PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!
Scintilla Organo di espressione di Piattaforma Comunista teoriaeprassi@yahoo.it
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Giugno 2012
1 euro
La crisi e le scelte La parola crisi deriva dal greco. Significa “separare” e in senso più ampio “discernere, decidere”. La crisi capitalistica spacca, lacera, apre crepe, fa vedere quello che normalmente, nei periodi di prosperità, non si vede. La crisi straccia le illusioni, spezza le futili certezze della società borghese, costringe a guardare la realtà per quello che è, mette ogni classe di fronte alle proprie responsabilità. La crisi svela il mostruoso parassitismo dell’oligarchia finanziaria e delle sue istituzioni nazionali e sovranazionali. Aiuta gli sfruttati ad avere una visione più razionale e realistica della propria condizione. La crisi con la distruzione delle forze produttive, con il marasma politico che inevitabilmente l’accompagna, suscita l’indignazione per la crescente disuguaglianza sociale e i privilegi di classe, acutizza l’antagonismo fra le due classi fondamentali della società: il proletariato e a borghesia. La crisi spinge alla lotta contro le sue conseguenze e per superare le cause che la originano, genera una pressione per la trasformazione sociale, solleva istanze di emancipazione. La crisi attuale canta il de profundis alla obsoleta proprietà privata capitalista e aiuta a comprendere che è necessario il passaggio alla proprietà collettiva dei mezzi di produzione, alla società pianificata. E’ la crisi stessa che pone di nuovo il proletariato e le masse lavoratrici davanti ad uno storico dilemma: dittatura della minoranza o della maggioranza della società? capitalismo o socialismo? Occorre discernere, occorre scegliere. Perciò in senso rivoluzionario diciamo: sia lode alla crisi!
La sfiducia del proletariato al governo di rapina Monti-Fornero si esprima con lo sciopero generale!
2 Il governo oligarchico MontiNapolitano, sorretto dalla santa alleanza dei partiti liberali e riformisti (PD–PDL-UDC), continua senza soste il suo attacco alle condizioni di lavoro e di vita della classe operaia e delle masse popolari. L’approvazione al Senato della riforma del lavoro con la cancellazione dell’art. 18 e la riduzione degli ammortizzatori sociali, ottenuta con l’avallo dei vertici sindacali confederali, è solo l’ultima tegola sulla testa dei lavoratori. Il discorso di Visco alla recente assemblea della Banca d’Italia conferma la politica di tagli strutturali e di sacrifici per le masse, che procederà nel corso della recessione. L’offensiva borghese non procede però senza ostacoli. La risposta di lotta operaia e popolare non si ferma. Cresce lo sdegno e la rabbia delle masse popolari. Le masse non si arrendono davanti alla crisi del capitalismo, si risvegliano politicamente e radicalizzano le loro posizioni. Strati sempre più vasti scendono in lotta ed esigono che a pagare la crisi siano i suoi responsabili. Le recenti elezioni amministrative hanno messo in rilievo che stanno crollando numerose illusioni, e con esse la fiducia nelle istituzioni borghesi e sulle possibilità del sistema capitalista. I riformisti e gli opportunisti, i bonzi sindacali, hanno maggiori difficoltà a svolgere il loro ruolo di puntelli sociali del grande capitale. Si divarica la forbice fra la base e l’apparato riformista e socialdemocratico. Alla decomposizione economica dell’imperialismo
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La scesa in campo della classe operaia può fermare l’offensiva capitalista e aprire nuove prospettive politiche
italiano corrisponde la decomposizione dei suoi principali partiti, l’instabilità politica, la difficoltà a governare il paese. La borghesia fiuta l’aria, corre ai ripari per la perdita di “appeal” di Bersani, lo sbriciolamento del PDL, la crisi della Lega; utilizza Grillo per gestire la protesta e tira fuori dal logoro cilindro padron Montezemolo. Ci troviamo quindi in un frangente particolare. La borghesia in crisi profonda trova nella resistenza operaia e popolare un freno che le impedisce di portare fino a fondo il suo attacco. Da parte sua, il proletariato, ingabbiato dai riformisti e dai socialdemocratici non può sviluppare fino in fondo la sua resistenza e passare all’offensiva. Questa situazione di stallo in realtà favorisce il governo Monti e il fronte borghese, che supportato dalle sue istituzioni internazionali (UE, BCE, FMI)
mantiene l’iniziativa e avanza passo dopo passo. Inoltre, esiste il rischio che la protesta sociale possa finire sotto la direzione dell’ estrema destra, strumento del grande capitale. La situazione può modificarsi solo se il proletariato, le grandi masse operaie romperanno gli argini riformisti e socialdemocratici, usciranno dall’attesismo che ancora colpisce ampi settori della classe e scenderanno in una lotta decisa e unitaria contro il capitale. Il limite attuale del movimento di classe è soprattutto politico. Consiste nella debolezza e nella dispersione delle masse lavoratrici, nella mancanza di prospettiva politica rivoluzionaria. Un passaggio fondamentale per superare la debolezza e la dispersione sta nel realizzare il fronte unico di lotta della classe operaia e, sulla sua base, un ampio fronte popolare
Il terremoto e gli sciacalli del profitto a tutti i costi Ad ogni forte scossa di terremoto in Emilia si è verificata una strage di operai, costretti nel “moderno nord” a lavorare senza condizioni di sicurezza, dentro strutture costruite col criterio del risparmio del capitale fisso, dichiarate agibili solo per continuare senza soste l’estrazione di plusvalore. E’ di inaudita gravità che si sia continuato a lavorare ben sapendo che le scosse sarebbero proseguite.
