PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!
Gennaio 2014 n. 45
Scintilla ORGANO
DI ESPRESSIONE DI
teoriaeprassi@yahoo.it
Secondo un recente studio del Credit Suisse, 32 milioni di persone, (lo 0,7% della popolazione adulta mondiale) possiedono il 41% della ricchezza globale. Alla base della piramide 3,2 miliardi di persone (più dei 2/3 terzi della popolazione adulta mondiale), possiedono appena il 3% della ricchezza totale. In Italia stessa musica. Ad un polo della società 6 milioni di individui (tra loro 40 mila ultramiliardari) possiedono più della metà della ricchezza nazionale. All’altro polo della società circa 30 milioni di persone, la metà della popolazione italiana, ne possiedono appena il 10%. Negli ultimi anni l’abisso sociale si è approfondito in tutto il mondo. Anche in Italia la crisi ha reso i ricchi più ricchi, mentre gli operai, i disoccupati, i lavoratori sfruttati, i piccoli contadini e allevatori, si sono impoveriti, specie nel meridione. Cosa dimostrano questi fatti? Che i responsabili della crisi - i padroni, i banchieri, i parassiti ne sono anche i beneficiari, grazie alla politica dei governi borghesi che fanno i loro interessi rapinando le masse lavoratrici. Che alla concentrazione di ricchezza nelle mani di un’infima minoranza corrisponde un crescente impoverimento dell’immensa maggioranza della società. Che le ricette riformiste per una “redistribuzione” del reddito sono un’illusione e una menzogna, perchè le leggi del capitalismo provocano la diminuzione costante sdella quota di reddito dei lavoratori. La realtà ci dice che le contraddizioni di classe si aggravano. Esse possono essere risolte solo con la rivoluzione sociale del proletariato. Per questo ci vuole il Partito comunista!
PIATTAFORMA COMUNISTA
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1 euro
Disoccupazione, licenziamenti, miseria...non ne possiamo più
Il proletariato e l’offensiva reazionaria del grande capitale. I fatti di dicembre e i nostri compiti pag. 5
Dichiarazione politica CONUML “Per una svolta rivoluzionaria e di classe nel movimento operaio” pag. 7
Come procede la crisi capitalistica nell’UE? C’è la ripresa? Un’analisi della epidemia sociale in corso pag. 10
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gennaio 2014
La retromarcia di un governo antipopolare che va spazzato via Dopo aver tentato con ogni mezzo di manomettere l’art. 138 della Costituzione, per passare nel 2014 a una Repubblica presidenziale di tipo autoritario, il governo LettaAlfano ha dovuto fare marcia indietro. Il ministro per i Rapporti per il Parlamento, Dario Franceschini, ha fatto sapere che il governo “non procederà” alla Camera sul Ddl costituzionale n. 813. Per il via libera definitivo al Ddl e al comitato dei “saggi”, mancava solo il voto di Montecitorio. Tre fattori hanno pesato su questo ripensamento dell’ultima ora: a) l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza, che non avrebbe più garantito il raggiungimento dei 2/3 delle Camere con cui il governo avrebbe blindato il testo, rendendo impossibile un referendum; b) L’elezione di Renzi alla segreteria del PD, che puntava a chiudere la vicenda, per impedire scambi tra Forza Italia e il governo, e a rilanciare sulla riforma elettorale, che gli assicura risultati più immediati; c) la forte denuncia e l’opposizione di diverse forze politiche e
sociali, che è stato i fattore più importante per i prosieguo della lotta contro i progetti reazionari. La controriforma dell’architettura istituzionale era alla base dell’accordo che ha portato alla nascita del governo Letta-Alfano e doveva essere realizzato grazie al Comitato dei 40 saggi istituito dallo stesso esecutivo. Dunque si tratta di una sonora sconfitta del governo LettaAlfano e di chi lo ha voluto, l’oligarchia finanziaria e i suoi rappresentanti istituzionali, in primis Napolitano. Motivo di più per rilanciare la lotta per cacciare un governo antipopolare e illegittimo -
poichè nessuno lo ha votato che vara rincari, misure e leggi a favore delle banche, dei padroni, dei ricchi, e prepara nuove manovre antioperaie. Nessuna tregua ai golpisti in guanti bianchi! La borghesia tornerà presto alla carica, perché le “riforme costituzionali” rispondono all’esigenza del grande capitale di massimizzare i profitti, di accrescere il suo dominio sull’intera società, ponendo l’intero apparato statale al suo esclusivo servizio. E’ una involuzione reazionaria che ha le sue premesse nell’offensiva capitalista volta a scaricare tutte le conseguenze
della crisi sulle spalle dei lavoratori, nella politica di austerità che cancella i diritti sociali, nei diktat UE-BCEFMI, nel bellicismo della NATO, nelle continue ingerenze vaticane, nell’ideologia neoliberale dominante e nel collaborazionismo riformista. Dunque assieme alla denuncia dei responsabili della trasformazione reazionaria dello Stato e della società, serve una decisa mobilitazione di massa. Difendiamo strenuamente le conquiste, i diritti e le libertà democratiche conquistate dalla classe operaia, che la borghesia getta nella polvere per far sopravvivere il suo sistema. Con il fronte unico di lotta del proletariato aumentiamo la pressione di classe contro il governo Letta-Alfano, per accelerarne la caduta. Rilanciamo la necessità di un ampio Fronte popolare, per sconfiggere l’offensiva reazionaria e aprire la strada alla trasformazione rivoluzionaria, qualitativa, della società, ad una vera democrazia dei lavoratori. Essa si potrà realizzare solo con una Repubblica socialista basata sui Consigli.
Perchè cresce il debito pubblico? Il debito pubblico ha ampiamente sfondato nel 2013 il tetto dei 2.000 miliardi. Come si spiega il fatto che continua a crescere malgrado i sacrifici dei lavoratori? Di chi è la responsabilità? Dallo scoppio della crisi economica il “debito sovrano” è fortemente aumentato per salvare le banche in fallimento e garantire la sopravvivenza di un sistema criminale, dominato dal capitalismo monopolistico finanziario. Nell’UE gli interventi per fornire liquidità e applicare politiche monetarie espansive, sono stati senza precedenti e hanno inciso in forte misura sui debiti pubblici. Tra il 2008 e il 2011 i governi UE hanno versato circa 4.500 miliardi di euro ai gruppi finanziari colpiti dalla crisi. In questi stessi anni il debito
pubblico totale dell’UE è aumentato in media di 20 punti, dal 60 all’80%. Sono questi colossali salvataggi a beneficio esclusivo e diretto dell’oligarchia finanziaria, questa gigantesca “socializzazione” delle perdite private, imposti dai governi borghesi e dai partiti che li sostengono, a far crescere il debito pubblico, senza peraltro risolvere la crisi dell’economia capitalista. Dunque, il debito non aumenta a cause delle spese per la protezione sociale, come sostengono i governi e i media borghesi. Tali spese vengono continuamente tagliate dagli stessi governi per favorire ulteriormente le attività speculative dei capitalisti responsabili della crisi (es. con la privatizzazione di sanità,
pensioni, scuole, trasporti, etc.), secondo un preciso progetto politico antipopolare. Inoltre, bisogna aggiungere che in Italia l’aumento del debito pubblico nel corso della crisi è passato dal 2007 al 2013 da 1.628 miliardi a circa 2.100 miliardi, con un aumento che sfiora il 30% - non deriva solo dai fondi pubblici stanziati per salvare le grandi banche, ma anche dall’ammontare degli interessi sul debito pubblico (83 miliardi nel 2013), che per la maggior parte è posseduto dagli stessi gruppi finanziari. Tale onere – pagato interamente dalla classe operaia e le masse lavoratrici – è aggravato dall’enorme evasione fiscale (150 miliardi annui). Chi pensa che la borghesia possa generare una classe dirigente che abbia la volontà e
la capacità di risolvere il circolo vizioso del debito nell’interesse dei lavoratori, di riformare il sistema finanziario “legale” e quello “ombra”, non ha capito nulla dell’imperialismo, nella migliore delle ipotesi.
