Carmine Rubicco
“Chiamateci emergenti”
Io non sono Bogte Parla Daniele Coluzzi voce della band romana Intervista raccolta da Evangelos Voutos
A
circa un anno dall’ultimo disco dei “Io non sono Bogte” esce il video della canzone Margareth nella testa, uno dei pezzi migliori del disco. Anche per questo pezzo è stata trovata una dimensione visiva, dopo Il Mercato nero delle ostie e Papillon un altro video per una band che nonostante tutto si sente ancora emergente. “Assolutamente – dice il vocalist -. Siamo ancora una band emergente. I bei risultati dicono che siamo solo all’inizio di un percorso e abbiamo una strada lunghissima e difficilissima davanti”. Tanti live
ma non solo. “Arricchire il messaggio di una canzone attraverso un video è un modo per far interessare sempre più persone a ciò che abbiamo da dire”. Una band che non si ferma mai. “Abbiamo – prosegue il portavoce - già molte canzoni per il prossimo disco. Non andremo a registrare subito, lasceremo ai pezzi il tempo che serve per prendere forma e assumere un suono più curato, maturo e anche più “pop”, più accessibile a tutti”. Pop si ma senza dimentica l’importanza dei testi. “Abbiamo parlato – conclude il cantante - della situazione della musica italiana, di omofobia, di una giovane ragazza in difficoltà che può arrendersi oppure riscattarsi. Non ci sentiamo però un gruppo politico. Siamo musicisti che nel loro ruolo non solo possono, ma devono parlare della realtà circostante. Tutti temi presenti anche nel prossimo lavoro”.
La voce del “lato nascost
Durga Mc Broom
Un accento Americano intrigante, cornice ad una voce sensua Intervista raccolta da Francesca di Ventura
U
n simbolo della musica moderna: lei e’ la backing vocalist dei Pink Floyd, e leader dei Blue Pearl. Come é avvenuto il tuo incontro con la musica? Mia sorella, 5 anni più grande di me, é una cantante. Mi ha insegnato a leggere, ed introdotta alla musica. Il mio gusto musicale é stato molto influenzato dal suo: quando lei si innamorò di Joni Mitchell, lo feci anch’io. Quando inizio’ a seguire James Taylor, lo feci anch’io. Come si viete conosciuti con I Pink Floyd? Nel 1987 avevano solo 2 coriste e volevano “aggiungere un po’ di colore” ai loro show. Volevano girare dei video live ed il regista conosceva mia sorella, la quale raccomandó me. Così andai ad Atlanta, dove presi parte ai video dei live con loro. A quel punto mi chiesero
di unirmi al tour. Qual é la parte migliore e quella più’ fastidiosa dell’essere la backing vocalist di una band icona? La parte migliore é anche quella peggiore: l’affetto dei fans, cha a volte travalica, divenendo ossessione. I fan sono così premurosi e dolci ma a volte e’ troppo. Vogliono essere sempre coinvolti ed alcuni di loro mi contattano piu’ di 10 volte al giorno, solo per dirmi “ciao”, e questo mi fa sorridere, che vogliano solo dirmi “ciao” più di 10 volte al giorno. Mio marito é surclassato da richieste di amicizia sui social media di gente che cerca solo una connessione con i Pink Floyd. Io cerco di mantenere l’equilibrio. La musica é un mezzo di comunicazione incredibile, tramite il quale posso condividere il mio pensiero su molti temi, ed amo il contatto con la gente. Sono una persona positiva e l’umorismo di fronte alla vita é un elemento importante per me. Ti sei mai pentita di aver intrapreso una carriera nall’industria della musica? Oddio, no. Quando avevo 9 anni, credevo che avrei fatto il medico, volevo far nascere i bambini. Dopo aver lavorato per un po’ con mia madre che era un medico ho capito che stare dentro uno studio medico non e’ divertente, stare sul palco lo é! Ho una specializzazione come massaggiatrice, magari un giorno mi metterò a praticare…quando avrò 70 anni (ride). Qual é il tuo ricordo più bello e quello peggiore da quando canti?
to” della luna
m-Hudson
ale e al tempo stesso potente e chiara
I l ricordo migliore é Venezia: suonare di fronte a migliaia di persone in Piazza San Marco é stata un’emozione indimenticabile e magica. Un altro bel ricordo è a Brixton, in un club chiamato The Fridge, dove il dj, Paul Oakenfold, improvvisamente mette su una delle mie canzoni, e tutti iniziano ad ondeggiare le braccia in alto. Fu fantastico. Il peggior ricordo è nel Sunderland: Sono andata via dal club e faceva un freddo assurdo, e per raggiungere la mia macchina dovetti evitare una pozza di vomito congelato. Dio, fu orribile. l pezzo che avresti voluto scrivere tu e perché. Direi Help me di Joni Mitchell: è stata capace di creare una intera storia in una linea sola. Menziono anche I burn for you di Sting: così piena di passione.