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Questa non è una fatalità, è la logica del massimo profitto a tutti i costi! Dobbiamo difenderci dagli sciacalli capitalisti che si arricchiscono sulla pelle degli schiavi salariati. Esigiamo il rispetto delle norme di protezione e prevenzione. Si entri in fabbrica solo dopo le necessarie verifiche, con le strutture messe in sicurezza. Rivendichiamo che il denaro delle spese di guerra e quello
stanziato per la costruzione degli F-35, della TAV, vada alla popolazione colpita dal sisma. No all’aumento della benzina! Il “patto di stabilità” dev’essere abolito! Siano i capitalisti e i ricchi a pagare per gli aiuti ai terremotati. I fatti dimostrano che è necessario un altro terremoto, quello sociale del proletariato, per seppellire un sistema morente. Operai organizziamoci!
rivoluzionario contro l’offensiva capitalista, la reazione politica e la minaccia di guerre imperialiste, che unisca i movimenti e le forze che si rifiutano di pagare la crisi e i debiti del capitale. Occorre perciò costruire e valorizzare gli organismi di resistenza e di lotta unitari (comitati, consigli, ecc.), che sappiano raccogliere la massa operaia (sindacalizzata o meno) e le masse popolari. Spetta ai comunisti lavorare all’unità rivoluzionaria della classe operaia, affermando fra le masse l’idea che occorre non solo lottare “contro”, ma anche “per”, indicando una via di uscita rivoluzionaria dalla crisi del sistema capitalistico. Perciò sosteniamo che la soluzione generale dei problemi che attanagliano le masse deve essere vista nella conquista di un governo degli operai e dei lavoratori sfruttati, che sorga dalla lotta stessa delle masse e abbia per base i loro organismi. Un governo che spezzi il dominio del capitale finanziario e apra la strada alla società regolata dei produttori associati. Questi compiti possono essere portati a compimento soltanto da un partito indipendente e rivoluzionario della classe operaia. Per questo è urgente sviluppare il lavoro teorico-pratico per la costruzione dello strumento indispensabile: il Partito comunista del proletariato d’Italia, fondato sui principi del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario. L’unità dei comunisti su salde basi è un imperativo. Ogni ulteriore indugio è un delitto nei confronti della classe operaia.
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Dopo gli scioperi di marzo Le RSU degli operai della Piaggio e della SAME prendono la parola Riceviamo e pubblichiamo Gli scioperi diffusi e spontanei di Marzo contro l’intervento rozzo e brutale del governo sulla legislazione del lavoro possono rappresentare il punto di svolta per una fase politica e sindacale del tutto nuova. Approfittando della crisi finanziaria e della passività delle Organizzazioni Sindacali, il Governo Monti, col sostegno della maggior parte delle forze politiche, ha prima portato via, con un colpo di mano, una bella fetta delle pensioni e ha cercato poi di fare la stessa cosa con i diritti e le tutele del posto di lavoro conquistati negli anni ’60 e ’70. In pochi mesi, i ripetuti interventi del Governo sempre volti a colpire la classe lavoratrice hanno fatto maturare la convinzione di essere di fronte a una sistematica offensiva politica e di classe. Gli scioperi di Marzo sono stati la prima, efficace, risposta, che in soli dieci giorni ha impedito al Governo di chiudere la ”questione lavoro” con un decreto-legge. Una mobilitazione in gran parte decisa e attuata direttamente dai
lavoratori e dalle loro RSU, con effetti confrontabili con quelli di uno sciopero generale per la chiarezza dei suoi obiettivi e per la vastità delle forze che è chiaramente in grado di coinvolgere. Una mobilitazione che ha espresso la forza e la fermezza di un soggetto politico con cui ora tutti, Governo, Confindustria, partiti politici e organizzazioni sindacali, si trovano a dover fare i conti. Fallito il blitz del decreto legge, è incominciata una battaglia di posizione, che si è immediatamente estesa all'insieme della politica economica e sociale del Governo e che sarà decisa dalla capacità di tenuta e di iniziativa dei lavoratori. Non si deve accettare che la battaglia sull'articolo 18 sia consegnata alla trattativa e alla mediazione fra il Governo, le forze politiche e quelle sindacali, se non addirittura messa in secondo piano rispetto alla rivendicazione di generiche misure contro la crisi. Il risultato sarebbe solo quello di diminuire la determinazione dei lavoratori e riconsegnare l’iniziativa a un Governo che
non la potrebbe riguadagnare altrimenti, tanto è indebolito dalle tensioni tra le classi che rappresenta, tensioni che sono proprio uno dei risultati della risposta operaia. E’ perciò decisivo mantenere la chiarezza sugli obiettivi che riguardano i diritti e le conquiste fondamentali dei lavoratori, dall'Articolo 18 al capitolo Pensioni, che non può certo essere considerato chiuso, alla difesa del Contratto Nazionale. E’ su questa chiarezza, che i
lavoratori possono non solo mantenere ed estendere la loro capacità di risposta al tentativo di portare a termine la manomissione dei loro diritti, ma prendere l’iniziativa e riaffermare l’insieme degli obiettivi sociali e politici della classe operaia, cogliendo ogni occasione di lotta, nelle singole fabbriche come sul piano nazionale. RSU FIOM PIAGGIO Pontedera (Pisa) RSU FIOM SAME - Treviglio (Bergamo)
La holding vaticana traballa Lo scopo dell’attentato alla scuola di Brindisi, chiunque l’abbia commesso, è chiaro. E’ stata una bomba per intimidire le masse lavoratrici, gli studenti figli del popolo, per fermare le lotte operaie e sociali in corso in tutto il paese, far retrocedere il movimento che si rifiuta di pagare la crisi e i debiti del capitalismo e rigetta i ricatti di un ceto politico corrotto e fatiscente, della mafia come fenomeno indissociabile dalle classi dirigenti. Una bomba contro qualsiasi ipotesi di cambiamento, per la difesa ad oltranza di privilegi, interessi e assetti di potere dei gruppi dominanti e dei clan criminali ad essi legati, cresciuti e consolidati in anni di malaffare, politica neoliberista ed antipopolare. Una
bomba per terrorizzare l’opinione pubblica, spostare a destra l’asse della vita politica, favorire soluzioni autoritarie, militarizzare il paese e far avanzare il fascismo. Come mai gli inquirenti, con filmati, testimoni, reperti scientifici, etc. nelle loro mani ancora non hanno catturato gli esecutori del vile attentato? La storia delle stragi insegna che i terroristi sono forze organizzate, presenti nei gangli vitali dello Stato borghese, con protezioni e coperture politiche, complicità nelle alte sfere. Perciò rimangono impuniti. Rinnoviamo l’appello alla vigilanza e alla unità di lotta della classe operaia e delle masse popolari. In questo modo faremo naufragare i disegni reazionari.