Scintilla
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gennaio 2014
Contro l’offensiva padronale ci vuole il fronte unico dal basso La crisi continua a mordere le carni vive della classe operaia. Proseguono i licenziamenti, anche nelle grandi fabbriche. Di questi giorni è la notizia dei 1000 esuberi dichiarati dalla Piaggio, con richiesta da parte di Colaninno, dopo i soliti tira e molla, dei “contratti di solidarietà”. Questo in un’azienda con un bilancio in attivo, che distribuisce sostanziosi dividendi ai soci e che gode da sempre di aiuti statali. Figuriamoci altrove! I padroni si approfittano della situazione. Le riduzioni salariali e l’aumento dello sfruttamento (intensificazioni ritmi, riduzione pause, etc,) sono all’ordine del giorno per chi rimane in produzione. Non è possibile andara avanti così, è indispensabile un’azione unita e decisa del proletariato. Ad oggi, però la risposta non si sta rivelando all’altezza di quanto impone la realtà. La responsabilità è in primo luogo dei riformisti e degli opportunisti di ogni risma, dei vertici sindacali che appoggiano in pieno il capitalismo e sono nemici delle genuine istanze di cambiamento operaie e popolari. Costoro compiono ogni sforzo per mantenere sotto controllo la rabbia e le mobilitazioni dei lavoratori, per dividerli, per non mettere a repentaglio la sorte
dell’oligarchia e dei suoi governi antipopolari, come quello di Letta-Alfano. Non caso Fassina e Camusso hanno dichiarato l’inutilità dell’arma dello sciopero generale. Non cambia il panorama dentro la Fiom. Un esempio lo abbiamo visto con la settimana “Il lavoro è un bene comune”, conclusasi con la manifestazione del 12 dicembre scorso. In questa occasione Landini, che dopo l’accordo con la Camusso converge anche con Renzi, ha fatto del suo meglio per gettare olio sulle onde. La segreteria Fiom è più preoccupata di assegnare patenti di affidabilità al governo Letta-Alfano, cercando di anestetizzare il malcontento dei lavoratori, che di organizzare e spingere i lavoratori alla lotta dura contro le politiche antioperaie. Continuando in questo modo, non verrà niente di buono per la classe operaia. La resistenza degli sfruttati non potrà ottenere risultati effettivi senza superare i limiti esistenti: le tante vertenze scollegate e non impostate su contenuti anticapitalistici, l’economicismo, l’assenza di progettualità e prospettive politiche rivoluzionarie. La strada da seguire si chiama fronte unico proletario!
Bisogna lavorare per lo sviluppo e l’unificazione dei movimenti di lotta operaia contro i padroni e il governo Letta-Alfano, contro l’UE imperialista e le sue politiche antioperaie, sulla base di una concreta piattaforma rivendicativa di classe: no ai licenziamenti e allo smantellamento delle fabbriche, aumento dei salari, riduzione dell’orario, abolizione della precarietà, etc. Va dato maggiore impulso alla partecipazione degli sfruttati alle lotte, agli scioperi. Il sindacato e le RSU sono insufficienti, servono organismi in cui la massa operaia possa
raccogliersi e realizzare la sua unità di azione (es. Comitati di sciopero, di agitazione, etc.). Va rilanciato il ruolo delle assemblee decisionali ed elettive degli organi di classe. Soprattutto ci vuole l’elemento di accentramento e di direzione politica indipendente e rivoluzionaria: un forte e combattivo Partito comunista, unione del socialismo scientifico (il marxismoleninismo) e dei settori più avanzati della classe operaia. Solo così la classe operaia potrà unirsi e costruire la propria egemonia su un blocco di classi e strati sociali alleati, vittime anch’essi del capitalismo.
Flexsecurity: più sfruttamento, più licenziamenti Appena divenuto segretario del PD, Renzi ha subito esposto le sue idee per “favorire l’occupazione”: sospensione triennale dell’art. 18 per i nuovi assunti - sempre lì si mira, con l’obiettivo di toglierlo a tutti! in cambio di un contratto stabile (ma senza abolire i contratti precari). Alla beffa si aggiunge al danno: senza art. 18, e dunque con la possibilità del licenziamento a piacimento del padrone. In realtà sarebbero tutti contratti a tempo determinato! Non a caso Squinzi, il leader degli industriali ha dichiarato: “Sicuramente è una proposta che va nella direzione giusta”. Inoltre, l’uscita di Renzi ha dato
la stura a Sacconi e Alfano che hanno subito rilanciato sul “taglio delle regole” e la liquidazione del CCNL. Il modello di Renzi (ripreso da Ichino e da altri gius-liberisti), è la “flexsecurity”. Un modello, importato dalla Danimarca, che si basa sullo scambio tra piena licenziabilità e maggiore flessibilità (reale) da un lato, e maggior sostegno (illusorio) ai lavoratori che perdono l’impiego, dall’altro. Ma le condizioni della Danimarca sono assai differenti da quelle italiane. Si tratta di un paese che ha un impiego pubblico esteso, maggiori risorse economiche per il welfare state, scarsa evasione
fiscale e zero lavoro nero. Inoltre non ha l’euro. Eppur neanche lì la flexsecurity ha funzionato, visto che con la crisi è aumentata la disoccupazione. In un paese come l’Italia, con alta disoccupazione e lavoro nero, in cui c’è già fin troppa flessibilità e il Fiscal compact impone drastici tagli annuali ai già scarsi servizi sociali, la flexsecurity si risolverebbe solo in maggiore sfruttamento, precarietà e mazzate alla classe operaia e ai giovani. La proposta di Renzi deriva da un dogma neoliberista: niente più “steccati anacronistici” per spremere come limoni i proletari e poi disfarsene senza problemi.
Non a caso ha raccolto anche il plauso di Bonanni, il capo collaborazionista della CISL. Chissà se pure Landini l’accetterà in cambio della legge sulla “rappresentatività”... Il “job act” renziano contiene misure simili a quelle che Sarkozy cercò di introdurre in Francia. Fu bloccato da una ondata di protesta popolare e giovanile. Una simile “accoglienza”, anche in Italia, potrà fermare anche questo ennesimo, progetto antioperaio. NO alla flexsecurity e al “job act” di Renzi & soci! Basta ricatti, stessi diritti per tutti i lavoratori! L’art. 18 non si cancella, si estende!
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Un catto-liberista alla guida del PD Il catto-liberista Matteo Renzi, ex boy-scout formatosi nell'ambiente giovanile del cattolicesimo fiorentino, ha alle spalle una carriera di "grande comunicatore" e di abile trasformista. Già portaborse del deputato cattolico Lapo Pistelli a Montecitorio, diventa nel 1999 Segretario provinciale del Partito Popolare Italiano (ex Democrazia Cristiana), poi - nel 2001 - coordinatore fiorentino della Margherita (sempre ex Democrazia Cristiana!) e suo Segretario provinciale nel 2003. Nel 2004 è eletto Presidente della Provincia di Firenze per il centrosinistra e - dal 2009 - è Sindaco di Firenze, sempre per il centrosinistra borghese. Membro della Direzione Nazionale del PD, si è candidato - nel luglio 2013 - alla Segreteria del partito e ha riportato nelle primarie dell'8 dicembre un successo al di là di ogni aspettativa, con circa il 68% dei voti contro il 16% di Cuperlo e il 14 % di Civati. Chi è Renzi? E’ un prodotto dell’egemonia neoliberista, il rappresentante di una borghesia aggressiva, che vuole disfarsi delle residue conquiste operaie. E’ un uomo legato al Vaticano, per la sua origine e formazione, e agli Stati Uniti. Rutelli, quando era Vicepresidente del Consiglio, lo portò con sé negli USA, facendolo conoscere a Hillary Clinton e agli ambienti economici e finanziari che ruotano intorno alla Casa Bianca. Renzi è organico agli interessi dell'oligarchia finanziaria, dei padroni, delle banche, della rendita e del profitto; è favorevole alle privatizzazioni; è nemico dei sindacati dei lavoratori; nel campo dell'economia e del lavoro, segue le idee di iperliberisti come Ichino e Zingales. Ha affermato, a suo tempo, che se fosse stato un operaio della Fiat di Pomigliano d'Arco, avrebbe votato "senza se e senza ma" a favore del referendum proposto da Sergio Marchionne. Il suo progetto politico neocentrista è in sintonia con le posizioni di quella parte del capitalismo, ostile al populismo di Berlusconi e di Grillo, che fa
capo alla Fiat, a Montezemolo, Della Valle e alle multinazionali che vogliono fare profitti in Italia. Ha vinto con un programma fatto di controriforme istituzionali ed economiche utili ai capitalisti, euro-sacrifici, attacco ai contratti di lavoro, flessibilità e licenziamenti, con promesse e illusioni sulle “ricette di mercato”, e con il potente aiuto dei media. Chi lo ha votato? In stragrande maggioranza, la piccola borghesia urbana, disorientata, impaurita dalle conseguenze sempre più gravi della crisi che la impoverisce di giorno in giorno, delusa dal berlusconismo e alla ricerca di un nuovo «salvatore». Il PD, dopo l'esito di queste primarie è in crisi profonda. Il suo vecchio gruppo dirigente cercherà di reagire alla clamorosa disfatta di Cuperlo (il "suo" candidato), ma in parte sarà "rottamato" dal vincitore, in parte si dividerà, senza escludere una scissione. Una cosa è certa. La vittoria di Renzi rompe ogni residuo legame con il passato socialdemocratico del PDS-DSPD e con l’assunzione piena del neoliberismo sposterà ancora più a destra l'asse politico del PD, schierandolo sempre più con i padroni contro i lavoratori. Con buona pace di Landini e di tanti altri opportunisti illusori e illusi. Nessuna alleanza è possibile con questo partito borghese da parte delle forze comuniste e rivoluzionarie! Un nuovo partito è necessario costruire: il Partito comunista (marxista-leninista) del proletariato d’Italia!
