi del 1988 nonostante – come evidenziò maliziosamente Casale nel corso di quel dibattito – “la posizione di ogni singolo consigliere fosse nota a tutti già al momento della emanazione della L.r. 31/86”. Anche lo scoppio di questo caso era in realtà un frutto amaro conseguente alla fine della “grande coalizione”. Ma da chi era stata sollevata la questione? L’opposizione sosteneva che il problema fosse stato sollevato dalla maggioranza, in particolare dalla Dc, per sbarazzarsi di “consiglieri dell’opposizione e consiglieri della maggioranza fastidiosi all’interno del gruppo consiliare e del partito, oltre che consiglieri disinteressati a rimanere in Consiglio comunale” (La Via). Secondo la maggioranza, invece, il problema della ineleggibilità non era stato sollevato dalla Dc “bensì da un componente dell’opposizione nella persona del dott. Murè, cui ha fatto seguito anche il dott. Monzù” (Giorgio Bruno). Nell’impossibilità, da parte nostra, di dare una risposta all’interrogativo posto, ci limitiamo a fornire alcuni dati di fatto. Innanzitutto, i consiglieri che erano, potenzialmente, nella condizione di ineleggibilità erano ben sette (come da elenco trasmesso dall’Usl n. 18): Battiato, Ascenzio Bruno, Giorgio Bruno, Campione, Casale, Monzù e Murè. Considerato che la legge in questione era poco chiara e che, comunque, la verifica dell’eventuale condizione di ineleggibilità o incompatibilità era di esclusiva competenza del Consiglio comunale, l’op40
Giorgio Bruno. Nato a Nicosia il 19.03.1942, dopo aver conseguito la Laurea in Medicina e Chirurgia all’Università di Palermo, vince il concorso di Assistente presso il reparto di Medicina dell’Ospedale C. Basilotta, dove lavora fino al 1986, anno in cui si dimette per dedicarsi alla attività di medico di famiglia. Entrato in politica, nel 1985 viene eletto al Consiglio comunale nella lista della Dc e nel 1986 diventa Assessore alla Solidarietà sociale ed alla Sanità. Rieletto nel 1990 e di nuovo Assessore si attiva per la costituzione dell’Ufficio dei Servizi Sociali. Eletto Sindaco per pochi mesi (agosto1991 gennaio 1992) aderisce, dopo la disgregazione della Dc, prima al partito di Casini, poi alla Udc, nella cui lista nel 2002 viene ancora una volta eletto Consigliere comunale, ricoprendo la carica di Vicesindaco. Successivamente aderisce al Movimento per l’Autonomia (Mpa) divenendone, nel 2006, Segretario provinciale.
La nuova Commissione amministratrice dell’Assp sarebbe stata eletta con delib. c.c. n. 188 del 21 settembre 1988. I tre membri effettivi furono: ing. Salvatore Catania, dott. Roberto Bonomo e dott. Simone La Giglia, mentre i due membri supplenti furono: cav. Carmelo D’amico e p.a. Filippo Raspanti. Aggiungiamo, per completezza di informazione, che (rinnovata nel dicembre 1984 per il quinquennio 6/12/1984 – 5/12/1989) con delibera consiliare n. 173 del 20/03/1990 l’Assp fu rinnovata per un ulteriore periodo di cinque anni, decorrenti dal 6/12/1989 fino al 5/12/1994. Essendo assenti, tra gli altri, La Via e Campione, unici due voti contrari al rinnovo furono quelli dei consiglieri Conti e La Porta. Quest’ultimo motivò il proprio diniego “non intendendo essere coinvolto nel rinnovo di un’Azienda che si era dimostrata fallimentare e stante la mancanza di ogni finalità, da parte dell’Assp, di qualsiasi proposta di rinnovamento…”
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Valerio Battiato. Nato a Nicosia il 22.05.1945, consegue la laurea in Farmacia presso l’Università di Palermo il 21.11.1968 e ricopre per circa un decennio la carica di Dirigente della squadra di calcio U.S. Nicosia. Dopo aver militato nell’Azione Cattolica, si tessera ancora giovanissimo nel partito della Dc; si presenta quale candidato nelle elezioni amministrative del 1980 e del 1985 e viene eletto Consigliere comunale in entrambe le tornate. Ricopre la carica di Assessore ai Lavori pubblici, alla Sanità e alla Pubblica Istruzione durante le Amministrazioni Casale e Composto; in seguito alla questione “ineleggibilità”, si dimette da Consigliere comunale nel 1988.
posizione propose di “dichiarare, attraverso regolare votazione, tutti e sette consiglieri comunali eleggibili” (La Porta). Secondo il consigliere comunista, tale proposta, tra l’altro, “avrebbe significato garantire la volontà popolare che nel 1985 aveva eletto i consiglieri in questione”. In alternativa alla precedente proposta – rifiutata dalla maggioranza – i tre partiti d’opposizione proposero che il Consiglio contestasse a tutti e sette i consiglieri interessati la condizione di ineleggibilità “affinché gli stessi entro i termini di legge presentassero le loro controdeduzioni” (La Porta). Ma la maggioranza era di diverso orientamento, e cioè “contestare la condizione di ineleggibilità soltanto ai consiglieri Murè, Ascenzio Bruno e Battiato: i primi due in quanto componenti dell’Ufficio di Direzione dell’Usl, il terzo in quanto titolare di farmacia convenzionata con l’Usl. Questa linea della maggioranza, bollata da La Via come “proposta prefabbricata in sede diversa da quella istituzionale” e che si caratterizzava, a detta del consigliere comunista , “per la mancanza assoluta di imparzialità” fu votata, come proposta formulata dal capogruppo Dc Granata, e deliberata a maggioranza assoluta dei voti nella seduta del 12 aprile (delib. c.c. n. 100). Se il consigliere Conti accusò la Dc di aver fatto prevalere “con la forza dei numeri e quindi con l’arroganza un’interpretazione giuridica che niente ha di giuridico, nel momento in cui per interesse di partito assume posizione di ostracismo personale”, Fiscella, visto l’esito della votazione, a nome dell’opposizione rivolse alla presidenza del Consiglio la solita minacciosa richiesta e cioè “di trasmettere tutti gli atti relativi alla deliberazione in oggetto alla Prefettura e alla Procura della Repubblica di Nicosia”. Per il giorno 3 giugno fu convocato il Consiglio comunale. Argomento iscritto al secondo punto all’ordine del giorno era: “Annullamento parziale da parte della Cpc di Enna della delib. c.c. n. 100 del 12/04/1988. Provvedimenti”. In apertura di seduta il Sindaco Composto diede lettura, infatti, della nota con cui l’organo di controllo comunicava di aver annullato la delibera consiliare in questione, limitatamente alla parte in cui veniva contestata l’eleggibilità dei consiglieri Murè e Ascenzio Bruno. Dopo alcuni interventi, sia di consiglieri d’opposizione che della maggioranza, venne messa ai voti – su proposta del consigliere Granata – di “prendere atto della decisione della Cpc in ordine alla eleggibilità a consiglieri comunali del dott. Murè Alberto e Bruno Ascenzio e dichiarare nel contempo che anche il consigliere Battiato è eleggibile”(“Ergo – commentava a tal proposito Contino in un suo articolo dell’epoca - tanto rumore per niente”). Definita “improponibile e illegittima” dalle forze d’opposizione, in quanto stravolgeva il secondo punto all’ordine del giorno e non prendeva integralmente atto della decisione della Cpc, la proposta di Granata fu deliberata a maggioranza dei voti. Nella stessa seduta, quindi, il Consiglio votò – prelevando lo specifico punto all’ordine del giorno – sulle dimissioni dalla carica di consigliere di Battiato; dimissioni che lo stesso, dando atto di grande dignità e correttezza, aveva presentato qualche giorno dopo la citata delib. n. 100. Nonostante la richiesta fosse stata respinta dal Consiglio, Battiato reiterò – con lettera del 15 luglio successivo – le proprie dimissioni, delle quali il Consiglio prese atto nella prima seduta del 21 settembre,41 dopo la pausa estiva.
41 In quella stessa seduta il Consiglio deliberò sia la surroga di Battiato col prof. Salvatore Pidone, primo dei non eletti nella lista della Dc, sia la sua sostituzione alla carica di assessore con la signora Cirino e rivolse parole di commiato al consigliere dimissionario, improntate a sottolineare il suo impegno, la sua serietà, la sua correttezza ed onestà. Conoscendo la persona, abbiamo motivo di ritenere che quelle parole, pronunziate anche da parte dell’opposizione, non siano state di pura circostanza.
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Consiglio di Quartiere nella Frazione di Villadoro Negli anni Settanta in Italia, ma un po’ in tutta Europa, prese avvio quel processo che Bobbio già all’epoca definì di “democratizzazione della società”. Era una spinta al cambiamento che puntava, appunto, a estendere la democrazia nelle varie sfere della vita civile: nei luoghi di lavoro attraverso i consigli di fabbrica; nella scuola attraverso un maggiore coinvolgimento dei genitori e degli stessi alunni (negli istituti superiori); nei governi locali tramite i Consigli di quartiere. E’ in tale contesto che anche la Sicilia emanò una legge regionale, la n. 84 dell’11 dicembre 1976, recante norme sul decentramento amministrativo e sulla partecipazione dei cittadini nell’amministrazione del Comune. Sulla base di quella legge nacquero un po’ ovunque i Consigli di quartiere. Sul finire dell’84 anche il comune di Nicosia si adeguò e, con delibera consiliare n. 120 del 28/09/1984, istituì il Consiglio di Quartiere nella frazione di Villadoro. Dopo la predisposizione e l’approvazione del Regolamento concernente la disciplina, le attribuzioni e il funzionamento del Consiglio di quartiere, si procedette, ai primi del 1988, all’elezione dei suoi dieci componenti. Primo presidente, eletto nella seduta del 10 maggio ’88, fu il democristiano Aurelio Randazzo, insegnante, all’epoca impiegato postale a Sperlinga (la cui indennità di carica era di lire 300 mila lire mensili, pari al 50% di quella spettante al Sindaco di un Comune con popolazione pari a quella del quartiere). Al fine di assicurare l’effettivo e concreto funzionamento del Consiglio di quartiere furono attribuite (con delibera consiliare n. 321 del 09/12/1988) le deleghe di funzioni, che erano limitate alle attività culturali e sociali, sportive e ricreative, socio assistenziali.
Il Psi entra in Giunta Per venerdì 19 maggio 1989 fu convocato, in seduta straordinaria, il Consiglio comunale con all’ordine del giorno una lunga serie di argomenti. Ai punti 63 e 64 era iscritta la trattazione, rispettivamente, delle dimissioni del Sindaco e quelle degli assessori comunali. Non si trattava, chiariamo subito, di una delle solite crisi, ma di un atto finalizzato a un “rimpasto” della Giunta per l’ingresso del Psi nella compagine amministrativa. Considerata, però, l’ora tarda ( si era giunti alle 8.30 di sabato! )42 i lavori vennero aggiornati, su proposta del consigliere Granata a martedì 23. In quella data il Consiglio, presieduto dal vicesindaco De Luca, deliberava con 26 voti favorevoli e due contrari (verosimilmente i due consiglieri comunisti presenti: La Via e La Porta) l’accettazione delle dimissioni dalla carica di Sindaco rassegnate da Composto e con successiva votazione venivano altresì deliberate (con un solo voto contrario) l’accettazione delle dimissioni rassegnate dagli assessori comunali: Agozzino, Bruno, Cirino, De Luca, Proetto e Rizzo. Quindi, dopo un deciso quanto inutile tentativo da parte del Pci (di fatto La Porta e La Via) di far passare la tesi della “impossibilità della elezione del Sindaco” e non per motivazioni politiche bensì “tecnico-giuridiche” (in pratica la questione 42
Motivo di quella incredibile durata della seduta consiliare fu, sostanzialmente, il rifiuto della maggioranza di trattare prioritariamente l’argomento delle dimissioni come richiesto dai consiglieri comunisti; i quali, visto l’ulteriore diniego del Sindaco di rispondere ad alcune interrogazioni, assunsero un palese atteggiamento ostruzionistico chiedendo per ogni argomento trattato ( a partire dalla “Lettura e approvazione dei verbali della seduta precedente”) lettura integrale dei relativi atti, nonché dettando a verbale lunghe dichiarazioni.
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della “decadenza” di alcuni consiglieri), il Consiglio deliberava, con 23 voti favorevoli su 26 consiglieri presenti e votanti, l’elezione a Sindaco di Giovanni Composto43. Il successivo 26 maggio, dopo la discussione sulle Dichiarazioni programmatiche44 della nuova Amministrazione, si procedette all’elezione della Giunta ( in vista della quale si allontanarono dall’aula i consiglieri La Porta, La Via e Conti) che ebbe l’ unanimità dei voti. 1. Agozzino Michele
(Servizi tecnologici)
2. Pidone Salvatore 3. Di Franco Michele
Composizione della Giunta eletta il 26 maggio 1989
(Lavori pubblici) 45
(Sanità, assistenza e solidarietà sociale)
4. Fiscella Giuseppe
(P.I., sport, turismo, e spettacolo)
5. Castrogiovanni Giuseppe
(Agricoltura)
6. Riggio Francesco
(Commercio)
Nasceva così a Nicosia, a meno di un anno dalle nuove elezioni amministrative, un governo a maggioranza Dc, Psi, Pa e Aal. Assolutamente negativo, ovviamente, il giudizio dei comunisti, il cui dente avvelenato aveva come principale bersaglio il Psi, ma soprattutto il suo segretario sezionale, Murè. La “stabilità politica” raggiunta era più propriamente, a detta dei comunisti, una monocrazia: “Chi decide tutto sembra essere il segretario del Psi, tutti gli altri ubbidiscono, così come facevano gli eunuchi verso i loro padroni nelle società antiche” (La Porta,“L’Eco dei monti”, agosto 1989). Il risultato della partecipazione del Psi all’amministrazione del paese che più di ogni altro diede un senso di intima soddisfazione alla Dc (e a tutta la vecchia maggioranza) fu, riteniamo, il venir meno di quella forte coesione e compattezza dei tre partiti politici di opposizione che in più occasioni abbiamo evidenziato. Coesione e compattezza al cui posto si introduceva ormai il tarlo delle reciproche critiche e accuse. La Porta, in apertura della discussione relativa all’elezione del Sindaco, sollevò la questione della necessità di considerare “decaduti” i consiglieri “che senza giustificati motivi si erano assentati per almeno tre sedute consecutive” (lì per lì il pensiero di molti corse al socialista Picone, assente dall’aprile ‘88 in poi per le note vicende giudiziarie); Conti si dichiarò “disgustato”, ritenendo che “il tirar fuori questo argomento” denotasse “bassezza politica” e accusò di incoerenza politica il Pci “che con riunioni e lettere di diverso genere aveva cercato in ogni modo di entrare a far parte della nuova amministra43
Degli altri 3 voti, uno era andato a Conti, due a La Via (Campione durante il dibattito si era allontanato dall’aula). Una volta tanto maggioranza e opposizione concordavano su un punto: la brevità del Programma, anche se essa era diversamente giudicata. Per La Via era “ una semplice elencazione di quello che non si è fatto e che tante volte è stato detto in questo Consiglio comunale” e comunque i vari punti di esso erano, a suo avviso, “non realizzabili, stante anche il poco tempo a disposizione”. Per Granata trattavasi in effetti di “un programma breve, ma attuabile e adeguato al periodo di fine legislatura”. Torre (nella fugace veste di capogruppo del Psi, al posto di Calandra, a partire proprio da quella sera) rilevava come la brevità del programma fosse “determinata dal poco tempo a disposizione; tuttavia se ci sarà la volontà di collaborare, si potrà pervenire a qualcosa di concreto”. 45 Il socialista Di Franco dichiarò che “per motivi di famiglia” accettava la carica con riserva, ripromettendosi di scioglierla in breve tempo. In effetti, con lettera del successivo 6 giugno, comunicò di rassegnare le dimissioni dalla carica di assessore. Il Consiglio, nella seduta del 13 giugno, preso atto delle sue dimissioni, eleggeva in sostituzione Calandra. Pare che le dimissioni di Di Franco fossero dovute, in realtà, a contrasti sorti all’interno del suo partito proprio per la scelta degli assessori: “Infatti mentre pacifica è sembrata la designazione di Pino Fiscella – scriveva Contino – ha suscitato contestazione quella di Lino Di Franco, il cui posto è contestato da Pasqualino Calandra e da Sergio Torre, rappresentanti di altre correnti interne.” (N. Contino, Cronache consiliari, “L’Eco dei Monti”, maggio 1989). 44
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zione” (dalla quale – in verità – il consigliere liberale si era autoescluso); Murè - replicando ai consiglieri comunisti La Porta e La Via, i quali insistevano nel definire “errore storico” la decisione del Psi di entrare a far parte della nuova amministrazione rompendo “il fronte unitario di sinistra” - ricordò che “prima regola di democrazia è il rispetto degli altri” e aggiunse: “Il Psi si è oggi determinato di entrare in giunta per gli stessi motivi che ne avevano determinato l’ingresso due anni fa assieme al Pci e al Pli e, cioè, al fine di poter collaborare alla soluzione di alcuni problemi che interessano la collettività”46.
La nuova battaglia del Pci L’esito dell’ingresso del Psi nella maggioranza di governo fu, sostanzialmente, l’isolamento del Pci nel suo ruolo di opposizione. Condizione, questa, che ingenerò in quel partito un’aggressività ostruzionistica quasi fine a se stessa, spingendolo ad una sorta di “guerra contro tutti”.47 La Via, in occasione del dibattito, che aveva accompagnato l’allargamento della maggioranza con l’ingresso del Psi, aveva preannunciato “un’opposizione dura e costante” e La Porta nella stessa occasione aveva sollevato (ai sensi dell’art. 173 lett. b dell’Ord. EE. LL.), la questione della decadenza dalla loro carica dei consiglieri comunali che, “senza giustificato motivo”, si erano assentati “per almeno tre sedute consecutive”. In tal caso - ritenevano i consiglieri comunisti - non si sarebbe potuto procedere all’elezione del Sindaco essendo il Consiglio monco. Su questa posizione il Pci si trincerò con una determinazione e una ostinazione davvero straordinarie che se, da un lato, denotavano e tradivano, sul piano vorremmo dire psicologico, la condizione o percezione di marginalità politica dei consiglieri comunisti, dall’altro mostravano indiscutibilmente la loro profonda e solida conoscenza della normativa e dei vari aspetti tecnico-giuridici dell’argomento in questione. Visto fallire il loro tentativo di far passare la soluzione del problema “decadenza” come atto pregiudiziale alle elezioni del Sindaco,48 i consiglieri 46
A proposito dell’ incipiente sfaldamento della compattezza dell’opposizione, in particolare Psi e Pci, e, indirettamente, dei motivi (meglio interessi) che avrebbero portato il Psi ad entrare nella maggioranza con la Dc in Consiglio comunale, ci sembra particolarmente interessante, visto a posteriori, quanto (già nel settembre ’88) scriveva Contino : “Il Psi, che a livello di Consiglio comunale è all’opposizione unitamente al Pci e Pli (anche se, negli ultimi tempi, il feeling con il Pci si è molto allentato!), collabora strenuamente, oserei dire more uxorio, con la Dc nella gestione dell’Usl (infatti il democristiano Giovanni Russo e il socialista Paterniti sono, rispettivamente, presidente e vicepresidente del Comitato di gestione dell’ Usl). Ai posteri – o meglio agli addetti ai lavori - l’ardua sentenza sul perché il Psi abbia tante affinità elettive con i democristiani dell’Usl e pochissime o nulle – stando alle apparenze - con i democristiani del Comune e, naturalmente, dicasi viceversa dei democristiani. Psi e Pci, che pure hanno trovato forme d’accordo a livello d’opposizione in Consiglio comunale (sebbene un po’ incrinate negli ultimi tempi a causa del comportamento del Psi all’interno dell’Usl), non ne hanno mai trovata alcuna all’Usl, dove il Psi “amoreggia” con la Dc, a tutto scapito e danno del Pci”. (N. Contino, Noterelle politiche, “L’Eco dei Monti”, agosto-settembre 1988). 47 Giova notare che il periodo di difficoltà attraversato dal Pci e il suo isolamento politico non erano un fatto puramente locale. In quegli anni, infatti, il Pci, a livello nazionale, viveva una condizione di costitutiva debolezza politica. Già a seguito delle elezioni amministrative generali del 1985, l’estensione dell’accordo di pentapartito alle amministrazioni locali aveva allontanato i comunisti dal governo di molte città e regioni. Nelle recenti elezioni politiche (giugno 1987) il Pci, a fronte di un pur modesto progresso della Dc e di un’ulteriore avanzata del Psi, aveva registrato una nuova flessione (dal 29,9% delle elezioni politiche del giugno ’83 era sceso al 26,6%). Il progressivo calo di consensi registrato dal Pci nel corso degli anni Ottanta avrebbe portato al suo “decesso” che, annunciato dal nuovo segretario Occhetto nel novembre ’89 (“svolta della Bolognina”), ebbe l’ “ufficializzazione di morte” al XX Congresso di Rimini (gennaio-febbraio 1991) con la nascita del Pds, un nuovo partito che dichiarava di collocarsi nel campo della socialdemocrazia. 48 Tale posizione fu sostenuta dai consiglieri comunisti sì con pervicacia, ma anche - ribadiamo - con dovizia di riferimenti legislativi, infatti, oltre a fare riferimento al chiaro disposto dell’art. 173 lett. b dell’Ord.EE.LL., essa (come dimostrarono con documenti alla mano i due consiglieri comunisti) era autorevolmente confortata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa” la quale,
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Piergiacomo La Via. Nato a Capizzi il 3/07/ 1958, laureato in Giurisprudenza presso l ‘Università di Catania, abilitato all’insegnamento di Materie giuridiche, esercita la libera professione forense curando in particolare i processi penali e dal 1997 è anche patrocinante in Cassazione. Ha ricoperto la prima carica istituzionale pubblica quale componente della Commissione edilizia dal 1982 al 1985. Entrato nel Pci all’età di sedici anni e divenuto Segretario di sezione nel 1983, è stato eletto per la prima volta Consigliere comunale nel 1985 risultando 1° degli eletti con 343 voti di preferenza. Dirigente provinciale, dal dicembre 1993 all’ottobre 2001 ha ricoperto ininterrottamente la carica di sindaco del Comune di Nicosia.
comunisti, certi “come tutti gli altri consiglieri”, che “dal 1985 ad oggi” vi fossero “diversi casi di decadenza e non uno, come speciosamente e provocatoriamente si è voluto sostenere” (La Via) fecero di tale questione un preciso e irrinunciabile obiettivo della loro opposizione consiliare. E infatti nei mesi successivi il Consiglio comunale, messo alle strette e fatte le dovute verifiche relative alle assenze dei vari consiglieri, richiese agli interessati (ben dodici) di presentare “note di giustificazione” per la mancata partecipazione a diverse riunioni consiliari. Nella seduta del 19 dicembre 1989 il Consiglio procedeva a deliberare l’accettazione delle giustificazioni addotte dagli interessati. Contro le deliberazioni della maggioranza, con le quali si accoglievano tutte le giustificazioni dei consiglieri assenti per più di tre volte consecutive, “i comunisti - scrive Contino - forti del caso analogo verificatosi nel Comune di Sperlinga, in cui un consigliere assente ingiustificato per tre volte consecutive, era stato dichiarato decaduto, hanno avanzato ricorso alla Cpc di Enna, sostenendo l’invalidità delle giustificazioni prive di documentazione.”49 E così la Cpc, dopo aver chiesto (seduta dell’8 gennaio) chiarimenti al Consiglio comunale, ai primi di febbraio annullava “per violazione dell’art. 173 lett. B dell’Ord. EE. LL.” alcune deliberazioni della maggioranza e dichiarava decaduti per assenteismo cinque consiglieri comunali. Sicché il 28 febbraio 1990 il Consiglio riteneva di doversi uniformare alla decisione dell’Organo di Controllo e procedere, quindi, alla dichiarazione di decadenza nei confronti dei consiglieri interessati, i cui nominativi erano quelli dei democristiani Ascenzio Bruno e Antonina Cirino, dei socialisti Alberto Murè e Armando Monzù e di Francesco Riggio50 dell’Aal. Costoro, seduta stante, furono sostituiti, rispettivamente, da: Filippo D’Amico, Michele Castrogiovanni, Salvatore Paterniti, Michele Furnari 51 e Antonino Bruno.52 Come di solito avviene, la determinazione finisce col conseguire l’obiettivo e non fece eccezione lo specifico caso che stiamo esaminando. Seppur a pochi giorni dallo scioglimento del Consiglio, il Pci aveva ottenuto, infatti, il suo scopo. E deve essere stato fonte di soddisfazione - tanto grande quanto insperata l’intervento che il neoconsigliere socialista Paterniti fece dopo la sua nomina, sottolineando come essa fosse “merito del Pci”, che si era battuto per “il rispetto delle leggi”. E come se non bastasse, nell’esporre le motivazioni della sua accettazione, mise in evidenza “l’incapacità sinora dimostrata dall’Amministrazione nel risolvere i problemi della collettività”. Immancabile la replica, forzatamente diplomatica, del Sindaco, il quale ringraziò i consiglieri che erano intervenuti,
con decisione del 26/10/1962 n. 430, aveva così stabilito: “Se il Consiglio comunale viene a perdere uno dei suoi membri o questo debba essere surrogato, non può procedersi all’elezione del Sindaco, se prima non si sia fatto luogo a detta surrogazione. Infatti il Consiglio comunale non sarebbe legalmente costituito se un consigliere avesse perduto il titolo a farne parte (sottolineato per espressa richiesta del dichiarante) e non fosse stata chiamata in luogo di quello, la persona che la legge stessa designa a surrogare”. Da tale decisione e dal carattere tassativo del citato art. 173 - concludeva La Via - “si desume inconfutabilmente che qualora vi sia un consigliere che avesse perso il diritto a far parte del consesso o dell’assise, l’organo è incompleto, monco e illegalmente costituito e quindi quantunque probabilmente l’organo stesso possa procedere ad atti di ordinaria amministrazione o ad altri atti, non può assolutamente procedere alle elezioni del Sindaco”. 49 N. Contino, L’esemplare vicenda dei consiglieri assenteisti, “L’Eco dei Monti”, gennaio 1990 50 Nel corso della stessa seduta, il Consiglio deliberò di eleggere alla carica di assessore, in sostituzione di Riggio, Mario Rizzo. 51 Furnari, terzo dei non eletti nella lista del Psi subentrò al consigliere Monzù a seguito della rinunzia – per motivi di servizio – del secondo dei non eletti, Giuseppe Restivo. 52 Antonino Bruno, secondo dei non eletti nella lista Aal, subentrò a Riggio a seguito della rinuncia dalla carica di consigliere del primo dei non eletti, Carmelo D’Amico (Presidente dell’Associazione Autonomi Lavoratori), in quanto amministratore dell’Assp.
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“pur non condividendo sotto certi aspetti l’intervento del consigliere Paterniti”. Più esplicito (seppure senza citare il nome del consigliere socialista) l’intervento di Casale, il quale chiarì che “la mancata soluzione di alcuni problemi non è da addebitare soltanto all’amministrazione, ma anche alle minoranze”. Resosi conto, probabilmente, di aver procurato un autogol alla propria squadra, Paterniti precisò che il suo intervento “era diretto a tutto il consesso, non volendo addebitare responsabilità ad alcuno”.
Amministrazione Composto: bilancio Prima di entrare in argomento, ci sembra opportuno esplicitare un paio di precisazioni, che naturalmente hanno validità, per così dire, retroattiva. Innanzitutto, l’attività di un’Amministrazione, - considerata da una prospettiva storica - è fatta soprattutto di opere e interventi di un certo rilievo realizzabili, conseguentemente, nel medio e lungo termine. Ciò significa che qualsiasi Amministrazione, quand’anche durasse un’intera legislatura, si trova nella condizione di portare a compimento, o semplicemente continuare, progetti, opere e interventi iniziati da precedenti Amministrazioni o, al contrario, di programmare opere la cui realizzazione, o continuazione, avverrà sotto altre Amministrazioni. In secondo luogo, un bilancio comporta, propriamente, una valutazione comparata di aspetti positivi e negativi ( nel nostro caso, di ciò che è stato realizzato dall’Amministrazione e ciò in cui è stata inadempiente, rispetto alle Dichiarazioni programmatiche). Noi preferiamo, come già altre volte, guardare alle cose realizzate, fotografando, per così dire, di ogni opera di cui si è occupata l’Amministrazione, lo status quo del relativo iter, indipendentemente dal successivo decorso dell’opera stessa. Lasciamo all’opposizione – in questo caso – il ruolo di evidenziare le manchevolezze dell’Amministrazione, la “parte vuota del bicchiere”.53 Premesso ciò, evidenziamo di seguito quelle che riteniamo siano stati i principali provvedimenti adottati nel corso dei due ani e mezzo del secondo mandato di Composto. Palazzo di Giustizia. Nella seduta del 31 marzo 1988 il Consiglio deliberava di indire licitazione privata per l’appalto dei lavori di completamento del Palazzo di Giustizia relativi al piano primo seminterrato, come da progetto redatto dall’UTC (per un importo complessivo di 200 milioni di lire) e approvato dalla Giunta nella seduta del precedente 25 marzo. Rete idrica e fognante (Villadoro). Il relativo progetto - redatto dall’ing. Giuseppe Faranda, dell’importo complessivo di un miliardo di lire - risaliva ai primi anni Ottanta, allorché venne approvato (come precedentemente riferito) con delibera c.c. del 16 dicembre 1983. Rielaborato dal medesimo professionista alla fine del 1986 e disposta l’assunzione di un mutuo di pari importo con la Cassa depositi e prestiti per la realizzazione dell’opera, il Consiglio comunale, 53 Riportiamo, relativamente al periodo di cui ci stiamo occupando, parte del “giudizio fortemente negativo sul Sindaco e sull’amministrazione uscente” che La Via (capogruppo del Pci) espresse in Consiglio in occasione delle dimissioni di Composto (23 maggio 1989), evidenziandone “le gravi inadempienze”, quali : “la mancata assegnazione agli artigiani di oltre una ventina di lotti di terreno dove i nostri lavoratori autonomi avrebbero trovato la possibilità di costruire opifici e laboratori, attingendo ai finanziamenti e alle agevolazioni esistenti nel settore”; le mai programmate o richieste opere pubbliche importanti per il nostro paese, come ad esempio “nuova Caserma dei carabinieri, Ufficio postale nella zona Magnana-Via Nazionale, Strade interne e di collegamento, Centri culturali”. E si chiedeva, ancora, che fine avesse fatto “ il finanziamento per l’impianto polisportivo in c/da Salso, ove erano state previsti e mai realizzati campi di calcio, di basket, di tennis, una pista di atletica leggera e via discorrendo”.
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con proprio provvedimento del 3 giugno 1988 (previa approvazione, alla fine del 1987, del progetto rielaborato e giusta comunicazione della Cassa depositi e prestiti di aver concesso il richiesto mutuo dell’importo di un miliardo di lire) deliberava di indire licitazione privata per l’appalto dei lavori e di demandare al Sindaco i conseguenti adempimenti. Impianto valorizzazione prodotti agricoli e zootecnici. In prosecuzione dell’iter avviato dalla Giunta, che (con delib. n. 433 del 24 luglio 1987) aveva approvato il progetto redatto dall’ing. Salvatore Catania relativo ai lavori di costruzione di un impianto di valorizzazione dei prodotti agricoli e zootecnici, (dell’importo complessivo di 1 miliardo e 500 milioni di lire), il Consiglio comunale, nella seduta del 3 maggio 1988 - stante l’avvenuta registrazione alla Corte dei Conti del decreto assessoriale con cui veniva finanziata la spesa occorrente per la realizzazione dell’opera e concesso al Comune di Nicosia l’esecuzione dei relativi lavori – deliberava, all’unanimità di voti dei 17 consiglieri presenti, (erano assenti tutti i consiglieri dell’opposizione) di indire licitazione privata per l’appalto dei lavori. Si trattò, in realtà, di una delle opere programmate che, per varie traversie, non riuscì mai a decollare. Interventi settore agricolo. Negli anni 1988 e 1989 con due successive delibere (n. 68 del 31/03/1988 e n. 172 del 10/07/1989) veniva indetta licitazione privata per l’appalto di lavori di realizzazione di interventi nel settore agricolo del territorio di Nicosia riguardanti lavori di sistemazioni di strade, costruzioni di bevai, completamento acquedotto rurale, per un importo complessivo di circa mezzo miliardo di lire. Acquisto “Cinema-teatro Cannata”. Con delibera n. 239 del 21 settembre 1988 il Consiglio comunale, avvalendosi del contributo regionale (pari al 95% della spesa) previsto dalla L.r. n. 44 del 10/12/1985 e previa dichiarazione di disponibilità dei proprietari a cedere l’immobile al Comune al prezzo di vendita che sarebbe stato determinato dall’UTE, deliberava, con unanimità di voti dei 19 consiglieri presenti, di addivenire all’acquisto dell’immobile, da utilizzare per lo svolgimento di attività musicali e teatrali nonché culturali connesse alle finalità della citata legge, riservandosi di provvedere all’impegno della spesa a carico del Comune (pari al 5% della valutazione del bene) successivamente alla comunicazione relativa al prezzo di vendita stabilito dall’UTE. Casa di riposo barone Di Falco: utilizzazione strutture. Nella stessa seduta del 21 settembre il Consiglio comunale, preso atto della comunicazione in data 4 marzo da parte dell’IPAB (Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza) relativa alla consistenza delle strutture della casa di riposo barone Di Falco, deliberò di valutare positivamente la proposta di utilizzare le superiori strutture per l’attuazione delle funzioni socio-assistenziali trasferite al Comune ai sensi della L.r. n. 1 del 02/01/1979 e specificatamente per il ricovero e l’assistenza degli anziani di ambo i sessi, mediante stipula con la citata IPAB di apposita convenzione, sulla base del disciplinare-tipo che sarebbe stato predisposto dall’Assessorato EE.LL. Mostra Artigianato. Proseguendo un’iniziativa, avviata l’anno precedente, l’Amministrazione sostenne l’organizzazione della seconda edizione della Mostra intercomunale dell’Artigianato”. Costruzione impianto smaltimento rifiuti solidi. Una delle prime importanti delibere della Giunta Composto di “centro sinistra” fu l’indizione della gara d’appalto (delib. c.c. n. 170 del 10/07/1989) per la costruzione dell’impianto smaltimento rifiuti solidi urbani. Il relativo progetto, conferito all’ing. Giuseppe 168
Inaugurazione della “2ª Mostra Intercomunale dell’artigianato” (22 sett. 1989). Il Sindaco Composto taglia il nastro. Sono con lui (da sinistra) Nenè Rizzo e Mario Mazzaglia, parlamentari della Regione, e il consigliere provinciale Annibale Circasso.
Parisi dalla Giunta (con delib. del 18 marzo 1987), era stato redatto dallo stesso professionista e quindi approvato dalla Giunta con delib. del settembre 1988. L’opera, di importo complessivo di 2 miliardi di lire, era finanziata dall’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente tramite mutuo ventennale concesso dalla Cassa depositi e prestiti ( giusta comunicazione datata 27/04/1989). Ricordiamo che la delibera consiliare citata passò in Consiglio – quasi dimezzato per il clima ormai pre-vacanziero – col solo voto contrario di Conti, il quale, dopo aver precisato che allorquando rivestiva la carica di assessore aveva dato incarico solo per l’adeguamento della discarica comunale e non per la costruzione di una discarica intercomunale, avanzò la preoccupazione che, con la realizzazione del suddetto impianto, Nicosia sarebbe diventata “luogo di deposito rifiuti, dovendo la discarica essere posta al servizio di altri Comuni del comprensorio, quali Cerami, Troina, Sperlinga e Gagliano Castelferrato”.54 Costruzione campo sportivo Villadoro. La costruzione di un campo di calcio nella frazione di Villadoro, priva di qualsiasi impianto sportivo, era uno degli interventi inserito nel programma delle opere pubbliche da realizzare nel corso del triennio 1987/89. Con delibera esecutiva del 15 settembre 1987, la G.M. approvava il progetto generale (redatto dall’ing. Ascenzio Lo Ciuro) dell’importo di circa 450 milioni di lire, di cui 200 milioni con contributo regionale. Nella seduta del 10 luglio 1989 il Consiglio comunale deliberava di indire licitazione privata per l’appalto dei relativi lavori e di approvare lo schema del bando di gara predisposto dall’UTC. Pavimentazione viale Vittorio Veneto. Disponendo di un contributo di oltre un miliardo di lire, concesso dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale in favore di interventi per infrastrutture, il Consiglio comunale nella seduta del 21 settembre 1988 stabiliva (delib. n. 237) di utilizzare tale contributo per la realizzazione dei
54 Anche se l’assunzione del mutuo con la Cassa depositi e prestiti fu deliberata dal Consiglio (dietro richiesta di Murè) “a condizione che detto impianto venga adibito esclusivamente allo smaltimento di rifiuti di Nicosia”, va detto che quello presentato dal Comune di Nicosia e approvato dall’Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente (con decreto n.83 del 28/01/89) era in verità un progetto di “discarica zonale” che riguardava, appunto, anche i Comuni di cui sopra.
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lavori di pavimentazione del viale Vittorio Veneto. Conseguentemente a tale decisione l’UTC redigeva, nei mesi successivi, il progetto relativo ai lavori; progetto che il Consiglio ( con delib. n. 254 del 19 ottobre) approvava con voti unanimi. Con la medesima delibera veniva altresì stabilito di indire licitazione privata per l’appalto dei lavori e di demandare, quindi, al Sindaco gli adempimenti consequenziali. Piano regolatore generale. Quello che costituisce il fondamentale strumento di pianificazione urbanistica, necessario per lo sviluppo economico-sociale di un territorio, fu oggetto di una prima importante discussione in Consiglio comunale alla fine del 1988. Nella seduta del 4 novembre, infatti, con la concreta e fattiva collaborazione dell’opposizione fu deliberato, all’unanimità di voti, di nominare apposita Commissione di studio per la formazione del Prg; Commissione che, con l’accordo di tutti, era composta, oltre che dal Sindaco, dai componenti della Commissione consiliare Lavori Pubblici, dai capigruppo consiliari, da un tecnico di fiducia di ogni gruppo politico consiliare, dal dirigente dell’UTC e, limitatamente alla frazione di Villadoro, dal Presidente del Consiglio di quartiere. Nella seduta del 28 dicembre, poi, il Consiglio, relativamente ai rilievi aerofotogrammetrici del centro abitato di Nicosia e zone di espansione, deliberò, ancora all’unanimità di voti, di estendere la superficie da cartografare, “in forma rettangolare”, nel senso che l’ampliamento del perimetro dell’area già cartografata avvenisse in maniera uguale rispetto a tutti e quattro i lati. Ultimo atto della giunta Composto, a circa 15 giorni dallo scioglimento del Consiglio comunale prima delle nuove elezioni amministrative, fu il conferimento dell’incarico per la redazione del Prg. A conclusione di una seduta animata e ricca di interventi, il Consiglio deliberò di affidare “congiuntamente” l’incarico per la redazione di tale Piano a tre professionisti: prof. Leonardo Urbani (preside della Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo), prof. Alberto Sposito (docente nell’Università di Palermo) e ing. Antonino Petrina ( libero professionista di Catania). La delibera in questione, votata a scrutinio segreto, passò con 25 voti favorevoli e 2 contrari, presumibilmente quelli dei due consiglieri comunisti presenti, La Porta e La Via.55
Autunno amministrativo Con le elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale del 6 maggio 1990 - seguite, a poco più di un mese, dall’ elezione (11 giugno) del Sindaco Casale si sarebbe aperto il periodo forse più problematico e incerto nella storia politico55 Nel corso del dibattito, La Via, dopo aver premesso che nessuno più del Pci “da lungo tempo aveva ravvisato la necessità di procedere alla redazione del Prg”, evidenziò una serie di osservazioni critiche, di perplessità di ordine tecnico-giuridico e di metodo, ben argomentate e motivate - occorre riconoscere – e, contro chi (Fiscella) aveva affermato che quella sera, 6 marzo 1990, era “una tappa storica per il nostro Comune”, replicò che il conferimento dell’incarico era solo un accordo che si voleva “realizzare tra forze politiche, tra compari”, nonché “una manovra scopertamente elettoralistica. Socialisti e democristiani hanno aperto stasera la campagna elettorale, per fornire alla popolazione punti a loro vantaggio”. Riteniamo valga la pena registrare la posizione critica del consigliere di maggioranza Proetto, il quale, pur affermando che avrebbe votato “in conformità alle direttive del suo partito”, evidenziò delle “perplessità” in merito ai rilievi aerofotogrammetrici e alla relazione geologica che, a suo avviso, non sarebbero stati idonei per la realizzazione del Prg e temeva, quindi, di “perdere tempo e di illudere la gente”. Riteneva, altresì, che chiedere il finanziamento all’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente per la redazione, significava “non voler fare il Prg” e proponeva, quindi, di “prevedere apposito stanziamento nel bilancio comunale”.
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amministrativa nicosiana. Infatti, nonostante la Dc (con 17 consiglieri) avesse ottenuto in quelle elezioni la maggioranza assoluta, già l’Amministrazione Casale fu contrassegnata da numerose “turbolenze”: eccezioni di incompatibilità-ineleggibilità, sollevate a carico di due neoeletti consiglieri, Calabrese e Maiuzzo; annullamento dell’elezione del neosindaco da parte della Cpc di Enna (con decisione assunta nella seduta del 17 luglio) per “irregolare composizione dell’organo deliberante”; successivo ricorso al TAR di Casale (che, fra l’altro, accusava l’Organo di Controllo di essere incorso “in evidente vizio di eccesso di potere sotto il profilo dello straripamento”). Si avviavano anni di decadenza amministrativa e di grande instabilità politica. Instabilità che avrebbe visto succedersi alla carica di primo cittadino ben quattro sindaci in poco più di due anni56 e che avrebbe condotto, prima, al commissariamento del Comune (nella persona del dott. Calogero Ricciardo) e, poi, alle elezioni anticipate del giugno 1993, allorché, con l’elezione a Sindaco di La Via, la vita amministrativa di Nicosia avrebbe ripreso, finalmente, la sua ordinaria marcia, pur con l’immancabile corredo di luci e di ombre che accompagnano ogni Amministrazione. “Ma questa - direbbe Kipling - è un’altra storia”.
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I Sindaci in questione furono: Antonio Casale (6/8/1990 – 14/7/1991), Ornella Miritello (15/7/1991- 9/9/1991), Salvatore Pidone (10/9/1991- 5/8/1992), Giorgio Bruno (6/8/1992 - 22/1/1993).
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PARTE SECONDA
Nicosia nell’immaginario di pittori e poeti
Introduzione Valeria Fiscella* - M.Luisa Li Volsi**
Fortemente convinti che salvaguardare la memoria non significa solo proteggere le opere del passato, ma anche proteggere e mantenere vivo nella coscienza collettiva il patrimonio culturale odierno - costituito anche dalla produzione pittorica e poetica che nella nostra città è quanto mai ricca e variegata, tanto sul piano quantitativo, quanto su quello qualitativo - abbiamo voluto compiere questo ulteriore percorso conoscitivo del nostro territorio, attenzionare questo affascinante e complesso ambito finora solo in parte indagato e messo in luce e talvolta anzi sconosciuto ai “non addetti ai lavori” e rendere omaggio sia agli artisti che hanno rappresentato nelle tele i luoghi o i monumenti tipici della nostra identità, sia ai poeti che ci offrono “al vivo” spaccati di vita nicosiana antica e contemporanea, o che evocano feste e tradizioni popolari, rituali di vita quotidiana propri delle generazioni che ci hanno preceduto, o che tendono a demistificare comportamenti sociali attraverso la satira. Non avendo le competenze necessarie per stilare un catalogo d’arte o una silloge di poesie corredati da motivati giudizi critici, per individuare con certezza una tendenza o un’appartenenza, oppure le soluzioni più tradizionali e quelle più innovative, ci è sembrato più stimolante offrire un mosaico fatto di tessere diverse per sostanza, dimensione e colore, talvolta anche dialetticamente opposte, ma, senz’altro capaci di suscitare interesse e riflessioni in quanto portatrici di valori, che a noi pare non essersi svalutati nemmeno in questa “fase carsica”, in cui pittura e poesia sembrano scorrere sotterranee. Abbiamo così raccolto la produzione di pittori e poeti, o meglio microporzioni estetiche che avessero come tematica centrale “Nicosia” (vedute della nostra città, scorci paesaggistici, luoghi, monumenti, tradizioni, feste, ecc.), corredandola con i loro “curricula” affinché potesse essere, sinteticamente, chiarito e conosciuto ulteriormente il loro fare artistico. Ne è risultata una raccolta che, di primo acchito, può sembrare eterogenea, vista la molteplicità dei linguaggi e delle poetiche, ma essa ci ha permesso di effettuare quasi un censimento di un territorio che ha dato all’arte e alla poesia nicosiana non pochi protagonisti degni di essere conosciuti, ammirati ed imitati. Questi artisti, che hanno dedicato parte della loro produzione pittorica e poetica alla rappresentazione del Paese natale o ospitante, che l’hanno scelto come punto di riferimento, come “milieu” in cui ricercare le radici della loro identità o innestare le proprie, filtrandole, trasfigurandole, sublimandole, lasciano a tutti noi testimonianze reali che nessun mutamento dei tempi, crediamo, potrà mai cancellare. Anzi in un tempo in cui il flusso ininterrotto di messaggi e comunicazioni è spesso solo qualcosa che scorre via, le loro opere assumono la valenza di “documenti storici” sostituendosi alle fotografie e alle cartoline prive di quella sensibilità intima e personale che invece costituisce la peculiarità della poesia e della pittura. Il fatto, poi, che tanto i pittori quanto i poeti abbiano per lo più scelto gli stessi luoghi attesta che essi costituiscono i nuclei vitali dell’anima della nostra gente e giustifica i legami intercorrenti tra testi letterari e opere pittoriche, tra poesia descrittiva e pittura di paesaggio, tra letteratura e produzione pittorica, tra rappresentazione visiva e scrittura letteraria.
* Docente di Italiano e Latino presso il Liceo Classico “Fratelli Testa” di Nicosia * Docente di Italiano e Latino presso il Liceo Socio-Psico-Pedagogico di Nicosia
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1. Pittori
Sara Agozzino nasce a Cerami il 19 dicembre 1954. Dopo aver conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio F.lli Testa di Nicosia, si trasferisce a Catania dove si specializza in Riabilitazione Neuromotoria e in Logopedia. Nel 1983 si sposa e si stabilisce in provincia di Catania dove incomincia a frequentare lo studio di maestri eccellenti, quali Saro Tricomi e la moglie Liliana Zappalà. Qui Sara, innamorata da sempre dell’ arte e delle sue forme espressive, inizia il suo cammino artistico. La sua pennellata, fresca e fluida, corre sulla tela tracciando e delineando, quasi per istinto, forme reali e sogni. I primi lavori sono prettamente realisti, ama dipingere paesaggi e oggetti della sua amata Sicilia esaltandone forme, colori e luci. Molto struggenti i suoi paesaggi, dai colori tersi, immersi nella luce dell’imbrunire che sprigionano una calma apparente, innaturale, quasi a nascondere un bisogno di essenzialità, di affetti, d’infinito, di Dio. Nel 1988 si trasferisce per lavoro a Nicosia e incomincia a frequentare un gruppo di artisti nicosiani. Insieme a loro prende parte a quasi tutte le esposizioni locali e a tutti gli eventi, quali: la 2ª Rassegna d’Arte Contemporanea “Città di Nicosia” presso il palazzo comunale, la Mostra itinerante promossa dal Kiwanis, distretto di Nicosia, avente come tematica le nove città siciliane. Nel 1999 e nel 2000 partecipa a due estemporanee: la seconda e la terza edizione “Il museo oltre le mura” sui temi: “Personaggi e luoghi nicosiani” e “Il giubileo del 2000”. Ha partecipato, inoltre, ad altre estemporanee sul SS. Salvatore e a diverse edizioni delle infiorate nicosiane organizzate dalla Fidapa. Ultimamente Sara ama realizzare figure di donne che esprimono, in modo intimo e discreto, i loro sogni, le loro aspirazioni, il loro bisogno di realizzazione. La prima opera proposta, che ritrae uno squarcio paesaggistico colto attraverso il colonnato romanico della chiesa del SS.Salvatore, invita lo sguardo a distendersi dalle evidenze in primo piano alle prospettive evanescenti dell’orizzonte, dove luce e ombra convergono in una sintesi dagli effetti seducenti. Nell’altro dipinto, incentrato su un suggestivo interno dominato dalla figura di San Felice, l’artista riesce a comunicare forza all’atmosfera rappresentata, a conferire espressività al santo, a dare forza vibrante ed energia anche ai partico177
Sara Agozzino
S. Agozzino, Portico del SS. Salvatore
S. Agozzino, S. Felice e il miracolo delle colombe
lari, dimostrando che dietro ogni cosa rappresentata c’è l’anima che naturalmente sostiene il progetto stesso. Entrambi i lavori segnano la raggiunta maturità dell’artista, in quanto fanno emergere in maniera evidente le caratteristiche salienti della sua produzione: il preciso e rigoroso studio prospettico, l’analisi minuziosa dei particolari, l’assoluta conoscenza dei valori pittorici della luce e del colore. Si nota, inoltre, un gusto particolare nell’inquadratura, nel taglio compositivo e nell’impostazione del soggetto.
Pino Bonelli
Pino Bonelli nasce il 21 marzo 1947 a Nicosia, dove opera da più di 35 anni. L’artista frequenta gli ambienti artistici di Catania e di Palermo abilitandosi all’insegnamento di Discipline pittoriche e di Educazione artistica. Grazie al suo ricco bagaglio artistico-culturale consegue premi, medaglie, trofei, coppe e diplomi in campo nazionale e regionale e partecipa a diverse Collettive ed Estemporanee. “Pino Bonelli nel suo iter artistico rimane fedele, perchè ne è convinto, ad alcuni suoi principi: la pittura mediterranea non può essere che solare; l’immaginario idealizzato deve sgorgare dalla realtà; l’artista, che opera nel proprio territorio ha il dovere di immortalare ciò che sfugge col tempo e di mostrare, anche ai distratti, ciò che è bello, ciò che è utile, ossia le rappresentazioni spirituali ed umane delle nostre comunità” (Francesco Cuva). Si avverte, infatti, nelle atmosfere da lui dipinte il legame emotivo che si stabilisce tra l’artista e il soggetto, la volontà di mediare il dialogo tra la molteplicità di sensazioni, che lo assalgono quotidianamente, ed il bisogno di comunicare agli 178
P. Bonelli, Veduta del SS. Salvatore
altri il mondo delle emozioni; crea così opere che possono considerarsi pagine aperte sulla condizione psicologica che anima le sue creazioni. Il suo “credo” nell’arte supera ogni frontiera e ogni barriera di mode e di correnti, e si afferma in virtù di una forza creatrice particolarmente fertile e singolare. Bonelli estrinseca attraverso il segno e i suoi colori una energia dinamica, spigliata, propulsiva e possiamo cogliere nella spazialità della tela quali sogni, quali visioni, quali ideali albergano entro i meandri della sua spiritualità, che da sempre hanno costituito la realtà del suo mondo pittorico. Il paesaggio spesso si accende di cromìe: basta un cespuglio, che si abbarbica contro un muro baciato dal sole, per dare motivo al pittore di comporre una pagina di grande suggestione. Non sempre, però, nei suoi quadri, i colori sono accesi, caldi, vividi, anzi talvolta il suo “discorso” pittorico appare impregnato di una visione pessimistica, rappresentata simbolicamente da suggestive atmosfere metafisiche, da alberi contorti, da paesaggi cupi e dolorosi, da cui trapela la drammaticità dell’attuale momento storico, il bisogno interiore dell’artista di fuggire la trista mediocrità del presente, del quotidiano, vissuto tra violenze di ogni sorta e miseria spirituale. E’ in questi 179
casi che Bonelli, uomo ed artista sensibilissimo ed attentissimo alle mille e continue trasformazioni in atto nella società contemporanea, con grande sintesi di coinvolgimento e notevole potenza espressiva, lascia affiorare liricamente nella matrice del “soggetto paesaggio” l’angoscia esistenziale.
P. Bonelli, Piazza Garibaldi
P. Bonelli, Paesaggio di Nicosia “La Costantissima”
P. Bonelli, Veduta del SS. Salvatore e di una parte della città
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Vincenzo Candurra nasce a Palermo nel 1962. Pittore figurativo, artisticamente autodidatta, compie liberamente la sua formazione culturale e i suoi studi pittorici e artistici alimentando la sua passione per l’arte ed affinando via via le sue innate qualità. Nel 1996 inizia ad esporre le sue tele e nelle varie mostre, personali e collettive, che da allora si susseguono, riscuote significativi riconoscimenti di pubblico e di critica. Partecipa nel 1999 alla Rassegna di pittura “Nicosia oltre le mura”, ma preferisce esporre le sue opere in mostre personali di pittura, allestite in diverse città siciliane: Corleone (dicembre 1999), Palermo ( novembre 2000, presso le ex-scuderie di Villa Niscemi, dimora privata del Sindaco di Palermo prof. Leoluca Orlando), Sperlinga ( agosto 2001, presso il Castello medievale), Gangi (agosto 2002, presso il palazzo Buongiorno), Cefalù (settembre 2003, presso il Comune), Leonforte (dicembre 2003). “Vincenzo Candurra è un pittore che si porta dentro sensibilità, umori, estri e soprattutto …quel legame con la terra che assorbe la vita e alla vita dà il suo epicentro…Un tessuto cromatico il suo che, scavando dentro le cose…, sa farsi linguaggio pittorico …quando, attraverso un’aggressiva trama coloristica, …descrive il paesaggio forte di contrasti… C’è nella pittura di Candurra un’eco lontana di moduli pittorici guttusiani che si esprime in quella pennellata forte, in quell’estro coloristico che sta in bilico tra ambientalismo passionale e richiami impressionistici; un’eco che rende il suo lavoro pittorico credibile e aperto a nuovi approfondimenti”. (Emanuele Giudice). Attraverso la pittura, Candurra sprigiona una straordinaria libertà espressiva, non condizionata da schemi o regole. Pittore di nature morte, di ritratti, ma soprattutto paesaggista, riesce a cogliere nell’atto pittorico il respiro, il profumo, il suono e la luce presenti in quell’unico ed insostituibile momento della scena ritratta. I due paesaggi proposti sono
Vincenzo Candurra
V. Candurra, Veduta del Castello e di S.Maria Maggiore
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V. Candurra, Veduta del SS. Salvatore
caratterizzati da grappoli di case abbarbicate all’adottiva Nicosia, da una prospettiva di luci, ombre e colori che dona profondità alle opere, modellando uno spazio fisico aperto e arioso che appare quasi in rilievo. Lo sguardo dell’osservatore, avvolto nella luce calda e forte del sole, si estende oltre i limiti fisici della tela, ed è spinto a cercare l’intenso profumo della vegetazione mediterranea, tipica del nostro territorio collinare. Ogni cespuglio, ogni balla di fieno, ogni ciuffo d’erba viene affrontato con estrema cura formale, trattato come un microcosmo, lasciato ora in ombra e ora riempito di colore, ma sempre “auscultato” in silenzio e in contemplazione dall’artista, che pone tutta la sua attenzione sulle cose, anzi sulla natura delle cose, riuscendo a creare atmosfere evanescenti e suggestive, tipicamente impressioniste, a trasmettere con la sua personale tecnica pittorica intime vibrazioni e a comunicare direttamente suggestioni ed emozioni di grande levità. A suo modo Candurra è un poeta dell’atmosfera, delle piante, del silenzio, tutti elementi che vengono accolti dal suo temperamento meditativo e tenero, tendente a superare la realtà per evidenziarne quella più nascosta e complessa, e… forse per celare dietro un “brano di verità” una sottile e quasi impercettibile malinconia. 182
Annalicia Caruso. E’ nata a Nicosia (En) il 21 maggio1969, ha frequentato l’Istituto d’Arte di Enna, l’Istituto Professionale per Disegnatrici e Stiliste di Moda di Nicosia e nel 1990 ha conseguito il Diploma in Storia dell’Arte Contemporanea presso l’ Accademia di Belle Arti di Bologna (Decorazione) presentando la tesi “Musica e Pittura – Interpretazione pittorica di testi scelti di Franco Battiato”. Attualmente vive a Bologna, dove ha avuto modo di arricchire il suo percorso formativo frequentando la scuola libera del nudo all’Accademia di Belle Arti e corsi annuali di Decorazione murale, di Grafica, di Acquaforte e Collografia. Dopo essersi dedicata a svariate forme d’arte (china su carta, acquarello su carta e su tela, pastelli ad olio, carboncini su carta, tecnica mista su legno e carta, su garza, illustrazioni di testi stampati per Babele e Signum di Firenze, opere con cera e foglia d’oro, stampe calcografiche acquerellate a mano, decorazioni murali, trompe-l’oeil1, ecc.) si è affermata come artista professionista nel campo dell’incisione e della grafica. Infatti è produttrice e fornitrice esclusiva di incisioni originali, presso negozi specializzati di varie città d’Italia (Firenze, Positano, Bologna, Nicosia, Sperlinga) ed ha recentemente progettato una serie di 38 incisioni all’acquaforte acquerellate a mano e inchiodate su legno di betulla marina (su commissione della Farmacia del Corso di Bologna), che verranno esposte nella mostra personale “Di che fiore sei” che si è tenuta nel mese di gennaio 2008. Sin dal 1989 ha esposto le sue opere in più mostre personali, allestite sia nella sua città di origine e a Sperlinga, sia a Ferrara e a Bologna. Dal 1993 al 2007 ha al suo attivo un considerevole numero di mostre collettive organizzate a Nicosia ( I e II Rassegna d’Arte Contemporanea, “Città di Nicosia”; I, II, III Edizione “Il Museo oltre le mura” con estemporanee sui temi “ I soggetti del Tetto ligneo dipinto della Cattedrale”, “Personaggi e luoghi nicosiani”, “Giubileo 2000”) e a Bologna (“L’Ospedale a Colori”, concorso organizzato dall’Istituto ortopedico Rizzoli;“Giovani Artisti al Baraccano”; “Bologna capitale culturale 2000”; “Die Zeit. Il tempo nella Pittura contemporanea“; “De Itinere. Il viaggio attraverso la Pittura”; “Mostra collettiva presso la Galleria Saragozza “; “Trenta per cento”; “Nuovi illustratori e viaggi straordinari. Il giro del mondo in ottanta giorni, omaggio a Jules Verne”; “IO DiViso” ;“In fila per quattro”). Le sue opere sono state esposte in molte altre località italiane: Ferrara, S. Pietro in Casale, Vignola, Dorsoduro, Bagnacavallo, Albissola marina, Bodio Lommago, Acquiterme. Due sue opere - il “Dipinto di S. Damiano” (realizzato in occasione del Convegno “Il Soffitto dipinto della Cattedrale di Nicosia”, tenutosi nel 2000) e “Nicosia sottosopra” (realizzata nel 2001) - sono visibili, rispettivamente, presso il Comune e il Liceo Scientifico “Ettore Majorana” di Nicosia, a cui sono state donate.
Annalicia Caruso
1 La tecnica del trompe-l’œil (inganna l’occhio) consiste nel dipingere uno sfondo apparentemente reale su di una parete con l’intento di ampliare gli spazi.
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A. Caruso, Fontana di Piazza Garibaldi
A. Caruso, SS. Salvatore
La Caruso ha partecipato a numerose mostre internazionali per l’Incisione allestite in Italia (Torino, Acqui Terme, Bodio Lommago), in Romania, in Polonia, in Austria. Ha vinto il 1° premio per ben tre volte per l’ “Abbellimento dei Quartieri” nella Città di Nicosia (edizioni ‘94,’95,’96) ed una quarta volta per l’Espressionismo Astratto “Cosmè Tura” a Ferrara (Galleria Alba,1998). Grazie al suo talento artistico e ai premi ricevuti, è stata inserita in vari cataloghi e citata in recensioni e notizie su varie riviste, quotidiani (siciliani, bolognesi e nazionali) e in siti web (www.cmc.ro - www.babelefirenze.com, www.equilibriarte.org) ricevendo significativi riconoscimenti e positive critiche. 184
Gli acquarelli proposti, che hanno come punto di riferimento luoghi di Nicosia, sono di intensa descrizione figurativa, di inestimabile fascino grazie alla capacità dell’artista di esprimerne l’impalpabile, velata, delicata atmosfera con colori morbidi, trasparenti, e pennellate libere. Il suo tratto, reso forte e deciso mediante la puntasecca, che graffia la carta con segni rapidi e sicuri, viene addolcito dalle sfumature impalpabili della pittura ad acquerello, che rende sfumato il colore fino a renderlo trasparante e crea negli occhi dell’osservatore un’atmosfera di sogno, un silenzioso e ammirato stupore. Alla tecnica incisoria, attenta e ragionata, l’artista associa la tecnica della pittura ad acqua, immediata e pura dove il suo animo sensibile si specchia. In tutte le opere, eseguite dal vero, si percepisce inoltre il desiderio che ogni luogo, ogni particolare raffigurato rimanga così per sempre, lasciando che ciascuno lo riempia con le sue emozioni.
A. Caruso, Trompe l’oeil
A. Caruso, Cattedrale e Torre campanaria A. Caruso, Chiesa di S. Giuseppe
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Filippina Diffini nasce a Nicosia dove tuttora vive, svolge la professione di insegnante ed opera nel settore del volontariato. Dopo aver frequentato il Magistrale “Sacro Cuore” di Messina, ha conseguito la laurea in Scienze religiose presso l’Università di Roma. Affascinata sin da giovane dalle espressioni artistiche, ha sempre nutrito nel cuore il desiderio di potersi esprimere come artista, finché questa passione, coltivata per anni, mista alla voglia di cimentarsi e di scommettere su se stessa, non l’ha spinto a prendere lezioni dal Maestro Antonio Navarra con totale dedizione alla pittura. Benché avesse qualche trascorso pittorico alle spalle, tuttavia mostra subito la sua vena artistica in occasione di una mostra collettiva al Palazzo Municipale di Nicosia (2000) e nelle varie edizioni di “Artissima” (2001,2002,2003). Successivamente, dal 2004 al 2007 partecipa ad Filippina Diffini una miriade di mostre personali (allestite a Giardini Naxos, Sant’Alfio, Sant’Alessio Siculo) e collettive esponendo i suoi quadri in prestigiose gallerie d’arte, fra cui: “Firme d’autore” (allestite ad Agrigento, Mandelieu in Francia, Vigo in Spagna), “Centro Diffusione Arte” di Palermo, “Scene Art Space” di Milano, “La Telaccia” di Torino, la “Galleria Centro Storico” di Firenze, “La Spadarina” di Piacenza. Riceve numerosi riconoscimenti in diversi concorsi nazionali ed internazionali: – nel 2005 : 1° Premio assoluto sez. Pittura Figurativa –A.SS.I.S.ART. Italia – La Spezia; 1° Premio della Critica al Gran Galà dell’Arte a Porto Venere; 3° Premio al concorso internazionale di Arte, organizzato dall’A.S.C.A.M.E.S. di Caltanissetta; Premio Oscar della cultura 2005 -V Edizione - per la classe pittura a Firenze; 1° Premio Internazionale – Lago di Lugano; – nel 2006 :1° Premio della Presidenza al “Grand Prix dell’Adriatico” di Riccione e il Trofeo della Critica al Concorso Nazionale “La Spadarina “ di Piacenza; – nel 2007: 1° Premio Internazionale “Città di Roma” per il figurativo- Arcos del Valdevez- Portogallo. I suoi quadri - in cui sono rappresentati paesaggi che riflettono il cielo limpido d’autunno, nature morte iper-realiste che sembrano balzare fuori dalle tele, strumenti musicali appoggiati con garbo su superfici che danno l’idea del vissuto - si avvicinano molto alla realtà e rivelano la capacità della pittrice di assaporare la magia della vita e l’energia che da essa scaturisce. L’artista è presente nei più prestigiosi cataloghi e annuari d’arte moderna e contemporanea, quali: Annuario d’arte moderna 2006, Avanguardie Artistiche 2006, Annuario d’arte moderna 2008. Inoltre sulle sue opere, sulla sua creatività, sulla bellezza della sua anima hanno espresso giudizi lusinghieri: Giorgio Falossi, Gerard Argelier, Mariarosaria Belgiovine, Francesco Chetta, Elena Cicchetti, Michel Verdant. Ed ancora il critico d’arte Pikassò scrive: “Filippa Diffini sa che l’arte non è solo essere: l’arte è divenire, è manifestare, è esprimere se stessi… lo sa…. F. Diffini, Natura morta (1° premio internazionale “Lago di Lugano”) 186
Ed avanza un’idea, la concretizza sulla tela attraverso un immediato coinvolgimento emotivo e trasmette la sua sensazione a noi, affinché possiamo coglierne la vera essenza”. Ed un altro critico francese, Gerard Argelier, aggiunge: “ …le sue cromie seguono le certezze della fedeltà ottica, affrontando le ritmiche sfumature, concentrandosi sulle richieste di una segnica evocativa. Un talento prepotente, che ribadisce la formalità classica con elementi ricchi di fisicità, prendendo spunto dalle cose vere della vita…” Nel quadro La roccia-S. Felice da Nicosia l’abilità tecnica trova un forte connubio con la creatività. L’artista, infatti, partendo da percezioni visive, interiorizzate e fatte proprie grazie alla sua sensibilità, è riuscita ad esprimere il suo mondo interiore, visionario e fantastico, con un linguaggio pittorico ricercato e del tutto personale. Non v’è dubbio che tra “essere” e “apparire” c’è il ponte del sogno, un cosmo affascinante, arcano, misterioso, c’è la vivacità creativa, libera di interpretare emozioni, sensazioni, suggestioni con uno schizzo di surrealtà.
F. Diffini, Violino (1° premio internazionale BOE’)
F. Diffini, La roccia-S. Felice da Nicosia
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Claudia Emanuele
Claudia Emanuele. Nata a Nicosia il 27 marzo 1981, consegue il Diploma di maturità d’arte applicata (sez. Decorazione Pittorica e Scenografica) presso l’Istituto d’arte “M. Cascio” di Enna e poi il Diploma (sez. Decorazione) presso l’Accademia di Belle Arti di Catania con il massimo dei voti, si abilita all’insegnamento di Disegno e Storia dell’arte e perfeziona le sue competenze con un Master in Metodologia della Storia dell’Arte. La sua ricerca artistica si rivolge principalmente allo studio dei monumenti e delle opere che costituiscono il grande patrimonio nicosiano, tanto che sceglie come oggetto della sua tesi di Laurea Specialistica l’imponente struttura architettonica della Chiesa di S. Michele. Nel corso della catalogazione dei beni artistici e culturali presenti all’interno della chiesa, fra i materiali di risulta, scopre una statua in cartapesta raffigurante la Pietà, parzialmente distrutta e ormai abbandonata al suo totale deterioramento, e spinta dal suo amore per l’arte si dedica al suo restauro e al totale rifacimento delle parti mancanti (testa, braccio e piedi del Cristo). Nell’aprile del 2007 l’artista la riconsegna in donazione alla parrocchia di S. Michele, luogo sacro di appartenenza. Artista eclettica partecipa a molte iniziative artistiche, nazionali ed internazionali. Il suo percorso inizia nel 2001 quando partecipa a due progetti organizzati dall’Accademia di Belle Arti di Catania: la Mostra di restauro e il Progetto Odeon per la progettazione di un decoro urbano nel centro storico della città; prende parte alla Collettiva di pittura organizzata dal Comune di Nicosia, presentando un’opera in attinenza al tema: “Fisiognomica: Il volto umano e i suoi segreti”. Nel 2002 espone le sue opere al Museo Civico Castello Ursino di Catania in occasione dell’evento “Prima parete in concerto”, dona un’opera pittorica all’associazione AVIS che la pubblica nel calendario 2003, partecipa a due eventi organizzati dal Comune di Nicosia: Collettiva d’arte “Il museo oltre le mura” e Mostra di pittura “Le donne al baglio S. Pietro”. Nel 2003 partecipa alla Terza Biennale Internazionale d’Incisione a Monsummano Terme, a due Estemporanee di pittura organizzate dal Comune di Nicosia: “Expo” e “La tavolozza degli artisti negli angoli del SS. Salvatore” e successivamente al progetto “Coloriamo gli Ospedali” eseguendo pitture parietali nel reparto pediatrico dell’Ospedale Vittorio Emanuele di Catania. Nel 2004 partecipa alla Biennale Internazionale d’Incisione (organizzata dal Centre Culturel Le Toboggan, di Decines in provincia di Ljon), al Concorso nazionale di Pittura: “Il lavoro che cambia” ed al Concorso d’Arti visive Em’arte 2004 di Livorno e pubblica un saggio d’arte moderna e contemporanea (casa editrice Il Lunario, Enna) Nel 2005 partecipa al “Premio Acqui. VII Biennale Internazionale per l’incisione” (patrocinata dal Rotary International), a “Percorsi, nei luoghi dell’incontro quotidiano” ( a cura dell’Accademia di Belle Arti di Catania), al progetto “500 Bandiere per essere città” ( a cura dell’Associazione Fiumara d’Arte), al Premio Open’Art. Nel 2006 vince il II° Premio della sezione Grafica nel Premio internazionale di pittura, disegno e grafica “Marziano Bernardi” e la sua opera grafica viene esposta nei locali della Gam di Torino, in concomitanza con le Olimpiadi inver188
La Pietà di S. Michele (prima del restauro) La statua era quella che veniva portata in processione il Venerdì santo, al seguito del Padre della Misericordia di Santa Maria Maggiore, all’epoca delle processioni dei “due Cristi”, vietata negli anni Cinquanta per le risse tra i Mariani (fedeli al Padre della Misericordia) ed i Nicoleti (che in processione portavano il Padre della Provvidenza).
La Pietà di S. Michele (dopo il restauro di Claudia Emanuele).
nali 2006; nello stesso anno partecipa al Concorso Nazionale di Arte Contemporanea Saturarte, patrocinato dalla Regione Liguria e la sua opera viene esposta al Palazzo Stella di Genova . In tutte le manifestazioni, cui ha partecipato, le sue opere, selezionate ed esposte, divengono oggetto di articoli di stampa ed inserite in prestigiosi cataloghi d’arte. Ma la sua vena artistica è inesauribile. Infatti realizza pitture murali all’ingresso del Liceo Scientifico “E. Majorana” e all’interno della Palestra “Hercules” 189
di Nicosia; affresca il soffitto nel “Bar-Ritrovo” ad Enna e progetta disegni e decori per le copertine dei maxi quaderni che la ditta Argon di Nicosia produce ed esporta in Italia ed all’estero. Nei suoi quadri colpisce la brillantezza dei colori e la luminosità delle atmosfere, simbolo della fiducia dell’artista nella vita stessa. Sognando, immaginando, correndo sulle ali della fantasia riproduce sulla tela con ineguagliabile energia creativa e talora con delicatezza espressiva le sue fole, le sue chimere e la sua ricchezza spirituale, proponendo “paesaggi” dal cielo terso e azzurro e dal sole splendente, ben lontani dalla squallida realtà e intrisi di gioiosa euforia. Siamo dinanzi ad una pittrice dalla fresca ideatività e morbidezza tonale capace di destare una suggestione di immagini vibranti. C. Emanuele, La Cattedrale e il suo portico
C. Emanuele, “Rondinelle” Portico S. Salvatore
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Liborio La Vigna. Nasce nel 1942 ad Enna, ma vive a Nicosia da parecchi anni esercitando la professione di architetto. Ha svolto studi tecnici a Enna e artistici a Palermo, dove ha conseguito la laurea in Architettura e l’abilitazione con il massimo dei voti. Ha prestato servizio per dieci anni presso un Ente di diritto pubblico. Oltre ad occuparsi di progettazione edile e di arredamento di interni, è impegnato nel design del mobile, nella cartellonistica pubblicitaria, nella grafica e nel disegno caricaturale. In quest’ultimo settore si è distinto per le vignette a sfondo politico ed ha ricevuto riconoscimenti a livello nazionale. Con il Lions International, di cui è stato per un anno presidente, ha svolto sin dal 1978/79 una intensa attività di servizio non solo collaborando alla redazione del notiziario TAVI e di quello distrettuale 108Y, ma anche impegnandosi in vari Comitati per la valorizzazione, il recupero e il restauro dei centri minori, per la tutela dei beni culturali e ambientali. Ha collaborato alla cura e alla stampa di pregevoli lavori sui Beni Culturali dell’ennese, ma soprattutto ha pubblicato due pregevoli volumi “La via del mare”, in cui ha effettuato, con autentica passione e professionalità, uno studio particolare sulla ristrutturazione territoriale della provincia di Enna e “Viaggio in Provincia di Enna” in cui propone, con lo zelo del ricercatore e l’estro dell’artista, una rivisitazione delle più importanti opere d’arte e dei siti archeologici che costituiscono il patrimonio della nostra terra. Da tutte le sue grafiche acquarellate e pitture emerge chiaramente che “il pittore ama la terra in cui è nato ed opera… si sente partecipe della storia della sua gente e ricerca nelle testimonianze i segni del passato con attenzione scrupolosa e, nello stesso tempo, critica” (Francesco Cuva).
Liborio La Vigna
L. La Vigna, La Cattedrale e il palazzo La Motta (ricostruzione)
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Si percepisce una sacra riverenza nei confronti delle opere d’arte che appaiono avvolte in un’atmosfera surreale, colte in un tempo imprecisato, prive della presenza umana, come se l’artista avesse voluto in qualche modo preservarle dall’usura del tempo e dal vandalismo imperante in questi ultimi decenni. L’Artista, partendo dall’osservazione di strutture reali, crea in perfetta armonia cromatica, opere composite di notevole precisione, efficacia, raffinatezza nelle quali ogni elemento, frutto di un processo creativo, convive in uno spazio senza tempo illuminato dalla luce solare. Il risultato non è semplicemente visione di quello che giornalmente si osserva, ma aggregazione di strutture reinterpretate con spiccata immaginazione e inserite con raffinata tecnica compositiva in uno spazio sublimato, in una dimensione quasi onirica di bellezza perfetta. Sincero, spontaneo, genuino è il suo bisogno interiore di voler comunicare agli altri il suo mondo “metafisico”, lontano dall’avvilente realtà sensibile e materiale, creando piuttosto un contesto ambientale suggestivo.