“Le mie: storie al margine”
Silvio Brambilla Intervista di Emanuele Meschini
S
ilvio Brambilla è un musicista e tecnico del suono. Oggi è alla sua terza produzione da solista intitolata “Al margine”. Personale lettura dei temi che quotidianamente ignorati dai grandi mezzi di comunicazione. “In realtà - spiega - sono “nato” prima come musicista, poi, prima con i primi multitraccia a cassetta, poi in studio come assistente, sono passato dall’altra parte della barricata musicale”. Si è poi cimentato con il “Teatro del Maggio Musicale Fiorentino” “Un’esperienza – dice - che sta ancora continuando”. Emarginazione e comunicazione i temi trattati. “Ormai la comunicazione di massa è imperante e, in un certo modo, inevitabile. Biso-
gnerebbe essere così bravi da riuscire a filtrare dal blob quotidiano che ci propinano le pochissime notizie vere e utili”. Ma non solo critiche verso la società “che - sottolinea - siamo noi a fare e mantenere. La critica è verso noi stessi. Critichiamo troppo e agiamo troppo poco”. Per il musicista “essere “al ‘margine’ ha anche i suoi risvolti positivi. Ce la vedi una major pubblicare un cd con brani anche di sette minuti e che trattano di argomenti scomodi?”. Nel futuro di Brambilla “continuare a fare quello che sto facendo, magari migliorandomi sempre e esplorando nuove strade. Troppo pretenzioso?”.
“La letteratura ci ispira”
Beltrami da 1 a 5 Intervista di Ilaria Degl’Innocenti
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eltrami. Un Progetto in origine solista che si sviluppa in un quintetto. Intorno è il primo lavoro della band partenopea realizzato tra Succivo e Dublino, tra suoni jazz e melodie più rockeggianti. Giampiero Troianiello (voce, chitarre), Pasquale Cardarelli (chitarra), Carmine Franzese (chitarra), Mario Urciuoli (basso),Pasquale Rummo (batteria) raccontano i dettagli di questo. “Abbiamo usato – dicono - i primi mesi del progetto per lavorare molto sui brani. A Dublino il disco ci è andato da solo, l’abbiamo aspettato da lontano. Il resto è ormai quasi un anno in giro a suonarlo, senza esserne ancora stanchi”. E l’album è insieme di sonorità tra loro eterogenee. “Abbiamo pensato – proseguono - alle canzoni e non al disco, il disco è venuto dopo. Abbiamo punta-
to sul lavoro dei testi e su quello delle chitarre, da collante, per vestire il disco dello stesso “colore”. “Resto fermo a riflettere”, in Eureka! è un messaggio musicale diretto a una società postglobalizzata alla quale manca qualcosa. “Manca il coraggio. Mancano le certezze, manca il diritto di sognare di essere quello che si vuole. La paura è che manchino anche le soluzioni”. Testi attivi, brevi, ma poetici. “La letteratura ci ispira - proseguono , spesso, in sensazioni e stati d’animo. Così come per i musicisti. Ci è capitato, ad esempio, di “essere ispirati” da Tom Waits, poi da Lucio Dalla, poi da Dente, poi dagli Elbow”. E nel futuro della band “nuove canzoni, soprattutto”.
Combatfolk never die
20 di clan banlieau Intervista di Diego Cianfriglia
1994/2014: vent’anni di Modena City Ramblers. “Venti” è il nome scelto per il Tour per celebrare il ventennale del loro disco d’esordio. Nel 1994 viene pubblicato l’album “Riportando tutto a casa” per l’etichetta indipendente Romana Helter Skelter. Il disco è un vero e proprio manifesto della cultura musicale del gruppo, si passa dalla magica Irlanda del brano In un giorno di pioggia alle terribili esperienze di Quarant’anni, senza dimenticare la spensieratezza dei testi disimpegnati
come The great song of indifference, la dolcezza di Ninnananna e ovviamente il ricordo della resistenza con la loro prima versione di Bella ciao. “A quei tempi – spiega la band - ci rendemmo conto che live andavamo forte, chi veniva ai nostri concerti si divertiva parecchio. Appena uscì il primo disco bruciammo 1500 copie nell’arco di pochissime”. Carriera è stata densa di concerti, collaborazioni, progetti ed esperienze delle più svariate. Nonostante tutto ci sono le stesse emozioni
dei primi anni, o quasi. “E’ cambiato moltissimoori seguono i musicisti - Il modo di fruire della musica. Soprattutto nel decennio degli anni novanta c’è stato un vero boom musicale: c’era tanta voglia di fare musica ma anche di ascoltare musica, andando a sperimentare strade meno battute”. Tantissimi pezzi dei MCR sono passati alla storia e rimarranno per sempre nel cuore di chi ama la buona musica. “Una canzone non nostra che ci ha dato tanta notorie-
tà, tante gioie e che dal primo momento che l’abbiamo eseguita è rimasta un pezzo fisso nei nostri live è sicuramente “Bella Ciao”. Una canzone, che è invece è nostra, e che per noi è molto importante è In un giorno di pioggia. Forse è quella da cui è nato tutto il filone irlandese”.