I loschi intrighi vaticani ci permettono di ribadire un’elementare verità. Lo stato Vaticano è una potenza finanziaria, parte integrante e strumento dell’imperialismo mondiale. Dunque una componente essenziale dell’oppressione economica, oltre che spirituale, che grava sulle grandi masse. Le sue attività lo rendono simile a una holding con tentacoli nei settori più disparati, “filiali” che gestiscono affari in centinaia di paesi, con grandi banchieri al suo servizio. Esportazione di capitali, proprietà di imprese industriali, di società di servizi, gestione della sanità e dell’istruzione privata, assicurazioni, fondi pensione, investimenti miliardari in azioni, prodotti derivati e titoli di stato: le vie del profitto e della corruzione sono infinite.
Lo IOR – banca senza sportelli e mille ramificazioni, nota per le sue attività di riciclaggio, ricettazione, truffa e rapporti con la mafia - è l’espressione più lampante di un impero temporale il cui amministratore delegato (il sovrano assoluto chiamato papa) è fautore di un ben noto paradiso: quello fiscale, situato tra le Bahamas e Panama. Essendo il Vaticano inserito nella Babele del capitalismo, risente profondamente della sua crisi e della lotta fra gruppi finanziari. Ciò apre spazi per intensificare la lotta volta a porre fine ai privilegi economici, sociali e fiscali del Vaticano e dei preti, alle loro ingerenze in tutti i campi della vita sociale. Esigiamo l’abolizione dei Patti Lateranensi, voluti dal fascismo, e dell’accordo del 1984 di Craxi, la rigorosa separazione fra lo Stato e la chiesa.
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L'opposizione sindacale si organizza Pubblichiamo l’ordine del giorno approvato all’unanimità dall’assemblea nazionale di lavoratrici e lavoratori, delegati RSU e RSA di diverse organizzazioni sindacali conflittuali, disoccupati, studenti, militanti politici e sociali, svoltasi a Roma il 26 maggio scorso. Nonostante certi limiti, dovuti alla influenza del radicalopportunismo, l’assemblea ha rappresentato un passo avanti nell’unità dal basso di settori combattivi del movimento operaio e sindacale. Ci auguriamo che il percorso intrapreso vada avanti nella pratica di lotta, affrontando la questione della direzone autonoma degli scioperi, senza e contro la burocrazia sindacale, e nello sviluppo di una vera coscienza di classe fra gli operai avanzati. L'assemblea convocata da RSU e RSA a Roma il 26 maggio ha raccolto la spinta di chi sta lottando contro l'aggressione scatenata dal governo verso il mondo del lavoro. Ma siamo soprattutto indignati per la rassegnazione o, perfino, l’assenso con cui le direzioni confederali CGIL, CISL e UIL hanno accompagnato e favorito questa aggressione. L'Assemblea condivide quanto proposto nella relazione e raccoglie le indicazioni e i contributi emersi dal dibattito. Le pensioni sono in via di essere ridotte a sussidi di sopravvivenza e l’età di quiescenza è stata portata a livelli inediti in Europa. Centinaia di migliaia di lavoratori messi fuori dalle aziende con accordi spesso ricattatori vengono messi in condizione di non avere più né un salario, né una pensione, né un ammortizzatore sociale. I salari sono fermi da almeno 20 anni, mentre i prezzi galoppano. I contratti nazionali sanciscono
la riduzione delle retribuzioni, l’aumento degli orari di fatto e la regola delle deroghe. La precarietà è diventata la forma generalizzata di assunzione: un esercito di milioni di giovani vive quotidianamente senza diritti e nell’incertezza più totale sul proprio futuro. La disoccupazione tocca livelli inediti ed è destinata a crescere ulteriormente, per la chiusura di tante fabbriche ma anche attraverso la drastica riduzione dell’occupazione nel pubblico impiego. I servizi sono stati privatizzati, peggiorandone la qualità e aumentandone i costi per l’utenza, mentre si faceva cassa sui diritti e sulle retribuzioni degli addetti. Il padrone sceglie i sindacati da legittimare, mentre gli altri in particolare FIOM e sindacati di base, vengono cacciati dalla porta delle aziende. Infine l’articolo 18, quella norma che