L. La Vigna, Incrocio Via S. Benedetto - Via Fratelli Testa
L. La Vigna, S.Calogero
L. La Vigna, S.Benedetto, San Calogero e SS. Salvatore
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Maria Antonella Lizzo. Nasce a Nicosia il 15 febbraio 1959, dove si diploma all’Istituto Professionale conseguendo il titolo di “Disegnatrice stilista di moda”. Autodidatta, inizia la sua attività artistica fin dai primi anni di scuola distinguendosi nell’arte della figurazione e del paesaggio. La sua pittura molto semplice e a tratti impressionistici, mette in evidenza stati d’animo, attimi, sensazioni, tradizioni. La tonalità cromatica luminosa con chiaro-scuro evidenzia un leggibile linguaggio dei colori. Nel 1997 prende parte per la prima volta ad un concorso di pittura sul tema : “La conoscenza rende liberi. Nicosia: Persone – Storia – Tradizioni e Luoghi” presentando un dipinto ad olio su tela “La questua del Beato Felice”. Nel dipinto, che raffigura il Beato (oggi Santo) durante la sua vita terrena alla ricerca di elemosine per il convento, la Lizzo lo immagina mentre riceve una pagnotta da una massaia nicosiana, ricambiata da S. Felice con un’immagine della Madonna e con una manciata di fave lesse per il figlio che gli tende la mano. Interessante è lo sfondo del quadro in cui è visibile l’antico convento dei Cappuccini (prima
Maria Antonella Lizzo
M.A. Lizzo, La questua del Beato Felice
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M.A. Lizzo, Fusione e contrasto
M.A. Lizzo, Villetta di S.Francesco di Paola
che una parte di esso fosse adibita a carcere), cui si perveniva attraverso una strada sterrata . Nel 1999 partecipa alla 2ª Estemporanea di pittura organizzata dall’Oratorio S.Paolo e “en plein aire” dipinge uno scorcio della “Villetta di piazza S. Francesco di Paola” addobbata a festa, conquistandosi il 1° premio (ex aequo). Nel 1999 e nel 2000 è presente alla 2ª e alla 3ª Rassegna “Il museo oltre le mura” e, nell’estemporanea organizzata nella piazzetta antistante la chiesa di S.Calogero, dipinge una tela ad olio dal titolo “Il perdono”in attinenza al tema “Giubileo 2000”, donata successivamente alla chiesa di S. Paolo. Nel 2001 partecipa alla collettiva “Nicosia, Arte 2001” con varie opere, tra cui molto apprezzata è stata “La siesta”in cui viene rappresentata una ragazza che fa la pennichella con un gatto in braccio sotto i gelsomini. Nel 2002 in occasione del decennale dell’Avis, dona all’associazione una tela ad olio “Fusione e contrasto” in cui la pittrice si esprime con tecniche e contenuti d’avanguardia. Se la prima opera, “La questua del Beato Felice”, è improntata alla rappresentazione di una pittura realistica, negli anni successivi la Lizzo mira a superare l’oggettività per cogliere la faccia nascosta del reale. Nel dipinto premiato, intitolato “Villetta di Piazza S.Francesco di Paola”, sarebbe improprio definire “realista” il metodo di questa artista, in quanto la precisione analitica e l’esattezza del segno non sono altro che strumenti per attivare, attraverso particolari, una diversa prospettiva del “vedere”. Infatti, dietro l’obiettività di questo apparente realismo, attestato dalla presenza di uno scenario rappresentativo noto, scorre una energia tutt’altro che meccanica, che porta alla ribalta la capacità dell’artista di superare la soglia che divide l’apparenza dal reale. A rovesciare ogni funzione mimetica è la presenza in primo piano della ragazza seduta sulla panchina, che, indossando un abito scuro e leggendo una pagina di giornale su cui è riportato il dramma del Kosovo, contrasta con il clima festoso sottolineato dalle bandierine colorate. La pittrice non si limita a suggerire un tema, ma racchiude dentro la superficie del quadro le inconfessate angosce attraverso “colori portatori di significati a lungo indagati”.
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Teresa Maimone Baronello. L’artista Teresa Maimone Baronello nasce il 13 novembre 1957 a Nicosia (EN), dove vive e lavora coniugando l’interesse per l’arte con il lavoro e la famiglia che la sostiene e la incoraggia in ogni suo progetto. Fin dall’infanzia manifesta la sua passione per il disegno, la pittura e la creazione di oggetti artistici di vario genere e nel 1979 frequenta un “Corso di arte plastica” a Guanare in Venezuela, dove la sua famiglia di origine si era trasferita per un certo periodo . L’esordio nell’ambiente artistico nicosiano risale al 1991, quando il maestro Pippo Bonelli organizza la “Prima mostra di artisti nicosiani”. Amante del suo lavoro, collabora all’organizzazione della “2ª Rassegna d’arte contemporanea”, come componente del comitato artistico nicosiano. Dal 1997 ad oggi è presente in tutte le mostre collettive e in estemporanee d’arte organizzate dal Comune (“Il museo oltre le mura”, “Luoghi e personaggi di Nicosia”, “Giornata nazionale donazione e trapianto” , “EXPO-Nicosia arte”, “Estate 2004”, “Le donne al Baglio S. Pietro”, “Nicosia città d’arte”, “La tavolozza degli artisti negli angoli del SS. Salvatore”,“Festa dell’Emigrato – percorsi per le pari opportunità”) e da associazioni (Kiwanis Club VI Divisione; Università del Tempo libero “Marcello Capra”; Federcasalinghe; Liceo Classico “F.lli Testa” di Nicosia) ricevendo sia a Nicosia che nei paesi viciniori numerosi riconoscimenti e premi. Vince, infatti, il 1° premio sia nell’Estemporanea di pittura organizzata a Nicosia per i festeggiamenti in onore di “S. Francesco” (1999), sia alla Mostra EXPOART svoltasi nel 2001 nel comune di Assoro (EN) col quadro dal titolo “Simbiosi” , premiato, come si legge nell’attestato “per la eccellente pratica pittorica, …per la bravura tecnicocoloristica” e per aver “comunicato all’osservatore una poetica romantica e non retorica, intrisa di ragionevolezza ed equilibrio che ispira al buon senso”. Partecipa anche a manifestazioni artistiche organizzate nei paesi viciniori (Castello rupestre di Sperlinga, Enna Bassa, Piazza Armerina, Pergusa, Mistretta) e alle Infiorate organizzate dall’Associazione Fidapa di Nicosia. Dona un’opera pittorica all’Ospedale “C. Basilotta” di Nicosia nel 2001, un’altra all’associazione Avis, che la pubblica nel calendario 2003 per la raccolta di fondi da devolvere per opere di beneficenza ed altre ancora a diversi Enti pubblici. I suoi lavori, di chiaro stampo figurativo con evidenti tracce impressionistiche (tanto che il maestro Pippo Bonelli ha definito lo stile della Maimone “real-fantastico”) colpiscono l’animo dell’osservatore sia perché sono espressione della sua grande sensibilità e del suo carattere solare, sia per l’uso dei colori freschi e armoniosi. Oggetto della sua espressione artistica sono paesaggi, ritratti, marine e nature morte, ma la sua indole eclettica la porta a creare anche vetrate legate a piombo, dipinte o stile Tiffany, a realizzare composizioni floreali con fiori veri e finti (prestando particolare interesse allo studio sull’Ikebana, arte giapponese che le consente di scoprire la bellezza della natura affiancata all’armonia dello spirito), a trasformare oggetti fuori uso o deteriorati attraverso la fusione, la manipolazione e l’ assemblaggio di materiale di riciclaggio dando vita a nuove forme e ad altro impiego. Così un cestello di lavatrice diventa una graziosa fioriera oppure un portariviste; una manciata di ferri di cavallo, una rete metallica, una corda, 195
Teresa Maimone Baronello
T. Maimone, Chiesa di S. Benedetto
T. Maimone, Rocca di Pietralonga
T. Maimone, Il fiume Salso
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un tubo di gomma e un lamierino si trasformano in un attaccapanni che funge anche da pannello decorativo. Di innate qualità artistiche, grazie alla sua notevole esperienza maturata negli anni dedicati alla pittura, l’artista acquisisce un particolare gusto del colore, predilige la luminosità degli spazi, accosta i colori con grande padronanza e perizia tecnica per ottenere così una perfetta composizione. Le sue opere impreziosite di personali tocchi e di delicati segni, che certamente contraddistinguono e connotano le sue opere, sono uniche. In alcuni quadri della Maimone la natura diventa motivo di fantasia, di sogno, una pittura “a macchia” dai colori forti, contrastanti, carichi di vivacità e di luce che avvolgono il cosmo immaginario dello spettatore. In altri la sua pittura s’incentra su paesaggi ricchi di particolari, dalla stesura equilibrata, pervasi dalla luce autentica di una tavolozza ricca e viva che trasforma i luoghi in racconti poetici. L’artista aderisce alla natura ricreando spazi immersi in un’atmosfera limpida e solare rivelando l’esigenza di ampi respiri; ogni scorcio paesaggistico è vivacizzato con il colore che ben si amalgama con le sue emozioni interiori svelando, tramite pennellate armoniose e corpose, tutta la sua sensibile espressione creativa.
T. Maimone, Campanile di S. Antonio e Chiesa del S.S. Salvatore
T. Maimone, Veduta notturna di Nicosia
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Sara Raimondi
Sara Raimondi. Nasce nel 1957 a Nicosia dove è cresciuta e vive con la sua famiglia. In servizio presso l’AUSL offre il proprio contributo a quanti necessitanod’aiuto nell’ambito della attività che svolge. Dopo aver messo da parte per qualche anno la pittura, sul finire degli anni Novanta, lega la sua ricerca tecnica alla passione che più lo entusiasma: la pittura realistica, che riproduce l’oggetto per quello che è senza caricarlo di valenze simboliche. Ha partecipato sin dal 1999 a varie manifestazioni d’arte organizzate a Nicosia: mostre di pittura, expo ed estemporaneee. Ha partecipato: alla 2ª Rassegna “Il Museo oltre le mura” (organizzata dal Comune di Nicosia nell’agosto del 1999); all’Estemporanea di pittura regionale e alla Rassegna d’arte contemporanea del luglio 2002; alle Estemporanee di pittura organizzate dal Comune di Nicosia: “Expo” e “La tavolozza degli artisti negli angoli del SS. Salvatore”, tenutesi entrambe nel mese di agosto del 2003 e del 2005; alla Mostra di pittura collettiva “Le donne al Baglio San Pietro” nel 2003; alla mostra organizzata a Nicosia nell’agosto del 2004, alle mostre di pittura in occasione della festa dell’emigrato (agosto 2006) e del mercato dell’artigianato e dell’agroalimentare (settembre 2006). Dedita a vari generi di creazioni artistiche, è anche appassionata di dècoupage ed è stata docente presso l’Università Popolare del Tempo libero di Nicosia. Nel quadro che riproduce la Chiesa del SS. Salvatore degno di nota, a mio avviso, è il disegno, nitido, preciso, cristallino, molto curato, teso ad identificare lo spazio e la struttura architettonica che ha colpito il suo estro, la sua fantasia. Nel dipindo la forma predomina sul colore, la struttura sull’effetto chiaro-scurale, la ragione sull’istinto. La Raimondi crea un rapporto tra la struttura architettonica e la resa del paesaggio, sistemato sul piano compositivo con un dosato equilibrio di toni cromatici. L’artista, pur movendo dalla consapevolezza di fissare la realtà, le imprime quel guizzo lirico che la sospende in una posizione d’incanto, ma soprattutto la estrania dal mondo fisico, realizzando quel tratto di congiunzione fra la memoria e le esperienze acquisite, tra la fantasia e il contatto con il reale. Inoltre, da tempo, Sara si è dedicata a comporre poesie in dialetto gallo-italico per dar voce alle proprie sensazioni ed emozioni ed ha anche partecipato ad un concorso.
R. Raimondi, Chiesa del SS. Salvatore
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N´côscìa
Nicosia
Tutô cangià o´ têmpô e i g´nti macara a N´côscìa; certê cosê, però, sô i stisci d´ quandô don Carm´nôzzô a Gigghia scr´vìa. N´n ggh’è l’èôgua, i stradê sô rrotê, i cr´stiài ni´ntô anô d´ fè ch´ cchiacchiariè. Cômpà Cola, centô anê fa, avìa rasgiòn: mancô i miei uôgghi l’anô vistô a ferrovia; anzô, i stradê sô trazierê. A N´côscìa n´ ddam´nt´ma, mandêma giastêmê ma sôppôrtêma tuttô. A spranza L’ùa nê cr´stiai, assai so tristi, ma ghiê n´ sô΄ tant´ boi; sm´ttmôla d´ ddam´ntenê n´n p´nsêma sôlô i nostr´ guai dêma aiutô da chi ghj’a cchiù b´sognô d´ nôi.
Tutto è cambiato il tempo e la gente anche a Nicosia; certe cose, però, sono le stesse di quando don Carmelozzo La Giglia scriveva. Non c’è l’acqua, le stade sono rotte, le persone niente hanno da fare se non chiacchierare. Compare Cola, cento anni fa, aveva ragione: neanche i miei occhi l’hanno visto la ferrovia; anzi le strade sono trazzere. A Nicosia ci lamentiamo, mandiamo imprecazioni ma sopportiamo tutto. La speranza ce l’ho nelle persone, molte sono cattive, ma ce ne sono tante buone; smettiamola di lamentarci non pensiamo solo i nostri guai diamo aiuto a chi ha più bisogno di noi.
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Orazio Reitano
Orazio Reitano. Pittore di grande talento (Catania 1937-2004), svolge la sua attività nella città natale partecipando a numerose mostre personali (Galleria Stranissimo, Siena, 1981; Premio Valbruna, Gabicce, 1981 e 1982; Premio Valbruna, Sala “Antico Seminario” Pesaro, 1983; Arte Club, Catania, 1988) e collettive, organizzate in città siciliane e italiane (“Un museo per la città”, Siena, 1984; “Verifiche pittoriche”, Siena, 1985; Presenza Galleria Steffanoni, Milano, 1987; Fiera Internazionale delle Gallerie, Bologna, 1988; “Tracce e segnali”, Palazzo Steri Palermo, 1991; “Indagini e proposte”, Galleria B. Sicilia, Palermo, 1992; Mostra Nazionale d’arte, Firenze,1992; “La scrittura del nostro tempo nel Mediterraneo”, Albergo reale dei poveri Palermo,1994; “Arte e Solidarietà 4° “, Oasi Maria SS., Troina,1998). Ritrattista e paesaggista, “dal 1963 al 1980 ricerca e sperimenta tecniche pittoriche antiche. Da qui la sua tendenza al classico autentico, che non sa di scuola, né di modernismo: la coloristica si restringe al massimo, e la linea di contorno ne beneficia. Usa, ad impasto e a velatura, gli stessi colori, nella ricerca di una essenzialità arcaica, forse fino all’idea.” (Giovanni Capuzzo, da Sicilia- Arteoggi, Ed. Terrasanta, 1995). A proposito delle figure femminili ritratte dal pittore, Gilberto Madioni scrive: “C’è nei nudi di Reitano una purezza che assomiglia a quella delle donne del Dolce Stil Novo…, c’è quella delicatezza interiore che è tipicamente femminile. La materia di Reitano è molto più sofisticata di quella di Pietro Annigoni, in quanto il maestro siciliano raggiunge la completezza del dipinto dopo numerose velature e sovrapposizioni di luci e di ombre, fatte di colore, fino ad arrivare ad una patina finale che richiama molto il passato”. Ed ancora Riccardo Campanella aggiunge: “La figurazione di Orazio Reitano si svolge verso l’ideazione di una donna fuori del tempo, che propone il suo fascino, seguendo il modulo antico della ricerca estetica, nel segno di un equilibrio che conferisce al volto femminile raffigurato il senso di una dimensione spirituale sottilmente modulata”. Tutta la sua opera pittorica è segno di un genuino approfondimento del mondo poetico dell’autore, per cui i soggetti pittorici perdono le loro caratteristiche fisiche per assumere connotazioni sentimentali. Nel quadro “Ritratto di donna”, in cui la figura emerge dolcemente dall’ombra, con morbidezza plastica e tenui
O. Reitano, Chiesa e campanile del SS. Salvatore
O. Reitano, Volto di donna
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velature, l’artista offre la prova della sua profonda adesione alle motivazioni interiori. Trasferitosi a Nicosia nel 1983, ha decorato a tempera la nicchia della chiesa di S.Cataldo e, ispirandosi al Duomo della nostra città, ha disegnato due pregevoli carboncini, che si trovano uno nel Palazzo comunale e l’altro nella abitazione di un privato; ha, inoltre, riprodotto ad olio una veduta di Nicosia, che comprende parte del quartiere di S. Maria Maggiore, e la chiesa e il campanile del SS. Salvatore. Entrambi i quadri proposti, costituiscono squisite soluzioni artistiche, generate da uno strenuo sforzo di osservazione dei fenomeni naturali, infatti Reitano riesce a restituire le infinite variazioni prodotte sui paesaggi dal colore della luce incidente e dei riflessi delle ombre. Nelle case e nelle chiese, abbarbicate sulla roccia o svettanti su di essa, i colori si modulano reciprocamente, anche se prevalenti sono le vibranti tonalità dell’azzurro, che sembrano catturare l’intensità luminosa dell’atmosfera. O. Reitano, Veduta di Nicosia (parte del quartiere di S. Maria Maggiore)
Michela Rosso. Nasce il 13 marzo del 1947 a Nicosia (En) dove vive, insegna e dipinge. Sin da piccola impara a comunicare le proprie emozioni attraverso il disegno e la pittura grazie all’insegnamento del padre, Pietro Rosso, uomo dotato di talento e molto abile nell’usare il “lapis” con il quale schizzava i progetti per le sue sculture in pietra o marmo ( di lui si conservano a Nicosia alcune testimonianze scultoree all’interno del palazzo La Motta di San Silvestro e nel portale del Palazzo Bernardo di Falco in Piazza Garibaldi). Intraprende gli studi artistici a Catania e, giovanissima, consegue l’abilitazione all’insegnamento di Disegno e Storia dell’Arte negli Istituti superiori. Inizia, quindi, la sua carriera professionale insegnando all’Istituto Magistrale “Don Bosco” di Nicosia. Nel 1978 vince il concorso a cattedra per l’insegnamento dell’Educazione artistica nella scuola media, contribuendo con la sua competenza, la sua abilità, la fede nel suo lavoro, a sviluppare nei giovani il gusto estetico e trasmettendo loro quell’amore che nutre per la sua città, così ricca di storia, di monumenti, di stradine e vicoli colmi di fascino. Sperimenta tutte le tecniche: pittoriche, grafiche e plastiche; sfrutta la duttilità del rame per la realizzazione di sbalzi e bassorilievi; illustra volumi con alcuni “carboncini”, dipinge su tela, legno, vetro, ceramica, sassi, tegole, e predilige decisamente la pittura ad olio. La sua produzione artistica, che conta numerosissime opere, custodite in casa di amici ed in collezioni private e pubbliche, ha riscosso pieni consensi da parte del pubblico e di critici d’arte, quali Gaetano Bonanno e Vittorio Sgarbi. 201
Michela Rosso
M. Rosso, Chiesa S.S. Salvatore
M. Rosso, Municipio e piazza Garibaldi
L’artista ha allestito diverse mostre personali di pittura a Nicosia: la prima, in cui ha presentato circa trenta opere, nella Sala Consiliare del Comune (1972); la seconda nei locali dell’ I.T.C. “A. Volta” con il patrocinio della F.I.D.A.P.A.(1992); la terza, intitolata “Il fascino dell’antico” -pittura su tegole presso il Comune (1997); la quarta nel 2005 fu realizzata in occasione della manifestazione “Nicosia in fiore” sotto i portici dell’ I.T.C.G. Sempre a Nicosia ha partecipato, tra il 1991 ed il 2006, a numerose rassegne (1ª Rassegna d’arte contemporane; “Nicosia, la storia, l’arte, la cultura”; “Il museo oltre le mura”, 1ª e 2 ª edizione), collettive d’arte ( “Estate Nicosiana”; “Collettiva d’arte” patrocinata dall’Assessorato alla cultura; “Collettiva d’arte” organizzata dall’Università Popolare del tempo libero;“I miracoli di San Felice”) e all’ estemporanea “La tavolozza degli artisti negli angoli del S. Salvatore” Ha curato le illustrazioni grafiche sia per il volume “Nicosia Diocesi” di S. Gioco – C.E. Musumeci – CT, sia per le copertine dei testi “Saggi e materiali” e “Toponomastica Nicosiana” del prof. Carmelo Trovato ed. Il Lunario. Nelle sue opere pittoriche fa rivivere le “bellezze intramontabili di un paese a cui l’autrice sente orgogliosamente di appartenere e che guarda ora con occhio incantato ora con genuina semplicità, ora con l’amarezza di chi ne constata l’abbandono e
M. Rosso, Scorcio del Castello
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ne paventa il degrado. Su ogni rappresentazione, però, luccica la luce dell’affettuosità che si fa colore, fiaba, sogno… bellezza”(Maria Arrigo). La sensibilità figurativa di Michela Rosso è quella dell’artista che, senza artifici formali e senza infingimenti intellettualistici, sa guardare il paesaggio con la serenità lirica della poetessa e con l’occhio disteso della pittrice vedutista, che usa i pennelli come il poeta usa i versi, che riesce a immortalare, a tradurre in immagini, a tramandare ai posteri la storia con il senso vero delle cose. L’artista è rimasta sempre fedele ad una pittura comunicativa, spontanea, suggestiva ed ha per oltre un trentennio assecondato un personalissimo, sereno e, al tempo stesso, vigoroso sentimento naturalistico che esorcizza i condizionamenti della vita urbana, facendoci immergere in una dimensione sentimentale di totale e immediata adesione alla realtà. Attraverso i monumenti e i ruderi immersi nel silenzio, la Rosso ci restituisce della nostra città, con fedele adesione emotiva, ampie visuali di piani spaziali, plastici nella determinazione del dato realistico, caldi e densi nelle tonalità cromatiche solide, seppure vibranti di accensioni coloristiche. Il suo sguardo coglie e trasferisce sulla tela con una limpidezza incredibile che emerge prepotente e delicata insieme, con un tocco sicuro e pulito, i momenti di un “dire” sommesso, di una volontà di trasmettere le emozioni di una donna al cospetto di un paesaggio che è memoria, emozione, solitudine.
Gina Scardino. Nata a Nicosia il 26 maggio 1964, ha frequentato l’Istituto Magistrale ed insegna alle scuole materne di Nicosia. Da autodidatta inizia a dipingere intorno agli anni ’70 e nella pittura trova il punto di contatto e confronto con il mondo che la circonda. Attualmente l’artista dipinge sia per una sua volontà di rappresentare la donna nella sua totale essenza, che per cercare di esprimere le emozioni umane attraverso l’arte pittorica. Il maestro Orazio Reitano così commentava le sue opere : “Soggetto e oggetto nella pittura della Scardino è la donna più che mai misteriosa e chiusa nel suo mondo, vera e reale, ma nello stesso tempo eterea e sfuggente”. Nell’estate del 1999 ha esposto i suoi quadri in una mostra personale a Gangi; sin dal 1993 ha partecipato a numerose mostre collettive a Nicosia (2ª Rassegna d’arte contemporanea al Palazzo comunale; 1ª, 2ª, 3ª, 4ª Rassegna d’arte e cultura “Il museo oltre le mura”, Convegno “Il soffitto dipinto della Cattedrale di Nicosia”; “Le donne al Baglio S.Pietro”; “Pittori Nicosiani 2001”; “Rassegna d’arte” presso l’Università popolare e del tempo libero; 1ª, 2ª “Collettiva pro Avis”; Collettiva “S.Felice”) ed in diverse città italiane (Galleria d’arte moderna “Alba” a Ferrara; Elisir art gallery a Bari, Campobasso, Noicattaro; “Forum Provinciale Giovani” a Piazza Armerina; “Galleria d’arte “Nuovo Millennio” a Palermo; “Arte insieme” a Siracusa, Grammichele, Palazzolo Acreide, Melilli, Giardini Naxos). Come bozzettista ha partecipato (negli anni 1999, 2000, 2001) alle manifesta203
Gina Scardino
G. Scardino, Portale della Chiesa di S. Benedetto (opera realizzata in occasione della Rassegna di Arte contemporanea “Il Museo oltre le mura” avente come tema “Paesaggi e luoghi nicosiani” e donata all’AVIS di Nicosia).
G. Scardino, Veduta di Nicosia (realizzata su tegola)
G. Scardino, Veduta della Roccapalta
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zioni “Nicosia in fiore”organizzate dalla FIDAPA ed è stata presente ad estemporanee di pittura, tra cui “La tavolozza degli artisti negli angoli del colle del S.S.Salvatore”, organizzate a Nicosia. Sempre intensa e attiva è stata la sua partecipazione alle rassegne nazionali e internazionali, nel corso delle quali ha avuto per l’attività pittorica svolta numerosi riconoscimenti: diplomi, attestati, targhe e medaglie. Nel 1999 ha partecipato al “Gran premio internazionale della Costa Azzurra” a Nizza e, classificatasi tra i primi 20 artisti, ha conquistato l’inserimento nel catalogo nazionale di arte contemporanea Gran Prix.; nel 2002 le è stata assegnata la Palma d’oro alla biennale di Sirmione. Ha ricevuto, inoltre, vari consensi da noti critici, quali: Gerard Argelier, Giacinta Pontorno, Pino Calabretta, Orazio Reitano, Iesus Ibanez Zapatero Alcune sue opere sono state pubblicate in autorevoli riviste specializzate e in prestigiosi cataloghi: “Arte Insieme”(2001, 2002, 2003, 2006), “Arteoggi Italia 2003”( Edizioni Nuovo Millennio), “Avanguardie artistiche 2005 (Centro Diffusione Art). Il suo discorso pittorico, pur assumendo come soggetto la realtà normale, lo stupore della quotidianità, lascia trasparire il bisogno di comunicare agli altri il mondo delle emozioni ed è caratterizzato ora da vibrazioni luminose e cromatiche, ora da morbide e vellutate trasparenze, ora da suggestive atmosfere in cui le forme hanno preso vita ed i colori si sono accesi. Si tratta di una pittura genuina e spontanea che, pur cogliendo con estrema rapidità ciò che ci circonda, non dissolve mai i tessuti connettivi e le strutture spaziali delle sue scene.
Pippo Sirni. Giuseppe Sirni nasce a Mistretta nel 1954, attualmente vive e lavora a Nicosia dove si è trasferito nel 1985 e svolge la funzione di Sostituto Commissario della Polizia di Stato. La sua passione per la pittura inizia da giovanissimo e lo porta ad esprimersi inizialmente come autodidatta, evolvendosi da ormai trenta anni in una carriera artistica professionale. Ama dipingere- su tela, pannelli in legno, lastre placcate in oro 24 K e altri materiali – scorci panoramici e chiese di Nicosia, paesaggi marini e montani (prediligendo i boschi in autunno); riproduce icone bizantine e stilizzate personalizzandole; nudi; ritratti e quant’altro lo ispira. Ha iniziato la sua attività artistica negli anni Settanta partecipando a numerose mostre personali e collettive d’arte: nel 1975 a Fiumicino (Roma), nel 1976 ad Ostia (Roma), negli anni 19771984 a Palermo e provincia, negli anni 1976-1987 a Mistretta (ME), negli anni 1985-2003 a Nicosia. Ha realizzato nel 2003 un dipinto per la pubblicazione di un calendario fatto stampare dall’AVIS (sezione di Nicosia) e nel 2005
Pippo Sirni
G. Sirni, Chiesa di S. Michele
G. Sirni, Chiesa SS. Salvatore
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un altro dipinto su pannello in legno in occasione della santificazione di S. Felice da Nicosia (donato alla scuola elementare S. Vincenzo). Ha preso parte ad estemporanee di pittura a Nicosia e a Nissoria, ha realizzato murales presso il ristorante “La Torretta” di Nicosia ed è stato uno dei bozzettisti alle infiorate organizzate dalla FIDAPA di Nicosia. Le sue opere pittoriche, caratterizzate da una ricerca personalissima di tonalità cromatiche calde e dense di significato artistico, superano la verità paesaggistica e raggiungono una narrazione pittorica ricca di profonde vibrazioni spirituali. Le strutture architettoniche proposte si presentano come luoghi incantati assorbiti dall’estro e dallo spirito dell’artista, che li ha trasferiti sulla tela con uno stile espressivo meditato, più poetico che descrittivo. Si potrebbe dire che l’ambizione di questa pittura sia quella di dilatare fino a un punto di astrazione concettuale gli oggetti assunti a pretesto del “racconto”. Sirni realizza composizioni solide, armoniose, di grande stabilità, che rievocano un linguaggio cezanniano o del più moderno Morandi.
Salvatore Tamburello
Salvatore Tamburello. Ceramista, pittore, scultore, nasce il 29 Giugno 1959 a Nicosia (En), dove vive ed opera. All’età di 17 anni interrompe gli studi ad indirizzo scientifico per intraprendere quelli artistici, iscrivendosi all’Istituto d’arte per la ceramica di S. Stefano di Camastra, dove consegue rispettivamente negli anni ‘79 ed ‘81 il Diploma di Maestro d’arte e il diploma di Maturità d’ arte applicata – sezione di ceramica. Allo studio affianca la frequentazione di botteghe artigiane, dove apprende pienamente la manualità nella lavorazione dell’argilla e nella decorazione ceramica. Nel 1979 allestisce la sua prima personale di sculture e ceramiche d’arte nel Circolo di Cultura e nel 1989 un’altra personale al Palazzo Comunale in occasione del Natale nella sua città. Altre due mostre personali vengono allestite tra marzo e maggio del 2003 a Noto: per l’ Università della 3ª età e per l’Archivio di Stato a Palazzo Impellizzeri. Nel corso degli anni , a partire dal 1993, ha partecipato a mostre collettive d’arte (presso l’ I.T.C.G. “A. Volta” di Nicosia), a rassegne d’arte (1ª e 2ª edizione “ Città di Nicosia” presso il Palazzo Comunale; “Il museo oltre le mura; “ Il filo della memoria” presso la Chiesa S. Filippo Neri; “Il castello” presso il Comune di Sperlinga) e ad incontri d’arte (“Arte al corso” a Noto e a Castel Di Lucio). E’ stato coideatore dell’Estemporanea sul tema “ il Tetto Ligneo della Cattedrale con il progetto i “ Due monaci” ed ha dipinto San Cosma in occasione del convegno “Il soffitto dipinto della cattedrale di Nicosia (1998) Ha svolto attività didattica in qualità di esperto a Nicosia, dal 1995 al 2005, in numerosi corsi integrativi organizzati dalle Scuole elementari e Medie della nostra città, da enti ed altre istituzioni pubbliche, quali: l’associazione Federcasalinghe, l’Oratorio di San Paolo, l’ Avulss, il Sert (per la realizzazione di statuine in terracotta per il presepe), il C.F.P. – ODA ed anche l’Ecap di Enna. Nel ‘97 ha avuto inizio a Nicosia la sua esperienza di maestro infioratore, introducendo, per la prima volta, l’utilizzo di materiale alternativo a quello esclusivo dei fiori. Come maestro infioratore ha partecipato a due edizioni del 206
Concorso nazionale a Poggio Moiano (Rt) e fuori concorso a Noto (Sr). Ha curato , inoltre, la grafica di alcune pubblicazioni illustrandone anche la copertina. L’amore e l’interesse che da sempre ha nutrito per il patrimonio artistico, particolarmente per quello della sua città, traspare nella sua produzione artistica “Ripercorrendo le orme dei Padri”. Le sue opere scultoree, a tutto tondo, i suoi bassorilievi, le sue tempere sono un omaggio al mondo dell’arte, ai grandi del passato, “ai tesori celati”che, forse, mai più rivedranno la luce. Dai suoi lavori, che segnano la raggiunta maturità dell’artista, emergono in maniera evidente le caratteristiche salienti della sua produzione: il preciso e rigoroso studio prospettico, l’analisi minuziosa dei particolari, l’assoluta conoscenza dei valori pittorici della luce e del colore. Si nota inoltre, un gusto particolare nell’inquadratura, del taglio compositivo e dell’impostazione del soggetto. Si è in presenza di un’arte evoluta fatta non di sola ragione, ma di impulsi interiori che danno forza soggettiva e immediatezza comunicativa. 207
S. Tamburello, Via Fratelli Testa vista dall’interno della trifora della Cattedrale (opera realizzata in occasione della Rassegna di arte contemporanea “Il Museo oltre le mura” avente come tema “Paesaggi e luoghi nicosiani” e donata al Liceo classico “Fratelli Testa” di Nicosia).
S. Tamburello, Tetto ligneo della Cattedrale di Nicosia (Tratto dalla certificazione di autenticitĂ alla riproduzione della campata III, B-42 del Tetto ligneo della Cattedrale di Nicosia).
S. Tamburello, Cattedrale
S. Tamburello, Chiesa del SS. Salvatore (Infiorata 1997)
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2. Poeti
Nicola Amoruso. Nasce a Nicosia (En) nel 1944. Completato il ginnasio, all’età di sedici anni si trasferisce a Milano, ospite degli zii, per continuare gli studi. Qui si iscrive al Liceo Classico “G. Berchet ”. Dopo i primi due anni di frequenza, la morte improvvisa dello zio lo costringe a fare ritorno a Nicosia dove completa gli studi superiori presso il locale Liceo Classico” Fratelli Testa”, conseguendo la maturità classica nel 1963. Ritorna di nuovo a Milano e si iscrive all’Università statale in Lingue e letterature straniere. Ma l’impossibilità di conciliare studio e lavoro, lo riporta in Sicilia. Conclude gli studi presso l’Università di Catania, con una tesi di laurea su “Amleto” di W. Shakeaspeare. Dopo la laurea si stabilisce definitivamente a Nicosia. Qui si sposa, ha tre figli e svolge il suo lavoro di docente di Inglese presso le locali Scuole superiori. Alla costante ed ininterrotta attività poetica, affianca l’interesse per i giornali locali (alcuni da lui fondati e diretti) dove scrive vari articoli e tiene rubriche. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta si fa promotore di un gruppo di poeti locali (“ Gli amici della poesia”), insieme ai quali organizza diverse letture e recital in pubblico. Solo in tempi recenti, nel 2002, si decide a pubblicare la sua prima raccolta di poesie, intitolata “Punto di inerzia” ed accompagnata dalla nota introduttiva di Marzia Finocchiaro, che ne coglie a fondo l’intima essenza: “ …la parola universale…è ciò che ho trovato molto spesso nell’inchiostro di Nicola Amoruso, che mi ha fatto compagnia per molte ore… ore di introspezione, di riflessione, di emozioni vere e perciò non sempre o non soltanto gioiose” ed ancora “…poche cose, rare descrizioni di ambienti, pochissimi odori abitano queste pagine. Segno che lo sguardo è rivolto dentro di sé, per ascoltare il vibrare più intimo o percepirvi l’eco di ciò che lo circonda”. Nelle sue composizioni, che si offrono ora come mezzo di scoperta del nulla, ora come tastiera del dolore personale e dell’inquietudine che suscita la corsa verso l’ignoto, ora come mezzo di comunicazione delle più intime emozioni, il lettore avverte il desiderio del Poeta di varcare la soglia della solitudine, di esorcizzare l’angoscia e gli sconvolgimenti dell’Essere. Nella poesia che riportiamo, il Poeta, anche se prende avvio da precisi punti di osservazione e sembra puntare sulla vuotezza della routine quotidiana, sui volti e sui gesti insulsi degli altri, anche se si mimetizza come un camaleonte nell’ambiente esterno, lascia tuttavia trasparire la solitudine di un uomo che, attraverso la poesia, cerca di elaborare il suo dolore, tentando di entrare in rapporto con gli altri e di togliersi dal cuore “schegge inestraibili ”. 209
Nicola Amoruso
PIAZZA GARIBALDI Piazza Garibaldi, il salotto buono del paese dove ognuno, da solo o in compagnia consuma come un pendolo la sera. Si fissano accordi di lavoro, si paga qualche debito o si va al bar a prendere qualcosa per poi ritornare sulla piazza in un ‘interminabile risacca di passi e di parole. Il deluso d’amore non sposato osserva con occhi imbambolati le donne che passano e le ingoia tutte intere come un boa. Accanto, il vedovo bianco abbandonato la faccia grassa e lucida per l’abbondante dose quotidiana di carboidrati. L’unico forestiero sfortunato che ha avuto il privilegio dalla sorte di confermare la regola del luogo bivacca agli angoli in compagnia di un cane insieme a un ambulante di colore che farfuglia miscugli di dialetti. Il ritardatario delle condoglianze si scusa e fa l’inchino a una cravatta nera mentre i sodali del Mutuo Soccorso s’alternano dietro i vetri del balcone quasi in posa per la foto ricordo da tramandare ai posteri. Lo scemo del paese ricevuta la giusta ricompensa alla sua ambizione di vigile urbano mangia un arancino o un bigné come un mulo la sua dose di fieno dopo una giornata di fatica. Due guardie carcerarie ormai in pensione conservano ancora l’andatura che avevano sugli spalti e consumano una libera uscita senza meta... Lo schizofrenico si ferma ogni tanto e prende a pugni l’aria gridando parole incomprensibili. C’é quello che passeggia sempre solo gli occhi incollati a terra, che sorride se trova una cicca o una moneta poi si toglie il berretto e si schiaffeggia.
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Sigismundo Castrogiovanni. Nasce a Nicosia il 5 maggio 1933 nel quartiere di S.Michele, un quartiere ricco di tradizioni linguistiche e culturali. Qui frequenta le scuole elementari e medie e, dopo un insuccesso scolastico, abbandona gli studi, ma incoraggiato dalla fidanzata (divenuta poi sua moglie) li riprende dopo alcuni anni conseguendo il diploma magistrale nel 1957. Svolge la professione di insegnante elementare per circa sette anni in paesi della Calabria e poi a Nicosia, dove ritorna nel 1964. In Calabria, prendendo spunto da feste paesane e da alcuni avvenimenti scolastici, inizia la sua attività di poeta in lingua italiana e, una volta ritornato nel paese natale, arricchisce il suo repertorio con poesie dialettali nicosiane. L’uso del dialetto, apprezzato dai colleghi e dai suoi scolari - destinatari dei suoi versi - viene criticato aspramente dal Direttore didattico e da alcuni genitori, ma il giovane maestro non demorde e dimostra che il dialetto può potenziare la conoscenza della lingua italiana se le due strutture linguistiche vengono messe a confronto. Autore di una Passione di Gesù - dramma in versi in quattro atti, scritto nel dialetto galloitalico di Nicosia - fa rappresentare l’opera teatrale ai suoi alunni delle elementari e la ripropone, alcuni anni fa, sotto forma di rappresentazione itinerante scegliendo gli attori fra i ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori. Le sue poesie, raccolte nel volume Sovëprasgëssö! - un testo prezioso volto al recupero e alla conservazione delle tradizioni locali - offrono uno spaccato di vita quotidiana nicosiana, incentrate come sono sul ciclo dei lavori agricoli, sui mestieri, sulle tradizioni religiose, su piatti tipici, e ci spronano a riscoprire un mondo che è nostro patrimonio. Il poeta è riuscito a custodire negli archivi dell’anima un gomitolo di memorie, a comunicare in microracconti, che possono assimilarsi a fotogrammi, le sue emozioni, scaturite quasi sempre da una visione realistica dell’universo contadino, da una riproduzione fotografica di ritualità liturgiche, di situazioni, di gesti, esplorati con rara penetrazione percettiva ed espressi con il coinvolgente vernacolo nicosiano che scende alle radici della vita nel nucleo generativo dei valori dell’esistenza, dove urgono i sentimenti più veri per assumere forma poetica. Declinata secondo il ritmo di una linea memoriale, la poesia di Castrogiovanni si è conquistata una meritata fama, sia perché, leggendo le sue poesie così icastiche, è facile anche per le nuove generazioni immaginare situazioni e feste e riflettere sulla semplicità dei nostri antenati paghi del poco, sia perché ha sottratto il dialetto al ghetto vernacolare e lo ha trasformato in strumento di trasmissione dei valori antichi. Di Castrogiovanni colpisce, tra l’altro, la misurata ricchezza del dire, con cui ha scandito memorie, ricreato l’incantesimo dei riti vissuti nell’infanzia e delle ritualità liturgiche antiche, contemplandoli con rimpianto e nostalgia. Chiara è la sua volontà di fissare dolci momenti perduti, di custodire il passato, di lasciare quasi una lezione di memoria storica. 211
Sigismundo Castrogiovanni
O¢ scro¢nto¢
L' «incontro»
A Mad´no¢zza co¢ so fighjo¢ beo¢ bìt´no¢ tut'i do¢´ a Santa Cr¢òsgio¢, ma pô¢ giorno¢ d´ Pasqua, d´ matina, nièscio¢ Gesù e niê¢scio¢ a so Rr´gina.
La Madonna col suo figlio bello abitano tutt'e due a Santa Croce, ma nel giorno di Pasqua, di mattina, esce Gesù ed esce la sua Regina.
N´n è certo¢ p´ fesse¢ a caminada, p´ fesse¢ sco¢to¢lè o¢ po¢v´razzo¢, ma p´rche¢ ognadun vie¢n rrago¢rdà che o¢ Signo¢ro¢zzo¢ mo¢re¢to¢ e rro¢vidà.
Non è certo per farsi la passeggiata, per scrollarsi la polvere di dosso, ma perché ad ognuno di noi venga ricordato che il Signore è morto ed è risuscitato.
A Mad´no¢zza câ v´stina nê¢ira co¢ n velo¢ fito¢ p´rchè è nlutada, O¢ Signo¢ro¢ ch´ rrido¢ ero¢ pr´sgià p´rchê¢ da tute¢ 1 ome¢ già sarvà.
La Madonna col vestito nero con un velo fìtto perché è vestita a lutto, II Signore sorridente è contento perché sa che tutti gli uomini già ha salvato.
S´ scro¢nt´no¢ tâ chjazza a menzo¢gio¢rno¢, O¢ Signo¢ro¢zzo¢ ddà, d´ zza so mama. Como¢ o¢ scairìscio¢ s´ sco¢po¢na a fazzo¢ e o¢ saluda, puòe¢, mo¢ve¢ndo¢ n brazzo¢,
Si incontrano sulla piazza a mezzogiorno II Signore là, di qua sua mamma. come lo scorge (la Madonna) si scopre il volto e lo saluta, poi, muovendo un braccio,
ghj´ fa n inchino¢, puo¢e¢ ghj´ n´ fa n ào¢to¢, s´ me¢to¢ a fùio¢ ch´ s' o¢ vò brazzero¢. I cr´stiae¢ tâ chjazza so co¢nte¢nte¢, sa bràzz´no¢ l amisge¢ e i pare¢nte. me¢nto¢ o¢ rr´dògio¢ sso¢na i cento¢ to¢che¢. E p´ chjù so¢tta, a San Francisco¢ â Chjazza, se¢nte¢ a sparero¢ dda masch´tïada ch´ t´ rrago¢rdarae¢ tuta a gio¢rnada. A Mad´no¢zza brazza da so fighjo¢, i tambo¢rrì co¢ dda cadenza bedda t´ fano¢ se¢nto¢ o¢ cuoro¢ rando¢ rando¢ e o¢ po¢v´raro¢ bo¢mb´ va sparando¢.
gli fa un inchino, poi gliene fa un altro, si mette a correre perché vuole abbracciarlo. Le persone nella piazza sono contente, si abbracciano gli amici e i parenti. mentre l'orologio suona i cento tocchi. E da più sotto, in Piazza San Francesco, senti la scarica dei fuochi artificiali che ricorderai per l'intero giorno. La Madonna abbraccia suo figlio; i tamburi con quella cadenza bella ti fanno sentire il cuore grande grande e l'artificiere bombe va sparando.
O¢ pòpo¢lo¢ ch'à stàito¢ muto¢, atento¢, ero¢ pr´sgià che o¢ scro¢nto¢ rr´n´sce¢to¢. O¢ Signo¢ro¢zzo p´ tute¢ rr´vidà e pàsgio¢ tê famighje po¢rt´rà.
Il popolo ch'è stato zitto, attento, è contento perché1'«incontro» è riuscito bene. II Signore per tutti è risuscitato e pace nelle nostre famiglie porterà.
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Graziella Di Salvo Barbera. Nasce a Palermo da genitori mistrettesi e fin dalla tenera età vive a Mistretta, fino a quando, sposatasi, si trasferisce a Nicosia, dove attualmente vive. Amante della scrittura, si dedica alla composizione di poesie che diventano preziosi scrigni dove custodire le proprie emozioni ed i propri sentimenti. Partecipa a diversi concorsi letterari ricevendo sempre prestigiosi riconoscimenti. Per ben due volte vince il 1° premio in : “Emilio Morina” -Azzurra TV – (1992) e “Terra d’agavi” (1998); ed al concorso “Guido Modena” a San Felice sul Panaro in provincia di Modena, nel 2005 riceve il premio unico Regione Sicilia. Si classifica al 2° posto in: “Agosto Leonfortese” (1991) ed “Alimena sotto le stelle della letteratura”per poesie in dialetto (2004). Nella stessa occasione, per poesie in lingua italiana si assicura il 3° posto, che fra l’altro ottiene anche in altri due concorsi: “Fedele Vitale”(1993) e “Rinascita” (1999). Non mancano alla Di Salvo segnalazioni (Vann’Antò Saitta nel 1992) e menzioni d’onore (M. Giuseppe Restivo nel 1994 e Vann’Antò Saitta nel 2002). Pubblica due volumi di poesia in lingua “Io, Graziella” e “Il melograno” ed altri due in vernacolo “Scarpisannu sti strati” con il quale nel 1997 vince il secondo premio “Città di Montelepre” per l’opera edita – e “A me’ casciaforti”. Lusinghieri sono i giudizi espressi sulle raccolte della Di Salvo. Luigi Seminara afferma “…è ben più di un poeta di accademia perché lo è di razza: di quelli cioè, per dirla con Federico Garcia Lorca, i quali altro non fanno che interpretare la natura, la vita e la morte e spiegarne la grandezza, il mistero e l’orrore con espressioni semplici e chiare, cioè con le parole più alte che ci sia dato di pronunziare” e Pasqualino Pappalardo commenta: “ I versi di Graziella cantano i sentimenti più belli che albergano nel cuore di ognuno, se non altro come sensazione e come aspettativa”. Ed ancora Salvatore Di Marco aggiunge: “Nella sua poesia c’è lirismo, malinconia, c’è soprattutto la capacità di divertirsi con la fantasia, con il cuore, con la forza di sognare”. Siamo dinnanzi ad un’autrice lineare e diretta, che gode della realtà familiare e domestica, che coinvolge nella sua attenzione poetica anche gli eventi minimi del quotidiano, che sa penetrare anche nelle piccole cose, nei piccoli gesti quotidiani, che sa captare la magia che si cela dietro gli attimi più intimi. Una qualità, questa, propria di chi sa guardare con gli occhi del cuore e con la forza dell’amore e lascia da parte il pensiero razionale. Le sue liriche fresche e coinvolgenti, in cui le immagini scorrono con delicatezza come pennellate stese garbatamente sulla tela, nascono dalla vita, sono per lo più un canto d’amore alla terra natìa sentita come parte del proprio essere e ci rivelano l’attaccamento profondo della poetessa alle proprie radici. Nelle due liriche dedicate a Nicosia emerge però anche la sua capacità di cogliere obiettivamente nella terra in cui si è trasferita tutto quanto la circonda, soffermandosi e indugiando su tutto ciò che è bello e buono.
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Graziella Di Salvo Barbera
Cara Nicuçia
Cara Nicosia
U to’ dialettu, cara Nicuçia, mancu lu sacciu scriviri e pallari e-mmi rispiaci, però si crir’a-mmia quannu l’ascutu musica mi pari.
Il tuo dialetto, cara Nicosia, neanche lo so scrivere e parlare e mi dispiace, però se credi a me quando l’ascolto musica mi sembra.
Ora mittiennu-ca scriviri ti vuogghiu lu puozzu fari nta lu me’ dialettu ch’è u mis¢t¢r¢ittisi e macari cuogghiu l’accasioni pi-vvia ri stu librettu.
Ora ammettendo che scrivere ti voglio lo posso fare nel mio dialetto che è il mistrettese ed anche colgo l’occasione per via di questo libretto.
Tu, terra ginirusa e accuglienti si’ cuomu amicu veru ch’è firatu, japri li porti e u cori la to’ genti a cu veni ri fora e-gghiè spaisatu.
Tu, terra generosa e accogliente sei come amico vero che è fidato, apre le porte e il cuore la tua gente a chi viene di fuori ed è spaesato.
Lu paisaggiu pui è rrisulenti, l’aria è fina e allarga li purmuna, trentott’anni ca sugnu risidenti mancu cchiù mi sientu na ”rantuna”.
Il paesaggio poi è ridente, l’aria è fine e allarga i polmoni, trentott’anni che sono residente neanche più mi sento una “forestiera”.
Li palazzi ca sunu signuria raccuntanu ricchizza e nobiltati ru tiempu quannu a miegghiu barunia ccà c’era mmienzu artisti e littirati.
I palazzi che sono signoria raccontano ricchezza e nobiltà al tempo quando la migliore baronia qui era in mezzo ad artisti e letterati.
Li chiesi, ca sù scola pi la firi, abbunnanu ri arti e di bid¢d¢izzi, unni mi vuotu unnedderè si viri ri l’uomu nicuçianu li rannizzi.
Le chiese, che sono scuola per la fede, abbondano di arte e di bellezze, dove mi volto dovunque si vede dell’uomo nicosiano la grandezza.
Li rutti ca nte rocci su’ scavati ricinu e nzignanu la storia ri n-populu ri ncegnu e abilitati, anticu pi-ssaggizza e pi-mmemoria.
Le grotte che nelle rocce sono scavate dicono e insegnano la storia di un popolo d’ingegno e abilità, antico per saggezza e per memoria.
E chi-ddiri taliannu lu lauri ca luci nta campagna nta staçiuni? Ca l’uomu eri gran travagghiaturi e mancia lu so’ pani cu-ssurùri.
E che dire guardando la messe che luccica nella campagna nell’estate? Che l’uomo è gran lavoratore e mangia il suo pane con sudore.
E-mmienzu a sti muntagni stai ammucciata ma cu t’at¢t¢r¢ova e pui t’av’a-llassari, parti cuomu na zzita scunzulata ca n-zapi sid¢d¢u n-gniuornu pò-tturnari.
E in mezzo a questa montagna stai nascosta ma chi ti trova e poi ti deve lasciare, parte come una fidanzata sconsolata che non sa se un giorno può tornare.
Eccu sti versi ti vuogghiu dedicari senza pritesa ri rannizza e onuri unu è lu scopu, ti vuogghiu arringraziari ca m’a t¢r¢attatu cu filiali amuri.
Ecco questi versi ti voglio dedicare senza pretesa di grandezza e onore uno è lo scopo, ti voglio ringraziare che mi hai trattato con filiale amore.
E ti muntuvu cu lu cori n-manu senza faccifaria nè cumpiacenza picchì cu leggi, vicinu o ri luntanu, sapi e canusci la tò magnificenza.
E ti nomino con il cuore in mano senza ipocrisia né compiacenzap perché chi legge, vicino o di lontano sa e conosce la tua magnificenza. 214
NICOSIA Radici divelte hanno trovato spazio in questa terra e le mie sono allignate producendo germogli. E vivo le gioie, le ansie e i dolori della tua gente e mi sento tutt’uno con i sassi delle tue contrade, col profumo delle tue ginestre, con i monti che ti tengono stretta come in un abbraccio. E mi ispiri pensieri che sanno di quiete, di pace, di sogni appagati.
Graziella Gangitano. Nasce a Castel di Lucio (ME), vive a Nicosia dove insegna Materie letterarie e Latino presso il Liceo Scientifico “E. Majorana”. Ha frequentato tutte le scuole a Nicosia, dalla Materna al Liceo Classico, ed ha conseguito la Laurea in Lettere presso l’Università di Catania, con una tesi sulla poesia di Nino Oxilia, poeta crepuscolare. Scrive poesie in lingua fin dall’adolescenza e in dialetto gallo-italico di Sicilia dal 1975. Nel 1985 ha pubblicato un libretto di satire “Scuseî se me mbiscô ”, in cui ad una sottile ironia si unisce la volontà di recuperare il dialetto nella sua espressività più vigorosa, nonché di salvare dall’oblio costrutti e stilemi dialettali, evitando che vadano perduti per l’abitudine dilagante nella classe borghese e operaia di non usare il vernacolo nel linguaggio quotidiano. Altre poesie dialettali sono inserite negli opuscoli pubblicati a cura dell’Archeoclub d’Italia, sede di Sperlinga, in occasione delle varie rassegne di poesia e prosa in dialetto gallo-italico. La poetessa “riesce a dare ai suoi temi tanta armonia e vivacità da farci scoprire personaggi, situazioni, ambienti, spesso a noi familiari e consueti, per mezzo della metafora e del simbolismo, dell’allegoria e di un tenue realismo. Passano, dunque, davanti agli occhi della nostra mente il prete progressista, il borghese stanco, il finto intellettuale, l’uomo politico importante…Tuttavia la poetessa non fustiga per il gusto dell’ironia ma alla maniera oraziana e giovenaliana analizza le vicende degli uomini per interpretare le loro idee, per capire i loro atteggiamenti e perfino per giustificare le loro manchevolezze” (Francesco Cuva). Nel 1990 la Gangitano ha pubblicato un libretto di poesie religiose “Coscienza di Dio” prima opera di “colloquio ininterrotto cui anche il lettore partecipa, quasi un epistolario poetico nel quale l’anima... si effonde in una ricerca e richiesta di limpidezza e di bontà”, come dice nella prefazione alla raccolta 215
Graziella Gangitano
Giulio Palumbo, il quale rileva nella poesia della poetessa nicosiana “un linguaggio essenziale, senza le lusinghe di un tardo ermetismo, eppure modernamente calato nella dinamica della poesia contemporanea; ... un linguaggio caratterizzato dall’aspirazione finale a diventare poesia-canto in interiore homine”. Usciranno fra qualche mese “La via del dolore” - liriche scritte dopo la morte del marito , il pittore Orazio Reitano, che è stato anche il suo maestro – e una raccolta di poesie-preghiere “Fedeltà lungo la notte”. Nei versi proposti la poetessa, fornita di vis inventiva e attenta ai comportamenti strani dell’uomo, pone in vetrina tipici personaggi, che si muovono nella cornice del nostro tessuto sociale. E così consegna alla storia della poesia dialettale nicosiana piccoli capolavori, elaborati con lucida razionalità ed intrecciati con la filigrana di un’ironia sottile, di un’arguzia talvolta anche impietosa ma molto garbatamente rappresentata.
Ö carrëvé
Ö carrëvé
Comô riva S. Antonê tuta a nuôva nobiltà pênsa comô dà sfragherô corcô sordô ch’ha soôvà.
Come arriva S.Antonio tutta la nuova nobiltà pensa come deve sperperare qualche soldo che ha conservato.
E sicomô l’ha scrôcaitô senza stênti né sudôrô, spêndô e spandô i beddi› graî senza nuddô maô de cuôrô.
E siccome l’ha raccolto senza stenti né sudore, spende e spande i bei soldi senza nessun mal di cuore.
Pe nen parô tropô viêghia, pe fè corpô nto balè, se redujô nte salônî pe môstessê a ritochè.
Per non sembrare troppo vecchia, per far colpo nel ballare, se ne vanno nei saloni per cercare di ritoccarsi.
Se vediscî l’apartantô ô nzengnierô, l’avocatô mênto pighiêno ô sprêfumô d’eugua cauda e carbônatô !
Se vedessi l’appaltatore l’ingegnere, l’avvocato mentre sono avvolti dal suffumìgio d’acqua calda e bicarbonato!
Rôsci, rôsci comô i pipî ncôpônai cô na tôvaghia, strabôluî pu fumôligiô, sbonacaî, ca sôla maghia.
Rossi rossi come i peperoni coperti con una tovaglia, stravolti per il vapore acqueo senza giacca
Ô sprefumô nen ghiè basta, ghierô a moda da pigada e se fanô têngiô a fazô cô na specia de mpastada. Dopô mancô n quartô d’ôra sônô beddî mascaraî: se ghiè vêdô sôlô u musô tantô d’uôghî spavêntaî.
Il suffumigio non gli basta, c’è la moda della maschera e si fanno imbrattare la faccia con una specie di impasto. Dopo neanche un quarto d’ora sono belli imbrattati: gli si vede solo la bocca tanto di occhi spalancati. 216
Versô i diêjô, o chiù tardotô, già cômênzênô a fé strada, se riuniscêno a Pagoda ônda è pronta a schetichiada.
Verso le dieci, o più tardi, già cominciano a fare strada, si riuniscono alla Pagoda dove è pronta la mangiata.
Sônô i damê nlichetaê cô pelicê e cô vêstinê, nei, gôliêrê e bracialetî comô i pupê di vêtrinê.
Sono le dame abbigliate con pellicce e con vestiti, anelli, collane e braccialetti come le bambole delle vetrine.
Sô zimai macara l’omî: che camijê! che capotî! de darria nen se capisciô se sô viêghî o giôvenotî. Se ntôrniênô alegramêntô nta na tavôla cônzada: ghiè cavialô, ghiè aragostê maiônêsa ca nsalada.
Sono sistemati anche gli uomini: che camicie! che cappotti! di dietro non si capisce se sono vecchi o giovanotti. Si mettono allegramente attorno ad una tavola apparecchiata: c’è caviale, c’è aragosta maionese con l’insalata.
A sêirada é de gran gala, ghiè l’orchestra cu buffè, tutî parrenô italiano, mêntô sbafenô bignè.
La serata è di gran gala, c’è l’orchestra con il buffé, tutti parlano italiano, mentre si rimpinzano di bigné.
Puôi nto menzô da nuitada, fanô i balî de dovêrô e se scangênô i môghiêrê che se fanô cortegerô.
Poi nel mezzo della nottata, fanno i balli di dovere e si scambiano le mogli che si fanno corteggiare.
Se ghie prajô ô cavalierô corcô dama ch’è stizada cu marì, pî fatî soi, aprofita da sêirada.
Se le piace il cavaliere qualche dama che è arrabbiata con il marito, per i fatti suoi, approfitta della serata.
Corcô nauta ch’è gêlôsa, nto chiù miêghiô da gran festa, se ne vouta drita ncasa, perchè ghie fa maô a testa...!
Qualche altra che è gelosa, nel bel mezzo della gran festa, se ne torna dentro casa, perché le fa male la testa..!
Ognô tantô se reposenô: mêntô l’omî becheriênô, i signôrê, nto salotô, tra de dêî se môrmoriênô:
Ogni tanto si riposano: mentre gli uomini bevono, le signore, nel salotto, tra di loro si sparlano:
quatrô fanô na congricôla e cômenzenô a sparrerô da ddê quatrô che dda nfazô nen sa ddascênô a passerô.
Quattro fanno combriccola e cominciano a sparlare quelle quattro che di fronte non se la lasciano passare.
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Puôi dôi damê de n divanô vana scoutenô na l’aôtô e nta mancô n quartô d’ôra se sa chêô ch’hanô cuntaitô.
Poi due dame da un divano vanno ad ascoltare nell’altro e in meno di un quarto d’ora si sa quello che hanno raccontato.
Ma sicomô sônô nfêntê e no amijê pe davera, comô niêntô avêsô staitô recômênzenô a balerô.
Ma siccome sono false e non amiche per davvero, come se niente fosse stato ricominciano a ballare.
Ghiè crêdiscî? Dopô ô balô, pe conchiudô a gra se›îrada, vanô ncasa de n’amigô e se fanô a spaghêtada.
Ci credereste? Dopo il ballo, per concludere la gran serata, vanno in casa di un amico e si fanno la spaghettata.
Oltre a scrivere poesie la Gangitano dipinge ad olio. A proposito della pittura della Gangitano, Giuseppe Manitta scrive: “Sembra trovarsi di fronte a quel realismo francese tanto affascinante e complesso nell’esecuzione ...in cui il vero si vela di un tono romantico, di un fascino irreale... I colori sono accostati secondo un sottile equilibrio. Il tono sentimentale è evocato attraverso il filtro della memoria che smussa ogni descrittivismo”. E continua: “ La pittura della Gangitano si mostra limpida e raffinata... e compendia capacità di analisi in un’assoluta morbidezza delle cromie che tendono ad una univocità mai monotona” (Il Convivio n.26, anno 2006)
Enza Giangrasso
Enza Giangrasso. Vincenza Giangrasso nasce a Nicosia nel 1940 dove vive con la sua numerosa famiglia e dove ha insegnato al 2° circolo didattico fino al 2006 (anno in cui è andata in pensione) allestendo lavori di drammatizzazione che hanno coinvolto diverse scolaresche. Ha sempre avuto la voglia di scrivere e fin dal 1991 ha partecipato con successo a diversi concorsi di poesia locali, regionali e nazionali, ottenendo premi e segnalazioni di merito e primi posti nelle classifiche. Infatti ha vinto il primo Premio al Concorso Nazionale di Poesia Religiosa “Aeclanum” (XVI Edizione) a Mirabella Eclano in provincia di Avellino nel 1996; si è classificata al secondo posto al concorso di poesia dialettale Henna Cerere indetto dalla Fidapa di Enna nel 1997; è stata terza classificata nel 2000 al concorso di poesia siciliana in occasione della 45ª Sagra del Mandorlo in Fiore ad Agrigento con la poesia “No rando circolo” (poesia che ha avuto nel 2002 una segnalazione di merito in occasione del Premio nazionale “Città di Carpi” in provincia di Modena, indetto dall’Associazione Culturale “Il Galeone”); nel 2006 ha ricevuto il Premio “Aenaria d’oro” di Ischia in the world; ha anche ottenuto la medaglia d’argento al Concorso di poesia in lingua italiana a Cava De’ Tirreni ed ha ricevuto vari consensi dall’Accademia Universale “Giosuè Carducci”, dall’Unione Artisti Operatori Culturali di Napoli . Le sue poesie sono state pubblicate in tre prestigiose antologie: “Petali d’infinito” (a cura dell’Accademia Internazionale “Il Convivio”), “Foglie d’anima” 218
(a cura del Centro Ufficiale di Studi e Ricerche dell’Accademia Internazionale Vesuviana), e “Cento poeti per l’Europa del terzo millennio”. Nucleo tematico della sua poesia è la rappresentazione del mondo flagellato dalla catastrofe bellica, dalla droga, dall’AIDS, dai soprusi mafiosi, dagli stupri, dall’odio e da ogni forma di annientamento e di male. Ma la fede, il ricordo della madre, che le ha insegnato ad amare, leniscono la sua tristezza e la sua angoscia e le consentono di ritrovare fiducia e di sperare in un “mondo tutto nuovo” in cui domini la pace e l’amore. Altro nucleo tematico è il ricordo della spensierata fanciullezza. “Quando alla mente tornano questi momenti – scrive il critico Pacifico Topa - il volto si rattrista, il cuore s’angoscia, è intuibile che, ricordando questo passato, una lacrima scenda lungo il volto scavato dal tempo.” Nella poesia in vernacolo si coglie la fusione tra il pensiero, il cuore e la storia biografica della poetessa che, attraverso il suo vissuto evoca immagini che consentono a noi Nicosiani di una certa età di sentire l’eco dei ricordi. Dai suoi versi emerge non solo la volontà di riappropriarsi delle piccole cose del vivere quotidiano che l’evoluzione storica e sociale, generatrice di un caotico progresso, le hanno sottratto, ma anche l’ansia del rinnovamento, l’esigenza, la speranza che il paese si purifichi, si rigeneri, senza smarrirsi in stolti miraggi. Poche annotazioni emblematiche sono sufficienti ad incidere nell’animo del lettore il senso gioioso di una vita semplice, di un passato che per la poetessa è riproponibile come oasi salvifica dal caos contemporaneo.
VOGGHJÖ RRTROVE’ Ö MIÖ PAISÖ
VOGLIO RITROVARE IL MIO PAESE
Perditë ö miö paisö chi sô¢i festë e i soi bagarrë; Perditë ö miö paisö, i soi vosgë ne vaneddë i cantadë no cörtigghjö, i giugadë pî stradë streitë e profumaë dâ merda di nimai, i mucciareddë sota o baddadorö Perditë o miö paisö ca sò douza parrada i soi risadë, i serenadë che Lupo chi soë amisgë fasgianö ne zitö namuraë. Necoscia rrveghjatë e zerca de regordè i festë nê casë randë, i zzitagë chi parentë e l’amisgë, i baladë nô tempö de carrevè.
Ho perduto il mio paese con le sue feste e i suoi bagordi ho perduto il mio paese le sue voci nei vicoli, le sue cantate nel cortile, le giocate per le strade strette e profumate dallo sterco degli animali, il nascondino sotto il ponticciolo Ho perduto il mio paese col suo dolce parlare le sue risate, le serenate che Lupo con i suoi amici portavano ai fidanzati innamorati. Nicosia risvegliati e cerca di ricordare le feste nelle case grandi, i matrimoni con i parenti e gli amici, Le ballate nel tempo di Carnevale.
Necoscia, rrsveghjetë e zerca de dërö spranza e legria a sta nuova gioventù che cresciö, guscì, pozzö dirö, che rrtruovö ö miö paisö.
Nicosia risvegliati e cerca di dare speranza e allegria a questa nuova gioventù che cresce, così, posso dire, Che ritrovo il mio paese. 219
Santo Giangrasso Nasce il 10.11.1941 a Nicosia, dove frequenta le scuole – elementare e media – e il Liceo classico. Consegue il diploma magistrale e si laurea in Pedagogia. Insegnante elementare presso il 1° Circolo didattico di Nicosia dal 1971 al 1982, superato lo specifico concorso ricopre il ruolo di Direttore didattico fino al 2005 e nell’anno scolastico 1998/99 svolge la funzione di Preside presso il Liceo Scientifico di Nicosia. Grazie alla sua ampia preparazione culturale, alla competenza nel campo pedagogico e nel settore teatrale è stato nominato dall’IRRSAE-SICILIA formatore di corsi di aggiornamento, ha organizzato numerose attività e manifestazioni culturali ed ha promosso numerose rassegne teatrali per tutte le scuole dell’ex-Distretto scolastico di Nicosia. Autore di numerosi testi teatrali, fra cui “La Costituzione italiana in tre Atti”, “Noi siamo vivi- Martiri ed eroi dell’Antimafia”, “Una società allo specchio” , “Il pianeta per la vita” - destinati ad alunni di Scuola elementare ed anche di Scuole superiori - ha riscosso meritati successi tanto che i suoi lavori hanno ottenuto per ben due volte il Premio R. Chinnici. Una raccolta di poesie, dal titolo “All’ ombra della rocca”, incentrata su ricordi personali e familiari, su fatti di cronaca, su particolari personaggi, su episodi che investono la vita del paese, evidenzia la sua sensibilità nel fissare momenti del passato e nel cogliere comportamenti, emozioni e contraddizioni del popolo nicosiano. Il poeta, testimone diretto di una cupa storia vera, richiama con versi forti l’intera cittadinanza ad una riflessione profonda sulla demenziale logica della sopraffazione e della violenza, che in un recente passato ha impregnato di irrazionalità anche una manifestazione religiosa, come quella del venerdì santo. Giangrasso trasforma spesso il dato cronachistico in occasione di riflessione e attraverso l’uso dell’ipermetro crea un prolungamento delle emozioni.
IL VENERDÌ SANTO Secondo un rito che puntuale ha il suo svolgimento, tafferugli giganti di demente furore scoppiavano ogni venerdì santo tra uomini veri che aspettavano un anno per saldare i conti di antichi rancori. Unico paese al mondo, emigrati tornati dalle Americhe lontane vedevano due Cristi girare i quartieri, affrontare discese percorrere calli, sostare sui pizzi delle cinque colline. Per secoli il paese rimase diviso in zone tabù dai confini difesi a oltranza, e si esibivano i Cristi a stendardo di parte vantando l’artista che li aveva plasmati. Ma il Cristo più famoso era quello spirante che guarda lontano perdonando ai nemici. La statua contesa da più fazioni, incassata nel gran carro a intarsi con quattro lunghe aste tornite 220
munite di cerchi di ferro alla base, era il trofeo più ambito agognato da tanti. Il possesso degli anelli che dal legno pendevano sanciva il partito vincente dopo scontri furenti e balenar di coltelli che squarciavano addomi e segnavano il viso a memoria perenne, mentre il Cristo lasciato in disparte guardava la masnada che pugnava in suo nome. Persone anziane ancor vigorose, anch’esse partecipi di quelle imprese di un tempo, raccontano ancora di un coraggioso, capo quel giorno di molti peoni, portato in caserma dai gendarmi in divisa che aveva oltraggiato per il loro intervento, ma liberato per sommossa di popolo perché il Cristo non si sarebbe mai mosso dallo spiazzo in cui era stato deposto. Le fazioni come un sol’ uomo lanciarono urrà al ritorno del ribelle impettito, finché la Croce riprese la corsa tra la gente che come un fiume seguiva in tumulto e donne scalze vestite di nero procedevano lente dietro a Gesù Crocifisso chiedendo la grazia per i figli lontani, il raccolto in pericolo o la malattia del marito. Ai balconi le ragazze agghindate attendevano il fidanzato passare con in pugno l’anello osannando al Signore. Dalla Croce pendevano drappi comprati per voto e riciclati dai preti che facevano affari. Ai vincitori di turno si davano vino e biscotti e il liquore offuscava la mente e sanguigni faceva. La processione diventava una calca, con la folla che sbandava a ondate come gregge che cambia prato alla scoperta dell’erba migliore, e ogni spinta diventava uno sgarbo. Quel giorno bestemmiare era come pregare! I carabinieri in stivaloni neri di cuoio, con in testa l’elmetto e il moschetto a tracolla se ne stavano ai margini imprecando a lor volta su cavalli addestrati che mordevano il freno. Il venerdì santo era il popolo che faceva la legge: e non voleva interventi. E dopo mille tenzoni la sagra con attori l’intero paese a notte avanzata si concludeva in piazza, e in quel palcoscenico fra botti e osanna infiniti Gesù Crocifisso avvolto da drappi diventati mantello 221
sembrava un tribuno portato in trionfo ed esibendo ferite più volte ruotava a benedire la folla. Il sabato santo i picciotti passeggiando in piazza narravano gesta d’autentico ardire: come aver rotto la testa al rivale o scalato il picco più impervio dove il Cristo non era mai stato. Mi raccontarono in seguito – avevo cambiato paese – che un vescovo venuto dal Nord mise fine a quella festa pagana, ordinando che i due Cristi facessero pace e girassero il paese in periodi diversi: il primo in quaresima e a novembre quello col capo reclinato sul petto, attraversando sul carro a motore le vie principali. Vi furono tentativi ribelli e sommosse manovrate da preti, ma il nuovo prelato nel comizio in piazza, dal lungo balcone che sembrava un cavallo bardato, scandì: “Mai più un Venerdì così fatto per gli anni a venir! Ubriaconi ! bestemmiatori ! ? ? Sembrava Caifa che si strappava le vesti. In quel recinto quadrato che a stento conteneva il paese, tra palazzi di antico splendore piombò un silenzio di sfida, mentre il gelo delle notti di aprile induceva gli astanti a calcarsi di più. Poi la folla si sciolse, invase la strada del corso e divenne torrente e come un gran formicaio alla ricerca di provviste invernali si sparse per le vie dei quartieri. E qualcuno aperta la finestra di casa sparò alle stelle e giurò: “Si vedrà al prossimo venerdì santo!”. E la moglie piangeva di non fare pazzie.