Ultim’ora
La Fiat sempre più indebitata Marchionne ha strombazzato l’accordo “storico” col fondo pensione del sindacato UAW, con il quale rastrellerà le azioni Chrysler. Permetteranno a Fiat di intascare i profitti realizzati negli USA, vista la continua perdita di posizioni in Europa. Quanto agli effettivi risultati dell’operazione e alla fusione fra i due gruppi, che non sarà per nulla automatica, ne riparleremo a tempo debito. Per ora di “storico” in questo accordo ci sono solo i debiti della Fiat, che con questa operazione diviene il gruppo automobilistico europeo più
indebitato (10 mld di euro). Ci saranno investimenti negli stabilimenti italiani, dopo che Fiat li ha bloccati per anni? Potrà Fiat utilizzare la liquidità Chrysler se la transazione non sarà completata e la fusione effettiva? Su chi verrà scaricato il debito? Chiusure e cessioni in vista? La sola risposta positiva a questi interrogativi dipende, ancora una volta, dalla classe operaia, che deve risvegliarsi e lottare per la proprietà sociale dei mezzi di produzione, senza rimanere schiacciata dai piani del capitale monopolistico.
Il rapporto di Dimitrov al VII Congresso dell’Internazionale comunista E’ in distribuzione l’opuscolo con la versione integrale del rapporto tenuto il 2.8.1935 da G. Dimitrov al VII Congresso dell’Internazionale comunista, nel quale venne formulata la politica di Fronte unico e di Fronte popolare per sbarrare la strada all'offensiva del fascismo e collocare i partiti comunisti e la classe operaia nella prospettiva della conquista del potere politico. L’opuscolo contiene una prefazione a cura della Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML). Invitiamo tutti i compagni a richiedere l’opuscolo versando 5 euro (importo comprensivo delle spese di spedizione) sul ccp. 001004989958 intestato a Scintilla Onlus.
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gennaio 2014
L’offensiva capitalista, i “forconi” e la risposta proletaria Il problema che i circoli imperialisti si stanno ponendo è il seguente: come continuare a saccheggiare la classe operaia e le masse popolari prevenendo lo sviluppo di un movimento rivoluzionario? La risposta è: utilizzando il malcontento esistente, specialmente quello fra la piccola borghesia, per ricondurlo in un alveo diretto da forze di destra e di estrema destra, così da rafforzare la dittatura del capitale finanziario e reprimere i movimenti della classe operaia. Quanto successo il 9 dicembre scorso a Torino, città impoverita e massacrata dalla crisi capitalistica, è stato un episodio emblematico. Migliaia di commercianti, agricoltori, trasportatori e artigiani, colpiti dalla crisi, assieme a gruppi di studenti e di elementi sociali spostati, hanno dato vita a una protesta per il taglio delle tasse (che molti piccoli e medi borghesi evadono) e i sussidi. Elementi unificanti a livello politico la richiesta di dimissioni del governo, la critica alla “casta” e ai sindacati in quanto organizzazione dei lavoratori (non ai vertici sindacali stravenduti), un confuso rifiuto dell’euro e l’odio verso i migranti, classico caprio espiatorio. Fra gli organizzatori della protesta, mimetizzati, vi erano numerosi fascisti e teppisti, che dietro la loro lurida demagogia sociale coltivano il progetto di un governo retto da militari o ispirato a quello ultrareazionario di Orban in Ungheria. A sventolare, assieme ai tricolori, la rivendicazione del monopolio politico reazionario: “l’uomo forte”. Alcuni fenomeni da registrare: una “strana” latitanza delle cosiddette forze dell’ordine; la convergenza fra leghisti e fascisti; l’assenza nelle proteste del M5S, che si dimostra un contenitore elettorale inutilizzabile quando vi sono movimenti di piazza, comunque pericoloso perché fa da battistrada al populismo di estrema destra.
Il leader dei “Forconi”, Danilo Calvani, padroncino di Latina, mentre arriva in Jaguar a una manifestazione. Ha dichiarato: “In caso di vuoto di potere vedrei un carabiniere”. Forse il suo amico, ex gen. Pappalardo?
Il carattere fondamentale di un movimento come quello “dell’Immacolata”, seppure non omogeneo e tuttora disunito, è reazionario, corporativo. Lo dimostrano, tra l’altro, le azioni intimidatorie verso le sedi del movimento sindacale. Lo spazio per la sua discesa in campo gli è stato offerto dall’assenza nella scena politica della classe operaia organizzata, divisa e paralizzata dalla politica riformista e opportunista di scissione e di collaborazione di classe con la borghesia, con l’UE imperialista e i suoi governi. La massa di manovra piccoloborghese fa gola ai gruppi più reazionari della borghesia, che sentono di non poter più governare con i vecchi metodi e forme di governo. E’ dunque un fenomeno pericoloso, da non sottovalutare nelle attuali condizioni di instabilità economica e politica. I legami organici fra capitale finanziario e fascismo sono noti. La destra e l’estrema destra sono la carta che l’oligarchia si appresta a giocare per rimpiazzare i liberal-riformisti in un contesto di aggravamento e prolungamento della crisi. Una carta per premere sulle controriforme istituzionali, per recuperare lo scontento dilagante in funzione di una politica ancor più antioperaia (es. distruzione dei CCNL dietro la bandiera della “libertà del lavoro”), sciovinista e guerrafondaia, per dividere ancor più il proletariato. E’ completamente fuori strada
chi, dopo aver appoggiato il M5S, ora appoggia e partecipa a movimenti di questi tipo per cercare di “spostarli” a sinistra. Sono posizioni pericolose, che contribuiscono solo a rallentare la vigilanza nei confronti del pericolo di destra. L’egemonia della classe operaia, la possibilità di guidare i movimenti di classi e strati sociali malcontenti e schiacciati dal capitalismo, non si ottiene appoggiando o rincorrendo i “forconi”, ma organizzando la lotta della classe operaia contro tutta la porcheria della società borghese. E’ risaputo che la direzione nella lotta di classe spetta a chi si batte con maggiore energia, a chi mette in accordo parole e fatti, a chi è più risoluto. Il problema va dunque risolto lavorando per rompere l’immobilismo e l’impotenza politica attuale del proletariato, affinché risolva a modo suo il problema della crisi. In tal modo sarà possibile per la classe operaia accrescere la sua influenza politica, legare a sé la massa degli elementi semiproletari e oppressi della popolazione, unificarla e dirigerla nella lotta per il potere. Il successo nella battaglia contro la reazione e il fascismo dipende dalla riorganizzazione del nostro campo, forgiando il fronte unico proletario e, sulla sua base, il fronte popolare, due fattori di grande importanza nella situazione attuale. La ripresa dell’iniziativa operaia nelle fabbriche e nelle strade, l’azione unitaria contro l’offensiva del capitale e dei
suoi governi, la realizzazione di organismi di fronte unico dal basso (consigli, comitati unitari, etc.), la difesa dagli attacchi del fascismo e della reazione alle organizzazioni dei lavoratori, sono la terapia per prevenire e combattere l’influenza reazionaria. Solo costruendo un compatto blocco di forze che lotti contro l’offensiva del capitale finanziario e dei suoi complici, si potrà paralizzare l’influenza dell’estrema destra sulla piccola borghesia e sulla gioventù, si eserciterà effettivamente una capacità di attrazione verso settori vittime della crisi capitalistica, guadagnando alleati preziosi nella lotta contro il capitale e per il socialismo. La lotta contro il pericolo di destra, contro il fascismo vecchio e nuovo, è un aspetto della lotta per approfondire la crisi della borghesia, una classe che ha esaurito la sua funzione storica e deve essere estromessa dal potere politico da un movimento rivoluzionario di massa diretto dal proletariato, la classe più rivoluzionaria. Lo sviluppo di questa linea presuppone l’esistenza di un forte e combattivo partito marxista-leninista, che diriga la lotta rivoluzionaria per conquistare la società organizzata razionalmente dai produttori associati. E’ il compito n. 1 che abbiamo di fronte, la cui soluzione richiede lo sforzo congiunto dei sinceri comunisti e degli operai d’avanguardia, sotto le bandiere del marxismo-leninismo.