giusto 42 anni fa ha posto un limite all’arbitrio e all’autoritarismo padronali, è in procinto di essere cancellata, sopprimendo la funzione deterrente della reintegra e ripristinando l’effetto intimidatorio della minaccia di licenziamento contro chi si attiva politicamente o sindacalmente o contro chi, comunque, ha un comportamento non gradito al padrone e ai capi. In queste settimane in molte aziende c’è stata una massiccia reazione contro questo stravolgimento dell’articolo 18, con fermate, scioperi, picchettaggi, blocchi stradali e manifestazioni. Ma se stessimo all’azione del sindacalismo confederale di CGIL CISL e UIL tutto ciò sta passando senza una resistenza degna di questo nome o addirittura con un vero e proprio consenso, in nome della governabilità e della nuova “unità nazionale” che sostiene il
governo dei “tecnici” diretta emanazione della Bce, dell' Unione Europea e del Fondo monetario internazionale, della Confindustria e del sistema bancario italiano. Noi non ci riconosciamo in questa unità nazionale ma anzi ci battiamo per cacciare il governo Monti Fornero. Il movimento di lotta nelle fabbriche e nei posti di lavoro a cui anche molti dei delegati e delle delegate qui presenti hanno dato vita nei giorni scorsi deve continuare, con l’obiettivo di impedire la trasformazione in legge del disegno Fornero. Siamo disponibili a valutare e sostenere ogni iniziativa di mobilitazione che persegua gli stessi obiettivi. Ma questa mobilitazione dovrà rimettere in campo non solo la difesa dell’articolo 18 e la sua estensione ai milioni di lavoratrici e di lavoratori che non ne sono tutelati (i precari e i dipendenti delle piccole aziende), ma anche una piattaforma complessiva, per invertire la tendenza a far pagare la crisi ai lavoratori e alle classi popolari. Intendiamo elaborare questa piattaforma in maniera compiuta in un prossimo appuntamento assembleare analogo a questo. In ogni caso gia' da oggi proponiamo alcuni punti irrinunciabili: > Il blocco dei licenziamenti; > Il rinnovo di tutti i contratti attraverso piattaforme costruite con la partecipazione democratica dei lavoratori; > La riduzione degli orari di lavoro a parità di salario; > Un aumento dei salari e delle pensioni generalizzato e consistente; > Il ripristino di una scala mobile dei salari e delle pensioni per tutelarli dalla nuova inflazione; > La riconquista del pensionamento di vecchiaia a 60 anni di importo adeguato; > No ai fondi pensione privati; > La definitiva abolizione di
tutte le forme contrattuali precarie; > Il blocco delle privatizzazioni e la ripubblicizzazione dei servizi gia' privatizzati; > Una politica fiscale di forti sgravi sul lavoro dipendente e sulle pensioni compensati dall'aumento della progressività delle aliquote e da una patrimoniale sulle rendite e sulle ricchezze; > Il diritto al reddito, alla casa e alla gratuita' di tutti i servizi pubblici per precari e disoccupati; > La elezione libera dei propri rappresentanti sindacali, senza alcuna limitazione da parte del padrone e senza riserva per nessuno; > L'abolizione della Bossi/Fini e uguali diritti per i migranti. Si tratta delle rivendicazioni minime e essenziali per preservare livelli di vita e di dignità basilari in un paese civile. Se sembrano incompatibili con il pagamento del debito, diciamo: è il debito che non va pagato. Per questi motivi, e per difendere l’articolo 18 nel suo valore di fondo e nella sua essenza simbolica, noi invitiamo tutte le RSU, le RSA, le organizzazioni e le aree sindacali che condividono queste esigenze a organizzare nelle prossime giornate dell’8 e del 9 giugno momenti di lotta: fermate, scioperi, azioni di protesta, presidi. Indiciamo per il pomeriggio dell’8 giugno, a partire dalle 16,00 a piazza Montecitorio un presidio della Camera dei deputati che sta dibattendo del futuro dei nostri diritti Invitiamo tutte e tutti, RSU, RSA, organizzazioni e aree sindacali a rendere permanente la lotta anche nei giorni successivi, fino all’ultimo giorno utile per impedire l’approvazione parlamentare della controriforma Fornero e ancora oltre nei prossimi mesi.