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PARTE TERZA
Gli affreschi dei palazzi e delle ville nobiliari di Nicosia
Introduzione Valeria Fiscella*
Il nostro territorio conserva un patrimonio inestimabile di palazzi e ville baronali. Diversi nell’origine, nella collocazione ambientale, nelle dimensioni e nell’aspetto architettonico, essi testimoniano ancora oggi la storia di un territorio estremamente ricco. Gli antichi palazzi, che si affacciano su piazza Garibaldi, sulla via Fratelli Testa, sulla Via Francesco Salomone, sulla via Giudecca, alcuni sono ancora di proprietà di antiche e blasonate famiglie, come i La Motta, gli Speciale, altri sono stati acquistati da prestigiosi professionisti che li hanno convenientemente restaurati, facendoli rinascere sulle proprie ceneri come fenici. Questi monumentali edifici, austeri e possenti, testimoni di un tempo cristallizzato, come ibernato tra le antiche mura e sotto i tetti vetusti, raccontano un gran tratto di storia civile appartenente al paese. Molti di essi, ancora saldi nelle loro strutture architettoniche ed ingegneristiche, hanno conservato quasi intatte le antiche forme (balconi, finestre, portoni, archi, balaustre, fornici, scalinate) e recano alla memoria storica immagini di altra epoca, anche se hanno dovuto adeguarsi, con le loro moli mastodontiche, all’agilità della vita moderna, incorporando le nuove strumentazioni e le nuove simbologie (dalle antenne paraboliche ai telefoni, dai citofoni alle lampade al neon, ai termosifoni centralizzati ) o trasformando i locali bassi in negozi. Elementi distintivi degli antichi palazzi rimangono all’esterno le mensole di pietra artisticamente scolpite, che supportano antichi balconi dalle balaustrate lavorate in ferro battuto (vanto dei valenti artigiani nicosiani) e i portoni - vere opere d’arte che preludono l’importanza del palazzo e del casato - su cui svetta l’immancabile stemma scolpito in bassorilievo con la tipica cerva, le stelle, la corona regale, l’aquila, svariati motivi geometrici, floreali e altri elementi tipici e ricorrenti dell’araldica. Ma è all’interno di palazzi e ville che si possono ammirare stupendi affreschi realizzati da artisti del XIX sec. Affreschi che non possono certo competere in notorietà con quelli, ben più famosi e ammirati, che città siciliane come Palermo, Catania, Enna possono vantare, ma che sicuramente non possono considerarsi opere minori. Essi anzi meritano attenzione sia come testimonianza storica e come opera d’arte, sia come strumento di interpretazione e di analisi pittorica. Eppure (è doloroso ammetterlo!) essi sono stati trascurati dagli studiosi d’arte e mancano quasi del tutto studi, pubblicazioni, testi specialistici relativi al tema. Qualche immagine e qualche accenno agli affreschi compare soltanto in manuali d’uso turistico e divulgativo, in saggi sui luoghi di San Felice, in opere di carattere storico, ma le informazioni sulle date di realizzazione e sulla committenza, così come l’ inquadramento storico, l’ interpretazione artistica ed il riconoscimento delle figure rappresentate sono ancora vaghi e confusi. Con certezza sappiamo soltanto che i ricchi committenti ordinavano per le loro case lussuose e le loro ville di campagna le decorazioni delle volte, perché era come portare in casa l’aria della campagna e dei monti, aprire grandi finestre su visioni lontane e su scene mitologiche e idilliche, rustiche e marinaresche. La pittura aveva il compito e l’intento di rendere più gradevole e ridente l’interno delle stanze d’abitazione, di sfondare il soffitto, con un illusionistico, arioso, luminoso cielo. Bisognava con l’illusione ottica sfondare la stanza, rendere quasi trasparente il soffitto delle abitazioni. E così le stanze venivano slargate da illusorie prospettive, le sale venivano dilatate da paesaggi e da complicate composizioni ornamenta-
* Docente di Italiano e Latino presso il Liceo Classico “Fratelli Testa” di Nicosia
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li. Al centro, molto spesso, erano presenti grandiose figurazioni mitiche e allegoriche, dove la pittura si dispiega in scene di grande livello artistico. Di fronte alla loro struggente bellezza - così penetrante e manifesta da indurre anche non specialisti, come noi, all’ammirazione più sentita – pur non essendo iconografi e neppure studiosi di storia dell’arte, abbiamo voluto tuttavia attenzionare alcuni di questi tesori nascosti, avanzare delle ipotesi, senza la presunzione di offrirvi un’interpretazione esaustiva e capace di risolvere i molti interrogativi che ancora nascondono la verità sugli affreschi di Nicosia.
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1. Palazzo Caprini, Via Francesco Salomone (XIX sec.)
La sala di San Nicola Il soffitto è impreziosito dalla figura di San Nicola, che sembra salire in cielo, nella luce dell’Empireo, splendente come il sole e trasportato da una candida nuvoletta circondata da angioletti. La presenza degli angeli che confortano il santo appartiene alla devozione post-tridentina e attestano la gloria celeste diventata canonica nell’arte della Controriforma.
Il santo è rappresentato in abiti vescovili con piviale, mitra e pastorale. Il copricapo vescovile è attributo di San Nicola eletto vescovo di Myra, così come il pastorale retto da un angelo indica che egli era pastore spirituale della propria diocesi. Un angelo reca un libro per ricordare la forza insita nelle Sacre Scritture, necessaria per vincere le tentazioni. L’aspetto del volto con zigomi larghi, gote scavate e bocca serrata - tipici dell’iconografia orientale bizantina - indica coraggio e fermezza. La mano destra alzata prelude al momento della benedizione.
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Sala di S. Nicola (foto: nonsolovideo)
2. Palazzo Cirino, Via Fratelli Testa (XIX sec.)
1ª Sala : Il Giudizio di Paride Il piano nobile del palazzo Cirino, acquistato dall’avvocato Salvatore Timpanaro, conserva nella sala grande del palazzo un affresco di datazione incerta. Fu probabilmente realizzato da anonimi, ma diverse considerazioni di ordine storico e stilistico portano ad attribuire l’affresco raffigurante il Giudizio di Paride alla mano di Natale Attanasio1 o di un pittore che si ispirava alla sua arte. Pare, infatti, che nel 1898, chiamato a dipingere un ritratto per una nobile nicosiana, eseguisse per il Cirino una delle più felici rievocazioni del genere mitologico dandone un’interpretazione quanto mai fresca e viva e fornendo un chiaro esempio della sua sapienza compositiva. I necessari raffronti che si potrebbero istituire tra questa pittura e quelle eseguite in altre città siciliane, inducono non infondatamente a supporre - anche per le possibili coincidenze cronologiche che a decorare il soffitto fosse chiamato il maestro Attanasio o un collaboratore di quel maestro, o un artista comunque formatosi intorno a lui. Attanasio, felicissimo interprete della cultura, del gusto, del costume di una civiltà al culmine del suo sviluppo, accolse il repertorio mitologico tradizionale che godeva di molta fortuna in tutta Europa e lo adattò ai soffitti, sui quali le vedute dell’Olimpo davano occasione alle prospettive in pieno cielo. Le figure, sebbene atteggiate nelle leziose e sentimentali pose, hanno forme quasi rigenerate dalla nitidezza del disegno e dalla luminosità del colore, dalla limpidezza e trasparenza dell’atmosfera circostante. Si tratta di un vero capolavoro per l’estrema chiarezza, la semplicità, il perfetto equilibrio e l’armonia della composizione. I colori, variati e vivaci, contribuiscono in larga misura a valorizzare il disegno e il vivace chiaroscuro, che modellano le morbide figure e i panneggi. Si nota l’estrema evidenza dell’azione e dei singoli protagonisti, mirabilmente individuati e identificati. Ogni figura è subordinata all’armonia generale e fusa in una visione organica, completa, perfettamente unitaria, che si articola in un ritmo fluido, continuo. E’ compiutamente e felicemente realizzato l’ideale classicistico, l’incontro di Idea e Natura, in una rievocazione del mondo antico, che la vitalità dei personaggi e l’ariosa luminosità della scena rendono fantastico e reale al tempo stesso. Si può dire , parafrasando ciò che affermava il Vasari, che “ la virtù del pitto-
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Natale Attanasio, nato a Catania nel 1846 e morto a Roma nel 1923, studiò all’Accademia di Napoli e fu avviato da Domenico Morelli verso un’analisi di tipo romantico dei contenuti sociali, morali e religiosi. Decorò la sala di lettura di Palazzo Madama a Roma (sede del Senato), il ridotto del Teatro Massimo Bellini a Catania, il Palazzo del principe di Montevago a Palermo ed il Palazzo Cirino a Nicosia; affrescò l’abside della Chiesa del Carmine di Catania. Prese parte a numerose esposizioni nazionali ed internazionali in cui presentò i suoi dipinti, tra cui l’opera più rappresentativa fu “Lacrimae rerum” ovvero “La cappella del manicomio” che si trova al Museo Civico di Castello Ursino a Catania.
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re sta nel saper narrare la storia in modo così facile e pronta da gareggiare con l’efficacia della parola scritta”. Al centro Paride, figlio di Ecuba e Priamo, re di Troia, tende il pomo della discordia a Venere, gesto che esprime con chiara evidenza la sostanza del mito: l’episodio del famoso giudizio da cui ha origine la guerra di Troia. Vi è un muto, ma eloquente dialogo tra Paride e Venere. La dea è accompagnata da Amore, mentre mancano gli attributi della dea : il carro trainato da colombe o da cigni e le rose. Il piccolo fanciullo alato in procinto di scagliare una delle sue frecce verso Venere è Cupido o Amore che svela l’identità della dea e suggerisce che il tema della composizione è a sfondo amoroso e che tale sentimento è all’origine dell’episodio. La figura femminile armata con l’elmo e la lancia è Minerva, dea della guerra e della sapienza. Di lei si racconta che sia uscita dal capo di Giove, in veste di guerriera, armata di elmo, scudo e lancia. Manca la civetta, simbolo della sapienza ed attributo di Minerva. Giunone, moglie e sorella di Giove, viene rappresentata di spalle con un diadema e uno scettro, a indicare la sua posizione di regina dell’Olimpo. Accanto a lei è un pavone, uno dei simboli di Giunone e animale sacro alla dea tanto che il suo carro era, secondo la mitologia, trainato da pavoni. Le macchie colorate sulla coda del pavone sono gli occhi di Argo che Giunone aveva posto sulla coda degli animali a lei sacri in memoria del guardiano dai cento occhi, incaricato di custodire Io e ucciso da Mercurio. La decorazione pittorica della volta è inquadrata da fasce sottosoffitto, ricche di ampi fregi, da quattro medaglioni agli angoli raffiguranti i quattro continenti, Europa, Asia, Africa e America ( manca l’Australia), da finte erme marmoree, cariatidi e figure nude. Attanasio, che probabilmente curò la decorazione ad 229
Il Giudizio di Paride (particolari) Palazzo Cirino (XIX sec.) Nicosia. (foto: nonsolovideo)
Il Giudizio di Paride, affresco di Natale Attanasio, Palazzo Cirino (XIX sec.) - Nicosia (foto: nonsolovideo)
affreschi delle sale, seppe fondere in un’armonica fusione motivi puramente decorativi e figurazioni a soggetto classico e mitologico. La cornice della volta finge la purezza astratta di pietre dure : lapislazzoli. Entro quadrature di un finto sfondato si affacciano coppie di putti festosi monocromi su fondo dorato – che giocano e scherzano fra di loro o sono intenti a svolgere qualche occupazione o a giocare in mezzo a fiori, farfalle e rose. Nuovissima è la delicata naturalezza degli atti, la dolcezza quasi sensuale delle forme degli amorini. L’immagine dei putti (bambini paffuti e alati) risale all’an230
tica iconografia degli eroti greci, già presenti nella pittura pompeiana e appare spesso nella pittura rinascimentale e barocca. Il putto che guarda divertito verso l’osservatore è Anteros, l’amore reciproco, corrisposto; quello che si ritrae stizzito è Liseros, personificazione della forza che fa cessare l’amore; il putto che sparge petali di rosa rappresenta la gioia che accompagna l’amore sensuale e i putti non bendati alludono all’amore celeste.
2ª Sala: La sala dei putti La stanza, che fa parte oggi dell’appartamento della sig.ra Gaglione, conserva una composizione sulla volta ( purtroppo molto danneggiata dall’umidità) costituita da un velo con bordi ricamati steso al centro, da putti inseriti in quadrature e da disegni floreali e mazzi di fiori colorati agli angoli. I putti evocano una visione familiare e tenera dell’esistenza, una delicatezza di sentimenti, che mira ad allontanare immagini di sofferenza e di dolore. Questo decoro può considerarsi un ritaglio che cattura il cuore, che trasporta in un altro mondo.
Sala dei putti, Palazzo Cirino (XIX sec.) Nicosia. (foto: nonsolovideo)
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3. Palazzo Mallia, Via Fratelli Testa (XIX sec.)
Il palazzo urbano del barone Speciale di Mallia, attualmente di proprietà del notaio Massimo Rizzo, può considerarsi un vero e proprio gioiello architettonico per snellezza, leggerezza e squisita eleganza. Sui pittori che hanno eseguito gli affreschi per l’ala abitativa del palazzo non si hanno notizie in merito, ma pare che gli stessi artisti abbiano probabilmente dipinto tutte e tre le sale del piano nobile.
1ª Sala: La sala della Primavera La sala della Primavera, ex salotto dell’antico palazzo Mallia, ambiente a pianta rettangolare, si presenta interamente decorata da affreschi sulla volta; al centro di essa un grande sfondato per il cielo è stato eseguito da un pittore ancora non identificato. L’affrescatore svolge un episodio mitologico e modella nello spazio una figura singola, che risalta su un fondo uniformemente azzurro spazioso e luminoso e il cui profilo è di imperiosa nitidezza. Si tratta di un realismo illusionistico, per cui il pittore cerca di dare il massimo dell’evidenza e della naturalezza ad una rappresentazione di per se stessa irreale. L’effetto scenografico della finta architettura - una finta balconata aperta su uno sfondo di cielo aperto, sereno, opalino - non funge più da sfondo o inquadramento, ma diviene la trama, l’indispensabile legame compositivo della fantasia allegorica e mitologica che forma il tema dell’affresco. Al centro, quasi librata nel vuoto e volteggiante nell’aria, è una figura femminile, con il capo ornato da una ghirlanda floreale e colta nel dinamismo dei gesti, aperti e liberi. La corona di fiori posta sui capelli è un segno distintivo che ci permette di identificare Flora, la dea della primavera che ha ricevuto come ricompensa e dimostrazione d’amore da Zefiro, il vento della primavera, innamoratosi di lei, il dono di regnare sui fiori e sulla fioritura dei campi. Alla primavera è legata l’immagine della floridezza, quindi della giovinezza, nonché delle gioie della vita e della dolce attesa delle donne.La figura, gioiosa ed entusiastica affermazione della bellezza dolce, sensuale, florida e vitale nelle forme, è esaltata e idealizzata dalla limpida purezza del colore della veste e dei fiori , dalla chiarezza della luce piena, dall’ assenza di ogni turbamento passionale sul volto sereno e gioioso. Lo spazio intorno alla figura centrale appare sminuzzato da vari elementi architettonici, realistici nei particolari, fantastici nell’insieme. Piuttosto tipica l’inserzione, entro tali elementi, di figure umane che si sciolgono in motivi animaleschi e vegetali. Molti sono i motivi: meandri e viluppi, grappoli di fiori, figure volanti. Pennellate succulente, impasti caldi, note di rosso acceso, di bianco 232
luminoso, di celeste puro, di giallo dorato, di verde smeraldo danno a questa pittura uno splendore e una letizia, che rivelano il desiderio di portare, dentro le case, luce e calore, sole e gioia, con immagini di salute e prosperitĂ . Putti, con strumenti musicali e cavalletti da pittura, decorano gli angoli.
La Primavera, Palazzo Speciale di Mallia, Nicosia, XIX sec. (particolari) (foto: nonsolovideo)
La Primavera, Palazzo Speciale di Mallia (XIX sec.) Nicosia (foto: nonsolovideo)
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2ª Sala: La sala dei paesaggi Si tratta di uno stile pittorico basato sul descrittivismo con caratteri chiaramente narrativi, che diventano “racconto”: un racconto da “leggersi” quadro dopo quadro e che si succedono da sinistra verso destra. Si avverte una precisa notazione dell’ambiente, in cui effetti luministici precisano spazi, oggetti e persino i tempi dell’osservazione. I quattro paesaggi, posti in lunette ovali, rientrano nel tradizionale filone della pittura vedutistica documentaria e topografica e del paesismo un po’ convenzionale. Paesaggi fiabeschi, immersi in luci irreali con cieli tempestosi d’intonazione drammatica, espressione di una sensibilità inquieta e fantasiosa tipicamente romantica, si alternano a vedute pacate e distese dello stesso palazzo Mallia e della casa di campagna dei Mastroianni in contrada Olivera, in cui prevale una delicata modulazione di luci e ombre. I paesaggi, collegati con finte architetture, costituiscono un miracoloso richiamo alla pittura murale pompeiana.
Sala dei paesaggi (particolari) Palazzo Speciale di Mallia (XIX sec. ?) Nicosia (foto: nonsolovideo)
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Sala dei paesaggi Palazzo Speciale di Mallia (XIX sec. ?) Nicosia (foto: nonsolovideo)
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Sala dei colombi Palazzo Speciale di Mallia (XIX sec. ?) Nicosia (foto: nonsolovideo)
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3ª Sala: La sala dei colombi Posta al piano nobile, simmetrica rispetto alla Sala dei paesaggi, vi è la Sala dei colombi (probabilmente adibita a camera da letto).Nuova è l’invenzione del velo con apertura illusionistico-prospettica. La fiaccola accesa legata al tondo centrale indica l’inizio della vita e simboleggia il fuoco della passione amorosa a differenza della fiaccola spenta che indica la caducità dei beni terreni dell’amore profano. L’arco, le frecce, la faretra sono gli attributi di Amore, ritenuto figlio di Venere e Marte, che con i suoi dardi infonde la passione negli dei e negli uomini. I colombi sono animali simbolo di Venere e identificano spesso la dea dell’amore
Sala dei colombi (particolari) Palazzo Speciale di Mallia (XIX sec. ?) Nicosia (foto: nonsolovideo)
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4. Palazzo La Motta S. Silvestro, Piazza Veutri (XIX sec.)
Il palazzo racchiude un grande e prezioso patrimonio artistico, ai pi첫 sconosciuto. Salvatore Gregorietti - ragguardevole decoratore del Novecento e noto soprattutto come illustratore di soggetti mitologici, le cui opere si possono ammirare a Palermo, Catania, Messina, Marsala, Licata, Caltanissetta ed Enna, ha affrescato a Nicosia la sala grande del piano nobile per il barone La Motta, decorando la volta con scene tratte dalla fabula di Ovidio, che narra la storia di Cerere (Metamorfosi di Ovidio). La grazia delle linee, la delicatezza cromatica emergono sia nelle armoniose figure femminili del carro di Cerere, sia nei personali calligrafismi decorativi dei raffinati motivi floreali, incorniciati dalle monocromie dei putti e dei fiori del fascione laterale. In esso lo stucco sostituito da una illusoria decorazione, che lo riproduce con il pennello e il colore, determina un apparato decorativo baroccheggiante, ancora pi첫 amplificato dai dorati riquadri del soffitto. Fiori e foglie, in equilibrio tra stilizzazione e realismo analitico, e figure geometriche, dalle sottili linee e dalla sofisticata perfezione, incorniciano
Stemma e scena mitologica, Palazzo La Motta di S. Silvestro (XVIII sec.), Nicosia (foto: nonsolovideo)
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immagini neoclassiche di leggiadre fanciulle, circondate da putti e amorini gioiosi. Putti ed amorini in Gregorietti perdono la piattezza anonima del decoro per acquistare una propria intensità espressiva e creare, nell’alto delle volte, un’immagine paradisiaca che sembra fare da elemento mediatore tra cielo e terra. La favola si intreccia alla vita dei committenti investendoli di simbologie e alludendo a temi esoterici. La concezione della complessa composizione appare già in sé fondamentalmente nuova, soprattutto per la ricerca di un effetto generale essenzialmente plastico, ottenuto mediante l’inserimento di finti elementi architettonici in vivo risalto, che seguono una visione prospettico-illusionistica: ad essi è affidata la funzione di inquadrare in modo monumentale le figure, per lo più isolate, alle quali quindi sono strettamente subordinati. I cavalli del carro di Cerere sono raffigurati bianchi, come nelle quadrighe trionfali romane. La corona di spighe e la cornucopia ricolma di frutti della terra sono attributi di Cerere.
Sala del carro di Cerere, affresco di S. Gregorietti, Palazzo La Motta di S. Silvestro (XVIII sec.), Nicosia (foto: nonsolovideo)
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5. Villa S.Andrea del barone Mallia, in contrada Albereto (XX sec.)
Costruita come residenza estiva del barone Speciale e come luogo di soggiorno durante i periodi di caccia, sorge in un’amena contrada nei pressi di Nicosia. La tipologia di questa prestigiosa costruzione, che costituiva il centro di una piccola città (con villa, scuderie, giardino, orti con frutti) è connessa ad una architettura che somma la duplice funzione di residenza e controllo della produzione agricola. Con il passaggio di proprietà dal barone Mallia alla famiglia Battiato e, successivamente, a quella di La Giusa, la villa muta aspetto, poiché le sarà affidato il compito di rappresentare il prestigio economico e sociale dei nuovi proprietari. La villa – oggi di proprietà del sig. La Giusa - è articolata su un piano in elevato e una cantina; all’interno possiamo trovare ampi saloni e stanze adiacenti tutte finemente e sapientemente affrescate in stile liberty e risalenti alla metà del Novecento. Per mancanza di documenti ne ignoriamo i costruttori e i decoratori, ma è logico supporre la presenza di maestranze forestiere, che, nello spirito di un rinnovamento artistico, si proposero di rispondere alle esigenze di decoro e raffinatezza che venivano dalle classi nobiliari e borghesi. In molti sostengono che sia stato Ernesto Basile2, intorno alla metà del Novecento, ad arricchire la villa dello straordinario decoro interno. Gli affreschi dimostrano che Nicosia non sfuggì al “nuovo stile” che da tempo si era diffuso in Europa e in Italia, anche se qui, paese di provincia, si affermò con un certo ritardo e si protrasse fino agli anni Quaranta. L’abitazione, infatti, conserva meravigliose decorazioni con motivi floreali. Sono lavori nei quali emerge chiaramente il senso artistico e innovativo accompagnato da un codice di segni e di simboli, un codice ricco di fiori i quali, oltre ad essere un motivo ornamentale, rappresentano un modo di vivere e di pensare: espressione di gentilezza d’animo ma anche simboli della fugacità della bellezza e della vita. Ispirandosi ad un vago concetto di naturalismo l’artista dell’arte nuova, per dare vivacità e movimento alla sua opera, sfruttò tutto ciò che di più contorto e sotti-
2 Ernesto Basile (Palermo, 1857 - 1932) fu un architetto italiano esponente del modernismo internazionale e del Liberty, del quale divenne eminente rappresentante. Figlio del famoso architetto Giovan Battista Filippo, dopo la laurea in architettura conseguita nel 1878 succedette al padre nella cattedra universitaria nel 1890 e, dopo la morte di lui (1891), concluse l’opera più importante della Palermo ottocentesca, il Teatro Massimo. Continuò a lavorare nella sua città per tutta la vita realizzando edifici pubblici (Kursal Biondo) e ville private (Villa Igiea, Villino Florio, Villino Basile a Santa Flavia) e portando avanti contemporaneamente varie commissioni in diverse località italiane e siciliane. Mantenne anche rapporti con Roma dove eresse alcune dimore signorili e costruì l’ala nuova di Montecitorio con l’aula del Parlamento. Molto attiva fu anche la partecipazione del Basile alle numerose esposizioni sia come progettista di padiglioni architettonici, sia d’ambienti interni ed arredi singoli, avendo avviato un sodalizio con due ditte palermitane: prima con l’industria delle ceramiche dei Florio e poi con l’industria del mobile dei Ducrot. Basile ebbe una mano leggera e straordinaria, come si può evincere anche dalle raffinate decorazioni mosse da una policromia vellutata e sensuale presenti nella Villa S.Andrea.
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le la natura può offrire. Stami di fiori, frutta, foglie, rami, viticci, animali furono colti e raffigurati nei loro segmenti più flessibili e sinuosi. Nelle varie stanze si coglie una profusione di elementi mutuati dalla natura e dai due mondi, vegetale ed animale. Queste sfere parallele della natura vengono concepite come un unico ed armonioso universo dal quale trarre ispirazione artistica. Germinano nella pittura motivi floreali, ambienti vegetali, viticci. Contemporaneamente, in un clima di primaverile fioritura, l’arte si popola di creature animali. Le forme con cui vengono raffigurati questi soggetti sono sempre linee curve, forme flessuose provenienti dal movimento preraffaelita ottocentesco. Altro luogo comune era l’accoppiamento donna-fiore dato che il movimento artistico del Liberty, sostenendo la lotta per l’emancipazione femminile, poneva la donna al centro della rivoluzione sociale. Non mancano piccoli quadri in cui si ritraggono luoghi e aspetti suggestivi della campagna, con attento studio degli elementi naturali (alberi, rami, ecc.), vedute di vallate montane, paesaggi indagati con l’occhio attento di un naturalista. Uno stile sintetico, ma vigoroso, che si avvale di densi impasti di colore per dare sostanza ed evidenza plastica alle forme, essenziali e sommariamente descritte. Due alberi contorti e qualche dirupo bastano a ricreare il fascino di un luogo, a dare il senso dello spazio e della luce. Giochi di luce e ombra rendono ancora più suggestiva ed elegante la villa, vero e proprio simposio tra arte novecentesca e natura.
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Sala dei pavoni Villa S. Andrea (XX sec.) Nicosia (foto: nonsolovideo)
Sale con paesaggi e decori floreali, Villa S. Andrea (XX sec.) Nicosia. (foto: nonsolovideo)
Sala delle figure femminili, Villa S. Andrea (XX sec.) Nicosia. (foto: nonsolovideo)
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PARTE QUARTA
Alla ricerca... delle antiche tradizioni
Introduzione Valeria Fiscella* - M.Luisa Li Volsi**
Questo capitolo, che raccoglie alcune manifestazioni della cultura nicosiana, è nato dall’amore per il nostro paese, che ci ha fatto attente osservatrici della realtà della nostra gente e della nostra cittadina. Infatti, quando ci siamo rese conto che il nostro paese, spinto dal moto dell’innovazione, cambiava l’impronta che i secoli gli avevano affidato, che l’evoluzione culturale aveva iniziato ad erodere e dissolvere usi, comportamenti, modi, manifestazioni che si erano lungamente protratti nei secoli, abbiamo sentito il bisogno di recuperare quel passato per conservare per la nostra gente e per noi stessi quelle radici, senza le quali nessun presente può avere senso e valore. E così abbiamo rivolto la nostra cura alle varie forme d’espressione dell’ anima popolare, intervistando, nei vicoli dei quartieri più antichi e nelle campagne, molti anziani depositari di saperi che forse nessun libro potrà mai riportare . Con pazienza siamo riuscite a mettere insieme un cospicuo materiale, non tralasciando di considerare gli elementi antropologici e psicologici, poiché il soggetto del fatto folclorico è sempre l’uomo con le sue peculiarità, col suo inconscio. Queste manifestazioni che ci hanno interessato molto, poiché sono traccia di quel quotidiano che racchiude gioie e dolori, timori e certezze, speranze e delusioni vissute dal nostro popolo, quasi sempre poggiano su presupposti emotivi, sentimentali, ricchi di fantasia, ed in nessun modo razionali, e toccano diversi campi. Con una sincera venerazione abbiamo guardato ad ogni comportamento popolare, non vedendo in esso nulla di banale, bensì un documento di vita nicosiana, un mondo insospettato e vario, un mondo nascosto nella quotidianità, che ci ha svelato il vero essere della nostra popolazione e che ci ha dato una più profonda coscienza della nostra realtà. Da qui l’impegno nel cercare di recuperare, salvaguardare, valorizzare l’identità e l’autenticità della tradizione popolare che testimonia, nei suoi multiformi aspetti, la secolare cultura della nostra popolazione e rispecchia i tratti storici, culturali e spirituali della nostra comunità. Una comunità contadina che ha elaborato una sua concezione di vita, che ha avuto il suo epicentro nella famiglia, intesa come centro di gravitazione della convivenza umana con il parentado, il vicinato, la comunità. Dalla famiglia, attraverso la generazione adulta (nonni e nonne), si dipartivano e rafforzavano le varie linee di socialità nei rapporti con i figli, i nipoti, i consanguinei, per giungere ad un armonico inserimento della vita familiare nel più vasto contesto della convivenza sociale. Nonostante la cultura contemporanea, da quasi un secolo, abbia messo in discussione l’istituzione della famiglia patriarcale, rimane, comunque, il fatto che la generazione anziana del mondo rurale ha sempre svolto un ruolo primario nel trasmettere un ricco patrimonio culturale di saggezza e di conoscenza che si è tramandata e si è conservata da una generazione all’altra. Purtroppo l’antico patrimonio delle tradizioni legato ai momenti cruciali della vita - quali nascite, battesimi, fidanzamenti, matrimoni, funerali - gli antichi rituali connessi a questi momenti, in seguito all’affievolirsi della coscienza del gruppo di appartenenza, hanno poco a poco perso il loro significato e, oggi, sono quasi del tutto scomparsi. Tuttavia è possibile, sulla base delle testimonianze dei più anziani componenti della comunità, tracciare un breve e preciso quadro delle particolari usanze praticate dai Nicosiani nella celebrazione dei loro più importanti rituali, che conferivano ai comportamenti umani una sorta di
* Docente di Italiano e Latino presso il Liceo Classico “Fratelli Testa” di Nicosia ** Docente di Italiano e Latino presso il Liceo Socio-Psico-Pedagogico di Nicosia
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sacralità; una ritualità fatta di innumerevoli regole non scritte, ma non per questo meno ferree e vincolanti, difficilmente riscontrabili in altre circostanze della vita. Il capitolo ha, da un un lato, l’ambizione di voler essere una “cerniera” tra il passato e il presente, dall’altro, di rendere fruibili i contenuti della documentazione raccolta ad un pubblico appassionato, interessato, o anche semplicemente curioso di saperne di più di demologia. Il fatto che, a Nicosia, sopravviva una antica tradizione testimonia ancora l’importanza storico-culturale di questa terra, nonchè la continuazione e lo sviluppo di una civiltà non ancora del tutto contaminata da un consumismo sfrenato, che sembra divorare tutti quei principi e valori che contribuiscono a costruire una propria identità. Per questo ci è sembrato utile e doveroso dare maggiore spessore e precisione prospettica alle tradizioni, che affondano le radici nell’anima popolare, perchè esse sono espressioni di vita e di valori che nutrirono la nostra gente e che essa espresse.
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1. Feste tradizionali
Molte feste religiose e laiche hanno conservato il fascino della tradizione, altre, invece, sopravvivono faticosamente alla modernizzazione ed altre ancora sono state introdotte in questi ultimi anni. Le odierne manifestazioni religiose, che da secoli scandiscono con regolarità il “tempo quotidiano”, esprimendo il sacro e il profano nella forma più immediata e popolare, affondano le loro radici nella religiosità “preistorica” del popolo nicosiano e sono ricche di molteplici simbolismi non sempre facili da decifrare. Tuttavia, essendo state elaborate da una società contadina, si può ipotizzare che esse siano scaturite dalla negatività di estreme situazioni esistenziali, nel senso che quanto più il nostro popolo era provato tanto più sentiva l’esigenza di credere che, con riti e sacrifici, potesse avere le divinità più vicine, più pronte ad intervenire, più aperte ai sentimenti umani. Più la vita naturale appariva indecifrabile, incombente e potente espressione di forze da accattivarsi, più ci si sentiva in posizione di debolezza e più si tendeva a rendere amica questa o quella forza insita nella Natura con riti di rigenerazione e di purificazione, corrispondenti alle fasi del lavoro agricolo e ai relativi cicli stagionali. A poco a poco l’atto rituale sfociò in abitudine, per cui tante azioni e gesti, che in origine erano semplici espressioni di religiosità, diventarono atti della tradizione e si trasformarono in feste che separavano un periodo dell’anno da un altro e differenziavano il tempo ordinario delle attività pubbliche e private, da quello straordinario delle celebrazioni e delle commemorazioni, di cui si voleva conservare il ricordo. Nacquero così le feste calendariali annuali e stagionali, che inizialmente ebbero una funzione regolatrice, per diventare, col tempo, un importante elemento di identificazione e di coesione della comunità che, abitualmente dispersa, aveva la possibilità di ritrovarsi nei giorni stabiliti per compiere determinati rituali. Si trattava di feste che costituivano un momento di pausa rispetto alla ripetitività della vita quotidiana, in cui potevano realizzarsi quelle condizioni difficilmente perseguibili in altri momenti. In occasione della festa, infatti, ci si poteva ritirare “tardi” poiché non c’era la preoccupazione di alzarsi all’alba per iniziare la giornata lavorativa, si poteva dare maggiore rilievo al bisogno di esibire il vestito della festa, abbandonando l’abbigliamento semplice ed essenziale usato nell’ambiente di lavoro, e si poteva anche mangiare molto e bene. Il Natale, il Capodanno e la Pasqua, in passato, facevano parte delle feste annuali e stagionali, dei riti pagani di propiziazione e rinnovamento. A Natale si auspicava una buona produzione riempendo un ramo o un albero di prodotti e alla vigilia si digiunava perché si credeva che in tal modo ci si si potesse purificare totalmente e allontanare dal male. Il Capodanno era sorto come festa di rigenerazione e funzione analoga aveva la Pasqua, legata ai riti primaverili di esultanza 247
per il rinascere della natura. Non mancavano manifestazioni di “trasgressione”, che erano l’occasione per rompere le regole comportamentali in una società che viveva di duro e concreto lavoro, come ad esempio il Carnevale, in cui si poteva dare libero corso al divertimento e in cui “tutto era permesso”. Con la cristianizzazione, ai rituali di carattere stagionale si sovrapposero le feste del calendario liturgico, che riproposero i temi fondamentali della fede ed ebbero la funzione, attraverso la ricorrenza e la ripetizione, di produrre e regolare un nuovo sistema di credenze e di valori. Entrarono a far parte del calendario liturgico anche le feste rionali, generalmente a ricorrenza fissa, in quanto nella tradizione popolare il santo protettore era specializzato nel proteggere dagli eventi negativi e nel curare e prevenire determinate malattie. Ogni quartiere aveva un suo santo protettore, (che difendeva e proteggeva gli abitanti e il territorio), aveva la sua festa, che era non solo il simbolo della religiosità della gente, ma anche il modo per gareggiare con gli altri quartieri spesso in opposizione concorrenziale tra loro. Lo sfarzo della festa, infatti, era anche espressione dell’orgoglio di tutta la gente del quartiere, che vi partecipava in vari modi: dalla cura della chiesa, al patrocinio della manifestazione religiosa. Forse il momento più toccante era l’uscita dalla chiesa, tra scampanii e sparo di bombe, del santo, portato, secondo la tradizione, a spalla e seguito da fedeli (soprattutto donne) a piedi scalzi che adempivano allo scioglimento di un voto. Il santo veniva condotto per tutto il paese, secondo canonici itinerari, accompagnato dalla banda musicale e dai fedeli. I festeggiamenti si concludevano nella tarda notte con il grande finale di artistici fuochi d’artificio. Le feste rionali, poi, avevano tutta una loro vita festosa, dalla novena con le campane a festa a mezzogiorno e alla sera, gli addobbi in chiesa, le illuminazioni per le vie, il pranzo più abbondante, le osterie più affollate, la processione con partecipazione e curiosità degli altri rioni. Speciali congregazioni rionali religiose, le Confraternite, erano addette anche a portare la statua della Madonna o del santo, ed i membri della congregazione dei portatori avevano un loro abito che li distingueva; parecchie volte alcuni portatori, che portavano a spalla la Madonna, erano già ubriachi o brilli per il vino bevuto a pranzo o fin dal mattino alle osterie, e parecchi di essi andavano in chiesa solo in quelle occasioni. Le feste rionali in onore dei Santi si svolgevano quasi tutte con uno stesso cerimoniale. Alla base di ogni festa c’erano gli organizzatori che facevano capo al maströ dâ festa ( il maestro della festa), che come un regista e scenografo, ne curava la preparazione, dalla raccolta delle offerte, alla scelta del programma, al tocco finale, per cominciare, subito dopo la festa, un nuovo lavoro di tessitura, che avrebbe portato alla realizzazione, l’anno seguente, della nuova sagra; e così via in un tramandarsi il compito, spesso di padre in figlio, ma anche affidato sempre a personaggi del quartiere, di cui la festa era espressione. C’era, poi, la figura del predicatore che doveva avere qualità particolari per attirare l’attenzione e creare un’atmosfera di tensione. Quando le chiese non riuscivano a contenere la folla, allora il predicatore si spostava nella piazzetta antistante e, con un parlare fiorito, forte, con gesti, con immagini sacre, riusciva a creare nella folla l’entusiasmo religioso, il bisogno di penitenza, di contrizione. Si faceva a gara tra i rioni nello scegliere il miglior predicatore che avrebbe dovuto condurre la novena o il triduo nei giorni precedenti la festa o solennizzare il panegirico al santo. L’assistere alle sue prediche era un appuntamento da non perdere. E lui con il suo discorso forbito, fatto di sapienti pause, di accorte sottolineature, creava un crescendo emozionale nell’attenzione del popolo fino alla 248
finale invocazione al santo che aveva il senso di un’esplosione gratificante. Altro elemento, nel quadro composito delle feste paesane, erano le Confraternite, che avevano il compito di trasportare, scortare, seguire o precedere la statua in una coreografia stabilita dall’uso o dalla funzione. Esse avevano scopi caritatevoli, di sostegno ai poveri o di soccorso agli infermi, insieme a quelli relativi al culto, ed erano il modo con cui la comunità si organizzava per venire incontro ai propri bisogni, e lo faceva col sostegno della chiesa. L’importanza di queste confraternite dipendeva dalla ricchezza degli associati. Le più antiche furono quelle di S. Maria e di San Michele con sede nelle relative chiese. Ognuna aveva una sua regola, i suoi iscritti, il suo patrimonio, le sue attività, tra cui quelle assistenziali e di cura della chiesa ove avevano sede. La processione, momento principale della festa, in genere era aperta dalle Confraternite non solo religiose, di cui era ricca la vita sociale di Nicosia, con i loro stendardi, i loro iscritti. Seguivano poi i sacerdoti, i chierichetti e, dietro la statua, le autorità del quartiere con in capo ‘ö maströ da festa’, quindi i penitenti - coloro che dovevano assolvere un voto fatto al santo - che andavanno scalzi portando grossi ceri accesi e, infine, c’era la folla dei fedeli. Il tutto si snodava nelle vie del paese parate a festa, tra due ali di fedeli che si segnavano e si genuflettevano. Naturalmente era questo il momento di massima espressione del rapporto col Santo, cui ci si rivolgeva durante tutto l’anno e che si doveva ringraziare. La processione aveva un preciso significato: rappresentava un momento in cui la tragedia esistenziale era vissuta in comune, poiché non c’erano remore nel mettere a nudo i propri bisogni, ma era anche un momento di gioia condiviso. Accompagnavano il corteo sacro i canti che erano di due specie: quelli ufficiali delle Associazioni, in apertura di corteo, e quelli delle popolane che, a gola aperta, lanciavano la loro invocazione, nella speranza che la forza del canto smuovesse il Santo ad ascoltarli con maggiore solerzia o dimostrasse meglio la profondità del loro sentire. La cosiddetta “religione popolare” si univa a quella ufficiale non creando rottura, ma integrandosi in una diversa espressione dello stesso sentimento religioso. Altro elemento portante della religiosità popolare era la banda musicale, che seguiva la processione. Essa aveva diversi posti nel corteo: se precedeva il Santo aveva la funzione di preparare i fedeli all’incontro col divino, se seguiva, allora la sua era voce di preghiera. Il suo repertorio costituiva un elemento portante della festa ed un momento di massima aggregazione, in cui ognuno si sentiva unito all’altro nel godimento estetico, che si stemperava fino a sciogliere quelle tensioni accumulate nella vita quotidiana. E per ultimo (non per importanza) venivano i fuochi d’artificio che seguivano la processione e concludevano la festa. Erano chiamati in causa i fuochisti più rinomati, veri e propri virtuosi del botto e del colore, capaci di accendere in cielo meravigliose coreografie tonanti. Quello dei fuochi d’artificio era un momento importante, come rumorosa manifestazione di culto, in cui si poteva vedere riflesso quel senso di esaltazione euforica che la festa sprigionava. Ma, forse, in questo bisogno di festeggiare con i botti c’era anche l’antico compito che una volta si dava ai botti : quello di cacciare gli spiriti maligni.
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Le Confraternite di San Michele (foto concessa da Ninì Li Volsi).
La memoria collettiva ci tramanda, attraverso un detto, l’ordine delle feste liturgiche di dicembre : Il quattro Barbara il sei Nicola l’otto Maria il tredici Lucia il venticinque il vero Messia. Infatti il 4 dicembre ricorreva la festa di S.Barbara, che veniva celebrata con rito liturgico in chiesa senza alcuna manifestazione esterna. Il 6 dicembre ricorreva la festa di S. Nicolò di Bari, patrono della città e successivamente della diocesi. La ricorrenza era importante più che per i festeggiamenti, che raramente si facevano all’esterno, per la tradizionale cerimonia che si svolgeva la sera del cinque nella piccola chiesa “de Santa Nicölèdda”. Al termine dei vespri il cerimoniale prevedeva il lancio di monetine ai ragazzi che facevano a gara per raccoglierne quante più possibile.Questo lancio voleva ricordare un miracolo che si attribuisce al Santo vescovo quando era in vita e, cioè, il salvataggio dalla perdizione di tre ragazze in età da marito. Per anni la parrocchia fece un corredo alla ragazza più povera che andava sposa, ma, quando quest’uso andò perduto, si cominciò a lanciare dei soldini ai ragazzi che si accalcavano davanti la chiesa. Quando fu istituita la festa si trattò di una grande cerimonia cui partecipavano tutte le confraternite e i cleri delle due matrici. I festeggiamen250
ti duravano circa una settimana, in quanto per l’occasione si tenevano fiere di bestiame note in tutta la Sicilia e si celebravano messe solenni (di solito cantate). La festa di S.Nicola non più celebrata nel dopoguerra per molti anni, fu ripristinata al tempo del vescovo Di Salvo, anche se non ebbe più l’antico splendore, in quanto i festeggiamenti, che duravano circa una settimana, si ridussero ad un solo giorno. Per di più, oggi, la festa non è più sentita dai Nicosiani con la stessa devozione del passato, forse perchè il santo viene considerato il protettore “di› rantönë” (cioè dei forestieri), e si riduce al solo rito liturgico. L’ 8 Dicembre si celebrava e si celebra la festa dell’Immacolata, preceduta da una novena. Alla processione, in cui la Madonna veniva portata a spalla, prendevano parte alcune confraternite. Il 13 Dicembre viene venerata da un gran numero di fedeli nell’omonima chiesetta S. Lucia, vergine siracusana protettrice della vista. Infatti alla santa ci si rivolge, se qualcosa penetra in un occhio a causa del vento, con questa preghiera: “Santa Röciözza passà, cö› sò mantö toccà, se è terra squagghjerà se è brusca nescerà”. Per grazie invocate ed ottenute ed a compimento dei voti fatti si usa eseguire o far eseguire a scopo apotropaico (per allontanare il male e le cause del male) delle devozioni, tanti piccoli pani di pasta azima che ricordano, nella forma, gli occhi della santa (rocietë = lucette). Fornite le devozioni, i pani votivi vengono portati in chiesa per farli benedire dal sacerdote. Poi questi pani vengono distribuiti “pâ devoziòn” ai poveri e alle famiglie o consegnati in chiesa alle persone che si occupano della raccolta delle offerte. Queste persone danno, in contraccambio dell’offerta ricevuta dai fedeli, qualcuno di quei pani votivi ed una immagine della santa. Era ed è consuetudine in questo giorno anche mangiare la “cuccìa” (grano di “maiorca” o “de rroba bianca” bollito e condito con olio e ricotta fresca oppure con ricotta, zucchero e cacao).
Il sacerdote benedice i pani votivi.
Chiesa di S. Lucia (interno).
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Il 1° Presepe vivente (1987).
Il periodo preparatorio al Natale, a Nicosia, è sempre iniziato dopo l’Immacolata, nonostante se ne cominciasse a parlare dopo la festa dei morti. Nelle case si preparava il presepe con i pastori di creta ed il muschio fresco raccolto all’ombra di secolari castagni. Il presepe soleva rievocare con immagini la scena della nascita di Cristo, rispondendo al bisogno concreto del popolo che vuol vedere tradotto in immagini il racconto religioso. Nel 1987, per iniziativa della presidente della Pro Loco, ins. Liliana Mulè, è stato realizzato per la prima volta un Presepe vivente nell’Orto dei Cappuccini. L’iniziativa ha avuto larghi consensi e da quell’anno continua questa suggestiva tradizione. Negli ultimi decenni a questo elemento natalizio si è aggiunto l’albero dei paesi nordici, favorito dall’uso dei doni, che si depongono ai suoi piedi e si scambiano tra i presenti nella notte di Natale. Ed anche di recente è invalso l’uso di addobbare le case con rami di vischio e pungitopo e con altri elementi decorativi. Un tempo la festa in tutte le chiese era preceduta dalle novene che si svolgevano la mattina presto (mentre ora si svolgono di sera). Nelle chiese a tre navate (S.Nicolò, S.Maria Maggiore e S. Michele) le donne si sedevano in quella centrale, pregavano e cantavano, mentre gli uomini in piedi occupavano quelle laterali, guardavano “i fantinë” (le ragazze) e davano fiato a suonare gli uccelli in terracotta, cavi e con dentro un pò d’acqua; soffiandoci dentro da una sorta di beccuccio ne veniva fuori un suono simile al gorgoglìo degli uccelli. Il suono disturbava, è vero, ma era ben accetto ai fedeli ed anche ai preti. La Novena, che fa parte della liturgia cattolica, in questi ultimi anni è stata arricchita con la novena degli zampognari, che vengono da altri paesi e vanno di strada in strada a portare, con i loro caratteristici strumenti, musiche di Natale. La vigilia di Natale, all’imbrunire, la gente si riversava nelle strade per visitare i presepi e partecipare ai riti della Natività che ciascuna chiesa fissava in orari diversi. Oggi, si preferisce consumare la cena a base di pesce intorno ad una tavolata ricca di parenti ed è d’obbligo l’attesa della mezzanotte per assistere alla messa accompagnata dal suono festoso delle campane. Il giorno del Natale, la famiglia si ritrovava unita intorno alla tavola e si usavano pietanze che solo in quel giorno erano di casa sulle tavole nicosiane: “pön252
tëttë (pastina) in brodo di gallina o tacchino, “maccarrönë a sugö” di maiale o coniglio, cui seguivano mandarini, noci, nocciole, mandorle e castagne. C’erano pure i cardi, i carciofi, il cavolfiore, “i favë ngriddatë”... C’erano, poi, i caratteristici dolci di Natale, “pezziddàtë”, “petulatë”, “möstazzolë”. I nonni regalavano ai nipotini “sorbe”, noccioline e fichi secchi. Col tempo la tavola fu imbandita riccamente con l’immancabile lasagna e il capretto, con i bimbi che recitavano la poesia e i papà che leggevano le letterine di auguri nascoste sotto i piatti o nel tovagliolo. E’ da sottolineare il significato di aggregazione familiare che avevano queste riunioni intorno al desco imbandito. Il giorno di San Silvestro ci si ritrovava ancora a tavola, la sera, ad aspettare il nuovo anno. C’erano dei piatti - base che non si potevano sopprimere per tradizione, cioè per augurio, anche se erano ammesse solo alcune varianti: il capitone variamente cucinato, che non doveva assolutamente mancare, il baccalà, le lenticchie e l’uva. Oggi si mangiano “piatti” non solo della nostra tradizione, ma di importazione internazionale e il cenone si conclude con lo spumante allo scoccare della mezzanotte. Ma quest’ora è anche il momento di sparare all’anno vecchio e di sbarazzarsi delle stoviglie vecchie che si buttano dalla finestra insieme a tutti i guai che sono accaduti durante l’anno e a quelli che potrebbero accadere. Il 1° Gennaio è la festa del Capodanno e della Circoncisione di Gesù. Secondo una credenza popolare i primi momenti del nuovo anno, avevano qualcosa di magico, poiché quello che avveniva in quel lasso di tempo si sarebbe fatto tutto l’anno, o era auspicio per ciò che sarebbe avvenuto. Il 6 Gennaio, festa dell’Epifania e del battesimo di Gesù, poneva fine al periodo natalizio. Un tempo veniva portata in processione, con grande entusiasmo dei bambini, la “Rutëta”(piccola grotta), in cui veniva posto un Gesù Bambino di cera (che ancora si conserva nella Basilica di S. Maria Maggiore). Alla processione che partiva da S. Maria per arrivare alla Colletta partecipava un bambino povero di cinque o sei anni che veniva vestito in chiesa con una camiciola bianca. Il bambino, accompagnato dalla madre (in genere vedova) veniva adagiato dentro la grotta fatta di pungitopo e portato in giro per le strade dei quartieri. Gli abitanti, che consideravano di buon auspicio la visita del Bambinello nel loro quartiere, con generosità offrivano doni in natura ( quali: farina, legumi, zucchero, miele, uova), che servivano a migliorare la dispensa della famiglia povera e, più raramente, soldi. Precedevano la “Rutëta” parecchi bambini vestiti da pastori, con costumi realizzati di carta paglia molto spessa, che portavano su di una spalla bisacce - sempre di carta paglia - dentro cui venivano messi i doni. Seguivano altri bambini vestiti da angeli e il popolo che cantava. Appena la processione faceva ritorno nella Basilica, il bambino veniva fatto sedere su una sedia apposita e a lui i fedeli baciavano i piedini nudi e continuavano ad offrire doni in natura o soldi. Nel tempo questa consuetudine fu estesa a tutte le parrocchie di Nicosia. 253
La “Rutëta” viene portata in Cattedrale.
Processione della “Rutëta” ripristinata nel 1987 dalla presidente della Pro Loco, ins. Liliana Mulè.
La festa del 6 gennaio ha assunto, poi, altre connotazioni trrasformandosi nella festa della Befana. Come nei presepi i re Magi giungevano alla grotta con i loro doni, così nelle case era una simpatica vecchietta che, calandosi dai camini, riempiva di doni le calze appese ai focolari o alle spalliere dei letti, mentre i bambini dormivano con il capo sotto le coperte quasi a proteggersi dall’evento magico che si prefiguravano. In un tempo in cui non si ricevevano facilmente doni, per cui tutto era gradito, e non c’era il problema della scelta del giocattolo, che angustia tanti bimbi di oggi, la befana aveva il volto vero della sorpresa e il giocattolo ricevuto accompagnava i giochi di un intero anno. E quando quel lungo sogno ineluttabilmente si dileguava, la bella favola continuava a dare la sua magia a quel giorno, e i più grandicelli sornioni scovavano ancora nel fondo di una calza, ai piedi del letto o su qualche mobile della camera, un dono, quasi in un mutuo desiderio di non far morire il magico tempo in cui si credeva ancora alla Befana. Con la scomparsa dei camini e con l’introduzione di altre feste la Befana non è più considerata la sola dispensatrice di doni. Con l’Epifania si concludeva il periodo natalizio in cui si disfacevano sia l’albero che il presepe. Non a caso un proverbio recita così: “Pâ Töfania tutë i festë vanno via”. Il 17 gennaio arrivava la festa di Sant’Antonio Abate, una delle figure principali della religiosità popolare la cui festa costituiva un punto cardine del calendario contadino che, dopo il solstizio d’inverno, si preparava ad affrontare la luna di primavera, sulla quale il mondo rurale scandiva le opere e i giorni. L’icona del santo, un monaco raffigurato con un maiale ed un rametto di ebano in mano, era al centro di una sentita devozione locale, tanto che in molte case essa era presente accanto al capezzale della camera da letto. Emergeva la funzione del santo come mediatore e controllore del fuoco e come protettore degli animali (maiali, asini, muli, cavalli) che venivano portati davanti alla chiesa del Santo, per la benedizione. A Nicosia il santo godeva di una particolare venerazione per la fama dei suoi miracoli e contava, tra i suoi fedeli devoti, tutti coloro i quali soffrivano o temevano di soffrire il cosiddetto “fuögö de Sant’Antonì”, sotto la cui denominazione erano comprese le varie malattie infiammatorie della pelle. Costoro, nel 254
giorno della festa, erano tenuti a cibarsi, in segno di devozione, della cuccìa, cioè frumento bollito condito con ricotta fresca. Nell’immaginario popolare la figura di S. Antonio era legata a quella di Prometeo, reo di essersi recato all’inferno per rapire il fuoco a favore degli uomini. Il fuoco aveva il significato di una forza benefica in quanto purificatrice e distruttrice nello stesso tempo, quindi tale da dover essere considerato sacro. Già alla vigilia che precedeva il 17 Gennaio le campagne si animavano: in alcuni posti si preparavano cataste di legna o colonne di canne che, ardendo, rischiaravano monti e vallate, e si approntavano le cotture per cuocere la cuccìa, il cibo rituale della festa. Il 2 febbraio si celebrava la Candelora, che ricordava il rito di purificazione che la Vergine Maria seguì dopo aver dato alla luce Gesù Cristo in quanto secondo la legge mosaica ogni madre, che avesse dato alla luce un figlio maschio, sarebbe stata considerata impura per sette giorni, e per altri trentatré non avrebbe dovuto partecipare a qualsiasi forma di culto. Durante questa festa sull’altare venivano poste delle candele, con un fiocco di seta rosso e argento, per la benedizione. I ceri benedetti venivano custoditi nelle case, perché si credeva che tenessero lontani gli influssi maligni. La Candelora è anche legata ad alcune feste di origine agreste e segna la fine dell’inverno, tanto che un celebre proverbio recita “Candelòra de l invernö semö fora”, ossia all’arrivo della Candelora l’inverno è finito. Il proverbio però continua “Ma se chiovë e tira ventö, de l inverno semö intra”, ossia, se il 2 febbraio il tempo è brutto, l’inverno durerà un altro mese almeno. Nella 1ª domenica di febbraio si celebrava la festa di S. Agata, alla quale prendevano parte alcune confraternite. Questa festa, scomparsa per molti anni in quanto la chiesa era stata danneggiata dai bombardamenti, è stata, in questi ultimi anni, ripristinata. La festa di San Giuseppe, il 19 marzo, ha costituito un punto di riferimento nel calendario contadino che, come documentano i numerosi proverbi meteorologici e le usanze ad essa connesse, misurava il tempo stagionale sul ciclo lunare, legato ai ritmi di produzione agricolo-pastorale. Tempo sacro per eccellenza, la ricorrenza di San Giuseppe era l’occasione in cui il gruppo ridefiniva i rapporti tra le sue componenti sociali. Una pratica di ridefinizione erano i banchetti votivi, in cui il consumo collettivo del cibo, in onore di una divinità, assumeva un valore rituale. Una consuetudine era quella di preparare delle “tavolate votive” riccamente imbandite per offrire un pranzo ai più poveri, per ricordare che la sacra coppia di giovani sposi, Maria e Giuseppe, trovandosi in un paese straniero ed in attesa del loro Bambino, si videro rifiutata la richiesta di un riparo per il parto. Questo atto, che violava due sacri sentimenti, l’ospitalità e l’amore familiare, veniva ricordato così: un sacerdote benediceva la tavola, ed i poveri venivano serviti da volontari. Purtroppo a Nicosia non resta traccia delle tavole di San Giuseppe. Inoltre il santo, in virtù della sua professione, era anche il protettore dei falegnami, da sempre nel nostro paese i principali promotori della sua festa. In passato, infatti, dalla chiesa omonima usciva in processione il gruppo della Sacra Famiglia, che, collocato nella bara del Padre della Misericordia, percorreva tutte le vie principali della città; alla processione partecipavano alcune confraternite. La festa, però, si svolgeva solo a patto che essa non ricadesse nella settimana santa, in quanto in quella settimana, detta “settimana del mucci”, venivano coperti i crocifissi e le statue. Fino a poco tempo fa, in Italia, il 19 Marzo era festa nazionale, invece, da qualche anno, è tra le feste su cui meno si é soffermata l’ortodossia cristiana ed il giorno di San Giuseppe è diventato un giorno 255
La Domenica delle Palme (Chiesa dei Santi Simone e Giuda).
feriale qualunque perché la festa è stata abrogata. Ciò ha contribuito a sminuire i festeggiamenti che in tutta Italia si tenevano in questa giornata. Eppure i Nicosiani continuano ad amarlo: Giuseppe è uno dei nomi più comuni e frequenti e c’è sempre un Giuseppe, Peppino, Pino, Peppe da festeggiare, come pure è frequente il suo corrispettivo femminile, Giuseppina o Giusy. Dopo il chiasso carnevalesco, succedeva il silenzio triste della Quaresima, periodo molto sentito dalla tradizione popolare, come al suo opposto il Carnevale. Tempo di magra e tempo di preghiera, in cui ogni manifestazione della vita doveva esprimere la tristezza del periodo di preparazione alla passione di Cristo. Tutto cominciava appena terminati i bagordi carnevaleschi, con la festa delle Ceneri, in cui il sacerdote, mettendo un pò di cenere sul capo, ricorda a ciascun cristiano: “Eri cenere e cenere diventerai”. Si innescava un corso a ritroso di penitenza e di purificazione fino alla catarsi finale della Pasqua di Resurrezione, nella quale il nicosiano poteva finalmente gioire ed iniziare una nuova vita. In questo tempo si sentiva più vivo il bisogno di raccogliersi nelle chiese, di godere dell’influsso soprannaturale della Grazia, di ridestare nei cuori i sentimenti della Fede e ritemprare lo spirito. E, perchè tutti potessero dirsi appagati nei loro giusti desideri, venivano invitati i Padri Passionisti, i quali tenevano corsi di esercizi spirituali dal giovedì successivo alle Ceneri fino alla Domenica delle Palme, periodo in cui si osservava il digiuno, che il venerdì era rigorosamente a pane e acqua. La domenica delle palme, festa che ricorda l’entrata di Gesù in Gerusalemme, si celebrava e continua a celebrarsi una cerimonia religiosa, 256
accompagnata dalla tradizione delle palme e dei ramoscelli d’ulivo, saccheggiati dagli alberi della zona, che i fedeli e soprattutto i bimbi portano in chiesa per la benedizione. Quei ramoscelli saranno, nelle case, durante tutto l’anno un segno di pace. Comincia poi la settimana santa, mentre nelle case iniziano le pulizie di primavera e si controlla la crescita del grano che è stato seminato per tempo in contenitori bassi pieni di terreno e posti in luoghi oscuri e caldi per avere una piantina gialla ed alta che ornerà il sepolcro di Cristo. I giorni fino al mercoledì erano dedicati all’adorazione del SS. Sacramento, ed era un viavai di congregazioni, di consorelle e di confrati delle numerose confraternite. I grandi riti della settimana di passione avevano nel passato un carattere religioso folcloristico. In questa settimana si svolgeva, infatti, la famosa “Casazza”, una sacra rappresentazione che metteva in scena fatti del Vecchio e Nuovo Testamento durante la Settimana Santa e si concludeva con i riti della Passione il giorno del Venerdì santo. L’ultima edizione dell’Ottocento, secondo le ricerche, fu quella del 1859, mentre il tentativo di ripristinarla nel 1959, in occasione del centenario, fallì perché vennero a mancare i costumi di molti personaggi, ormai smarriti. Nel 1987, grazie all’insegnante Santina Casalotto che ha riproposto il testo, alla regia dell’arch. Liborio La Vigna e alla partecipazione dei ragazzi dell’ AGESCI, questa tradizione è stata ripresa e recentemente nel 2006 il dott. Giovanni D’Urso, che in quell’anno rivestiva la carica di presidente del Kiwanis, ha curato la pubblicazione del testo della Casazza con l’augurio che potesse essere al più presto rappresentata di nuovo. 257
“La Casazza” rappresentata nel 1987 sulla scalinata della Cattedrale (foto concessa dall’arch. La Vigna).
Tutti gli attori della “Casazza” (foto concessa dall’arch. La Vigna).
Inoltre la settimana santa era l’occasione per instaurare una gara tra le due matrici: San Nicolò e S.Maria Maggiore. La settimana santa in San Nicolò incominciava la domenica delle Palme con la processione e la benedizione delle palme, con l’esposizione solenne del SS. Quarant’ore. Ad ogni ora c’era la sfilata delle confraternite e delle congregazioni femminili che facevano un’ora di adorazione. Questo pellegrinaggio durava – e dura ancora - fino alla sera di martedì santo e si conclude con una processione intorno alla piazza accompagnata dal suono festoso delle campane. Nella chiesa di S.Calogero, dove veniva allestito il sepolcro, di sera, venivano portate le statue di Gesù: lunedì veniva portata in processione la statua dell’Eccehomo raffigurante Gesù nell’Orto degli ulivi, proveniente dalla chiesa di S. Agata, e martedì la statua dell’Eccehomo raffigurante Gesù sotto la croce per la seconda volta. In questa processione coloro che portavano il Cristo seguivano un particolare rituale: tre passi avanti ed uno indietro e cantavano il Miserere e i canti della Passione. La sera del mercoledì veniva portata nella chiesa di S. Nicolò la statua raffigurante Gesù nell’Urna, proveniente dalla chiesa di Sant’Eligio, affinché fosse collocata nel sepolcro, mentre la sera del giovedì veniva trasferita sempre a San Nicolò la statua dell’Addolorata, opera del Quattrocchi. Il Venerdì santo, dopo la solenne funzione della scopertura della Croce, alle ore 11.00, veniva portato fuori a spalla dalla porta principale della chiesa di S.Nicolò il Padre della Provvidenza (opera di inestimabile valore, scolpita nel 1630, da fra’ Umile da Petralia) seguito dalla Madonna della Pietà e da Gesù nell’Urna e accompagnato dallo sparo dei mortaretti (a mascattiada) che annunciava l’inizio della processione. A questa partecipava tutto il popolo cittadino e campagnolo (di solito un contadino per ogni masseria); mancavano solo i vecchi e gli ammalati. 258
Mentre la processione percorreva il quartiere del SS. Salvatore e monte Uliveto, dalla Chiesa di S. Calogero uscivano i Misteri, cioè tutte le statue raffiguranti le stazioni della Via crucis (Gesù nell’orto degli ulivi, Gesù alla canna, Gesù alla colonna, Gesù caduto sotto la croce, Gesù flagellato, Gesù incoronato di spine, Gesù nel sepolcro), che venivano portate a spalla dai ragazzi davanti alla chiesa di S. Francesco di Paola, dove aspettavano l’arrivo del Padre della Provvidenza che scendeva a S. Elia, per poi ritirarsi di nuovo a San Calogero. La processione continuava e il Padre della Provvidenza veniva portato anche nei vicoli più piccoli e remoti, seguito dalla statua della Madonna alla quale venivano messi dai devoti dei veli bianchi quadrangolari ricchissimi di ricami e trine. Passando per le vie dei quartieri, dai balconi di alcune case venivano messe sui bracci della croce le “tovaglie” (stoffe di ottima qualità e dai colori vivaci, lunghe circa due-tre metri, larghe mezzo metro e arricchite con trine dorate) e il sacerdote benediceva le famiglie facendo ruotare il Cristo davanti alle loro case. Quando le tovaglie, diventate numerose, appesantivano la croce, venivano tolte dai bracci e raccolte in sacchi per poi distribuirle, dietro libera offerta, nel corso della processione ad altri fedeli che le riannodavano sui bracci della croce. I portatori del Padre della Provvidenza, quando percorrevano le strade principali o passavano sotto il balcone della fidanzata (“zzita”) o davanti la casa di amici che offrivano loro cibo e vino, cercavano di accaparrarsi uno dei due anelli delle “mbastë” (travi che sorreggono la bara) e spesso ubriachi davano luogo a liti e risse, a suon di pugni e talvolta di coltellate. Quando la processione arrivava ö› Pelerë (luogo considerato confine tra i due quartieri rivali e limite invalicabile per la processione dei “due Crocifissi”), dove in quel momento giungeva l’altro Crocifisso quello di S. Maria - si registravano tumulti, confusione, rumore e spesso inciden259
Il Padre della Provvidenza in piazza Garibaldi.
Il Padre della Provvidenza.
ti tra Nicoletti e Mariani. Per la presenza di due feste contemporanee, Nicosia dagli abitanti dei paesi vicini veniva denominata “Ö paisö dî döë Cristë” (Il paese dei due Cristi). La processione del Venerdì Santo si concludeva nella chiesa di San Nicolò con una predica pronunciata dal pulpito del Gagini. 260
La settimana santa in Santa Maria Maggiore incominciava anche la Domenica delle Palme con la benedizione delle palme e dei ramoscelli d’ulivo; qui con una solenne funzione e con la partecipazione del Capitolo veniva esposto il SS. Quarant’ore (fino alla mattina del mercoledì santo). Alle ore 13.00 del Lunedì Santo la processione giungeva a San Giuseppe, dove anche qui Confraternite e Congregazioni facevano l’ora di adorazione. Nella chiesa di S. Maria, sempre di sera, lunedì veniva portato dalla chiesa di S.Simone e Giuda l’Eccehomo raffigurante Gesù in preghiera nell’orto, martedì la statua di Gesù nell’Urna che proveniva dalla chiesa dei Mortificati, mercoledì l’Eccehomo raffigurante Gesù condannato a morte proveniente dalla chiesa di S. Cristina, giovedì, dopo aver deposto il SS. nel sepolcro, dalla chiesa di San Michele, veniva portata la Madonna della Pietà. Il Venerdì Santo, dopo la funzione della scopertura della Croce, alle 13.00, incominciava la solenne processione: in ordine, usciva prima il Padre della Misericordia, poi la Madonna della Pietà e, infine, Gesù nell’Urna. La processione scendeva prima a San Michele, poi tra strade strette e viuzze giungeva anche a San Giuseppe, in cui avveniva lo scontro tra fanatici portatori dei due Cristi; da qui procedeva fino a S. Simone e al Castello. Quando si ritirava, dal pulpito della Basilica veniva pronunciata una predica, con cui si concludeva la festa del Venerdì Santo. In chiesa le funzioni della settimana santa si celebravano secondo il rito latino e a rendere più solenne la cerimonia religiosa era la presenza delle confraternite, i cui abiti e stendardi erano di origine spagnola. Tutto questo è rimasto un ricordo del passato, perché negli anni Cinquanta, nonostante le proteste dei fedeli, monsignor Clemente Gaddi, all’epoca Vescovo 261
Il Padre della Provvidenza risale da Sant’Elia.
Processione del Padre della Provvidenza.
di Nicosia, per rendere la festa piÚ calma e ordinata e per evitare incidenti, impose l’uso di un mezzo meccanico e fece portare fino alla Basilica di S. Maria il Padre della Provvidenza, mentre stabilÏ che il Padre della Misericordia uscisse il terzo venerdÏ di Novembre. Oggi non tutti i riti della settimana santa vengono seguiti con la stessa parte262
cipazione di un tempo, tuttavia sempre molto sentita é la celebrazione del venerdì santo, festa esclusivamente religiosa in cui trionfa la croce. Il giovedì santo ancora oggi si visitano le chiese dove vengono allestiti i sepolcri di Cristo, per ricordare la morte di Gesù, anzi è uso che si visitino almeno cinque sepolcri, recitando prescritte preghiere. Ogni chiesa ha il suo sepolcro, con i lumini e i gialli ciuffi dei lunghi steli delle piantine di grano o i germogli dai colori teneri e suggestivi di ogni sorta di legumi fatti germogliare al buio. Gli steli e i germogli, ornati di fiocchi o intrecciati o semplicemente spioventi, insieme a fiori di ogni tipo ( violaciocche, fresie, garofani, gerani, ecc.), creano un magnifico colpo d’occhio e diffondono un profumo inebriante per tutta la chiesa. Si avverte una sorta di gara fra i parrocchiani che cercano di rendere più bello il sepolcro della chiesa cui appartengono.. La processione del Venerdì santo, una processione ricca di intensi momenti emotivi e di coinvolgimento popolare, esprime l’esigenza del popolo di dare
Venerdì Santo: Il Padre della Provvidenza esce dalla Cattedrale.
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Processione del Padre della Provvidenza.
un’immagine reale al grave evento che quel giorno ricorda, perciò fin dal Medioevo ha assunto forme di drammatica rappresentazione in cui il fedele è spettatore ed attore nello stesso tempo. Il bisogno di partecipare alle sofferenze del Cristo, che spinge a riprodurre realisticamente la Passione, risponde anche a un vero e proprio meccanismo di identificazione nel Salvatore, al desiderio di partecipare in proprio all’opera della salvezza, attraverso l’espiazione dei propri peccati e di quelli dell’intera comunità. Questo giorno di tristezza per tutto il mondo cattolico è narrato in un rito che conserva un sapore tutto speciale. Nel pomeriggio i fedeli si recano in Cattedrale: gli uomini si adoperano per staccare la pesante croce del Padre della Provvidenza dall’abside, mentre le donne annodano le tovaglie ai bracci della croce. Poi, poco prima della processione, il Cristo viene portato a spalla fuori davanti il portico, al grido:”E gridiamo con buona fede: Misericordia!”. Sempre toccante è il momento in cui il Cristo viene sollevato dinanzi al popolo radunato in piazza che, seppur numerosissimo, è in religioso silenzio. Dal tardo pomeriggio si snoda per le vie del paese la suggestiva processione che si svolge fino a sera inoltrata. In tempi più recenti nella processione sono stati introdotti elementi nuovi che ampliano il discorso storico-religioso. Il Cristo straziato, con il volto pieno di dolore, trafitto dalla corona di spine é preceduto da personaggi in costume, che raccontano figurativamente alcuni momenti della passione; indossano tuniche bianche e copricapi viola e recano in mano i segni di quella passione: dai chiodi che trafissero le mani e i piedi, alla corona di spine, alla spugna imbevuta di aceto, alla lancia che trafisse il costato del Redentore, alle tenaglie e al martello, alle catene e alle funi del flagello fino alla pesante croce; é seguito dalle autorità, dalla banda musicale che suona un inno funebre, creando un’atmosfera di pesante tragedia lungo le vie principali del paese, e dalla 264
folla dei fedeli che in mesto corteo si distribuiscono tra il simulacro del Padre della Provvidenza e quello della santa Vergine addolorata, vestita di nero. Terminata la processione, la gente si raccoglie in piazza Garibaldi per ascoltare l’omelia e ricevere la benedizione da parte del vescovo che si affaccia al balcone del palazzo di città, per recarsi poi in chiesa a baciare il corpo santo del Cristo. Il sabato santo una volta era un giorno giulivo perchè si attendeva, a mezzogiorno, lo scampanìo festoso che di chiesa in chiesa, in un incalzare trascinante di rintocchi, annunziava la Resurrezione di Gesù. (I Nicosiani ricordano quest’evento con l’espressione popolare: “i campanë scappavanö”). Tutti si affacciavano sul balcone o sulle porte interrompendo le attività, si facevano il segno della croce, pregavano anche in ginocchio, si facevano gli auguri dimenticando qualsiasi astio o rancore emerso durante la processione tumultuosa del venerdì santo. Ma, dopo la modifica di Monsignor Gaddi, le campane “scappano” a mezzanotte, quando durante la messa della resurrezione viene pronunciato il “Gloria in excelsis Deo”. Quelle campane sono la voce della pietà religiosa di tutto il paese che si unisce nell’inno di gloria alla vittoria di Cristo sulla morte. Il sabato santo si svolgevano le Indulgenze. Di notte un gruppo di fedeli partiva da S.Croce per giungere a S.Maria, cantando a due voci le lodi al Signore. Alla prima voce che recitava la frase: “Sia lodato ogni momento, nostro Dio sacramentato” un’altra voce rispondeva: “Oggi e sempre sia lodato, nostro Dio sacramentato”. Strada facendo gli “indulgenti” si fermavano a casa di amici, che offrivano loro biscotti e vino. Trascorsi i riti e le feste penitenziali della settimana santa, si giunge alla domenica di Pasqua, che fino alla frana del 1757 si festeggiava nella chiesa di S. Maria Maggiore. “Ö scöntrö” (l’incontro) tra Gesù e la Madonna si svolgeva nella piazza antistante la chiesa e poi la processione percorreva tutte le vie principali con la partecipazione dei due cleri e delle confraternite. Dopo la frana il gruppo statuario della Risurrezione andò a finire nella chiesa di S. Croce, dove ancora fino ai nostri giorni viene conservato. Dopo la messa cantata, dalla chiesa di S. Croce la statua di Gesù risorto e la Madonna in gramaglie (coperta cioé da un manto nero, simbolo di lutto stretto) si dirigono in piazza di S. Nicolò del Piano (oggi Piazza Garibaldi), da vie diverse, giungendo a mezzogiorno in punto in piazza, dove si svolge ö scontrö tra Gesù risorto e la Madonna con grande concorso di popolo in festa. Anche se le due statue provengono dalla stessa chiesa, ancora oggi si fanno due processioni: una con il Cristo risorto che arriva in piazza dalla Via Fratelli Testa e si dirige verso il centro della piazza e l’altra con la Madonna ancora in lutto che imboccando la Via Filippo Randazzo si dirige verso il centro della piazza in modo da trovarsi di fronte al figlio risorto. Quando la statua della Madonna si trova davanti alla statua di Gesù risorto, alla Madonna viene tolto il mantello nero, la statua viene portata sulla piazza e, mentre al figlio benedicente viene fatto fare qualche passo verso di lei, alla statua della Madonna vengono fatti fare due inchini e poi una corsa verso il figlio, che a sua volta fa ancora qualche passo avanti verso di lei. Le due statue poi vengono affiancate in un simbolico abbraccio tra madre e figlio e, tra il suono festoso delle campane, il rullo dei tamburi, lo sparo di tanti mortaretti e il suono della banda, precedute dalle confraternite partecipanti, percorrono le strade principali ed infine si avviano verso Santa Croce, nel cui piazzale nel pomeriggio ha luogo “a ntëna”, che consiste nel risalire un palo e una tavola inclinata cosparsi di sapone, alla cui sommità vengono posti volatili e conigli.
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Domenica di Pasqua: Ö scöntrö (foto concessa da Maria Piazza).
Domenica di Pasqua: Ö scöntrö (foto concessa da Maria Piazza)
Il pranzo pasquale, arricchito da piatti di rito (ö gneö, i cölömbeddë, i pupë dë pasta), aveva una nota ormai perduta, poiché era abitudine che il capofamiglia benedicesse il desco con un ramoscello d’ulivo bagnato in acqua santa presa in 266
chiesa durante la funzione del giovedì santo. I bimbi mettevano sotto i piatti o i tovaglioli dei genitori le poesie e le letterine che avevano un duplice valore: quello di esternare affetto e benevolenza ai propri genitori e quello di promettere loro un comportamento meritevole all’insegna dell’obbedienza e dell’impegno scolastico. Il Lunedì dell’Angelo, a Nicosia festa di S. Michele, cui partecipavano alcune confraternite, veniva portata in processione la statua del santo, opera di Stefano Li Volsi. Di mattina il vescovo celebrava la Messa con il precetto per i confrati del SS. e di S. Michele, che è la prima confraternita di Nicosia, le cui origini risalgono al 1539. I confratelli con l’abito e la corona di spine sul capo ricevevano la comunione e poi si riunivano tutti in oratorio “pö› sguazzö”, un uso che si è protratto fino ai nostri giorni e che consiste nel mangiare biscotti e zuccherini bagnati nel vino. Nel pomeriggio si svolgeva la processione e, durante il tragitto, al santo venivano messi dei nastri colorati, detti “tranzadörë”. La statua passava sotto gli archi di alloro arricchiti di arance, predisposti dai “sagristë” delle due confraternite di S. Michele.
Processione di S. Michele. Una donna mette una “tranzadöra” sulla statua del santo (foto concessa da Nabor Potenza).
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Processione di S. Michele Arcangelo. I palii attorno alla statua del santo (foto concessa da Nabor Potenza).