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gennaio 2014
Congresso CGIL: opposizione di classe! Dopo una stagione di “non disturbo” ai governi Monti e Letta-Alfano, di cedimenti vergognosi sulle pensioni e sull’art. 18, di deroghe ai CCNL, di accordi peggiorativi e antidemocratici (come quelli del 28 giugno 2011 e del 31 maggio 2013), di passivizzazione dei lavoratori e di ritrovata sintonia di vertice con CISL e UIL, la CGIL va al suo 17° Congresso nazionale. Dal 7 gennaio verranno convocate le assemblee di base, in cui verranno discussi e votati i due documenti congressuali presentati - “Il lavoro decide il futuro” della maggioranza Camusso-Landini e “Il sindacato è un’altra cosa” della minoranza guidata da Cremaschi – ed eventuali emendamenti e ordini del giorno. Quali sono i contenuti di tali documenti? Il documento Camusso-Landini ripropone, aggravandole, tutte le tesi e la linea riformista e collaborazionista che purtroppo abbiamo visto in opera negli ultimi anni. La crisi economica viene concepita come conseguenza del ”primato del sistema finanziario e monetario e dall'affermarsi di scelte politiche che hanno reso possibile la circolazione dei capitali senza alcun vincolo né controllo”. Dunque per la maggioranza dell’apparato CGIL, la colpa della crisi e della recessione sarebbe della “ortodossia neoliberista” (vale a dire che un liberismo più moderato sarebbe accettabile) e non del capitalismo, che in se sarebbe un sistema valido, anzi l’unico possibile. Stessa solfa riguardo la UE: sarebbe una istituzione deviata dalle scelte liberiste e da politiche sbagliate come quella d’austerità, quindi da riformare e potenziare a livello parlamentare, coltivando il progetto impossibile o reazionario in ambito capitalistico degli Stati Uniti d’Europa. Va osservato che molti punti del programma europeo proposto dalla maggioranza CGIL sono in piena sintonia con gli interessi dell’oligarchia finanziaria, come l’unione bancaria. Dunque la “rilettura critica” degli ultimi trenta anni, in cui il
sindacato e la sinistra borghesi hanno sposato e applicato nel loro campo d’azione i fondamenti ideologici ed economici del neoliberismo, non va oltre una parziale messa in discussione di alcune politiche liberiste e l’adozione di qualche palliativo socialdemocratico. Sullo sfondo la riproposizione del “dialogo sociale” e il ruolo degli apparati sindacali come cogestori della crisi e pompieri delle lotte operaie, in nome della “competitività” e della “competizione” capitalistica italiana e europea (vero obiettivo del documento congressuale). Coerentemente, il programma rivendicativo è centrato su due gambe: a) il sostegno al “capitalismo sano”: risorse, innovazioni, credito, investimenti, capacità di attrarre “competitori internazionali”, aggregazione di impresa (il documento sembra quello di un’associazione degli industriali); b) politiche anticicliche e rilancio keynesiano della domanda. Con gli aumenti salariali? Neanche per sogno, al più con una diminuzione della tassazione che riguarda i risultati della contrattazione aziendale (ovviamente a scapito di quella nazionale). Come ciliegina sulla torta, dopo i vergognosi cedimenti sulla controriforma delle pensioni, ecco il rilancio della previdenza complementare. Da essa i vertici e la burocrazia sindacale sperano di trarre fondi per le loro rendite di posizione. Il documento delle “larghe intese” (in realtà le coltellate si sprecano nelle stanze dell’apparato) disegna un sindacato borghese che si pone a sostegno della politica borghese contro la classe operaia. Esso dimostra a quale livello di abbandono delle istanza dei lavoratori e di inserimento organico nelle posizioni di settori monopolisti sono giunti i capi socialdemocratici e riformisti della CGIL, borghesi fino al midollo. Non si vuole solo un sindacato che non lotta, che evita o frena il conflitto di classe (tanto più la sua politicizzazione in senso rivoluzionario), che espelle dal sindacato i comunisti e gli operai più combattivi, ma un sindacato che cerca di indirizzare il
malcontento e la rabbia dei lavoratori verso obiettivi funzionali agli interessi della classe capitalista nel suo complesso, aiutandola a stabilizzarsi e trovare una soluzione alla crisi. Del documento “alternativo” di Cremaschi ci siamo già occupati nello scorso numero e a breve ci torneremo su, in un apposito contributo. Ora come prepararci alla battaglia congressuale? Quali temi di fondo affrontare? Con quali prospettive? Anzitutto va rifiutata la politica UE e governativa, criticando a fondo la linea e la pratica sindacale seguita dai vertici CGIL, che hanno prodotto pesanti arretramenti nel movimento operaio. Di fronte a un bilancio fallimentare le domande da porre sono: possiamo continuare così? di quale sindacato e di quale linea di lotta abbiamo bisogno? Per poter offrire una risposta corretta dobbiamo respingere e demolite le tesi illusorie e dannose secondo cui è possibile riformare la burocrazia sindacale, spostare a sinistra le direzioni opportuniste, cambiare la linea dei vertici CGIL. La nostra attività in CGIL non può limitarsi a correggere la linea dei vertici, non può esaurirsi nel “controbilanciare” la deriva dell’apparato, riducendo la nostra attività ad un problema parlamentaristico di maggioranze e minoranze all’interno del sindacato. Conquistare posizioni nella CGIL significa conquista della massa operaia, non dell’apparato burocratico; significa strappare con la lotta le strutture di base dalle mani degli opportunisti e
dei funzionari espressione dell’aristocrazia operaia e della piccola borghesia; significa guadagnare credibilità e autorevolezza fra i lavoratori nelle lotte, senza fare compromessi di principio. Il centro della nostra attività dev’essere la fabbrica, l’ospedale, la scuola, l’ufficio, il luogo di lavoro, i quartieri popolari, l’assemblea di base, il comitato degli iscritti, la RSU, le strutture territoriali di 1° livello. In questo senso dobbiamo saper utilizzare tutte le occasioni e i momenti di confronto e di lotta, compreso il congresso CGIL. Non solo per criticare a fondo le scelte fallimentari del gruppo dirigente, ma soprattutto per incentivare la formazione di una forte opposizione sindacale di classe e di organismi di lotta di massa nei luoghi di lavoro e nel territorio, per dare impulso a processi unitari con tutte le forze che si scontrano col capitalismo. Il problema che abbiamo di fronte non è la conta dei voti fra i due documenti e i vari emendamenti, anche perché nel congresso non vi sono le condizioni minime per un confronto democratico. Il problema dunque non sono i numeri, ma i contenuti e l’organizzazione di classe. Se la questione di fondo è il tipo di sindacato che vogliamo, dobbiamo dire che ci vuole una struttura sindacale di classe, un segmento organizzato del movimento operaio e sindacale, non per ridurlo a componente di minoranza in CGIL, non per separarlo dall'insieme, ma affinché, agendo con una direzione rivoluzionaria, possa incidere sul resto della classe operaia.