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Sulla parola d’ordine della nazionalizzazione delle banche Banche, banche, banche…non si parla d'altro in Europa in questi anni di profonda crisi economica e finanziaria che sta scuotendo l'intero sistema capitalistico. In Italia, da parte borghese si invocano provvedimenti governativi che sottopongano a una più stretta regolamentazione le operazioni delle singole banche; a sinistra, forze riformiste piccoloborghesi chiedono illusoriamente la separazione delle operazioni bancarie «sane» da quelle speculative; all'estrema sinistra dello schieramento politico, alcuni gruppi che si dichiarano comunisti si spingono più avanti e avanzano la richiesta di una nazionalizzazione delle banche in regime capitalistico. Quest'ultima posizione è quella che può generare le maggiori illusioni: non si vuol comprendere che, come misura rivoluzionaria che apra la strada al socialismo, la nazionalizzazione delle banche può essere attuata solo da un governo rivoluzionario del proletariato in una situazione nella quale il potere politico sia passato saldamente nelle mani della classe operaia e dei suoi alleati. Lenin, nel settembre 1917, alla vigilia della Rivoluzione d'Ottobre, poneva con estrema chiarezza il problema: i primi provvedimenti economici di un governo rivoluzionario potevano essere attuati solo «con la nazionalizzazione delle banche,
con la fusione, cioè, di tutte le banche in una sola banca di Stato». Così scriveva Lenin: «Le banche, come è noto, sono i centri della vita economica moderna, i principali gangli nervosi di tutto il sistema capitalistico dell'economia nazionale. […] In che consiste dunque l'importanza della nazionalizzazione delle banche? Nel fatto che un controllo effettivo sulle singole banche e sulle loro operazioni è impossibile (anche se il segreto commerciale è abolito), perché è impossibile seguire quei complicatissimi procedimenti di cui si fa uso nello stendere i bilanci, nel formare imprese fittizie e filiali, nel far intervenire uomini di paglia e così via. […] Solo la nazionalizzazione delle banche permette di ottenere che lo Stato sappia dove e come, da che parte e in che momento, scorrono i milioni e i miliardi. E solo il controllo esercitato sulle banche - questo centro, questo fulcro e meccanismo essenziale della circolazione capitalistica permetterebbe di organizzare sul serio, e non a parole, il controllo su tutta la vita economica, sulla produzione e distribuzione dei principali prodotti, di organizzare quella «regolamentazione della vita economica» che altrimenti sarebbe una frase ministeriale destinata a ingannare il popolo. Solo il controllo sulle operazioni di banca, a condizione che esse vengano effettuate in un'unica banca di Stato, permetterebbe di organizzare, con nuovi provvedimenti facilmente attuabili, la riscossione effettiva dell'imposta sul reddito senza che sia possibile occultare i beni e gli introiti, poiché attualmente quest'imposta si riduce in gran parte a una finzione. Basterebbe appunto decretare la nazionalizzazione delle banche; la realizzerebbero i direttori e gli impiegati stessi. Qui non occorre nessun apparato speciale, nessuno speciale provvedimento preparatorio da parte dello Stato: questo provvedimento può essere attuato con un solo decreto, «di
colpo», poiché la possibilità economica di un t a l e provvedimento è stata fornita appunto dal capitalismo che, nel suo sviluppo, è giunto sino alle cambiali, alle azioni, alle o b bl ig azio n i, ecc. […] I direttori e gli alti funzionari, s'intende, o pp or reb ber o resistenza, cercherebbero di ingannare lo Stato, di menare le cose per le lunghe, ecc., dato che quei signori perderebbero i loro posticini particolarmente redditizi, perderebbero la possibilità di lanciarsi in operazioni fraudolente particolarmente lucrative. Qui è il nocciolo della questione. Ma la fusione delle banche non presenta nessuna difficoltà tecnica e se il potere statale fosse rivoluzionario non solo a parole (non temesse cioè di rompere con le vecchie concezioni e lo spirito abitudinario), e fosse democratico non solo a parole (agisse cioè nell'interesse della maggioranza del popolo e non di un pugno di ricchi), sarebbe sufficiente decretare, come misura di punizione, la confisca dei beni e l'arresto di quei direttori, membri di amministrazioni e grandi azionisti che tentassero la minima manovra dilatoria o cercassero di nascondere i documenti e i rendiconti. […] Lo Stato potrebbe per la prima volta esaminare tutte le principali operazioni finanziarie, senza possibilità di occultamento, quindi controllarle, per regolare la vita economica e, infine, ottenere milioni e miliardi per le grandi operazioni dello Stato, senza dover pagare per i «servizi resi»
provvigioni esorbitanti ai signori capitalisti. […] La nazionalizzazione delle banche renderebbe estremamente facile la nazionalizzazione simultanea delle assicurazioni, cioè la fusione di tutte le compagnie di assicurazione in una sola, la centralizzazione delle loro attività, il controllo da parte dello Stato» (Lenin, Opere, vol. 25, pp. 313317). Dopo la vittoria della Rivoluzione d'Ottobre, il decreto sulla nazionalizzazione delle banche fu promulgato nel dicembre 1917, secondo le indicazioni di Lenin. Da ciò ne consegue che la parola d’ordine transitoria della nazionalizzazione delle banche, così come quella del “controllo operaio”, in assenza di una situazione rivoluzionaria sono sbagliate, perchè si trasformano in parole d’ordine di avvicinamento e fusione a settori di borghesia di Stato, alle organizzazioni capitalistiche e ai riformisti. Allo stesso tempo ricordiamoci che in tutto il periodo che precede la rivoluzione la tattica del fronte unico è il mezzo più efficace di lotta contro il capitale.