“Il cambiamento è vita”
Enrico Silvestrin Intervista di Antonella Tocca
Da volto storico di Mtv Europe passando attraverso la carriera da attore, dj e musicista, Enrico Silvestrin non smette di rinnovarsi e trovare nuovi stimoli. Questa volta tocca al progetto Megatube lanciato con Luca Argentero. In questa intervista rilasciata a Tempi-Dispari Silvestrin racconta l’amore per le nuove sfide e dove sta muovendo i propri passi. sto nuovo lavoro nasce da una serie di necessità che andando avanti diventano delle conditiones sine quibus non; essere il datore di lavoro di me stesso, essere l’editore di me stesso, produrre un programma senza sprechi di costi rendendolo sostenibile a chiunque, esserne regista, montatore e ingegnere del suono. Testimone del passaggio da un pubblico analogico ad uno nativo digitale. “La musica è nella vita quotidiana di chiunque, la musica è un business, la musica ha una fruizione semplice ed immediata, veloce, e la gente ne ha bisogno, prova ne è il successo delle tourneè sul nostro territorio, sia di artisti mainstream che appartenenti al mondo alternative. Credo che la musica sia nrico Silvestrin da Tempi-Dispari. Spea- un bisogno ker, attore, VJ, musicista, autore. Chi é, p r i m o r d i a qui e adesso, Enrico Silvestrin? le dell’uomo. Sempre la stessa persona, lavorativamente parlan- Purtroppo gli do. Mi sento esclusivamente il frutto delle mie espe- editori perrienze, la sintesi di quello che ho fatto fino ad oggi. cepiscono la Non cambiare mai sarebbe stato stupido, e il mu- musica come tamento è parte integrante del mio carattere. Que-
E
un trend del passato, quando invece programmi come Home Sessions dimostrano l’esatto contrario. Tanti tuoi colleghi si sono persi. Quanto é stato ed é difficile mantenere la rotta e lo sguardo puntati sul traguardo oltre gli ostacoli? In questo mestiere tutti possiamo perderci, e non sarebbe una colpa. Si occupano spazi, e lo si fa ciascuno con la propria personalità e le proprie caratteristiche. Spesso ci si perde perche i posti vengono occupati male. In quel caso meglio ripartire da se stessi, dalle proprie passioni, e divincolarsi dal dover dipendere da una persona o una produzione che ti assuma. Ma bisogna averne le capacità. Enrico Silvestrin ed il suo sogno nel cassetto… ossia, cosa non é stato ancora detto qui ma tu vuoi dire assolutamente? Non ne ho mai avuti a dire il vero. Assecondo le mie necessità sul breve termine cercando di
Al Cinema Le amiche del cuore, regia di Michele Placido (1992) Ecco fatto, regia di Gabriele Muccino (1998) Come te nessuno mai, regia di Gabriele Muccino (1999) Il gioco, regia di Claudia Florio (1999) Ricordati di me, regia di Gabriele Muccino (2003) Che ne sarà di noi, regia di Giovanni Veronesi (2004) Piano 17, regia dei Manetti Bros. (2005) Il bosco fuori, regia di Gabriele Albanesi (2006) Come trovare nel modo giusto l’uomo sbagliato, regia di Salvatore Allocca e Daniela Cursi Masella (2011) Good As You - Tutti i colori dell’amore, regia di Mariano Lamberti (2012) AmeriQua, regia di Giovanni Consonni e Marco Belloni (2013) Treddì - Una notte agli studios, regia di Claudio Insegno (2013) Universitari - Molto più che amici, regia di Federico Moccia (2013)
farle diventare futuro solido. Questa Italia non ti da il tempo di sognare, preferisco trovare soddisfazione in quel che faccio piuttosto che pensare a quel che potrò fare tra 10 o 20 anni, e su questo costruire il mio futuro”.
