PURGATORIO CANTO IX Unitre Arquata Grondona Corso Divina Commedia 2018 A cura di Benito Ciarlo
DANTE SOGNA UN’AQUILA (1- 42) 1-12 L’[Aurora] amante dell’antico Titone, già si affacciava candida al balcone d’oriente, ormai fuori dalle braccia del suo dolce amico; la sua fronte luccicava di gemme che disegnavano l’immagine di quel freddo animale [lo scorpione] che colpisce gli uomini con la coda [avvelenata]; invece, nel luogo dove eravamo, la notte aveva già percorso due dei passi con cui sale [i gradini delle ore], mentre il terzo era ormai quasi compiuto [erano, dunque, circa le nove di sera], quando io, che portavo con me l’eredità di Adamo, vinto dal sonno, mi stesi là sull’erba dove eravamo seduti tutti e cinque.
CANTO IX , 1-6 La concubina di Titone antico L’Aurora, moglie del Vecchio Titone già s’imbiancava al balco d’orïente, Al balcone nella parte orientale fuor de le braccia del suo dolce amico; dell’orizzonte marito Titone. - Personaggio mitologico. Figlio di Laomedonte e fratello di Priamo, fu di tale bellezza da far innamorare di sé l'Aurora, che lo rapi in cielo e lo prescelse a suo sposo. La dea ottenne per lui da Giove il privilegio dell'immortalità, ma si dimenticò di chiedere anche l'eterna giovinezza; e fu così che lei, sempre giovane, rimase unita per sempre al sempre più vecchio Titone di gemme la sua fronte era lucente, poste in figura del freddo animale che con la coda percuote la gente;
stelle disposte secondo la figura dello scorpione colpisce
CANTO IX , 7 - 12 e la notte, de’ passi con che sale, fatti avea due nel loco ov’eravamo, e ’l terzo già chinava in giuso l’ale;
e intanto la notte, nel luogo dove eravamo, aveva fatto due dei passi con cui sale in cielo, e aveva già quasi compito il terzo,
(quasi tre ore dopo il tramonto, erano quasi le nove di sera)
quand’io, che meco avea di quel d’Adamo, che sentivo il peso del corpo vinto dal sonno, in su l’erba inchinai mi coricai là ’ve già tutti e cinque sedavamo.
CANTO IX 13-24 13-24 Nell’ora vicina al mattino in cui la
rondinella comincia i suoi tristi lamenti, forse in memoria delle sue antiche sventure, e in cui la nostra mente, più distaccata dal corpo e meno presa dai pensieri, nelle sue visioni è quasi chiaroveggente, nel sogno mi pareva di vedere un’aquila dalle penne d’oro ferma nel cielo con le ali aperte pronta a scendere e mi sembrava di essere nel luogo dove Ganimede abbandonò i suoi quando fu rapito al supremo concilio degli dei.
CANTO IX ,13-18 Ne l’ora che comincia i tristi lai la rondinella presso a la mattina, forse a memoria de’ suo’ primi guai,
Nell’ora che precede l’alba ricordandosi
umana, più distaccata e che la mente nostra, peregrina dai limiti del corpo più da la carne e men da’ pensier presa, a le sue visïon quasi è divina, acquista capacità quasi profetiche attraverso le visioni oniriche,
NE L’ORA CHE COMINCIA I TRISTI LAI LA RONDINELLA PRESSO A LA MATTINA, FORSE A MEMORIA DE’ SUO’ PRIMI GUAI… Il fatto che la rondine emetta i suoi stridi indica che è quasi l’alba. Qui Dante fa riferimento al mito di Progne e Filomela, due sorelle. Tereo, marito di Progne, aveva violentato Filomela, così Progne, per vendicarsi, uccise Iti, il figlio che avevano, tagliandolo a pezzetti e dandolo a mangiare al padre. Quando Tereo ebbe mangiato le carni del figlio gli rivelò la verità, così questo tentò di uccidere entrambe le donne, ma tutti e tre furono trasformati in uccelli: Tereo in un upupa, un uccello cimiteriale e notturno, Progne in una rondine, perchè il suo garrito è un verso stridulo e Filomela in un usignolo dalla bellissima voce, perché lei era la vittima innocente.