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Dietro la “riforma del lavoro” Marchionne ha più volte affermato che il problema del capitale oggi è la sovracapacità produttiva. E’ precisamente a tale scopo che il governo Monti vuol snellire le procedure di licenziamento. Le imprese vogliono mano libera per ristrutturarsi e massimizzare i profitti. Pretendono una classe operaia completamente “messa in libertà”. Mirano a regolare il flusso di forza lavoro in entrata e uscita a seconda delle loro necessità, sulla base dell’andamento del mercato e delle condizioni di accumulazione del capitale. Per ottenere ciò i padroni devono poter contare su un vasto esercito industriale di riserva, sempre disponibile (dunque stagnante o cronico), un serbatoio inesauribile di forza lavoro a basso costo, con condizioni di vita sempre peggiori, impoverito, anche perchè non riesce a trovare occupazione stabile. Da ciò ne deriva che uno degli obiettivi che si pone la borghesia è quello di portare il più gran numero possibile di lavoratori in una situazione di precarietà, lavoro temporaneo, lavoro nero, irregolarità, disoccupazione. Questo tipo di esercito di riserva – che serve a premere sull’esercito attivo e a frenarne le rivendicazioni - è alimentato
costantemente dal decadimento delle imprese capitalistiche, è un aspetto della sovrapproduzione. In presenza di un esercito industriale di riserva di questo tipo viene meno l’utilità di ammortizzatori come la cassa integrazione, che consentivano all’azienda di mantenere la disponibilità dei lavoratori momentaneamente non utilizzati, da reintegrare in periodi di prosperità (esercito di riserva fluttuante). Ora gli ammortizzatori sociali devono essere adeguati al nuovo esercito industriale di riserva,
dunque va ridotta la loro copertura. Inoltre, la riduzione del costo degli ammortizzatori permette di spostare un’altra parte del salario verso i profitti. Un altro aspetto di questo disegno capitalista è quello relativa alla compressione dei salari. Chi sta dietro la riforma, ovvero le grandi aziende multinazionali ed esportatrici, ha poco interesse al mercato di beni di consumo interno. In pratica la competizione è sull’export. Quindi, è condotta
attraverso la compressione del salario, con particolare attenzione a quello indiretto (sanità, previdenza sociale), che aveva tenuto relativamente rispetto al decadimento del salario diretto (quello in busta paga) negli ultimi due decenni. Quanto sopra ci fa comprendere meglio la politica del governo Monti e ci deve spingere a sostenere obiettivi in grado di ricomporre il fronte di classe nell’incessante lotta fra capitale e lavoro e a dar vita a un’azione politica rivoluzionaria fra la massa lavoratrice.
Oggi, non domani La perdurante assenza in Italia di un autentico partito comunista marxista-leninista, ha fra le sue conseguenze il fatto che la ribellione al riformismo di settori del proletariato si indirizzi verso forme tanto sterili quanto inconcludenti: dall’anarchismo al grillismo.
Il 5 per mille per la libertà di stampa dei comunisti e la cultura proletaria! Nel 730, Cud o Unico, firma nel riquadro “Sostegno del volontariato e delle organizzazioni non lucrative...” e indica il cod. fiscale di
Scintilla Onlus
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Questa sorta di “punizioni” dell’opportunismo sono in realtà utili al regime borghese e servono a mantenere il proletariato in un vicolo senza uscita. Il ribellismo, l’estremismo, il neoqualunquismo non possono fornire risposte al ritardo del principale fattore soggettivo della r i v o l u z i o n e . Riflettono solo la disperazione della piccola borghesia declassata, la sottomissione al culto della spontaneità, che nega la possibilità di sviluppare la coscienza della classe operaia al livello del socialismo scientifico attraverso la propaganda e l’azione di lotta q u o t i d i a n a . Per superare questa situazione è necessario imboccare una strada che sia in controtendenza alla frammentazione e alla debolezza del
movimento comunista in Italia. Come andiamo ripetendo da tempo, questa strada non può che essere pavimentata dai principi del marxismo-leninimo e dall’internazionalismo proletario. Questo significa che l’unità dei comunisti e degli operai rivoluzionari deve progredire nei fatti, oggi e non domani, stabilendo una netta linea di demarcazione dalle tesi revisioniste e socialdemocratiche, con un distacco aperto e definitivo da queste correnti e partiti, così come dal settarismo inconcludente e dall’economicismo. Piattaforma Comunista è strumento di questo processo, volto alla formazione del Partito comunista del proletariato. Rafforzarlo, con una scelta di militanza al suo interno, vuol dire compiere un atto di volontà, di libertà e di responsabilità
per recuperare i ritardi, fare chiarezza e battere le deviazioni utili alla borghesia, legare il socialismo scientifico al movimento operaio.
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Per una condizione razionale della società Il capitalismo è un sistema che va a picco e la borghesia cerca di trascinare nella sua fossa le altre classi sociali. Larghe masse di lavoratori tornano a porsi la questione dell’alternativa globale al sistema attuale. Noi comunisti diciamo che una condizione razionale della società potrà essere instaurata solo con la rivoluzione sociale del proletariato, che emancipando se stesso libera l’intera umanità. Il socialismo è l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, l’instaurazione di relazioni di cooperazione, collaborazione e aiuto reciproco fra i produttori associati. E’ la ripartizione dei prodotti nell’interesse degli stessi lavoratori. E’ lavoro assicurato a tutti, una pensione dignitosa, un tetto per tutti i lavoratori, l’abolizione delle tasse per i salariati, la sanità assicurata, la cultura a disposizione delle masse, i giovani all’opera per la nuova società, la separazione totale dello Stato dalle chiese, una vita senza preoccupazioni, un ambiente pulito, la eliminazione della criminalità, la fine delle ingiustizie e dei privilegi di classe. Il socialismo è un’organizzazione razionale e pianificata della società allo scopo di accrescere la
ricchezza sociale, elevare il livello materiale e culturale dei lavoratori, consolidare l’indipendenza e la difesa dello stato socialista. Nel nuovo sistema sociale la direzione politica della società è attuata dalla classe operaia, che realizza una forma di democrazia nuova e superiore: la democrazia della maggioranza a beneficio della maggioranza. La base politica del socialismo sono i consigli dei lavoratori (soviet) sorti ed affermatisi in seguito all’abbattimento del capitalismo. Tutto il potere appartiene de jure e de facto ai lavoratori della città e della campagna rappresentati dai consigli dei deputati dei lavoratori. Si basa dunque su una nuova e superiore democrazia degli operai, non sul dominio di una minoranza di sfruttatori. I rapporti sociali nella società socialista - caratterizzati dall’assoluto dominio della proprietà sociale dei mezzi di produttivizione voe dall’abolizione dello sfruttamento – permettono la crescita delle forze produttive e la soluzione in pochi anni d’immensi problemi: la piena occupazione, la casa, la sanità, l’istruzione, i trasporti, i servizi pubblici, la sicurezza sociale, l’ambiente. Problemi che il capitalismo non può risolvere.