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gennaio 2014 Dichiarazione politica CONUML
PER UNA SVOLTA RIVOLUZIONARIA E DI CLASSE NEL MOVIMENTO OPERAIO La crisi continua, ma non per spese sociali, l’aumento delle tutti tasse per i lavoratori e il blocco contrattuale comportano costi Mentre la propaganda della sociali tremendi. Attraverso borghesia sfruttatrice cerca di queste misure prosegue la convincerci che la ripresa politica di austerità e di guerra, economica è iniziata, la realtà di saccheggio sociale imposta che viviamo è ben diversa. La dall’oligarchia finanziaria e recessione continua e le dalla troika UE-BCE-FMI, di condizioni di vita e di lavoro di cui il governo Letta-Alfano è milioni di operai e di larghe espressione. fasce popolari si fanno sempre Assieme alle misure più dure. La chiusura delle antipopolari va avanti il piano fabbriche e i licenziamenti di trasformazioni reazionarie a continuano. Per chi lavora la livello politico e istituzionale. situazione è critica, fra riduzioni L’obiettivo attuale del governo salariali, aumento dei carichi, e di gran parte delle forze dei ritmi e degli orari di lavoro e parlamentari è la modifica dei ricatti padronali. dell’art. 138 della Costituzione. Il tasso di disoccupazione In tal modo si punta a una ufficiale ha sfondato il 12,5% e Repubblica presidenziale di tipo crescerà ancora nel prossimo autoritario, antidemocratica, anno. Quello giovanile è al che estenderà la reazione 40%, con cifre maggiori al sud e politica a macchia d’olio. fra le donne. 9,2 milioni di persone oggi sono “ufficialmente” povere, tra cui un milione di bambini in povertà assoluta. La miseria si abbatte su nuovi strati di lavoratori che non riescono più a curarsi, a pagare le bollette, a scaldare la casa. All’altro polo della società, un 10% di borghesi possiede oltre il 50% della ricchezza nazionale, vivendo nel lusso e nello spreco, beneficiando della crisi di cui sono responsabili. I fatti dimostrano che nel Decomposizione del sistema contesto dell’aggravamento politico borghese e offensiva della crisi generale del reazionaria capitalismo la borghesia, per salvaguardare i suoi interessi e Alla profonda e prolungata crisi il suo dominio di classe, getta economica del capitalismo - un nel fango le libertà conquistate sistema agonizzante che vede dalla classe operaia, diventa più acuirsi tutte le sue principali aggressiva, non esita a disfarsi contraddizioni - si accompagna dello stesso ordinamento la decomposizione del sistema costituzionale, divenuto politico borghese e dei suoi incompatibile con le fameliche vecchi e corrotti partiti, che esigenze del capitale perdono continuamente finanziario. consensi. La decadenza di Berlusconi ha Il ruolo dei riformisti e degli segnato l’epilogo del governo di opportunisti “larghe intese”. Invece di dimettersi il governo Letta- In questo scenario il ruolo dei Alfano – mai votato dal popolo riformisti e degli opportunisti e italiano – continua nella sua dei vertici sindacali è di nefasta azione. La legge di appoggio servile al capitalismo, stabilità, le privatizzazioni, le di affossamento delle istanze di sovvenzioni a grandi imprese e cambiamento operaie e banche, il continuo taglio alle popolari. Questi traditori della
classe operaia svolgono un ruolo di freno e divisione delle lotte. Isolano i settori operai più combattivi. Sostengono l’inutilità dello sciopero generale (come hanno affermato recentemente Camusso, Fassina e altri) e organizzano scioperetti che servono a dimostrare che i lavoratori non hanno voglia di lottare. Criminalizzano la protesta sociale. La collaborazione dei capi revisionisti, riformisti e opportunisti e la politica di immobilizzazione delle masse contro le misure economiche e politiche sempre più gravi della borghesia aprono spazi alle destre neofasciste che utilizzano un linguaggio “sociale”. Questa tendenza si acutizzerà con la segreteria del PD in mano
al ciarlatano liberista e democristiano Renzi, appoggiato dai Marchionne, dai Montezemolo e dai finanzieri delle isole Cayman. Il PD sarà ancor più moderato e antioperaio, si sgancerà dalla rappresentanza dei suoi tradizionali settori sociali di riferimento. Ma così facendo sarà oggetto di contraddizioni ancor più profonde, di cui dobbiamo approfittare. La resistenza operaia popolare: ripresa e limiti
elettorale è stata infranta, si è aperta una nuova fase di mobilitazione ascendente, in cui si moltiplicano le proteste e le mobilitazioni di massa su diversi terreni: lavoro, salario, casa, ambiente, lotta alle privatizzazioni, alle tasse, ecc. Dagli operai ai tranvieri, dagli studenti alle donne del popolo, dai senza casa agli immigrati, da Genova a Napoli, dalla Val Susa alla Sicilia la resistenza e le mobilitazioni si sviluppano riempiendo le strade. La classe operaia, specie quella delle fabbriche investite dalle dismissioni e dalle ristrutturazioni, esige soluzioni dignitose per il lavoro, il salario e le pensioni a spese dei capitalisti e dei ricchi. Altri settori sociali, vittime della crisi, impoveriti e declassati, si sono messi in movimento. All’interno di queste mobilitazioni osserviamo un più netto rifiuto delle logiche istituzionali e parlamentari, una maggiore radicalizzazione delle forme di lotta. Ma dobbiamo anche riconoscerne i profondi limiti esistenti: la dispersione del movimento di lotta, la scarsa continuità, la mancata unificazione su contenuti anticapitalisti, l’economicismo, l’assenza di progettualità e prospettive politiche rivoluzionarie. Ciò è dovuto al prevalere e alla deleteria influenza degli opportunisti di destra e di sinistra nel movimento operaio e comunista, al basso livello di coscienza di classe esistente. Ciò favorisce le manipolazioni delle masse da parte della borghesia e dei suoi demagoghi servi populisti e fascisti.
Per una svolta radicale, per e l’alternativa di potere
Negli ultimi mesi la classe operaia e alcuni settori popolari hanno ripreso il cammino di lotta contro le conseguenze della crisi economica, l’offensiva capitalista, le manovre reazionarie. La momentanea paralisi post-
Occorre dunque superare questi limiti. Come? Nell’immediato è importante lavorare per sviluppare e unificare politicamente i numerosi torrenti di lotta contro il governo antipopolare LettaAlfano, chiamando a segue a pag. 8
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8 CONUML segue da pag. 7 manifestare in ogni occasione fino allo sciopero politico generale per provocarne la caduta nelle piazze e nelle fabbriche. L’azione delle masse è un fattore risolutivo, che assume una crescente rilevanza nella situazione attuale. Perciò va dato impulso dal basso a una maggiore partecipazione attiva e unitaria alle lotte, agli scioperi. Occorre rafforzare il protagonismo, la mobilitazione e l’organizzazione delle masse, con la formazione di organismi di fronte unico dal basso (consigli di fabbrica, comitati di sciopero e di lotta, commissioni operaie, assemblee di Rsu, delegati, organizzazioni territoriali di lotta su specifici problemi sociali e altri organi di lotta) che attuino la democrazia proletaria e prendano in mano l’organizzazione delle lotte contro il potere costituito e il regime capitalistico. Lo sviluppo di un fronte unico anticapitalistico e antimperialistico di lotta del proletariato, imperniato su una piattaforma di difesa intransigente degli interessi economici e politici degli sfruttati, con rivendicazioni frontalmente dirette contro il capitale monopolistico e le sue istituzioni, come l’Unione Europea, è essenziale nelle condizioni attuali. La creazione di una combattiva opposizione sindacale di classe dentro e fuori i sindacati confederali, embrione di un vero Sindacato di classe, è un aspetto di questo processo di riorganizzazione politica del proletariato e di conquista delle masse. Su tali basi va formata un’ampia alleanza di forze e organismi politici, sindacali e sociali del movimento operaio e dei settori popolari colpiti dalla crisi. Un vero Fronte popolare – dove i marxisti-leninisti svolgeranno un ruolo di formazione e di orientamento verso la rivoluzione socialista e il Socialismo - diretto dalla classe operaia, un’alternativa politica unitaria e popolare per abbattere un regime di parassiti, di speculatori, di ladri e di corrotti e aprire la via a un Governo rivoluzionario che sia espressione del potere della classe operaia e di tutti gli
sfruttati, che sorga dalla loro lotta. Il contrasto crescente fra forze produttive e rapporti borghesi di produzione, gli sviluppi della crisi capitalistica e le misure predatorie adottate dalla borghesia impongono dunque di farla finita una volta per tutte col cretinismo parlamentare – mentre va sostenuta, laddove ve ne sono le condizioni, la partecipazione alle elezioni e la lotta dalla tribuna parlamentare e nelle assemblee elettive per