Nuove vie nuovi progetti
Marc Magnus 2.0 Intervista di Ilaria Degl’Innocenti
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arc Magnus, dopo una vita con i Rain ha lasciato ufficialmente la Raincrew. Ma solo le strade professionali si sono divise. Un’amicizia che dura da tanti anni, non si può cancellare. “Una decisione – dice - non facile ma presa per la voglia di cambiare percorsi e situazioni lavorative”. Tanti concerti, ma soprattutto una vita trascorsa nella musica. Un macro e microcosmo pieno di impressioni, sensazioni che si provano dietro e sul palco. “Concerti davvero tanti – prosegue - e anche tante situazioni inerenti la creazione di band, album o semplicemente videoclip. Sono stato fortunato perchè ho avuto a che fare con grandi professionisti o con persone che hanno messo il cuore in tutto quello che facevano. Uno dei concerti che mi ha dato
enorme soddisfazione è stato quello che ha visto i Rain come open act ai Buena Vista Social Club – Compay Segundo. Un concerto che ho fortemente. E’ stato bellissimo vedere il Teatro ascoltare con attenzione i Rain ed acclamarli a scena aperta”, Tante storie che si dipanano, negli anni, di una band protagonista e che ha visto cambiare la musica in Italia. “Anche i Rain – conclude Magnus - sono cambiati in questi anni. Attraverso loro ho vissuto questi cambiamenti e spesso lo abbiamo fatto insieme. Credo che le band dovrebbero lasciarsi andare e sperimentare il più possibile”.
Fade to black
The True Endless Testo di Caterina Zarpellon
S
torica band che dal 1997 rappresenta l’anima black italiana. Il gruppo ha alle spalle un’intensa attività da studio, album e split pubblicati da diverse case discografiche italiane ed estere. Il loro ultimo album “Legacy of Hate” è uscito nel 2013 seguito da “MMXIV” nel 2014. Fondata da SoulFucker e da M., propongono diverse influenze black metal caratterizzate dal cantato in italiano, inglese e dialetto novarese. “L’uso del dialetto novarese deriva da una scelta fatta tanti anni fa. Parlare di miti, storie e leggende locali prende tutta un’altra impronta se fatto usando una parlata che riflette quelle stesse storie. Col passare del tempo è stato chiaro che il nostro uso del dialetto è tutt’altro che goliardico. Natural-
mente non tutti gli argomenti si prestano al suo utilizzo”. Diverse le ispirazioni per i testi. “I nostri brani parlano di argomenti molto diversi, dalla guerra alla morte, dalle tradizioni dimenticate delle nostre zone all’occultismo. Siamo influenzati da tutto ciò che ci circonda”. Poche donne ma toste, nel mondo del black metal. ”Quando ho iniziato a suonare, nel ’97, era davvero una novità avere una donna in un gruppo black metal. La strada è stata tutta in salita e piuttosto accidentata, ma alla fine rifarei esattamente tutto”. Il domani della band sarà colmo di “Nuovi live, nuove registrazioni e naturalmente tanto Black Metal…non vedo altro per The True Endless”.