Noi non diciamo che il socialismo in quanto tale è la soluzione immediata e miracolistica di tutti i problemi sociali. Diciamo che il socialismo è il sistema all’interno del quale le soluzioni sono possibili ed attuabili, perché sono abolite le contraddizioni che generavano i problemi, perché vengono stabiliti nuovi rapporti sociali che realizzano gli obiettivi di fondo dei lavoratori e favoriscono un grado di sviluppo superiore al capitalismo non solo economicamente, ma anche politicamente, moralmente, culturalmente. Per dirigere le lotte odierne verso la nuova società, sempre più necessaria e urgente, è
necessario formare un gruppo capace di lavoro ed iniziativa politica rivoluzionaria, di irradiare una concezione del mondo scientifica. Occorre creare un organismo politico sano, robusto, proletario, in grado di attrarre le forze genuine, di svilupparsi e di lottare, gettando le basi del Partito comunista del proletariato d’Italia. Questo è il partito che la classe operaia ha il diritto di avere dopo tanti sacrifici, tante illusioni, tante sconfitte. Perciò chiamiamo migliori figli del proletariato e i giovani rivoluzionari a riflettere seriamente sulla situazione, a separarsi dagli opportunisti ed a unirsi alla nostra attività per progredire insieme.
Conferenza dei partiti m-l d’Europa
Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leniniti www.cipom l.info
In un un clima fraterno e di salda unità internazionalista, si è svolta in Francia, lo scorso mese, la riunione dei partiti e delle organizzazioni d’Europa membri della Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti Leninisti (CIPOML). Il dibattito è stato incentrato sugli sviluppi della crisi capitalista, le politiche di austerità imposte dalla borghesia per far pagare la crisi alla classe operaia e ai popoli, la resistenza e le domande di alternativa politica che esprimono le masse sfruttate e oppresse.
Particolare attenzione è stata posta alle tendenze che emergono all’interno del movimento operaio e sindacale, alle posizione delle diverse forze politiche che agiscono al suo interno, oltre chiaramente al lavoro svolto dai marxisti-leninisti. Notevoli i contributi sulle tattiche da seguire per far avanzare la rivoluzione proletaria. Un punto sul quale si è sviluppato il dibattito è stata l’uscita dalla UE, diritto inalienabile dei popoli. Al termine di un dibattito ricco e profondo, che ha visto apporti da parte di tutte le
realtà presenti (Francia, Germania, Spagna, Grecia, Turchia, Albania, Danimarca e Italia), è stata approvata all’unanimità una dichiarazione comune, di carattere politico. Tale documento, per ragioni di spazio, verrà diffuso sul web e pubblicato integralmente sul prossimo numero di Teoria e Prassi. Sottolineiamo il ruolo insostibuile della CIPOML, alfiere dell’internazionalismo proletario e della lotta per l’emancipazione della classe operaia, alla quale siamo orgogliosi di appartenere e di fornire il nostro contributo.