sostenere gli interessi del proletariato e delle masse lavoratrici e combattere il nemico di classe anche dall’interno del suo potere istituzionale - con il riformismo illusorio, con l’opportunismo imbelle, con i partiti che predicano la conciliazione di classe e sono un pericoloso ostacolo per l’unità del proletariato. E’ necessaria una radicale svolta di classe e rivoluzionaria, nelle forme di lotta e di organizzazione, nel programma e nelle parole d’ordine, nell’educazione dei proletari,
nello spirito della lotta rivoluzionaria per il potere, nel lavoro internazionalista, nell’azione politica e nelle alleanze che corrispondono alle condizioni concrete della lotta di classe, per poter affrontare il periodo di burrascosi conflitti di classe che è davanti a noi. Senza questa svolta il malcontento rischia di essere intercettato dalle forze reazionarie che agiscono come strumenti del grande capitale per recuperare la collera montante contro l’UE
politica e sia agile nella tattica, tenendo ben saldo l’obiettivo dell’abbattimento del dominio borghese. Nell’attuale situazione, oggettivamente favorevole allo sviluppo di lotte di massa rivoluzionarie, aumentano i compiti e le responsabilità dei comunisti e si rafforza la spinta alla loro unità, in funzione della costruzione di un forte e combattivo Partito comunista nel nostro paese, quale reparto di avanguardia del proletariato. La recente costituzione del Comitato Nazionale di Unità Marxista-Leninista (CONUML) è una risposta alla dispersione, alla confusione ed alla debolezza ideologica e politica del movimento comunista del nostro paese, un passo avanti per una migliore organizzazione della lotta di classe, basata sui principi del marxismoleninismo e dell’internazionalismo proletario. I marxisti-leninisti chiamano tutti i partiti, le organizzazioni e i gruppi autenticamente comunisti e i nuclei di operai coscienti e combattivi a rompere nettamente, apertamente e definitivamente con le varie tendenze revisioniste, opportuniste e socialdemocratiche ed a unirsi nel CONUML. Ciò per dar vita a un intervento e ad un’iniziativa politica rivoluzionaria più ampia e coesa nella classe operaia e nelle masse popolari, spingendole alla lotta contro la borghesia e per il socialismo. Non c’è altro tempo da perdere con tatticismi e attendismi, con la passività, con il localismo. Il proletariato non può e non deve rassegnarsi a rimanere sotto la direzione degli opportunisti, e i governi dell’austerità con la quale si andrà incontro dividendo la classe operaia e le alla sconfitta. E’ ora di rompere masse popolari. gli indugi e assumersi le proprie responsabilità. Prendete Unità e lotta dei comunisti per contatto con noi, un forte Partito! organizziamoci, uniamoci! Roma, 14 dicembre 2013. Di qui la decisiva importanza di una direzione comunista ferma COMITATO NAZIONALE nei principi, che conosca le DI UNITA’ MARXISTAleggi della rivoluzione, che LENINISTA abbia sufficiente esperienza ed Partito Comunista Italiano audacia, che sappia fissare, Marxista-Leninista nelle diverse tappe della Piattaforma Comunista rivoluzione, la direzione del colpo principale del Per contatti: conuml@libero.it proletariato, in grado di Visitate il nostro Sito: assumere una chiara posizione www.conuml.weebly.com
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Il 21 Gennaio di noi comunisti Il Partito Comunista d’Italia (PCd’I) venne fondato il 21 Gennaio 1921 a Livorno, in un momento cruciale, di crisi dell’intera società italiana, dunque anche del movimento operaio. Il significato fondamentale della costituzione del PCd’I fu la rottura aperta con il riformismo e l’opportunismo, con la degenerazione socialdemocratica dei partiti della Seconda Internazionale e l’adesione ai principi della Terza Internazionale comunista. Solo con quella scelta fu possibile porre le basi di un partito rivoluzionario e di classe in Italia, che negli anni seguenti, sotto la direzione di Gramsci, avviò la lotta per la bolscevizzazione, così da attuare in pieno la sua funzione. Il III Congresso del PCd’I ebbe grande importanza per lo sviluppo della linea politica, del programma di lavoro e della capacità di direzione politica delle masse. Lo storico anniversario del 21 Gennaio segna uno spartiacque nelle vicende del movimento operaio del nostro paese e a 93 anni di distanza mantiene per intero la sua importanza e la sua validità. Anche oggi la società italiana è immersa in una crisi multiforme, che coinvolge tutte le classi
sociali. Le conseguenze economiche dello sfacelo capitalista avvenuto negli ultimi anni sono paragonabili a quelle di una guerra. Lo sfruttamento e la miseria si aggravano, ma la classe operaia che pure lotta coraggiosamente è divisa e frenata dai capi riformisti e opportunisti, isolata dai suoi alleati naturali. I vecchi partiti della sinistra borghese, i partiti socialdemocratici, hanno fatto bancarotta, si sono trasformati in corrotti partiti, di stampo liberale, sfrenati sostenitori del capitalismo. Assieme ai vertici e alla burocrazia sindacale formano un agenzia dell’imperialismo in seno alla classe operaia e alle masse popolari. Il revisionismo, nelle varie forme che oggi assume, ne è il
dell’anniversario della complemento teorico e politico. nascita di Gramsci La critica, il distacco e la rottura aperta e definitiva, ideologica e (22.1.1891) organizzativa, dei comunisti nei Malgrado i fallimenti, le confronti del revisionismo, dal sconfitte, riformismo e dall’opportunismo gli errori, i tradimenti… in tutte i loro aspetti si presentano se Antonio potesse vedere, come una necessità assoluta per pensate direbbe: riprendere il cammino. “Ahime’ son morto invano?” A seconda delle situazioni oppure: “Affinate l’analisi assumono la forma della scissione e riprendete più forti o dell’espulsione. Questa la battaglia”? separazione è la prima condizione, a cui se ne La necessita’ della lotta accompagna necessariamente una nasce dall’orrore seconda. dello statu quo. Stante l’attuale frammentazione Finché tutti non avranno del movimento comunista, una lavoro, casa, salute, pace, riorganizzazione effettiva delle cultura, liberta’, democrazia…. forze non può che verificarsi sul gli accumulatori di ricchezze terreno dell’unificazione su un non dormiranno sonni gradino più alto di partiti, tranquilli. organizzazioni, gruppi e correnti che si richiamano al marxismo- Ci sarà sempre qualcuno leninismo. che mettera’ sul conto Si tratta di un processo di lotta e della loro coscienza unità che deve svolgersi a livello indelebilmente macchiata, nazionale e internazionale, per la i morti per droga, costruzione di un autentico Partito per mafia, comunista e di una nuova per la disperazione Internazionale. di un mondo senza appigli. Per questi obiettivi noi lottiamo, facendo tesoro dell’esperienza del Invano, additeranno ancora 21 Gennaio 1921 e sentendoci in il vecchio Baffone, continuità con essa. come il padre di tutti i mali; Viva il 93° anniversario della troppi conti non tornano costituzione del PCd’I, nel regno del capitale! celebriamolo in maniera unitaria nei posti di lavoro e nel territorio! Generazioni nuove riscopriranno il fascino del materialismo dialettico, della grande ideologia, non già utopia, isola inesistente. leninista. A tal fine è necessario suscitare un dibattito pubblico, Combattiamo su questa terra che investa gli elementi e questa vogliamo cambiare avanzati del proletariato, per spinti da malattia inguaribile, chiarire le questioni poste e da risolvere, i punti di divergenza e incomprensibile alla saggezza degli adoratori del libero la loro portata. Uno delle tante deficienze del mercato. movimento comunista del nostro paese è proprio la Rendiamo omaggio a te mancanza di una discussione Antonio, aperta – e perfino in alcuni casi che ci hai insegnato di una polemica aperta fra a non arrenderci compagni – sulle concezioni quando tutto è contro di noi. teoriche e politiche discordanti, La tua logica, sulle questioni di fondo. C’è chi pensa che di certe cose è che per venti anni volevano meglio parlarne in riunioni fermare ristrette. Noi invece sosteniamo ci rende invincibili! che solo con un vero, serio e ampio dibattito potremo Ed ora che credono superare quella debolezza e di averlo sotterrato quella confusione ideologica uno spettro aleggia che purtroppo è un retaggio per il mondo. della storia dei comunisti P. Maddaluni italiani. Attendiamo smentite.