Processione di S. Michele Arcangelo (foto concessa da Nabor Potenza).
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Dopo la processione, davanti alla chiesa, si svolgeva a ‘ntëna, che consisteva in una gara tra gruppi di giovani che, vestiti di tutto punto da cavalieri, con cavalli, muli ed asini bardati a festa, spesso si esibivano in spettacoli di equilibrio ed altro, facendo divertire la popolazione. Dovevano, poi, al galoppo, toccare l’oca di stoffa appesa di traverso sulla via S.Michele (antistante la chiesa) ad una corda che con una carrucola veniva allentata o tirata, oppure, armati di un lungo bastone o di una spada, dovevano rompere alcune pignatte dal contenuto vario. Chi riusciva a toccare l’oca riceveva in premio la posta costituita da un’oca, da un coniglio, da un pollo; chi, invece, non vi riusciva doveva fare un nuovo giro, aspettare il turno e poi ritentare. A volte fallivano il bersaglio o colpivano quello sbagliato: solo una pentolaccia conteneva ogni ben di Dio; dalle altre scendevano farina, cenere ed acqua fra le risate dei presenti.
Festa di S. Michele. Giovani vestiti da cavalieri si preparano “ pâ ‘ntëna” (foto concessa da Nabor Potenza).
Festa di S. Michele Alcuni giovani cercano di afferrare l’oca di stoffa (foto concessa da Nabor Potenza).
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Festa di S. Michele: “A ‘ntëna” (foto concessa da Nabor Potenza).
Ma chi più di tutti in passato animava lo spettacolo era il gruppo dei diavoli, che raffiguravano la lotta tra S. Michele ed il diavolo che il santo tiene sotto i piedi (un rito che, però, è rimasto solo nel ricordo degli anziani). Uno stuolo di uomini, vestiti con pelli di capre nere e con il viso impiastricciato di nero fumo, con corna sporgenti tra i capelli resi artificialmente irsuti, portando “cörbeddë” con la paglia che ogni tanto accendevano affumicando la gente tutt’intorno, continuamente uscivano da sotto la bara urlando, saltando e suscitando la gioia dei bambini ed anche dei grandi. Anche per loro, che poi si facevano “a carcascedda” e toccavano l’oca di stoffa, c’erano quelle vere che servivano per una “buona mangiata”. Durante la giornata, nel prato accanto la chiesa, ragazzi ed adulti si divertivano a giocare “a ciapëtë” e mangiavano “lattuchë e fenoghjë paisaë” (lattughe e finocchi paesani). Va ricordato che in ogni casa “de Samechëlë” – quartiere tra i più ricchi, abitato da contadini – c’erano a disposizione di amici e parenti: “zzucarinë, pastesëcchë, bescòtë, calia e vin de chëö bön”. La festa è 270
preceduta da una singolare kermesse che si svolge la notte della domenica di Pasqua e che anima le vie e le piazze del paese: le indulgenze. Il silenzio e l’ombra della notte sono rotti da numerose e gioiose compagnie di questua che cantano accompagnati con rustici strumenti e richiedono un compenso di cibo e vino. Poichè la popolazione dedicava il lunedì alla festa di S.Michele, faceva la scampagnata fuori porta il martedì dopo Pasqua, detto a Nicosia “martedì di Litria” perchè la gente si recava al Santuario della Madonna di Ogibitria, ai pozzi di Itria, nei pressi della Magnana, per un doveroso pellegrinaggio e lì poi festeggiava la pasquetta, che ovunque si svolge il Lunedì dell’Angelo. Ancora oggi, il martedì, i Nicosiani festeggiano la pasquetta con una scampagnata, che si svolge in tutte le verdeggianti contrade del territorio di Nicosia. Sono scomparse la festa di S. Marco (25 Aprile) nel 1949 e quella di S.Vincenzo Ferreri (5 Maggio) nel 1960: la prima celebrava l’antica festa delle rogazioni, cioè litanie con cui si chiedeva ai Santi di benedire e proteggere il lavoro dei contadini. La festa era caratterizzata anticamente dalla processione alla chiesa sul monte omonimo, su cui sorge la cappella gentilizia dei baroni Speciale; la seconda si svolgeva nella chiesa omonima in onore del santo, patrono dei muratori nicosiani. Durante questa festa si allestiva “a ‘ntëna” dal balcone della casa del sac. Milici alla casa di fronte. Alle processioni partecipavano per S. Marco le confraternite di Nicosia e i Capitoli delle due Matrici, con tutte le insegne, mentre per S. Vincenzo le confraternite e il clero di S. Maria. Nel mese di maggio si praticava il culto alla Vergine a Nicosia, di origine bizantina, che rappresentava la più importante espressione di fede mariana. In questo mese dedicato alla Madonna gli altari delle chiese si riempivano di rose colte nei giardini della zona. Si aveva cura dei roseti durante l’inverno, affinché a maggio potessero dare in abbondanza rose belle e profumate. Ogni giardino era 271
Festa di S. Michele: Il gioco delle “ciapëtë” (foto concessa da Nabor Potenza).
impegnato per una chiesa, per un altare dedicato alla Madonna. Nei sacri templi, olezzanti di primavera, si svolgeva all’imbrunire il rito, che, quando di sera non era ancora permessa la celebrazione della santa messa, consisteva nella recita del rosario, nella predica, nella benedizione. Gli scranni erano zeppi di bimbi, ragazze, donne, uomini. Intorno all’organo un coro di fanciulli intonava inni, cui rispondeva il folto gruppo di fedeli. Le chiese, sempre gremite, facevano acquistare alla ricorrenza del mese mariano il significato di una antica festa di primavera. Essa era anche l’occasione per trovarsi insieme sul sagrato o nelle piazzette antistanti, per far giocare i più piccoli sotto gli occhi dei grandi, o scambiare qualche parola prima della cena, quando non c’era ancora l’uso del bar, del cinema, dell’automobile, del motorino, nè le lunghe serate dinanzi al televisore. La seconda domenica dopo la Pasqua si celebrava la festa di S. Francesco di Paola durante la quale si svolgeva la sagra dei maccheroni conditi con sugo di coniglio e offerti a tutti, a mezzogiorno, nello spiazzale antistante la chiesa. I devoti preparavano fin dalle prime ore del mattino i maccheroni e li disponevano sugli orli di larghi canestri di vimini e poi li trasportavano nella chiesa del Santo. Nell’atrio del palazzo vicino, veniva imbandita una grande mensa e venivano distribuiti ai poveri i maccheroni cotti. In quel giorno, nello spazio compreso tra la chiesa e la Via Nazionale, veniva anche rizzato l’albero della cuccagna, un alto palo in cima al quale, da una ruota o da lunghi rami pendevano salami, prosciutti, collane di salsicce stuzzicanti. I giovani più robusti e atletici si arrampicavano a castelletto sull’albero: chi riusciva ad afferrare le cose appese poteva portarsele via. Sembrava facile, ma non lo era: l’albero della cuccagna, infatti, veniva abbondantemente spalmato di grasso e perciò, quando uno credeva di essere arrivato alla meta, ecco che scivolava verso il basso fra le risate dei presenti. Il santo si festeggia, oggi, la terza domenica di maggio in occasione della quale la serata viene rallegrata da esibizioni canore o spettacoli di gruppi folkloristici e dalla presenza di numerose bancarelle. Quaranta giorni dopo la Pasqua, di solito nel mese di Maggio, si celebrava una festa di origini antichissime: l’Ascensione; in quell’occasione si facevano “i dduminarië” (le luminarie), in campagna e in paese, per illuminare simbolicamente il Cristo che ascendeva in cielo. La statua di Gesù - vera opera d’arte, conservata nella chiesa parrocchiale del SS. Salvatore - veniva portata in processione. Per lungo tempo, negli anni Sessanta e Settanta, la tradizione è stata tralasciata, ma negli anni Ottanta, grazie ad un gruppo di parrocchiani, è stata ripristinata, ma non più con l’antico stile. L’evento viene ricordato così da un detto nicosiano: Dopö poi quarana jornë Gesù Cristö n cielö torna e Maria cö› le soë amisgë se lo brazza e benedicë. Venti giorni dopo l’Ascensione, si festeggiava solennemente Il Corpus Domini, una festa antica legata al culto dell’ostia consacrata. Il momento dell’elevazione era caricato di aspettative quasi magiche, in quanto si riteneva che il veder l’ostia costituisse un momento privilegiato della comunicazione col divino. Anticamente la festa si svolgeva in più giornate. Il giovedì, verso le quattro o le cinque del mattino, le maestre Cannizzo preparavano le verginelle, che pulivano le strade con le scope e le cospargevano di petali di rose. Nella chiesa di S. 272
Nicolò si celebrava, alle ore 10, la S. Messa. Seguiva a mezzogiorno la processione, che partiva dalla Cattedrale, saliva a S. Maria Maggiore dove avveniva la solenne benedizione e, poi, scendeva per giungere alla Colletta e ritornare alla Cattedrale. Ad essa partecipavano tutte le confraternite di Nicosia, i capi delle due chiese e uno stuolo di verginelle e di angeli che sorreggevano uno stendardo ricamato con un calice al centro. Nelle due giornate di venerdì e sabato (infra ottava) nella chiesa di S. Michele si svolgevano due processioni con la partecipazione delle due confraternite. Il venerdì la processione percorreva la via S. Michele e la via Arena, mentre il sabato la via S. Michele e i vicoli adiacenti e tornava in chiesa percorrendo via Pozzi S. Michele. La domenica mattina dalla chiesa di S. Maria partiva la processione che seguiva questo itinerario: Via della Misericordia, S. Michele, Salita dell’Orologio, Piazza Garibaldi, Colletta, Discesa del Carmine, Via Fratelli Testa, Via Francesco Salamone, S. Maria. Questa bella abitudine nasceva da un’antichissima tradizione, dedicata alla Madonna, in cui si possono chiaramente cogliere i segni di un rito pagano trasformatosi in cerimonia cristiana: la tradizione delle Verginelle. Erano ragazze vestite di bianco (simbolo della verginità) che si recavano in occasione delle feste in onore della Madonna, nel sacro tempio, e, cantando una preghiera, deponevano un cero dinanzi all’altare della Vergine. Il canto conteneva un’invocazione per una santa maternità che le ragazze, in procinto di sposarsi, chiedevano alla Madre di Dio. In questo rito, che si è completamente perduto, si può cogliere un analogo rito di richiesta di fecondità, che si faceva nel mondo pagano. Negli anni Sessanta, in seguito ad un decreto della S. Sede, la processione fu spostata da mezzogiorno alla sera, alle ore 18.00. La solenne processione incominciava a prepararsi alle 17.00 e ad essa partecipavano tutte le confraternite di S. Maria e il Capitolo. Quando la chiesa divenne Basilica, il Corpo Eucaristico venne coperto dal caratteristico ombrello e portato in processione per le vie cittadine in un corteo ricco di elementi ornamentali e liturgici, tra cui il tintinnabulum basilicale (un campanello che veniva azionato con una cordicella e suonato ogni tanto, per avvertire i fedeli dell’arrivo del Corpo eucaristico). Al passaggio dell’ostensorio, dai balconi e dalle finestre i fedeli facevano piovere petali di rosa, margherite, lillà e fiori di ginestra sul baldacchino che ricopriva l’ombrello e l’ostensorio. La Processione per il Corpus Domini era la più attesa dai bambini, che venivano vestiti da angioletti con tanto di ali e aureola. Ogni anno c’era una sorta di “corsa all’abito da angioletto” in quanto i capi a disposizione erano sempre di numero inferiore a quello dei bambini. Fare l’angioletto era un onore e una gioia per le mamme e un gioco divertente per i bambini. Il giovedì seguente (il giorno dell’ottava), la sera, alle 17.00, dalla chiesa di S. Nicolò partiva la processione cui partecipavano le confraternite e il Capitolo di S. Nicolò. Quando i Capitoli furono unificati, parteciparono sia la parte del Capitolo assegnata a questa chiesa, sia la parte del Capitolo assegnata alla Basilica di S. Maria e vennero usati tutti gli antichi paramenti, le insegne capitolari e l’ostensorio d’oro. I sacerdoti indossavano le vesti solenni e le vie venivano addobbate con coperte e lenzuola ricamate, esposte alle finestre e ai balconi. La processione, dalla scalinata adiacente il Bar Diana, saliva al SS. Salvatore, giungeva a Monte Uliveto, poi procedeva verso S.Maria di Gesù, proseguiva per S.Agata e, attraverso la Via Giudecca, giungeva a S.Giuseppe e al Santuario del Beato Felice ed, infine, si fermava in piazza Garibaldi per la benedizione. Lungo 273
Festa del Corpus Domini ( foto nonsolovideo).
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il percorso si allestivano degli altarini, davanti ai quali la processione si fermava per la benedizione, mentre si elevava il canto “Tantum ergum sacramentum” Tantum ergo sacacramentum Veneremur cernui: Et antiquum documentum Novo cedat ritui: Praestet fides supplementum Sensuum defectui. Genitori Genitoque Laus et iubilatio, Salus, honor, virtus quoque Sit et benedictio: Procedenti ab utroque Compar sit laudatio. Amen. Ma, con la soppressione dal calendario di alcune feste di precetto, la processione del Corpus Domini ha perso l’antico splendore del passato; infatti sono state eliminate tutte le processioni dei due giovedì, del venerdì e del sabato ed è stata mantenuta la processione della domenica, che, partendo dalla Basilica di S. Maria Maggiore, si conclude in Cattedrale. Il 13 giugno veniva celebrata, nella chiesa di S. Simone e Giuda, la messa in onore di S. Antonio da Padova, cui seguiva la processione, che, con la partecipazione delle confraternite e del clero di S. Maria, percorreva molte vie della città. Purtroppo, a partire dal 1966 non fu più organizzata. In passato, in tutte le campagne ed anche nei quartieri di Nicosia, di sera, si preparavano i falò o “dduminarië” (le luminarie) in onore del santo e si indirizzava a lui questa invocazione: “Sant’Antantönìn Sant’Antantönìn, ognö spiga quant’a n möndìn” affinché assicurasse un buon raccolto di frumento. Nella credenza popolare S. Antonio, come protettore dei cereali, aveva preso il posto di Cerere e non è un caso che il santo sia raffigurato con un giglio in mano, fiore che era sacro a Cerere. Il 3 agosto la cittadinanza, che durante il mese di luglio non aveva preparato nessuna festa, perchè la maggior parte dei Nicosiani era impegnata nei faticosi lavori della mietitura e trebbiatura, si risvegliava e preparava numerose manifestazioni per la festa di S. Bartolomeo, a cui si attribuiva il miracoloso potere di guarire l’ernia. Alla processione, durante la quale veniva portata a spalla (soprattutto dai manovali più soggetti al male dell’ernia) la statua del Santo sulla sua sfolgorante bara, partecipavano le confraternite di S. Nicolò e il clero delle due chiese ma, spesso, nascevano controversie tra i due cleri. Il 13 agosto si svolgeva la processione in onore di S. Lorenzo. La statua oggi conservata a S. Biagio, ma, purtroppo, mutilata e deturpata - veniva posta sulla artistica bara scolpita da Stefano Li Volsi e portata per le vie del paese. Questa festa, dopo la soppressione del Capitolo, non è stata più celebrata. Nei primi quindici giorni di agosto (la famosa “quindecina”) in quasi tutti i rioni si approntavano gli altarini (“ruga pe ruga se cönzavanö l artarettë”) con il quadro della Madonna dell’Assunta, tovaglie bianche ricamate, candele accese, fiori di ogni tipo, vasi di basilico. Questa pianta era tenuta in gran pregio, poiché si credeva che su di essa fosse discesa la benedizione celeste. Quindi il gior275
Altarini di Ferragosto (foto concessa da Liliana Mulè).
no di mezzo Agosto si soleva portare all’occhiello un mazzolino di basilico. Gli altarini costituivano un punto d’incontro per gli abitanti del quartiere che pregavano, recitavano il rosario, cantavano e organizzavano veglie, giochi, sorteggi, tornei. I passanti venivano invitati a sostare per ascoltare i canti, ammirare l’altarino e iscriversi al sorteggio “dö› gaddëttö”, che si faceva il quattordici sera. Quest’uso era scomparso, ma grazie all’niziativa della presidentessa della Pro Loco, Liliana Mulè, è stato ripristinato nel 1994.
Questo periodo preparatorio culminava il 15 agosto con la festa - la più importante della città dopo il Venerdì Santo - di antichissima tradizione della Madonna Assunta, che si celebrò per molti secoli nell’antica chiesa, e poi nella nuova chiesa. Durante la processione, alla quale partecipavano i Capitoli delle due Matrici e tutte le confraternite, veniva portata in processione la bella statua del Quattrocchi. Ai vespri, a Santa Maria Maggiore, partecipava un popolo intero, che poi assisteva ad un ricco “casteö” e “a musicata” e quel giorno non c’era nessuno che non mangiasse “ö melön” e “ö törrön”. Sicuramente il pranzo di mezzagosto era il più importante dell’anno per la ricchezza e l’abbondanza delle portate, che erano quelle solite della cucina contadina nicosiana, tanto che i più anziani, oggi, dopo un lauto pranzo si esprimono così: “Rengrazia Diö, mancö pe menzagöstö”. La festa dell’Assunta, sospesa nel 1967, anno del terremoto, venne ripristinata quando fu riaperta la via Francesco Salomone, ma non conservò le caratteristiche del passato, infatti la statua della Madonna viene trasportata sopra un mezzo meccanico e non giunge più a S. Simone e nemmeno a S. Michele. 276
Festa dell’Assunta (foto nonsolovideo).
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Festa di S. Felice (foto nonsolovideo)
La prima domenica di Settembre si svolgeva nella chiesa del convento dei Capuccini la festa del Beato Felice. La processione, cui partecipavano il clero, il popolo, le autorità, era molto sentita e percorreva il centro di Nicosia e le viuzze vicine al convento. Alcune messe, però, venivano celebrate presso la casa natale del nostro concittadino durante il triduo. Dal 2006, dopo la canonizzazione avvenuta in Piazza San Pietro a Roma il 23 ottobre 2005, la festa di San Felice, già da alcuni anni copatrono insieme a S. Nicola, viene celebrata in tale data. La festa si svolge con grande concorso di popolo, spettacoli e luminarie nelle strade. L’8 Settembre si svolgeva nella chiesa di S. Croce la festa di antichissima tradizione della Madonna della catena. La processione, cui partecipavano le confraternite di S. Croce, S. Agata e S. Calogero, percorreva molte strade. Ultimamente il percorso della processione è stato modificato, tanto è vero che la statua della Madonna viene portata fino all’Ospedale per conforto dei malati, poi in Piazza Garibaldi ed, infine, ritorna a S. Croce. La terza domenica di Settembre, nella chiesa di S. Cataldo, si svolgeva la festa della Madonna dell’Aiuto, festa antichissima e molto gradita ai Nicosiani, che senza interruzioni l’hanno sempre celebrata nel corso della storia. La statua viene portata a spalla fino al Calvario e, dopo aver percorso le strade del paese, rientra in chiesa accompagnata dal caratteristico gioco d’artificio che conserva il fascino del rito antico. La quarta domenica di Settembre, nella chiesa di S.Michele, veniva celebrata dalle confraternite e dai fedeli la festa di Sant’Isidoro. Il santo veniva portato in processione per le vie della città e al suo rientro seguivano i giochi d’artificio e la cuccagna. 278
Ad ottobre si festeggiava la festa di S. Bartolomeo, copatrono di Nicosia, e in questa occasione si svolgeva “a fëra de San Bartömiö”. Il primo Novembre (e non il due, come è stabilito dal calendario liturgico) a Nicosia si celebra in modo corale la festa di tutti i Santi. E’ un giorno dedicato ai defunti, in cui si celebrano messe e si compie un pellegrinaggio al cimitero. Le messe, che fino ad alcuni anni fa si celebravano nelle cappelle nobiliari, sono solo un ricordo degli anziani, infatti oggi si celebra una sola messa. Il sacerdote commemora i defunti e, dopo il devoto pietoso omaggio, si va a casa. Il santo luogo è adornato di fiori e ceri accesi e non c’è tomba senza un fiore o un lume. Nessuno può mancare in questa occasione ed evidente è la pietà per i trapassati. Le famiglie si riuniscono come a dire “qui una volta ci troveremo insieme” e chi non abita in paese ritorna come per rinsaldare un vincolo (quella che il Foscolo definì “corrispondenza d’amorosi sensi”), per convalidare una tradizione che unisce vivi e morti. Per i defunti si recita un rosario di “requiem” e preghiere. Il due novembre, in passato, i bambini trovavano sotto il cuscino umili doni ed, in particolare, collane di sorbe. Quest’uso era molto diffuso nelle famiglie contadine, mentre nel nostro tempo i bambini, che il giorno prima hanno avuto raccontato che i “morti”, entrando dalle fessure delle finestre o dal buco della chiave, portano loro dei doni, al risveglio, credendo nella loro ingenuità a quello che è stato loro detto, si precipitano verso il luogo in cui hanno deposto la letterina indirizzata ai morti e in cui hanno espresso le loro richieste, per verificare se i loro desideri sono stati esauditi.. La gioia dei piccoli, che trovano i regali ed anche i dolci, investe tutta la famiglia e lenisce la tristezza degli adulti che ricordano i loro morti. Il terzo venerdì di Novembre veniva celebrata, in ricordo della liberazione dalla peste, una festa che ha origini antichissime: la festa del Padre della Misericordia che aveva salvato la popolosa città di Nicosia, colpita dalla peste del 1626, che aveva fatto strage in tutta Europa. Si racconta che fossero morte già novemila persone, fra cui tre eroici francescani, che volontariamente avevano assistito le persone colpite: padre Bonaventura Bellagamba e il venerabile fra’ Michelangelo Camerano, entrambi di Nicosia, e fra’ Brunello da San Fratello dell’ordine dei Riformati di Santa Maria di Gesù. Lo squallore e il terrore regnavano fra i superstiti e mancavano i rimedi, ma la mano di Dio Onnipotente compì un insigne miracolo.Una semplice verginella del monastero della Immacolata di S.Cristina ebbe una visione: per scongiurare il flagello bisognava portare in processione per le vie della città il simulacro di Gesù Crocifisso Padre della Misericordia, che tuttora si venera nella Basilica di S.Maria Maggiore. Il clero, il senato, il popolo, mossi dalla fede, credettero a questa visione e, nonostante fosse pericoloso riunire i cittadini in una folla, diedero luogo ad una processione solenne, ufficiale ed affollatissima. Non appena il simulacro si avvicinò al lazzaretto, gli infermi – anche i più gravi – guarirono. L’evento fu accompagnato da fiumi di lacrime e da canti di gioia e Nicosia fu salva. Era il 3° venerdì di Novembre - esattamente il giorno 20 del 1626. Il senato nicosiano, a nome della cittadinanza, offrì un diadema d’argento, che tuttora adorna il capo della venerata immagine e decretò che ogni anno, a spese del Comune, si celebrasse il terzo venerdì di Novembre. Inoltre pose nella cappella del Crocifisso una lapide con un’iscrizione in latino, che, tradotta, così dice:
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D.O.M. Questo grande medico di Nicosia, come la stessa città costantissima, si offre testimone di tanta virtù presso tutto il mondo, mentre nell’anno 1626, afflitta dal veleno della peste e priva già di novemila uomini, avvertita da celeste devozione, portava intorno questo sacro simulacro, con entusiasmo di popolo e solenne intervento dei due cleri, sedò quel morbo esiziale e restituì del tutto ristorata la salute a queste genti il 20 Novembre, giorno di venerdì. Per la qual cosa memori di tanto singolare beneficio stabilirono di celebrare solennemente ogni anno ex voto il 3° venerdì di quel mese. Il senato e il popolo nicosiano (S. P. Q. N.). Il 19 Novembre del 1926 fu celebrato, con una affollatissima e grande festa, nella grandiosa Basilica di S. Maria Maggiore, il III centenario del miracolo che salvò Nicosia, alla presenza di Mons. Agostino Addeo vescovo di Nicosia, di Mons. Emilio Ferrais, vescovo ausiliare di Catania e di Mons. Giovanni Iacono, vescovo di Caltanissetta. Nel 1954 Mons. Clemente Gaddi organizzò il venerdì santo per ricordare il miracolo della liberazione dalla peste e diede solennità a questa festa, che fu fatta coincidere fra l’altro con quella del ringraziamento dei coltivatori diretti di Nicosia. Questi, durante la mattinata, sfilano con i loro trattori e sono preceduti da un gruppo di ragazze che portano i doni della terra e da tutte le autorità civili e militari della città e della provincia, mentre di sera prendono parte alla processione. Con la festa del terzo venerdì di Novembre si concludevano le feste dell’anno liturgico di Nicosia, che incominciavano il primo Dicembre. Si sa che molte altre erano le feste religiose a Nicosia, in onore di S. Rita, S.Benedetto, San Calogero, San Damiano, San Leonardo, Sant’Elia, San Rocco, San Luca Casale, San Cosimo e Damiano, S.Caterina, Sant’Anna, ecc., ma di esse non si conosce come e quando si svolgessero. Come si evince dall’analisi, molte feste, pur continuando a sopravvivere, si sono modificate ed altre feste sono scomparse. Il motivo di questo “obnubilamento della tradizione” è, senza dubbio, dovuto al fatto che si è persa la religiosità che caratterizzava le espressioni antiche. Con l’avanzare della conoscenza razionale la religiosità si è modificata insieme alla situazione culturale, sociopolitica ed economica in un lento processo non percettibile alla quotidianità, è diminuita per assumere forme diverse, ma non è scomparsa perché nessun uomo è immune da quel bisogno del religioso che fa parte della sua stessa essenza. Il ricorso al santo è meno significativo, ma le feste continuano ad essere celebrate da tutta la comunità, forse perchè la partecipazione collettiva ad una festa consente agli individui di riconoscersi, attraverso il culto del santo, come appartenenti a un medesimo gruppo e a una medesima cultura, favorendo in tal modo il senso d’identità. La processione, pur rimanendo il momento principale della festa, è divenuta, soprattutto, un momento di aggregazione, un momento di gioia, di euforia, accompagnato dalla banda musicale e dai giochi d’artificio; è invece quasi scomparsa la figura del predicatore e quella del “maströ dâ festa” e, con gli anni, le confraternite si sono ridotte a semplici associazioni formate da pochi adepti, la cui presenza è quasi scomparsa e si evidenzia solo nelle feste. Inoltre, una volta tutte le statue avevano una “bara” e venivano portate a spalla da fanatici, oggi esiste una sola “bara” che viene trasportata su un mezzo meccanico. 280
Festa del Padre della Misericordia (foto nonsolovideo)
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I festeggiamenti, che un tempo duravano per alcuni giorni, oggi durano solo un giorno e si riducono ad una serata di “musica leggera”. Inoltre è cambiato il ruolo del quartiere, inglobato nel paese, per cui le feste rionali sono, oggi, residui, come monconi, di un membro una volta attivo, ultimi segni di un passato, che sta lentamente svanendo, poiché le condizioni che lo generavano sono cambiate. Nessuna meraviglia né rammarico, però, se la festa paesana ha perduto il suo lustro: questo è prodotto del tempo, che genera cambiamenti necessari, che non ammette l’immobilità, che è propria della morte; mentre il tempo è vita e la vita è progresso e il progresso è cambiamento. Sarebbe inutile tentare di far rivivere ciò che è morto, si rischierebbe di far risuscitare uno spettro. Che cambino le tradizioni non bisogna dolersene, ma bisogna difenderne la conoscenza, poiché questa serve a comprendere ed apprezzare il vivere odierno e a dare ad esso il giusto significato. Ma nel calendario festivo dell’anno, oltre alle ricorrenze della liturgia cattolica, vi sono feste nelle quali non prevale l’elemento religioso, tra cui Carnevale, che si apriva con la festa di S.Antonio Abate, il 17 gennaio, e proseguiva fino al martedì grasso. Si trattava di una lunga serie di appuntamenti giocosi, che di domenica in domenica, come in un romanzo a puntate, all’insegna del divertimento, della baldoria e della spensieratezza, univa tutti i cittadini in un unico desiderio: colorare il grigiore quotidiano in un tempo in cui scarseggiavano i divertimenti. La tradizione carnevalesca nicosiana era ricca. La cura che metteva il nicosiano nell’esprimere il suo animo faceto nei lazzi carnevaleschi delle domeniche che precedevano il famoso martedì, faceva accorrere da altri paesi del circondario gruppi mascherati che si univano ai gruppi nicosiani e ballavano per le strade la contradanza. C’erano quelli che dirigevano il ballo ed erano sempre gli stessi per molti anni. Dalle finestre le ragazze osservavano i giovanotti nelle evoluzioni carnevalesche e lanciavano loro coriandoli. Non mancavano i caratteristici carri addobbati con nastri e frasche, sui quali i giovani cantavano suonando la chitarra e il mandolino. La fine del lungo periodo di festa era segnata dal “funerale” di Carnevale, in cui un grande pupazzo che lo rappresentava veniva portato in processione su un carretto a mo’ di carro funebre. Dietro veniva la folla di mascherati che cantava a mo’ di pianto addolorato: “Carnevalë perchë sëi mortö / panë e vin nen te mancava / a nsalada era nâ l ortö / Carnevalë perchë sëi mortö?” Intorno al carro c’erano delle persone vestite di bianco, dietro una donna molto magra a lutto che piangeva: era la Quaresima. La morte di Carnevale, che era il culmine della festa, era anche il culmine del rito di purificazione, che portava all’eliminazione del male, il quale, per essere eliminato, doveva essere denunziato pubblicamente, ecco perché Carnevale prima di morire faceva testamento, cioè denunziava i suoi peccati e quelli della comunità. Non era solo Carnevale che doveva liberarsi dal male, ma tutta la comunità perciò le allusioni alla condotta dei cittadini, alle magagne della comunità e la satira con cui si esprimevano avevano la precisa funzione di denunzia pubblica, di liberazione della collettività dal male compiuto. Purtroppo nulla si è conservato o si conserva ancora del carnevale del passato, forse perché tutto ciò che la festa dava all’uomo di una volta, è diventato abitudine, ed oggi non si può comprendere appieno il significato di quella evasione, la validità di quella occasione. Oggi il carnevale si è ridotto a divertimento per bambini, tuttavia in un recente passato era occasione di divertimenti sfrenati a cui partecipavano, senza alcuna distinzione, tutti i Nicosiani. 282
Carnevale nicosiano: “La Divina Commedia” (foto concessa da Liliana Mulè)
Carnevale nicosiano: “La Piovra”.
La prima testimonianza di sfilata di un carro nacque, nella prima metà degli anni Settanta, in modo spontaneo e, dietro suggerimento della professoressa Valeria Fiscella, si ispirò alla Divina Commedia dantesca; ma qualche anno dopo, negli anni Ottanta e Novanta, le Amministrazioni comunali che si sono succedute e la Pro Loco (guidata dall’ attiva presidente, ins. Liliana Mulè e supportata dall’arch. Liborio La Vigna) tentarono, attraverso contributi e premi, di introdurre la tradizione dei carri. Si riportò, quindi, il Carnevale, almeno in parte, agli antichi splendori e il festoso carosello di maschere si arricchì di gruppi in maschera e di carri in cartapesta in cui venivano ripresi ed elaborati, con vena satirica ed immediatezza rappresentativa, tipi, caratteri e motivi d’attualità. 283
Carnevale nicosiano: “Il cavallo di Troia”.
Carnevale nicosiano: gruppo “La scacchiera”.
Carnevale nicosiano: Gruppo in costume d’epoca.
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Carnevale nicosiano: Gruppo in costume d’epoca.
Carnevale nicosiano: Maschere tradizionali (il pecoraio e il turco).
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Carnevale nicosiano: gruppo in maschera.
Carnevale nicosiano: carro “Follia umana�.
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Carnevale nicosiano: carro “Il sagittario”.
Carnevale nicosiano: carro dell “Amore”.
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2. Le nuove feste Il 14 febbraio si festeggia già da molti anni S.Valentino, il Santo dell’Amore che aiuta gli innamorati ad esprimere i propri sentimenti, a superare le paure. La festa, sia che sia stata “importata” dai Paesi anglosassoni che in questo giorno celebravano una sorta di “rito della primavera”( in quanto, proprio in quel periodo, gli uccelli iniziavano ad amoreggiare fra loro per avviare i processi di riproduzione), sia che sia stata introdotta dalla Chiesa, desiderosa di sostituire la festa pagana dei “Lupercali” (che celebrava la fertilità) con una ricorrenza religiosa cristiana, è l’ennesima festa commerciale. Infatti per S.Valentino i giovani non solo si dichiarano a vicenda il proprio amore, si fanno coccole e tenerezze varie, ma è anche tradizione scambiarsi regali, in particolare medagliette con la scritta “Più di ieri e meno di domani”, teneri sms, bigliettini, cuoricini, fiori, rose rosse, scatole di cioccolatini su cui anni fa erano riprodotti gli innamorati di Peynet. L’ 8 marzo viene celebrata la festa della donna ormai diffusa in diversi paesi del mondo occidentale. Essendo originariamente una giornata di lotta, il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, nell’ambito delle associazioni femministe viene celebrato a ricordo delle conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne; tuttavia nel corso degli anni il vero significato di questa ricorrenza è andato un po’ sfumando, lasciando il posto ad una ricorrenza caratterizzata anche da connotati di carattere commerciale e politico. Diffusa è l’usanza di regalare alle donne mimose in occasione della festa. Versione laica della festa di S. Giuseppe è la festa del papà che si festeggia anche il 19 Marzo, perchè il santo rappresenta la figura del “padre”, oggi sempre più rivalutata nell’ambito della famiglia. La festa è l’occasione per esprimere affetto e stima nei confronti di tutti i papà che ricevono regali o pensierini da parte dei figli. I regali più tradizionali sono: capi di abbigliamento, accessori, profumi oppure libri. Il primo Maggio ricorre la festa dei lavoratori. La festa, che intorno alla metà degli anni Settanta aveva chiaro significato di lotta di classe per la costruzione di una nuova società, (la società socialista), per la conquista dei diritti e delle tutele per i lavoratori si è trasformata in questi ultimi anni in una pacifica e tranquilla giornata di commemorazione del lavoro (organizzata dai sindacati italiani CGIL, CISL e UIL), in un appuntamento primaverile privo di contenuti politici e di classe, quasi un pretesto per fare una kermesse musicale, scampagnate e giochi popolari. Festa del 1° Maggio in via IV Novembre. I lavoratori si ritrovano La 2ª domenica di Maggio ricorre la festa insieme a piazza S. Maria di Gesù per festeggiare il 1° maggio, della mamma, una delle feste “laiche” e più interrompendo il lavoro, godendo di un giorno di festa, vivendo in apprezzate in tutto il mondo. Anch’essa, un clima di entusiasmo e facendo sentire, nel contempo, la propria presenza. Nella foto: Scinardi (sindacalista della Cgil) e Circasso “importata” dagli Stati Uniti ed ufficializzata (esponente del Pci). nel 1914 dal presidente Wilson come espressio288
ne pubblica di amore e gratitudine per le madri e speranza per la pace, rappresenta l’occasione per far capire alla propria madre con un fiore, un gesto o un piccolo dono quanto la amiamo e per riflettere sulla figura ed il ruolo della “mamma” nella nostra società. Alle mamme morte, per usanza quasi universale, vengono portate sulle tombe rose bianche e rosa. Le origini di questa festa si perdono nei secoli e nei popoli, fino a risalire agli antichi Greci ed agli antichi Romani, che proprio in questo periodo dell’anno celebravano le divinità legate alla fertilità. E’ nel mese di Maggio, infatti, che il risveglio della natura si fa più evidente e gioioso, nell’esplosione dei colori e dei profumi, diffusi dalla prima aria calda. Il mondo contadino e pastorale, la cui vita era profondamente legata alle stagioni ed al clima, non poteva che salutare, con feste e sagre, la fine dell’inverno e la prossima maturazione dei raccolti, accuratamente preparati nei mesi più freddi. Nella prima settimana di giugno (ultimamente nel giorno del Corpus Domini) ricorre da circa un decennio l’Infiorata, un lungo tappeto floreale che si estende, articolandosi in vari riquadri separati da ampie fasce ornamentali, per tutta la salita di Via Giambattista Li Volsi. Per la realizzazione dei quadri, disegnati sul selciato, occorrono, oltre alle essenze vegetali, migliaia di fiori; i singoli petali vengono utilizzati dagli infioratori così come i colori di una tavolozza dai pittori: il giallo della ginestra, il rosso dei garofani, il verde del bosso e del finocchio selvatico. La manifestazione si articola in varie fasi: l’ideazione e la preparazione del bozzetto da parte degli artisti che entrano in agitazione almeno quindici giorni prima della festa, e in stato febbrile alla vigilia; la raccolta dei fiori e delle essenze vegetali; lo “spelluccamento”(separazione dei petali dalla corolla e loro conservazione); i disegni a terra con gessi colorati; la posa in opera dei petali, l’Infiorata completata (la domenica). Da insieme di petali, sparsi alla rinfusa, si passa quindi ad un tappeto di fiori dai vivaci colori disposti in modo tale da delineare una vera e propria opera d’arte, in cui ogni petalo racconta una storia. L’Infiorata è affidata unicamente alle socie della F.I.D.A.P.A. (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) e le sue origini risalgono al 4 giugno 1995, quando la presidente prof.ssa Rita Scinardi si fece promotrice dell’iniziativa. Nel corso degli anni l’Infiorata è divenuta manifestazione di arte e di cultura e attrae ogni anno sempre più visitatori. In agosto si svolge la festa del Palio, una interessante manifestazione ripristinata nel 1979 dopo circa venticinque anni grazie all’interessamento della Pro Loco, presieduta in quel periodo dal geom. Giovanni Russo, sostenuto dalla fattiva collaborazione dell’assessore comunale per il turismo e lo sport dott. Roberto Bonomo, del presidente dell’Ente provinciale per il turismo prof. Salvatore Fiscella, dell’arch. Liborio La Vigna, del prof. Nino Contino e del prof. Giuseppe La Rosa. E’ così riemersa dal passato l’antica usanza della gara dei palioti che prevede la partecipazione dei rappresentanti delle confraternite locali, che da secoli hanno in dotazione un “palio” consistente in un’asta alta da quattro a cinque metri con in cima drappi ricamati che raffigurano delle immagini sacre. Ciascuna delle tredici confraternite* può partecipare alla gara con tre palioti, i quali al
* Le confraternite di Nicosia, che in passato erano venticinque, attualmentesono sono tredici: Confraternita di San Michele (Chiesa di S. Michele, 1539), Arciconfraternita della Resurrezione (Chiesa di Santa Croce,1591), Confraternita del SS. Sacramento (Chiesa di S. Nicolò, 1594), Confraternita di S. Michele Arcangelo (1619), SS.Sacramento di S. Croce (1605), Confraternita dei Santi Apostoli Simone e Giuda (Chiesa di Santa Maria Maggiore, 1621), Confraternita di Sant’Elena, Confraternita di Maria SS.
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Infiorata (1ÂŞ edizione), 4 giugno 1995.
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Il Palio: 1ª edizione, agosto 1979 (foto concessa da Liborio La Vigna).
rullo dei tamburi fanno volteggiare senza mai farlo cadere per circa una ventina di minuti il “palio” tenendolo appoggiato sul petto oppure sul dorso del piede o sul palmo della mano o sul mento. La gara è preceduta da una sfilata cui partecipano i confrati (che indossano camici stretti ai fianchi per mezzo di cingoli, le caratteristiche cappe e copricapi i cui colori distinguono, per secolare tradizione, le stesse confraternite), alcuni personaggi in costume e gruppi folcloristici italiani e talvolta stranieri.
della Raccomandata (Chiesa di Santa Croce, 1631), Confraternita degli Agonizzanti ( Chiesa di S.Calogero, 1654), Congregazione di Maria Santissima Assunta (Chiesa di S. Sebastiano, parrocchia di Santa Maria Maggiore, 1804), Confraternita del SS. Sacramento di Santa Maria , già Congregazione degli Schiavi del Sacro viatico (Chiesa di Santa Maria Maggiore, 1708), Confraternita di S. Cataldo, Confraternita di S. Calogero (come si legge nel testo di Gioacchino Guidara, Città di Nicosia-Le confraternite-Tipografia Trinacria, luglio 1996)
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Piazza Garibaldi: gara tra paliotti delle confraternite.
Istituita nel 2005 dal Parlamento è la Festa dei nonni, il cui fondamentale ruolo é stato riconosciuto ufficialmente anche nel nostro paese. La ricorrenza, fissata il 2 ottobre dalla Chiesa, è intesa come momento di incontro e riconoscenza nei confronti di chi ha vegliato sui nostri passi come gli angeli custodi. L’istituzione della ricorrenza prevede sia l’impegno ad elaborare iniziative che valorizzino il ruolo dei nonni, sia un premio annuale, consegnato dal presidente della Repubblica al nonno e alla nonna d’Italia. Di solito la giornata trascorre all’insegna dell’interazione generazionale tra nonni e nipoti: talvolta i nonni disegnano l’albero genealogico, raccontano ai nipoti storie, aneddoti familiari, vecchie filastrocche, leggende, fiabe ed insegnano loro canzoni o ninne-nanne; i nipoti, dal canto loro, fanno vedere ai nonni come funzionano i computer, cos’è internet, come si gioca ad un gioco elettronico o, ancora, come si manda un SMS o come si fa a fare una videochiamata con il cellulare. 292
La notte tra il 31 Ottobre ed il 1 Novembre (la notte di Ognissanti) da qualche anno, a Nicosia, si celebra una festa in maschera tipicamente americana: la notte di Halloween, una festa che ha conquistato i ragazzi che la considerano un’occasione per divertirsi, per uscire dalla quotidianità, per dare sfogo all’esuberanza ed alla stravaganza, ma verso cui gli adulti mostrano qualche reticenza e diffidenza. Il motivo è chiaro: le celebrazioni sono quasi interamente prive di ogni riferimento religioso e sono molto lontane dalla ricorrenza cristiana di Ognissanti, nonostante il termine Halloween significhi la “sera di tutti i Santi”. In effetti i giovani esaltano soprattutto l’aspetto “terrificante” di Halloween, ricorrendo alle maschere dei principali e più popolari personaggi horror (fantasmi, vampiri, streghe, lupi mannari) e spaventando i più piccoli. In gruppo si recano nei pub e nelle discoteche e sottopongono i malcapitati a scherzi di ogni genere. Questa festa, che non appartiene alla nostra tradizione, ha tutto il sapore di essere l’ennesima invasione culturale d’oltreoceano; il suo simbolo è la zucca di Halloween, una grossa zucca, al cui interno viene posto un lumino. Sulla zucca viene intagliata una faccia per ricordare Jack O’ Lantern - noto baro, fannullone e scommettitore assai dedito alla bottiglia – che secondo la tradizione scavò una grossa zucca e vi mise dentro il tizzone che Satana gli aveva tirato addosso per non farlo spegnere in modo da ritrovare la strada. Agli inizi di novembre, in cui spesso accade che la temperatura si faccia più mite, i giovani (soprattutto studenti) festeggiano l’estate di S. Martino (11 novembre) non tanto per ricordare l’ antico episodio squisitamente religioso, quanto per organizzare una giornata di svago e di divertimento interrompendo così l’impegno scolastico. Altre feste possono considerarsi le fiere che nel nostro paese sono due: quella di maggio e la seconda, quella autunnale, la prima domenica di ottobre. In passato si approntava una fiera estiva nel mese di agosto. In occasione di queste due ricorrenze, la via Matteotti (oggi) è invasa da una marea di bancarelle e di persone che trascorrono una spensierata giornata di festa.
3. Tradizioni legate al ciclo della vita La nascita Il momento di maggior felicità dei giovani sposi era quando la moglie comunicava al marito che era in attesa di un bambino. Durante il periodo di gestazione, quando iniziavano a vedersi gli evidenti segni della maternità, tra gli sposi si discuteva spesso sulla preferenza del sesso del nascituro. Generalmente le donne (la madre e la suocera) prediligevano la nascita di una femmina, quale ausilio nei gravosi compiti domestici, mentre gli uomini quella di un maschio, quale aiuto per il lavoro nei campi o nell’ovile, e, soprattutto, quale erede del patrimonio familiare e prosecutore della generazione. Ognuno egoisticamente pensava al futuro aiuto che avrebbe ricevuto nell’espletamento delle proprie gravose incombenze. Il maschietto, comunque, era sempre più atteso della femminuccia, infatti, quando due si sposavano, non a caso si augurava loro di avere figli maschi. Nella cultura popolare il periodo della gravidanza era ricco di consigli di vario tipo e di curiosi metodi di previsione, tesi ad indovinare il sesso del nascituro. Uno, ad esempio, era quello di chiedere improvvisamente ad una gravida che cosa fosse accaduto alle proprie mani: se questa guardava il dorso sarebbe nato un maschio, altrimenti una bambina. Ed ancora, maschio se inavvertitamen293
te la donna gravida girava il mestolo verso destra, femmina se lo girava verso sinistra. La donna era orgogliosa del proprio stato, e le comari più anziane facendole i complimenti avanzavano anche previsioni sul sesso del nascituro dalla forma della pancia. Se la pancia assumeva una forma molto pronunciata (a punta), prevedevano che fosse maschietto, mentre se la pancia tendeva ad allargarsi ai fianchi (tonda) prevedevano che fosse femminuccia. Ancora oggi vi é questa credenza. Era usanza non solo attribuire il sesso del nascituro alla forma della pancia della madre, ma anche pronosticare il sesso in base alle macchie che comparivano sul volto della puerpera e in base alla coincidenza fra la data prevista del parto e le fasi della luna (se la luna era crescente si trattava di un maschio, se calante di una femminuccia). Le comari, inoltre, consigliavano alla gestante di non trascurare le “voglie”, quindi di farsi portare dal marito qualsiasi cosa avesse desiderato. Si credeva che se esse non fossero state soddisfatte, il corpo del nascituro avrebbe potuto essere tatuato con la forma della cosa desiderata, nel punto in cui la donna si era toccata al momento del manifestarsi della “voglia” stessa. Se la cosa desiderata era un frutto fuori stagione o altro alimento impossibile da reperire, allora consigliavano di toccarsi nel fondo schiena, così, se fosse apparsa la “voglia”, sarebbe rimasta nascosta e non avrebbe potuto deturpare il corpo del nascituro. Per evitare influssi negativi sullo stato di salute della madre e del bambino esistevano molte dicerie. Si riteneva, ad esempio, che il mettere una collana o lo scavalcare una catena o una corda da parte della futura madre potesse comportare il rischio che il cordone ombelicale si attorcigliasse al collo del nascituro durante il parto. Esisteva anche un antico pregiudizio, secondo cui il parto ad otto mesi poteva essere pericoloso tanto per la madre quanto per il nascituro. Durante la gravidanza e per tutto il periodo della stessa, per irrobustire le ossa del nascituro, alla dieta della futura mamma veniva aggiunto un buon bicchiere di vino a tavola. Durante il periodo di gestazione la sposa provvedeva alla preparazione del corredino del neonato che, per quanto povero nella qualità o quantità, non prescindeva da alcuni elementi: ö cöpölinö (copricapo, generalmente ricamato, che copriva anche le orecchie e che si legava sotto il mento con due fettucce); a camisedda (camiciola, generalmente ricamata, che si allacciava posteriormente sempre con fettucce); ö cerrëttö (una fasciatura per sorreggere il busto); ö gipönëttö de picché (un corpetto); i panizzë ( panni); a ncerata (il telo plastificato); i quadratë (traverse); i fasciaturë (lunghe strisce per fasciare il bambino); i scarpëttë de lana; sciarpë; lenzolinë. Il neonato veniva fasciato e , solo dopo i quaranta giorni, veniva vestito con un abitino di mollettone e scarpette di lana. Sempre nel periodo di gestazione i futuri genitori discutevano sul nome da dare al nascituro e generalmente questo prendeva il nome dei nonni. Il primo maschio prendeva il nome del nonno paterno, la prima femmina quello della nonna paterna, mentre il secondo maschio e la seconda femmina prendevano il nome dei nonni materni. Siccome generalmente le famiglie erano numerose, agli altri figli mettevano il nome dei santi protettori. Alcuni giorni prima dell’evento, il marito si recava a casa della levatrice - in genere una donna esperta che aveva già fatto nascere “tutto il Paese” e che assisteva in casa le donne gravide fino alla nascita del bambino - per chiederle di assistere la moglie. Alle prime avvisaglie del parto il marito correva ad avvertirla, mentre, nel frattempo, la suocera preparava ciò che occorreva per il parto: l’acqua calda, panni puliti di lino e recitava una preghiera particolare a S. Anna, protettrice delle gravide e dei nascituri. 294
Le nonne ci raccontano che in paese c’erano solo alcune levatrici che si prestavano ad assistere le partorienti, perché in passato la nascita del bambino avveniva in casa in quanto non c’erano medicine, ospedali e neppure le ostetriche. Si credeva che la placenta conservata per tre giorni potesse allontanare il pericolo di una emorragia e che una grande chiave messa sotto il materasso della partoriente potesse evitare i dolori post-partum. Al bambino appena nato il cordone ombelicale veniva prima legato, poi reciso con le forbici ed infine bruciato con una candela di cera dalla levatrice. Il neonato subito dopo veniva vestito con un corpetto di colore celeste se di sesso maschile, di colore rosa se di sesso femminile. Dopo che la moglie aveva partorito e il bambino era stato vestito, il marito riaccompagnava a casa la levatrice (a mammina), ringraziandola per il lavoro svolto ed offrendole regali in natura, ognuno secondo le proprie possibilità. La levatrice era una figura importante e tutte le gestanti si confidavano con lei e la chiamavano ‘cömarë’ perché considerata la madrina di tutti i neonati. Il primo atto da compiere per il padre del bambino era quello di andare in Municipio, entro i termini di legge, per registrare la nascita del figlio. Il marito, avute le ultime discussioni con la moglie per quanto riguardava il nome, si recava a svolgere l’incombenza della registrazione, ma prima di recarsi in Municipio cercava quattro testimoni, ai quali poi offriva qualcosa al bar. Succedeva, a volte, che la felicità per la nascita del figlio facesse dimenticare al padre il nome e che, al momento della registrazione, il bambino si ritrovasse con un nome diverso da quello scelto. A ciò si poneva rimedio durante il battesimo, facendo precedere il nome prescelto a quello legale, cosicché alcuni si trovavano con un nome diverso nell’Anagrafe Comunale e in quello della Chiesa. Il neonato, se apparteneva ad un’umile famiglia, veniva messo in una culla di fortuna (a naca) creata con una coperta cucita attorno a corde legate alle travi del soffitto o in una cesta di vimini; entrambe venivano legate da un lato ad una cordicella, che la donna faceva oscillare anche a distanza con un movimento minimo del braccio: al primo vagito la mamma tirava la cordicella ed il bambino, grazie al dondolio, si calmava e ricominciava a dormire. Se, invece, il neonato apparteneva ad una famiglia benestante, veniva riposto nella culla a dondolo, che il futuro padre aveva provveduto a costruire o a far costruire e che sarebbe servita anche per i futuri figli. Di solito era una specie di barca di legno, su cui era disposto un velo bianco. Tra le varie regole e i vari precetti vi era che la culla dovesse essere dondolata solo quando il bambino era dentro a riposare, perchè altrimenti, se la culla fosse stata vuota, il bambino avrebbe sofferto di dolori al ventre o, addirittura, sarebbe morto. Inoltre, fino a quando il bambino non fosse stato battezzato, era consuetudine lasciare un lume acceso accanto alla culla. Se durante i primi giorni il nascituro andava incontro a disturbi e malattie, si ricorreva all’intercessione dei Santi e della Madonna. La mamma allattava il bambino al seno e la mancanza di latte materno costituiva un problema molto grave dovendosi ricorrere necessariamente alle prestazioni di una “balia”, ma non sempre se ne avevano i mezzi o era facile trovarne. Ecco perché la madre, prima di ricorrere a questo tipo di allattamento, tentava ogni rimedio per stimolare o per aumentare la portata lattea. Uno dei rimedi più comuni consisteva nel bere molto brodo. Durante il periodo del parto e del puerperio, di solito la suocera assumeva la direzione della casa, fino a quando l’equilibrio dei poteri non si fosse ricomposto con l’arrivo della mamma della partoriente. Inoltre, spettava a lei l’onore e 295
l’onere di regalare al nascituro una catenina d’oro se maschio o due orecchini d’oro o di corallo se femmina. Altra incombenza subito dopo la nascita del figlio era quello di scegliere i padrini. Il genitore si recava a casa del prescelto, generalmente amici o parenti fidanzati o sposati, dove veniva accolto con grande cortesia. La scelta di far battezzare un bambino era una espressione da parte dei genitori di amicizia e considerazione. Quindi essere scelto ed accettare di diventare padrino o madrina era un atto che nel tempo accresceva i legami di amicizia. Seguiva poi la visita di tutti i parenti, che venivano regolarmente ospitati con felicità. Appena possibile la partoriente ricambiava la visita con il bambino in braccio.
Il Battesimo Il Battesimo veniva scandito da precise regole e cerimoniali. Esso, salvo impedimenti particolari, doveva essere celebrato entro l’ottavo giorno dalla nascita e, comunque, entro la domenica successiva. Se si battezzava il giorno della nascita, si diceva che veniva liberata un’anima dal Purgatorio, e, per questo, si faceva di tutto per battezzarlo in quel giorno. Il padre, prima della cerimonia, andava a prendere i padrini (oppure il padrino e la madrina si recavano a casa del figlioccio), mentre la madre rimasta a casa affidava il bambino ad una ragazza - parente, amica o vicina di casa - per portarlo in chiesa. Era consuetudine avviarsi alla chiesa in piccola processione, infatti da casa si dipartiva una piccola comitiva, composta dal bambino vestito di bianco in braccio alla ragazza, genitore, padrini, amici e parenti invitati. Se la testina del bambino era appoggiata al braccio sinistro della ragazza si trattava di femmina, se al braccio destro si trattava di maschio. Durante la cerimonia, accanto al padre, che teneva un telo di lino per asciugare l’acqua benedetta caduta sul capo del battezzato, c’erano anche il compare e la comare, incaricati di reggere un cero acceso (simbolo pasquale di Cristo risorto). Il prete, durante il battesimo, metteva un po’ di sale in bocca al bambino per infondergli una certa vivacità e, se il bambino crescendo non dimostrava questa qualità, si diceva che il prete non gliene avesse messo abbastanza. Per consacrare il nuovo cristiano, il prete facendo il segno della croce ungeva con l’olio santo (olio crismale) la fronte del battezzando. La cuffietta messa sul capo del bambino veniva data di solito ad una ragazza vergine (cömarë de cöppölinö) perchè la lavasse; l’acqua con cui era stata lavata la cuffietta veniva poi gettata in una siepe, per evitare che fosse contaminata da un piede profano, poichè conteneva anche olio santo. Espletata la cerimonia, la comitiva accompagnata dal prete usciva nella piazza della Chiesa con il bambino in braccio alla madrina e si recava a casa a bere un bicchiere di vino, in cui si inzuppavano biscotti fatti in casa. La madre, invece, aspettava il ritorno della comitiva in quanto non poteva nè uscire di casa, nè assistere al Battesimo. Arrivati in casa i padrini e gli invitati offrivano i regali e riconsegnavano il bambino alla mamma per essere allattato. Dopo ciò ognuno rientrava alla propria abitazione. Tutto veniva fatto in modo parco e semplice, ma sincero, e tra padrini e genitori del bambino si instaurava un vincolo quasi sacro. Più tardi, negli anni, gli invitati venivano accolti in una camera dove si ricevevano gli ospiti e lì iniziava il ricevimento del Battesimo, durante il quale venivano offerti liquori fatti in casa e dolci. 296
Una mattina della settimana successiva al Battesimo, la madre di buon’ora si recava alla prima Messa per essere purificata (usciva a santa) e quindi riprendere il suo posto in società. (Per fortuna, l’uso di escludere la madre dal rito del battesimo venne, poi, abbandonato). Effettuata tale incombenza, la domenica successiva i genitori mandavano un cesto ripieno di dolci (il famoso caneströ ) ai padrini e poi con il bambino facevano loro visita. Con quest’uso finiva la cerimonia del Battesimo. Oggi il Battesimo ai bambini viene amministrato per la fede libera e responsabile dei genitori e della comunità cristiana. Assume perciò importanza fondamentale la preparazione delle famiglie al Battesimo dei propri figli. Pertanto i genitori devono comunicare per tempo al parroco la futura nascita del figlio, per poter coordinare la preparazione della famiglia al Sacramento. A tale preparazione è caldamente consigliata la presenza anche dei padrini e degli altri membri della famiglia. Ogni battezzando può avere un solo padrino o una sola madrina, oppure un padrino e una madrina. La funzione dei padrini è di ampliare, in senso spirituale, la famiglia del battezzando, rappresentare la Chiesa nel suo compito di madre e collaborare con i genitori, affinché il bambino giunga alla professione personale della fede e la esprima nella realtà della vita. Per meglio porre in luce il senso di gioiosa accoglienza di un nuovo membro nella comunità ecclesiale, il sacramento viene celebrato di Domenica, giorno in cui la Chiesa fa memoria della risurrezione del Signore e tutta la comunità partecipa al rito. Il Battesimo viene normalmente celebrato nella Chiesa parrocchiale e, se possibile, amministrato dal parroco. Oggi tutti i bambini nati entro un dato periodo di tempo sono battezzati nello stesso giorno con una sola celebrazione comune. Il parroco del luogo dove si celebra il Battesimo deve registrare nel libro dei Battesimi i nomi dei battezzati, facendo menzione del ministro, dei genitori, dei padrini, di eventuali testimoni, del luogo e del giorno del Battesimo conferito, indicando anche il giorno e il luogo della nascita.
Il fidanzamento I giovani pensavano a cercarsi una fidanzata solo dopo aver assolto gli obblighi militari, ma non era cosa semplice, al tempo dei nostri nonni, coronare un sogno d’amore. Le ragazze da marito (l’età giusta era diciotto anni, tanto che un detto recitava: “A fëŸ mena de diciottö, ö mascölö de vintottö”), così come le altre donne, passavano le loro giornate chiuse in casa e a quelle che avevano qualche smania di mettersi in mostra veniva detto: “Faccia nen vista è desiata”; “Chi te volë, n casa te venë”. Per i giovani di un piccolo centro di provincia praticamente era impossibile riuscire a parlare con le ragazze, che potevano uscire soltanto per andare a Messa o per partecipare, in compagnia dei familiari, a qualche festa paesana. Non restava che attendere pazientemente i tempi opportuni ( la mietitura, la vendemmia) oppure aspettarle quando andavano alla fontana a prendere l’acqua. La processione e la festa erano, infatti, per le ragazze un momento per lanciare sguardi fugaci e furtivi, suscitare l’interesse dei giovani magari esibendo le scarpe nuove o il vestito appena confezionato dalla madre o dalla sarta, rispondere agli ammiccamenti che l’uomo inviava all’indirizzo della prescelta e che qualunque donna comprendeva a meraviglia. Quasi sempre il corteggiamento cominciava con lunghi e cauti appostamenti sotto la finestra o il balcone della 297
Battesimo (foto concessa da Giuliana Nisi).
ragazza per evitare che il padre o i fratelli subodorassero qualcosa e diffidassero il temerario dall’aggirarsi nei paraggi. Oppure il corteggiamento si svolgeva la domenica mattina, durante la messa. Infatti, durante la funzione i giovanotti, piuttosto che star seduti ad ascoltare, passeggiavano su e giù per le navate laterali della chiesa, lanciando sguardi e ammiccamenti all’indirizzo delle ragazze, che stavano sedute, quasi sempre accanto alla madre o ad una parente, nella navata centrale. Quando un giovane individuava quella che gli piaceva di più, cercava con ogni mezzo di farsi notare ed approfittava di tutte le occasioni. Si piazzava in posizione strategica e lanciava uno, due, tre sguardi, in modo sempre più insistente e diretto, o faceva l’occhiolino; poi pazientemente osservava di sottecchi le reazioni della prescelta e attendeva il riscontro, che di solito tardava perché una ragazza seria, per non passare per civetta, non si faceva sorprendere la prima volta a restituirgli lo sguardo. Dopo tante domeniche e dopo interminabili attese, per intere serate, sotto un balcone o una finestra che non si apriva, il giovane ricorreva a qualche “ruffiana”, per fare pervenire alla ragazza la dichiarazione o un bigliettino col quale le manifestava il suo amore. Di solito la ragazza, che non accettava la corte del giovane spasimante, si ritirava dal balcone o chiudeva la finestra quando passava il corteggiatore indesiderato; invece, se la accettava, rispondeva semplicemente con l’accensione o lo spegnimento di un lume o con un cenno del capo. Ricevuto il segnale, il ragazzo diventava più audace ed iniziava il suo corteggiamento in maniera più esplicita. Spesso si recava con gli amici fraterni nelle vicinanze della casa di lei e nel buio della notte, accompagnato da chitarra e mandolino, le cantava la serenata. Cominciava così il periodo del fidanzamento clandestino, che durava fino a quando i due innamorati non riuscivano a convincere i genitori a renderlo ufficiale. Intanto, per mezzo del pettegolezzo dei vicini, la notizia di chi fosse il pretendente arrivava all’orecchio dei genitori della ragazza, che, se consenzienti, si accordavano con il corteggiatore della figlia circa la data della richiesta formale della mano della ragazza (ö nsëngö), che si celebrava poche settimane dopo. Da quel momento il giovane poteva parlare dal balcone o davanti la porta con la ragazza, senza più la preoccupazione di essere sorpreso. Potevano, però, formalmente considerarsi zzitë solo dopo il fidanzamento ufficiale, una cerimonia corale che veniva celebrata quasi sempre verso la fine dell’estate, nel mese di settembre, quando diminuivano i lavori nei campi e tutti i parëntë da zzita potevano partecipare alla preparazione dei dolci per il trattenimento, mentre i parëntë dö› zzitö potevano acquistare l orö per la fidanzata (anello di fidanzamento, collana, bracciale, orecchini, ed altri regali). Spessissimo tra le due famiglie si istaurava una sorta di tacita gara in cui ciascuna di esse cercava di ostentare un’agiatezza che di fatto non aveva, pur di prevalere sull’altra. La sera del fidanzamento, toccava alla futura suocera, “appendere” con studiata lentezza orecchini e collana alle orecchie e al collo della nuora, per dare modo ai parenti e alle comari di esprimere commenti d’ammirazione. Nel periodo compreso tra il fidanzamento ufficiale ed il giorno delle nozze, i due fidanzati potevano vedersi, sotto gli occhi vigili dei parenti della donna, a casa della ragazza d’inverno davanti al focolare, d’estate sull’uscio dell’abitazione. Ma i guai per due giovani innamorati cominciavano quando le famiglie erano contrarie al matrimonio. Non rimaneva loro altra scelta che continuare a vedersi di nascosto in casa di un amico, di un vicino o di un parente, prendendo tutte le precauzioni. E se, poi, volevano ad ogni costo realizzare il loro sogno d’amore ricorrevano alla “fuitìna”, scappando di casa dopo aver preso gli accordi per mezzo di una “ruffiana”. 298
La ragazza si preparava “a tröscia”, vale a dire un fagottino nel quale metteva pochi indumenti personali, e, all’ora convenuta (quasi sempre di notte) prendeva il volo con il suo innamorato e con lui andava a vivere, per un breve periodo, presso qualche amico. Quando i familiari si accorgevano che la ragazza non c’era più, la loro reazione assumeva i caratteri di una tragedia. La madre e le sorelle piangevano ed urlavano strappandosi i capelli ed il padre e i fratelli minacciavano di uccidere quella svergognata o dichiaravano ai vicini che per loro era come se fosse morta e che, se si fosse presentata davanti alla porta, l’avrebbero cacciato via. Dopo un periodo più o meno lungo i giovani “fuggiaschi” cercavano di riappacificarsi con i genitori della fidanzata, che per un po’ di tempo facevano i sostenuti. Poi, con l’intercessione del parroco o di un amico, riuscivano a convincere i genitori affinché benedicessero la loro unione e, in attesa del matrimonio, il giovane riportava la ragazza nella casa paterna. Esisteva anche la “fuidìna cöncördada”, alla quale le famiglie ricorrevano quando mancavano i soldi per affrontare le spese matrimoniali. In questo caso il rito nuziale si svolgeva “al buio” e i giovani fuiùti regolarizzavano la loro posizione e ricevevano il sacramento nuziale, sposandosi nella sagrestia della chiesa, perché peccatori. Non mancavano i “matrimonë pe precura” combinati, per mezzo di foto, spesso tra un uomo emigrante e una donna di specchiata onestà. Infatti, gli uomini, partiti per le Americhe o l’Australia, col piroscafo e con una valigia di cartone legata con lo spago, preferivano richiedere in isposa una donna del proprio paese, piuttosto che prendere una straniera, per vivere stabilmente nella nuova terra e formarsi una famiglia. Esistevano anche i “matrimonë pörtatë”, chiamati così perchè venivano combinati da vecchie “ruffiane” traffichine, abilissime nel mettere in risalto le doti che maggiormante contavano nel povero mondo contadino di allora, pronte a giurare che comunque quel matrimonio era stato deciso e preparato in Cielo (Matrimonë e vescövadë dö› celö sö calatë), che l’amore sarebbe arrivato dopo, e ad enfatizzare le qualità del giovane, presentato come un lavoratore, serio e benestante, e le virtù della donna, presentata come “una che se pödìa bëvö na n becchiërö d eugua”, educata al rispetto e all’ubbidienza verso l’uomo e abituata fin da piccola ai lavori più duri. Dal momento che i due promessi sposi neppure si conoscevano, il più delle volte provavano brucianti delusioni: il miraggio del benessere si rivelava, se non proprio inesistente, certamente inferiore a quello promesso e poteva anche accadere che l’uomo si trovasse davanti una zitella attempata e magari con i fianchi sovrabbondanti. Erano, insomma, matrimoni basati non sull’amore, ma su piccole convenienze e piccoli calcoli. Altro personaggio importante nei matrimonë pörtatë era ö sensàlë, cioè una specie di “ambasciatore”, specializzato nella professione di cercare marito alle zitellë o moglie per gli scapoli. Girava con la foto del pretendente e della pretendente e presentava il primo come omö nteligèntë e la seconda come fëŸ mena de casa elencandone gli averi ed affermando che, se non era bella, era ricca. Di solito ö sensàlë era un signore anziano, stimato e rispettato in società, possibilmente di ceto sociale superiore, che veniva incaricato dalla famiglia del giovane di “fare il primo passo” presso il padre della ragazza. Questi, pur dichiarandosi onoratissimo della visita di quell’ospite, dopo aver mostrato la propria sorpresa per quella 299
Fidanzamento (foto concessa da Giuliana Nisi).
richiesta tanto inattesa, chiedeva tempo per una risposta, adducendo come pretesto il fatto che doveva domandare alla figlia se anche lei era disposta a sposare quel giovane, ma, in realtà, per prendere le informazioni. Se, dopo una o due settimane, la risposta era affermativa, si facevano incontrare i due casualmente in chiesa o per strada durante la festa del Santo Patrono e poi si concordava la data per fare la rreconoscenza, che consisteva in una visita che i genitori e i parenti stretti del giovane facevano a casa della ragazza, per conoscerne i familiari. Durante quella visita la ragazza doveva sforzarsi di suscitare l’impressione più favorevole presso la mamma del giovane. Ad affare concluso ö sensalë riceveva una lauta ricompensa. Prima del matrimonio, alla presenza del sensàlë, si concordava l’entità della dote e ci si accordava sull’acquisto dei mobili per la camera da letto e sul corredo, cioè sulla biancheria, sugli abiti, sugli accessori, (in quanto lo sposo, per il primo anno di matrimonio, non doveva pagare le spese di abbigliamento della moglie). Il corredo della ragazza - formato da vari pezzi di biancheria, tutti con pizzi e merletti, di cotone o di lino – veniva cucito e ricamato dalla mamma e dalla nonna e accuratamente riposto. In caso di un certo agio della famiglia di origine, la dote comprendeva anche un certo numero di capi di bestiame o una cospicua somma di denaro. Il contratto di matrimonio vero e proprio era stipulato dal padre e dal fratello della sposa, che si accordavano sulla compera dell’oro, della lana o del crine dei materassi, delle lenzuola, delle scarpe, delle calze e di altro ancora. Ogni matrimonio finiva per coinvolgere praticamente l’intero parentado dei due fidanzati; ognuna delle due famiglie vi spendeva la propria immagine pubblica, il proprio peso economico, il proprio onore. Presso le classi subalterne non si stilavano contratti veri e propri, ma la parola data era impegnativa più della carta bollata. La vigilia delle nozze nella casa della sposa si compilava la cosiddetta “carta dotale”, una lista di tutte le cose che componevano il corredo, perché, in caso di morte precoce della donna, senza figli, la dote tornasse alla sua famiglia di origine. Poi, tutto il corredo, si trasportava con dei cesti di vimini, se la casa dello sposo era vicina, o su un carro tirato da cavalli o da muli, se era lontana. Durante il tragitto si formava un corteo di amici che, con musiche e canti -eseguiti con organetto, fisarmonica, friscalettö - instauravano un clima di festa e di allegria. Parallelamente alla trasformazione dell’istituzione matrimoniale, alla fine degli anni ‘60-‘70 anche la promessa di matrimonio perse gran parte della sua importanza e divenne un fatto puramente privato. Dopo una rinascita, verificatasi alla fine degli anni ‘80-‘90, oggi il fidanzamento avviene ormai tra i due interessati, magari in occasione di una cena o di una piccola festa. Chiedere la “mano” della sposa al padre di lei è diventato, oggi, una formalità superata, tuttavia è corretto da parte dello sposo avere un colloquio con il futuro suocero. Naturalmente non si tratta di un colloquio formale, ma di una semplice e cordiale conversazione durante la quale il futuro sposo parla di sé, dei suoi sentimenti, della sua posizione e delle sue possibilità. Il padre della sposa, se lo desidera, può esporre in quale misura intende aiutare la figlia nella preparazione del matrimonio e nell’arredamento della casa. Il fidanzamento ufficiale viene annunciato quando la data approssimativa delle nozze è già stabilita. Il ricevimento di fidanzamento classico, da tenersi in casa o in un locale pubblico, è un’abitudine che ormai va scomparendo, tuttavia alcune famiglie particolarmente legate alla tradizione annunciano il fidanzamento della figlia a parenti ed amici. Generalmente al ricevimento di fidanzamento 300
propriamente detto, si sostituisce, oggi, un pranzo intimo tra i futuri sposi ed i rispettivi familiari. Il futuro genero provvederà ad inviare alla futura suocera un omaggio floreale ed alla fidanzata gardenie o altri fiori di colore bianco. Se i consuoceri non hanno avuto occasione di incontrarsi prima, organizzano un pranzo di fidanzamento al quale non partecipano altri parenti o amici, anche se intimi. In occasione del ricevimento viene portato l’anello di fidanzamento (di solito un diamante), che rientra in una tradizione classica e simbolica cui nessuna ragazza - pur emancipata che sia - intende rinunciare. L’anello, del valore corrispondente alle disponibilità del futuro sposo, viene scelto insieme dai fidanzati. La fidanzata ricambia il dono dell’anello con un regalo simbolico: un orologio d’oro, un paio di gemelli, un ferma-cravatte, un accendisigari, ecc. La tradizione più recente vuole che il futuro sposo e la futura sposa separatamente offrano, la sera prima delle nozze, una cena di addio agli amici e alle amiche. L’addio al celibato (a scapölata) e al nubilato sono l’ultima occasione che hanno i futuri sposi di «scatenarsi» prima di legarsi definitivamente nel vincolo del matrimonio. In questi ultimi anni vi è l’uso di protrarre a lungo i fidanzamenti, anche all’ insaputa delle famiglie, e di sposarsi molto tardi (magari dopo un periodo di convivenza) per poter raggranellare, nel frattempo, il denaro necessario ad accasarsi e procurarsi uno stato indipendente.