Quello che nessuno vi ha ma
Voglio fare il musi testo a cura di Ronnie Abeille
V
ivi in uno stato con una forte identità musicale melodico romantica cantata nella lingua locale. Hai formato sempre gruppi rock con testi in inglese. Purtroppo è tutta colpa (involontaria) di mio padre e di quando metteva la puntina sui 33 di Elvis. Di mia madre e di quando mi ha portato con mia sorella a Sydney da mia zia, obbligandomi a parlare per un mese solo in inglese. Poi a 13 anni impazzisco per il George Michael di Faith, ed inizio ad indossare stivali da cow-boy, cravatte stravaganti e ad essere etichettato come “quello strano”. Da la farmi vibrare i timpani a furia di hard rock e metal il passo è stato breve! Poi passo un periodo in cui credo che Roma sia come Los Angeles, ma non ha le stesse luci e quando realizzo che non è così ini-
zio a capire che è arrivato il momento di andare a respirare avventure altrove! Sarà sicuramente più costruttivo provare a proporre la mia musica in posti dove chi l’ascolta abbia più familiarità con lo stile e la lingua in cui canto. Ed inizio a pensare a... Londra. Perchè il rock è nato là e non è tanto distante da dove sono nato e vivo, anche se il rock che preferisco è americano prevalentemente. I primi concerti, le prime conferme, i primi incontri artisticamente formativi. Qualcuno anni fa: “Dovresti andare a Londra sai?”. Qualcun’altro tempo dopo: “Ma sei stato a Londra per caso? No perchè sai là vestono come te”. Ovviamente non indossavo più stivali da cow-boy ma qualcosa di più vicino ad anfibietti, ed al posto delle
ai detto della vita all’estero
icista a Londra... cravatte c’erano cappelli con spille e jeans scoloriti. E quindi continuo a pensare a... Londra. Perchè il rock è nato là ed ormai ci stavo già pensando da un po’. Continuano i concerti, i palchi, cambia il nome del gruppo. C’è chi ti critica: “Ma scusa vivi in Italia perchè non canti in italiano?”. Inizio a comprendere che i tuoi compagni di viaggio non hanno la benchè minima voglia di osare, hanno altre priorità. Passa altro tempo... e sembra difficile trovare qualcun’altro che come me desideri mettersi alla prova. Pausa di riflessione... e sembra come quando usi le scale mobili che sono ferme per un guasto... ti senti comunque spinto da qualcosa. Perchè è una condizione abituale in quel contesto! Io nel contesto della mia vita non posso non fare
rock. E primo a poi l’avrei fatto in faccia a chi l’ha visto nascere. Poi i Dancing Crap. Mi invento il nome traendo spunto da Fight Club. La seconda incarnazione della band inizia a dare qualche segnale di congruente follia... fino a quando mi telefona Bobby... ed il resto è storia. La seconda incarnazione dei Dancing Crap. Utilizzerò quanto scritto sopra come introduzione al libro... penso possa funzionare.
Da grande farò il fumettista
Il “caso” Campanini Intervista di Ilaria Degl’Innocenti
F
umetti. Un fenomeno in continua crescita. Ne parla Tommaso Campanini, fumettista uscito dalla Scuola Internazionale di Comics di Firenze ed oggi affermato artista con la Disagio Production. “Sono un fumettista professionista dal 2006 – spiega -. Attualmente collaboro con le auto-produzioni web dellaDisagio Production e con una casa editrice inglese, la Freak Town Comics, che si occupa di fumetti horror e splatter anni 70”. Una passione la sua che lo accompagna da quando ha memoria appoggiato dalla famiglia per riuscire a svilupparla. In testa i grandi esempi americani. ”Come riferimento – dice - ho i grandi autori della mia epoca da John Buscema, Lee oMc Farlane fino ad arrivare agli ultimi che mi hanno più colpito: Bryan Hitch o Stuart Immonen”. Il mercato italiano, secondo l’autore è stagnante anche se non va male. “Il lettore di Tex legge – spiega - Tex stop e compra solo quello. Ora qualcosa si sta muovendo: ci sono autori emergenti che stanno letteralmente facendo “il botto”. Basti pensare a Leo Ortolani con Ratman o con il più recente Zero Calcare”. Al suo attivo Campanini ha anche la fondazione dell’Associazione Culturale Disagio Production. Il disegnatore di fumetti non è un mestiere facile. “Innanzitutto – conclude il disegnatore - serve la disciplina. Questo è un lavoro duro, non ha orari se lo fai come professionista e per riuscire veramente bisogna volergli davvero tanto bene. Ma è anche vero che è in grado di darti tante soddisfazioni”.