CANTO IX, 19 - 24 in sogno mi parea veder sospesa un’aguglia nel ciel con penne d’oro, con l’ali aperte e a calare intesa; ed esser mi parea là dove fuoro abbandonati i suoi da Ganimede, quando fu ratto al sommo consistoro.
librata un’aquila in procinto di scendere a terra Il Monte IDA ,là dove Ganimede abbandonò i suoi cari quando fu rapito e portato al sommo concilio degli dèi
Ganimede Mitico giovinetto, figlio di Laomedonte e di Calliroe; fu rapito in cielo, per la sua bellezza, dall’aquila di Zeus per fungervi poi da coppiere della mensa degli dei. Il mito, ricordato di frequente dagli scrittori classici, fu trattato spesso nelle arti figurative.
CANTO IX, 25 - 33 25-33 Pensavo fra me: “Forse quest’aquila usa colpire sempre qui; forse disdegna di portare prede quassù da un altro luogo”. Poi mi sembrava che, virando un poco, calasse terribile come il fulmine e mi ghermisse, trasportandomi in alto fino alla sfera del fuoco. Qui mi pareva che l’aquila ed io prendessimo fuoco e l’incendio da me sognato era tanto ardente, che il sonno si interruppe. Fra me pensava: ’Forse questa fiede pur qui per uso, e forse d’altro loco disdegna di portarne suso in piede’.
Ghermisce, cattura qui per abitudine d’altro luogo trascinarne sù
con gli artigli
Poi mi parea che, poi rotata un poco, terribil come folgor discendesse, e mi afferrasse con gli artigli e me rapisse suso infino al foco. portandomi in alto fino alla Sfera del fuoco Ivi parea che ella e io ardesse; e sì lo ’ncendio imaginato cosse, che convenne che ’l sonno si rompesse.
ardessimo
Là
bruciò
Che dovette interrompersi
CANTO IX,34-42 34-42 Achille si destò – volgendo in giro gli occhi aperti senza capire dove si trovasse – quando sua madre lo allontanò [da casa] segretamente, addormentato tra le sue braccia, per nasconderlo presso [il centauro] Chirone nell’isola di Sciro, da dove poi i Greci lo condussero via, non diversamente da me, quando il sonno si allontanò dal mio viso e diventai pallido, come un uomo che si raggela per lo spavento.
CANTO IX 34,42 Non altrimenti Achille si riscosse, li occhi svegliati rivolgendo in giro e non sappiendo là dove si fosse,
Guardandosi attorno e non rendendosi conto di dove si trovasse
quando la madre da Chirón a Schiro trafuggò lui dormendo in le sue braccia, là onde poi li Greci il dipartiro; 39
quando la madre, mentre lui dormiva tra le sue braccia, lo condusse presso il centauro Chirone all’isola di Sciro, da dove poi Ulisse e Diomede lo costrinsero ad allontanarsi ;
Mi destai Non appena Dai miei occhi che mi scoss’io, sì come da la faccia mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto, come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.
L’AIUTO DI SANTA LUCIA E L’APPELLO AL LETTORE (VV. 43-72) 43-51 Di fianco avevo solo il mio sostegno [Virgilio]; il Sole si era alzato già da più di due ore e il mio viso era rivolto verso il mare. La mia guida disse: “Non aver paura: sii forte, perché siamo a buon punto; non chiuderti in te stesso, ma dai fondo alle tue energie. Sei ormai giunto al Purgatorio: guarda laggiù la balza rocciosa che lo chiude tutto attorno e guarda, là dove sembra divisa [da una fenditura], l’entrata.
CANTO IX, 43 - 51 Al mio fianco Virgilio Dallato m’era solo il mio conforto, e ’l sole er’alto già più che due ore, e ’l viso m’era a la marina torto. 45 E il viso alla marina era rivolto – guardavo verso il mare Non aver paura, disse Virgilio "Non aver tema", disse il mio segnore; "fatti sicur, ché noi semo a buon punto; rassicurati non stringer, ma rallarga ogne vigore. 48 energia frenare stimola Tu se’ omai al purgatorio giunto: vedi là il balzo che ’l chiude dintorno; fascia rocciosa vedi l’entrata là ’ve par digiunto. e là dove essa appare interrotta da una spaccatura puoi scorgere l’entrata.