Il matrimonio Per tradizione la data delle nozze, soprattutto tra le famiglie contadine, veniva fissata preferibilmente ad aprile, dopo la Pasqua e anche nei mesi estivi e quasi sempre di sabato, mai di lunedì, martedì e venerdì. Periodi vietati erano la Quaresima, il mese di maggio (perchè dedicato alla Madonna), l’Avvento e il mese di novembre (perchè dedicato ai defunti). Prima del matrimonio venivano esposti in casa della sposa, in modo che potessero essere mostrati ai visitatori , ö corredö e i doni nuziali, fatti recapitare agli sposi una settimana prima del matrimonio. La tradizione voleva che fosse lo sposo a pagare le fedi, a far incidere all’interno di esse la data del matrimonio e i nomi e a consegnarle ai pagetti affinché le portassero sull’altare per la benedizione. L’abito nuziale, in passato, consisteva in una gonnella chiara di broccato o di seta a fiori dai colori smaglianti, in una camicia di lino bianchissima, in un corpetto scollato della stessa stoffa della gonna o di velluto (gipönë), in un grembiule nero con ricami; non era in uso il velo sui capelli, che invece venivano annodati e fissati dietro con un largo nastro di raso. La sposa non doveva mettere gioielli, tranne gli orecchini di corallo, che per tradizione le venivano regalati dalla suocera. Lo sposo indossava un abito scuro e non doveva dimenticare nulla a casa perchè, una volta uscito, non poteva più tornare indietro. Successivamente entrò in uso per la sposa l’abito bianco, che doveva essere regalato dallo sposo ma non doveva essere visto da lui prima del matrimonio. A sua volta la famiglia della sposa regalava il vestito delle nozze allo sposo. Per avere un matrimonio “felice”, il letto degli sposi doveva esser fatto, in segno di buon augurio, da due donne vergini, mentre la vestizione della sposa doveva essere fatta da due donne sposate o dalla sarta. Alla madre della sposa toccava di mettere il velo nuziale. Il rituale della cerimonia d’apertura dello sposalizio prevedeva che da casa dello sposo partisse il primo corteo, formato dai suoi parenti e dai suoi amici, per recarsi a casa della sposa dove si formava il corteo nuziale vero e proprio che, 301
aperto dalla sposa, appoggiata al braccio del padre o del fratello, si dirigeva verso la chiesa. In epoca più recente i parenti dello sposo aspettano in chiesa, mentre la sposa arriva dopo, al braccio del padre e seguita dal numeroso corteo dei suoi parenti. Alla fine della cerimonia si effettuava il lancio del riso fuori dalla chiesa, antico rito pagano (tuttora praticato), segno d’augurio e felicità, ma anche simbolo di fertilità ed abbondanza per gli sposi. Poi dalla chiesa un corteo, ancor più numeroso, tornava nella casa della sposa per il trattenimento. Lungo le strette viuzze del quartiere, dove passava il corteo, venivano lanciati dai balconi e dalle finestre, addobbati con coltri e lenzuoli ricamati ( come per la processione del Corpus Domini), confetti, frumento, riso e soldi come augurio di prosperità e fertilità. E se il tempo era inclemente il giorno delle nozze, si gridava: “Sposa bagnata, sposa fortunata!”. C’era sempre un gran nugolo di ragazzini malvestiti e “ Mönda a Lola ” che seguivano da vicino ogni corteo nuziale e che poi si assiepavano vocianti all’uscio della casa della sposa; poi qualcuno da un balcone, dopo che tutti gli invitati erano entrati in casa, buttava loro dei confetti e delle monetine per augurare ricchezza e benessere ai nuovi sposi. I convitati consumavano un lauto ma lento pranzo, che, iniziando verso le tredici, poteva terminare anche verso sera. Un buon trattenimento veniva giudicato dal numero e dall’abbondanza delle passatë (non meno di dodici portate), cioè dalla quantità di dolci, che alcuni giovanotti facevano passare tra gli invitati. In mezzo a un gran vociare di bambini, recipienti capienti con pastina (a pöntëtta) in brodo di gallina, polpette di carne, pezzi di agnello o tacchino, vassoi e cesti stracolmi di bescòtë, zzucarinë, nocatölë, amarettë, mandorlë e calia passavano davanti alle mani stese degli invitati, seduti stretti stretti, uno accanto all’altro, nei sedili di fortuna che si ricavavano appoggiando a due sedie le tavole dei letti, disfatti per l’occasione. Era consuetudine che ciascun invitato si portasse da casa il piatto, le posate e il bicchiere. Tra una passata e l’altra venivano offerti bicchierini di liquore fatto in casa con alcool e zucchero, ai quali venivano aggiunti essenze e coloranti diversi – per lo più bianco, rosso e verde - per dare l’impressione che si trattasse di liquori sempre diversi, anche se il sapore era sempre lo stesso. Nulla poteva nuocere di più ai buoni rapporti che con il matrimonio si istauravano tra due parentele, che il mostrare di sentirsi superiori rispetto al compare o alla comare. Seduti per la prima volta uno accanto all’altra, al centro dell’attenzione di tutti, in mezzo al vocìo e al frastuono, i due sposi, finalmente si tenevano per mano e timidamente cercavano di ascoltare le segrete emozioni del cuore, che non riuscivano a diventare parole. Scontate, durante il pranzo, erano le battute, le barzellette, gli ammiccamenti degli amici e gli ammonimenti dei più anziani. Quelli che se lo potevano permettere chiamavano un’orchestrina, composta da musicanti raccogliticci, perdigiorno senza nè arte nè parte, i quali, dietro compenso di un pasto o solo di una buona bevuta, riuscivano a mettere insieme un repertorio di vecchie canzoni. E così, terminato il pranzo, si ballava e si cantavano alcuni stornelli. Al termine del ballo, i più tornavano a casa, mentre i parenti più prossimi e gli amici più stretti accompagnavano gli sposi nella nuova dimora, dove venivano attesi dalla suocera, alla quale il papà della sposa simbolicamente consegnava la propria figlia. Non si usava che gli sposi andassero in viaggio di nozze, ma a tarda sera (verso mezzanotte) gli amici più intimi portavano loro la serenata sotto casa. Se 302
Corteo nuziale lungo la Via Fratelli Testa (foto concessa da Valentina Fiscella).
la ragazza aveva avuto rapporti prematrimoniali, durante la serenata venivano cantate “canzoni di smacco”. Passata la mezzanotte gli sposi erano finalmente lasciati in pace. Poi, per tutta la settimana che seguiva, gli sposi, ma soprattutto la sposa, non uscivano di casa fino alla domenica successiva, quando lui col vestito del matrimonio e lei con l’abitino di seta o di pizzo e lo spolverino nero, (detto appunto “dell’ottavo giorno”) si recavano a messa nella chiesa principale e poi andavano a fare visita a tutto il parentado. Il rito col tempo ha subìto alcune variazioni. Un’ usanza - nota ai più - vuole che la sposa nel giorno del matrimonio indossi qualcosa di vecchio (per es. un gioiello della nonna), a testimonianza della vita che si lascia alle spalle; qualcosa di nuovo (per es. l’abito da sposa), simbolo della vita che è in procinto d’iniziare; qualcosa prestata (per es. un braccialetto di un’amica), come legame con il presente, e qualcosa regalata (di solito una giarrettiera) attestante l’affetto delle persone care. Non può mancare qualcosa di blu, simbolo di purezza e fedeltà. Il velo non è più obbligatorio, mentre in passato se ne indossava uno di famiglia, tramandato da generazione in generazione, che rappresentava la castità prematrimoniale della sposa e, alla nascita del primo figlio, serviva a proteggere la culla. Talvolta le amiche della sposa fanno da damigelle e vestono con abiti lussuosi seguendo la sposa per confondere gli spiriti maligni. E’ uso anche che la sposa, uscendo dalla chiesa, lanci all’indietro il bouquet in direzione delle amiche nubili, perchè, secondo la credenza popolare, chi riesce a prenderlo al volo si sposa entro l’anno. La romantica composizione floreale, che può essere anche offerta in devozione ad un Santo, è di solito fatta preparare dallo sposo o dalla suocera, anche se in realtà è la sposa stessa a sceglierla in quanto deve armonizzare con il suo abito. Il bouquet, preferibilmente realizzato con fiori d’arancio, bianchi e delicati, tenuti insieme da un nastrino bianco, quale simbolo di fertilità per una prole numerosa, viene fatto recapitare al mattino a casa della sposa. Oggi, al posto del trattenimento viene organizzato al ristorante un banchetto (o un buffet) e, dopo i numerosi e classici “Evviva gli sposi”, “Bacio, bacio” questo si conclude con il taglio della torta nuziale. La sposa pone la mano su quella del coniuge, che taglia la prima fetta consegnata dalla nuora alla suocera. Gli intervenuti si congedano con una bomboniera in cristallo, argento, limoges, uguale per tutti, in cui sono contenuti cinque confetti, coincidenti con qualità fon303
damentali per la vita degli sposi: felicità, salute, fertilità, lunga vita e ricchezza. Dopo i saluti, gli sposi, accompagnati dal rumore dei barattoli legati sul retro dell’automobile, precedentemente adornata dagli amici della coppia, partono per la “luna di miele”. L’espressione, usata per indicare i primi dolci momenti della vita insieme, allude al fatto che gli sposi romani mangiavano del miele per una “luna” dopo le nozze. Ed ancora, riprendendo un’antica tradizione romana, nel varcare la soglia della nuova casa, lo sposo anche oggi prende in braccio la sua compagna per evitare che inciampi (segno nefasto indicante che le antiche divinità dei Lari e dei Penati non accettano la sposa).
Il funerale Sicuri presagi di morte erano considerati, in passato, dal popolo di Nicosia l’ululato del cane, il canto di una civetta, il sognare di mangiar carne, infatti si credeva che, entro tre giorni da quei segni, una persona dovesse morire. Se, per caso, si verificava uno di questi segni del tutto accidentalmente, ci si rivolgeva alle “magare”, credendo così di poter evitare la catastrofe. All’approssimarsi del momento del trapasso, i familiari si preoccupavano di avvisare il parroco del paese, affinchè questi potesse dare l’estrema unzione e recitare il rosario insieme al morente, prima di esalare l’ultimo respiro. Addirittura erano i vecchi stessi, quando si sentivano vicini alla fine, a richiedere il prete per ricevere gli ultimi conforti della fede e a chiudere poi gli occhi senza rimpianto, talvolta con una certa impassibilità fatalistica. Tutte le manifestazioni funebri seguivano un preciso rituale, che si è mantenuto quasi immodificato nella nostra tradizione: preparazione della casa all’evento funebre, organizzazione del servizio funerario, veglia, cerimonia funebre, sepoltura, lutto e consòlo. Quando una persona moriva, il primo atto compiuto dai familiari, era quello di alzare le grida, per fare accorrere i vicini. Poi, tutta la casa veniva preparata all’evento funebre: una finestra socchiusa, per permettere all’anima di uscire più facilmente, ed una porta aperta, affinchè parenti e conoscenti potessero entrare e portare il loro ultimo ossequio. Il defunto veniva collocato nella bara e vestito con l’abito migliore; tra le mani gli veniva posta la corona del rosario, sul petto una croce ed in tasca alcuni soldi, quale compenso per l’aldilà, mentre qualcuno si recava alle varie chiese per far suonare il trapasso, cioè rintocchi di campane (quattro se il morto è donna, cinque se è un uomo, sette se è un prete). Il delicato incarico di organizzare il servizio funerario veniva e viene affidato a persone di fiducia che s’incaricavano di rispettare le richieste dei congiunti che desideravano esprimere il loro affetto con l’ultimo atto d’amore e rispetto nei confronti del loro caro defunto. Si affidava l’incarico a un’ impresa di pompe funebri, si ordinavano le corone e il “cuscino” che veniva posto sulla bara, si richiedeva la funzione religiosa, si prendevano accordi con la parrocchia di appartenenza o con l’officiante che si desiderava, si prenotava il loculo. Fino a quando il defunto non abbandonava la propria dimora, (di solito, il giorno successivo al decesso) in quella casa non si poteva né pulire, né cucinare. Seguiva la “veglia”, durante la quale il corpo del defunto veniva esposto nella cassa da morto o bara e non veniva lasciato mai solo. Parenti e vicini si radunavano per pregare nella casa del defunto, mentre la notte precedente il funerale ogni nucleo familiare inviava in passato qualche suo membro alla veglia funebre. Un tempo erano diffusi i lamenti funebri individuali, collettivi o cantati da donne, 304
resi al morto dai parenti oppure da lamentatrici pagate (o prefiche), che ai piedi del capezzale rievocavano a turno, piangendo per tutta la veglia notturna, gli episodi più salienti della vita del defunto, i suoi meriti e le sue virtù e ne tessevano le lodi. Successivamente furono le suore, accompagnate dalle orfanelle, che si recavano nella casa del morto a recitare le preghiere per i defunti. La morte di una persona in un paese come il nostro, dove tutti si conoscevano, era un lutto comune. La veglia, però, poteva assumere, con lo scorrere delle ore - e senza per questo significare una mancanza di rispetto nei confronti del defunto - caratteristiche diverse, passando talvolta dalle preghiere al chiaccherìo e, perfino, al sorriso nel ricordo di episodi lontani. Oggi partecipano alla veglia funebre gli amici e i parenti e, normalmente, si tratta di una partecipazione non rigidamente codificata. Nei casi più solenni, c’è un libro delle condoglianze sul quale i partecipanti appongono la propria firma. Gli amici e i parenti che non possono partecipare, di solito inviano dei fiori o telegrammi ai familiari. La veglia termina con una preghiera comune, di norma il S. Rosario, recitato anche da un sacerdote. Il giorno successivo al decesso si svolge la cerimonia funebre vera e propria, durante la quale il sacerdote officia in chiesa la S.Messa esequiale, pronuncia l’orazione funebre e asperge con l’acqua benedetta e incensata la bara. Al termine di questo rito, in alcune particolari occasioni, un amico o un parente della persona scomparsa può esprimere un elogio funebre riguardo la vita e le attività del defunto. L’esigenza di un elogio, volto a commemorare la persona quale era in vita, risponde alla cultura della nostra epoca, che attribuisce molta importanza all’individualità di ciascuno. È, pertanto, comprensibile che l’addio sia pensato come una commemorazione del significato dell’esistenza, del ruolo sociale, delle relazioni sociali e affettive di chi è scomparso. Al rito segue la presentazione ufficiale delle condoglianze ai familiari del defunto, che viene fatta oggi in chiesa. In passato i parenti del defunto erano riconoscibili perchè indossavano vestiti neri e le donne delle famiglie più benestanti indossavano un cappello nero con “veletta”, mentre ora indossano abiti normali e siedono nei primissimi banchi. In passato il feretro, chiuso nella cassa di legno e trasportato a spalla, veniva seguito a piedi da un corteo di parenti ed amici fino alla Via Vittorio Emanuele, o, meglio, fino al “mölinö a vapörë”. Qui il corteo si interrompeva e il feretro veniva posto sul carro funebre comunale, che proseguiva fino al camposanto, dove si svolgeva la tumulazione. Al ritorno a casa era usanza, per “rinfrescare l’anima del morto”, lavarsi le mani e, nella casa del defunto, lavare anche panni, lenzuola e materassi. Oggi, finita la celebrazione della messa, il feretro viene messo su una vettura di pompe funebri e seguito da un corteo di automobili fino al cimitero, dove avviene la tumulazione. Fino a poco tempo fa una persona addetta trascriveva le targhe delle vetture che partecipavano al funerale, affinchè i parenti potessero inviare loro i biglietti di ringraziamento. Il lutto stretto per i familiari, fino a qualche decennio fa, durava otto giorni, durante i quali questi non uscivano di casa e ricevevano le visite dei parenti e degli amici. Erano i parenti ed i vicini che provvedevano “ö consölö”, che, cioè, preparavano da mangiare per tutti gli otto giorni di lutto stretto e che portavano, a turno, ai familiari del morto, per il loro sostentamento, un piatto di pasta, del pollo ed un po’ di vino, oppure caffé, biscotti, latte. Morto il marito, la vedova disfaceva il letto matrimoniale, nel quale non dor305
miva più, arrotolava i materassi, copriva tutti gli specchi con drappi neri, si toglieva gli orecchini e portava al petto una spilla nera con l’effige del marito. Indossava un abito nero e si copriva la testa con un fazzoletto anch’esso nero e non toglieva più il lutto, tranne che non contraesse nuove nozze. Era credenza che il defunto non abbandonasse per sempre la propria casa e che vi avrebbe fatto ritorno la sera del 2 novembre. Per questo, in segno di rispetto e di ospitalità, era necessario fargli trovare una tavola imbandita e cucinare il loro piatto preferito. In questo mondo attuale sembra che si siano perse di vista le grandi domande sulla nostra esistenza. Più specificamente, la morte sfugge persino alla possibilità di essere pensata e rappresentata, tuttavia, anche quando sembra svanito il legame con la nostra tradizione, il rito funebre continua ad essere necessario per la nostra comunità, in quanto rappresenta un evento fondamentale sia dal punto di vista individuale che sociale. Il bisogno umano di condividere il dolore e di essere aiutati nel momento del distacco dal defunto, anche se espresso in forme nuove rispetto al passato, richiede comunque una ritualità. Essa mette le persone colpite da un lutto di fronte alla possibilità di esprimere, in modo solenne, il dolore, lo sconvolgimento e l’impotenza che l’uomo prova di fronte al mistero della morte, fonda il nostro essere nel mondo in relazione agli altri, rafforza e ricostruisce le relazioni sociali indebolite dal sopraggiungere della morte, intensifica le quotidiane relazioni sociali. Inoltre il rito, che riunisce parenti e amici intorno al morto, sottolinea l’appartenenza di quest’ultimo all’umanità, lo reintegra nel gruppo sociale e familiare, attribuendo così un significato alla sua vita. Esso permette, nella condivisione del dolore, di far percepire ai sopravvissuti che la loro solidarietà alimenta il desiderio di una continuazione della vita, li sottrae alla sofferenza bruta e senza nome, consente di riconoscere e accettare l’accaduto. Attraverso il rito prendevano forma le credenze, la visione del mondo, i valori di una società.
4 La tradizione gastronomica La gastronomia nicosiana, oggi fortemente modificata dalle mode, dalla inventiva dei cuochi, dai programmi televisivi, era fortemente condizionata dalla cultura contadina che aveva diffuso certe abitudini alimentari, che si sono così ben consolidate da essere ancora presenti nel nostro territorio. Sono antiche ricette, non ricche (tranne la lavorazione del maiale), che si basano su ingredienti genuini e su succulenti piatti che restituiscono i sapori e gli aromi d’un tempo. Essendo Nicosia un paese di montagna e dell’entroterra, la gastronomia contadina era caratterizzata dalla presenza di legumi, verdure e ortaggi e da una ricca varietá di formaggi, ottenuti dalla naturale trasformazione del latte e dei suoi derivati, come la ricotta di pecora, il primosale, la tuma e il caciocavallo. Ridotto al minimo era l’uso del pesce e della carne. Del pesce si utilizzavano solo le sarde che venivano mangiate il venerdì santo, cioè nel periodo di quaresima quando vietata era la carne. Inoltre una famiglia contadina mangiava due - al massimo tre - volte l’anno e solo in occasione delle grosse festività - la carne ovina (il castrato, la carne di pecora e il capretto) di minor pregio rispetto a quella di vitello ed una famiglia benestante si limitava a due - tre volte al mese. Fortunatamente vi erano quelle famiglie che riuscivano a crescere un maiale, che rappresentava una vera e propria “banca contadina” perché si aveva la possibilità di conservare la 306
carne come cibo “di scorta” e la speranza di poterla mangiare nel corso dell’anno. Del maiale non si gettava niente, anzi si aveva uno sfruttamento integrale dell’animale estrinsecato in tutte quelle leccornie gastronomiche, come le frittole, il sanguinaccio, le carni salate, i salumi, che rappresentano, ancor oggi, i piatti più tradizionali della cucina nicosiana. Per preparare dolci si usava poco l’olio, prodotto prezioso e caro, destinato dagli stessi coltivatori a diventare merce per consentire lo scambio di generi ritenuti più necessari. Non a caso, gran parte delle ricette della gastronomia contadina prevedevano largo uso di strutto, grasso che entrava a far parti di molti preparati da forno, quali pezziddatë, nocatölë, pastesëcchë, ecc. Le antiche ricette nicosiane sono per lo più semplici, rispecchiano secoli di fatica, sono caratterizzate da parsimonia e frugalità, ma rappresentano la vittoria dei gusti delle classi contadine, dei mezzadri, fittavoli, braccianti sui padroni, che hanno finito per essere condizionati dalle loro ricette culinarie. Il nicosiano è più un buongustaio che un mangione, non ama appesantirsi il cervello, ma, più di ogni altro, unisce al gusto del mangiare quello dello stare a tavola. E basta la genuinità delle poche ricette tradizionali, per far ritrovare il suo spirito pronto e acre, la straordinaria eredità culturale che possiede.
Primi piatti A pasta chi cëcerë Ingredienti: pasta fatta in casa, ceci, guanciale, cipolla, olio d’oliva, salsa di pomodoro, peperoncino, sale. Esecuzione: mettere la sera prima i ceci nell’acqua e l’indomani farli bollire insieme al sedano, alla cipolla e alla salsa di pomodoro, aggiungere peperoncino e sale. Quando i ceci sono cotti, prenderne una parte, passarla al setaccio, mescolarla al resto dei ceci e cuocervi dentro la pasta. A pasta cö› macö Ingredienti: pasta, fave secche sgusciate, sale, pepe, olio d’oliva. Esecuzione: mettere a cuocere, a fuoco lento, le fave secche sgusciate in acqua tiepida, condire con sale e pepe e con qualche seme di finocchio selvatico. Schiacciare con la forchetta le fave ben cotte riducendole a crema (macö), aggiungere la pasta e condire con olio d’oliva. A pasta ncasciada Ingredienti: pasta maccheroncino, finocchietti, sarde fresche, cipolle, mollica, pinoli, olio, e sugo fatto con i finocchietti selvatici e le sarde fresche. Esecuzione: mondare i finocchi selvatici eliminando gli steli più duri, lavarli e farli bollire in acqua salata, scolarli e tagliarli grossolanamente. Conservare l’acqua di cottura. Nel frattempo pulire le sarde, eliminando teste, code, squame e lisca centrale, e passarle velocemente sotto l’acqua corrente. Affettare le cipolle e metterle a rosolare in un tegame con l’olio; sciogliere nello stesso soffritto un po’ di concentrato di pomodoro. A questo punto aggiungere le sarde e portare avanti la cottura per circa 5 minuti. È la volta, poi, del finocchio selvatico; il tutto deve cuocere ancora per una decina di minuti. Pochi istanti prima di spegnere il fornello, aggiungere i pinoli. Nel frattempo cuocere i maccheroncini al dente, nell’acqua di cottura del finoc307
chio selvatico. Scolare la pasta, aggiungerla al tegame col sugo, girare con un cucchiaio di legno e lasciare sul fuoco qualche minuto. Lasciar riposare per un po’ di tempo e, prima di servire, mettere sopra la mollica abbrustolita e alcune sarde messe precedentemente da parte.. I taghjarinë (Le tagliatelle) e i maccarröë (I maccheroni) a sugö Ingredienti: 1 Kg. di farina, 4 uova e un pò di acqua. Esecuzione: Impastare la farina con le uova e l’acqua; lavorare bene la pasta e stenderla con il matterello creando uno strato sottile da tagliare a mo’ di fettuccine (tagliatelle) o lavorarle con il palmo della mano a mo’ di cordoncini (maccheroni). Mettere le tagliatelle o i maccheroni su un canestro per farli asciugare. Consumare il giorno dopo e condire le tagliatelle con cavoli o i maccheroni con sughi vari e cospargerli con ricotta salata. Secondi piatti I sardë a beccaficö Ingredienti: sarde, pecorino grattugiato, uova, aglio, prezzemolo, farina, olio, sale, pepe. Esecuzione: pulire le sarde, eliminando teste, code, squame e lisca centrale, passarle velocemente sotto l’acqua corrente ed asciugarle. Preparare un composto con le uova, il pecorino grattugiato, l’aglio ed il prezzemolo tritato, un pizzico di sale e pepe; metterne una cucchiaiata su una sarda aperta e coprire con un’altra sarda. Passarle nella farina e friggerle. Si servono calde e, se si vuole, si possono accompagnare con una cipollata all’agrodolce. Ö cönighjö a sugö Ingredienti: coniglio, cipolla, vino rosso, salsa, olio Esecuzione: mettere in un tegame l’olio e farvi rosolare la cipolla, aggiungere il concentrato di pomodoro, il sale ed il pepe, infine aggiungere il coniglio tagliato a pezzi e precedentemente rosolato nell’olio, un po’ d’acqua e (se si vuole) anche delle patate tagliate a pezzi. Lasciare cuocere a fuoco basso e, alla fine della cottura, aggiungere un po’ di vino rosso. Ö farsömagrö Ingredienti: grande fetta di carne di vitello, cipolle, pecorino fresco, uova sode sgusciate, prezzemolo, concentrato di pomodoro, basilico, sale, pepe. Esecuzione: battere la carne e condirla con sale e pepe, poi disporre al centro le uova sode, le cipolle e il pecorino tagliati a strisce, il sale, il pepe ed il prezzemolo. Arrotolare la carne ben stretta e legarla con spago incolore. Preparare il sugo mettendo un po’ di cipolla a rosolare nell’olio e aggiungendo il concentrato di pomodoro e profumare con un po’ di basilico. Immergere il falsomagro nel sugo dopo averlo infarinato e soffritto nell’olio e lasciare cuocere per 30 minuti. Ö gneö (o ö caprettö) ô förnö Ingredienti: agnello o capretto, patate, formaggio pecorino, pancetta, aglio, prezzemolo, pomodoro pelato, olio, sale, pepe. Esecuzione: lavare e scolare bene l’agnello (o il capretto) tagliato a metà, fare delle incisioni nella carne ed inserire il trito di formaggio, pancetta, aglio e prezzemolo. 308
Disporre la carne lardellata su una teglia e le patate tagliate a pezzi grossi, aggiungere sale, pepe, pomodoro pelato ed un po’ d’olio e mettere in forno.Quando la carne è cotta, aggiungere un po’ di vino e lasciarlo evaporare per qualche minuto.
Ricette varie A cöratèdda Ingredienti: fegato, polmone e cuore di agnello o capretto, cipollette, vino, sale e pepe nero. Esecuzione: lavare il fegato, il polmone ed il cuore e tagliarli a pezzetti, metterli in una padella e lasciare evaporare l’acqua, poi soffriggerli insieme alle cipollette e lasciarli rosolare a fuoco lento mettendo sopra la padella un coperchio. A cottura ultimata aggiungere il vino, lasciarlo evaporare per qualche minuto e servire a cöratedda calda. A cuccìa Ingredienti: grano tenero (rroba bianca), olio di oliva, ricotta di pecora fresca, zucchero, polvere di cannella o cacao. Esecuzione: mettere a bagno in acqua il grano per due giorni cambiando l’acqua. Bollire per circa due ore il grano, aggiungere l’olio di oliva e un pizzico di sale e fare bollire per un’altra ora. Scolare il grano e aggiungere la ricotta. Se si vuole la cuccia si può trasformare in dolce aggiungendo lo zucchero alla ricotta e spolverandola con la polvere di cannella o con il cacao. A frittedda (La frittella) Ingredienti: fave novelle, lardo o pancetta, aglio, uova. Esecuzione: privare del baccello le fave e togliere l’unghia ai semi. Preparare un soffritto con olio, spicchio d’aglio, lardo o pancetta, aggiungere i semi delle fave e lasciarle cuocere fino a quando non diventano dorate. Aggiungere le uova e mescolarle con le fave per qualche minuto. A frosgia (La frittata) Ingredienti: quattro uova, sale, basilico, formaggio grattugiato. Esecuzione: Sbattere le uova e aggiungere il sale, il formaggio e il basilico; mettere un po’ di olio nella padella e, quando è caldo, versarvi il composto. Quando questo è rappreso, girare la frittata affinchè si cuoccia anche dall’altra parte. A guastedda (La focaccia ) Ingredienti: farina, lievito, sale, acqua. Esecuzione: Impastare gli ingredienti fino a formare una pasta fine e vellutata. Ricavare delle pagnotte e farle lievitare avvolte in un telo bianco ricoperto da una coperta di lana. Quando le pagnotte sono ben lievitate, schiacciarle e infornarle nel forno a legna. Appena cotte, tagliare le focacce e farcirle con prosciutto o soltanto con olio, sale, pepe e origano. A piciotta chî burrainë (La polenta con la borragine) Ingredienti: farina di ceci, fave, chjèrchjerë (cicerchia, legume tipico della zona), borragine o broccoletti, aglio, lardo, pancetta o göttaö. Esecuzione: fare soffriggere un po’ d’olio con il lardo o la pancetta e uno spic309
chio d’aglio. Quando la pancetta è rosolata, mettere nella pentola, lontano dal fuoco, un litro d’acqua e un pizzico di sale. Quando l’acqua bolle mettere la borragine a pezzetti. A metà cottura unire la farina a pioggia e mescolare vigorosamente per evitare la formazione di grumi fino a raggiungere la consistenza desiderata. Quando bolle, dopo alcuni minuti la polenta è pronta. A trippa Ingredienti: trippa, cipolla, sedano, carote, salsa di pomodoro, pecorino grattugiato, vino bianco, sale, pepe. Esecuzione: lessare in una pentola per circa 2 ore la trippa, dopo averla pulita, lasciata a bagno con acqua e sale e risciacquata. Far soffriggere la cipolla, le carote ed il sedano, aggiungere la trippa lessata e tagliata a striscioline e un po’ di salsa di pomodoro. Regolare di sale e pepe, aggiungere un po’ d’acqua e far cuocere a fuoco basso. Spruzzarla con un po’ di vino e servire calda dopo averla cosparsa di pecorino grattugiato. I stighjolë Ingredienti: intestini di agnello, cipollette novelle, formaggio pecorino, limoni, vino, sale, olio, pepe. Esecuzione: pulire accuratamente gli intestini, tagliarli in senso verticale e lavarli con acqua e sale. Dopo averli lavati, lasciarli a bagno con acqua, sale e limoni tagliati a fette per circa 40 minuti ed, infine, risciacquarli. Attorcigliarli attorno alle cipollette novelle e ad un pezzetto di formaggio pecorino, poi arrostirli sulla brace e farli rosolare lentamente. Possono anche essere fritti in padella. L uövö a sciösciolëta Ingredienti: brodo di gallina, uova, formaggio pecorino grattugiato, prezzemolo. Esecuzione: In una pentola di brodo in ebollizione versare le uova sbattute con formaggio pecorino ed un po’ di prezzemolo e lasciare cuocere per pochi minuti finché il composto, rappreso, risale a galla. Ö pàn cönzà Ingredienti: pane, olio, sale, pepe, origano. Esecuzione: tagliare a metà il pane di casa appena uscito dal forno e condirlo con l’olio, il sale, il pepe e l’origano, pressando un po’ la mollica affinché il condimento la impregni bene.
Ö sibatò ( La zuppa di ortaggi ) Ingredienti: patate,cipolle, melanzane, peperoni, pomodori. Esecuzione: Tagliare tutti gli ingredienti a pezzetti, metterli nella padella con un pò di olio, sale, basilico e farli cuocere a fuoco molto lento.
I dolci A pignocata Ingredienti: farina, uova, zucchero, sugna, miele Esecuzione: Sbattere le uova e aggiungere a poco a poco la farina, lo zucchero e alla fine la sugna. Lasciare riposare l’impasto per circa un’ora. Poi formare dei 310
bastoncini, tagliarli a piccoli pezzetti e friggerli in olio bollente finché non sono dorati. Disporre la pignocata in un piatto di portata e versarvi sopra il miele sciolto ancora caldo. I bambinözzë Con la pasta dî pezziddatë si forma un corpicino con braccia, testa e piedi e con un “cöpölin n testa” e dentro si mette “ö rremenà” (composto simile a quello che si usa per farcire “i pezziddatë) e poi si inforna. I bracialetë (I braccialetti ) Ingredienti: 6 uova, 6 mestoli d’acqua, 3 cucchiai di zucchero, 6 cucchiaini di strutto, farina q.b., olio, miele o zucchero e cannella. Esecuzione: mettere l’acqua in una pentola con lo zucchero e lo strutto e portare ad ebollizione, aggiungere la farina a pioggia fino a quando il composto si stacca dalle pareti della pentola. Lasciare raffreddare, unire uno alla volta le uova e sbattere vigorosamente per un certo tempo fino a quando l’impasto risulti omogeneo. Prendere un po’ di impasto, lavorarlo, arrotolarlo, formare con questo cordone di pasta dei piccoli braccialetti e friggerli in abbondante olio non troppo caldo. Prenderli delicatamente con una schiumarola, metterli su carta di pane e cospargerli di miele o di zucchero e cannella. I cannolë cchinë (I cannoli ripieni) Ingredienti per le sfoglie: 1 Kg. di farina, 2 cucchiai di strutto, 1 bicchiere di aceto e di liquore. Esecuzione: Mescolare in un grande recipiente la farina e lo strutto con l’acqua, l’aceto e il liquore e lavorare la pasta fino a quando non diventa liscia; poi stenderla con il matterello fino a formare uno strato sottile, tagliare la sfoglia con una formella rotonda di circa 14 cm di diametro, avvolgerla su pezzetti di canna e ricongiungere i lembi con la chiara d’uovo sbattuto. In un tegame far bollire l’olio e immergere le sfoglie lasciandole dorare. Ingredienti per il ripieno: ricotta, zucchero, cannella (oppure con crema) Esecuzione: unire lo zucchero e la cannella alla ricotta e passare il tutto a setaccio e riempire i cannoli e guarnire con pezzetti di cioccolato. I möstazzolë cö› vinö cottö Ingredienti: vino cotto, farina, zucchero, mandorle tostate, miele Esecuzione: lavorare la farina con il vino cotto e lo zucchero, finchè l’impasto raggiunge la giusta durezza e si stacca dalla pentola; arrotolare l’impasto affinché assuma una forma cilindrica, tagliarlo a pezzetti, schiacciarli un po’ su uno straccio e disporre i pezzetti su una teglia da forno. Quando sono cotti si tirano fuori dal forno, si lasciano raffreddare, si mettono in un tegame con altro vino cotto e si lasciano impregnare bene a fuoco lento. Poi si dispongono su un piatto a strati cospargendoli con miele e mandorle tostate e sminuzzate. I möstazzolë chî fecödindia (I mostaccioli con i fichidindia) Ingredienti: fichidindia, farina, zucchero, una buccia d’arancia. Esecuzione: Far bollire i fichidindia e passarli a setaccio, rimetterli sul fuoco, aggiungere a pioggia la farina, lo zucchero e la buccia d’arancia e mescolare fino a quando il composto non diventa duro. Appena questo si può prendere con le mani, si arrotola a mo’ di bastoncini e si 311
ricavano tanti pezzetti ( i mostaccioli) che vengono messi in forno per alcuni minuti. Poi si bagnano nel vinocotto e si cospargono con le mandorle tritate. I nocatölë Ingredienti per la sfoglia: 1 Kg. di farina, 400 g. di strutto, 400 g. di zucchero, 6 uova (5 tuorli d’uovo ed 1 intero), acqua q.b., 1 bustina di vaniglia. Ingredienti per il ripieno: 1 Kg. di mandorle, 700 g. di zucchero, cannella in polvere, liquore Strega o vermuth ed un po’ di albume. Esecuzione: lavorare la farina con lo strutto fino a completa amalgamazione. Aggiungere i tuorli, precedentemente sbattuti con lo zucchero e l’acqua, e lavorare il tutto fino ad ottenere una pasta liscia ed omogenea. Lasciare riposare l’impasto per circa 30 minuti e poi stendere la sfoglia ricavandone dei dischetti di cm 5 di diametro e mezzo cm di spessore. Sbucciare le mandorle immergendole per qualche istante in acqua bollente, lessare per 15 minuti e infine tritarle finemente. Versare il trito nello zucchero, sciolto sul fuoco o con l’acqua, mescolare per pochi minuti e togliere dal fuoco quando il composto risulta morbido ed omogeneo. Con le mani infarinate mettere un po’ di ripieno sulla pasta dandogli la forma voluta. Disporre i dolcetti su una teglia precedentemente imburrata e mettere in forno ad alta temperatura per 15 minuti circa. Appena freddi, spolverare con zucchero a velo. I pastesëcchë Ingredienti: farina, uova, ammoniaca, sugna, tuorlo d’uovo. Esecuzione: montare le uova con lo zucchero per più di 30 minuti, aggiungere la farina, l’ ammoniaca, la sugna e cospargere a freddo le paste con il tuorlo d’uovo sbattuto ed infine infornarle. I colömbeddë Ingredienti: farina, strutto, zucchero, ammoniaca, acqua, uova sode. Esecuzione: Mescolare la farina con lo strutto, lo zucchero, l’ammoniaca e un po’ d’acqua. Lavorare bene l’impasto e dividerlo in tanti pezzetti che serviranno a formare delle colombelle, mettere nella parte centrale di ciascuna di esse un uovo sodo con il guscio. Sistemarle in una teglia unta d’olio e mettere in forno ad alta temperatura. I pezziddatë ( I buccellati) Ingredienti per il ripieno: fichi secchi, uva passa, mandorle tostate, zucchero, miele, marmellata di fichi o pere, cannella, zucchero a velo. Esecuzione: formare un trito con i fichi secchi tagliati a pezzetti, l’uva passa messa in acqua bollente per due minuti, le mandorle sminuzzate, la marmellata, la cannella; aggiungere pochissima acqua e cuocere per qualche minuto per far amalgamare il composto. Ingredienti per la pasta frolla: farina, zucchero, uova, strutto. Esecuzione : amalgamare gli ingredienti, far riposare l’impasto per circa un’ora, stendere la pasta col matterello, formare dei dischetti con delle formelle, mettere un cucchiaio di ripieno su di essi e coprire con listerelle di pasta o chiuderli come biscotti. Disporre i dolci su teglie imburrate, mettere in forno per circa 20 minuti e, a cottura ultimata, cospargere con lo zucchero a velo e cannella.
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I sfëngë Ingredienti: farina, zucchero, strutto, uova, miele. Esecuzione: far bollire l’acqua con lo strutto e lo zucchero, aggiungere a pioggia la farina avendo cura di mescolare per evitare la formazione di grumi e far cuocere l’impasto finché si staccherà dalle pareti della pentola. Togliere dal fuoco, lasciare raffreddare e poi unire le uova, uno alla volta, e mescolare. Dopo aver fatto riposare il composto per qualche minuto, versarlo con il cucchiaio nell’olio bollente e friggere. Passare i sfëngë nello zucchero o nel miele arricchito da un po’ di cannella. Se si vuole, si possono riempire con la crema. I törtöneddë Ingredienti: pasta lievitata come quella del pane, olio, sale, acciughe (oppure zucchero). Esecuzione: prendere a poco a poco con un cucchiaio la pasta di pane lievitata e lasciata un po’ più morbida, mettere in mezzo alla pasta un po’ di acciuga e versarla nell’olio bollente. Quando i törtöneddë sono ben dorati e cotti si tolgono dall’olio, si lasciano sgocciolare e si mangiano caldi. Se si preferiscono dolci, non si mette né il sale né l’acciuga all’interno della pasta e, a fine cottura, si cospargono di zucchero. I zzucarinë Ingredienti: uova, farina, zucchero. Esecuzione: montare le uova con lo zucchero per più di 30 minuti, aggiungere la farina, mescolare evitando i grumi, disporre con un cucchiaio su una teglia il composto dando ad ogni zzucarinö la forma ovale ed infornare a fuoco lento.
Ricette per la lavorazione del maiale A cuöscia (Il prosciutto) Ingredienti: coscia del maiale, sale e pepe. Esecuzione: salare e pepere la carne, metterla sotto i pesi per circa quaranta giorni, indi salarla e ripetere la salatura ogni sei-sette giorni per circa un mese. Quindi appenderla ad asciugare dopo averla lavata e ricoperta di una pastella fatta di farina, sugna e pepe polverizato per evitare che diventi rancida. Si inizia a mangiare durante la mietitura. A gelatina (La gelatina) Ingredienti: testa, muso, orecchie, piedi e coda del maiale, acqua, sale, pepe. Esecuzione: mettere gli ingredienti in una pentola capace, condirli con un po’ di sale e far bollire fino a cottura. Aggiungere, se si vuole, un po’ d’aceto. Disossare e tagliare la carne a pezzettini, filtrare il brodo, versare il contenuto nelle scodelle (cicherë e mafareddë) e farlo raffreddare fino a che si forma uno strato di grasso che si chiama in nicosiano “mantëca”. A soösizza (La salsiccia) Ingredienti: parti residuali di carne di maiale, budello, sale e pepe. Esecuzione: tagliare a piccoli pezzetti o tritare la carne, condirla con sale e pepe e, infine, riempire le budella. 313
A ventrësca (La ventresca) Esecuzione: stendere la pancetta su una superficie piana, salarla, peparla, arrotolarla su se stessa e legarla strettamente fino a completa stagionatura. I fritölëtë Sono costituite dalla parte di sugna che non si scioglie durante la bollitura. Ö budeö rriganà (Il budello essicato con origano) Ingrediente: interiora del maiale di taglia piccola allevato allo stato brado. Esecuzione: lavare bene con acqua e sale le parti più angolose e storte delle interiora dell’animale appena macellato, salarle e ricoprirle di origano e farle asciugare per almeno 15 giorni sopra una canna o bastone (a ddanza) in un luogo fresco e ventilato. Mangiarlo a stagionatura ultimata (circa 3 mesi) o crudo o arrostito o fritto con le fave verdi. Ö götaö (Il guanciale) Ingredienti: parte del maiale che va dalla mascella inferiore all’inizio della spalla. Esecuzione: stendere la carne, salarla e peparla; poi ripiegare il pezzo di carne e cucire i tre lembi esterni; infine mettere il pezzo di carne sotto dei pesi per far uscire i residui di sangue e appenderlo ad una trave fino a completa stagionatura. Ö sangönaö (Il sanguinaccio) Ingredienti: sangue fresco di maiale, latte, zucchero, cannella, mandorle sminuzzate. Esecuzione: mettere in una pentola di creta tutti gli ingredienti e farli cuocere a fuoco lento, mescolando con un cucchiaio di legno fino a raggiungere la bollitura. Quando il sangue si rapprende, versare la crema in apposite ciotole, guarnire con cannella, cioccolato e mandorle sminuzzate. Consumare dopo il raffreddamento del composto. Ö söprissatö (Il salame) Fatto con le parti più compatte del maiale e con il lardo.
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5. I proverbi: eco della antica saggezza popolare
I proverbi - espressioni popolari tendenti a fornire dettami, norme, consigli in forma sintetica, allusiva, allegorica - nei secoli passati furono tramandati oralmente di padre in figlio, da una generazione all’ altra, in quanto rappresentavano la “summa” della saggezza e dell’esperienza di vita del popolo, il buonsenso popolare, la sua filosofia e le sue virtù, e, costituendo il deposito di una “saggezza collettiva”, avevano assunto col tempo una indiscussa autorità. Benedetto Croce non a caso li definì: “il monumento parlato del buonsenso” e Nicolo’ Tommaseo disse che: “Se si potessero raccogliere e sotto certi aspetti ordinare tutti i proverbi italiani, i proverbi d’ogni popolo, d’ogni età, colle varianti di voci, d’immaginazioni e di concetti, questo, dopo la Bibbia, sarebbe il libro più gravido di pensieri”. Tuttavia, con il passare degli anni e delle generazioni, questo prezioso retaggio culturale si è non solo modificato per effetto delle innovazioni linguistico-lessicali, ma è stato utilizzato sempre meno dai giovani, in seguito al mutato clima culturale, che ha rotto i ponti con tutto ciò che è passato legandoci al presente e facendoci perdere il senso della storia ed anche il concetto del futuro. La distanza culturale tra le generazioni è aumentata in seguito alle innovazioni tecnologiche, che hanno fornito, soprattutto ai più giovani, un bagaglio di conoscenze nuove e diverse, ed anche in seguito alla contestazione giovanile sessantottina, che ha inficiato non solo il dialogo e la comunicazione generazionale, ma ha contribuito a far scemare il rispetto e la fiducia nei valori e nella cultura della generazione precedente. Per di più l’allargamento dei confini ha rivoluzionato più di quanto non si creda i nostri riferimenti culturali, di cui gli stessi proverbi erano l’espressione, come sintesi di tutta una cultura che si era ufficializzata ed universalizzata proprio perché era sopravvissuta al tempo, perpetuandosi attraverso il passaggio da una generazione all’altra. Solo gli anziani hanno continuato a “infiorare” i propri discorsi con proverbi, a credere nella loro veridicità, asserendo che non sbagliano mai perché derivanti dalla esperienza di secoli; ed, infatti, continuano a citarli ad ogni occasione, anche se spesso si limitano a dire soltanto le prime parole sottintendendo il resto. Proprio perchè usati dagli anziani i proverbi potrebbero essere visti come una sorta di “fossili lessicali” e qualcuno potrebbe dire : “Roba da secolo scorso. E’ inutile rispolverare i vecchi proverbi; oggi abbiamo tanti altri modi di dire”. Eppure basta soffermarsi su alcuni di essi, per accorgersi che i proverbi sono il modo più rapido e divertente per farsi un’idea della lingua e della “filosofia” di un popolo, che funzionano ancora, che non si possono misconoscere i grandi e veri valori in essi contenuti e tutte quelle “pillole” di saggezza che sono state tramandate, forse perchè si percepisce che l’essenza umana è sempre uguale a se stessa, pur nel divenire e nella trasformazione della realtà. E’ facile identificarsi in alcuni di essi, collegare ogni battuta alla propria esperienza di vita, capire che i proverbi usati dai Nicosiani costituiscono un bene culturale legato alla storia delle nostre tradizioni perchè molti di essi condensano caratteri locali, storici ed etnici, sono la registrazione di usi, costumi, credenze, modi di pensare e di essere del nostro popolo, si rifanno alla vita quotidiana osservata con fine analisi psicologica, ed altri sono l’espressione di una vita sana, genuina e sincera, vissuta per lo più a contatto con la natura, vista nei suoi cicli biologici e nell’alternarsi delle stagioni. Emerge in maniera netta la mentalità di un popolo poverissimo, individualista e diffidente, costretto a barcamenarsi e a fare i conti con la povertà, con angherie d’ogni genere, privo di qualsiasi possibilità di scelta, impossibilitato ad assumere atteggiamenti decisi e a dare sempre ascolto alla propria coscienza, costretto ad autoconvincersi a proprie spese che il mondo va come deve andare, che bisogna sapersi accontentare rifuggendo dai rischi, che è 315
meglio fare buon viso alla cattiva sorte, intrattenere buoni rapporti con tutti, non sfidare la fortuna, non mettersi in urto coi potenti e i prepotenti, ma usare sempre il buon senso ed essere prudenti prima di agire, risparmiare ed essere previdenti come le formiche industriose, per non essere impreparati di fronte alle inevitabili avversità della vita: mala annata, carestie, malattie, vecchiaia. In genere si può dire che hanno mostrato maggiore longevità, per la possibilità di essere utilizzati in ambiti diversissimi, i proverbi metaforici, polisemantici, che esprimono significati figurati spesso adattabili a molte situazioni e diversamente utilizzabili a seconda del contesto culturale, ma sopravvivono anche i proverbi didattici che, ad esempio, ricordavano ai contadini i tempi della coltivazione, o erano di ausilio nel prevedere i fenomeni atmosferici e trarre auspici da tanti piccoli segnali e dalle condizioni del tempo in certe giornate particolari dell’anno. Per evitare, dunque, che questo prezioso codice di comportamento etico - molto elementare e talvolta contraddittorio, come si evince da alcuni inviti alla sopportazione ispirati agli insegnamenti del Vangelo, che vanno a cozzare con altri inviti ispirati ad un comodo utilitarismo - cadesse in un inevitabile oblio, che col passare del tempo non si comprendesse più il senso e soprattutto l’origine dei proverbi, avvalendoci del ricordo e della testimonianza degli anziani, abbiamo ritenuto opportuno raccoglierli con pazienza certosina, catalogarli in ordine alfabetico, trascriverli, “tradurli” in lingua italiana, offrire al lettore, attraverso un breve commento di ogni proverbio, una materia di riflessione sulla nostra società, in modo tale che ciascuno abbia modo di apprezzare la metafora usata e come essa viene usata. I proverbi, che sono stati “snocciolati” in queste pagine - alcuni più antichi in dialetto nicosiano, altri più moderni in lingua mista (nicosiano sicilianizzato) - fanno parte ancora della memoria collettiva e si trovano, in gran parte, nell’ambito del dire nel nostro territorio. Numerosi sono i proverbi in cui evidenti sono i “prestiti” linguistici dall’italiano o dal siciliano che rendono difficile in alcuni casi risalire all’originale. Essi, entrati essenzialmente per via orale, attestano come l’appropriazione di alcuni termini lessicali sia avvenuta mediante un non consono apprendimento e un arbitrario adattamento delle parole al sistema fonomorfologico dialettale nicosiano. Tuttavia ciò è giustificabile se si pensa che il nostro dialetto, come la lingua italiana e come gli altri dialetti, non è un oggetto linguistico statico, ma è un idioma in continua trasformazione e sviluppo, in cui molte parole non vengono più percepite come qualcosa di estraneo, ma come parte integrante del patrimonio lessicale della lingua parlata.* Ve li proponiamo senza la pretesa di offrirvi uno studio specialistico di paramiologia, ma solo con la volontà di renderli disponibili alle generazioni future e con la speranza che il nostro lavoro possa essere apprezzato da chi conserva questa passione.
*La trascrizione è stata uniformata ai criteri stabiliti dal prof. Salvatore Carmelo Trovato, ordinario di Linguistica generale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania.
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Proverbi metaforici, polisemantici A beddëzza è menza dotë La bellezza è mezza dote La donna che è dotata di bellezza è come se possedesse già mezza dote. A bèddöla bedda valentë morë a manö dâ böfa La donnola bella valente muore per mano del rospo Anche le persone di valore possono venire superate da quelle insignificanti. A bona möghja fa ö bonö maritö La buona moglie fa il buon marito L’onestà della moglie si trasmette al marito. A bona sògera fa a bona nora La buona suocera fa la buona nuora Si usa per sottolineare che la discrezione della suocera rende buono il suo rapporto con la nuora. A carnö mëttö carnö e l amicizia mëttö cornë La carne mette carne e l’amicizia mette le corna Non bisogna avere rapporti troppo intimi con gli amici per non diventare “cornuti”. Acqua davantë e ventö darrera, chi se marita mettë penserë Acqua davanti e vento dietro, chi si sposa mette pensieri Se da giovani si è spensierati, da sposati ci si responsabilizza. Acqua e focö dàtecë locö Acqua e fuoco, dateci luogo Basta poco perchè dilaghino inondazioni e incendi. Acqua passata nen macena mölinö Acqua passata non macina mulino Quello che è successo non si potrà ripetere. E’inutile rimpiangere ciò che è stato e non può ritornare. Acquazzina nen inchjë pözzö Acquerugiola non riempie pozzo Non si realizzano grandi cose se l’impegno è scarso. Oppure: un fatto di poco conto non può avere conseguenze significative. A casa capë quantö volë ö patrönë La casa contiene quanto vuole il padrone Il proverbio indica la disponibilità del padrone di casa ad accogliere ospiti. A casa senza omö, è casa senza nomö Una casa senza uomo, è una casa senza nome La casa, privata della presenza di un uomo, non riceve rispetto. A casa senza mamma, è comë n focö senza fiamma La casa senza mamma, è come un fuoco senza fiamma La presenza della mamma è indispensabile in qualsiasi casa. 317
A cavaddö dönatö nen se talìa n böcca A cavallo donato non si guarda in bocca Non è buona creanza criticare un regalo. Acqua davantë e ventö darrera Acqua davanti e vento dietro E’ un proverbio indirizzato alle persone fastidiose per farle allontanare. A ddëngua battë önda ö dentë dolë La lingua sbatte dove il dente duole Si parla sempre delle cose che ci fanno soffrire, perchè non è facile distogliere il nostro pensiero da esse. A ddëngua nen à oscë, ma rrömpë l oscë La lingua non ha ossa, ma rompe le ossa Le parole possono far più male di un corpo contundente. A fëŸ mena fa a casa e a fëŸ mena a sfascia La donna fa la casa e la donna la può mandare in rovina Il bene della casa dipende dalla donna. A fëŸ mena de diciottö, ö màscölö de vintottö La donna di diciotto, l’uomo di ventotto Nel matrimonio è bene che tra marito e moglie ci sia una buona differenza d’età. A gaddina che camina se rrecoghjë câ bozza chjina La gallina che cammina si ritira col gozzo pieno Solo chi si dà da fare per trovare lavoro, ottiene sempre un guadagno. A gaddina fa l ovö e ô gaddö ghje brusgja ö culö La gallina fa l’uovo e al gallo brucia il culo Nella vita, specie in un rapporto a due, capita spesso che c’è chi lavora e chi è sfaticato e si prende i meriti degli altri. A gaddina se spënna quandö muoirö La gallina si spenna quando muore Non ci si deve privare dei propri beni, mentre si è in vita. A gatta prescialora fa i gattareddë orbë La gatta frettolosa fa i gattini ciechi Proverbio usato per rimarcare che le cose fatte troppo frettolosamente molte volte riescono male. A goccia scava a petra La goccia scava la pietra Con la perseveranza e malgrado la fragilità delle nostre forze, si può riuscire a superare gli ostacoli più difficili. A liggë è uguale pe tuttë, ma chi à i sordë se ne fötë La legge è uguale per tutti, ma chi ha i soldi non ne tiene conto Si dice di chi, essendo ricco, la spunta sempre, anche in barba alla legge.
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Altëzza menza beddëzza L’altezza è mezza bellezza Una persona alta ha i requisiti per essere considerata bella. A lupö vecchjö, non se nsëgna a tana Al vecchio lupo non si insegna la tana Chi ha esperienza non ha bisogno di consigli. Ama l omö tò cö› viziö sò Ama il tuo uomo con il suo vizio Bisogna saper accettare i vizi del proprio uomo. Amarë a vesgina è gran vantaggiö: se vëde spessö e nen se fa viaggiö Amare la vicina è un gran vantaggio: si vede spesso e non si fa viaggio Non c’ è bisogno di allontanarsi quando le persone da corteggiare sono vicine. Amarë chi nen t ama è tëmpö persö Amare chi non ti ama è tempo perduto È inutile amare senza essere ricambiati. Amarö chi à besognö e zërca aiutö na l autë Infelice chi ha bisogno e cerca aiuto negli altri Il proverbio preclude la possibilità di essere aiutati dai propri simili nei momenti del bisogno. Amarö chi se fa söpranié, luströ de paradisö nen ne vëdë Infelice chi si fa soverchiare, luce di paradiso non ne vede E’ destinato a non avere speranza di riscatto colui che si fa soverchiare dagli altri. A massara zernö e mpasta e ö förnö cönza e guasta La massaia setaccia (la farina) e impasta (il pane) e il forno aggiusta e guasta Ciascuno fa progetti, ma questi possono essere modificati da fattori esterni. A matinada fa a giörnada La mattinata fa la giornata L’andamento buono del mattino si riflette su tutta la giornata. A merda chjù a rremënë e cchjù pözza fa La cacca più la rimesti e più puzza Questo proverbio colorito sta a indicare che i fatti sgradevoli è meglio lasciarli dove sono, senza pensarci, altrimenti, a parlarne troppo, si peggiora la situazione. A mieghjö eugua s’a bëvenö i porchë La migliore acqua se la bevono i porci Spesso le persone migliori si uniscono a quelle peggiori. A mieghjö mortë è chëdda subitànea La migliore morte è quella improvvisa E’ preferibile una morte improvvisa, anzichè una morte dopo una lunga e penosa malattia.
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A mieghjö parodda è chëdda che nen se dì La migliore parola è quella che non si dice Si loda il valore del silenzio, in quanto è meglio tacere per non offendere o provocare. A möghja de l autë è sëmpö cchjù bedda La moglie degli altri è sempre più bella Le cose degli altri vengono sempre più apprezzate. A möghja dö› latrö nen rridö sëmpö La moglie del ladro non ride sempre Quando il benessere si acquista in modo disonesto, non sempre si vive tranquilli. Amörë, beddëzza e denarö sö tre cosë che nen se ponö muccé Amore, bellezza e denaro sono tre cose che non si possono nascondere Ci sono beni, come l’amore, la bellezza e il denaro, che tutti possono vedere. Amorë de mama nen te ngana L’amore di una madre non inganna Una madre, amando i propri figli, non li inganna mai. A mortë è capricciösa: ddascia a vieghja e pighja a carösa La morte è capricciosa: lascia la vecchia e prende la giovane Spesso la morte lascia in vita i vecchi e porta con sè i giovani. Anö nuovö, vita nuova Anno nuovo, vita nuova Con l’anno nuovo ci si augura un futuro migliore. A nuitö porta cönsighjö La notte porta consiglio Bisogna riflettere a lungo su decisioni da adottare. A ognë occeddö ö so nidö è beddö A ogni uccello il suo nido è bello Ciascuno ama la sua casa. A ognuno a so crösgiö A ognuno la sua croce Ciascuno deve sopportare le proprie sofferenze. A paghé e a muoirö ghj’è sëmpö tëmpö Per pagare e morire c’è sempre tempo Le cose indesiderate è sempre meglio ritardarle il più possibile.
A parenza ngana L’apparenza inganna L’apparenza spesso non rispecchia fedelmente le caratteristiche intellettive, affettive e morali di una persona. 320
A picca a picca ö monacö se ficca A poco a poco il monaco s’intrufola Si dice di chi vuol per forza intromettersi. A pignata dö› comunë nen bughjë maë La pentola della comunità non bolle mai Le cose in comune non si concretizzano mai. Arbörö curtö tutö frutö, arbörö ddöngö tàghjalö dî pieë Albero corto tutto frutto, albero lungo taglialo alla base La persona più bassa ha qualità superiori rispetto a quella più alta. A rregina à besognö dâ vesgina La regina ha bisogno della vicina Anche le persone più in vista hanno bisogno di quelle più umili. Arra cö› arra e simelë chî sò Arra con arra e simili con i suoi Ognuno deve legare con le persone del suo ambiente sociale. A rroba chi a fà nen a sfà La roba chi la fa non la disfa Chi risparmia non sperpera. A rroba chi a fa nen s’a godë La roba chi la fa non se la gode Chi risparmia non sempre gode. A rroba de l avarö s’a mangia ö spragàrö La roba dell’avaro se la mangia quello che sperpera Gode della roba dell’avaro lo scialacquatore. A rroba nâ cascia e a fighja nâ fascia La roba nella cassa e la figlia nelle fasce La dote deve essere nella cassapanca quando già la figlia è in fasce. A rroba rresta nê parëntë La roba resta ai parenti Il patrimonio resta in famiglia. A Sant’Agata prima a rröbbanö e puoë ghje fënö i portë de ferrö A Sant’Agata prima la rubarono e poi le fecero le porte di ferro Bisogna prevenire un danno o una situazione spiacevole, anzichè correre ai ripari dopo.
A sëira liönë, a matina cöghjönë La sera leone, la mattina coglione Il proverbio è indirizzato a chi, dopo una nottata di bagordi, si sveglia con la mente appannata e con il corpo fiacco.
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A squaghjada dâ nëvö se vëdonö i përtusgë Con lo scioglimento della neve si vedono le buche I difetti si vedono a distanza di tempo. Assë e mutandë nen se càlenö maë Assi(nel gioco delle carte) e mutande non si calano mai E’ un invito a saper resistere. A tavöla nen se nvieghja A tavola non s’invecchia Stare in buona compagnia aiuta a rimanere giovani. A verità nô vin La verità è nel vino Chi è sotto l’effetto del vino, perde le inibizioni e dice la verità. A verità vien sëmpö a gala La verità viene sempre a galla La verità trionfa sempre. Baccö, tabaccö e Vènerë redusgiönö l omö n zëŸnerö Bacco,tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere I vizi portano l’uomo alla rovina. Barca rrötta, marinarë a marë Barca rotta, marinai a mare Si dice quando una situazione precipita e non è più riparabile. Battë ö ferrö finö che è caudö Batti il ferro mentre è caldo Bisogna approfittare delle occasioni favorevoli per poter ottenere, con maggiore sicurezza, ciò che si desidera. Bien e malö tâ fazzö parö Bene e male in volto appare Il volto lascia trasparire tutte le emozioni. Böcca che nen parra, se ciama cögözza Bocca che non parla, si chiama zucca Chi non fa valere i propri diritti viene considerato un babbeo. Bön tëmpö e malö tëmpö nen dura sëmpö Buon tempo e cattivo tempo non dura sempre Nessuna situazione - bella o brutta- dura per sempre. Bon vinö fà bon sangö Buon vino fa` buon sangue Il vino buono agevola la circolazione del sangue.
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Can che baia, nen mezzìca Cane che abbaia, non morde Così viene definito il comportamento di chi ha l’abitudine di brontolare molto e sembra cattivo, mentre in realtà non lo è. Canë nen mezzìca canë Il cane non morde un altro cane I potenti, temendosi a vicenda, evitano di intralciare i rispettivi interessi. Capiddë e guaë nen màncönö maë Capelli e guai non mancano mai Come crescono i capelli così si accumulano i guai. Casa lorda, gentë spetta Casa sporca, gente aspetta E’ più facile che arrivino ospiti, quando la casa è in disordine. Câ scusa dö› fighjolö, a matrë se mancia l ovö Con la scusa del figlioletto, la mamma si mangia l’uovo Si dice per indicare una persona che approfitta della situazione. Catta e pèntetenë Compra e pentitene E’ umano pentirsi dopo aver fatto un acquisto. Cavaö giastemià, ghjé ddusgiö ö pëö Al cavallo guardato con invidia luccica il pelo La persona invidiata ha più fortuna. Ce dissë ö mònecö dâ badessa: “Senza sordë nen se canta mëssa” Disse il monaco alla badessa: “Senza soldi non si canta messa” Non si fa niente senza denaro. Ce dissë ö surciö â nösgiö: “Damë tëmpö che te perciö” Disse il topo alla noce: “Dammi tempo che ti foro” Con la perseveranza si riesce ad ottenere cose che sembrano impossibili. Cesgerë davantö, cesgerë darrìa, chi se marìda mëttö pensìa Ceci davanti, ceci dietro, chi si sposa mette pensieri Una donna che prende marito, comunque sia, diventa responsabile. Chëddö che pe tia nen voë, a l autrë nen farë Quello che per te non vuoi, agli altri non fare Non fare azioni cattive che non vorresti fossero fatte contro di te. Chëö che basta pe un, basta pe centö Una cosa che basta per uno, basta per cento Ciò che è sufficiente ad una persona può bastare a soddisfare più persone.
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Chësta è a zita, chi a vua s’a marida Questa è la fidanzata, chi la vuole la sposi Ci si riferisce a qualcosa che si deve accettare per quello che è. Chi a casa de l’autë frabìca, a sò è povera e mendìca Chi costruisce la casa degli altri, rende la sua povera e mendica Chi pensa troppo agli altri, trascura le sue cose. Chi à chjù saö, cönza a menestra Chi ha più sale,insaporisce la minestra Chi è più saggio appiana le controversie. Chi à ddengua, va a Rroma Chi ha lingua, va a Roma Chi non è inibito può raggiungere qualsiasi meta. Chi à denarë assaë sëmpö cunta e chi à a möghja bedda sëmpö canta Chi ha molto denaro sempre conta e chi ha una moglie bella sempre canta I ricchi sono assillati dal desiderio di accumulare sempre di più, ma le persone comuni sono più felici. Chi à denarë campa felicë e chi nen n’à perdö l amisgë Chi ha denaro vive felice e chi non ne ha perde gli amici Le persone ricche vivono felici, mentre i poveri non avendo soldi perdono anche gli amici. Chi a dura a vënzö Chi la dura la vince Riesce nel suo intento chi ha costanza. Chi a fà, a speta Chi la fà, l’aspetti Chi si è comportato male deve aspettarsi di ricevere un comportamento simile. Chi à a mala vësgina, à a mala sëira e a mala mattina Chi ha una cattiva vicina, ha la cattiva serata e il cattivo mattino Le giornate vengono rovinate dai cattivi vicini. Chi à pietà dâ carnö de l autë, a sò s’a màngenö i caë Chi ha pietà della carne degli altri, la sua se la mangiano i cani Il proverbio non esita ad affermare che dà la propria carne in pasto ai cani chi danneggia gravemente i propri cari, cioè chiunque trascuri questi ultimi e si mostri eccessivamente tenero con gli estranei. Chi à tëmpö nen spetta tëmpö Chi ha tempo, non aspetti tempo Non bisogna mai rinviare a domani ciò che si può fare oggi. Chi a vua cotta, chi a vua cruda Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda È difficile accontentare tutti.
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Chi bedda volë pàrerë, penë e guaë avë passàrë Chi bella vuole apparire, tante sofferenze e guai deve subire Per motivi estetici si sopportano anche le sofferenze. Chi bien me vua, n casa me vien Chi bene mi vuole, in casa mi viene Gli amici si cercano a vicenda. Chi campa n anö, tutë i festë si vëdë Chi vive un anno, tutte le feste si vede Chi vive è spettatore di tutto quello che accade . Chi centö ne fa, una ne speta Chi fa cento cose, una ne aspetta Un solo evento ci punisce di molte malefatte. Chi chjù à, chjù vua Chi più ha, più vuole L’uomo ricco è sempre più avido di ricchezza. Chi ddascia a vieghja pâ nuova, peggiö truova Chi lascia la strada vecchia per la nuova, si troverà male Non è opportuno abbandonare le abitudini consolidate per le novità. Queste ultime, sconosciute, potrebbero riservare amare sorprese. Chi de l’autö se viestö, prëstö se spuoghja Chi dell’altro si veste, presto si spoglia Chi si appropria delle cose altrui, presto ne è privato. Chi de natura nascë, mancarë nen pò Chi di natura è, mancare non può Ciascuno si comporta secondo la propria natura. Chi de spada feriscë, de spada periscë Chi di spada ferisce, di spada muore Chi fa del male deve aspettarsi di ricevere altrettanto male. Chi de spëranza campa, despërato morë Chi di speranza vive, disperato muore Non bisogna confidare in cose impossibili, perchè si rischia di soccombere. Chi dicë dona, dicë danö Chi dice donna, dice danno Non bisogna avere fiducia nelle donne. Chi disprezza, catta Chi disprezza, compra Si apprezzano persone e cose che prima si erano criticate.
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Chi è causa dö› so malë, chjancë se stessö Chi è causa del suo mal, pianga se stesso Deve commiserarsi chi ha causato la sua rovina. Chi è rriccö d’amisgë è scarsö de guaë Chi è ricco di amici, è scarso di guai Chi ha molti amici risolve facilmente le difficoltà. Chi de rrosë zërca sciörë, truova spinë de cardöë Chi cerca fiori di rosa, trova spine di cardi Spesso nelle persone belle si ritrovano difetti. Chi de sceccö ne fa mulö, ö primö cauzö è ö sò Chi di un asino ne fa un mulo, il primo calcio è il suo Chi aiuta una persona ingrata riceve danno. Chi desìa, chi penìa e chi morë desïandö Chi desidera, chi soffre e chi muore desiderando Nella vita c’ è chi ha troppo poco e chi, invece, ha troppo. Chi dormë nen pighjia pëscë Chi dorme non piglia pesci E’ un proverbio usato per sollecitare ad essere attivi e concludere qualcosa di vantaggioso. Chi è fissa, n casa sò! Chi è fesso se ne resti a casa Lo sciocco non prenda iniziative. Chi è stortö, finö a cënerë venë storta Chi è cattivo anche la sua cenere è cattiva La cattiveria permea l’uomo fino alla morte. Chi fa ddëgnë a mala banda, ncoö i niesciö Chi raccoglie legna in una cattiva zona, la deve portare fuori addosso Chi è stato disonesto paga il fio. Chi giuoga söö, nen perdö maë Chi gioca solo, non perde mai Chi si fa i suoi affari senza ricorrere agli altri, non ha nessuna perdita. Chi mangia fa, möddëghë Chi mangia, fa briciole Chi fa qualcosa lascia le tracce di quello che fa e, inevitabilmente, commette qualche errore. Chi manìa, nen penìa Chi maneggia le cose, non soffre Chi ha in mano la gestione del potere o di organizzare e disporre di determinati beni pubblici o privati, ne ricava sempre qualche beneficio per sé.
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Chi n’eppë n’eppë cassateddë de Pasqua Chi ne ha avuto ne ha avuto cassatelle di Pasqua Si usa per chi arriva tardi e non trova niente (anche in riferimento a questioni di potere). Chi nascë töndö, nen pò mòrerë quadratö Chi nasce tondo, non può morire quadrato Non si può cambiare il carattere di una persona: chi nasce stupido non può morire intelligente. Chi nen bëvë n cömpagnia, o è sbirrö o è na spia Chi non beve in compagnia, o è sbirro o è una spia Bisogna essere solidali. Chi nen fa nientö, nen sbagghja maë Chi non fa niente, non sbaglia mai Solo chi non fa niente non commette errori. Chi nen morë, se rrevëdë Chi non muore, si rivede Nella vita ci si rincontra. Chi nen rrëŸseca, nen rröŸseca Chi non risica, non rosica E’ un detto inteso a evidenziare che solo chi ha coraggio e si impegna, anche rischiando, può aspirare a ottenere qualcosa di veramente importante. Chi nen sà fé, nen sà comandé Chi non sa fare, non sa comandare Chi non è capace di operare, non riesce a farsi ubbidire. Chi nen sà l artö, nciodö a bötièga Chi non sa l’arte, chiuda bottega E’ inutile che si metta avanti chi non sa fare un mestiere. Chi nen semëŸna, nen rrecuoghjö Chi non semina, non raccoglie Chi non ha operato bene non può raccogliere frutti. Chi nen te canöscë, carö te cata Chi non ti conosce, caro ti compra Si dice di chi è apprezzato da chi non lo conosce. Chi nescë, rrenescë Chi esce, riesce Chi si allontana dal suo ambiente viene a trovarsi in una condizione migliore. Chi nen va na vorta ô bien, centö vortë va e vien Chi non va una volta al bene, cento volte va e viene Quando una cosa non si fa bene sin dall’inizio, non la si farà bene mai.
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Chjovë e malö tëmpö fa, amarö chi n casa d’autë sta. Önda sögnö bonö stàiö, quandö scampa me ne vàiö Piove e fa cattivo tempo, è doloroso stare in casa d’altri. Dove sto bene me ne sto, quando smette di piovere, me ne vado. Nelle avversità si cerca l’aiuto degli altri, ma quando esse cessano si preferisce stare per conto proprio. Chi paga prima, mangia pësciö fetösö Chi paga prima, mangia pesce puzzolente E’ un ammonimento ad essere prudenti quando si fa un acquisto; non è opportuno dare soldi subito senza essere pienamente sicuri della merce che s’intende comprare o del lavoro che viene svolto. Chi patö p amörë, nen sëntö dölörë Chi soffre per amore, non sente dolore Il proverbio sottolinea la forza che può dare l’amore quando è veramente grande: non ci fa sentire dolore. Chi pâ rroba a dona së pighja, va pe nchjöderë frumentö e trova paghja Chi per la roba si sposa una donna, va per chiudere il frumento e trova paglia Si ritrova deluso colui che sposa una donna per la sua dote. Chi perdö, à sëmpö tortö Chi perde, ha sempre torto La colpa ricade sempre sul più debole. Chi picca avë, caro tenë Chi poco ha, caro lo tiene Chi ha poco, se lo tiene stretto. Chi prateca cö› zoppö, mpara a zöppìarë Chi pratica con lo zoppo, impara a zoppicare Chi frequenta cattivi compagni è necessariamente influenzato dai loro cattivi esempi. Chi prima nen pënsa, a l urtemö söspìra Chi non pensa prima, dopo piange Occorre sempre pensare prima di fare qualcosa, per non rischiare di pentirsene in seguito. Chi primö rriva, primö macìna Chi prima arriva, prima macina (al mulino) Chi è puntuale ha la meglio. Chi rridë de vènerë, ciangiö de sàbetö Chi ride di venerdì, piange di sabato Non sempre si può essere contenti; spesso il riso fuori luogo è dannoso. Chi rrispeta ö can, rrispeta ö patrön Chi rispetta il cane, rispetta il padrone Chi rispetta gli inferiori, rispetta anche i superiori. Chi rrömpë paga, e i coccë sö i sò Chi rompe paga, e i cocci sono i suoi Chi commette un guaio, deve piangerne le conseguenze. 328
Chi sauva pö› döman, sauva pö› can Chi conserva per il domani, conserva per il cane Le cose non godute per tempo, fanno una brutta fine. Chi sauva, sauva pö› gattö Chi conserva, conserva per il gatto Chi si priva eccessivamente di qualcosa, per risparmiarla e poterla consumare in un secondo tempo, rischia spesso di non poterne più usufruire. Chi sauva, truova Chi conserva, trova Chi mette da parte qualcosa, un giorno se la ritroverà. Chi se cöntënta, godë Chi si accontenta, gode E’ felice chi è pago di quello che possiede. Chi se cörca chî carösgë, se truova cagà Chi si corica con i bambini, si ritrova cacato Non bisogna avere fiducia nelle persone immature prendendo consiglio da loro, altrimenti si possono avere problemi. Chi se guardà, se sauvà Chi si guardò, si salvò E’ meglio essere prudenti. Chi se loda, se mbroda Chi si loda, s’imbroda Coloro che hanno l’abitudine di attribuirsi, per vanità, meriti che non hanno, rischiano di essere derisi per le loro vanterie. Chi se marida sta cöntëntö n giörnö e chi mazza n porcö sta cöntëntö n anö Chi si sposa sta contento un giorno e chi ammazza un maiale sta contento un anno La felicità del matrimonio è poco duratura. Chi semëŸna vëntö, rrecuoghjö tempësta Chi semina vento, raccoglie tempesta Chi si comporta male potrebbe ricevere un danno peggiore di quello arrecato. Chi söspira, nen è cöntëntö Chi sospira non è contento La persona infelice lascia trasparire la sua infelicità. Chi spartö, n’à a mieghjö partö Chi divide, ha la parte migliore Chi ha in mano la situazione si assicura la parte migliore di ciò che viene diviso, nel senso che chi sta in posizione privilegiata decide sempre in senso vantaggioso per se stesso.
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Chi sputa n celö n faccia ce torna Chi sputa in cielo, in faccia gli torna lo sputo Chi disprezza sarà disprezzato. Chi sta â spranza d’autë, a so pignata nen bughjë maë Chi sta in speranza degli altri, la sua pentola non bolle mai Chi rimane inoperoso e cerca il sostegno degli altri, non ottiene nessun risultato. Chi tacë, cönsentë Chi tace, acconsente Chi non risponde, ribattendo, è propenso a condividere il pensiero di un’altra persona. Chi tantö, chi nentë Chi tanto, chi niente Nella società ci sono molte disparità. Chi tardë rriva, malë alloggia Chi tardi arriva, male alloggia I ritardatari devono accontentarsi di ciò che trovano e non possono occupare una buona posizione. Chi te fa rruffianatë davantë, te sparra darrera Chi ti fa elogi davanti, ti sparla dietro Non bisogna fidarsi di chi fa complimenti perchè sono falsi. Chi troppö vua, nientö strëngiö Chi troppo vuole, niente stringe Chi non si accontenta di ciò che ha raggiunto, finisce per perdere tutto. Chi truova n amigö, truova n tesorö Chi trova un amico, trova un tesoro Chi dispone di un amico può considerarsi ricco. Chi va pianö, va sanö e va löntanö Chi va piano, va sano e va lontano Chi è prudente ha più possibilità di riuscire. Chi vëndö scëndö, chi cata chjana Chi vende scende, chi compra sale Il vendere è segno di difficoltà economica e di abbassamento sociale, mentre il comprare indica prosperità e miglioramento nella scala sociale. Chi venë appressö, cunta i pëdatë Chi viene dopo, conta le pedate I posteri si avvalgono delle esperienze dei predecessori. Chi volë i santë, s’i prega Chi vuole i santi, se li preghi Bisogna andare di persona a chiedere un favore.