La ragazza col canguro
Tank Girl Testo a cura di Carmine Rubicco
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i supereroi ce ne sono parecchi. Eroi classici, “sfigati”, antieori e sedicenti salvatori del mondo. Tra questi ve ne sono alcuni che hanno avuto un impatto particolare nel mondo fumettistico. Si voglia per l’ironia, l’anticonformismo, la violenza palesata o meno. Certamente tra questi va annoverata Tank Girl. Fumetto nato da Alan Martin e Jamie Hewlett e comparso per la prima volta sulle pagine della rivista Deadline nel 1988. La protagonista di quelle storie ha incarnato, e incarna tuttora, molti degli aspetti “contro” che un fumetto può esprimere. Irriverente, lucido, scorretto, chiarificatore, anticipatore, sensibile, oltraggioso, tonico, realistico, confuso, sessualmente esplicito, divertente, ma soprattutto punk e anarchico. Racconta le avventure di una giovane soldatessa (contro) dell’esercito australiano, pilota di carri armati e ribelle. La nostra combatte dal di dentro finchè può, lo sciovinismo e la follia militarista. Ne combina di tutti i colori mettendo in grave imbarazzo i suoi superiori e poi lo stesso presidente della repubblica australiana. Quindi scappa dall’esercito e comincia a vivere una strana accozzaglia di avventure assieme al suo tank e a un male assortito gruppetto di strani contro-eroi, nel mentre che attraversa l’Australia più selvaggia. Il fumetto alterna scene violente e scandalose a siparietti degni dei migliori Monty Python, pur non perdendo mai quella nota satirica e di contestazione che contraddistingue l’opera in ogni suo passaggio. Ed è proprio questo che colpisce il lettore di Tank Girl: la capacità di sfornare storie divertenti e prive di senso, pur rimanendo sempre originale e intelligente. Inoltre, è interessante notare come un fumetto con più di 20 anni sulle spalle mantenga perfettamente intatta la propria attitudine satirica e comica. Tank Girl rappresenta anche il manifesto di una rivoluzione sessuale in costante ascesa in quegli anni. In tutti i fumetti dell’epoca le supereroine venivano disegnate con
caratteristiche fisionomiche utili a soddisfare le fantasie maschili adolescenziali (e non), senza avere nulla – in termini di identità sessuale – in comune con le donne reali. Tank Girl è la prima eroina dotata di una sana libido, perfettamente a suo agio con il proprio corpo e cosciente dei propri desideri e della sua sessualità. Addirittura la nostra eroina skinhead si trova in più occasioni a minacciare gli stessi autori del fumetto (abbattendo così la c.d. quarta parete), ogni qual volta gli stessi cercano di mostrare il suo corpo nudo. A conti fatti Tank Girl è un’opera che può essere annoverata a pieno titolo negli annali della storia dei comics d’autore.
Ted Neeley torna sulla scen
Jesus Christ Supers Testo a cura di Antonella Tocca
Immagini di Tessa Neeley (dal profilo Facebook ufficiale di Ted Neeley)
sulla terra di un umanissimo Gesù. Geniali le scenografie con lo sfondo che grazie a raffinati giochi di luci ha rivelato le scene retrostanti iniziato proprio di venerdì, come la passione ed il coro. Grandi in tutti i sensi i sacerdoti Annas e di Cristo, e con un accordo distorto di chitar- Caiaphas, voci liriche maschili di tenore e baritono, ra, il musical più famoso del mondo e in prima nerovestiti e lungocriniti con i caratteristici copricamondiale al Teatro Sistina di Roma il 19 settembre po, ma coperti di borchie, catene e farsetti di cuoio. 2014. Ecco il rock anni 70 Made in USA al suo apice comQuesta produzione di Jesus Christ Superstar che fa pletato nella componente coreografica da un proseguito a quella partita in primavera, ha potuto in- vetto corpo di ballo che ha messo in scena il meglio fatti vantare la presenza di tre su quattro dei prota- della danza jazz con le coreografie di Roberto Croce. gonisti originali della omonima fortunatissima pel- Ottima prova fino in fondo per la voce tenorile rock licola del 1973 diretta da Norman Jewison. Scenari come anche quasi “nera” del 71enne Ted Neeley che essenziali e sfolgoranti, costumi hippy e orchestra dal a tratti è scesa mirabilmente nel blues con perfetto vivo di 12 elementi con archi, fiati, tastiere, chitarre controllo e portanza, resa poi sporca e graffiata fino diretta da Emanuele Friello su una grande piatta- allo scream con cui il suo Jesus ha cacciato i mercanti forma girevole, e di scena in scena le celebri canzoni dal tempio gridando “Get out!“ che più generazioni hanno ascoltato, dal vinile al CD Sorprendente il Pilate di Barry Dennen che è entrato all’iPod, tutto dal vivo e in lingua originale con Ted in acustico sulla sola chitarra raccogliendo applausi Neeley (Jesus), Yvonne Elliman (Mary Magdalene) e per la sua perfetta interpretazione del personaggio. Barry Dennen (Pilate) a raccontare gli ultimi giorni Nota di merito per la Magdalene tenera e appas-
È
na tra tradizione e novità
star 35 anni dopo