CANTO IX 52,60 52-60 Poco fa, all’alba che viene prima del giorno, quando la tua anima dormiva dentro il corpo, sui fiori dai quali laggiù tutto è abbellito, venne una donna e disse: ‘Io sono Lucia: lasciate che io prenda costui che dorme, così lo aiuterò nel suo cammino’. Rimasero là Sordello e le altre nobili anime; Lucia ti prese [fra le braccia] e, quando il giorno si fece chiaro, cominciò a salire, ed io seguii i suoi passi. Dianzi, ne l’alba che procede al giorno, quando l’anima tua dentro dormia, sovra li fiori ond’è là giù addorno
venne una donna, e disse: "I’ son Lucia; lasciatemi pigliar costui che dorme; sì l’agevolerò per la sua via". Sordel rimase e l’altre genti forme; ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro, sen venne suso; e io per le sue orme. 60
le altre nobili anime ella ti prese E io la seguii
61-72 Ti posò qui, ma prima i suoi begli occhi mi indicarono quell’entrata aperta nella roccia; poi lei e il tuo sonno se ne andarono insieme”. Come un uomo che, dopo il dubbio, ritrova la certezza, e che cambia la sua paura in fiduciosa speranza quando comprende la verità, così io mutai atteggiamento; e, quando il mio maestro vide che non ero [più] angosciato, si mosse su per il pendio, ed io lo seguii verso l’alto. Lettore, tu vedi bene come io innalzo il livello dei contenuti [della mia opera] e perciò non meravigliarti se io li rifinisco con un’arte più raffinata.
CANTO IX 61, 72 Qui ti posò, ma pria mi dimostraro li occhi suoi belli quella intrata aperta; quella spaccatura nella roccia poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro".
A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta e che muta in conforto sua paura, poi che la verità li è discoperta, mi cambia’ io; e come sanza cura vide me ’l duca mio, su per lo balzo si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.
Come chi passi dal dubbio alla certezza
Senza preoccupazioni Verso l’alto
Lettor, tu vedi ben com’io innalzo la mia matera, e però con più arte L’argomento del mio Con uno stile più elevato poema non ti maravigliar s’io la rincalzo. 72 fortifico
L’ANGELO GUARDIANO E L’INCISIONE DELLE SETTE P (VV. 73-129) 73-78 Ci avvicinammo, ed eravamo nel punto in cui prima mi sembrava ci fosse una spaccatura – una sorta di fenditura che divide un muro –, invece vidi una porta con tre gradini di diverso colore per raggiungerla e un custode che ancora restava in silenzio. Noi ci appressammo, ed eravamo in parte che là dove pareami prima rotto, pur come un fesso che muro diparte,
giungemmo in un punto una spaccatura proprio come una crepa
tre gradini vidi una porta, e tre gradi di sotto per gire ad essa, di color diversi, andare e un portier ch’ancor non facea motto. 78 che ancora non parlava
CANTO IX, 79-84 79-84 Quando i miei occhi si fissarono più attentamente su di lui,
vidi che era seduto sul gradino più alto, ed era talmente luminoso nel volto che io non sostenni la sua vista; aveva in mano una spada sguainata, che rifletteva verso di noi i raggi del Sole, così che io spesso invano alzavo lo sguardo verso di lui.
E come l’occhio più e più v’apersi,E quando lo guardai con maggior attenzione vidil seder sovra ’l grado sovrano, sul gradino più alto tal ne la faccia ch’io non lo soffersi; talmente luminoso in volto che io non potei sopportarne la vista e una spada nuda avëa in mano, che reflettëa i raggi sì ver’ noi, ch’io dirizzava spesso il viso in vano. 84 Che io cercai di guardarlo ma senza riuscirvi
CANTO IX, 85 - 90 85-90 Egli cominciò a dire: “Dite, dal luogo dove siete: che cosa
volete? Chi vi conduce? Badate che salire [fino a me] non vi rechi danno”. Il mio maestro gli rispose: “Una donna del cielo, che conosce bene tutto ciò, poco fa ci disse: ‘Andate là: in quel luogo è la porta’”.