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Chi volë và e chi non volë manda Chi vuole vada e chi non vuole mandi Chi ha interesse ad ottenere qualcosa deve rimboccarsi le maniche e impegnarsi personalmente; chi non ha interesse si affida agli altri delegandoli al posto suo. Chi zërca, truova Chi cerca, trova Bisogna avere tenacia per raggiungere uno scopo. Chjù picca semö, meghjö n’a passamö Meno siamo, meglio stiamo Quando si è in pochi si sta meglio. Chjù segurö che ö porcö pighja a ntëna E’ più sicuro che il maiale raggiunga l’albero della cuccagna E’ rivolto ironicamente a chi non riuscirà a raggiungere un obiettivo, perché troppo alto e ambizioso. Ciovö scaccia ciovö Chiodo scaccia chiodo A volte un problema ne risolve uno precedente e un male che ci affligge può venire eliminato dal sopraggiungere di un’altra evenienza. Ciuovö sëmpö söva ö bagnà Piove sempre sopra il bagnato Le disgrazie si abbattono sempre sugli sventurati. Cö› fuogö nen se babìa Con il fuoco non si scherza Bisogna stare attenti alle situazioni rischiose. Contadinö: scarpë grossë e cerveddö finö Contadino: Scarpe grosse e cervello fino L’apparenza rude e gli scarponi poco eleganti dei montanari e dei campagnoli spesso celano buon senso e furberia. CöŸnzela comö vuöë, sëmpö è cögözza Condiscila come vuoi, sempre è zucca Qualunque cosa si faccia, non cambia la situazione Il proverbio viene riferito a qualcosa che, quantunque presentata in modo diverso, sostanzialmente è la stessa. Cosa fatta, capö avë Cosa fatta, capo ha Nell’uso corrente è uno stimolo a finire, presto e bene, lavoro o incombenza fastidiosi. Cosë cuntatë, credìtenë a mità Cose riferite, credetene la metà Non bisogna dare troppo credito a quanto viene raccontato.
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Cö› tëmpö e câ paghja maturenö i nèspölë Con il tempo e con la paglia si maturano le nespole Il tempo muta - matura - cose e persone, per cui è bene essere prudenti, non affrettare le cose. Solo con la pazienza, col saper aspettare e con mezzi appropriati, è possibile raggiungere lo scopo che qualcuno si è proposto. CrëŸsciönö l anë, e crëŸsciönö i malanë Crescono gli anni, e crescono i malanni Con l’età la salute viene meno. Cuscì vua Diö, chi mangia e chi talía Così vuole Dio, chi mangia e chi guarda Indica rassegnazione di fronte alle ingiustizie. Datemë n sordö, che me ce mbiscö Datemi un soldo, che mi intrufolo Si dice degli impiccioni che vogliono ad ogni costo intromettersi nelle faccende altrui. De chi sö` i fighjë, s’i naca Di chi sono i figli, se li culla Ciascuno deva accudire ai propri figli. De cosa, nascë cosa Da cosa nasce cosa Discutendo vengono fuori altre idee. De l amisgë e dî parëntë nen ghje catè e nen ghje vëndö nientö Dagli amici e dai parenti non comprare e non vendere niente Gli affari tra parenti si risolvono in danno. De l amisgë me guarda Dio, dê nemisgë me guardö iö Dagli amici mi guardi Iddio, dai nemici mi guardo io Bisogna essere cauti sempre. Dâ rosa nascë a spina, dâ spina nascë a rosa. Da una rosa nasce una spina, da una spina nasce una rosa Non sempre l’esito di una situazione è quello preventivato. Dicë mamma Rocca: “Se talìa, ma nen se tocca” Dice mamma Rocca: “Si guarda ma non si tocca” Le cose si possono guardare ma non toccare. Dimmë chi sögnö e nen me dirë chi iera Dimmi chi sono e non mi dire chi ero E’ importante considerare le persone in base alla condizione sociale odierna non a quella passata. Dimmë cö› chi vaë, e te dirò chi sëë Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei Siamo giudicati in base alle amicizie.
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Diö a chi vua bien, manda crösgë e penë Dio a chi vuol bene, manda croce e pene E’ un modo per consolarsi quando si soffrono dolori. Dio vëde e provvëde Dio vede e provvede La Provvidenza giunge sempre. Dö› didö se pighja a màn Dal dito si prende la mano Si dice di uno che approfitta della situazione. Döna n corpö ô cercö e n corpö â bottë Dà un colpo al cerchio e uno alla botte Si dice in riferimento a chi per opportunismo non prende mai una posizione netta di fronte a due contendenti e dà ragione un po’ all’uno e un po’ all’altro. Dopo a cinquantëna, n guaiö ognë matina Dopo la cinquantina, un guaio alla mattina Dopo i cinquant’anni malanni e acciacchi si fanno sentire giornalmente. Dö› sennö de puoë, sö chjinë i foscë Del senno di poi son piene le fosse Bisogna riflettere molto prima di prendere decisioni importanti, onde evitare tardivi e inutili ripensamenti. Fa benë e scòrdetelö, fa malë e rregòrdetelö Fa bene e dimenticalo, fa male e ricordatelo Bisogna dimenticare il bene fatto e ricordarsi del male fatto. Facitë benë ê porcë e limòsena ê parrinë ! Fate bene ai porci ed elemosina ai preti Non bisogna fare il bene a chi è ingrato. Fa’ l artë che saë, se nen rrechìscë camperaë Fai l’arte che conosci, se non arricchisci vivrai Ciascuno deve fare ciò che sa fare, non per arricchirsi ma per poter vivere. Fatta a ligë, trovato ö nganö Fatta la legge, trovato l’inganno E’ riferito a coloro che riescono, furbescamente, a eludere i doveri previsti dalle leggi. Fattë a fama e cörŸ chetë Fatti il nome e vatti a coricare Una volta raggiunto il successo, ci si può riposare. Fazzö nen vista, è desiada Faccia non vista, è desiderata Più una persona è riservata, più è desiderata.
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Fëcerö pacë i canë e i lupë, poverë pecörëddë e afflittë crapë Hanno fatto pace i cani e i lupi, povere pecorelle e afflitte capre Si dice quando si vede che persone cattive hanno fatto pace a scapito di gente buona. Ÿ enë a l ömbra, màscölë ô sölë, scansatenë, Signörë Fëm Donne all’ombra, maschi al sole, scansateci Bisogna stare alla larga da donne o da uomini in gruppo perchè mormorano. Fighja de gatta, pighja i surcë La figlia della gatta, piglia i topi Equivale a dire “tale mamma, tale figlia” e si dice di una persona che percepisce subito le situazioni. Fighië e penë, chi l avë s’i tenë Figli e pene, chi ce l’ha se li tiene Non ci si può esimere dalla cura dei figli e dalla sopportazione dei guai. Fighjë nichë penë nichë, fighjë randë penë randë Figli piccoli preoccupazioni piccole, figli grandi preoccupazioni grandi Le preoccupazioni nei riguardi dei figli non finiscono mai. Finö che a tövaghja è stësa, chi passa se ce stöghja Finchè la tovaglia è stesa, chi passa ci si asciuga Fino a quando le ragazze sono nubili, chi passa le guarda. Fortunatö ô iocö, sfortunatö n amörë Fortunato al gioco, sfortunato in amore Si dice perchè si crede che chi è fortunato in amore non lo sia al gioco. Ÿ a a tutë Fötë, fötë, che Diö perdön Ruba, ruba, che Dio perdona a tutti E’ un proverbio ironico nei confronti di chi, pur rubando, non è scoperto e non paga il fio. Fra döë letigantë, ö terzö godë Fra due litiganti, il terzo gode Proverbio usato per rilevare che nelle contese fra due persone, spesso viene a trame vantaggio un estraneo. Fraë, cuteë Fratelli, coltelli A volte le più aspre inimicizie si rivelano tra fratelli. Fujö quantö vuoë che zà te spettö Corri quanto vuoi, che qui ti aspetto E’ indirizzato a chi, prima o poi, dovrà rendere conto delle proprie azioni. Gaddina vieghja, fa` bön brodö Gallina vecchia, fa buon brodo Riferito a persone avanti negli anni e dotate di lunga esperienza che sono più affidabili di quelle giovani.
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Gargia verta, occeddö mortö Gabbia aperta, uccello morto Si usa dire quando uno si dimentica di abbottonare l’apertura dei pantaloni. Gëntë legra, Diö i iuta Gente allegra, Dio l’aiuta Le persone ottimiste conseguono migliori risultati. Ghje vua förtuna macara a frizzö n uovö Ci vuole fortuna fin nello stesso frigger le uova E’ un detto che si rivolge a chi è troppo sfortunato. Ÿ getë cô chi è mieghjö de tu e pìzzeghjë i spësgë Giön Unisciti con chi è migliore di te e non badare a spese E’ un suggerimento a frequentare le persone di più alto rango o valore rispetto a se stessi, anche a costo di essere servili o fare qualche sacrificio. Ÿ pela tuta Giörnada rröta, rröm Giornata rotta, rompila tutta Quando hai perso molto tempo durante la mattinata è inutile cercare di recuperarlo. Giuramentë d’amörë, giuramentë de marinarö Giuramenti d’amore, giuramenti di marinaio E’ rivolto agli innamorati che fanno promesse che poi non mantengono. Guaë câ pala, ma mortë maë Guai con la pala, ma morte mai E’ preferibile andare incontro a molti guai piuttosto che alla morte. Ia mangiö cipöddë e na tu te brùsgenö l uoghjë Io mangio cipolle e a te bruciano gli occhi Dovrei essere io a lamentarmi e invece ti lamenti tu. I benë de förtuna passenö comë a dduna I beni di fortuna passano come la luna Le ricchezze conquistate con la fortuna sono destinate a svanire. Ÿ eno nè a l amisgë e mancö ê parën Ÿ të I cosë che prasgiönö e to dëntë, nen se dön Le cose che piacciono ai tuoi denti, non si danno nè agli amici e neppure ai parenti Le cose buone non si danno a nessuno nemmeno alle persone più care. Ÿ tenö serpë I cosë ddonghë devën Le cose lunghe diventano serpi Le relazioni amorose lunghe finiscono per diventare incresciose o insolubili. I defietë da zita se mùccenö câ dotë I difetti della fidanzata si nascondono con la dote Le ricchezze della moglie nascondono i suoi difetti.
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I desgrazië nen vienönö maë sölë Le disgrazie non vengono mai sole Spesso i fatti dolorosi si accavallano. Ÿ enë anö i capidde ddönghë e a mëntö curta I fëm Le donne hanno i capelli lunghi e la mente corta Non si deve aver fiducia nelle donne che sono poco intelligenti, bugiarde, cattive. Ÿ enë ne sanö una chjù dö›› diavölö I fëm Le donne ne sanno una più del diavolo Le donne sono furbe. I graë fanö venì a vista da l orbë I soldi fanno venire la vista ai ciechi Dinanzi al denaro si cambia comportamento. I guai dâ pignata i sà a cuchjara ch’i rremëna I guai della pentola li sa il mestolo che li gira Ricorda che nessuno può presumere di conoscere i problemi di una famiglia più dei diretti interessati; quindi nessuno, più di loro, è in grado di risolverli. I mieghjö sciarrë sö chî parëntë Le migliori liti sono tra parenti Le liti più accanite avvengono in seno al parentado. I menzognë anö i gambë curtë Le bugie hanno le gambe corte Si scopre subito la persona bugiarda. Ÿ tönö I murë nen anö orëghjë e sën I muri non hanno orecchie e sentono Il proverbio è un’ammonizione a non mormorare alle spalle della gente. Inutelë che te ddiscë e faë canolë: ö santö è de marmö e nen suda Inutile che t’imbelletti e fai i ricci: il santo è di marmo e non suda E’ inutile curare la forma quando chi ti interessa non ti presta attenzione. I panë ddörde se ddavenö n famighja I panni sporchi si lavano in famiglia Proverbio inteso a segnalare l’inopportunità di portare a conoscenza di estranei tutto ciò che potrebbe esporci alle loro critiche ed anche a disonorarci. I parentë söŸ comë i scarpë strëitë, chjù strëitë te vanö e chjù te fanö maö I parenti sono come le scarpe strette, più ti vanno strette e più ti fanno male Detto popolare che indica quanto pericolosi possono essere i parenti impiccioni e intriganti. I paroddë sö douzë comö i cerasë: una niesciö e l auta trasö Le parole sono dolci come le ciliege: una esce e l’altra entra Quando si ha voglia di parlare, l’eloquio è più sciolto.
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I portë nen anö oreghjë e scoutenö, i fenestrë nen ano uoghjë e talìenö Le porte non hanno orecchie ma ascoltano, le finestre non hanno occhi ma vedono Bisogna stare attenti quando si parla perchè dalle porte si può origliare e dalle finestre si può vedere. I rricchë comë vonö e i pòverë comö ponö I ricchi come vogliono e i poveri come possono I ricchi possono soddisfare le loro voglie, mentre i poveri molto meno. Iùtetë, che Diö te iuta Aiutati, che Dio t’aiuta Iddio aiuta le persone che s’impegnano a risolvere i loro problemi. Ÿ önö nô besögnö I verë amisgë se vëd I veri amici si vedono nel bisogno L’amicizia vera si rivela tale, quando nel momento del bisogno si riceve aiuto dagli amici. I verë amisgë sö comö i möschë bianchë I veri amici sono come le mosche bianche I veri amici sono rari. I vie dö› Signörë sö nfinitë Le vie del Signore sono infinite Possiamo ricevere un beneficio quando meno ce l’aspettiamo. L abitö nen fa ö mònecö L’abito non fa il monaco Non bisogna farsi ingannare dall’aspetto esteriore delle persone perchè l’apparenza molte volte non è garanzia della realtà interiore, non connota una persona, perciò bisogna essere cauti nel giudicare gli altri. L amörë è come n chiovö, se ö scippë resta ö pertusö L’amore è come un chiodo, se lo strappi resta il buco Non è facile dimenticare una storia d’amore finita. L amörë è orbö L’ amore è cieco Chi ama non si rende conto dei difetti del partner. L’arbörö pecca e a rama rrecëvë L’albero fa gli errori e il ramo li riceve I figli ereditano gli sbagli dei genitori. L avarö è com’ ö porcö, che è bön dopö mortö L’avaro è come il porco, che è buono dopo morto Le persone avare non sono apprezzate. L erba dô vësgin è sëmpö chjù vërdë L’erba del vicino è sempre più verde Si dice delle persone che invidiano le cose degli altri.
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L erba tënta nen muirö maë L’erba cattiva non muore mai Le persone cattive vivono di più. L occasionë fa l omö latrö L’occasione fa l’uomo ladro Anche la persona onesta può essere coinvolta dalle circostanze. L omö gelösö morë cörnutö L’uomo geloso muore cornuto Succede proprio così: chi è troppo geloso finisce per essere tradito. L omö nen se mesura a parmö L’uomo non si misura con il palmo (della mano) Il valore di un uomo non è da vautare guardando all’altezza. L’omö pâ parola e ö bo pî cornë L’uomo per la parola e il bue per le corna Il proverbio sta ad indicare che un uomo è veramente tale, quando riesce a mantenere fede alla parola data. L omö pröponë, Diö disponë L’uomo propone, Dio dispone Non tutte azioni dell’uomo hanno le conseguenze previste, poiché c’é anche l’intervento della Provvidenza, perciò non si possono fare programmi. L onestà dâ möghja passa ô marì L’onestà della moglie si trasmette al marito Una buona moglie rende onesto il marito. Lontanö de l uoghjë, lontanö dö› corë Lontano dagli occhi, lontano dal cuore La lontananza attenua l’amore. L’ospitë è comö ö pëscë, dopö tre jornë fetë L’ospite è come il pesce, dopo tre giorni puzza Non si può approfittare dell’ospitalità fermandosi per un lungo periodo, perchè si creano problemi di convivenza. L’oziö è ö patrë de tutë i vizi L’ozio è il padre di tutti i vizi Il fannullone prende tutti i vizi. L uoghjë dö› patrön ngrascia ö cavaö L’occhio del padrone ingrassa il cavallo L’attenzione del padrone fa migliorare il rendimento del subalterno, quindi bisogna sorvegliare personalmente le cose proprie.
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Macara l uoghjö vua a so partö Anche l’occhio vuole la sua parte Tanto chi espone qualcosa quanto chi l’acquista hanno interesse che si presenti bene, perchè anche la vista ne rimanga appagata. Macara ö mieghjö vin se fa citö Anche il migliore vino si trasforma in aceto Il proverbio suggerisce che anche nelle migliori pesone, a volte, ci possono essere cambiamenti radicali. Malë nen farë, pagöra nen avërë Male non fare, paura non avere E’ un precetto morale che ammonisce a non fare male, perchè così si evita di avere paura di qualche ritorsione. – Mama! Ciccö me tocca! – ...Tòcchemë Ciccö, che mama nen vëdë! Mamma! Cecco mi tocca! ...Cecco toccami, che mamma non vede! Si dice quando, si critica apertamente un comportamento, ma in effetti lo si condivide. Mancia, de lö tò mancia, che de lö miö nen ce n’è nentë Mangia, mangia del tuo, perché del mio non ce n’ è niente Si dice ironicamente alla persona che sperpera i propri averi. Matrimonë e vescövadë de lö cielö sö calatë Matrimoni e vescovati discendono dal cielo Ci sono cose che sono volute dal destino. Mbriachë e pecceriddë Diö l aiuta Ubriachi e bambini Dio l’aiuta Le persone più incoscienti spesso vengono aiutati dalla sorte. Mëntö ghj’è oghjö nâ lampa, ghj’è spranza Mentre c’è olio nella lampada, c’è speranza Fino a quando un uomo respira, c’è la speranza che possa vivere. Mëntö ö miedegö studìa, ö malatö se ne va Mentre il medico studia (la malattia), il malato muore Bisogna ricorrere in tempo ai rimedi per evitare spiacevoli conseguenze. Mëttë ö pan ê dëntë, che a famö se resëntö Metti il pane ai denti, che la fame si risente La fame si sviluppa iniziando a mangiare qualcosa. Mieghjö averë rroba che sordë Meglio avere roba che quattrini E’ meglio avere immobili che denaro liquido. Mieghjö campé n giörnö de lionë che centö de piegöra Meglio vivere un giorno da leone che cento da pecora E’ preferibile vivere da forti che da deboli. 339
Mieghjö essö nvedià che cömpatù Meglio essere invidiati che compatiti E’ preferibile essere oggetto d’invidia che di commiserazione. Mieghjö l uovö uoë che a gaddina döman E’ meglio un uovo oggi che una gallina domani Proverbio che esprime sfiducia nel realizzare maggiori vantaggi in avvenire, per cui è più conveniente accontentarsi del poco certo dell’oggi senza correre rischi. Mieghjö muoirö saziö che campé degiunö Meglio morire sazi che vivere digiuni Nella vita è preferibile non farsi mancare nulla. Mieghjö n sceccö vivö che n miedegö mortö Meglio un asino vivo che un dottore morto E’ preferibile non eccedere nello studio e in attività impegnative. Mieghjö ö tëntö savù che ö bön a savé Meglio il cattivo conosciuto che il buono a conoscersi E’ preferibile dare fiducia a chi si conosce che a chi non si conosce. Mieghjö perdelö che trövëlö Meglio perderlo che trovarlo Si dice di una persona che non merita più la nostra fiducia. Mieghjö pochë, ma böë Meglio pochi, ma buoni Si usa quando, durante un’occasione, si nota la presenza di poche persone. Mieghjö pocö che nientö Meglio poco che niente E’ bene accontentarsi anche del poco. Mieghjö söö, che malö cömpagnà Meglio solo che male accompagnato Invito a operare o a prendere decisioni in solitudine, senza interferenze negative da parte di individui poco affidabili. Mieghjö tardö che maë Meglio tardi che mai E’ preferibile impegnarsi, anche se con lentezza, piuttosto che non impegnarsi mai. Moghjë e boë dî paisë toë Moglie e buoi dei paesi tuoi Il proverbio viene usato per evidenziare l’opportunità di celebrare i matrimoni fra persone degli stessi luoghi per una migliore comprensione e unione, perché si presuppone che condividano i valori e le usanze . Möndö à staitö, e möndö è Mondo è stato, e mondo è Il mondo è andato sempre così, cioè non è mai cambiato. 340
Mortö n Papa, se ne fa n autö Morto un Papa, se ne elegge un altro L’espressione viene comunemente usata per evidenziare che nella vita nessuno è indispensabile e insostituibile. Mpara l artë e mëtela de partë Impara l’arte e mettila da parte Proverbio che evidenzia l’importanza dell’imparare a svolgere una attività lavorativa che, prima o poi, permetterà di essere sfruttata vantaggiosamente; la preparazione e la conoscenza possono sempre rivelarsi utili. Mucia cömarë, che tutö parë Nascondi comare, che tutto si vede Sta a significare che è inutile nascondere situazioni difficili o colpe o manchevolezze, perchè prima o poi vengono a galla. Na böna maridada: né suòsgera né cögnada e pe essö chjù cöntënta arrasö d’amisgë e de parëntë Una donna ben maritata: né suocera né cognata e per essere più contenta lontana da amici e da parenti Il proverbio ammonisce che per vivere una vita tranquilla, una donna sposata deve stare lontana da suocera e cognata, da amici e parenti. Nâ böttë peccidda ghje sta ö vin bön Nella botte piccola ci sta il vino buono Nella persona di piccola statura ci sono le migliori qualità. E’ un proverbio usato per lodare o consolare le persone di piccola statura che provano un senso d’inferiorità nei confronti di chi è più dotato fisicamente. Na manö ddava l auta e tutë i döë ddavanö a fazzö Una mano lava l’altra e tutte e due lavano la faccia Sta a significare i vantaggi che le persone possono avere aiutandosi vicendevolmente. Na n öra Diö lavöra In un’ ora Dio lavora Nel giro di poco tempo le cose possono cambiare e ciò che non è accaduto in un lungo arco di tempo può accadere nel giro di un attimo. Na nösgiö nâ n saccö nen scrùsciö Una noce in un sacco non fa rumore Riferito all’inutilità nel fare lamentele o denunce da soli. Natalë chî toë, Pasqua cö chi vuoë Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi Natale è una festa da passare con i familiari, mentre la Pasqua, anche per la bella stagione, invita a partire. Nè de venerë nè de martë nen se spösa nè se partë Nè di venerdì nè di martedì ci si sposa o si parte E’ un proverbio che ricalca la credenza che alcuni giorni della settimana portassero sfortuna. Ne mazza chjù a ddëngua che a spada Ne uccide più la lingua che la spada Stigmatizza il comportamento di quanti indulgono alle maldicenze. 341
Nen c’è rosa senza spinë Non c’è rosa senza spine Ogni cosa bella ha i suoi lati negativi. Nen c’è sabatö senza sölë , nen c’è fëŸmena senza amörë Non c’è sabato senza sole, non c’è donna senza amore Tutte le donne sono innamorate Nen confidè corë ca möghja e nen essö amigö chî sbirrë Non confidare segreti alla moglie e non essere amico con gli sbirri Non bisogna fidarsi nè delle donne nè degli sbirri. Nen dirë a n autö chëö che nen sëë Non dire all’altro quello che non sei Non bisogna vantarsi facendo credere di essere diversi da quello che si è. Nen dirë gattö, se nen l aë nô saccö Non dire gatto, se non ce l’hai nel sacco Non bisogna vantarsi prima di aver raggiunto un obiettivo. Nen è tutö orö chëö che ddùsgiö Non è tutto oro quello che luccica Non bisogna fermarsi alle apparenze che spesso sono ingannatorie. Nen farë benë, che malë te ne venë Non fare bene, che male te ne viene Non far del bene agli ingrati, perchè te ne può venire male. Nen farë de ognë erba n fasciö Non fare di ogni erba un fascio Il comportamento poco corretto di alcune persone all’interno di un gruppo non deve indurre a giudicare tutti gli altri allo stesso modo. Nen farë dömanë chëddö che poë farë oggë Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi Non bisogna mai procrastinare. Nen ghj’è döë senza trëë Non c’è due senza tre Il proverbio riproduce la credenza che una cosa, buona o cattiva che sia, accaduta due volte possa ripetersi una terza volta. Nen ghj’è fumö senza rröstö Non c’è fumo senza arrosto Dove c’è un semplice indizio c’è anche un fatto. Nen ghj’è peggiö da ddivada dö› galantomö Non c’è cosa peggiore della sfuriata del galantuomo Si dice di una persona dabbene e retta che in casi estremi perde l’autocontrollo.
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Nen rëveghjè ö can che dormë Non svegliare il cane che dorme Non bisogna stimolare una persona potente o stuzzicare una persona distratta. Nen se fa nientö pe nientö Non si fa niente per niente Qualunque azione viene fatta per avere un contraccambio. Nen se muovö fuoghja, che Diö nen vuoghja Non si muove foglia che Dio non voglia Tutto dipende dalla Provvidenza divina. Nen se pò avërë a böttë chjina e a möghja mbriaca Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca Proverbio che riguarda chi vuole tutto e, con scaltrezza, cerca di ottenere ulteriori vantaggi senza tuttavia rinunziare ai benefici di cui giù gode. Nen te bagnarë prima che chiovë Non ti bagnare prima di piovere Si dice di chi si preoccupa senza motivo. Nentë farë, che nentë se sapë Niente fare, che niente si sappia Qualunque cosa tu faccia si saprà. Nen tutë i didë dâ man sö i stiscë Non tutte le dita della mano sono le stesse Non tutti siamo identici e non tutti la pensiamo allo stesso modo. Nö› murö basciö se ghj’é puoiö ognun Nel muro basso ci si appoggiano tutti I rimproveri e le critiche ricadono sui più deboli. N paradisö nen se va n carrozza In paradiso non si va in carrozza Proverbio inteso ad evidenziare che nella vita, per raggiungere gli scopi desiderati, bisogna affrontare spesso difficoltà e sacrifici non indifferenti. N patrë campa centö fighjë, e centö fighjë nen s’a fidanö a camparë n patrë Un padre mantiene cento figli, e cento figli non ce la fanno a mantenere un padre E’ un rimprovero ai figli che si rifiutano di sostenere economicamente il loro padre quando ne ha bisogno. Nuddö nascë nsëgnà Nessuno nasce insegnato Si dice alla persona che, pur essendo capace, all’inizio di un lavoro commette qualche errore, ma può apprendere come hanno fatto gli altri.
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Nuddö se pighja, se nen se sömëghja Nessuno si prende, se non si somiglia Le persone che contraggono un matrimonio o stringono delle amicizie si scelgono quando hanno caratteristiche simili. Ö benë nen è benë, se nen è resö a malë Il bene non è bene, se non è ricambiato con il male Ogni buona azione è ricambiata con l’ingratitudine e la cattiveria. Ö bön cavaö se vëdo nâ ddönga cörsa Il buon cavallo si manifesta nella lunga corsa Si dice delle persone che, pur incespicando negli studi, alla fine riescono a concluderli. Ö bò nen a nasciù e ö fichetö è vendù Il bue non è ancora nato e il fegato è già venduto. Si fanno dei calcoli prima di avere delle certezze economiche. Ö bönö jornö se vëdö dâ mattina Il buon giorno si vede dal mattino Sin dall’inizio ci si può accorgere se le cose possono andar bene. Ö bò pî corna e l omö pâ parodda Il bue per le corna e l’uomo per la parola L’uomo si valuta dalla sua capacità di non venir meno alla parola, così come un bue dalle corna. Ö canë mezzìca semprë ö strazzatö Il cane morde sempre quello che ha gli abiti laceri I guai e le disgrazie si abbattono sempre su chi nella vita è perseguitato dalla sventura. Ô cavaddö giastëmià ghjè ddusgiö ö pëö Al cavallo invidiato luccica il pelo Più si è invidiati e più le cose vanno bene. Ochjë ch’avitë fattö chjancerë, chiancitë, e se nen pötitë chjàncerë, lacremïatë Occhi che avete fatto piangere, piangete, e se non potete piangere, lacrimate E’ una sorta di maledizione nei confronti di chi ha causato dolore. Ochjö che nen vëde, corë che nen dolë Occhio che non vede, cuore che non duole Evidenzia che non si prova dolore quando capita di non assistere ad una situazione spiacevole. Ô corë nen se comanda Al cuore non si comanda L’amore non sottostà alle leggi della ragione. Ö crovö, pe pighjessë i pensië de l autë deventà nëŸirö Il corvo diventò nero per prendersi i pensieri degli altri Il proverbio si riferisce alle persone invidiose e impiccione.
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Ö diàvölö fa i pignatë, ma nò i cövercë Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi Le malefatte di qualcuno finiscono sempre, prima o poi, per essere scoperte. Ö diàvölö nen è bruttö comö se pitta Il diavolo non è brutto come si dipinge Così si dice per esortare qualcuno a non scoraggiarsi eccessivamente di fronte alle difficoltà che incontra. Ö fùirë è vergögna, ma è sarvamentö de vita Il fuggire è vergogna, ma è salvamento di vita Sottrarsi alle situazioni difficili non è decoroso, ma salva la reputazione. Ö gabbö rriva, a giastëma no Il gabbo colpisce, la bestemmia no La vita presenta inevitabilmente alti e bassi e non si può escludere che quello che commiseriamo negli altri, ci capiti in un momento futuro. Oggë a mia, dömanë a tia Oggi a me, domani a te Quello che succede ad una persona in futuro può capitare ad un’altra. Ö giörnö nen ne vuoghjö e a sëira spragö l oghjö Il giorno non ne voglio e la sera spreco l’olio (della lampada) E’ rivolto al fannullone che non ha voglia di lavorare, ma è pronto a divertirsi. Ognë beddö jocö dura pocö Ogni bel gioco dura poco Si dice alla persona che infastidisce col protrarre uno scherzo. Ognë benë dâ terra venë Ogni bene dalla terra viene E’ la terra che offre i suoi benefici. Ognë ficatedda de mösca è sostanza Ogni fegatino di mosca è sostanza Non si deve buttare o trascurare niente. Ognë lassata è perduta Ogni lasciata è perduta Bisogna saper cogliere, senza lasciarsele sfuggire, le occasioni che ci si presentano. Ognë lëgnö avë ö so fumö Ogni legno ha il suo fumo Ciascuno ha il suo carattere. Ognë mala fegura valë n sördö Ogni cattiva figura vale un soldo Non si deve dare peso ad una brutta figura.
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Ognë mpëdimentö è giövamentö Ogni impedimento è giovamento Talvolta da situazioni difficili si trae un vantaggio. Ognë santö avë i sö devotë Ogni santo ha i suoi devoti Ciascuno di noi ha i suoi sostenitori. Ognunö avë a so cröcë Ognuno ha la sua croce Ogni persona ha i suoi dolori, i suoi crucci, i suoi problemi. Ognunö tira eugua ô so mölinö Ognuno tira acqua al suo mulino Il proverbio sostiene che ogni individuo umano ha sempre di mira il proprio “particolare” e poco si cura, nel cercare il soddisfacimento del proprio interesse personale, se arreca danno agli altri. Ö landarö chëö che à vëndö L’ “olandaro” (venditore di stoffe proveniente dall’Olanda) quel che ha vende Nessuno dà ciò che non ha. Ö lettö è na rrosa: se nen dormë, te rreposë Il letto è una rosa: se non dormi, ti riposi Il letto serve a due cose: se non per dormire, serve per riposare. Ö lupö de mala coscienza cussì òpera comö pensa Il lupo di cattiva coscienza così opera come pensa L’uomo disonesto pensa degli altri ciò che potrebbe fare lui. Ö lupö perde ö pëlö, ma no ö vizziö Il lupo perde il pelo, ma non il vizio E’ un proverbio che evidenzia quanto siano enormi e a volte insuperabili le difficoltà che si incontrano per riuscire ad eliminare le brutte abitudini e i vizi incalliti di cui siamo schiavi. Ö menzögnarö av’a avërë bona memoria Il bugiardo deve avere buona memoria Si dice alla persona bugiarda che non riesce a sostenere le sue bugie. Ö miedegö pietösö fa a ciaga cancrenösa Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa Evidenzia il fatto che il medico non può avere pietà e, se deve procurare dolore per guarire il malato, è bene che lo faccia. Il proverbio si riferisce spesso a chi prova timore a dare una notizia che farà male, ma che avrà delle conseguenze addirittura peggiori, se non viene detta. Ö mortö nsëgna a ciangiö Il morto insegna a piangere Ci si adatta alle situazioni avverse
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Omö visà, è menzö sauvà Uomo avvisato, mezzo salvato Chi è stato preavvertito di un pericolo, può evitarlo. Önda ghje ciuovö, ghje sceddìca Dove gli piove, gli scivola Si dice di chi è strafottente e rimane imperturbabile anche in situazioni avverse. Önda manca, Dio prövëde Dove vi è miseria, Dio provvede Dove c’è bisogno interviene la Provvidenza divina. Önda nen ce pò ö diavolö, mèttecë na fëŸmena Dove non ci può il diavolo, mettici una donna Le donne sono diaboliche e riescono a risolvere anche le situazioni più difficili. Önda te festë a nvernada, te fai a stasgionada Dove ti sei fatto l’inverno, ti fai l’estate Si usa per dire a una persona che la sua presenza è di convenienza per cui non è gradita. Önda trasë ö ssöö, nen ghje va ö miedegö Dove entra il sole, non ci va il dottore La casa soleggiata garantisce una buona salute ai suoi abitanti. Ö nudö va önda ö ventö ö scömuoghja La persona nuda va dove il vento la scopre I guai ricadono sulla gente che non ha difese o che è povera. Ö patrön sögnö ia, ma n casa cömanda ma möghja Il padrone sono io, ma in casa comanda mia moglie Riferito “all’influenza” sui componenti della famiglia delle donne. Ô peggiö nen c’è maë finë Al peggio non c’è mai fine Possono sempre accadere cose peggiori di quelle sperimentate. Ö pèrderë è comë ö möŸrerë Perdere è come morire La perdita di qualcosa lascia un’amarezza simile a quella che si prova per la perdita di qualcuno. Ö pëscë fetë dâ testa Il pesce puzza dalla testa Quando qualcosa va male, la responsabilità è di chi è a capo. Per esempio, se i figli sono stolti, la colpa viene attribuita ai genitori. Ö pëtitö venë manciandö L’appetito vien mangiando L’espressione, riferita al mangiare, viene spesso estesa al crescere del desiderio nell’ intraprendere qualsiasi altra cosa.
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Ö picca me basta e ö assaë më söpèrchia Il poco mi basta e il troppo mi avanza Lo dice chi si accontenta di quello che ha. Ö primö amörë nen së scorda maë Il primo amore non si dimentica mai Si rimane legati col ricordo a chi si è amato per la prima volta. Ö riccö è riccö pö› “Bonë bon’è”, ö povërö è povërö pö› “Chëstö che è?” Il ricco dice:” Ogni piccola cosa è un bene”, il povero dice:”Questo che è” Il ricco tende a risparmiare, il povero a sperperare. Ö risö bönda nâ böcca dî babbë Il riso abbonda nella bocca degli sciocchi Con questo proverbio vengono identificati coloro che ridono molto frequentemente per cose insignificanti. Ö respieitö è mesurà, chi ö porta l’à pörtà Il rispetto è misurato. Chi lo porta lo riceve Se si rispettano gli altri si è rispettati. Ö sangö nen è eugua Il sangue non è acqua Riferito a capacità o legami personali, che non possono perdere valore. Ö saziö nen crëdö ö degiùn Il sazio non crede a chi ha fame Chi vive agiatamente non capisce i problemi dei poveri. Ö sceccö, quandö se nsegnaö a nen manciarë, möriö L’asino, quando ha imparato a non mangiare, è morto Non bisogna insistere in certi atteggiamenti nocivi perchè si rischia di perdere tutto. Ÿ eselë Ö Signörë manda i bescottë a chi nen avë i ganghë pe rröd Il Signore manda i biscotti a chi non ha molari per roderseli Il Signore aiuta e dà il bene a colui che non ha i requisiti e non ne sa godere, invece di sostenere chi li ha e sa goderne. Ö Signörë nchjödë na porta e grapë n pörticatö Il Signore chiude una porta e apre un portone Se vengono a mancare delle occasioni, ce ne saranno altre migliori. Ö Signörë se nen paga ö vènerë, paga ö sabatö Il Signore se non paga il venerdì, paga il sabato Il Signore non ha un tempo stabilito per intervenire. Ö söverchiö römpö ö cöverciö Il superfluo rompe il coperchio Se si superano certi limiti, diventa tutto intollerabile; l’eccesso causa danni.
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Ö spertö onda va va , ö fissa n casa só Il furbo dove va va, lo sciocco in casa sua La persona furba si trova a suo agio dovunque, la persona stupida si trova male dovunque. O te mancë sta minestra, o te ettë da fenestra O ti mangi questa minestra, o ti butti dalla finestra Il proverbio viene riferito a chi deve compiere qualcosa contro la sua volontà, non avendo altre vie di scelta, una peggiore dell’altra. Ö tëmpö venë pe tuttë Il tempo viene per tutti Il tempo passa veloce per tutti. Ö travaghjö dâ festa, nen ddusgiö e nen te resta Il lavoro della festa, nè ti brilla nè ti resta Bisogna santificare le feste e non lavorare in quei giorni. Ö vecinö è serpentë, se nen te vëdë te sentë Il vicino è come un serpente, se non ti vede ti sente In ogni caso si è spiati dai vicini, che vedono e sentono ciò che accade nel vicinato. Ö verö sördö è chëddö che nen volë sènterë Il vero sordo è colui che non vuole sentire Si dice per la persona che “fa orecchie da mercante” Paisö che vaë, usanza che truovë Paese che vai, usanza che trovi Bisogna adattarsi agli usi e costumi della popolazione ospitante. Panza mia fattë besazza Pancia mia fatti bisaccia Invito a mangiare a volontà davanti a cibo abbondante. Parentë, amara cosa chi nen avë nentë Parenti, sventurato chi non ne ha E’ preferibile avere parenti in quanto ci si sente più sicuri e difesi nei confronti delle avversità. Parentë, serpentë Parenti, serpenti I parenti sono velenosi quanto i serpenti. Pàrlemë nora e sèntemë sògera Parlami nuora e sentimi suocera Si dice quando un messaggio si vuole far pervenire indirettamente ad un’altra persona. Parra pocö, sente assaë, che nen sbaghjë maë Parla poco, ascolta assai, che non sbagli mai E’ un invito a farsi gli affari propri, ma a tenere le orecchie sempre bene aperte.
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Patë chjarë, amicizia ddönga Patti chiari, amicizia lunga Quando gli accordi sono chiari, l’amicizia dura. Pènsala, bedda, prima che la faë, che la cosa pensata è bedda assaë Pensala bella prima che la fai, perchè la cosa pensata è bella assai Prima di intraprendere un’azione è bene riflettere per una migliore riuscita. Pe n sordö scippa l’uoghjë di› Santë Per un soldo strappa gli occhi ai Santi L’uomo avaro è disposto a compiere anche azioni sacrileghe. Pëscë grossö mancia pëscë pëcciddö Il pesce grosso mangia il pesce piccolo In senso figurato, di solito è riferito alle attività economiche. Picca e nentë sö parentë Poco e niente sono parenti Non c’è nessuna differenza tra il possedere poche cose e il non possedere niente. Pighja particölë e caga diavölë Assume ostie ed espelle diavoli Si dice di una donna che apparentemente è religiosa, ma che in realtà si comporta con cattiveria. Pignata taliata, nen bughjë maë Pentola guardata, non bolle mai Si dice quando una cosa che si aspetta non arriva mai. Pö› babö e pö› lagnösö ö Signörë ce pensa settë votë ô jornö Per lo sciocco e per il fannullone il Signore ci pensa sette volte al giorno Il proverbio intende sottolineare che i più deboli hanno maggiore protezione. Pö› tëntö patë ö bonö Per il cattivo patisce il buono Praticando con le persone cattive si diventa diffidenti anche nei confronti delle persone buone. Predìca predicadörö che ö sceccö è nto ddavörö Predica predicatore che l’asino è nel lavoro (= seminato) E’ inutile fare raccomandazioni a chi non vuole dare ascolto ad esse. Quandö a gatta nen c è, i surcë bàlenö Quando la gatta non c’è, i topi ballano Proverbio riferito a qualcuno che, nell’assenza di chi lo comanda, ne approfitta per fare il proprio comodo. Quandö a përa è fatta, cade söla Quando la pera é matura, cade da sola Col passare del tempo le situazioni si chiariscono da sole.
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Quandö a terra suda, ö peccerìddö trema Quando la terra suda, il bambino trema Anche quando c’è caldo il bambino piccolo sente freddo. Quandö a vesgina sta benë, sciaörö te ne venë Quando la vicina sta bene, profumo ti viene La ricchezza di un vicino che vive agiatamente procura benefici a tutti quelli del vicinato e perciò non bisogna guardare con invidia alla sua prosperità. Quandö a vörpë nen po’ rrivé â rracina, dì che é aigrosa Quando la volpe non arriva all’uva dice che è agra Quando non si può raggiungere l’obiettivo, si finge di non essere interessati. Quandö maggiorë c’è, minorë cessa Quando maggiore c’è, minore cessa In presenza di cose più importanti, le meno importanti devono essere messe da parte. Quandö se balla, s’av’a ballarë Quando si balla, si deve ballare Quando si intraprende un’attività (si è in ballo), bisogna portarla fino in fondo. Quandö ö diavolö te ccarëzza, volë l arma Quando il diavolo t’accarezza, vuole l’anima Bisogna stare attenti alle adulazioni, perchè chi blandisce vuole ottenere qualcosa. Quandö ö sceccö nen völë bëvŸ erë, nen c’è besognö de frescöliarë Quando l’asino non vuole bere, non c’è bisogno di fischiettare Quando qualcuno non vuole fare qualcosa, è inutile insistere. Quantö sà ö pazzö n casa só, nen sà ö saggiö n casa de l autë Quanto sa una persona pazza a casa sua, non sa un saggio a casa di altri Si consiglia di astenersi dal mettere il naso nelle faccende private del prossimo, che conosce i fatti di casa propria meglio degli altri. Quatrö uoghjë sö mieghjö de döë Quattro occhi sono meglio di due Si possono meglio valutare i fatti e prendere decisioni importanti, quando ci si può consultare con un’altra persona e cogliere meglio i molteplici aspetti di un determinato fatto. Quantö valë a salutë, nen vanö i sordë Quanto vale la salute, non valgono i soldi La salute è il bene più prezioso. Ricchëzzë e santità, credìtenë mità Ricchezze e santità, credetene la metà Non bisogna credere a chi si vanta di essere ricco e buono. Risö senza rasgiòn, o è de pazzö o de minchjön Riso senza ragione, o è di pazzo o di minchione Ridono senza un motivo solo i pazzi e gli sciocchi. 351
Roma nen se fëŸ na n giörnö Roma non si fece in un giorno Bisogna avere pazienza per raggiungere gli obiettivi. Saccö vacantö nen pò stè â dritta Sacco vuoto non può stare in piedi Proverbio riferito a chi vanta particolari virtù che non ha e finisce ben presto per essere smascherato. Sarva a pezza pe quandö venë ö pertusö Conserva la pezza per quando c’è il buco Conserva l’offesa o la risposta per renderla all’occasione e al momento opportuno. Sbaghja macara ö parrinö a dirë a mëssa Sbaglia anche il prete a dir messa Tutti possono commettere sbagli. Scherze de manö, scherze de viddanö Scherzi di mano, scherzi di villano Le persone che usano le mani non hanno educazione. Se a nvidia fössö guàddera, tuttë fösŸ semö guaddarösgë Se l’invidia fosse ernia, l’avrebbero tutti L’invidia è molto diffusa. Se dicë ö peccatö, ma no ö peccatörë Si dice il peccato, ma no il peccatore Si può raccontare un fatto, ma non il suo autore. Se nen è zuppa, è pan bagnà Se non è zuppa, è pan bagnato Il proverbio viene riferito a qualcosa che, quantunque presentata in modo diverso, sostanzialmente è la stessa. Se n omö avë famë, nen ce darë ö pëscë, nsëgŸ necë a pescarë Se un uomo ha fame, non gli dare il pesce, insegnagli a pescare Bisogna responsabilizzare le persone in difficoltà dando loro dei consigli, non risolvendo i problemi. Ÿ tenö i cornë Se parra dö› diavölö e spön Si parla del diavolo e spuntano le corna Si dice quando, proprio mentre si sta parlando di una persona, questa appare improvvisamente. Se pìghjenö chjù möschë cö na goccia de melë che cö› n barilë de felë Si pigliano più mosche con una goccia di miele che con un barile di fiele Si ottiene di più con la dolcezza che con la scontrosità. Se sapë önda se nascë, ma nen se sapë önda se morë Si sa dove si nasce, ma non si sa dove si muore La morte ci può cogliere in ogni luogo e momento.
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Se sönö rosë, fioriranö Se son rose, fioriranno Dopo alcuni segnali positivi si resta in attesa del compiersi dell’evento. Se stava meghjö, quando se stava peggiö Si stava meglio, quando si stava peggio Nel passato si viveva meglio, nel senso che c’erano più valori anche se c’era più povertà. Sëtë ö sicchiö câ corda Siete come il secchio con la corda Si dice di due amici inseparabili. Se truovë n amigö, truovë n tesorö Se trovi un amico, trovi un tesoro Avere un amico è come avere un grande tesoro. Se voë rrecchirë, fai l artë vilë Se vuoi arricchire, fai i mestieri più modesti. Facendo i mestieri più modesti, ci si arricchisce. Sölità, santità Solitudine, santità La solitudine porta alla santità. Sordë fanö sordë e pedocchië fanö pedocchië Soldi fanno soldi, pidocchi fanno pidocchi Il ricco diventa sempre più ricco e il povero, al contrario, sempre più povero. Sparagna a farina quandö a gissara è chjina, quandö ö föndö parë, nen servë sparagnarë Risparmia la farina quando la madia è piena, quando si vede il fondo è inutile risparmiare Il risparmio si fa quando si ha la possibilità economica. Spettarë e nen veníre, sönö penë de mörírë Aspettare e non venire sono pene da morire Aspettare qualcuno che non viene, è una pena che non si può sopportare. Stendë ö pè, pe quantö ö ddenzuoö tien Fai il passo, per quanto è la tua gamba Non spendere più di quanto hai a disposizione. Suosgera e nora, tempèsta e gragnolë Suocere e nuore, tempesta e grandine I raporti tra suocera e nuora sono sempre turbolenti. Tacca ö sceccö önda vua ö patrön Lega l’asino dove vuole il padrone Attieniti alle disposizioni di chi sta al di sopra di te, anche se non concordi, capisci o apprezzi.
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T’ê spagnarë dö› can che dormë Devi aver paura del cane che dorme Bisogna diffidare delle persone che sembrano tranquille. Talë patrë, talë fighjö Come il padre, così è il figlio Si dice quando si ravvisano caratteristiche simili tra un padre e un figlio. Tantë picca fannö assaë Tanti poco fanno molto E’ un invito a risparmiare partendo dall’accumulo di piccole somme. Tantö stödìa l occeddö maeströ finö che cadö a bedda ntô caneströ Tanto studia l’uccello maestro che la (ragazza) bella cade nella trappola Una persona tanto ci studia finchè fa cadere nella trappola qualcuno. Tantö ntronàö, che chjövìö Tanto tuonò, che piovve Dopo molti segnali negativi, si arriva all’evento preannunciato. Tantö va a quartara a l eugua finö che se rrompë o se sciaca Tanto va la brocca all’acqua finchè si rompe o si crepa Il proverbio ha un doppio significato: può indicare che tanto più uno insiste in un’ idea o fatto che rischia di rimetterci le penne; oppure può alludere al fatto che una ragazza più si mette in mostra più rischia di perdere la sua verginità. Te voë fè amè, fattë desiè Ti vuoi fare amare, fatti desiderare Non bisogna essere sempre disponibili se si vuole essere apprezzati. Tira a petra e muccia a manö Tira la pietra e nasconde la mano Si dice di chi mette scompiglio alludendo a qualcosa, ma poi non esplicita il suo pensiero. Tra moghjë e maritö nen mètterë ö ditö Tra moglie e marito non mettere il dito Non impicciarti dei problemi intimi della coppia, che possono essere giudicati soltanto da marito e moglie. Tra ö dirë e ö farë c’è de menzö ö marë Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare Molte sono le difficoltà tra le parole e l’azione. Tuttë i consighjë pighja, ma ö tò nen ö lasciarë Tutti i consigli piglia, ma il tuo non lo lasciare Bisogna accettare i consigli altrui senza trascurare la propria idea. Tuttö è benë cheddö che fëniscë benë Tutto è bene ciò che finisce bene Si dice a posteriori quando eventi che potevano essere rischiosi hanno avuto buon esito.
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Tuttö ö möndö è paisë Tutto il mondo è paese In tutto il mondo si trovano gli stessi difetti (maldicenza, malignità, meschinità). Vagö pe fem’ a crösgiö e me cavö l uoghjë Vado per farmi la croce e mi cavo gli occhi Cerco di risolvere nel migliore dei modi una situazione ed, invece, la peggioro. Valë chjù n asenö vivö che n döttörë mortö Vale più un asino vivo che un dottore morto E’ preferibile che una persona sia ignorante piuttosto che dotta, ma stressata dal lavoro. Valë chjù na cosa fatta, che centö de farë Vale più una cosa fatta, che cento da fare Bisogna far bene una cosa piuttosto che tante male. Ÿ erë e nen töccarë è na cosa de creparë Vëd Vedere e non toccare è una cosa da crepare Dà molto fastidio vedere una cosa e non poterla toccare. Viegnö dö› mortö e me dì che è vivö? Vengo dalla casa del morto e mi dici che è vivo? E’ rivolto a chi nega l’evidenza dei fatti. Ÿ erë, morta te mandö a salutarë Viva nen te pozzö vëd Viva non ti possa vedere, morta ti mando a salutare Si dice di una persona da cui si vuole stare alla larga. Ÿ gete ô mattin Voi gabbè ö to vësgin? CörŸ chetë prësto e spën Vuoi prendere in giro il tuo vicino? Coricati presto e alzati al mattino Il proverbio evidenzia che i vicini controllano quello che ciascuno fa. Vuoë stëŸ bön? Ddamèntetë Vuoi stare bene? Lamentati Bisogna lamentarsi per raggiungere lo scopo. Za che ö miedegö studìa, ö malatö së ne va Mentre il medico studia, il malato muore Per evitare guai, certe soluzioni devono essere immediate senza pensarci troppo. Zitë cö› zitë, maritë e möghjerë tuttë lë cornë l avitë darrera Fidanzati con le fidanzate, mariti e mogli tutte le corna le avete dietro Il tradimento incombe sulle persone fidanzate o sposate.
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Proverbi didattici Acqua de giugnö cönsöma ö möndö Acqua di giugno rovina il mondo Le piogge nel mese di giugno rovinano i raccolti. A nëö de marzö nen truöva giazzö La neve di marzo non trova spazio A marzo la neve si scioglie subito. A nëö marzödda dura dâ sëira â matina La neve di marzo dura dalla sera alla mattina Il proverbio indica che l’eventuale caduta della neve nel mese di marzo è di breve durata, essendo ormai prossima la primavera. Aprilë, dolcë dormirë, né livarë, né mètterë Aprile, dolce dormire, né levare né mettere Non bisogna cambiare indumenti perchè il tempo in questo mese è instabile. Aprilë, ognë goccia n barilë Aprile, ogni goccia un barile Le frequenti piogge nel mese di aprile sono indispensabili ad un abbondante raccolto di vino. Aprilë scorcia a vieghja pö› ganghìö Aprile scortica la vecchia per il mento Il freddo di aprile è molto pungente. Ariö pegurin, se nen ciuovö uoë ciuovö döman matin Cielo a pecorelle, se non piove oggi piove domani mattina La presenza di cirri indica che la pioggia è vicina. A Töfania, tuttë i festë porta via L’Epifania, tutte le feste porta via Il proverbio utilizza una metafora: la Befana prende le feste, le mette nel suo sacco e le porta via, per dire che con l’Epifania (il 6 gennaio) finiscono le feste di fine anno e d’inizio d’anno. Carnevalë, ognë scherzö valë A Carnevale ogni scherzo vale Bisogna accettare gli scherzi con disinvoltura.
Cielö a pecöreddë, èugua a catenèddë Cielo a pecorelle, acqua a catinelle Quando le nuvole formano cirri, si aspetta pioggia abbondante. Eugua d agöstö, oghjiö, melë e möstö Acqua d’agosto, olio, miele e mosto La pioggia in agosto porta olio, miele e mosto.
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Eugua de Aprilë, frömëntö cö› barrilë Acqua d’Aprile, frumento con il barile Se piove in Aprile si avrà un buon raccolto. Favë e piseddë sö a spia de na bona nada Fave e piselli sono la spia della buona annata La presenza di questi legumi è segno di una prospera annata. Frevarö, frevarettö, freidö, curtö e maledeitö Febbraio, corto e maledetto I rigori dell’inverno si accaniscono in questo mese più corto degli altri, ma simbolicamente più rigido sia per la natura che per l’uomo. Giugnëtö ö frumentö sötta ö lettö Luglio il frumento sotto il letto Luglio è il mese in cui si raccoglie il frumento. Giugnö a faucë n pugnö Giugno, la falce in pugno A giugno è tempo di mietere il grano. Göstö rregöstö capö de nvernö Agosto inizio d’inverno Con il mese d’agosto inizia l’inverno. Jenarö fa i gnei, frevarö fa i pei Gennaio fa gli agnelli, febbraio fa le pelli A gennaio nascono gli agnelli, in febbraio si uccidono. L eugua de Jenarö inchjö ö granarö L’acqua di Gennaio riempie il granaio Le piogge di gennaio servono a far sì che cresca il grano. Maggiö ortölanö, tanta paghja e pocö granö Maggio ortolano, tanta paglia e poco grano E’ un proverbio riferito al comportamento del tempo per cui la pioggia eccessiva nel mese di maggio è considerata molto sfavorevole a un buon raccolto di grano. Marzö sciutö, frumentö pe tutë Marzo asciutto, frumento per tutti Se nel mese di Marzo non piove il raccolto di frumento sarà abbondante per tutti. Natalë ô söö, Pasqua ô tizzön, chëstö è ö sëgnö da vera stasgiön Natale al sole, Pasqua all’oscuro, questo è un segno della vera stagione. Ö freidö de Marzö scorcia a vieghja ntô giazzö Il freddo di Marzo scortica la vecchia nel giaciglio Il freddo di marzo è così pungente che toglie con la morte la persona anziana dal suo letto.
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Ö freidö de Aprilë se n fila nto cornö dö› bò Il freddo di Aprile s’insinua tra le corna del bue Il freddo del mese di Aprile è pungente. Pâ Candelora a nvernada è fuora: ma se fuora nen è, n autë quaranta jornë ghjë n è Per la Candelora l’inverno è fuori: ma se fuori non è, altri quaranta giorni ce n’é Il 2 febbraio (festa della Madonna della Candelora) l’inverno è terminato; ma, se non è terminato, durerà ancora per 40 giorni. Pe San Martin, castagnë e vin Per San Martino, castagne e vino Si festeggia San Martino (11 novembre) mangiando castagne e buon vino nuovo. Pe San Martin tuttö ö möstö devënta vin Per San Martino tutto il mosto diventa vino L’11 novembre si assaggia il vino nuovo. Pî Mortë, a nëö pî pörtë Nel periodo dei defunti il freddo è vicino Per i morti incomincia l’inverno. Quandö canta ö merlö, sëmö â finë dö› nvernö Quando canta il merlo, siamo alla fine dell’inverno E’ il merlo ad indicarci quando termina la brutta stagione. Se chiovë i primë de maggiö, nöcë e fichë fanö n bonö viaggiö Se piove i primi di maggio, noci e fichi faranno buon viaggio Si potrà avere un buon raccolto di noci e fichi, se ci saranno piogge nei primi giorni di maggio. Sötta a nëvë panë, sötta l acqua famë Sotto la neve pane, sotto l’acqua fame Se la terra seminata a grano viene coperta di neve il raccolto sarà copioso, se bagnata dalla pioggia il raccolto non sarà dei migliori. Zappa a vigna n Agöstö, se voë avërë bon möstö Zappa la vigna d’Agosto, se vuoi avere buon mosto Si potrà avere un buon mosto, se si zappa la vigna nel mese di Agosto.
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6. Canti popolari “ripescati nel grande mare della memoria”
Fanno parte della nostra tradizione i canti popolari, quei canti che non hanno un autore, un nome, un cognome, una data, che non rientrano nelle opere di personaggi famosi, ma che ancora oggi mettono i brividi, perché quelle storie non sono state costruite, ma sono state vissute. Chi le ha cantate non ha fatto altro che dire e raccontare le sue emozioni, la sua storia, i suoi sogni cercando il canto per farlo. Sono storie semplici che raccontano qualcosa, che cantano di amore, di lavoro, di tristezza, di partenze, di paure e di attimi che sembrano sospesi nel tempo e che si lasciano raccontare come le favole, con una semplicità che qualche volta si fa rimpiangere. I canti popolari, brevi ed immediati, nati dall’improvvisazione e dall’estro di un momento, autentici, genuini, hanno costituito per secoli il materiale culturale che veniva trasmesso ai figli. Traendo spunto dai diversi momenti della vita quotidiana (l’infanzia, la fanciullezza, l’amore, il lavoro, la fede, ecc.) rappresentano la testimonianza più compiuta della vita nicosiana. Sin dall’infanzia i bambini venivano educati al canto con ninne nanne, sussurrate dalle nonne o dalle mamme, che con concetti semplici e delicati cercavano di offrire ai bambini un sonno sereno manifestando nello stesso tempo anche i propri sentimenti di affetto e di amore per lui. Divenuti più grandicelli i ragazzi ripetevano più volte filastrocche che movimentavano, caratterizzavano e davano ritmo ai loro giochi che si svolgevano nelle strade, nei vicoli e nelle piazzette. Talvolta, anche gli adulti recitavano filastrocche specie quando si aveva paura dei temporali, o per farsi coraggio, o per mettere alla prova la memoria oppure semplicemente per scherzare, per rilassarsi. E con serenate intonate sotto i balconi o le finestre i giovani, a notte fonda, corteggiavano le ragazze ed esprimevano i loro primi moti del cuore, decantando la bellezza dell’amata o indicavano la rottura del corteggiamento lanciando veri e propri insulti. Con i canti gli uomini accompagnavano le dure fatiche dei campi e le donne il lavaggio dei panni nei torrenti o nei lavatoi. Con canti religiosi e con preghiere le famiglie di un tempo (che è ormai lontano) esprimevano la devozione, la pietà, la gratitudine, l’accettazione della volontà divina, ed una religiosità estremamente semplice, nata dal bisogno di entrare in contatto diretto con Dio, di esprimere la propria fede autentica secondo il proprio modo di capire, di sentire, di percepire, di essere. Sono preghiere fiorite sulle labbra della gente in situazioni ben precise che vanno dalla supplica nel momento del bisogno, al ringraziamento nei momenti di gioia, dall’ammirazione verso Gesù Bambino, alla profonda commozione per il Cristo sofferente; dalla devozione ai Santi, al tenero amore per Maria invocata con più titoli. Noi non abbiamo fatto altro che raccogliere ciò che resta di questi vecchi canti che perdono i pezzi da tutte le parti, che hanno i verbi in disordine, gli avverbi storpiati, tentando la difficile opera di ricostruzione di una piccola opera d’arte, cercando di capire che forse c’era una strofa in più che adesso nessuno si ricorda, di intuire che quella parola una volta era un’altra, dimenticata o semplicemente ascoltata male. Abbiamo ascoltato e riascoltato i brani dalla fioca voce degli anziani, trascritto le parole con una matita in mano, cercando di ritrovare il brandello di quelle storie tra parole incomprensibili, “mangiate” dal tempo e di dare una nuova luce a quelle storie, rivestendole di quell’abito che hanno perduto, con la speranza di trasmettere quell’atmosfera che abbiamo avvertito quando le abbiamo ascoltate. Abbiamo così recuperato tracce di antiche voci che raccontano la nostra terra, la nostra vita, la nostra storia, che sono state tramandate da padre in figlio, da nonna a nipote, ma che col tempo erano diventate una piccola eco che solamente gli anziani ormai ricordavano, perchè oggi i figli e i nipoti (purtroppo!) corrono troppo e non hanno il tempo per sedersi un momento a imparare canti. Sempre meno le mamme cantano le tradizionali ninne359
nanne ai loro bambini per conciliare il sonno o giocano con loro dondolandoli a cavalcioni sulle proprie gambe; le strade non sono più allietate dal vocio allegro di ragazzi che accompagnano i loro giochi con filastrocche, né da serenate che cantano l’amore passionale e struggente o la bellezza della donna amata, paragonata ora ad una stella, ora a un fiore. Di tante nenie, di tante filastrocche, delle moltissime canzoni d’amore o di dispetto, di questo immenso patrimonio, espressione di una civiltà, è rimasto un labile ricordo. Ma quel poco che resta, a nostro parere, va salvaguardato e diffuso tra i giovani per non recidere quel sottile legame che unisce ancora le generazioni in questo fortunato angolo del mondo
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NINNE NANNE Stella stellina
Ninna…o! Ninna…o!
Stella stellina, la notte s’avvicina, la fiamma traballa la mucca è nella stalla, la mucca e il vitellino la pecora e l’agnellino, la chioccia e il pulcino, ognuno ha il suo bambino, ognuno ha la sua mamma e tutti fan la nanna!
Ninna…o! Ninna…o! questo bimbo a chi lo dò? Se lo dò alla befana me lo tiene una settimana; se lo dò all’omo nero me lo tiene un anno intero; se lo dò al lupo bianco me lo tiene tanto tanto. Lo darò alla sua mamma che lo mette a far la nanna!
Fai la nanna trottolino
Ninna nanna , ninna oh!
Fai la nanna trottolino che la mamma è qui vicino. Tanti sogni e cose belle mentre brillano le stelle e ti fanno compagnia ninna o!, dolcezza mia.
Ninna nanna , ninna o dormë bimbö e fai la o, se me fighjözzö nen volë dormirë bastonateddë sa quantö n’av’âërë e n ‘av’âvërë ‘n quantità tutto lö benë de mamma e papà.
I bravi bambini
Ninna nanna ai quattro venti
Quando è l’ora di fare la nanna, sai che fanno i bravi bambini, lasciano i giochi e vanno da mamma che li accompagna a lavare i dentini; poi si mettono il pigiamino e si addormentan piano pianino con la preghiera a Gesù Bambino.
Ninna nanna ai quattro venti il mio bimbo ha messo i denti. Ninna nanna ninna o! Questo bimbo a chi lo do?
FILASTROCCHE Domani è domenica
Il contadino e il chicco di grano
La lavanderina
Dömanë è dömëneca taghjamö a testa a Mineca e Mineca nen c’è a taghjamö ö› re. Ö re è malatö a taghjamö ö› sordatö. Ö sordatö fa a guerra panza all’aria e culö n terra.
Il contadino parla al chicco: Chiccolino dove stai? - Sotto terra, non lo sai? Chiccolino non fai nulla? - Dormo dentro la mia culla!! Dormi sempre, ma perchè? - Voglio crescer come te!!! E quando crescerai, Chiccolino, che farai? - Una spiga metterò: tanti chicchi ti darò!
La bella lavanderina che lava i fazzoletti per i poveretti della città. Fai un salto fanne un altro fai la riverenza fai la penitenza guarda in su guarda in giù dai un bacino a chi vuoi tu.
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Gli elefanti
La Peppina
La notte di Natale
Un elefante si dondolava sopra il filo di una ragnatela e considerando la cosa interessante andò a chiamare un altro elefante. Due elefanti si dondolavano sopra il filo di una ragnatela e considerando la cosa interessante andarono a chiamare un altro elefante. Tre elefanti si dondolavano sopra il filo di una ragnatela e considerando la cosa interessante andarono a chiamare un altro elefante. Quattro elefanti
Uno due tre la Peppina fa il caffè fa il caffè di cioccolata la Peppina l’è mezza matta si è ammalata di gran dolore ha chiamato il dottore il dottore con le ciabatte qui mi duole e qui mi batte qui mi sento una gran pena signor dottore senza cena.
La notte di Natale è nato un bel bambino bianco, rosso e tutto ricciolino. Maria lavava, Giuseppe stendeva e il bimbo piangeva dal freddo che aveva. Stai zitto, mio figlio che adesso ti piglio; pane non ho ma latte ti do. La neve sui monti cadeva dal cielo e Maria col suo velo copriva Gesù.
Rondinella
I mesi
C’era una volta un re
Rondinella bassa bassa, prega Dio che venga l’acqua, rondinella del Signore, prega Dio che venga il sole: prega Dio che venga presto… ecco là che viene adesso.
Trenta giorni ha novembre con aprile giugno e settembre di ventotto ce n’è uno, tutti gli altri ne han trentuno.
C’era una volta un re seduto sul sofà che disse alla sua serva: raccontami una storia; e la serva incominciò: “C’era una volta un re...”
Lucciola lucciola
Chicchirichì
La befana
Lucciola lucciola vien da me Ti darò il pan del re, il pan del re e della regina lucciola lucciola vien vicina!
Chicchirichì galletto zoppo, chicchirichì chi l’ha azzoppato? Chicchirichì fu la massaia, con un sasso in mezzo all’aia.
La befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, col vestito alla romana. Viva viva la Befana!
Domani è festa
Cavallin arrì arrò
Domani è festa si mangia la minestra; la minestra non mi piace si mangia pane e brace; la brace è troppo nera si mangia pane e pera; la pera è troppo bianca si mangia pane e panca; la panca è troppo dura si va a letto addirittura.
Cavallin arrì arrò, piglia la biada che ti do, piglia i ferri che ti metto per andare a San Francesco; a San Francesco c’è un altare con tre monache a cantare, ce n’è una più vecchietta Santa Barbara benedetta!
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Chiocciola chiocciola
San Michele
Chiocciola chiocciola marinella, metti fuori le cornella, e se non le metterai mille pene patirai!
San Michele aveva un gallo bianco rosso verde e giallo, e per farlo cantar bene lo nutriva a latte e miele.
Din don campanon
A, bi,ci
Din don campanon Quattro vecchie sul balcon: una che fila, una che taglia, una che fa i cappelli di paglia, una che fa i coltelli d’argento per tagliare la testa al vento.
A, bi, ci, la mia gatta mi fuggì, mi fuggì su per un pero gambe torte e muso nero!
Le feste di Dicembre
Le feste di Dicembre
Ö quattrö Barbàra, ö sei Nicola, ö ottö Maria, ö trëdecë Lucia, ö vintecincö ö verö Mëssia
Il quattro Santa Barbara, il sei San Nicola, l’otto Santa Maria (Immacolata), il tredici Santa Lucia, il venticinque il vero Messia.
Gesù morto
Gesù morto
Darrera na petra vecinö de l ortö va’ vëdelö lö noströ Gesù che è mortö. Se sentë pe l aria na bella armonia lodàmö na Diö, Giuseppë e Maria
Dietro una pietra vicino all’orto va a vedere il nostro Gesù che è morto. Si sente per l’aria una bella armonia lodiamo Dio Giuseppe e Maria
La settimana del lavoratore Il lunedì è giorno di baldoria così dice la storia, non vado a lavorar; il martedì mi sento ancora stanco, mi siedo sulla panca, non vado a lavorar; il mercoledì ho perso il mio cappello, avevo solo quello, non vado a lavorar; il giovedì è giorno di mercato sarebbe un gran peccato andare a lavorar; il venerdì è proprio il giorno buono ma per un giorno solo non vado a lavorar; il sabato è giorno di vigilia, sarebbe meraviglia non andare a lavorar. Arriva la domenica, mi metto al balcone e aspetto il padrone che mi viene a pagar. Arriva il padrone tutto arrabbiato: Tu non hai lavorato! Vattene via di qui!
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La vispa Teresa La vispa Teresa avea tra l’erbetta a volo sorpresa gentil farfalletta. E tutta giuliva stringendola viva gridava, gridava: “L’ho presa! L’ho presa!” A lei supplicando l’afflitta gridò: “Vivendo volando, che male ti fo? Tu sì mi fai male stringendomi l’ale. Deh, lasciami, anch’io son figlia di Dio”. Confusa, pentita, Teresa arrossì. Dischiuse le dita e quella fuggì.
SERENATE Serenata 1 ª Serenata 1 ª Mi misi a camminare ticche ticche Me mesë a caminarë ticchë ticchë dietro la tua porta mi fermai. darrera la to porta me fermaë. Mi misi a camminare ticche ticche Me mesë a caminarë ticchë ticchë dietro la tua porta mi fermai. darrera la to porta me fermaë. Dietro la tua porta mi fermai Darrera la to porta me fermaë tu mi sembrasti bella e io t’amai. tu me paristë bedda e ia t’amaë. Chi è la mamma di questa figlia bella Chi è la mama de sta fighja bedda Le dico se mi vuole sposare. ce dicö se m’a volë maritarë. Specchio degli occhi miei quanto sei bella Specchjö de l’ochjë mie quantö sei bedda mi si volta e si gira il cervello me se vota e se gira la medödda. Bella quando ti vedo da lontano Bedda quandö te vëdö de löntanö sangue non me ne resta nelle vene. sangö nen me ne rresta nta le vënë. E non ci può Dio e neanche i santi E nen ce po nè Diö e mancö le santë togliermi questa bella dalla mente livàremë sta bedda de la mentë. Quanto sei bella, sia lodato Dio Quantö sei bedda, sia lodatö Diö quanto più cresce più bella mi pare. quantö chjù crëscë chjù bedda me parë. Non c’è pittore né senso che basta Nen c è pittöre nè senziö che basta per fare un’altra donna uguale a voi pe fare n autra donna uguale a vöë. Nel petto tuo c’è l’aggancio Nta lö pettözzö to c’ene lö ngastö e nella fronte il sole d’agosto. e nta lö frontö lö sölë d’agöstö. Bella di faccia e bella di colore Bedda de faccia e bedda de cölörë simpatica sei nel parlare. geniösedda sëë na lö parrarë. O vaso di garofano a bottone O crasta de garofanö a böttönë sempre ho con te il pensiero. sempö l aiö cö tia l’opinionë. Quanto sei bella profumo di ginestra Quantö sei bedda sciorö de genestra se mi vuoi bene affacciati alla finestra se me voi benë faccia a la fenestra. Quando ti vesti e te vai a messa Quandö te vestë e te ne vai a la mëssa fai la figura di una baronessa fai la cömparsa de na barönëssa. Quando ti pigliavi l’acqua benedetta Quandö te pighjavë l’acqua benedëtta la fonte era di marmo e tremava la fontë era de marmörö e tremava. Il prete che diceva la messa Lö parrineddö che decìa la mëssa vide le tue bellezze e si voltava. vistë le toë beddëzzë e se votava. E tu che dormi in questo letto fine E tu che dormë nta stö lettö finö a me fuori mi uccide il sereno. a mia fora me mazza lö serenö. La neve mi sembrava una cotonata La nëvë me paria na cötönata il tuo gradino un materasso di seta lö to scalönë ‘n chiömazzö de sëta. (La chitarra e il mandolino suonano il motivo (La chitarra e il mandolino suonano il motivo senza parole per la durata equivalente senza parole per la durata equivalente all’esecuzione di una strofa) all’esecuzione di una strofa) Scusa, bella, perché ci siamo fermati Scusa, bellina, che n’amö fermatö cè stata una rottura dell’organetto ci à statö na röttura a l organetö Ora di nuovo mi metto a cantare Ora de nuovö me mettö a cantarë comincio a prima sera fino a giorno cömënciö a prima sëra fin’a jornö. La buona sera ti vorrei dare La bonasëra te völëssë darë da te non mi vorrei allontanare de tia nen me völëssë löntanarë La buona sera ti vorrei dare La bonasëra te völëssë darë bella questa bocca ti vorrei baciare. bedda sta böcca te völia basarë. Se tu ti pigli me è la tua fortuna Se tu te pighjë a mia è la to sortö 364
che nottë e jornö te balö davantö Se tu te pighjë a mia è la to sortë te tegnö comö l orö nta le cartë Te tegnö comö l orö nta le cartë comö l argentö de le vetriatë. Armë de pregatoriö, pregatë facitemë renescerë sta zzita. Facitemë renescerë sta zzita ve fazzö dirë trëë mëssë cantatë. Se volë Diö che ne iönceremö sa quantë paröleddë t’aia dirë. Sa quantë paröleddë t’aia dirë e quantö t’aia strëncerë e basarë. E quantö t’aia strëncerë e basarë nen t’abandonerò mancö se morö. Nen t’abandonerò mancö se morö costö che la mia vita se perdëssë.
perché notte e giorno ti ballo davanti Se tu ti pigli me è la tua fortuna ti tengo come l’oro dentro le carte Ti tengo come l’oro dentro le carte come l’argento delle vetrate. Anime del purgatorio, pregate fatemi riuscire questa fidanzata. Fatemi riuscire questa fidanzata vi faccio dire tre messe cantate. Se vuole Dio che ci uniremo chissà quante parolette ti devo dire. Chissà quante parolette ti devo dire. e quanto ti devo stringere e baciare. E quanto ti devo stringere e baciare non ti abbandonerò neanche se muoio. Non ti abbandonerò neanche se muoio a costo di perdere la mia vita.
Serenata 2 ª
Serenata 2 ª
Sögnö venutö de lontanö. via, sögnö venutö seriö pe vöë fàccetë dâ fenestra gioia mia, quandö passö de cà e nen vëdö a vöë l arma me nëscë e ö corë me brama, fermetë pedë miö, nen ndarë avantë, vegnö a cantarë seriö pe vöë bela ce sëtë e ve l ana dirë, sëtë geniosa e ve l ana dirë sëtë geniosa finö ö› parlarë. Stë capiddë che ntesta tenitë sö comö ö sciöriddö de la lastra. Sëtë chjù bella dö› sölë e dâ luna. Vöë sëtë bela nen se nega nentë ma vostra sorela é chjù bela de vöë.