Il perchè di una lettera aperta Nei giorni scorso abbiamo presentato la lettera aperta “Ai delegati e ai militanti di Comunisti Sinistra Popolare – Partito Comunista”, in vista del loro secondo Congresso nazionale. La lettera si può visualizzare online su: http://issuu.com/teoriaeprassi/d ocs/lettera_aperta_csppc_dic.13 oppure scaricare in PDF da: https://lists.riseup.net/www/d_r ead/piattaforma_comunista/lett era_aperta_Csp-Pc_dic.13.pdf Chiaramente è presente anche nel nostro sito web. I motivi per cui abbiamo scelto il metodo della lettera aperta sono illustrati nella prima pagina della stessa: “Nostro costume non è quello di passare sotto silenzio i problemi più spinosi, i dissensi che ancora ci dividono. Al contrario,
intendiamo esaminarle in modo aperto, pubblico - come sono pubblici i vostri documenti congressuali - desideriamo esporre le nostre opinioni di fronte al movimento operaio e comunista, perché siamo convinti che dalla discussione aperta sulle questioni fondamentali che abbiamo di fronte, dalla capacità di distinguere il vero dal falso, le posizioni corrette e quelle sbagliate, dipende un più alto livello di lotta e di unità nella lotta per il socialismo e il comunismo.” Dunque questi motivi non hanno nulla a che vedere con un’operazione propagandistica, di corto respiro. Lo scopo della nostra attività è quello di porre la causa della unificazione dei comunisti su una base più solida, coerentemente marxista-
In occasione
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La crisi capitalistica nell’ Unione Europea Quale ripresa? Alla fine del 2011 l’UE è entrata in recessione. Nel corso del 2012 il PIL dell’UE è calato dello 0,6%. Nel 2013 la recessione è proseguita, in modo più attenuato. Il PIL dell’eurozona nell’anno in corso si è contratto dello 0.4%. In dettaglio: Germania (0,5%), Francia (0,2%) , Olanda (-1%), Finlandia (-0,6%), Spagna (1,4%), Portogallo (-1,8%), Grecia (-4%), Cipro (-8,7%). L'Italia (-1,9%), rimane bloccata nella più lunga recessione del dopoguerra, stretta nella trappola della sovrapproduzione, del debito e della fragilità del sistema bancario. “La recessione si è appiattita, e questo è tutto” (Mediobanca). Anche se alcuni paesi tecnicamente non sono più in recessione, non si registra una consistente rianimazione economica. In sostanza l’UE è in stagnazione. Il processo di recupero si presenta esiguo, fragile, lento e doloroso, minore delle aspettative degli economisti borghesi. Domina l’incertezza, non si registra una stabilizzazione economica. Permane la combinazione “scarsi investimenti e scarsi consumi”, tipica delle fasi di debolezza ciclica. La sovrapproduzione persiste Osserviamo che: - nell’estate 2013 la produzione industriale nell’intera area euro è calata di nuovo. A livello annuale (settembre 2012-2013) si registra una crescita minima, pari a 0,7%. - la stagnazione produttiva ha riguardato anche paesi non coinvolti dalla crisi del debito (es. Olanda, Slovenia, Finlandia, Austria). Come si può vedere nel grafico (elaborato da Eurostat per la Commissione europea), dopo il crollo del 2008-9 il PIL dell’eurozona non è mai tornato ai livelli precedenti la crisi. La produzione totale industriale nell’area dell’euro nella primavera 2013 era ancora 14 punti al di sotto del livello precrisi (inizio 2008). Negli ultimi mesi la situazione non è migliorata, anzi. Nel 2013 il tasso di capacità di utilizzazione degli impianti nell’industria nell’ UE è stato
La produzione industriale nell’UE dal 2000 al 2013 (fonte: Eurostat) del 78,4% (in Italia meno del 73%), ovvero 6,4 punti inferiore al livello pre-crisi (84,8%). Tale livello durante la crisi non è stato più raggiunto (vedere http://www.tradingeconomics.c om/euro-area/capacityutilization). Questi dati dal punto di vista marxista significano che, sebbene si è verificato un momento ascensionale della produzione nel periodo 20092011 (in parte artificiale, drogato dai sussidi statali), non si è mai verificata la quarta fase della crisi ciclica, la crescita, l’espansione, con la quale si viene a superare il punto più alto registrato nel ciclo precedente. Dunque, le cause profonde della crisi non sono risolte. Di conseguenza, malgrado la distruzione e la mancata attivazione di capitale costante e variabile, la sovrapproduzione di mezzi di produzione e di merci permane (a livello europeo e in tutti i principali paesi imperialisti). Questo fenomeno, se da un lato esprime la crescente difficoltà di valorizzazione del capitale – limite inerente la produzione fondata sulla proprietà privata borghese - dall’altro indica la possibilità di un nuova discesa della produzione industriale, di una nuova violenta distruzione di forze produttive per ristabilire le condizioni di profittabilità. L’immissione di una montagna di liquidità da parte delle banche centrali (che equivale a circa il 40% del Pil dell’intera UE), i tassi di interesse al più basso livello, non sono serviti a compensare l’effetto depressivo della recessione, non hanno stimolato una duratura ripresa, non hanno risolto il problema
dei mercati. Hanno solo rafforzato la speculazione finanziaria, accresciuto la pletora di capitale monetario, mentre dilaga la disoccupazione e l’indigenza tra le masse lavoratrici . La sovrapproduzione di capitale in tutte le sue forme – generata dalle contraddizioni interne del capitalismo – e le sue conseguenze (la distruzione di capitale fisso e variabile è stata consistente negli ultimi anni), rimangono il fattore caratteristico della situazione economica. La sovrapproduzione si va cronicizzando all’interno di un trend discendente del saggio medio di profitto, espressione del declino imperialista. Di qui la spinta alla distruzione delle forze produttive, alla deindustrializzazione, ma anche alle fusioni monopolistiche, al processo di concentrazione dei capitali in poche mani. Il "keynesismo privato” nelle condizioni attuali non ha alcun effetto sulla produzione, sul PIL, l'occupazione, la crescita, ecc. Assicura solo all’oligarchia finanziaria altra liquidità per continuare a fare lo stesso gioco amplificatosi negli ultimi venti anni. Si creano così nuove bolle speculative, che prima o poi esploderanno assieme alle vecchie, non ancora smaltite. Di soccupazione massiccia e di lunga durata Passiamo ai dati occupazionali, ovvero all’aumento della disoccupazione che è la manifestazione complementare della sovrapproduzione. Il tasso medio di disoccupazione nell’UE a 17 è attualmente del 12,1%; nell’UE a 28 (area euro) è del 10,9%. Sono record
storici. Nell’area euro ci sono oggi 27 milioni di disoccupati. Nell’ultimo anno sono aumenti di 615 mila unità. Significativo il fatto che la disoccupazione è aumentata pur in un momento di affievolimento della recessione verificatosi nel 2013. Anche una eventuale ripresina non farà crescere l’occupazione. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) nell’area euro è del 24,4%. E’ previsto un ulteriore aumento nel 2014. In 4 anni di crisi (2008-2011) i posti di lavoro persi nell'area euro sono stati 4 milioni. Vi sono notevoli disparità nel tasso di disoccupazione. In Austria è al 4,8%, in Germania al 5,2% (con recriminazioni da parte dei padroni per la carenza di manodopera specializzata in settori chiave per la crescita). D’altro canto, nell’Europa meridionale la disoccupazione corre ai livelli da depressione acuta: in Grecia è al 27,3%, in Spagna al 26,7%, in Italia al 12,5%, e in Portogallo al 13,6%. In questi paesi la disoccupazione generatasi nella crisi si avvia ad essere persistente, strutturale. Si fanno sentire pesantemente sulle condizioni di vita delle grandi masse gli effetti dei piani di aggiustamento e di rientro del deficit pubblico. Nel 2012 un quarto della popolazione dell’eurozona (125 milioni di persone) è stata ufficialmente definita “a rischio di povertà o esclusione sociale”. La peste sociale della crisi capitalistica provoca maggiore miseria, peggiorano le condizioni di lavoro, di vita, di salute, morali, culturali di grandi masse, mentre si arricchisce una esigua minoranza.
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Dopo il Mali, un altro paese africano è posto sotto la tutela armata dell'imperialismo francese Mentre è ancora in corso l'occupazione militare francese del Mali, altre truppe francesi (1.500 uomini) sono entrate di recente nella Repubblica Centrafricana, occupandone la capitale Bangui (operazione "Sangaris", che viene compiuta - anche questa volta - sotto l'ipocrita copertura dell'ONU). Il pretesto è sempre il solito: pacificare il paese sconvolto da conflitti armati fra clan rivali. La Repubblica Centrafricana, ex colonia francese diventata indipendente nel 1960 e dominata per alcuni decenni dall'ex sergente e "imperatore" Bokassa, ha visto succedersi al governo - dopo la sua destituzione - una serie di militari giunti al potere con dei colpi di Stato, e portati o mantenuti al potere dai governi di Parigi finché quegli uomini difendevano gli interessi dell'imperialismo francese. La Repubblica Centrafricana, che è uno dei paesi più poveri del mondo (nel quale un terzo della popolazione soffre la fame), possiede, tuttavia, delle immense riserve di bauxite e di metalli rari, possiede giacimenti di uranio e alcuni giacimenti di petrolio recentemente scoperti nel nord del paese. Essa occupa un ruolo geostrategico di primaria importanza nel cuore del continente, circondata da paesi come il Congo, il Gabon, il Camerun e il Ciad, tutti soggetti alle ingerenze delle potenze imperialiste straniere che ne sfruttano le materie prime.
Alle vecchie rivalità occidentali su questi territori si è aggiunta, negli ultimi tempi, la presenza economica della Cina imperialista. La competizione nelle regioni minerarie e nelle terre agricole spinge i rivali imperialisti a una suddivisione delle zone di sfruttamento in funzione dei nuovi rapporti di forza. E' per garantirsi il possesso di quelle ricchezze che l'imperialismo francese ha scatenato l'"operazione Sanfaris": l'ultima di una serie di guerre, di interventi e di operazioni politico-militari che non si cancellano dalla memoria di ogni militante rivoluzionario. Negli anni '60 la Francia imperialista ha fatto, e perduto, la guerra d'Algeria con centinaia di migliaia di morti; ha provocato - dal 1958 al 1963 – 400.000 morti nel Camerun; è stata all'origine del genocidio nel Ruanda; ha provocato la divisione della Nigeria con la secessione del Biafra; negli ultimi tre anni (2011-2013) ha condotto quattro interventi militari in Africa: Costa d'Avorio, Libia, Mali e ora Repubblica Centrafricana. Contro il nuovo intervento militare si è levata unanime la voce di condanna delle forze comuniste e antimperialiste francesi: Armée Française Hors d'Afrique! E alla loro voce noi uniamo quella di tutti i comunisti e gli antimperialisti italiani: FUORI DALL'AFRICA L'ESERCITO FRANCESE!