sionata di Yvonne Elliman, voce sempre suggestiva e all’altezza anche se la forma fisica della cantante e attrice hawaiana è forse quella che ha risentito più degli anni passati da quando nemmeno diciottenne interpretò il personaggio nel film. E ancora abbondanza di fuochi e artisti sui trampoli come buskers e storpi e lebbrosi a trascinarsi come zombies di Romero con maschere sulla nuca e stracci dalle braccia levate in supplica di miracoli attorno a Jesus. Il Judas, che fu il compianto Carl Anderson, oggi in jeans color porpora, gilet ed anfibi è stato interpretato in modo impeccabile dal giovane e bravissimo Feysal Bonciani, e gradito è arrivato in scena l’omaggio alle maschere italiane in “Herod’s Song” a suon di swing con Arlecchino, Pulcinella, Colombina, Balanzone, persino Pinocchio attorno ad un enfiato e dorato re Erode spuntato dalla scatola come il pagliaccio perfido di Stephen King. Acustica, luci, fotografia, scenografia e la regia di Massimo Romeo Piparo perfette fino alla insolita soluzione dell’albero di ulivo o della ragnatela che hanno preso corpo in sovrimpressione su una tela
trasparente durante il tragico tradimento di Judas. Una macchina ben oliata di addetti invisibili e indispensabili a creare la magia attorno ai protagonisti in scena e fuori perché Ted Neeley, che ha compiuto quasi in scena gli anni proprio il 20 settembre, assieme a Judas e prima della celebre crocifissione, ha cantato nell’atrio del teatro; ripresi e proiettati sulla tela trasparente, i due protagonisti sono poi tornati in scena passando tra il pubblico come farebbe un pontefice tra ali di folla, ed é stato impossibile non adorare anche loro, come hanno testimoniato minuti infiniti di applausi in piedi. Il passato non é mai stato così contemporaneo e pieno di sacralità come nelle parole di Tim Rice e nelle musiche di Andrew Lloyd Webber che hanno ripreso vita al Teatro Sistina in uno spettacolo a cui è doveroso augurare ancora altra fortuna in tutto il mondo, affinché più gente possibile ne possa apprezzare la straordinaria vitalità e giovinezza.
Recensioni Testo a cura di Carmine Rubicco
di seguito per un numero infinito di ascolti che di volta in volta porteranno alla scoperta di dettagli inizialmente sfuggiti. Questo non solo su un piano musicale ma, forse soprattutto, “umorale”. Un disco da godere, ascoltare e riaMusica “colta” nella mi- scoltare per perdersi in gliore accezione questo Tristi Tropici. secondo disco dei SUS, Tristi tropici, secondo lavoro dopo Il cavallo di Troia del 2010. Colta nel senso di testi impegnati su basi non scontate e con riferimenti stilistici di alto profilo nella creazione di uno stile proprio. I testi, vero punto di forza dell’album, toccano La ricerca di qualcosa di i temi più disparati ma nuovo, di nuove sonoricomunque inerenti la tà ed esperienze tante vita e la socialità del’uo- volte passa attraverso mo, quella socialità non la riscoperta o l’analisempre comoda o scevra si delle radici proprie e da difficoltà. Musica col- della propria cultura. ta che non vuol dire di Questo è quello che i la non immediata assimila- Mr Zombie Orchestra zione. Diversi sono i gradi ha fatto con il loro C’era di lettura delle tracce. Il una volta in Romagna. primo certamente diret- Ha incontrato le radici to ed epidermico che con delle musica popolare il susseguirsi degli ascolti italiana e le ha traspornon può non essere sosti- tate nel 2014. Il risultato? tuito da un secondo gra- Un disco di liscio a temdo decisamente più pro- po di rock o, se si prefefondo e fatto di dettagli risce, un disco di rock a che piano piano portano tempo di liscio. Dipende al livello successivo. E via dalla propria provenien-
za musicale. Certo è che l’incontro tra due culture così apparentemente antitetiche ha partorito un ottimo risultato. Risultato che ha fatto scoprire qualcosa sia all’una sia all’altra parte. Tecnicamente il discorso affrontato dall’”orchestra” è tutt’altro che banale. Anzi, è decisamente impegnativo e sotto diversi punti di vista. Il primo sono i tempi, che non sono i classici tempi rock. In secondo luogo il mantenere intatta l’atmosfera che i brani rivisitati portavano con sé. Non si può che apprezzare l’opera e lo sforzo dei musicisti che hanno prodotto un disco che se da una parte lascia il sorriso sullo labbra, dall’altra, superato il primo ascolto, stupisce per le capacità messe in campo.
Cantautorato in senso ampio e soprattutto che non attinge esclusi-
vamente alla tradizione nazionale il disco di esordio di Tito Esposito, Estro ci vorrà. Tre sono le direttive su cui il cantautore campano si muove, il reggae, il blues e la canzone solista di tradizione. Un ottimo mix che offre all’ascoltatore un disco vario, mai monotono e soprattutto una base musicale adeguatamente enfatizzata e che altrettanto adeguatamente offre un ottimo supporto ai testi. Presenti e molto caratteristici i passaggi di musica partenopea che strizzano l’occhiolino a Napoli Centrale e qualcosa degli Almamegretta. Una nota alla voce del nostro che, pur nel mutare e nell’adeguarsi ai diversi generi toccati, mantiene una propria coerenza melodica descrivendo uno stile decisamente riconoscibile. Un disco dai mille colori questo di Esposito che ad ogni ascolto regala angoli e punti di vista differenti.