"Dite costinci: che volete voi?", cominciò elli a dire, "ov’è la scorta? Guardate che ’l venir sù non vi nòi". 87 "Donna del ciel, di queste cose accorta", rispuose ’l mio maestro a lui, "pur dianzi ne disse: "Andate là: quivi è la porta"". 90
Dal luogo in cui siete guida Fate attenzione rechi danno esperta proprio poco fa
CANTO IX. 91-96 91-96 Il cortese portinaio ricominciò: “Ella guidi a buon fine i vostri passi. Avvicinatevi ai gradini”. Andammo là; il primo scalino era di marmo bianco, così pulito e lucente che mi ci specchiai perfettamente.
"Ed ella i passi vostri in bene avanzi", ricominciò il cortese portinaio: "Venite dunque a’ nostri gradi innanzi". 93
«E Lucia faccia procedere verso il bene i vostri passi», ricominciò il cortese angelo portiere: «Venite dunque davanti ai nostri gradini »
Il primo gradino Là ne venimmo; e lo scaglion primaio bianco marmo era sì pulito e terso, levigato rilucente ch’io mi specchiai in esso qual io paio. 96 nitidamente
CANTO IX,97 -105 97-105 Il secondo era più nero che scuro, di una pietra ruvida e arsa, attraversata da crepe in lungo e in largo. Il terzo, che pesa massiccio sugli altri, mi sembrava di porfido, ma di color rosso fiamma come il sangue che sgorga da una ferita. Sopra questo [gradino] l’angelo di Dio teneva le piante [dei piedi], sedendo sulla soglia, che mi sembrava pietra di diamante. Era il secondo tinto più che perso, d’una petrina ruvida e arsiccia, crepata per lo lungo e per traverso. 99
Il secondo era più scuro che il color perso , di una pietra ruvida e riarsa , fessurata in lunghezza e in larghezza
grava sugli altri due Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia, porfido mi parea, sì fiammeggiante come sangue che fuor di vena spiccia. 102 sgorga Sovra questo tenëa ambo le piante l’angel di Dio sedendo in su la soglia che mi sembiava pietra di diamante. 105
entrambi i piedi
CANTO IX 106,111 106-111 La mia guida volentieri mi condusse lungo i tre gradini, dicendomi: “Chiedi umilmente che apra la porta”. Io mi gettai devoto ai santi piedi [dell’angelo]: gli chiesi che avesse misericordia di me e che mi aprisse, ma prima mi battei tre volte il petto. Per li tre gradi sù di buona voglia mi trasse il duca mio, dicendo: "Chiedi umilemente che ’l serrame scioglia ".108 Divoto mi gittai a’ santi piedi; misericordia chiesi e ch’el m’aprisse, ma tre volte nel petto pria mi diedi. 111
che ti apra la porta
battei
CANTO IX, 112-117 112-117 Con la punta della spada egli mi incise sulla fronte sette P, e disse: “Fai in modo di purificare queste ferite, quando sarai dentro [al Purgatorio]”. Il suo vestito aveva il colore della cenere o della sabbia delle cave: da esso estrasse due chiavi.
Sette P ne la fronte mi descrisse col punton de la spada, e "Fa che lavi, con la punta fai in modo di lavare quando se’ dentro, queste piaghe" disse. 114 queste ferite La sua veste aveva lo stesso Cenere, o terra che secca si cavi, colore della cenere o della terra d’un color fora col suo vestimento; secca appena raccolta ; da e di sotto da quel trasse due chiavi. 117 sotto di essa estrasse due chiavi.
CANTO IX,118-123 118-123 Una era d’oro e l’altra d’argento: prima con la chiave bianca e poi con quella gialla aprì la porta e io ne fui felice. Egli ci disse: “Quando una di queste chiavi sbaglia e non gira nella serratura, questa porta non si apre.
L’una era d’oro e l’altra era d’argento; pria con la bianca e poscia con la gialla fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento. 120 aprì, appagando il mio desiderio
"Quandunque l’una d’este chiavi falla, che non si volga dritta per la toppa", diss’elli a noi, "non s’apre questa calla. 123
ogni volta
fallisce
questa entrata
CANTO IX, 124 - 129 124-129 La seconda [cioè, la chiave d’o ro] è più preziosa, ma la prima esige molta abilità e molta intelligenza per poter aprire, perché è proprio quella che fa scattare il meccanismo. Le ho ricevute da san Pietro: mi disse di sbagliare piuttosto nell’aprire [una volta di più] che nel tener chiuso [una volta di più], purché colui che si presenta si getti ai miei piedi”.
Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa preziosa d’arte e d’ingegno avanti che diserri, perizia prima perch’ella è quella che ’l nodo digroppa. 126
esige apra
scioglie
Che mi sbagli Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri anzi ad aprir ch’a tenerla serrata, aprendo pur che la gente a’ piedi mi s’atterri". 129 A patto che si getti ai miei piedi
L’APERTURA DELLA PORTA DEL PURGATORIO (VV. 130-145) 130-138 Poi spinse l’uscio di quella porta
sacra dicendo: “Entrate; ma vi avviso che, se qualcuno si volge a guardare, deve tornare fuori”. E quando gli spigoli di quella sacra porta vennero fatti ruotare sui cardini, che sono di metallo, forti e cigolanti, non stridette così e non si mostrò così pesante da aprire neppure la rupe Tarpea quando ne fu allontanato il buon Metello [che ne era tesoriere] per cui [nonostante la resistenza da essa opposta] fu spogliata del tesoro [da Cesare].
CANTO IX,130-138 Poi pinse l’uscio a la porta sacrata, sacra dicendo: "Intrate; ma facciovi accorti ma vi avverto che di fuor torna chi ’n dietro si guata". 132 che chi si volta a guardare
indietro ritorna di nuovo fuori
E quando fuor ne’ cardini distorti furono fatti girare nei cardini li spigoli di quella regge sacra, i perni porta che di metallo son sonanti e forti, 135 stridette così dura da aprire non rugghiò sì né si mostrò sì acra quando le fu trascinato valoroso Tarpëa, come tolto le fu il buono Metello, per che poi rimase macra. 138 via per la qual cosa venne poi depredata del tesoro
LUCIO CECILIO METELLO Metello, Lucio Cecilio. - Personaggio della storia romana. Appartenente a illustrissima famiglia plebea, fu tribuno della plebe nel 49 a.C., all'inizio della guerra civile tra Cesare e Pompeo (Cic. ad Att. X IV e VIII). Si rese noto per aver opposto resistenza a Cesare quando questo, giunto a Roma, volle impadronirsi dell'erario pubblico custodito sotto la rupe Tarpea. Cesare riuscì a stroncare il coraggio di M. soltanto scacciandolo con la violenza; e l'anno successivo costrinse il valoroso tribuno ad abbandonare l'Italia (Cic. ad Att. XI VII). Il rumore provocato dalla porta del tesoro nel momento in cui Cesare e i suoi la spalancarono per effettuare il saccheggio è descritto da Lucano in Phars. III 154 ss. " tunc rupes Tarpeia sonat magnoque reclusas / testatur stridore fores; tunc conditus imo / eruitur templo multis intactus ab annis / Romani census populi ". Tale immagine è ripresa da D. nella terzina al cui verso finale ricorre il nome di M., in Pg IX 138 non rugghiò sì né si mostrò sì acra / Tarpëa, come tolto le fu il buono / Metello, per che poi rimase macra, per indicare con una similitudine quanto fosse dura ad aprirsi la porta del Purgatorio, simboleggiante l'accesso alla via della purificazione. da Treccani Enciclopedia Dantesca
CANTO IX 139 - 145 139-145 Io cercai di prestare attenzione al primo rumore che si sentiva oltre la porta e mi pareva di udire il ‘Te Deum laudamus’ cantato dalla voce di un coro, con soave accompagnamento. Il suono che ascoltavo mi riportava perfettamente alla memoria ciò che si prova quando si stia a cantare polifonicamente e le parole talora si comprendono, talora no.
CANTO IX, 141-145 Io mi rivolsi attentamente al primo rumore proveniente dalla porta e, nelle parole mescolate al dolce suono, mi pareva di udire il canto del ‘Te Deum’. Tale imagine a punto mi rendea Ciò che udivo mi dava proprio la ciò ch’io udiva, qual prender si suole stessa sensazione che si è soliti quando a cantar con organi si stea; 144 ricevere quando si assiste a un canto a più voci ,in cui le parole ch’or sì or no s’intendon le parole. si comprendono distintamente solo qualche volta
Io mi rivolsi attento al primo tuono, e ’Te Deum laudamus’ mi parea udire in voce mista al dolce suono. 141