Sono venuto da lontana via, sono venuto seriamente per voi affacciati alla finestra gioia mia, quando passo di qui e non vi vedo l’anima mi esce e il cuore desidera, fermati piede mio, non andare avanti, vengo a cantare seriamente per voi bella ci siete e ve lo devono dire siete affascinante e ve lo devono dire siete affascinante finanche nel parlare Questi capelli che in testa tenete sono come il profumo della ginestra. Siete più bella del sole e della luna. Voi siete bella non si nega niente ma vostra sorella è più bella di voi.
Serenata 3 ª
Serenata 3 ª
De sta porta sta serata sögnö venutö a seriö pe tia pâ rraggia de to mamma che nen volë. Stë cosë l ama farë quantö prima. Se voi saperë a strata ch’ ai farë: vicinö dö pontë a la Perciata. Canzönë te n aiö dittö quattröcentö sperö che chësta l urtema sarà.
Da questa porta questa sera sono venuto seriamente per te per collera di tua madre che non vuole. Queste cose dobbiamo farle quanto prima. Se vuoi sapere la strada che devi fare: vicino al ponte della Perciata. Canzoni te ne ho detto quattrocento spero che questa l’ultima sarà
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Serenata 4 ª
Serenata 4 ª
Se te ne voë venirë te ne venë ma panë ntô casciönë nen ce n enë. Beddözza le facistë quindecë annë, le sëdecë annë le faraë cö mia s’avessë lavancare la to casa to mamma nintra e tu fora cö› mia. Quandö nasciste tu, fu mala annada to mamma te nfasciaö nta na besazza pe fasciatura na cinghia du mulu. Comö aia farë ca nottë nen dormö semprë pensandö a tia, botta de sangö
Se te ne vuoi venire te ne vieni ma pane nel cassetto non ce n’ è. Bella hai fatto quindici anni i sedici anni li farai con me si dovrebbe distruggere la tua casa tua mamma dentro e tu fuori con me. Quando sei nata tu è stato un cattivo anno tua mamma ti ha fasciato dentro una bisaccia per fasciatura una cinghia di mulo. Come devo fare che la notte non dormo sempre pensando a te, botta di sangue.
Serenata 5 ª
Serenata 5 ª
Rrivandö nta lö portö de Messina scrivö na letterina e te la mandö. Se tu benë me voë, n pettö la tenë chëstö è regordö de lö noströ amörë. Quantö sëë bela ricciolina cara, cö stë capiddë toë formë na navë, bela, passassë acqua senza pontë, pe venirë na tia, donna legantë. Darrera de sta porta sta serata sëë comë na rosa cölörita che se da tia me rrivö a pighjarë tutta sta strada l aia nfiorarë che de rosë e violë l aia coprirë sötta ce passa e spassa lö tò amantë. Se voë sapërë a strata ch ai farë sö quattordecë chilometrë quadratë de San Mechelë te n ai chianarë a Santa Maria. A Santa Maria ce sö le portë de la tramöntana tu ddocö troveraë a to förtuna. Quandö te mudë e te ne vai a la mëssa fai na comparsa de na barönëssa. Lö parrineddö che dicia la mëssa vedia lë toë beddezzë e se girava. Facciamë, bela, de sta fenestra, tantö l aia girarë sta vanedda finö che t’aia nescerë a la spadda. Canta lö gallö söpra l’apönia che sëë a chjù bedda de Santa Maria.
Arrivando al porto di Messina scrivo una letterina e te la mando. Se tu bene mi vuoi, in petto la tieni questo è ricordo del nostro amore. Quanto sei bella ricciolina cara, con questi capelli tuoi formi una nave, bella, passerei acqua senza ponte, per venire da te, donna elegante. Dietro questa porta questa sera sei come una rosa colorata e se ti arrivo a prendere tutta questa strada la devo infiorare di rose e viole la devo coprire sotto ci passa e spassa il tuo amante. Se vuoi sapere la strada che devi fare sono quattordici chilometri quadrati da San Michele te ne devi salire a Santa Maria. A Santa Maria ci sono le porte della tramontana tu lì troverai la tua fortuna. Quando ti vesti elegante e te ne vai a messa sembri una baronessa. Il prete che diceva la messa vedeva le tue bellezze e si girava. Affacciati, bella, da questa finestra tanto lo devo girare questo vicolo finchè ti devo uscire sulle spalle. Canta il gallo sopra la stia che sei la più bella di Santa Maria.
Serenata 6 ª
Serenata 6 ª
Quandö t amava ia, tu erë bedda erë comë n canolö d acqua chjara. Ora me parë na beveratöra chi passa passa se lava le manö.
Quando ti amavo io, eri bella eri come un cannolo d’acqua chiara. Ora mi sembri un bevaio chi passa passa si lava le mani.
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Serenata 7 ª
Serenata 7 ª
Vaiö de nottë comö lö cunighjö e cercö de ngaghjarë a vostra fighja. Lö cönighjözzö nta la rrëda ngaghja cössì ai’a ngaghjarë a vostra fighja. Se ia pe sortë te rrivö a ngaghjarë quantö t’ai’a strëngerë e basarë che me l’aë dirë tu : “Lasciamë andarë”. L avësser’a mmazzarë na to mama che nen te manda â Mëssa de Nona. Se te mandava a Mëssa de Nona te ce pörtava ia a passiarë. S’ avëssa lavancarë sta casözza to mama intra e tu fora cö mia. Ora c’amö fenutö de cantarë scenditë cö le tazzë e le beccherë scendite cö le tazze e le beccherë lö canestreddö cö le cose döcë.
Vado di notte come il coniglio e cerco di catturare vostra figlia. Il coniglietto nella rete s’impiglia così devo catturare vostra figlia. Se io per caso arrivo a catturarla quanto ti devo stringere e baciare che me lo devi dire tu: Lasciami andare. Dovrebbero ammazzarla tua madre che non ti manda alla messa di mezzogiorno. Se ti mandava alla messa di Nona ti ci portavo io a passeggiare. Si dovrebbe distruggere questa casetta tua mamma dentro e tu fuori con me. Ora che abbiamo finito di cantare scendete con le tazze e i bicchieri scendete con le tazze e i bicchieri il canestrello con le cose dolci.
Serenata 8 ª
Serenata 8 ª
Quantö sëë bedda fighja de massarö che vaë vestuta de scögighjë d’orö tu sëë la rosa e ia lö pedecöddö para lö ditö e te nfilö l aneddö Faccia de stö barcönë e fa n söspirö cö lö miö fazzöletö lö rrëparö. Ntësë cantarë na necösciota e a lö cantarë che facia la nota se la sento cantarë n’autra vota edda pizza l onörë e ia la vita. Quandö nascistë tu, nasciö na rrosa lö sciorö se sentia de la me casa. Tutö lö möndö aiö nförriatö tu söla sëë ngastata a lö me corë. Ogë e dömanë me fazzö la cura dömana sëra te vegnö a cantarë. Ste capiddözzë che tenitë n testa sö comö le sciöriddë de la lastra. Quand era picolino nta le fascë l amörë me diceva “Crëscë crëscë” chi me basava e chi me se strengia e chi nta lö so letö me völia. Ora che sögnö beddö rrenesciutö nuddö che dicë “Cörchetë cö mia”. To matrë a nötricatö sa latuca ia me l ai’ a manciarë sta nsalata. Se tu pe sortë a le me manë ngaghjë tutë le toë beddezzë le scömboghjö.
Quanto sei bella figlia di massaro che vai vestita di scaglie d’oro tu sei la rosa ed io il peduncolo dammi il dito e ti infilo l’anello Affacciati da questo balcone e fa un sospiro con il mio fazzoletto lo riparo. Ho sentito cantare una nicosiana e al cantare che faceva la nota se la sento cantare un’altra volta lei perde l’onore ed io la vita. Quando sei nata tu, è nata una rosa il profumo si sentiva dalla mia casa. Tutto il mondo ho girato tu sola sei incastonata nel mio cuore. Oggi e domani mi faccio la cura domani sera vengo a cantare a te. Questi capelli che tenete in testas sono come i fiorellini della ginestra. Quand’ero piccolino nelle fasce l’amore mi diceva “Cresci cresci” chi mi baciava e chi mi si stringeva e chi nel suo letto mi voleva. Ora che sono ben grande nessuno che dice “Coricati con me”. Tua madre ha curato questa lattuga io me la devo mangiare questa insalata. Se tu per caso nelle mie mani capiti tutte le tue bellezze le scopro. 367
CANZONI POPOLARI Cara Marözza
Cara Marözza
Cara Marözza sèttetë che te da dì na cosa tu sëë comö na rosa te vuoghjo maridé. Te vua ö fighjö de don Iachinö che comö n signörinö da tu se vo pighjé.
Cara Marözza Siediti che ti devo dire una cosa Tu sei come una rosa Ti voglio sposare. Ti vuole il figlio di don Gioacchino che come un signorino a te si vuole prendere.
Papà com é possibölö na fighja de massarö pighiëssë na ‘mpezzarö chi gambë a scicchë e sciò?
Papà come è possibile una figlia di massaro prendersi uno straccione con le gambe a scicche e scio?
Diantenë diantenë che tu te l ai pighjé! Diantenë diantenë che tu te l ai pighjé!
Diavolo, diavolo tu te lo devi prendere! Diavolo, diavolo tu te lo devi prendere!
Canto dell’emigrante
Canto dell’emigrante
1ª Strofa Lasciaë a terra mia che è tutta solë pe ndarë assaë löntanö a travaghjarë, all’esterö ia fazzö ö minatörë però nen voghjö starë sempre cà., na mia terra voghjö retörnarë cöntentö pozzö starë sölö ddà. Ritornello Travaghjö e pensö semprë ö› miö amörë na picciöttëdda che me spetta ddà, travaghjö pe cöcchiarë le denarë perché me voghjö maritarë. E’ veramentë trista cà la vita, ö cielö è semprë nuvolatö, ma quandö pensö n pocö a la mia zita më parë che ö sölë già spöntaö. Travaghjö e pensö semprë ö› miö amörë na picciöttëdda che me spetta ddà, travaghjö pe cöcchiarë le denarë na la mia terra voghjö retörnarë. 2ª Strofa Jorna e scura, jorna e scura e semprë pensö â Nëcoscìa mia, e ö miö corë semprë spetta e spera che n jornö tornö nta la mia Cità. Ddö jornö ce sarà na festa randa randa de verö amörë e de felicità. Finale Na la mia terra io voghjö retörnarë.
1ª Strofa Lasciai la terra mia che è tutta sole per andare assai lontano a lavorare, all’estero io faccio il minatore però non voglio stare sempre qua, nella mia terra voglio ritornare contento posso stare solo là. Ritornello Lavoro e penso sempre il mio amore una ragazza che mi aspetta là, lavoro per raccogliere i soldi perché mi voglio sposare. E’ veramente triste qui la vita, il cielo è sempre annuvolato, ma quando penso un poco alla mia fidanzata mi sembra che il sole è già apparso. Lavoro e penso sempre il mio amore una ragazza c’è che aspetta me, lavoro per raccogliere i soldi nella mia terra voglio ritornare. 2ª Strofa Fa giorno e diventa notte, fa giorno e diventa notte e sempre penso alla Nicosia mia, e il mio cuore sempre aspetta e spera che un giorno torna nelle mia città. Quel giorno ci sarà una festa grande grande di vero amore e di felicità. Finale 368
Canto dell’emigrante
Canto dell’emigrante
1ª Strofa Ia sögnö necosianö e staio â Mereca, lasciaë a terra mia pe travaghjarë, me fecë cö›› travaghjö le denarë ma pensö a Necosìa n verità.
1ª Strofa Io sono nicosiano e sto in America, lasciai la terra mia per lavorare, mi feci con il lavoro i denari ma penso a Nicosia in verità.
Ritornello Necosìa bedda, Necosìa mia, te pensö semprë cö nostalgia e forsë n jornö, Necosìa mia, vegnö na tia pe nen parterë chjù.
Ritornello Nicosia bella, Nicosia mia, Ti penso sempre con nostalgia E forse un giorno, Nicosia mia, vengo da te per non partire più.
2ª Strofa Ce so tantë rrichezzë nta sta Mereca però ia pensö a Necosìa mia, se nchiödö l occhjë cö la fantasìa, me parë che ia sögnö propiö ddà.
2ª Strofa Ci sono tante ricchezze in questa America però io penso a Nicosia mia, se chiudo gli occhi con la fantasia, mi sembra che io sono proprio là.
Ritornello
Ritornello
Canto della madre dell’emigrante
Canto della madre dell’emigrante
Löntanö tu partistë a travaghjarë fighjözzö miö e pensö semprë a tia, e së ngöstìa tantö ö miö corë sta löntananza malë assaë me fa.. Ritornello E pregö, pregö semprë ö Signörözzö pe tia fighjözzö miö, che staë löntanö e d’ ognë malë Eddö t’av’a guardarë e prestö cà t’av’a farë retörnarë. Partistë n jornö tu pe la stranìa cercandö de trövarë la förtuna, ma pensa che ia spettö semprë a tia, e matrë n aë sölamentë una.
Lontano tu partisti a lavoarare figlio mio e penso sempre a te, e si addolora tanto il mio cuore questa lontananza male assai mi fa. Ritornello E prego, prego sempre il Signore per te figlio mio, che stai lontano e da ogni male Lui ti deve guardare e presto qui ti deve fare ritornare. Partisti un giorno tu per la terra straniera cercando di trovare la fortuna, ma pensa che io aspetto sempre te, e madre ne hai solamente una.
S. Nicola e l’Immacolata
S. Nicola e l’Immacolata
E viva Diö e Santa Nicola la paghja è fatta e l’armalözzë fora. E che bella sta vötata viva Diö e la Mmaccölata. Léstetë, bedda, ca l’ama farë a paghja bala, balerina, che io te sonö .
Evviva Dio e San Nicola la paglia è fatta e gli animali sono fuori. Che è bella questa rotonda evviva Dio e l’Immacolata. Sbrigati, bella, perché dobbiamo far la paglia balla, ballerina, che io ti suono
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Il fazzolettino Dammi o bella il tuo fazzolettino, te lo stiro con ferro a vapore dammi o bella il tuo fazzolettino te lo stiro con ferro a vapore vado alla fonte e lo vado a lavar ogni pieghina un bacino d’amor te lo lavo con acqua e sapone te lo porto di sabato sera te lo lavo con acqua e sapone te lo porto di sabato sera ogni macchietta un bacino d’amor quando papà e mamma non c’è.
CANTI RELIGIOSI Ninna nanna dô Bambinözzö
Ninna nanna del Bambino Gesù
Fujö tutë carösgetë che nascëtö ö Sarvatörë ncoutelëvë cö se sciarpëtë e recuoghjö na pocö de sciarë. Sona sona stö fiscalettö e da tutë fallö savé E chi sölë e chi a bracettö do Bambinözzö ndëma a trövé Sentö sentö che bedda vosgjë erö Gesözzö che vö parré scoutëlö tutë viautë carösgë ve sta ciamandö pe ndè a giughé. Fujö fujö ö peguriërö da Gesözzö va a trövé nen spetërö che cöla ö sierö ddascelö perdö e vallö a döré. Gh’jera ö poverö sambatarö che nen sà che ghj’a pörté pighja l’uovë de to panarö sö freschë freschë se ponö sörbé. ‘Nta maiddota ö pan stà mpastandö na massara e se vo spedeghé se stgöghja i brazë chianandö chianandö do Bambinözzö vo ndè a trövé.
Accorrete tutti ragazzi è nato il Salvatore copritevi con queste sciarpette e raccogliete un poco di rovi. Suona suona questo fischietto e a tutti fallo sapere. E chi solo e chi a braccetto al Bambino Gesù andiamo a trovare. Senti senti che bella voce è Gesù che vuole parlare ascoltatelo tutti voi ragazzi vi sta chiamando per andare a giocare. Corri corri pecoraio a Gesù va a trovare non aspettare che coli il siero lascialo perdere e vai ad adorarlo. C’era il povero caciaio che non sa che cosa portargli piglia le uova dal paniere sono fresche fresche si possono sorbire. Nella maida il pane sta impastando una massaia e si vuole sbrigare si asciuga le braccia salendo salendo il Bambino Gesù vuole andare a trovare.
Il crocifisso di S. Nicola
Il crocifisso di S. Nicola
Ö cröcefissö de Santa Nicola é möntövà a Palermö e a Mëssina de fuora regnö venëtö a nuöva a so mestura preziösa e fina Quandö ö so pettözzö ce rrevola tutë i soë celestë se ce nchinanö, öra lödëmö a Diö, Santa Nicola, viva a glöriösa Santa Spina, quandö la Santa Spina se conducë tutö ö möndö n’ö benedisgiö.
Il crocifisso di san Nicola è menzionato a Palermo e Messina da fuori regno è giunta la notizia la sua “mistura” preziosa e fine. Quando il suo petto sussulta tutti i suoi celesti si ci inchinano, ora lodiamo Dio, San Nicola, viva la gloriosa santa Spina, quando la Santa Spina si porta in processione tutto il mondo ce lo benedice. 370
Il crocifisso di S. Maria
Il crocifisso di S. Maria
Ö cröcefissö de Santa Maria nudö, lazzarià e senza vestë, faccià a testa e ne carmà a pestë nen ghjëra crestiàn che mörìa. A man da crösgiö schiövà a santa benedeziòn ne fasgìa. Giungëmenë ni autë bördönarë d’orö ghjë l’am’a fè ö lamperë pa menz’ Agöstö l’amö cönsegnè davantë a Rëgina dö cielö.
Il crocifisso di Santa Maria nudo, ferito e senza veste, ha sporto la testa e ha calmato la peste non c’era persona che moriva. La mano dalla croce schiodò la santa benedizione ci faceva. Uniamoci noi altri mulattieri d’oro glielo dobbiamo fare il diadema per mezz’agosto lo dobbiamo consegnare davanti alla regina del cielo
Canto che accompagna la “Ruteta”
Canto che accompagna la “Grotta”
Bala bala Bambineddö che lö chianö è tutö to, önda posa lö to pedözzö nascë gighjë e basalicò. E ne coghjë na rramözza e lö pörtë a to mamözza to mamözza nen lö vo te lö portë ‘n casa tò. Bambineddö miö tresorö nta sta ruta ia v’adorö ve cönsacrö l’arma mia verö fighjö de Maria Bambineddö de Messina sëtë stancö stamatina avitë fatö longa via pe sarvarë l’arma mia. Bambineddö de Cartagironë sëtë mpastatö de zzucherö e melë dë ta böcözza ve nescë lö ventö pampenë d’orö e nöciddë d’argentö de ta böcözza ve nescë lö sölë pampenë d’orö e nöciddë d’amörë. Te cataë na carrözzela pe nsegnaretë a caminarë quantë cosë t’aiö catatö nöciddözzë e caramelë. E lö poverö sambatarö nen avia che ce pörtarë. Ce pörtaö na bela scësca cascavaddö e töma frësca. E lö poverö cacciatörë nen avia che ce pörtarë ce pörtaö ‘n cönighjözzö pe iucarë lö Bambinözzö.
Balla balla Bambinello lo spiazzo è tutto tuo, dove posa il tuo piedino nascono gigli e basilico. E ne raccogli un rametto e lo porti alla tua mammina la tua mammina non lo vuole te lo porti in casa tua. Bambinello mio tesoro in questa grotta io vi adoro vi consacro l’anima mia vero figlio di Maria Bambinello di Messina siete stanco stamattina avete fatto una lunga via per salvare l’anima mia. Bambinello di Caltagirone siete impastato di zucchero e miele dalla boccuccia vi esce il vento pampini d’oro e noci d’argento dalla boccuccia vi esce il sole pampini d’oro e noci d’argento Ti comprai una carrozzella per insegnarti a camminare quante cose ti ho comprato noccioline e caramelle. E il povero caciaio non aveva che cosa portare. Gli portò una bella cesta caciocavallo e tuma fresca. E il povero cacciatore non aveva che cosa portare gli portò un coniglietto per giocare il Bambinello.
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Sëmö juntë a sta növena
Siamo arrivati a questa novena
Sëmö juntë a sta növena pe Maria Matrë Beata quandö persë a nöttata menzö ö frëddö e la gelata.
Siamo arrivati a questa novena per Maria Madre Beata quando perse la nottata n mezzo al freddo e al gelo.
Quandö Diö s’avia ‘ncarnarë mandaö l angelö Gabrielë a Maria salutarë la regina de le celë.
Quando Dio si doveva incarnare mandò l’ angelo Gabriele a salutare Maria la regina dei cieli.
Quandö l angelö scëndiö iusö e guardaö ddö beddö visö, rrëstaö tutö cönfusö se scördaö ö Paradisö!
Quando l’angelo scese giù e guardò quel bel viso, rimase tutto confuso si dimenticò il Paradiso!
Tantë secölë sö passatë, già s’aspetta lö Messia, e le jorna sö arrivatë de partirsë Maria.
Tanti secoli sono passati, già s’aspetta il Messia, e i giorni sono arrivati di partirsi Maria.
E Maria obbedientë a cavaddö se mëttia san Giuseppë caminava e a rëdena tirava.
E Maria obbediente a cavallo si metteva San Giuseppe camminava e le redini tirava.
San Giuseppë era cönfusö pe la via ch’avia farë e pö› tempö rigörösö che se mësë a nëvicarë.
San Giuseppe era confuso per la via che doveva fare e per il tempo rigoroso che si mise a nevicare.
«Arrivatë a Bettëlemmë passerànnö i nostrë affannë: ce aiö ddà tantë parentë bonë amicë e canöscentë».
«Arrivati a Betlemme finiranno i nostri affanni: ho lì tanti parenti buoni amici e conoscenti».
Töppë, töppë. «Parentözzë ne pötëssevë allogiarë?» «Nen se po’, bonë gentözzë, nen avëmö che ve darë».
Toc, toc. «Cari parenti ci potreste dare alloggio?». «Non si può, buona gente, non abbiamo che vi dare».
«Sposa mia, cara Signöra, e stasëra önda ne scura? Chi ne ‘mbuta e chi ne manda ndamönë a n’autra banda».
«Sposa mia, cara Signora, e stasera dove farà per noi buio? Chi ci spinge e chi ci manda andiamocene da un’altra parte».
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Fora fora la citatë na grottedda cömparìa: pe la nëvë che cadìa ce se rrepara Maria.
Fuori fuori la città una piccola grotta comparve: per la neve che cadeva ci si ripara Maria.
O grottedda förtunata qualë fu la tò grandëzza ca de stadda sëë deventata Paradisö de döcëzza.
O groota fortunata Quale fu la tua grandezza Che di stalla sei diventata Paradiso di dolcezza.
Ce mancavanö palazzë a lö re de la natura? Vossë nascerë a le strapazzë nta na povera mangiatöra.
Ci mancavano palazzi al re della natura? Volle nascere nelle difficoltà in una povera mangiatoia.
Menzanottë è a la campìa e na stëdda stralucentë nunzià a tutë le gentë ch’era natö lö Mëssìa.
È mezzanotte nei campi e una stella molto lucente annunziò a tutte le genti ch’era nato il Messia.
I pastörë spaventatë che a sett’ örë già agghiörnaö, a la grotta, ammaliatë, cö gran fretta se pörtarö.
I pastori spaventati che alla settima ora già faceva giorno, alla grotta, ammaliati, con gran fretta si recarono.
E trövarö ö Re dö cielö menzö a n bò e a nsceccareddö reparatö de lö gelö cö nö strazzö de panniceddö.
E trovarono il Re del cielo in mezzo ad un bue e un asinello riparato dal gelo con uno straccio di panno.
A mighjiara l angiölëddë «Gloria, gloria» ce cantarö e i pastörë chî sciöriddë in ginocchiö l’adörarö.
A migliaia gli angioletti «Gloria, gloria» gli cantarono e i pastori con i fiori in ginocchio l’adorarono.
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Canto del 15 Agosto
Canto del 15 Agosto
Le quindecë d’agöstö na rosa spampinaö Maria n celö chjanaö per una ternità. Ritornello Purità e santità quantö è bella la verginità Lodatë lodatë ö nomë de Marià e semprë lodatë ö nomë de Marià Le quatrö cantönërë quatrö angelë calarö Maria la ‘ncörönarö per una ternità. Ritornello Le döë quartierë unitë cö le Samëchëlare ne chianenö a mighiarë nel tempio de Marià. Ritornello Chësta é la prima petra mësa pe föndamentö mònecö de cönventö che n coddö la pörtaö. Ritornello Ch’è beddö stö mazettö Maria lö porta n pettö che sciorö de perfettö che odörë che ce fa. Ritornello Che bedda sta vestina celestë e bianturchina a vöë matrë Divina che bela che ve stà. Ritornello Maria del ciel regina regina pastorella nöë sëmo pecorellë ne presentamö a te. Ritornello Sötta le vostrë pedë tenëtë menza luna vöë sëtë la patröna de tutta la città. Ritornello Che grandë stö mantözzö chjù grandë de lö mare
Il quindici di agosto una rosa sbocciò Maria in cielo salì per una eternità Ritornello Purezza e santità quanto è bella la verginità Lodate lodate Il nome di Maria e sempre lodate il nome di Maria. Ai quattro angoli quattro angeli scesero Maria la incoronarono per una eternità. Ritornello I due quartieri uniti con i Sammichelari ne salgono a migliaia nel tempio di Maria. Ritornello Questa è la prima pietra messa per fondamento monaco di convento che addosso la portò. Ritornello Che bello questo mazzetto Maria lo porta in petto che profumo perfetto Che odore che le fa. Ritornello Che bello questo vestito celeste e biancoturchino a voi madre divina che bello che vi sta Ritornello Maria del cielo regina regina pastorella noi siamo pecorelle ci presentiamo a te. Ritornello Sotto i vostri piedi tenete mezza luna voi siete la padrona di tutta la città. Ritornello Che grande questo manto più grande del mare 374
a tuttë ne rrepara la cristianità. Ritornello Che beddö stö cestinö che gira attornö attornö Marià, na stë contornë ce à stato e ce sarà. Ritornello E quantö è belö chiamarë Marià la gran Signora de la purità. Ritornello Dödecë stelë formenö na cöröna Maria la porta per la sua purità. Ritornello Che bedda sta cöröna Maria la porta ntesta dömanë é la sò festa che festa ce sarà. Ritornello
a tutti ci ripara la cristianità. Ritornello Che bello questo cestino che gira intorno intorno Maria in questi dintorni c’è stata e ci sarà. Ritornello E quanto è bello chiamare Maria la gran Signora della purezza. Ritornello Dodici stelle formano una corona Maria la porta per la sua purezza. Ritornello Che bella questa corona Maria la porta in testa domani è la sua festa che festa ci sarà. Ritornello
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Preghiera per l’Ascensione
PREGHIERE Preghiera per l’Ascensione
Dopö poi quaranta jornë chiana n celö Gesù Cristö e Maria chî sò amisgë se lö brazza e benedicë. Dömandamö c’averëmö tuttë ë grazië che völémö.
Dopo quaranta giorni torna in cielo Gesù Cristo e Maria con i suoi amici se lo abbraccia e benedice. Domandiamo perché avremo tutte le grazie che vogliamo.
Preghiera per Santa Lucia Santa Rociözza passà, cö so mantö toccà, se è terra squaghjerà se è brusca nescerà”.
Preghiera per Santa Lucia Santa Luciozza è passata con il suo manto l’ha toccato, se è terra squaglierà se è frasca uscirà.
Preghiera per la partoriente
Preghiera per la partoriente
Matrë Sant’Anna, Matrë Sant’Anna, avitë ‘na fighja che n celö cömanda; pe le vostrë orazionë livatë a noi stà confusionë; vöë che sëtë tantö potentë, liberatemë stà partorientë. Matrë da Catëna, scatenatela.
Madre Sant’Anna, Madre Sant’Anna, avete una figlia che in cielo comanda, per le vostre preghiere levateci questa confusione; voi che siete tanto potente, liberatemi questa partoriente. Madre della Catena, scatenatela.
Preghiera per la partoriente
Preghiera per la partoriente
Sant’Antöninö, Sant’Antöninö, sëtë beddö e sëtë divinö; pe stö bambinö c’avite ntè brazzë concedìtemë stà grazia.
Sant’Antonino, Sant’Antonino, siete bello e siete divino; per questo bambino che avete in braccio concedetemi questa grazia.
Preghiera della sera
Preghiera della sera
Na stö lettö me cörcaë cincö santë ce trövaë döë pa testa e döë pë pedë Gesù Cristo no mënzö siedë, cö Gesù me cörcö, cö Gesù me staiö sögnö cö Gesù e pagöra nen n’aiö. Io dormö, a Madönözza vëghja se vëdë cosë, me rrevëghja. Chi volë malö na mia nen trova né porta e mancö via, cantonierö menzö la via.
In questo letto mi coricai cinque santi vi trovai due per la testa e due per i piedi Gesù Cristo in mezzo siede, con Gesù mi corico, con Gesù (mi) sto sono con Gesù e paura non ne ho. Io dormo, la Madonnina veglia se vede cose, mi sveglia. Chi vuole male a me non trova né porta e neppure via, cantoniere in mezzo alla via.
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Preghiera della sera
Preghiera della sera
Io me cörcö nta stö lettö, ö Signörözzö nt’o me pettö; io dormö e eddö vëghia, se c’è pericölö me rrevëghia. Io me cörcö pe dormirë e nen sacciö s’ ai’ a mörirë; me rrespöndë a Madonna, dice: “Dormë e rreposa, nen averë paura de nudda cosa”. Ö Signorözzö me venë patrözzö, a Madonozza me venë matrözza, San Giovanözzö me venë fratözzö, Santa Lisabetta me venë sörözza. Ora che semö stë beddë parentë potemö dormerë contentë. O Maria, matrë d’ amorë semö presentë i peccatörë e c’ un sguardö che ne datë perdönatë e nostrë peccatë.
Io mi corico in questo letto, il Signore nel mio petto; io dormo e lui veglia, se c’è pericolo mi sveglia. Io mi corico per dormire e non so se devo morire; mi risponde la Madonna, dice: “Dormi e riposa, non avere paura di nessuna cosa”. il Signore mi viene padre, la Madonna mi viene madre, San Giovanni mi viene fratello, Santa Elisabetta mi viene sorella. Ora che siamo questi bei parenti possiamo dormire contenti. O Maria, madre d’amore siamo presenti i peccatori e con uno sguardo che ci date perdonate i nostri peccati.
Rosario di S. Giuseppe
Rosario di S. Giuseppe
San Giuseppözzö föstevë Patrë, föstevë verginë comë la matrë, föstevë a rosa, föstevë u gighjö, datemë aiutö ö› mio consighjö. San Giuseppözzö respöndë e dicë: Chi dicë lö miö rosariö quatrö angelë ce aia mandarë, n paradisö l aia pörtarë”. Gloria ô Patrë, ô Fighjö e ô Spiritö Santö (Ad ogni grano di rosario si dice: Gesù, Maria, Giuseppe)
“San Giuseppe sei stato Padre, sei stato “vergine” come la madre, sei stato una rosa, sei stato un giglio, datemi aiuto nelle mie scelte”. San Giuseppe risponde e dice: Chi recita il mio rosario quattro angeli gli devo mandare, in Paradiso lo devo portare. Gloria al Padre, al Figlio, e allo Spirito Santo. (Ad ogni grano di rosario si dice: Gesù, Maria, Giuseppe)
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Preghiera contro i temporali *
Preghiera contro i temporali
Lö verbö sacciö, lö verbö voghjö dirë, chëstö è lö verbö de noströ Signörë. Lö verbö se ncarnaö na noströ Signörë pe niautrë miserë peccatörë. O peccatörë, o peccatricë, alza l’occhje n cielo e talia la cröcë. Quant’è bedda, quant’è auta, nöë sta cröcë la amiamo, nöë sta cröcë la adoriamo. Alla valle di Giosafà randë e pecciddë ama esserë ddà. San Giövanözzö faccià e, c’un librö d’orö a le manë, dirà: “ O döcë me Signörë, comë perdonastë i canë e le Giudeë cussì ai a perdonarë le pöpöleddë che so meë”. “ Fighjö Giövannë, nen le pozzö perdonarë, che ce aiö lasciatö a Pasqua e ö Natalë, ö confessarë e ö comunicarë, e edde nen l anö volutö farë. Armë dannatë, a lö focö tornatë. Chi sentë lö verbö e nen lo dicë settë palatë de focö e de pëcë; chi lö sapë e nen lö ‘mpara settë palatë de focö e de pëcë; chi nen lö sapë né cà e ddà settë palatë de focö av’ a avërë. Chi lö dicë trëë vortë n campö sarà scansatö de tronë e de lampë; chi lö dicë trëë vortë a la nottë sarà scansatö de la mala mortë; e chi lö dicë trëë vortë a la via n Paradiso se lö porta Maria.
Il Verbo so, il verbo voglio dire, questo è il verbo di nostro Signore. Il Verbo si è incarnato in nostro Signore per noi miseri peccatori . O peccatore, o peccatrice, alza gli occhi in cielo e contempla la croce. Quanto è bella, quanto è alta, noi questa croce la amiamo, noi questa croce la adoriamo. Nella valle di Giosafà grandi e piccoli dobbiamo essere là. San Giovanni esce fuori e, con un libro d’oro in mano, dirà: “ O dolce mio Signore, come perdonasti i cani e i Giudei così devi perdonare i popoli che sono miei.” “Figlio Giovanni, non li posso perdonare, perché ho lasciato loro la Pasqua e il Natale, La confessione e la comunione, e loro non l’hanno voluto rispettare. Anime dannate, al fuoco tornate chi sente il verbo e non lo dice sette palate di fuoco e di pece; chi lo sa e non lo insegna sette palate di fuoco e di pece; chi non lo sa né qua né là sette palate di fuoco deve avere. Chi lo dice tre volte in campo Sarà scansato dai tuoni e dai fulmini; Chi lo dice tre volte la notte sarà scansato dalla cattiva morte; e chi lo dice tre volte lungo la via in Paradiso se lo porta Maria.
*Era una preghiera , o meglio un’invocazione in una successione rapida priva di un filo logico e simile alle formule di un esorcismo, che veniva recitata dalle donne anziane per allontanare la caduta dei fulmini e chiedere aiuto e protezione alla divinità. Questa giaculatoria infondeva fiducia durante i temporali, specie nei più piccoli il cui animo era invaso da un inquietante senso di paura.
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7. Cunti (Racconti)
I “Cunti” , ovvero i racconti potevano essere racconti veri, di fatti accaduti realmente, o racconti falsi di fatti inventati dalla gente; talvolta i fatti veri e quelli falsi venivano mescolati, per cui non sempre da essi si può evincere la verità. Di solito venivano raccontati, la sera, da persone anziane ai bambini disposti in cerchio intorno a loro ed avevano la stessa funzione che oggi hanno la favole: fornire insegnamenti di vita nascosti nelle trame del racconto.
Peppino u brigante
Peppino u brigante
C’era na vorta n brigantë che, comë tutë i brigantë, rröbava, mazava e facìa störtarië a l òmenë e a Diö. Tantë vortë ö Re ce mandaö i sordatë, ma eddö era spertö chjù de na vörpë e se mucciava bonö nâ möntagna; de quand ‘era pecceriddö bazzicava semprë na sta campagna, che ndava a legna cö so patrë, e canöscìa ognë pertusö d’ognë cöntrada. A so patrë che era n’omö onestö, travaghjatörë e timöratö de Diö, se ce facìa ö corë nicö nicö quandö sentìa pö› paisë cheddö che se cöntava e se dicìa de so fighjö, perciò, n jornö, eddö, se fecë forza e chianaö nâ möntagna. Camina camina, nen era cosa che pötìa sapërë önd’era so fighjö. A n certö pöntö, darrera n àrbörö, spöntaö na canna de n fucilë. “ Fermö! nen me sparatë... “ ce dissë ö vecchiö tuttö scantatö. “ Chi sëtë ? Chi völitë? “ ce dissë l autrö. “ Sögnö ö patrë de Peppinö ö brigantë... e vennë pe me fighjö! “ E fu cussì che stö povareddö fö cömpagnà önda è che se mucciava Peppinö e l autrë brigantë comö eddö. “ Perchë venìstë, patrë ? “ dissö Peppinö quandö ö vistë. “ Vennë pe tìa, fighjö ! Vennë pe cheddö c’aiö sentutö…”
C’era una volta un brigante che, come tutti i briganti, rubava, ammazzava e faceva angherie agli uomini e a Dio. Tante volte il Re gli mandò i soldati, ma lui era furbo più di una volpe e si nascondeva bene nelle montagna; da quando era piccolo viveva sempre in questa campagna, dove andava a legna con suo padre, e conosceva ogni buco di ogni contrada. A suo padre che era un uomo onesto, lavoratore e timorato di Dio, si ci faceva il cuore piccolo piccolo quando sentiva per il paese quello che si raccontava e si diceva di questo suo figlio, perciò un giorno, lui, si fece forza e salì sulla montagna. Cammina cammina, non era cosa che poteva sapere dove era suo figlio. A un certo punto, dietro un albero, spuntò una canna Di un fucile. “Fermo! Non mi sparate…” gli disse il veccho tutto spaventato. “Chi siete? Chi volete? ” gli disse l’altro. “Sono il padre di Peppino il brigante…e venni per mio figlio! ” E fu così che questo poveretto fu accompagnato dove è che si nascondeva Peppino e gli altri briganti come lui. “Perché venisti, padre?” disse Peppino quando lo vide. “Venni per te, figlio! Venni per ciò che ho sentito…” 379
“Spettatë, patrë!” dissë ö brigantë “ Pighjàtë sta frasca e ddrizzàtela!” Era n ramösceddö nicö nicö de àrbörö d’olivö, tanticchia stortö comö sö i ramë de l àrbörö d’olivö. Ö vecchiö pighjaö ö ramettö e n tempö de nentë ö drizzaö. “ Ora drizzatë chestö ! “ Era n autrö ramettö, n pocö chjù randö e, macara chestö, ö patrë drizzaö. “ E ora drizzatë st’ àutrö... !” L urtemö era n ramö grossö e störtigghiatö. “Peppinö...” dissë ö patrë “ ma chëstö nen se pò drizzarë...” “ Verö è! Veditë patrë, l ömö è comë l àrbörö de l olivö... se pò drizzarë quand è pëcciddö... quandö deventa randö, nen se pò chjù drizzarë!”.
“ Aspettate, padre!” disse il brigante “Pigliate questa frasca e raddrizzatela!” Era un ramoscello piccolo piccolo di albero di ulivo, un po’ storto come sono i rami dell’albero di ulivo. Il vecchio prese il rametto e tempo di niente lo raddrizzò. “ Ora raddrizzate questo!” Era un altro rametto, un poco più grande e, anche questo, il padre raddrizzò. “ E ora raddrizzate quest’altro…!” L’ultimo era un ramo grosso e storto. “ Peppino…” disse il padre “ ma questo non si può raddrizzare…” “ Vero è! Vedete padre, l’uomo è come l’albero dell’ulivo…si può raddrizzare quando è piccolo… Quando diventa grande, non si può più raddrizzare!”.
Vera storia di tradimento
Vera storia di tradimento
Omenë e donnë tutë vecinatë massimamentë chi s’a farë zitë. Venitë a sentirë le fattë ntricatë comö l amorë feniscë ca› litë. Döë picciötteddë spösatë e cöntentë e la donna cangià de sentimentö. Carmelö travaghjava onestamentë pe vesterë la donna assaë legantë, nen ce facìa desiarë nentë roba, scarpinë, braccialë e brillantë. A rispettava comö na sovrana e se prejava quantö era baggiana. Ma la fortuna cruda e ruffiana canciaö lö corë a la bedda Cecina cö n certö Vitö deventaö spartana. Sventurata cercaö la so rovina, a prima vorta ö fattö fö cöbatö che ö maritö l’avia perdönatö. Ce dissë: “Cecinedda de stö sciatö ö sai che tu stissa m’ai fuiutö? Ö corë miö tu l’ai ncatënatö e cö na chiavë d’amörë l’aë chiödutö. Se tu l’amörë nen te l’aë scördatö te portö na tò patrë e ce staë ô latö”. Ö picciottö partia pe sordatö, Cecina se ittava cö don Vitö, perchë` meschina se l’avia scördatö che ö maritö l’avia perdönatö.
Uomini e donne avvicinate tutti Soprattutto chi si deve fare fidanzato. Venite a sentire i fatti ingarbugliati Come l’amore finisce con la lite. Due giovani sposati e contenti E la donna cambiò opinione. Carmelo lavorava onestamente Per vestire la donna assai elegantemente, non le faceva desiderare niente vestiti, scarpe, bracciali e brillanti. La rispettava come una regina E si rallegrava quanto era vanitosa. Ma la fortuna crudele e ruffiana Cambiò il cuore alla bella Ciccina Con un certo Vito diventò intima. Sventurata cercò la sua rovina, la prima volta il fatto fu nascosto perché il marito l’aveva perdonato. Le disse: “Ciccinedda di questo cuore Lo sai che tu stessa sei fuggita con me? Il cuore mio tu l’hai incatenato E con una chiave d’amore l’hai chiuso. Se tu l’amore non te lo sei dimenticato Ti porto da tuo padre e gli stai di fianco”. Il giovane partiva per soldato Ceccina si gettava con don Vito, perché poverina se l’era dimenticato che il marito l’aveva perdonato. 380
Poi quandö vënnë Carmelö a licenza successë la gran bedda conseguenza: la picciöttedda china de nocenza ce cönta de la mamma la bardanza. Ce dissë “Papà l’aiö vista n confidenza parrarë cö don Vitö nta la stanza”. Sentìa cheddö omö d onörë nta la faccia se canciaö de cölörë e cö corë chjinö de dölörë a la möghjièra nentë fa capirë, però la sorvegliava tutë l örë sina che ö fattö ö venë a scoprirë. Comë nô peccatö l’a trovatö ce dissë: “Donna vila e scelerata”, tira la rivortella caricata, n corpö na la gola l’a colpitö e l’autrö n fronte, a terra a cadutö. Cö le soë stissë manë s’a sparatö e ce cascava ö sò stissö latö. Ö popölö tuttö cörrë spaventatö de ddö fragellö che avia succedutö. Ö sògerö e la sògëra a cörrutö, ö sogërö chiancìa cö dölörë dicendö “Carmelö, giovënë d onörë. Donna crudela e senza chjù rössura comö la vita völistë perderë che te mancava carëzzë e amörë? O forsë te mancava ö doverë?” Omenë e donnë ve lö fazzö n pattö Chi nen volë ö nomë maledettö tuttë parë leggitölö stö fattö, pe nen avërë fermë le penserë se rovinarö trëë famighjë nterë.
Poi quando venne Carmelo in licenza Successe la gran bella conseguenza: la bambina piena d’innocenza gli racconta della mamma la bravata. Gli disse “Papà l’ho visto in confidenza Parlare con don Vito nella stanza”. Ascoltava quell’uomo d’onore Nel viso si cambiò di colore E con il cuore pieno di dolore Alla moglie niente fa capire, però la sorvegliava a tutte le ore fino che il fatto lo venne a scoprire. Come in peccato l’ha trovato Le disse: “Donna vile e sciagurata”, tira la rivoltella caricata, un colpo nella gola l’ha colpito e l’altro nella fronte, a terra è caduta. Con le sue stesse mani si è sparato E le cadde nel suo stesso lato. Il popolo tutto corre spaventato Da quel flagello che era successo. Il suocero e la suocera accorrono, il suocero piange con dolore dicendo “Carmelo, giovane d’onore. Donna crudele e senza più vergogna Come la vita hai voluto perdere Che ti mancava carezze e amore? O forse ti mancava il dovere? Uomini e donne ve lo faccio un patto Chi non vuole il nome maledetto Tutti quanti leggetelo questo fatto, per non avere fermo il pensiero si rovinarono tre famiglie intere.
Il lunedì santo
Il lunedì santo
Ö lunë santö, ö lunë santö la Madönözza se mesë n caminö. Trova na pörticedda de maströ ferrarö: “Carö maströ che facitë ddocö?” “Fazzö lë chiova de voströ fighjözzö” “Facitelë cörtöliddë e finöliddë che annö pizzarë carnözzë gentilë” Respöndë ö chjù grandë faraonë: “Chjù grossë e chjù pëzzutë l ama farë e n autrö tantö ce ne iunceremö pe darcë törmentö a lo tö fighjö” “O maströ maledëttö che saraë de stëntë e de travaghjë che tu faë
Il lunedì santo, il lunedì mattina la Madonna si mise in cammino Trova una porticella di un fabbro “Caro fabbro che fate lì ?” “Faccio i chiodi di vostro figlio” “Fateli corti e fini perchè ci devono trafiggere carni gentili Risponde il più grande faraone “Più grossi e più pungenti li dobbiamo fare e un altro tanto ce ne aggiungeremo per dare tormento a tuo figlio” “O fabbro maledetto che sarai per gli stenti e i lavori che tu fai 381
O maströ maledëttö che saraë finö dö› lattë che te dettë to mama O maströ maledëttö che saraë finö ö jornö che tu camperaë” Ö martë santö, ö martë mattinö la Madönözza se mesë n caminö. trova na pörticedda de maströ d ascia “Carö maströ che facitë ddocö?” “Fazzö la cröce de voströ fighjözzö” “Facitela cörtölidda e delicata che annö pizzarë carnözzë gentilë” “Cara matrözza quaranta palmë l’aiö de mesura se ce ne pozzö livarë ce ne levö artrëmentö ce levönö a eddö e ce mettönö a mia”. “O maströ benedëttö che saraë de stëntë e de travaghjë che tu faë O maströ benedëttö che saraë finö dö› lattë che te dettë to mama O mastro benedetto che saraë finö dö› jornö che tu camperaë”. Fighjö te chjanciö nta sta bedda testa che nta la cröcë è ncörönata onesta Fighjö te chjanciö nta sta bedda frontë che nta la cröcë ö möntë chianastë Fighjö te chjanciö nta stë beddë occhië che nta la cröcë mortö me paristë Fighjö te chjanciö nta stö beddö nasö che nta la cröcë le filë me lasciastë Fighjö te chjanciö nta stë beddë orëcchjë che nta la cröcë sordö me te fëstë Fighjö te chjanciö nta sta bedda böcca che nta la cröcë mutö me te fëstë Fighjö te chjanciö nta sta bedda gola che nta la cröcë lö sangö te cöla Fighjö te chjanciö nta stö beddö pettö che nta la cröcë ai ö cöstatö apertö Fighjö te chjanciö nta stë beddë brazzë che nta la cröcë lë chiova ce tenë Fighjö te chjanciö nta stë beddë sdënocchia che nta la cröcë n cönocchia chianastë Fighjö te chjanciö nta stë beddë pedë che nta la cröcë lë chiova ce tenë.
O fabbro maledetto che sarai fino dal latte che ti ha dato tua mamma O fabbro maledetto che sarai fino al giorno che tu vivrai” Il martedì santo, il martedì mattina la Madonna si mise in cammino trova una porticella di un falegname “Caro fabbro che fate lì ?” “Faccio la croce di vostro figlio” “Fatela corta e delicata perché ci devino infiggere carni gentili” “Cara madre quaranta palme l’ho misurata se ce ne posso levare ce ne levo altrimenti ci levano lui e ci mettono me”. “O falegname benedetto che sarai per gli stenti e i lavori che tu fai O falegname benedetto che sarai fino dal latte che ti ha dato tua mamma O falegname benedetto che sarai fino al giorno che tu vivrai”. Figlio ti piango in questa bella testa che sulla croce è incoronata onesta Figlio ti piango in questa bella fronte che sulla croce hai salito il monte Figlio ti piango in questi begli occhi che sulla croce mi sei sembrato morto Figlio ti piango in questo bel naso che sulla croce le vene hai lasciato Figlio ti piango in queste belle orecchie che sulla croce ti sei fatto sordo Figlio ti piango in questa bella bocca che sulla croce ti sei fatto muto Figlio ti piango in questa bella gola che sulla croce il sangue ti cola Figlio ti piango in questo bel petto che sulla croce hai il costato aperto Figlio ti piango in queste belle braccia che sulla croce ci tieni i chiodi Figlio ti piango in queste belle ginocchia che sulla croce sei salito in ginocchio Figlio ti piango in questi bei piedi che sulla croce ci tieni i chiodi.
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La santa messa
La santa messa
A domëneca matina me arzaë prima lö pedë drittö me calzaë ö mantö de Maria me lö mantaë lö bastönë de San Giuseppë me pighjaë ora me partö e fazzö longa via trovö na crisiedda tutta d’orö ca na lö menzö c’è noströ Signorö lö Patrë Eternö ca dicia la mëssa San Pietrö e Paulö ca se la sentianö La Matrë Santa ca se la servia . Nta ddö mömentö passaö so fighjözzö “Cara Matrözza che facitë ddocö?” “Fighjö me sentö la Santa Messözza, fighjö che ladiö sonnö me nsönaë, ca l Ebreë t’avianö pighjatö la cöröna d’orö t avianö livatö chedda de spinë pöngentë t avianö mettutö” “Cara Matrözza, vöë l avitë nsönatö E ia l aia vessutö”.
La domenica mattina mi alzai prima il piede destro mi calzai indossai il manto di Maria presi il bastone di San Giuseppe adesso parto e faccio lunga strada trovo una chiesetta tutta d’oro che nel mezzo c’è nostro Signore il Padre Eterno che diceva la messa San Pietro e Paolo che se la sentivano la Madre Santa che la serviva In quel momento passò suo figlio “Cara Madre che fate lì?” “Figlio mi sento la Santa Messa figlio che brutto sogno ho sognato che gli Ebrei ti avevano preso ti avevano levato la corona d’oro e ti avevano messo quella di spine” “Cara Madre voi lo avete sognato e io l’ho vissuto”
La peste che colpì il nostro paese
La peste che colpì il nostro paese
L öndecë de Gennarö ce fu n distornö. mortö se vistë assai lö Diö Supernö O che spaventö se vistë stö jornö! Mortö giudiziö paradisö e n fernö lö nfernö ca era apertö nta chedd’ora lö paradisö ca era apertö ancora. Se nen era pe Maria, la Gran Signora, tuttë fössemö mortë ad öra ad öra. Lë stissë mortë da la sepoltura facianö segnö de nescerë fora Ad ora ad ora chjancerëmmö fortë se Maria nen facia lë nostrë partë. S’avia vëderë giudiziö e mortë Tempö n’öra n mömentö e trëë quartë E nta trëë quartë se sparsë lö mönnö E Gesù Cristö ca stavìa calandö “Pighjamö n angiöleddö chjù biondö Prestö lö voghjö, lö mandö a chjamarë. Matrë mandemë a cercaremë lë chiova Lö voströ peccatorë v annö offesö. C’anö römputö la gran cöröna nova de novö a la colonna l anö mësö”. E nta n öra lö mönnö s abissaö. “Fighiö nen l abissarë e lascialö starë. Se trovë lö peccatorë lö perdönë dönacë cheddö ca ce promettistë: lö paradisö comö a l autrë dastë”
L’undici di gennaio ci fu una catastrofe: si vide morto il Dio Supremo. Oh che spavento si vide quel giorno! Era morto il giudizio il paradiso e l’inferno; l’inferno era aperto in quell’ ora il paradiso era aperto ancora. Se non fosse stato per Maria, la Gran Signora, tutti saremmo morti molto presto. Gli stessi morti dalla sepoltura facevano segno di uscire fuori. Molto presto avremmo pianto forte se Maria non avesse preso le nostre difese. Si attendeva giudizio e morte poco prima di un’ora e tre quarti. E in tre quarti si sparse il mondo. E Gesù Cristo stava scendendo “Prendiamo un angelo più biondo Presto lo voglio, lo mando a chiamare. Madre mandami a cercarmi i chiodi. Il vostro peccatore vi hanno offeso. Gli hanno rotto la grande corona nuova l’hanno messo di nuovo alla berlina”. E in un’ora sprofondò il mondo. “Figlio non lo sprofondare e lascialo stare. Se trovi il peccato lo perdoni donagli quello che gli hai promesso: il paradiso come lo hai dato agli altri” 383
Le bugie
Le bugie
Ora ve cuntö n saccö de menzognë che pönta de verità nen ce n ene. Me susö a menzanottë e trovö jornö me pighjö a farcë e vaiö a semenarë. Me cörcö sötta n pedë de cödognö e cö na manö me coghjö n granatö. Se venë la patröna de lö ficö, “Perché te le cughjstë le cerasë?” E un sënza gamba caminava e l autö orbö ce mparava a via. E n mutö dicia ö rosariö e l’autö sördö che se lö sentia.
Ora vi racconto un sacco di bugie che punta di verità non ce n’é. Mi alzo a mezzanotte e trovo giorno mi piglio la falce e vado a seminare. Mi corico sotto un piede di cotogno e con una mano raccolgo una melagrana. Se viene la padrona del fico, “Perché ti sei raccolto le ciliegie?” Ed uno senza gamba camminava e l’altro cieco gli insegnava la strada. Ed uno muto recitava il rosario e l’altro sordo se lo sentiva.
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8. Giochi fanciulleschi
Interessante ci è sembrato offrire la descrizione di alcuni giochi, che si praticavano un tempo e che si praticano ancora in qualche rione del nostro paese, sia per far rivivere agli adulti un divertente spaccato della loro vita, sia per far scoprire ai bambini di oggi come si divertivano i loro coetanei alcuni anni fa, quale era il loro passatempo preferito quando i computer e i videogiochi non esistevano affatto, sia per tramandarli così come avevano fatto le generazioni precedenti con la volontà di perpetuarne il nome ed il modo e con la speranza segreta di ridare ai bambini ed alle bambine il gusto di un’età irripetibile. Con l’avvento dell’era tecnologica, purtroppo, molti giochi che si svolgevano nelle strade del nostro paese sono andati dimenticati, sopraffatti da modalità di divertimento apparentemente più allettanti, ma senza dubbio prive di poesia e creatività. Quando non c’era la televisione, né tantomeno la Play-station, i giochi erano la valvola di sfogo contro la monotonia delle giornate sempre uguali. Alcuni, come il gioco delle “ciapëtë”, prevedevano l’uso di alcuni strumenti semplici, ma i più spettacolari si svolgevano all’aperto e consistevano in prove di forza o di destrezza. Si trattava di giochi di gruppo o di squadra, quali nascondino, acchiapparello, etc., che erano occasione di autentico divertimento, stimolavano la ricerca di compagni di gioco, aiutavano molto i bambini a crescere, in quanto, durante questi giochi, essi imparavano a rapportarsi gli uni con gli altri e trovavano degli amici. Il gioco era una splendida occasione che i bambini avevano per avvicinarsi, per comunicare e per vivere meglio. La maggior parte dei giochi di ieri si svolgevano all’aria aperta, erano passatempi innocenti, salutari, semplicissimi, senza pretese, che tutti indistintamente, ricchi e poveri, potevano giocare… nei cortili, nei giardini, nelle vie, e più adatti alla vita di allora. Le case erano molto piccole e poco comode, mentre c’era abbondanza di spazi liberi e la piazza diveniva un ottimo laboratorio. I giochi erano basati sulla destrezza, sull’agilità, sulla velocità, sulla coordinazione, ma principalmente sulla forza fisica. Ieri non esisteva nessun disturbo dall’esterno, niente TV, niente computer, scarsissima produzione industriale di giocattoli con una solida presenza, in compenso, di rapporti interpersonali e di socializzazione. Era considerato importante lo stare insieme, la socializzazione appunto. La persona allora era al centro della società e il gioco era di tipo collettivo-creativo e ad alto contenuto sociale. Oggi, da quando le strade sono diventate sempre meno sicure, anche a causa dell’aumento del traffico, i bambini non giocano più nella strada, non conoscono più i giochi di una volta, non sanno più cosa voglia dire avere un cielo azzurro sulla testa, schiacciati dalla loro passività di soggetti cresciuti davanti alla TV, con gli occhi abituati ad incamerare sempre più immagini e a produrre sempre meno parole, hanno soltanto il ruolo di spettatori isolati e soli, sono trascinati in forme di divertimento imposte, create artificialmente, prefabbricate, non si divertono certamente di più con i giochi moderni, e, probabilmente, da adulti, avranno dei problemi nel trattare con i propri simili e nel creare rapporti interpersonali. Sarà stata colpa del benessere, sarà stata colpa dei videogiochi o della televisione, comunque stiano le cose è certo che oggi vanno scomparendo e sono del tutto scomparsi i giuochi fanciulleschi che fortemente caratterizzarono in passato l’infanzia. Noi abbiamo voluto proporre anche questo percorso, per far riflettere gli adulti sulla grande importanza del gioco nell’educazione dei ragazzi e sulla necessità di creare spazi e strutture affinché esso non sia spogliato di spazi ampi e differenziati e non sia mutilato dei propri segni educativi, quali il movimento, la comunicazione, la fantasia, la creatività, l’inventiva, l’avventura, la costruzione, la socializzazione.
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I giochi Nascondino (mucciareddë) Il nascondino era un gioco di gruppo, che si giocava in genere all’aperto, in uno spazio con tanti nascondigli e in gruppi numerosi. Un giocatore, scelto in genere a caso o tramite una conta, “stava sotto” e stando appoggiato ad un muro o ad un albero ( “tocco” o “tana” o “ toppa” si chiamava il luogo dove il gioco iniziava e finiva) contava, con gli occhi chiusi o bendati, fino alla cifra stabilita dal gruppo. Nel frattempo gli altri dovevano cercare di nascondersi nei posti più adatti ed impensabili; scopo del gioco era “prendere” i giocatori nascosti. Quando tutti si erano nascosti e la conta era terminata il bambino si liberava gli occhi e chiedeva ad alta voce: “Ora è?” e, quando riceveva la risposta: “Ora è!”, si metteva a cercarli. Non appena individuava uno dei compagni, doveva correre alla “toppa” o alla “tana” e dichiarare ad alta voce il nome e il nascondiglio della persona che aveva visto, la quale veniva squalificata (o “catturata”). Al prossimo turno di gioco, in generale, stava “sotto” il primo giocatore che era stato catturato. Un giocatore veniva preso quando era visto e veniva quindi chiamato per nome. Ogni volta che ciò accadeva, chi stava sotto doveva tornare il più rapidamente possibile al “tocco”, toccarlo e dire “1, 2, 3 per...”. Se un giocatore riusciva a raggiungere la tana senza essere individuato, oppure essendo stato individuato, raggiungeva comunque il tocco prima del giocatore che “stava sotto”, poteva dichiarare “libero!” (in questo modo sfuggiva alla cattura). Un giocatore che arrivava al “tocco” prima del guardiano poteva liberare tutti coloro che erano stati presi, dicendo “Libero tutti”. Allora tutti potevano correre a nascondersi di nuovo e il gioco ricominciava. Bastava un solo giocatore ancora nascosto per dare la speranza a tutti di essere liberati. Se il giocatore che “stava sotto” non riusciva a prendere nessuno continuava a rimanere sotto, mentre se riusciva vedere qualcuno era quest’ultimo che andava sotto. Il gioco terminava quando tutti erano stati presi. Il gioco comportava il piacere dell’avventura legato all’atto di nascondersi e scomparire momentaneamente, il contatto con l’ambiente, la stimolazione di udito e vista, la prontezza di riflessi e la rapidità, il senso tattico nello studiare i possibili movimenti verso “il tocco”. Era importante conoscere bene il luogo dove si sarebbe svolto il gioco e definirne eventualmente i confini, per evitare che i giocatori si allontanassero troppo o si nascondessero in posti potenzialmente rischiosi. Acchiapparello Questo gioco di gruppo frequentissimo, perché giocato quasi tutte le sere, esigeva un numero vario di giocatori. Un portoncino o un tratto di muro, precedentemente stabilito, costituiva un punto franco, toccando il quale non si poteva essere più acchiappati. Il bambino che faceva la conta doveva riuscire ad acchiappare almeno uno dei partecipanti per essere libero. I quattro cantoni Il gioco comprendeva un arbitro e cinque giocatori: quattro di essi si posizionavano agli angoli della strada e uno stava al centro. Quest’ultimo doveva soffiare il posto ad uno dei quattro giocatori posti ai quattro cantoni mentre questi, al via dell’arbitro, cambiavano di posto e correvano verso uno dei quattro cantoni. Chi non riusciva a prendere posto usciva dal gioco e veniva eliminato. Il gioco continuava fino a quando non rimaneva un unico giocatore che era il vincitore. Mosca cieca Gioco di gruppo in cui un bambino bendato doveva riuscire a toccare uno dei partecipanti che gli giravano intorno.
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La settimana Questo gioco era praticato in forme diverse dai bambini. Per partecipare al 6 7 gioco occorrevano un gesso, un sasso non troppo grosso che non si rompesse al primo lancio, e, naturalmente, i concorrenti (almeno due). Il gioco richiedeva padronanza del proprio corpo ed uno sforzo fisico misurato e calcolato. 5 - Si disegnavano a terra 7 quadrati numerati, partendo dal primo dentro cui si scriveva il numero 1; poi nel quadrato successivo si scriveva il numero 2 e subito dopo si disegnavano altri due quadrati uno accanto all’altro e si scrive3 4 vano dentro rispettivamente i numeri 3 e 4; si continuava così alternando un solo qua-drato e due quadrati fino ad arrivare a 7. 2 - Si stabiliva con una conta chi doveva iniziare e la successione dei giocatori. - Il giocatore doveva lanciare il sasso iniziando dal primo giorno della settimana (casella 1), e, saltando su un piede solo, si chinava, raccoglieva il sasso e 1 sempre saltellando tornava indietro. - Si appoggiavano i due piedi (uno per casella) solo su 3-4 e 6-7. - Si passava così in tutte le caselle, fino al cielo (dove il giocatore poteva riposarsi appoggiando entrambi i piedi), poi si tornava, si raccoglieva il sasso nella casella 1 (fermandosi nella casella precedente) e si usciva. La difficoltà aumentava con l’aumentare dei giorni della settimana, tant’è che si richiedeva una buona mira per riuscire a centrare il quinto, il sesto ed il settimo giorno. - Si ripeteva lanciando la pietra nella casella 2, 3, ...fino alla casella 7. - Si sbagliava quando: - non si riusciva a gettare la pietra nella casella stabilita; si pestava con il piede le linee di separazione delle caselle; - ci si dimenticava di raccogliere la pietra o la si raccoglieva all’andata; - si appoggiava l’altro piede, o la mano. Ogni volta che si sbagliava si passava al giocatore successivo. - Vinceva chi per primo raggiungeva il settimo giorno della settimana con un percorso netto, riuscendo a tornare senza commettere alcun errore. Molte erano le varianti: 1. si ritornava alla base portando la pietra sulla testa; 2. si ritornava alla base portando la pietra su un piede; 3. si effettuava il percorso camminando ad occhi chiusi: il giocatore avanzava camminando e, con gli occhi chiusi, doveva passare in tutte le caselle (fino al cielo e ritorno). Ad ogni cambio di casella si fermava e, se gli altri giocatori giudicavano che la sua posizione fosse regolare, poteva continuare, altrimenti doveva lasciare il suo posto ad un altro giocatore. 4. si attraversavano tutti e sette i posti senza profferire alcuna parola e neanche sorridere per non incorrere in penalità, mentre gli altri concorrenti si dovevano adoperare, senza toccare il conduttore della gara, a far sì che commettesse errori. 5. si lanciava il sasso da sopra le spalle, da sotto le ascelle, da in mezzo le gambe o con le spalle rivolte alla settimana stando sulla linea di partenza. CIELO
Le belle statuine Si sceglieva attraverso una conta il giocatore che doveva “stare sotto”. Questo si posizionava vicino ad un muro o ad un albero, dando le spalle a tutti gli altri giocatori che si disponevano a 4-5 m da lui, lungo una linea orizzontale. Tutti gli altri partecipanti si disponevano in un cerchio abbastanza ampio o semplicemente si allineavano. In mezzo o di fronte a loro si collocava il sorteggiato, che doveva tenere gli occhi chiusi o volgere le spalle agli altri giocatori. Costui recitava velocissimamente una filastrocca; mentre la pronunciava, gli altri si muovevano, ballavano, canzonavano il loro 387
compagno e dovevono avanzare verso il muro per arrivare a toccarlo; mentre, al termine della filastrocca, i compagni dovevano fermarsi e rimanere immobili. Infatti, conclusa la recitazione, il sorteggiato si girava prontamente o riapriva gli occhi. Se girandosi vedeva qualcuno ancora in movimento, che non era perfettamente in posa o che era ancora occupato a decidere quale atteggiamento assumere, lo rimandava al punto di partenza ed eventualmente lo costringeva a pagare un pegno. Egli inoltre poteva provocare le belle statuine, avvicinandosi ad esse. Queste dovevano riuscire a rimanere immobili senza cedere provocazione del compagno. Il primo giocatore che arrivava a toccare il muro o l’albero vinceva e prendeva il posto vicino al muro. Poi il gioco ricomincia. Regina reginella In questo gioco, a cui potevano partecipare più bambini, una bambina fungeva da “regina” con il compito di dare ordini sul percorso da fare seguire ai bambini del gruppo. Con una conta, fra i partecipanti veniva scelta la “regina”, che era seduta su una sedia a mo’ di trono.. Gli altri si disponevano in fila, una accanto all’altro, ad alcuni metri di distanza dalla regina e dovevanono arrivare al trono facendo ciò che la regina o il re comandava loro. A turno, ogni bambino rivolgeva una domanda alla regina. Il primo della fila chiedeva: “Regina Reginella, quanti passi devo fare per arrivare al tuo castello?” La regina rispondeva ordinandogli di avanzare di alcuni passi imitando un animale: passi da formica, elefante, leone, canguro, gambero, scimmia, cane, gallina ecc. In questo modo la regina aveva la possibilità di fare vincere chi voleva. Vinceva il giocatore che riusciva ad arrivare per primo fino alla regina, le baciava la mano e così si trasformava a sua volta in regina. Il gioco poi ricominciava daccapo. Un, due, tre, stella! Era un gioco di gruppo in cui un bambino rivolto verso il muro doveva ripetere la frase”Un, due, tre, stella” e contemporaneamente voltarsi verso i compagni che dovevano a mano a mano avvicinarsi a lui cercando di arrivare per primi al muro. Se un bambino non era immobile quando chi era al muro si girava, era squalificato; oppure, se nessuno si muoveva, si continuava e l’ultimo che arrivava al muro prendeva il posto del compagno che “pozzava”. Palla prigioniera Si formavano due squadre, schierate ciascuna in un campo di circa 20 x 10 metri. Assegnata a sorte la palla, per effettuare il primo tiro, il giocatore che ne era in possesso la lanciava nel campo avverso, allo scopo di colpire uno degli avversari. Se il tiro andava a segno, cioè colpiva senza rimbalzo un avversario, questi diveniva prigioniero e andavava a disporsi dietro la linea di fondo del campo nemico. Se la palla veniva presa al volo e trattenuta, il giocatore non veniva fatto prigioniero. La palla veniva rilanciata nell’altro campo e così di seguito, fino ad eliminazione completa dei giocatori di una delle due squadre. Anche i prigionieri partecipavano al gioco, poiché la palla che varcava la linea di fondo spettava a loro, che avevano il diritto di tiro sugli avversari, con le conseguenze già illustrate. I prigionieri potevano essere liberati, se riuscivano a prendere al volo una palla lanciata da un proprio compagno di gioco. Il salto della corda Il salto della corda si faceva così: quando la corda arrivava all’altezza dei piedi, si doveva fare una salto per non inciampare e si proseguiva così facendola andare sempre più veloce. Questo gioco si poteva fare in tre: due tenevano la corda e uno saltava.
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Palla contro il muro Si faceva rimbalzare la palla ogni volta con limiti diversi, recitando la seguente filastrocca: Muovere, senza muovere, senza ridere con un piede, con una mano, alto battere, zigo zago violino, un bacino, tocca terra, la ritocco, tocco cuore, angioletto benedetto. La filastrocca dava il ritmo ai lanci e la sua fine determinava il passaggio alla figura successiva. Il soffio delle figurine Gioco di gruppo, prettamente maschile, che consisteva nel posizionare a terra un mazzo di figurine (per lo più relative a giocatori di calcio) e soffiarvi vicino per farlo girare. Vinceva chi riusciva a fare girare più figurine. Morra Era un gioco di gruppo in cui si affrontavano direttamente due giocatori che dicevano ad alta voce un numero. Vinceva il punto chi indovinava la somma dei numeri che i due partecipanti tiravano fuori con le dita contestualmente al numero gridato. La cavallina Questo gioco, il più caratteristico dei giochi fanciulleschi, non aveva limiti nel numero dei giocatori. Si iniziava con l’estrazione a sorte di quello che doveva andare sotto, il quale, chinandosi, si lasciava saltare da tutti i compagni e poi saltava lui sugli altri: ne risultava una continua catena di ragazzi che saltavano e si lasciavano saltare. Una variante era la seguente: mentre il primo giocatore se ne stava al posto suo, chinato, gli altri lo scavalcavano a turno facendo però attenzione, nel saltare, a non superare mai una linea di battuta tracciata sul terreno e a recitare sempre il verso giusto di una filastrocca che doveva corrispondere al numero del salto. Chi sbagliava, o perché non riusciva nello scavalcamento, o perché non rispettava la linea di battuta, o perché dimenticava il verso della filastrocca, prendeva il posto del giocatore che stava sotto e causava l’interruzione del gioco che ricominciava dall’inizio. Un’altra variante era la seguente: si creavano una o più coppie, poi la conta decideva chi doveva star sotto (“pozzare”), cioè stare piegato in avanti con la testa appoggiata al muro e con le gambe tese e ricevere il compagno a cavallo sulle spalle. Quando tutti erano a cavallo si recitava in coro una determinata filastrocca. Dal momento in cui si era saltato sulle spalle del compagno fino a quando, terminata la recita della quartina, si doveva scendere, i cavalieri non dovevano toccare terra con i piedi; cominciavano allora le prove di abilità tra quelli che stavano sotto, i quali cercavano di piegarsi il più possibile sulle gambe, senza però inginocchiarsi, ed i loro cavalieri che dovevano sollevare le gambe il più possibile per non toccare terra perché altrimenti le parti si invertivano.
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Giochi in cerchio: a) La botta (o “Chi tardi arriva, male alloggia”) I bambini seduti o in piedi si disponevano in cerchio, legati per mano. Un bambino stava all’esterno e girava lentamente attorno al cerchio. Improvvisamente il bambino che era fuori dal cerchio, correndo intorno, toccava a piacere un compagno dandogli una piccola “botta” sulla schiena (da qui prendeva il nome il gioco) e si metteva a correre attorno al cerchio. Chi era toccato partiva subito di corsa, in senso contrario al primo, per raggiungere il posto rimasto temporaneamente libero. Chi dei due raggiungeva per primo il posto lasciato libero vinceva e faceva parte del cerchio, mentre chi arrivava in ritardo rimaneva fuori e riprendeva il gioco per andare a toccare un altro. Volendo rompere la monotonia del gioco si poteva invertire la corsa dei due bambini gridando: “Cambio!”. b) Un elefante Tutti i bambini erano già in cerchio e si tenevano per mano, mentre cantavano la seguente filastrocca: Un elefante si dondolava, sopra un filo di ragnatela, e ritenendola una cosa interessante, andò a chiamare un altro elefante... Al termine un bambino a scelta (sempre tenendosi per mano) passava la sua gamba destra al di sopra del braccio destro chinando il busto a 90° in modo che il suo braccio e quello dell’amico alla sua destra gli passassero fra le gambe divaricate (era costretto a girare il corpo verso sinistra). Come si può immaginare non era una posizione molto comoda (per questo la filastrocca parlava di un elefante in bilico sulla ragnatela). Se si calcola che gli elefanti aumentavano (o in successione al primo o a scelta tra gli altri ad opera dell’ultimo elefante) dopo ogni ripetizione della filastrocca cantata, mentre si dondolava, si capisce che il tutto diventava piano piano molto instabile e... divertente! c) Il buco I bambini erano seduti in cerchio a terra. Avevano la mano sinistra chiusa a pugno e la mano destra con l’indice sollevato. Un animatore (generalmente rappresentato da un adulto), che era seduto con loro, dirigeva il gioco partecipandovi e pronunciando le frasi: “Buco comune!” “Buco proprio!” “Buco del compagno!” A “Buco Comune!” i bambini puntavano l’indice nel centro del cerchio. Quando pronunciava “Buco proprio!” i bambini dovevano mettere l’indice nel pugno sinistro; e a “Buco del compagno!” l’indice andava nel pugno sinistro del giocatore che stava alla destra. Dopo i primi giri, l’animatore bleffava pronunciando frasi non coincidenti con i gesti che compiva. d) Tutti giù, tutti su Si estraeva a sorte un capogioco. Tutti gli altri bambini si disponevano in un largo cerchio attorno a lui; quando il capogioco diceva: “Tutti su!”, tutti dovevano fare un salto in alto. Quando il capo diceva: “Tutti giù!”, tutti dovevano accovacciarsi. Il capogioco doveva cercare di imbrogliare i giocatori. I bambini che sbagliavano erano eliminati. L’ultimo giocatore che rimaneva in gioco era il capogioco nel giro seguente. Lo scopo del gioco era quello di restare l’ultimo giocatore.
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e) Gioco del bacio Gioco che si svolgeva in cerchio. Al centro del cerchio c’era un bambino che doveva eseguire la filastrocca che gli altri bambini cantavano. O Maria Giulia, alza gli occhi al cielo, fai un salto, fanne un altro, fai la giravolta, falla un’altra volta, fai l’inchino, ti levi il cappellino, o in su, o in giù, dai un bacio a chi vuoi tu! Alla fine il bambino baciato andava a sua volta al centro. f) Girotondo I bambini si disponevano in cerchio legati per mano e recitavano questa filastrocca: Giro giro tondo Il pane è cotto in forno un mazzo di viole, le dono a chi le vuole, le vuole la Rosina, caschi in terra la più piccina. Il bambino più piccolo doveva buttarsi a terra. Oppure recitavano questa filastrocca: Giro giro tondo casca il mondo casca la terra tutti giù per terra Tutti i bambini dovevano gettarsi per terra. g) Madama Dorè Il gioco si svolgeva in cerchio. Al centro del cerchio c’era una bambina che fingeva di essere Madama Doré e fuori del cerchio vi era un bambino che fingeva di chiedere la mano di una delle figlie a Madama Dorè. Entrambi alternativamente dovevano eseguire la seguente filastrocca: O quante belle figlie Madama Dorè o quante belle figlie! Son belle e me le tengo Madama Dorè Son belle e me le tengo! Il re ne comanda una Madama Dorè Il re ne comanda una. Che cosa ne vuol fare Madama Dorè, che cosa ne vuol fare? La vuole maritare, Madama Dorè, la vuole maritare. A chi la mariteresti Madama Dorè, a chi la mariteresti? Al conte di Torlonia Madama Dorè, al conte di Torlonia. Entrate nel castello Madama Dorè, entrate nel castello. Nel castello ci sono entrato Madama Dorè Nel castello ci sono entrato. 391
Scegliete la più bella Madama Dorè Scegliete la più bella. La più bella che ci sia, me la voglio portar via. h) Dindina dindella Una delle bambine stava in mezzo; le altre le giravano intorno tenendosi per mano e cantavano alternativamente. Quella del mezzo:
Ho perso la cavallina, dindina dindella, ho perso la cavallina dindina e cavaliè.