Mitici Giorgia sarebbe sufficiente il titolo della prima canzone Dadarock. Questo esprime in pieno ciò che resta del disco. Come il dadaismo figurativo è stato movimento di rottura degli schemi, allo stesso modo lo è il full della band in questione. Dalla compilazione dei testi, alla
composizione delle basi musicali. Queste ultime sono riconducibili alla dark wave di inizio anni 80 e ai suoni dei Bahuaus o dei Cure di Disintegration. Allo stesso modo non possono non venire in mente i primi CCCP e il movimento post punk italiano. Non è tanto la tecnica che conta per la
band, cosa che comunque non manca e non può mancare, quanto l’impatto. I testi sono certo la parte più peculiare dell’intero disco. Molto narrati e poco cantati, da seguire con attenzione per le implicazioni che lanciano e denunciano. Un ascolto non certo semplice ne
tantomeno immediato ma che, una volta trovata la chiave di lettura, offre scorci di un mondo tutto da scoprire. Un mondo in cui la norma sono visione escheriane o comunque di geometrie non euclidee.
Disco del Mese Testo a cura di Carmine Rubicco
Marina Rei:Pareidolia Marina Rei in più di vent’anni di attività e, incluso quest’ultimo Pareilodia, dopo 9 album ha abituato i fans a cambi stilistici e di linguaggi musicali. Tutto mantenendo quella che per un artista è difficile da raggiungere e tenere stretta, una propria identità ben riconoscibile e distinguibile. Allo stesso modo non è mai stata avulsa dall’andamento della musica contemporanea. Non fa eccezione questa ultima fatica. All’interno del disco può essere riconosciuto il percorso stilistico dell’artista. Ogni brano è a sé stante. Quando sembra di aver capito dove vada a parare il full lenght si viene spiazzati dalla canzone successiva. Se il rock della prima traccia, Avessi artigli, può far pensare ad un approccio più “duro”, la seguente Ho visto una stella cadere
riporta a sonorità più morbide, d’atmosfera, seppur sempre ritmate. Ancora, Lasciarsi andare riporta su coordinate decisamente più coordinate per un rock internazionale dove non mancano riferimenti a King of Lion, strumentalmente, o Radiohead, per i suoni. Medesime caratteristiche ritornano anche per Sole. Cambio di atmosfere e sonorità con Del tempo perso, ballata malinconica e sulla linea tracciata dai Tiromancino più malinconici. Ed è una cascata di note “notturne”, parafrasando il testo, che accoglie Se solo potessi. Intro piano e voce per un’apertura ritmica “liquida”. E come il classico fulmine a ciel sereno, letteralmente, arriva la title track. Un “assalto”. Rap, melodia, rock, una canzone che non stonerebbe tra le proposte contemporanee che arrivano dal nord Europa. Testo inciso e un cantato decisamente liberatorio. A seguire un chiaro omaggio a Max Gazzè con Vorrei Essere. Non si tratta di uno spunto, è proprio un omaggio. Cadenza del cantato, base strumentale, testo. Tutto riporta al cantautore romano. Sul finale un colpo di coda con il ritorno del
carattere di Marina rei. Atmosfere che si fanno nuovamente eteree con la seguente Un semplice bacio. Come il titolo anche il brano è “semplice”, immediato e fresco allo stesso tempo. Tornano riverberi e suoni rarefatti in Fragili. Un brano meno immediato di quanto potrebbe apparire a primo ascolto. Arrangiamento multistrato con interventi di diversi strumenti a creare scenari multiformi. Chiude il disco Annarella. Una degna conclusione per un disco fatto mi molteplici chiaro scuro. Allo stesso modo Annarella. La canzone in un certo qual modo più sperimentale del progetto. La voce della Rei fa da protagonista su un tappeto “space”, riverberato, o in un canto a cappella. Nel complesso un disco da ascoltare più volte che esula da quello cui la musica italiana ha abituato. Abitudine che chi segue la cantautrice romana non conosce. Non è un ascolto immediato, ne per i testi ne per la parte strumentale pur mantenendo un che di leggerezza che al secondo ascolto fa intravedere un mondo sotteso ricco di sfumature.