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Scintilla
giugno 2012
Uscire dalla UE, dall’euro e dalla NATO Nel quadro del proseguimento e dell’approfondimento della crisi capitalistica si pongono con maggiore acutezza le questioni fondamentali rispetto le quali le classi sociali si dividono: la questione della proprietà privata, quella della guerra. In particolare è oggi al centro del dibattito e dell’azione politica la questione dell’appartenenza del nostro paese agli organismi e alle istituzioni sovranazionali come la UE e la NATO, la questione dell’euro. Sappiamo bene cosa rappresentano queste istituzioni e i loro strumenti. La NATO è il principale promotore e fomentatore di guerra, una macchina di guerra e di terrore diretta dall’imperialismo USA per salvaguardare la sua supremazia mondiale. Oggi va riarmandosi, aggregando altri paesi, per prepararsi ad una nuova spartizione del mondo. L’imperialismo genera inevitabilmente la guerra. L’UE è un accordo fra stati e monopoli capitalistici per battere il socialismo e reggere la concorrenza USA e cinese. L’euro è uno dei suoi strumenti. Oggi l’UE è più divisa e impotente a fronteggiare la crisi. E’ la legge dell’ineguale sviluppo economico e politico del capitalismo a rendere l’UE impossibile o reazionaria, come giustamente affermava Lenin. Ciò si esprime nei contrasti fra i paesi UE, nelle tesi sulle “diverse
velocità”, nell’abbandono d e l l a “solidarietà reciproca”, nella disputa sugli eurobond, nel ritorno del protezionismo, nella deriva reazionaria. Per decenni è stato negato qualsiasi dibattito sull’uscita da queste istituzioni. Ora con lo sviluppo della crisi e il possibile default di alcuni Stati le cose stanno cambiando. A fianco degli opportunisti che continuano a parlare di riforma della UE, esistono settori della borghesia che per i loro interessi e privilegi particolari guardano all’abbandono dell’UE e dell’euro (per rilanciare le esportazioni con la svalutazione). Altri settori nazionalisti, sciovinisti e fascisti della classe dominante sono per una messa in discussione dell’atlantismo, vale a dire per una politica di guerra non subordinata agli USA ma ad altre potenze imperialiste. Se la questione dell’uscita dalle istituzioni e dalle alleanze imperialiste venisse diretta da queste forze non vi sarebbe alcun miglioramento della situazione della classe operaia, ma persino dei peggioramenti. Ma vi è un’altra via di uscita dalla crisi e dalle istituzioni del capitale: quella rivoluzionaria
proletaria. In questo secondo caso l’uscita da UE, euro e NATO è il frutto di un processo di lotta di massa, di una sollevazione delle masse lavoratrici, con alla testa la classe operaia. Questa soluzione è inestricabilmente connessa all’uscita rivoluzionaria dalla crisi capitalista, alla formazione di un governo degli operai e degli altri lavoratori sfruttati, sorto sulla base dei Consigli e dei Comitati operai e popolari. Questo è il solo governo che possa spezzare il giogo imperialista della UE in maniera favorevole al proletariato urbano e rurale, alle masse popolari, soddisfare le loro fondamentali rivendicazioni, che possa rompere radicalmente una volta e tutte con lo sfruttamento, l’oppressione dei lavoratori e la politica di guerra, gettando le basi di una nuova società. Chi non sostiene questa soluzione, chi si nasconde dietro i più risibili sofismi e tatticismi
per non porre o per rinviare la questione dell’uscita dalla UE, chi non riconosce l’inalienbile diritto dei popoli a uscire dalle gabbie imperialiste, obiettivamente si schiera con la reazione, vuole che la classe operaia e le masse lavoratrici siano strangolate economicamente, asservite politicamente, trascinate in nuove carneficine. Rifiutiamoci perciò di pagare la crisi e i debiti del capitale, rivendichiamo l’abrogazione dei trattati che impongono l’austerità, creiamo coalizioni di sinistra che esigano l’uscita dall’UE imperialista, dall’euro e dalla NATO, legando questa prospettiva all’alternativa di potere operaio e popolare! Esigiamo il ritiro delle truppe inviate all’estero, per la fine della politica di saccheggio e dominazione dei popoli, diciamo no alla corsa agli armamenti. Fuori dalla NATO, via le basi USA, a fianco dei popoli che resistono all’imperialismo!
No all’aggressione militare alla Siria! Il provocatorio massacro di 130 civili a Hule, in Sira ha avuto un risultato preciso: rafforzare l’interventismo del blocco occidentale a guida USA. I tamburi di guerra contro la Siria ora risuonano più forte. Anche da ciò si può capire chi aveva interesse al bagno di sangue: le forze reazionarie al soldo dell’imperialismo yankee. La storia recente ci ha mostrato diversi massacri commessi dai briganti al servizio del capitale monopolistico, usati come pretesto per scatenare le guerre. Ad esempio l’11 settembre. Dai campi di addestramento in Kosovo, fino ai giornalisti embedded, anche nel caso siriano l’infernale macchina del terrore e dell’inganno sta girando a tutto gas.
L’Italia imperialista conferma, con l'espulsione dell'ambasciatore siriano, il suo ruolo guerrafondaio. E che dire dei finti pacifisti, rotolati sulla via di Damasco, rapidamente trasformatisi in truppe ausiliarie? Eppure non era difficile capire che l’invio degli osservatori ONU sarebbe stato il velenoso antipasto dell’aggressione ad un paese dilaniato da forze filoimperialist e reazionarie. Ora, sotto la logora maschera della protezione dei civili e della democrazia si vuole replicare l’attacco alla Libia. Gli interessi in gioco sono molteplici, a cominciare dal controllo delle risorse energetiche, fino alla cinica strategia sionista. La Siria è una spina nel fianco
del Pentagono, che vuole ridisegnare la regione secondo i propri interessi, colpendo la resistenza palestinese e quella antimperialista delle masse della regione. A questo scopo la CIA, i sionisti e le petrol-monarchie finanziano e appoggiano gruppi armati salafisti che fomentano la guerra civile. Ad essi si aggiungono le forze speciali dei paesi imperialisti, già presenti sul territorio siriano. Russia e Cina intanto cercano di salvare la faccia, sperimentano accordi, e si preparano agli scontri interimperialisti diretti. In questo scenario il regime di Assad si è dimostrato incapace di dare risposte alle rivendicazioni popolari,
generate dalle condizioni economiche e dall’oppressione politica, ed è finito nella trappola. E’ il popolo siriano che deve decidere il suo futuro, distinguendo fra le legittime proteste e i tagliagole arruolati dall’imperialismo e dal sionismo; è il proletariato siriano deve avanzare il suo programma politico, preparando le masse all’inevitabile adimento della borghesia. Il pericolo di guerra alla Siria e all’Iran è reale. Le forze comuniste, rivoluzionarie e progressiste uniscano le forze e si mobilitino contro l’intervento occidentale che innescherà un’escalation militare nell’area, a fianco della resistenza all’imperialismo.