Quelle del cerchio:
Dove l’avete persa? Dindina dindella, dove l’avete persa? Dindina e cavaliè.
La bambina:
L’ho persa alle tre colonne, dindina dindella, l’ho persa alle tre colonne, dindina e cavaliè.
Quelle del cerchio:
E quanto v’è costata? Dindina dindella, e quanto v’è costata? Dindina e cavaliè.
La bambina:
M’ è costata dieci franchi, dindina dindella, m’ è costata dieci franchi, dindina e cavaliè. Faremo dieci salti, dindina dindella, faremo dieci salti, dindina e cavaliè.
Quelle del cerchio:
A questo punto le bambine facevano più salti che potevano. Conosco il viso* Toccando al bambino prima un occhio, poi l’altro occhio, poi i denti, infine prendendogli il naso e scuotendoglielo leggermente di qua e di là, si diceva: Questo è l’occhio bello, Questo è suo fratello, Questa è la chiesina, Questi sono i fratini, Questo è il campanellino. Dindilin, dindilin
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Gioco con la pallina* Palla pallina, dove sei stata? Dalla nonninna! Cosa ti ha dato? Una pallina! Dove c’è l’hai?: “Eccola qua!”. Gioco con le mani* Batti manine che viene papà; porta mandorle e nocciole per mangiarle la sua figliola! Gioco accompagnato dalle mani e dalle braccia* Si deveva obbligatoriamente essere in due per fare questo tipo di gioco e nel mentre bisognava pronunciare queste parole o meglio questa canzone: Mi chiamo Lola e son spagnola, per imparare l’ italiano vado a scuola, la mia mammina è perugina, il mio papà è imperatore della Cina; i miei fratelli son pipistrelli, le mie sorelle son mortadelle, i miei cugini son formaggini, mio nonno ha sempre sonno, mia nonna si cala la gonna!
Le conte La conta serviva per scegliere una o più persone all’interno di un gruppo. Veniva usata dai bambini, per esempio, quando dovevano decidere chi “stava sotto” a nascondino o alla cavallina, oppure quando dovevano dividersi in due squadre. Ambarabà Ambarabaciccicoccò tre civette sul comò che facevano l’amore con la figlia del dottore il dottore s’ammalò ambarabaciccicoccò. Bum Bum!!! Cade la bomba in mezzo al mare mamma mia mi sento male mi sento male in agonia prendo la barca e fuggo via fuggo via in alto mare * I giochi segnati con l’asterico attestano che il bambino cominciava ad amare il gioco fin dalla più tenera età anche se prendeva parte soltanto con la sua risata ai giochi fatti dalla mamma.
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dove sono i marinai che remavan notte e dì la mia gatta mi morì mi morì di giovedì ABCD Mimì Sotto il ponte di Maracca c’è Mimì che fa la cacca la fa dura, dura, dura il dottore la misura la misura a trentatrè uno, due, tre, uno, due, tre. Il carretto Passa un carretto di filo cotone è vero che sì? Sì è vero che no? No è vero che tu vuoi uscire da qui?
Gli scioglilingua Lo scioglilingua è un gioco e come tutti i giochi ha le sue regole. Essendo costituito da frasi studiate appositamente per essere difficili da pronunciare, prima di proporlo agli altri, ci si assicura che tutte le parole e il senso (logico o astruso) della frase siano stati compresi. In un gioco di gruppo ciascuno propone lo scioglilingua che conosce. Di solito lo scioglilingua non è quasi mai lungo, ma è difficilissimo da recitare e lo si deve ripetere a memoria (senza perciò leggerlo) in rapida sequenza, tante più volte quante meno sono le parole che lo compongono. I più bravi contano il numero di volte consecutive prima dello sbaglio e cercano di aumentare la velocità. Chi si impappina, invece, ricomincia daccapo. Gli scioglilingua sono sempre stati un eccellente e divertentissimo esercizio per superare le difficoltà di pronuncia e acquisire scioltezza e fluidità nella dizione. Si cimentano in questo gioco grandi e piccoli, in una sorta di gara e di dimostrazione di capacità, quasi che riuscire a non sbagliare costituisca una conferma della proprie abilità linguistiche e mnemoniche. Naturalmente i bambini e i ragazzi risultano più abili degli adulti.
Apelle Apelle figlio d’Apollo fece una palla di pelle di pollo tutti i pesci vennero a galla per vedere la palla di pelle di pollo fatta d’Apelle figlio d’Apollo. Sopra la panca Sopra la panca la capra campa Sotto la panca la capra crepa.
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Trentatrè Trentatrè trentini entrarono in Trento tutti e trentatrè trotterellando. L’Arcivescovo di Costantinopoli Se l’arcivescovo di Costantinopoli si disarcivescostantinopolizzasse, voi, vi disarcivescostantinopolizzereste come si è disarcivescostantinopolizzato lui? Il Papa Il Papa pesa e pesta il pepe a Pisa e Pisa pesa e pesta il pepe al Papa. Il Questore C’è il questore in questura a quest’ora? No il questore a quest’ora in questura non c’è. Se il questore fosse in questura a quest’ora la questura sarebbe questa. Cane pazzo Dietro al palazzo c’è un povero cane pazzo date un pezzo di pane a quel povero pazzo cane. Becco figlio di Bacco Becco figlio di Bacco era becchino, prese una barca e con la bacca nella barca, becco figlio di Bacco andò alla Mecca a comprare una vacca. Sul tagliere Sul tagliere l’aglio taglia, non tagliare la tovaglia, la tovaglia non è aglio, se la tagli fai uno sbaglio.
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9. Superstizioni
Fanno parte del patrimonio culturale nicosiano anche le superstizioni, diffuse in una grande varietà di forme, specialmente nel ceto più umile. Dalla nostra indagine è emerso che le persone più anziane “applicano”alcune credenze e continuano a credere a queste “favole”. Ciò è dovuto al fatto che esse si sono tramandate per così tanto tempo da trasformarsi in “verità”, sia perchè ciò che è lontano nel tempo assume una valenza maggiore e quasi mitica rispetto alle cose del giorno d’oggi e sia perchè le cose ripetute tante volte, un po’ come le bugie, diventano verità anche per chi le ha inventate. L’origine delle superstizioni antiche e tradizionali è certamente da ricollegare all’ignoranza o alla paura degli spiriti dei morti, ai timori dell’ignoto e di forze occulte che governano gli eventi (tutti timori prevalenti sulla ragione, specie nei tempi lontani), ma non mancano superstizioni più generiche legate alla creazione spontanea di nuove e personali scaramanzie (un indumento che “porta bene”, il fare le corna o il dire “in bocca al lupo” con quel che segue) da parte di qualcuno più creativo degli altri. Credenze incredibili continuano a circolare anche tra i giovani, nonostante si riconosca la loro irrazionalità e insignificanza, forse perché esse incuriosiscono e rendono più intrigante la vita. Ma non mancano i superstiziosi “incalliti”, che credono in cose soprannaturali, nei sortilegi e nella magia indipendentemente dalla loro cultura e dalla loro classe sociale o professionale. Difficilmente, però, ammettono di essere superstiziosi, di credere a certe “ridicolaggini”, come si è soliti affermare con sussieguo quando sono con amici a cui vogliono mostrare la propria superiorità di fronte a simili “sciocchi pregiudizi”. Tuttavia, in privato, queste persone sono solite fare i debiti scongiuri per avvenimenti o situazioni che necessitano di un atto scaramantico e attribuiscano a taluni elementi particolari influenze magiche.E a voler essere sinceri, quanti di noi sarebbero disposti a sfidare la sorte compiendo gesti che tradizionalmente sono ritenuti apportatori di negatività? Chi volutamente è disposto a posare il pane sulla tavola capovolto, a mettere i coltelli in croce o a passare sotto una scala, ben sapendo che tutti questi gesti sono considerati negativi? Che dire poi del “13 a tavola” o del “venerdì 17”, giorno per taluni così infausto, che persino i quotidiani non mancano di sottolinearlo? E chi, pur segretamente, non ha effettuato scongiuri per propiziarsi la fortuna? Si tratta in questo caso di innocue e irrilevanti debolezze, di forme di insicurezza e di paura, dovute al perpetuarsi di un meccanismo comportamentale, o, meglio, di un errore nel processo di apprendimento che normalmente ci fa trovare le vere relazioni di causa-effetto nella realtà che ci circonda. Infatti, anche se la relazione tra superstizione ed evento atteso è del tutto casuale, tendiamo a ricordarci di un evento particolare (per es. l’attraversamento della strada da parte di un gatto nero) quando ci accade un evento sfavorevole e ad associarlo successivamente all’ accaduto. Osservando i fatti si capisce che la superstizione non è la causa di ciò che accade e il buon senso dovrebbe suggerirci di smettere di crederci. Tuttavia è difficile per tutti, quando un evento precede strettamente un altro, sottrarsi all’impressione che il primo sia la causa del secondo. L’errore, cioè la confusione tra causalità e casualità, dipende dal fatto che forte è la tendenza a badare alla presenza delle associazioni, dimenticando i numerosissimi casi dell’assenza, quando cioè i due eventi avvengono indipendentemente. A trarci in inganno è proprio il differente peso che si attribuisce a presenza e ad assenza. Per esempio, può capitarci mille volte di assistere a un incidente senza che questo sia preceduto da un gatto nero che attraversa la strada, può capitarci mille volte che un gatto nero attraversi la strada senza che niente succeda; se però capita, una volta su mille, che i due eventi coincidano, il fatto viene raccontato a destra e a manca come prova dell’esistenza di un rapporto causa-effetto. Non è raro, però, il 397
caso di chi si lascia dominare da queste coincidenze, tuttavia se comprendiamo il meccanismo che sta alla base della superstizione, ci sarà facile accostarci alle superstizioni cum grano salis.
Porta male... Chinarsi a raccogliere gli aghi, perchè porta sfortuna Non restituire gli aghi e le spille prese in prestito, perché si potrebbe litigare con la persona che ha prestato gli oggetti Lavare i materassi nel mese di Agosto Comprare scope nel mese di Agosto Lavare il corredo di una sposa nel mese di Agosto Vedere il 1° di agosto, qualora ci si esponga al sole, l’ombra del proprio collo corta, perchè si affronterà un anno difficoltoso Sedersi all’angolo del tavolo, perché non ci si sposa Adoperare lo stesso asciugamano in due, perchè si litigherà sicuramente Incontrare l’automobile che trasporta i morti vuota Scopare e buttare la spazzatura dopo aver recitato l’Ave Maria, perché si svuota la casa Non regalare qualcosa ad un bambino molto piccolo, quando entra per la prima volta in una casa, altrimenti in quella casa si annideranno i topi Tirarsi un capello bianco, perchè ne spuntano sette Ad una donna incinta tagliarsi i capelli Posare il cappello sul letto Vedere il carro funebre che trasporta i morti vuoto Vedere entrare in casa un calabrone o una rondine Trasferirsi in una casa nuova nel mese di Agosto o di Novembre Sentire cantare una civetta tre volte, perchè l’indomani muore qualcuno Comprare cose nuove nel mese di Agosto o di Novembre Tenere il cucchiaio con la mano sinistra Perdere la fede nuziale, perchè l’infelicità piomberà sulla coppia. (Si consiglia di riacquistare immediatamente un’altra vera che dovrà essere infilata all’anulare dal partner, come durante il rito nuziale) Regalare fiori di numero pari Se le forbici cadono a terra, si consiglia, prima di raccoglierle, di posarvi il piede sopra per annullare il cattivo presagio Regalare forbici, spille, aghi, temperino o qualsiasi oggetto appuntito perché altrimenti si rischia di troncare il rapporto di amicizia ( Si consiglia di pungere con essi il donatore, oppure regalargli una simbolica monetina). Non chiudere le imposte quando passa un funerale, perché altrimenti l’anima dei morti entra in casa tua Andare a casa di altre persone, dopo un funerale ( Si consiglia di ritornare a casa del morto stesso o magari entrare in qualche negozio) Calpestare i funghi Sentire cantare il gallo prima di mezzanotte, perchè preannuncia cattivo tempo Vedere una gazza prima di corteggiare una ragazza, perché altrimenti l’innamorato ha poche possibilità di successo Uccidere un gatto, perchè porta sette anni di sfortuna Vedere i gatti che si lavano dietro le orecchie, perchè piove Vedere un gatto nero che attraversa la strada. (In questo caso si consiglia di fare le corna, o di tornare indietro o di far passare qualche altro prima) Vedere un gufo alla luce del sole Cambiare il letto matrimoniale vecchio con uno nuovo 398
Rifare il letto in tre persone, perchè la più piccola d’età morrà Sistemare il letto con i piedi rivolti verso la porta, perché è la posizione in cui stanno i morti Scendere dal letto dalla parte sinistra, in quanto ritenuta la parte di Satana Mettere il metro, l’ombrello o la scopa sul letto Lavare le tende nel mese di Maggio Mettersi le mani intrecciate dietro il capo Sentire prurito nella mano sinistra, perchè escono denari e... si ricevono bastonate Toccare fiori, salsa o carne in generale, quando una donna ha il ciclo mestruale Non aprire le finestre quando muore qualcuno, perchè l’anima non esce Uscire dalla chiesa prima del morto Baciare sul collo un neonato, perchè altrimenti perde il sonno Versare a terra l’olio o il sale Rompere bottiglie di olio Aprire ombrelli dentro casa, perchè è presagio di sventura Raschiare la padella, perchè quando ci si sposerà ci sarà pioggia Mangiare, a tavola, sino all’ultimo boccone del proprio pane, perchè chi lo lascia, perde i suoi anni. Porre a rovescio il pane sulla tavola, perchè porta carestia Regalare perle tra fidanzati, perché portano lacrime Regalare il profumo alla fidanzata, perchè i due litigheranno Salutare, quando qualcuno parte, due volte la stessa persona, perchè altrimenti non si vedranno mai più Veder cadere un quadro, perchè è segno di malaugurio Avere rapporti sessuali nei giorni festivi, perchè vi è il rischio che i figli nascono handicappati Versare il sale, a meno che non se ne getti un pizzico dietro la spalla sinistra Passare sotto una scala perché porta sventura.( Infatti si forma un triangolo, simbolo della Trinità, e passarci sotto è una grave mancanza di rispetto) Passare da nubile sotto una scala aperta o appoggiata al muro, perchè quella donna non si sposerà Mettere a forma di croce scarpe, posate o altri oggetti perché, in epoca medioevale, erano considerate un’offesa alla Croce di Cristo Mettere le scarpe sul letto Lasciare le scarpe capovolte Inciampare scendendo una scala, perchè è presagio di perdita di denaro Toccare con la scopa i piedi di una nubile, perchè questa non si sposerà Passare sul seminato per l’Immacolata Trovare, il 1° di settembre il cane arrotolato, perchè per tutto l’inverno farà un freddo “cane” Accendere la sigaretta in tre, con lo stesso cerino, perché il più piccolo morirà Posare soldi sul letto, perchè gioveranno per le malattie Spazzare il pavimento prima dell’alba e dopo il tramonto, perchè è segno infausto Fare guardare il bambino allo specchio prima che abbia compiuto un anno Rompere o regalare specchi, perchè preannuncia sette anni di guai Consentire agli sposi di vedersi prima del matrimonio Fare visite agli sposi e ai neonati di martedì e di venerdì Se lo sposo vede la sposa vestita di bianco, perché c’è pericolo che non si sposino più Alla sposa realizzare il suo vestito per le nozze Provare vestito, scarpe ecc. prima del matrimonio, o guardarsi completamente vestita da sposa in uno specchio lungo Agli sposi vedere il letto prima di sposarsi Sedersi nell’angolo del tavolo, perchè non ci si sposa Far vedere il vestito da sposa al futuro marito prima del momento della cerimonia, perchè il vederlo prima porta sfortuna Sposarsi a maggio o in agosto o in Novembre 399
Provare vestiti da sposa o anelli nunziali, perchè altrimenti non ci si sposa Vedere tre o quattro suore unite Mangiare in tredici a tavola, perché il più piccolo morirà Sentire l’ ululato del cane, perchè è presagio di morte Tagliare le unghia ad un bambino prima di un anno Gettare il guscio di un uovo intero, senza spezzarlo, perchè altrimenti vi si annida il demonio Comprare vestiti di venerdì Tagliare le unghia di venerdì Fare visita agli amici di venerdì perché si porta malaugurio Ogni venerdì 17 si deve portare qualcosa di rosso, perché il numero 17 scritto e capovolto in romano vuol dire morte. (La superstizione deriva dall’usanza degli antichi romani di far scolpire sulla propria lapide la parola “VIXI” (vissi). Anagrammando la parola si ottiene “XVII”, ovvero 17 in numero romano). Usare il colore viola nello spettacolo, perchè non porta guadagno e successo
Porta bene... Vedere il 1° di agosto, qualora ci si esponga al sole, l’ombra del proprio collo allungata, perchè si affronterà un anno senza difficoltà Mettersi dentro un’ alcova perchè si avrà un figlio maschio Vedere un arcobaleno perchè si avvera certamente il desiderio che si è espresso Trovare un bottone perchè consente di contrarre una nuova amicizia Prendere il bouquet lanciato all’indietro dalla sposa porta bene alla ragazza che lo prende al volo perchè si sposerà entro l’anno. Lo stesso succederà al ragazzo che prenderà la giarrettiera della sposa Bagnarsi sotto la pioggia nel giorno del matrimonio ( tanto che un vecchio proverbio dice: “Sposa bagnata, sposa fortunata”) Spegnere con un soffio tutte le candeline della torta di compleanno perchè fa avverare un desiderio Avere un capello sulla spalla, perchè preannuncia l’arrivo di una lettera Tagliarsi i capelli quando c’è la luna piena perchè allungano più facilmente Mangiare la notte di Capodanno le lenticchie e sette chicchi di uva o di melograno perché entreranno soldi nel corso dell’anno Portare in una casa nuova, prima di tutto, una bottiglia di olio, una confezione di pasta e una busta di sale Conservare due centesimi di euro nel portafogli Fare il gesto delle corna per scongiurare eventi negativi o per propiziarne di positivi Lavare il fazzolettino di un bambino battezzato, stenderlo, stirarlo ed infine prendere l’acqua e buttarla sotto il letto di chi ha lavato il fazzoletto Accostare fazzoletti, maglie, biancheria al quadro o alla statua di qualche santo o della Madonna, fa guarire la persona ammalata di casa Porre un ferro di cavallo sopra l’ingresso della casa porta fortuna Toccare ferro, indossare un indumento particolare o portare con sé un oggetto portafortuna Quando entra in casa una farfallina o ronza una mosca grossa , c’è lettera in cammino o si aspetta visita. Regalare fiori di numero dispari Tenere appese al muro le forbici Lavarsi le mani non appena si ritorna da un funerale Inciampare sui gradini di una scala è di buon auspicio perchè presto si convolerà a nozze Frantumare il guscio dell’uovo dopo averlo sorbito,perchè se ne trae sostanza Mangiare le lenticchie per la notte di San Silvestro e, a mezzanotte, sette chicchi di uva e di melograno vuole dire propiziarsi certamente la fortuna economica durante l’anno Far fare il letto degli sposi a due ragazze vergini Lavarsi le mani non appena si ritorna da un funerale 400
Se cade qualcosa dalle mani, perchè si aspettano visite Se prude la mano destra, perchè entrano denari, e... si danno bastonate Porre una moneta nelle fondamenta di una casa nuova è segno di buon augurio Trovare una moneta porta fortuna Lasciare, la vigilia (la notte) dei morti, la tavola apparecchiata perché le anime morte possano mangiare e non fare del male alla famiglia L’entrata del moscone di S. Antonio in casa Vedere il 1° di agosto, qualora ci si esponga al sole, l’ombra del proprio collo lunga, perchè si supererà l’anno senza difficoltà Affettare il pane è segno che si avranno figlie femmine La caduta del pettine dalle mani mentre ci si sta pettinando, indica che qualcuno che vi vuole bene vi sta pensando Mettere davanti per prima il piede destro quando la sposa esce di casa Salire gli scalini col piede sinistro il giorno di capodanno è buon augurio Regalare un portafoglio e mettere dentro delle monete Il prurito alla mano sinistra è segno che sono in arrivo soldi Vedere un ragno di sera è segno di bel tempo Porre una coppa di sale davanti ai commensali anticamente era simbolo di amicizia Lanciare le scarpe verso l’uscio di casa porta fortuna alle donne nubili che si sposeranno entro l’anno, a patto che le punte delle scarpe siano rivolte verso l’uscio Tenere la scopa dietro la porta, così gli spiriti maligni non entrano in casa Sognare di morire o uno che è morto, allunga i giorni di vita Trovare i soldi bucati è un felice augurio Vedere uno spillo per terra, e raccoglierlo, fa sì che la fortuna sorrida per tutto il giorno Indossare da parte della sposa una cosa vecchia, una nuova, una regalata, una prestata e una blu Vedere cadere una stella è di buon auspicio: si avvera il desiderio Passare sotto uno stendardo, da una parte all’altra della via, mentre si svolge una processione sacra, serve ad ottenere la protezione del santo raffigurato sullo stendardo Lasciare la notte precedente il 2 novembre la tavola apparecchiata con l’angolo della tovaglia sul tavolo, affinché le anime morte possano mangiare e non fare del male alla famiglia Mettere nella manina di un bambino che ha già compiuto un anno gioielli o soldi, prima di tagliargli le unghie Un velo vecchio è considerato più fortunato di uno nuovo Nascere per i bambini di venerdì porta bene perchè si crede che essi siano più forti, valenti, scaltri,furbi e potenti
Le credenze popolari Molto vicine alle superstizioni sono le credenze popolari che si appoggiano su presupposti emotivi, sentimentali, ricchi di fantasia, ed in nessun modo razionali, e che toccano diversi campi, a seconda del modo di angolazione con cui sono considerate. Comunque esse rappresentavano un substrato emozionale popolare vivo per secoli, alimentato dalla ferrea resistenza della tradizione legata il più delle volte alla ignoranza incolpevole del popolo dei secoli passati. Si credeva : che la donna incinta non dovesse sedere in sedie troppo basse, non dovesse portare collane né ciondoli, perché il cordone ombelicale avrebbe potuto attorcigliarsi al collo del nascituro e strozzarlo; che si potesse conoscere il sesso del primogenito ancora prima della sua nascita mettendo qualche chicco di grano nell’ urina della gestante. Se dopo qualche giorno esso germogliava, il nascituro era maschio, altrimenti era una femmina; 401
che si potesse conoscere il sesso del primogenito chiedendo improvvisamente ad una gravida che cosa era accaduto alle proprie mani: se questa guardava il dorso sarebbe nato un maschio, altrimenti una bambina. Ed ancora, si credeva che il nascituro sarebbe stato maschio se inavvertitamente la madre girava il mestolo verso destra, femmina se verso sinistra; che il sesso del nascituro dipendesse dalla forma della pancia: se assumeva una forma molto pronunciata (a punta), si prevedeva che fosse maschietto, mentre se la pancia tendeva ad allargarsi ai fianchi (tonda) si prevedeva che fosse femminuccia; che il sesso del nascituro dipendesse dalle fasi della luna: se la luna era crescente si trattava di un maschio, se calante di una femminuccia; che, se non si soddisfacevano le voglie delle puerpere, il corpo del nascituro potesse essere tatuato con la forma della cosa desiderata nel punto in cui la donna si era toccata al momento del manifestarsi della voglia. Pertanto le comari consigliavano alla gestante di non trascurare le “voglie” e di farsi portare dal marito qualsiasi cosa avesse desiderato; che mettere addosso alla partoriente immagini sacre della Madre Sant’Anna, del Crocifisso e di Sant’Antonio e innalzare le tradizionale preghiere al Crocifisso o a Sant’Antonio le fossero d’aiuto nei momenti difficili; che coprire con lenzuoli tutti gli specchi che si trovavano nella stanza della partoriente evitasse che spiriti maligni, riflettendosi in essi, potessero spaventare la donna; che la placenta conservata per tre giorni potesse allontanare il pericolo di una emorragia; che una grande chiave messa sotto il materasso della partoriente potesse evitare i dolori post-partum; che la culla dovesse essere dondolata solo quando il bambino era dentro a riposare, perchè altrimenti, se fosse stata vuota, il bambino avrebbe sofferto di dolori al ventre o addirittura sarebbe morto; che la donna nubile che fosse riuscita a prendere al volo il bouquet lanciato all’indietro dalla sposa, all’uscita dalla chiesa, si sposasse entro l’anno; che i primi momenti del nuovo anno, avessero qualcosa di magico, poiché quello che avveniva in quel lasso di tempo si sarebbe fatto tutto l’anno, o era auspicio per ciò che sarebbe avvenuto.
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10. Medicina popolare
Sistemi empirici Oltre alle superstizioni e alle credenze, fa parte della nostra civiltà contadina di un recente passato anche la medicina popolare, che affonda le sue radici nella notte dei tempi e si presenta come una complessa mescolanza di rimedi empirici e rimedi magici. In passato essa aveva una grande importanza soprattutto per i più poveri, che, per trovare la cura ai quotidiani “mali” che li affliggevano, ricorrevano al patrimonio della tradizione e ai suoi depositari. Molte malattie erano curate con sistemi empirici a mezzo di erbe o di altri ingredienti. Per lenire i dolori causati dall’artrosi e dalla cervicale, si metteva sul collo un sacchetto di sabbia scaldata sul fuoco. Per guarire la bronchite nei bambini, anticamente, si poggiava un pezzo di mattone caldo sul petto. Sulle bruciature si adagiava una fettina di patata o polvere di calce bruciata. L’ erba spaccapietre veniva usata contro i calcoli renali. Contro la crosta lattea dei bambini si adoperava il latte materno che veniva strofinato con un po’ di cotone idrofilo. Decotti di acqua e sale grosso erano efficaci contro le distorsioni e le lussazioni. Ma il rimedio principale era la stoppa, miscelata con un uovo sbattuto e applicata alla parte dolorante, in quanto, con il disseccarsi dell’albume, diventava rigida e costituiva quasi una gessatura. Per far scendere la febbre, si ponevano sul capo, sui piedi e sui polsi degli impacchi di aceto e acqua. Impiastri di finocchio e cavolo sulla mammella si usavano per eliminare la febbricola che si manifestava nella madre ai primi giorni della lattazione. Sul dente cariato dolorante si poggiava del cotone intriso di latte di fichi acerbi o un chicco di sale grosso, o un decotto di malva; altrimenti si premeva sulla guancia una patata cruda con un pizzico di sale. Il sedano veniva usato per curare le disfunzioni del fegato. Decotti di salvia venivano usati contro i dolori della bocca e del fegato. Per curare le emorroidi si metteva sulla zona dolorante una corteccia di rami d’ulivo tenero. Il prezzemolo tritato era utile per far sgonfiare un’ ernia. Talvolta si curavano i grossi foruncoli mediante applicazione di foglie di salvia, compresse tra le mani unte con grasso. Contro il diffuso malanno dei geloni si prescrivevano svariati rimedi: immergere mani e piedi in acqua calda, dove era stato sciolto del sale, immergere la parte malata nell’urina; frizionare vigorosamente con squame di cipolla. Per curare i tanti piccoli disturbi dovuti alla cattiva digestione come il gonfiore intestinale o il meteorismo si usava l’origano. Per attenuare il gonfiore delle mammelle della partoriente si adoperava il cataplasma di semi di mela cotogna, fatti bollire in poca acqua fino all’ esaurimento di questa. Per curare le infezioni urinarie, ed anche per disintossicare il fegato, si beveva tutti i giorni, di mattina, l’acqua in cui si faceva bollire la gramigna. Per le infiammazioni della pelle del viso vigeva la curiosa usanza di bagnarla due o tre volte al giorno con latte di donna. 403
Largo impiego avevano i decotti di malva, di ficodindia e di semi di lino come rinfrescanti contro le irritazioni. Le lentiggini venivano curate con la linfa che cola dalle viti potate in primavera. Crusca calda avvolta in un panno di tela, o messa dentro una calza, viene applicata sul collo degli ammalati di mal di gola o di tonsillite. Oppure molto diffuse erano le frizioni esterne con olio caldo e i gargarismi con aceto. Se i bimbi accusavano mal di pancia dovevano bere un miscuglio contenente latte materno e origano arrostito. Contro il mal di testa si applicavano sulla fronte fette di patate crude e foglie di vite. Per far cadere i peli superflui dalla fronte dei neonati, veniva adoperata una pasta di mandorle amare. Per la polmonite e la pressione sanguigna alta si applicavano le sanguisughe. Vigeva l’usanza di trattare i porri con il lattice dei fichi non maturi. Per le punture di insetti era molto salutare massaggiare energicamente sulla parte interessata dell’aglio o porre sopra un decotto di malva. La cipolla fritta viene applicata sulle punture dei chiodi, perché si credeva che essa e l’olio fritto fossero rimedi efficaci contro la ruggine. La cipolla bollita veniva mangiata per curare la prostatite. Per curare il raffreddore, bastava strofinare forte la fronte e il petto con dell’olio riscaldato, oppure bere del vino molto caldo e zuccherato. Fette di patata o sapone o bicarbonato di sodio si applicavano sulle scottature; ma, il rimedio ritenuto più efficace era una pomata fatta con calce viva battuta con olio. Per le scottature provocate dal sole si adoperava l’albume d’uovo battuto a neve. Il limone bollito veniva usato per guarire le screpolature delle mani. Tra i rimedi naturali contro i vermi, l’aglio teneva il primo posto. Le uova della settimana santa, bevute a digiuno e al mattino, erano ritenute salutari ed efficaci contro il vomito schiumoso di chi aveva mal di fegato e dell’apparato digerente. Per tutti i mali, rimedio efficace si riteneva il bere l’acqua benedetta prelevata da sette Chiese diverse.
Gli scongiuri Il popolo, oltre a credere (e, in certi casi, non a torto) di poter curare con sistemi empirici le malattie, ricorreva anche a forme di retaggio della superstizione: gli scongiuri, vere e proprie formule magiche usate per invocare forze esterne ( di solito Santi protettori) contro forze maligne della Natura, perché risolvessero i piccoli problemi della vita quotidiana. Allo scongiuro si accompagnava l’uso di scaricare la forza maligna su oggetti comuni (forbici, falce, olio, ecc.) che venivano scagliati lontano o bruciati o sotterrati, perché si credeva che la forza vitale che viene dalla terra e che può arrecare danno, ad essa dovesse tornare mediante l’allontanamento dallo spazio abitato (la casa) o la distruzione (fuoco, sotterramento); altre volte si usava lo sputo per scongiurare un pericolo. Per esempio, quando si andava a visitare un infermo si sputava tre volte, e lo stesso si faceva quando c’era una donna in travaglio, oppure quando si incontrava un gobbo, una fattucchiera o un prete. Addirittura certe madri, quando qualche donna di dubbia reputazione baciava il loro bambino, sputava tre volte non appena questa fosse uscita di casa. Alcuni portavano indosso l’aglio e la cipolla ed altri la coda di qualche animale, per scacciare il diavolo. Gli scongiuri erano formule legate alla tradizione orale, che non avevano una forma perfettamente canonizzata e venivano usate dalle “magarë” (fattucchiere) per curare le malattie o le “fatture” e segretamente trasmesse da madre a figlia, in un vero e proprio scambio del “testimone”. Secondo il popolo, esistevano varie specie di “scongiuri”: contro i malanni fisici (il mal di pancia, il mal di testa, le malattie esantematiche dei bambini, i vermi intestinali e altre malattie), ma anche contro il malocchio. Per esempio: - Contro il mal di pancia si recitava per nove volte: “Lunedì Santo, martedì santo, mercoledì santo, 404
giovedì santo, venerdì santo, sabato santo. Passa il mal di pancia come passa la festa di Pasqua”.Ad ogni inizio si doveva fare il segno della croce e dire: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.”Terminato questo passaggio si recitava un’Ave Maria, un Padre Nostro, un Gloria al Padre e un Credo. - Contro il mal di testa o il malocchio diffusissima ancora oggi è la seguente pratica: chi recita lo scongiuro mette sulla testa di colui che ha subìto il malocchio un piatto in cui lascia cadere del sale grosso, in cinque pizzichi, così da formare come una croce, poi vi versa sopra dell’acqua ed infine fa cadere nel piatto, per tre volte, cinque stille di olio, sempre in croce. Se le gocce d’olio si allargano, vuol dire che il malocchio c’è; allora si recitano formule segrete (anche per noi), perché si crede che rivelandole vada perduto tutto il loro potere. Mentre si tiene il piatto sulla testa del malcapitato, si pronunziano queste parole: “Occhjö e malocchjö / forbecë a l occhjö / crepa a nvidia / crepa ö malocchjö”. Oppure: si fissava a mente il nome della persona che aveva il male di testa (per es Peppinö, poi si recitava per nove volte: “Peppinö te chjama, döë occhjë t’anö offësö, trëë te vonö sarvarë, ora venë Sant’Anna, Santa Maria Maddalena, venë a Madonna câ manö santa nô nomë dö› Patrë dö› Fighjö e dö› Spiritö Santö”. Oppure, si recitava per nove volte: “Cielö celestë, Cielö celestë, faë passarë ö malë da› testa nö› nomë de la Santissima Trinità”. Oppure, sempre per nove volte si recitava: “Alza ö gighjö comö alza a nëghja, alza ö sölë comö alza ö noströ Sarvatörë, nô nomë dö› Patre dö› Fighjö e dö› Spiritö Santö”. Ad ogni inizio si doveva fare il segno della croce e dire: “Nô nomë dô Padre dô Figghjö e dô Spiritö Santö”.Terminato questo passaggio si recitava un’Ave Maria, un Padre Nostro, un Gloria al Padre e un Credo. Infine, si buttava l’acqua dove non passava nessuno. Una variazione dello scongiuro precedente è quello con cui si invoca la fonte della Vita ed il momento della nascita di Cristo per togliere il malocchio dal figlio: “A Bethlemme è nato un bambino / senza dolori l’ha partorito la madre / bella è la mamma, bello è il figlio / togli il malocchio da questo mio figlio”. Altra variazione è: Ia coghjö st’ochjö nö› nomë de Diö e de la santa Trinità, ö Patrë, ö Fighjö e ö Spiritö Santö, e cösì sarà; La Santa Trinità, trëë persönë divinë iunciutë n carità. Ochjö nërö, ochjö biondö, Ochjö canëgnö, ochjö che dicë farë malë, avëssevë ccecarë! Cö trëë panë, cö trëë pëscë l’ochjö tëntö me spariscë. Versione: Io raccolgo quest’occhio – in nome di Dio e della S. Trinità, – del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, – e così sarà; – la S. Trinità, tre persone divine – unite in carità. – Occhio nero, occhio biondo, – occhio canino, occhio che deve fare male, – che accechi! – Con tre pani, con tre pesci l’occhio cattivo (il malocchio) sparisca. Talvolta chi era affetto dal malocchio, durante la Messa della notte di Natale, doveva proferire questo scongiuro: “ Tre occhi t’hanno invidiato, tre Santi t’hanno baciato, in nome di Dio e di Santa Maria l’invidia se ne va via. In nome di Dio e di tutti i Santi, l’invidia se ne va avanti.” - Contro gli orecchioni si recitava per nove volte: “Pater Noster alla Santissima Trinità”. Ad ogni inizio si doveva fare il segno della croce e dire: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Terminato questo passaggio si recitava un’Ave Maria, un Padre Nostro, un Gloria al Padre e un Credo. Mentre si procedeva nelle litanie si faceva un cerchio e poi tre croci sul gonfiore (con le dita o con una forbice aperta; in quest’ultimo caso alla fine dello scongiuro si gettava la forbice a terra). - Contro la palpitazione di cuore si recitava tre volte e per tre giorni di seguito, girando la mano attorno al cuore: 405
“Fermetë corë, — che Diö te volë! Fermetë arma, — che Gesù Cristö te comanda! Cincö angelë partirö pe sanarë stö malatö. Santa Marta, Santa Maddalena e San Damianö, che è medecö sopranö prima ce passa a so e poi a mia manö.” - Contro il torcicollo la “magara” si limitava a toccare la parte dolente, recitando questa formula: “Tutë le iornë venë Natale, martedì venë carnevalë, de domëneca venë Pasqua, a corda dö? coddö n terra casca”. (Tutti i giorni viene Natale, martedì viene carnevale, di domenica viene Pasqua, la corda dal collo in terra cade) - Contro i vermi si poneva in un piatto del sale e dell’olio, e, presone un po’ col pollice e con l’indice, si applicava sull’ombelico dell’ammalato e si andava recitando: “Lunë santö è; e Martë santö è, Mercörë santö è, Iovë santö è, Venerë santö è, e Sabetö santö è, Domënega che è à matina de Pasqua ö vermö muirö e ’n terra cadö.” E si faceva un segno di croce col pollice della destra sull’ombelico del paziente. Si faceva seguire un’avemaria o un paternostro, e tutto si replicava per altre due volte. Ove occorreva, la pratica si ripeteva anche la sera e la mattina seguente. -Contro l’invidia si recitava per nove volte: “Ochjë contrö ochjë, crepa a nvidia (invidia) e scatta ö malocchiö”. Ad ogni inizio si doveva fare il segno della croce e dire: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.” Terminato questo passaggio si recitava un’Ave Maria, un Padre Nostro, un Gloria al Padre e un Credo. Se si avevano vicini invidiosi, che guardavano di mal animo il bene altrui, chi credeva di poterne avere nocumento, faceva la seguente pratica: A mezzanotte in punto, prendeva con la mano destra un vaso pieno di certo liquido..., si avvicinava in gran silenzio all’uscio di casa, o alla finestra, o al balcone; con la mano sinistra prendeva un pizzico di sale e pronunziava il seguente scongiuro: Fora ö malö ochjö! Intra ö bonö ochjö! Fora ö picchiö, Nescë ö malocchiö E, poi, lasciava cadere quel sale nel liquido. Ripeteva questo scongiuro tre volte e, dopo il triplice versamento del sale, batteva per terra il piede sinistro e buttava con energia sulla strada la non odorosa secrezione.
Gli amuleti Tra i mezzi popolari di cura la civiltà contadina includeva gli amuleti, che avevano una funzione protettiva contro il malocchio e la sfortuna, in quanto ritenuti strumenti atti a ad allontanare determinati mali della vita. In genere, nella scelta simbolica degli amuleti, la logica di fondo era quella che la vicinanza od il possesso di un oggetto con determinate caratteristiche potesse trasferire al possessore le relative proprietà, così, ad esempio, era credenza che si potesse acquisire longevità utilizzando come posata un cucchiaio ricavato dall’osso di tartaruga, animale noto appunto per la sua longevità. Altro criterio usato, con logica per certi versi opposta, era anche quello di scegliere, come una sorta di scongiuro, amuleti ricavati da sorgenti di pericolo, poiché il possederli, in pratica, altro non significava che il trionfo dell’uomo su quello stesso pericolo. Così la testa o la pelle di vipera guarivano le punture ed i 406
morsi di molti animali ed anche i tremori dell’epilessia, in quanto questi ultimi sono molto simili nei sintomi agli effetti del veleno di vipera. Allo stesso modo, alcuni contadini, per difendersi dalla rabbia e dall’idrofobia, portavano al collo il dente di un cane rabbioso. L’invidia ed il malocchio venivano contrastate portando - a mo’ di ciondoli o collane - le corna di molti animali, spesso regalate per assicurare al nuovo proprietario salute e vitalità. I più popolari e a portata di mano sono i cornetti di corallo o il “gobbetto” che fa le corna o il ferro di cavallo. Degni di nota, in questa rapida panoramica sulla dimensione magica della civiltà contadina, meritano anche i filtri d’amore, per lo più usati da persone respinte o anziane desiderose dell’amore di una persona più giovane. Molti di questi venivano ricavati dalla radice della mandragola, già conosciuta per tale uso sin dai tempi di Erodoto, ma oggi nota ai più per l’arguzia con cui, successivamente, fu canzonata nelle sue virtù ne “La Mandragola”, riuscitissima commedia del Macchiavelli.
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Indice dei nomi Adamo, Rosario, 32, 49 Addeo, Agostino, 281 Agozzino, Michele, 21n, 93, 94, 105, 111, 112, 114, 124, 126,126,128, 128, 129, 129, 132, 141, 146,147, 148, 149n, 158, 163, 164 Agozzino, Pasquale, 19, 21, 21n, 53, 54, 55, 55 Agozzino, Sara, 177-178 Agozzino, Vincenzo, 58 Albanese, Damiano,41n Alberti, Luigi, 32, 53, 55, 63, 72 Alessi , Francesco, 20, 21 Algozzino, Santo, 19 Alleruzzo, Felice, 17, 19 Amoruso, Nicola, 209 Angilello, Cataldo Aldo, 18n Angilello, Costantino, 32, 37, 53, 73,79, 83, 93, 94, 103, 105, 106, 112, 114, 114, 115, 115, 116, 117, 119, 120, 123, 124, 159, 159n, 160, 160n Annigoni, Pietro, 200 Argelier, Gerard, 186-187, 204 Arrigo, Maria, 203 Attanasio, Natale, 228 Barberi, Franco, 156 Basile, Attilio, 129, 129 Basile, Ernesto, 240 Basile, Giovan Battista Filippo, 240 Battiato, Francesco, 16, 17, 23, 24, 24, 27, 32, 33, 37, 38 Battiato, Franco, 183 Battiato, Giovanni, 93 Battiato, Giuseppe, 18, 18n Battiato, Nicolò, 73n, 77, 93, Battiato,Valerio, 132, 141, 148, 148n, 154, 155, 158, 161, 162, 162n Belfiore, Carmelo, 41n, 73, 74, 75, 78,78,82, 83, 85, 88, 88n, 89, 90 Belgiovine, Mariarosaria, 186 Bellagamba, Bonaventura, 279 Beninato, Pietro, 93 Beritelli, Michele, 32, 49 Berlinguer, Enrico, 71 Bertuzzi, Irnerio, 48 Billone, Salvatore, 17 Bobbio, Norberto, 163 Boggio, Luigi, 53, 132, 133, 133n, 134, 134, 135, 144, 149 Bonanno, Gaetano, 201 Bonelli, Carmelo, 93 Bonelli, Giuseppe 23, 53, 55, 73, 88n Bonelli, Mariano,19 Bonelli, Giuseppe (Pino), 178-180, 195 Bonifacio, Francesco Paolo, 117 Bonomo, Roberto, 93, 103, 105, 112, 114, 115, 124, 126, 289, 132, 133, 161n Brunello, frate, 279 Bruno, Angelo (Lino), 105n, 135, 136 Bruno, Antonino, 13, 16, 16n Bruno, Antonino (Nino) 166, 166n Bruno, Ascenzio, 93, 105, 112, 114, 115, 124, 132, 133, 146, 146, 148, 148n, 149, 149n, 150, 161, 162, 166 Bruno, Giorgio, 148, 148n, 154, 155, 156, 158, 161, 161, 163, 171n Bruno, Giuseppe, 23, 25, 25n, 34
Buscetta, Tommaso, 48 Buttafuoco, Antonino, 63 Buttafuoco, Gaetano, 53, 53, 72 Buzzone, Giuseppe, 19 Buzzone, Sebastiano, 23, 27, 32, 36 Calabrese, Antonino (Nino), 132, 171 Calabretta, Giuseppe (Pino), 204 Calandra Sebastianella, Pasquale, 148, 164n Camerano, Michelangelo, 279 Cammarata, Giuseppe, 148, 155n Cammarata, Vincenzo Antonino, 132, 155n Campanella, Riccardo, 200 Campione, Felice, 23, 25 Campione, Francesco, 58 Campione, Luigi, 132, 135, 136, 148, 148n, 149, 149, 150, 150n, 153n, 154, 157n, 161, 161n, 164n Campione, Michele, 17, 88, 106 Campo, Domenico, 89 Campo, Rosario, 13,23, 24, 25, 25, 26, 27, 27n, 29, 29n, 30, 32, 35, 36 Candurra, Vincenzo, 181-182 Cannata, Nicolò, 23, 27, 28, 32, 49 Cannizzo, Salvatore, 150n, 272 Capuzzo, Giovanni, 200 Carapezza, Paolo Emilio, 142, 142 Cardaci, Vito, 119 Caruso, Annalicia, 183-185 Casale, Antonio,13, 108, 109, 131, 132, 133, 135, 137, 140, 141, 141, 142, 142, 143, 144, 144, 145, 145, 146, 147, 148, 149, 149n, 150, 152, 152n, 153, 154, 155, 156, 158, 161, 167, 170, 171, 171n Casale, Salvatore, 72 Casalotto, Salvatore, 17 Casalotto, Santina, 257 Castellana, Giovanni, 19, 20, 23, 25, 34, 41n, 53n, 63 Castiglia, Filippo Paolo, 17, 19, 23, 25, 28n, 29n, 29, 32, 32n, 33, 38, 38n, 39, 45, 49, 53, 54, 59, 60, 88, 106 Castrogiovanni, Carmelo, 72, 73, 78, 81,82, 82, 83, 87, 88, 89, 90, 91, 92 Castrogiovanni, Giuseppe, 132, 148, 148n, 150n, 164 Castrogiovanni, Michele (Lino), 17, 93, 105, 112, 114, 115, 124, 132, 133, 145, 166 Castrogiovanni, Salvatore, 73n, 106, 111, 157n Castrogiovanni, Sigismundo, 53, 53n, 73, 74, 80, 85, 86, 90, 91, 211 Catania, Carmelo (Melino), 53, 55, 55, 64, 73, 74, 88n, 93, 94, 98, 98, 99, 115 Catania, Salvatore (Totuccio), 141n, 150n, 161n, 168 Catrini, Luigi, 93, 106, 108, 132, 148, 155 Celfo, Sigismundo, 37 Cerami, Pietro, 55, 73, 88n Chetta, Francesco, 186 Chiavetta, Giuseppe (Josè), 3 Cicchetti, Elena, 186 Ciccia, Salvatore, 93 Cigno, Santo, 23, 28, 53, 53, 53n, 72 Cini, Girolamo, 116 Cipolla, Aldo Oreste, 23, 24n Cipolla, Biagio, 58, 91 Cipolla, Raffaele, 19, 21, 21n, 32, 35, 36, 36 Cipriano, Giuseppe, 73
Avvertenza: sono in corsivo i numeri di pagina che rimandano alle didascalie delle immagini; la “n” accanto al numero indica che il nome è citato in nota nella pagina corrispondente.
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Circasso, Annibale, 32, 33, 35, 38, 39, 39, 40, 49, 49, 51n, 52, 53, 54, 56, 57, 58, 60, 63, 67, 68, 72, 73, 73n, 99, 148n, 169 Circasso, Enzo, 52, 53, 53, 54, 56, 57, 61, 69, 72 Cirino, Antonina, 148, 148n, 162n, 163, 166 Colajanni, Pompeo, 49, 63 Composto, Giovanni, 13, 74, 131, 132, 133, 134, 141, 148, 148n, 149, 149n, 150, 151, 152, 152, 153, 153n, 155, 156, 157n, 158,158, 158n, 162, 163, 164, 167, 167n, 168, 169, 170 Consentino, Pietro, 88 Conti, Amedeo, 148, 149n, 150n, 154, 155, 156, 158, 158n, 159, 159, 161n, 162, 164, 164n, 169 Contino, Nino, 162, 164n, 165n, 166, 166n, 289 Costa, Nunzio, 69n, 77 Craxi, Bettino, 131, 141 Croce, Benedetto, 315 Cuoco, Vincenzo, 65 Cuva, Francesco, 178, 191, 215 Dalla Chiesa,Carlo Alberto, 131 D’Alessandro, Nicolò,74, 174 D’Alessandro, Michele (Lino),13, 63, 73, 77,78, 80, 81, 82, 82,83, 84, 86, 87, 93, 96, 99, 105, 106, 112, 112n, 113, 117 D’Amico, Carmelo, 161n, 166n D’Amico, Felice, 63, 138 D’Amico, Filippo, 166 D’Angelo, Giuseppe, 42, 47, 63, 140, 152 D’Alessandro, Maria Francesca, 129 De Gasperi, Alcide, 31 De Luca, Domenico, 160n De Luca, Francesco, 132, 148, 154, 155, 156, 158, 163 De Luca, Graziano, 69, 77 De Luca, Salvatore, 73, 73n Di Cristina, Giuseppe, 48 Diffini, Filippina, 186-187 Di Fini, Felicino, 48 Di Fini, Maria, 69, 76, 77 Di Franco, Michele (Lino), 148, 164, 164n Di Franco, Salvatore, 106 Di Grazia, Nicolò, 106 Di Marco, Salvatore, 213 Di Noto,Vincenzo, 63, 68, 73n Di Pasquale, Giovanni, 93, 94 Di Piazza, Francesco, 17 Di Salvo, Salvatore, 110, 111, 141 Di Salvo Barbera, Graziella, 213 Di Stefano, Filippo, 23, 88, 106 Di Stefano, Francesco (Ciccio), 93, 94, 106, 115, 124, 132, 133, 146 Domante, Placido, 32, 49 D’Urso, Giovanni, 257 Di Stefano, Michele, 17, 32, 69, 76, 77 D’Alessandro, Ugo, 19, 53, 55, 73, 74, 75, 79, 88n, 93, 132, 141 Drago, Giuseppe (Pepè), 23, 24, 24n, 25, 26, 28, 32, 34, 58 D’Alessandro, Guglielmo, 16, 17, 18, 19, 23, 25, 26, 27, 28, 28n, 29n, 32n
Farlani,Arnaldo, 81 Fascetta, Filippo, 88 Fascetta, Salvatore, 32, 36n, 53, 55, 73, 73n, 88n Fasullo, Giuseppe, 16 Ferrais, Emilio, 280 Ferrara, Arturo, 28 Ferrara, Virgilio, 17 Ferro, Giuseppe, 41n, 73, 75 Ferro, Vincenzo, 160n Finocchiaro, Marzia, 209 Fiscella, Angelo, 21n, 53, 53, 53n, 56, 57, 57, 61, 63 Fiscella, Giuseppe (Pino), 23, 24, 24n, 25, 28, 79, 132, 136, 148, 154, 154, 155, 156, 157n, 159, 162, 164, 164n, 170n Fiscella, Michele, 19 Fiscella,Salvatore, 57, 63, 289 Fiscella, Sigismundo, 23, 27 Fiscella, Valentina, 303 Forlani, Arnaldo, 81 Foscolo, Ugo, 279 Franzone, Vincenzo, 144 Frasconà, Lorenzo, 93 Furnari, Michele, 166, 166n Gaddi, Clemente, 41, 51, 52, 261, 265, 280 Gaglione, Maria, 231 Gaita, Francesco (Ciccio) 74, 93, 106, 115, 129, 132, 141, 143, 148, 149n, 150n, 155 Gangitano, Maria Grazia (Graziella), 98, 215-218 Garcia Lorca, Federico, 213 Garigliano, Bartolomeo, 93 Gentile, Gaetano (Tano), 53, 63, 64, 91, 101 Gentile, Giuseppe, 93 Giacobbe, Paolo, 23 Giangrasso, Enza, 218-219 Giangrassso, Santo, 220 Giannini, Guglielmo, 16n Giardina, Pio Filippo, 19, 19 Giudice, Emanuele, 181 Giulio, Michele, 25, 28 Granata, Lorenzo, 93, 105, 132, 133, 136, 141, 148, 148n, 155, 160, 160n, 160, 162, 163, 164n Greco, Angelo, 111, 148 Gregorietti, Salvatore, 238, 238, 239 Grillo, Filippo, 53n, 67, 72, 91 Guidara, Gioacchino, 73, 79, 83, 111, 292 Gullotti, Antonio (Nino), 83 Hegel,Georg W. F., 22 Iacono, Giovanni, 280 Ibanez, Iesus, Zapatero, 204 Imbarrato, Salvatore, 63, 68, 150n Incardone,Epifanio, 106 Ingarao, Santa Rita, 148, 148n, 149n Insinga, Francesco, 13, 16, 16, 16n, 17, 44, 52, 53, 58, 69, 77 Insinga ,Sarina, 40 Kennedy, J.F., 31 Kipling, Rudyard, 171
Emanuele, Claudia, 188-190 Emanuele, Mario, 73, 74, 79, 83, 84, 86, 87, 89, 126 Ermans, A.M. prof. Bruxelles, 110 Falduzzi, Luigi, 106 Falossi, Giorgio, 186 Fanfani, Amintore, 28n Faranda, Giuseppe, 41, 69, 72, 167
La Blunda, Rosario (Sarino), 132, 148, 149n La Giglia, Carmelo, 119, 120, 129 La Giglia, Sigismundo Giuseppe, 16, 17 La Giglia, Simone, 161n La Giusa, Rosario, 240 La Greca, Epifanio, 19, 23, 24, 24n, 28, 32, 33, 36, 37, 38, 38n, 39, 52, 53
410
La Greca, Francesco, 93, 105, 112, 114, 124 La Greca, Salvatore, 17 La Monaca, Filippo, 18n La Motta, Gaetano, 17, 32 La Motta, Giovan Giorgio, 16, 18, 18n, 19, 20, 21n, 23, 24, 26 La Motta di S. Silvestro, 238, 238, 239 La Noce, Maria, 52 La Porta, Costantino, 93, 94, 95, 96, 99, 101, 105, 107, 108, 110, 111, 112, 113, 114, 117, 120, 122, 123, 124, 126, 127, 129, 132, 133, 136, 136, 137, 141, 148, 150n, 152, 154, 155, 155n, 156, 157, 159, 160, 161, 161n, 162, 163, 164, 165, 170 La Porta, Giuseppe, 132 La Rosa, Giuseppe, 289 La Torre, Pio, 131 Lauria, Michele, 144, 145 Lauricella, Salvatore, 83 La Via, Francesco,16n, 17, 19 La Via, Giovanni, 18 La Via, Luigi, 21n La Via, Nicolò, 17 La Via, Piergiacomo, 148, 148n, 149, 149n, 153, 156, 160, 161, 161n, 162, 163, 164, 164n, 165, 166, 166, 166n, 167n, 170, 170n, 171 La Vigna, Liborio, 117, 141, 142, 191-192, 257, 258, 282, 289, 289 Latona, Leonardo, 32, 69, 77 Leanza, Edoardo, 132, 136 Leonardi, Giovanni, 129 Leone, Francesco, 17, 19, 21, 21n Leone, Luigi, 19 Li Volsi, Bartolomeo, 58 Li Volsi, Filippo, 69, 77 Li Volsi, Gaetano, 23, 24n Li Volsi,Giuseppe, 93n, 132 Li Volsi, Domenico (Ninì), 250 Li Volsi, Stefano, 267, 275 Lipari, Antonino, 72, 73n Lizzo, Maria Antonella, 193-194 Lo Ciuro, Arcangelo, 88 Lo Ciuro, Ascenzio, 169 Lo Ciuro, Calogero, 150n, 157n Lo Furno, Antonino, 23, 24 Lo Giudice, Calogero, 144, 145 Lo Grasso, Giuseppe, 160n Lo Grasso, Salvatore, 23, 24n, 27, 28, 28n, 29n, 32, 32n, 33, 38n, 49, 53, 53, 59, 63 Lombardo, Giuseppe (Pino), 150n Lo Presti, Bartolomeo, 53, 63, 73n, 111 Lo Presti, Vincenzo, 17 Macchiavelli, Nicolò, 125 Madioni, Gilberto, 200 Maggio, Nicolò, 17 Maggio, Vincenzo, 88, 90 Maimone Baronello, Teresa, 195-197 Maiuzzo, Michele, 145, 148, 149n, 171 Mancini,Giacomo, 77 Mancuso Catarinella, Francesco, 21n Mancuso Prizzitano, Giacomo, 148, 154 Mancuso Prizzitano, Giuseppe, 150n, 157n Mancuso, Giuseppe, 93, 94, 115, 129, 145 Mancuso, Graziano, 32, 49 Mancuso, Michele, 17 Manitta, Giuseppe, 218 Mao, Tse. Tung, 31 Mastrojanni, Guglielmo, 21n, 23, 23, 24, 26, 27, 27n, 33, 34, 58 Mastrojanni,Settimio, 30n, 41
Mastrorilli, Franco, 44, 65, 69, 78, 89, 91, 92, 95, 95n, 99, 100 Mattarella, Piersanti, 125, 126 Mattei, Enrico, 46, 47, 48 Maugeri, Giuseppe, 23, 24, 27, 28, 29n, 32, 33n, 33, 34, 35, 37, 38, 38n, 49, 49, 51n Mazzaglia, Mario, 75, 126 ,169 McHale, William, 48 Messina, Nicolò, 73, 76, 78, 79, 83, 84, 87, 90, 124, 132, 133, 133, 134, 135, 136, 136n, 137, 138, 139, 140, 140, 147, 149 Messina, Rosario, 25, 32, 33, 34, 34, 35, 36, 38, 39, 49 Milazzo, Silvio, 28n, 29, 29n Milici, Giuseppe, 44, 65, 69, 73, 75, 78, 78, 81, 95n, 138 Milici, Salvatore, 19 Milici,Salvatore, 271 Militello, Enrico, 17 Militello, Nicolò, 23, 25, 73, 73n Mirabella, Giovanni, 68 Mirabella, Pierfranco, 74 Miritello, Ornella, 171n Mocciaro, Giuseppe (Pino), 41n, 53, 63, 111 Mocciaro, Raffaele, 41n Modiani, Gilberto, 200 Montaperto, Carmelo, 88 Montaperto, Francesco, 17, 21n Montaperto, Sigismundo, 20 Monzù, Rossello Armando, 148, 157n, 161, 166, 166n Morandi,Giorgio, 206 Morelli, Domenico, 228 Moro, Aldo, 71, 88, 107 Motta, Salvatore, 23, 26, 27, 27n, 32, 33, 34, 35, 36, 36, 37, 37, 41, 42, 44, 46, 47, 48, 52, 52, 53, 54, 54, 64, 72, 83, 99 Mulè, Liliana, 252, 254, 270, 282, 283 Murè, Alberto, 18n, 126, 147, 147n, 148, 152, 154, 157n, 159, 160, 161, 162, 164, 165, 166, 169n Musco, Vincenzo, 17, 63 Naselli, Domenico (Mimmo), 93, 94, 99, 108, 110, 111, 113, 113, 114, 115, 120, 124 Navarra, Antonio, 186 Nenni, Pietro, 88 Nicoletti, Gianfranco, 142 Nicolosi, Rino, 144, 144, 145, 145, 146 Nigrelli, Ignazio, 141, 142 Nisi, Giuliana, 297, 299 Nisi, Vincenzo, 19, 45, 45, 46, 53, 54, 55, 55, 58, 63, 69, 76, 77 Notararigo, Carmelo, 145 Notararigo, Giuseppe, 17 Notararrigo, Santo, 53, 55, 63 Occhetto, Achille, 165n Occhipinti, 117 Orlando, Leoluca, 181 Palascino ,Luigi, 144 Palumbo, Giulio, 216 Panatteri, Ignazio, 53n, 73, 88n, 90 Pantaleo, Salvatore, 32, 49 Papa, Giuseppe, 146, 146n Pappalardo, Pasqualino, 213 Parisi, Francesco, 108 Parisi, Giuseppe, 63, 109, 169 Parisi, Michele, 19 Paterniti, Salvatore, 165n, 166, 167 Pecora, Filippo, 73, 74, 80 Pecora, Mariano, 32, 49 Pertini, Sandro, 57 Petix, Antonio, 143, 143 Petrina, Antonino, 170 Piazza, Maria, 266
411
Picone, Felice, 53, 73, 85, 88n Picone, Francesco (Franco), 147n, 148, 154, 155, 164 Picone, Giovanni, 17 Picone, Giuseppe, 21n Pidone, Giacomo, 89 Pidone, Graziano, 53n, 68 Pidone, Salvatore, 145,162n, 164, 171n Pidone, Sigismundo, 72 Platia, Francesco, 91 Plumari,Salvatore, 145 Politi, Angelo, 129 Pontorno, Giacinta, 204 Pontorno, Stanislao, 25, 63 Potenza, Mariano, 19 Potenza, Nabor, 267, 268, 269, 270, 271 Proetto, Antonino, 132, 132n, 148, 148n, 158, 160n, 163, 170n Projetto, Franco, 109 Proto, Luigi, 146 Provenzale, Gabriele, 19, 20 Raimondi, Sara, 198 Raimondi, Vincenzo, 73, 81, 82 Randazzo, Aurelio, 163 Raspanti, Antonino, 23, 25 Raspanti, Filippo, 41n, 73, 76, 76, 88n, 161n Raspanti, Michele, 73, 79 Reitano,Orazio, 200-204, 216 Restivo, Giuseppe, 166n, 213 Restivo, Pietro, 19 Ricciardo, Calogero, 171 Ricottone, Giuseppe, 156n Riggio, Francesco (Ciccio), 148, 149n, 155, 164, 166, 166n Rizzo, Antonino(Nenè), 19, 20, 20n, 23, 69, 69n, 80, 80, 81, 81, 82, 92, 93, 93, 94, 94, 99, 99, 100, 100, 101, 102, 102n, 103, 105, 107, 108, 110, 111, 112, 112n, 113, 114, 114, 116, 117, 118, 120, 122, 123, 124, 126, 127, 128, 144, 146, 146, 163, 169 Rizzo, Emanuele, 19 Rizzo, Mario, 148, 149n, 150n, 154, 155, 156, 158, 163, 166n Rizzo, Massimo, 232 Rizzo, Santo, 17, 19 Rizzone, Antonio, 25, 27 Romano, Antonio, 26, 40, 40, 41 Rosso, Michela, 201-203 Rosso, Pietro, 201 Russo, Arcangelo, 92, 94 Russo, Michele, 52, 53, 63, 83 Russo, Giovanni, 165n, 289 Sabella, Carmelo, 110n Sabella, Cataldo, 132 Sabella, Francesco (Ciccio), 32, 36, 41n, 42, 58, 63, 66, 68, 89, 90, 91, 101, 110, 111, 120, 125, 132n, 143 Sagona, Mimmo, 143, 143 Salamone, Lucio, 146 Salomone, Giuseppe, 16, 17, 18, 18, 19, 21, 22, 25, 45, 83 Sammarco, Giuseppe, 64 Santangelo, Giuseppe (Peppino), 19 Santiglia, Guido, 73, 88n Sardo, Modesto, 143, 143 Scardilli, Vincenzo (Enzo), 73, 76, 79, 80, 81, 82, 86, 88, 90, 91, 92, 93, 94, 96, 99, 101, 103, 106, 107, 108, 110, 111, 112, 113, 116, 118, 122, 123,126, 132, 133, 134, 136n, 142 Scardino, Filippo, 17, 38, 53, 54, 55, 58, 73, 73n, 74, 111 Scardino, Gina, 203-204 Scavuzzo, Antonino, 93, 94, 108, 114, 124 Scelba, Mario, 80, 81, 100 Schillaci, Michele, 41 Schillirò, Francesco, 111, 116, 127, 143 Sciacca, Arnaldo, 16
Scinardi, Giuseppe (Peppino), 32, 49, 53, 58, 60, 60, 73, 78, 81, 85, 86, 87, 90, 93, 94, 96, 99, 112, 113, 114, 115, 122, 288 Sciuto, Giorgio, 117 Seminara, Luigi, 213 Senigallia, Raffaello, 115 Sfienti, Antonio, 18, 18n Sgarbi, Vittorio, 201 Siragusa, Sebastiano, 41 Sirni, Giuseppe (Pippo), 205-206 Sottosanti, Graziano, 19 Spallina, Gaetano, 93, 94, 108, 124, 132 Spallina, Carmelo, 53 Speciale, Gregorio, 44 Speciale di Mallia, 232, 233, 234, 235, 236, 237 Spinelli, Giuseppe, 93 Spinelli, Michele, 108, 150n, 157n Spinelli, Vincenzo, 88, 106 Spuccia, Francesco (Ciccio), 111 Stazzone, Angelo,47 Sposito, Alberto, 170 Stella, Prospero, 109 Stivala, Antonio, 37 Sutera, Michele, 53n, 55 Striglia, Franco, 63 Tambroni, Fernando, 51 Tamburello, Salvatore, 206-208 Testa, Alessandro, 45 Testa, Francesco, 45 Timpanaro, Salvatore, 228 Tomasi di Lampedusa, 79 Tommaseo, Nicolò, 315 Topa, Pacifico, 219 Torre, Gandolfo, 89 Torre, Sergio Luciano, 132, 148, 164n Trapani, Costantino, 52, 52, 64, 98, 99, 110 Trapani, Giuseppe, 32 Trebastoni, Mario, 108 Tricomi, Saro, 177 Trovato, Salvatore Carmelo, 201, 316 Trovato, Salvatore, 32 Tumminaro, Antonino, 23 Turrisi, Michela, 146 Tuttobene, Luigi, 32, 53, 55, 73, 88n, 124, 132, 132n, 134, 137, 138, 141, 143 Ugliarolo, Ignazio, 73, 76, 77, 78, 78, 79, 85, 87, 88n, 90, 91, 93, 94, 96, 97, 99, 101, 105, 107, 108, 110, 111, 112, 113, 114, 115, 122, 124, 126, 132, 136, 140, 148n, 160n Ugliarolo, Salvatore, 17, 23, 28, 32 Urbani, Leonardo, 170 Urbinati, Alberto, 108, 109 Vanadia, Nicolò, 19, 21, 32, 34, 35, 36, 39, 52, 53, 54, 55, 55, 58, 60, 61, 63, 72, 73, 74, 80, 81, 82, 83, 83, 84, 85, 86, 88n, 91, 125, 150n, 157n Vasari, Giorgio, 228 Vazzano, Antonio, 23 Vazzano, Mauro, 23 Vega, Michele, 91, 106 Venezia, Salvatore, 19, 21n Veutro, Mario, 119, 120 Verdant, Michel, 186 Verzotto, Graziano, 68 Vigo, Pio, 152 Vinci, Pietro, 22, 46, 141, 142, 142 Virzì, Benedetto, 45, 46 Vitale, Felice, 30, 46, 47, 48 Vitale, Graziano, 111 Vitale, Sigismundo, 69, 77
412
Indice Presentazione
pag.
3
Prefazione
»
5
Ringraziamenti
»
7
»
11
»
15
»
31
»
71
PARTE PRIMA
Fatti e protagonisti della vita politico - amministrativa di Nicosia (1946-1990) Introduzione Le Amministrazioni di Nicosia dal ‘46 al ‘90 p. 13
1. Il dopoguerra e gli anni Cinquanta Ritorno alla democrazia p. 16 - Elezioni amministrative ’52 p. 18 - Primi provvedimenti p. 19 - Azienda silvo-pastorale: il pomo della discordia p. 20 - Iniziative in campo scolastico p. 21 - Lavori pubblici p. 22 - Elezioni amministrative ‘56 p. 23 - Terremoto nella maggioranza p. 25 - Piove sul bagnato p. 27 - Nuovi venti di crisi nella maggioranza p. 28 - 1956-1960: bilancio p. 29.
2. Gli anni Sessanta Il Consiglio comunale intrappolato nel dedalo delle norme p. 32 - Gli Uscocchi bloccano la nomina del sindaco p. 34 - Fumata bianca: Motta è il nuovo sindaco p. 35 - Mozione di sfiducia della minoranza p. 37 - Mozione d’ordine e deliberazioni d’urgenza per mettere il bavaglio alle minoranze? p. 39 - In cammino verso la realizzazione del programma p. 40 - Statizzazione del Liceo classico p. 44 - Quale l’origine dei massicci investimenti? p. 46 - L’opposizione propone una politica sociale p. 48 - Resistenze democristiane al cambiamento p. 51 - Elezioni amministrative ‘64 p. 52 - La “nuova” amministrazione monocolore e le sue dichiarazioni programmatiche p. 54 - Interpellanze e dibattiti per sottolineare ritardi, inadempienze, pratiche clientelari p. 57 - In discussione tre temi “scottanti” p. 58 - Vero giro di boa per la politica delle infrastrutture? p. 62 - Piccoli passi in avanti per l’Opposizione p. 62 - Un’occasione mancata p. 65 - Il sessantotto nicosiano p. 65 - Mancato decollo di interventi previsti p. 67 - Impegno nella realizzazione di alcuni punti del programma p. 68
3. Gli anni Settanta “L’interregno” di Vanadia p.72 - Elezioni amministrative ‘70 p. 73 - Riaffiorano problemi non risolti p. 74 - Lo scandalo ECA “travolge” la Dc p. 75 - Un breve flashback sull’ ECA prima dello scandalo p. 77 - «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» p. 78 - Primi segni di condivisione di problemi p. 79 - Crisi all’interno della maggioranza p. 80 - Vanadia riconfermato sindaco p. 81 Aperta un’altra crisi dopo i danni dell’alluvione p. 83 - Una maggioranza risicata p. 85 - Prima amministrazione D’Alessandro p. 86 - Clima arroventato in Consiglio p.87 - Per la prima volta un Centrosinistra p. 88 - L’Azienda Speciale Silvo Pastorale di nuovo nell’occhio del ciclone p. 89 - In discussione il Piano per l’edilizia economica e popolare p. 91 - Un traguardo per Rizzo, un sogno che si avvera per i Nicosiani p. 92 - Elezioni Amministrative ’75 ed elezione di Rizzo a sindaco p. 93 - La tela di Penelope p. 94 - Vibrate note di protesta p. 95 - Un avvenimento tra il politico e il sociale p. 97 - Il Consiglio affronta “annosi” problemi p. 99 - Un coro unanime di gioia p. 100 - L’Azienda Silvo Pastorale: tallone d’Achille della Dc p.101 - Paventata crisi per le annunciate dimissioni del Sindaco e della Giunta p. 101 - Giochi di potere p.103 - Iniziative lodevoli p. 103 - Seconda amministrazione D’Alessandro p.105 - All’attenzione del Consiglio problemi politici nazionali p. 107 - Mozioni presentate dalla minoranza p. 107 - Il Consiglio affronta problemi di ordinaria amministrazione p. 108 - La “tre giorni” del Consiglio sfociata nella crisi comunale p. 112 - Al timone del paese un giovane della Dc p. 114 - Un incidente di percorso scatena polemiche in Consiglio p. 115 - Allarme per la ventilata chiusura del tribunale p. 117 - Sul tappeto i bilanci di previsione dell’Assp e del Comune p. 118 - In moto la macchina amministrativa p. 119 - Scuola Elementare di S.Domenico: un problema irrisolto p. 120 - Ancora scontri sui bilanci di previsione dell’Assp e del Comune p. 122 - La Dc ripropone il solito copione p. 123 La seconda amministrazione Rizzo tra scelte contestate e provvedimenti condivisi p. 124 - Polemica per l’inaugurazione dell’ospedale civile “Basilotta” p. 125 - Dimissioni del Sindaco Rizzo ed elezione di Agozzino p. 126 - A pioggia le contestazioni p. 127 - Provvedimenti ed iniziative sotto il Sindaco Agozzino p. 128 -
413
4. Gli anni Ottanta
pag.
131
Introduzione
»
175
1. Pittori
»
177
2. Poeti
»
209
Introduzione
»
225
1. Palazzo Caprini, Via Francesco Salomone (XIX sec.)
»
227
»
228
»
232
4. Palazzo La Motta S. Silvestro, Piazza Veutri (XIX sec.)
»
238
5. Villa S.Andrea del barone Mallia, in contrada Albereto (XX sec.)
»
240
Introduzione
»
245
1. Feste tradizionali
»
247
2. Le nuove feste
»
288
3. Tradizioni legate al ciclo della vita
»
293
4. La tradizione gastronomica
»
306
5. I proverbi: eco della antica saggezza popolare
»
315
Elezioni comunali 1980 p. 132 - Elezione “ nuova” Giunta e dichiarazioni programmatiche p. 134 - La staffetta p. 135 - Amministrazione Messina : bilancio p. 137 - Prima Amministrazione Casale p. 140 Verso la soluzione del problema “Viabilità” p. 144 - Istituto Magistrale p. 146 - La “danza di Sindaci” p. 147 - Un’amministrazione d’emergenza? p. 149 - La grande coalizione p. 153 - La breve stagione dell’ “esapartito”: bilancio p. 156 - L’opposizione dissotterra l’ascia di guerra p. 158 - Azienda speciale silvo pastorale: il caso “incarichi” p. 159 - Questione “ineleggibilità” p. 161 - Consiglio di Quartiere nella Frazione di Villadoro p. 163 - Il Psi entra in Giunta p. 163 - La nuova battaglia del Pci p. 165 Amministrazione Composto: bilancio p. 167 - Autunno amministrativo p. 170.
PARTE SECONDA
Nicosia nell’immaginario di pittori e poeti
PARTE TERZA
Gli affreschi dei palazzi e delle ville nobiliari di Nicosia
La sala di San Nicola p. 227.
2. Palazzo Cirino, Via Fratelli Testa (XIX sec.) 1ª Sala: Il Giudizio di Paride p. 228 - 2ª Sala: La sala dei putti p. 231
3. Palazzo Mallia, Via Fratelli Testa (XIX sec.) 1ª Sala: La sala della Primavera p. 232 - 2ª Sala: La sala dei personaggi p. 234 - 3ª Sala: La sala dei colombi p. 237.
PARTE TERZA
Alla ricerca… delle antiche tradizioni
414
6. Canti popolari “ripescati nel grande mare della memoria”
pag.
359
7. Cunti (Racconti)
»
379
8. Giochi fanciulleschi
»
385
9. Superstizioni
»
397
10. Medicina popolare
»
403
Indice dei nomi
»
409
415