India: la lotta degli operai della Maruti Suzuki prosegue nonostante la repressione Le proteste per esigere il rilascio di 148 operai imprigionati da 17 mesi senza processo, e per la revoca del licenziamento illegale di 2300 operai rei di aver lottato contro lo sfruttamento, le ingiustizie ee le umiliazioni imposte dal management della Maruti Suzuki, non si fermano. Gli operai organizzati sindacalmente hanno recentemente svolto uno sciopero della fame davanti il tribunale di Gurgaon, a cui hanno partecipato centinaia di compagni di lavoro e familiari. Recentemente è stato rilasciato il compagno Khan, dirigente del Comitato operaio proccisorio, per assoluta mancanza di prove,
ma gli altri continuano a languire in galera, rei solo di aver lottato per i loro diritti. La resistenza degli operai della Maruti Suzuki è un importante esempio dello sviluppo della lotta di classe degli sfruttati in Asia, che procede con ritmi e su scala significativa. La crisi economica ha acuito la contraddizione fra capitale e lavoro in molti paesi: India, Cina, Sud Corea, Bangladesh, Pakistan, Indonesia, Filippine... Solidarietà con gli operai della Maruti Suzuki! Immediato rilascio degli operai arrestati! Basta con le misure repressive della polizia sugli operai e le loro famiglie! Riassunzione di tutti i licenziati!
Nelson Mandela, grandezza e limiti di un combattente antirazzista Un mese fa la scomparsa di Nelson Mandela è stata accolta con grande dolore dal popolo sudafricano e da tutta l’umanità progressista. Mandela resistette per 27 anni nelle galere razziste senza mai rinnegare di essere un combattente con tutte le forme di lotta, compresa quella armata, contro l’infame regime di apartheid. Egli è stato un simbolo nella lotta contro il razzismo e il fascismo. La sua statura è tale che la borghesia imperialista,
rappresentata da Obama, Merkel, Cameron, Hollande, ha cercato di nascondere dietro di essa le sue lampanti contraddizioni. Da un lato ne celebra la figura, e dall’altro continua a trattare come terroristi i militanti popolari che seguono l’esempio di Mandela, dalla Palestina alla Colombia, dal Polisario al Kurdistan. Quale è il giudizio storico che diamo di Nelson Mandela? Egli è stato un nazionalista africano, che concepì il marxismo in maniera limitata e
ristretta, riducendolo a strumento utile alla sola lotta contro l’oppressione razziale nel suo paese. Di conseguenza, non affrontò il problema dell’abbattimento del sistema di sfruttamento capitalista, che è alla radice della oppressione della maggioranza nera. Anzi, stando al potere aprì molte porte agli investimenti di capitalisti stranieri. Grazie alla lotta del popolo nero del Sudafrica, al sostegno dei bianchi progressisti e a un vasto movimento di solidarietà
internazionale, Mandela ha dato una parziale soluzione alla questione razziale in Sudafrica. Ma non ha posto le basi per la soluzione della questione sociale, senza la quale non si può nemmeno risolvere definitivamente la prima. Oggi il Sudafrica, in cui permangono gravissime disuguaglianze, è scosso dalla lotta di classe. Anche lì si pone all’ordine del giorno la questione del potere politico del proletariato, per la definitiva emancipazione sociale.
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La Spagna di domani sarà repubblicana E’ stato un evento storico. Così è stato definito dal Partito Comunista di Spagna (marxista-leninista) – PCEML l’incontro statale organizzato dalla “Giunta Statale Repubblicana” nel mese di dicembre. Per la prima volta dopo la morte del criminale Franco, funzionari pubblici, consiglieri, sindaci, parlamentari, deputati regionali ed europei, di diverse organizzazioni, si sono riuniti nell’Ateneo di Madrid ed hanno parlato pubblicamente e apertamente di Repubblica e di rottura con la "transizione" e il regime della Costituzione del 1978, . Più di 1.500 i firmatari della Dichiarazione, la cui lettura ha aperto l’incontro, svoltosi in un clima fraterno e di grande emozione. Numerosi interventi hanno ribadito l’importanza della lotta a favore della Repubblica, quale alternativa alla situazione di crisi attuale, ed hanno posto l'urgenza dell’unità d'azione della sinistra , dell’unità politica
, come chiave di volta di tale lotta . Lo slogan "La Spagna di domani sarà repubblicana" si è sentito dall'inizio alla fine della manifestazione, animata da vibranti canti di lotta. Ha chiuso l'incontro “L’Himno de Riego”, dopo la lettura della risoluzione finale che conteneva la sostanza degli interventi, una ferma denuncia della costituzione monarchica del 78 e del suo regime neoliberista, e l'impegno di tutti a continuare la lotta per la Repubblica. Il nostro partito fratello considera questo evento un passo importante perché è stato un’espressione dell'unità di diverse organizzazioni e partiti progressisti e di sinistra intorno alla Repubblica. Questa unità è essenziale per affrontare con successo l’offensiva del capitale, dei suoi agenti e delle istituzioni politiche, incorporando altre forze, riunendo le classi popolari e stimolandole a passare all'offensiva.
Una “Grande coalizione” per rafforzare l’imperialismo tedesco Dietro le frasi ipocrite e le vuote promesse, nell'accordo di coalizione fra CDU/CSU e SPD, ci sono alcune cose molto chiare. In sintesi: 1. La crisi del debito non è ancora finita e pertanto i lavoratori devono continuare a pagare per salvare le banche. 2. Si deve ridurre il rapporto debito, dunque ulteriori tagli alla spesa sociale, privatizzazioni e contributi più elevati. 3. Meno diritti e meno protezione legale dei lavoratori, licenziamenti e punizioni potranno essere applicati più facilmente. 4. Maggiore flessibilità, intensificazione dello sfruttamento, allineamento degli orari di lavoro in base agli interessi dei padroni. 5. Rafforzamento delle forze di polizia e aumento della sorveglianza. 6. Transizione energetica al rovescio, con l’utilizzo delle centrali a carbone, a favore dei monopoli del settore. 7. Mantenimento delle leggi reazionarie sull’immigrazione. 8. Riarmo e operazioni militari
in Afghanistan e altrove. Questo è il programma della Grande coalizione per i prossimi anni, volto al r a f f o r z a m e n t o dell’imperialismo tedesco nella concorrenza internazionale. Lo slogan della "Germania forte" è lo slogan nazionalista per rafforzare i grandi monopoli e attaccare i lavoratori e i popoli d'Europa e del mondo. La risposta dovrà venire dalla classe operaia tedesca, dalle forze progressiste e rivoluzionarie che sono chiamate a lavorare insieme e unirsi in un ampio fronte contro l’offensiva che si prepara.
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Tunisia
I segni precursori di un inverno caldo Continua lo sviluppo delle lotte popolari in Tunisia. Alla fine dello scorso novembre, nei governatorati di Siliana, Gafsa e Gabès è stato dichiarato lo sciopero generale, mentre in tutto il paese sale lo stato di tensione delle masse popolari. Non si può escludere che le prossime settimane vedano l’esplodere di una nuova sollevazione di massa. Lo sciopero generale ha visto scendere in piazza migliaia di persone, per protesta contro la povertà, la disoccupazione, l’emarginazione sociale, l’oppressione. Sempre più larghi settori sociali si gettano nella lotta. In tutti e tre le zone gli scioperanti hanno mostrato la loro opposizione al governo del “Movimento Ennahdha”, che ha messo in piedi una nuova dittatura corrotta e repressiva. Ennahdha e i suoi alleati hanno sabotato, per salvare il loro potere, la soluzione che il “dialogo nazionale” aveva offerto: un governo di Salute Nazionale, capace di far uscire il paese dalla sua crisi soffocante e preparare elezioni generali libere e trasparenti. Per l’ennesima volta Hennahdha ha rifiutato ogni dialogo e il “quartetto” dei negoziatori continua a rimandare le scadenze. In tal modo hanno perso ogni legittimità e credito presso le masse popolari tunisine. La crisi continua ed implica
imperativamente uno sforzo di bilancio: cosa può costringere Ennahdha ed i suoi alleati, responsabili di tutto il tempo perso a scapito del paese e del popolo tunisino, a cambiare atteggiamento? Cosa può costringere le forze di opposizione esitanti a rompere gli indugi ed a praticare passi in avanti concreti nel rispetto della volontà popolare? Il ruolo di direzione politica del movimento popolare da parte del Fronte Popolare, ed in particolare del Partito dei Lavoratori di Tunisia, diventa in questa situazione intricata sempre più centrale ed importante. La cacciata dell’attuale governo antipopolare e la sua sostituzione con un nuovo governo che esprima gli interessi della classe lavoratrice e delle masse popolari tunisine dipende in massima parte dal suo ulteriore sviluppo e dalla sua capacità di essere alla testa del movimento progressista, e di rappresentare l’unità politica del popolo. Questo fattore, assieme allo sviluppo impetuoso di una nuova ondata di mobilitazioni sono le condizioni essenziali per la nascita della nuova Tunisia libera, indipendente e democratica, per il Potere Popolare! Di fronte alle nuove sfide rinnoviamo la solidarietà e l’appoggio alla lotta del popolo tunisino, al Fronte popolare e al nostro Partito fratello.