Scintilla marzo 2013

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PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!

Scintilla

N. 38 Marzo 2013

Organo di espressione di Piattaforma Comunista teoriaeprassi@yahoo.it

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1 euro

Sconfitta l’Agenda Monti e i suoi sostenitori Avanti con la lotta e l’organizzazione! Dalle elezioni è emerso un dato incontestabile: assieme ai privilegi e alla corruzione dei partiti borghesi è stata bocciata la politica di austerità portata avanti dai governi Berlusconi e Monti. Più della metà degli elettori ha detto no a questa politica rifiutando la truffa del “meno peggio” e del “voto utile”. Le forme della protesta sono state diverse: il voto al M5S, l’astensione e il voto nullo. Le elezioni hanno messo in luce e acuito la crisi di egemonia della vecchia classe dirigente e dei suoi partiti. Si annuncia un periodo di instabilità politica e istituzionale, mentre la crisi economica si approfondisce si prolunga. Dal prossimo governo borghese, qualsiasi esso sia, i lavoratori, i giovani non devono aspettarsi nulla di buono. Proseguirà a tamburo battente nella politica dettata dai “mercati finanziari”, gettando un po’ di fumo negli occhi delle masse. I padroni approfitteranno della situazione per rilanciare l’offensiva: licenziamenti, Cig (all’Ilva altri due anni, mentre gli operai muoiono come mosche), assalto ai contratti e ai diritti. E la disoccupazione aumenterà ancora. L’imperialismo italiano è destinato a un inarrestabile declino. Ma la borghesia non ha nessuna intenzione di ritirarsi dal potere e c’è il pericolo di una svolta autoritaria per imporre altri e più duri sacrifici alla classe operaia e alle masse popolari. L’alternativa sicura alla miseria, alla rovina, all’ingovernabilità borghese esiste: si chiama “governo rivoluzionario degli operai”, per uscire dalla crisi uscendo dal capitalismo e marciando verso il socialismo. SEGUE A PAG. 2

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Ci vuole il Partito comunista

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Ripresa della mobilitazione e fronte popolare

La crisi della Chiesa e i compiti dei comunisti

“Con Stalin per il Socialismo” Firenze, 17 marzo convegno nazionale


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Castigati i partiti della corruzione e dell’austerità. Non diamo loro tregua Se dalle urne non è uscito un vero vincitore, c’è sicuramente un perdente: è l’“Agenda Monti” voluta da UE-BCE-FMI e appoggiata nell’essenziale da tutti i principali partiti. Questo programma antioperaio e antipopolare è uscito sonoramente sconfitto e delegittimato dalle elezioni. La sua riproposizione in qualsiasi forma va rigettata con forza. Le forme in cui si è espressa la protesta sono state molteplici. Milioni di sfruttati e di oppressi non si sono recati ai seggi elettorali, hanno boicottato il voto o hanno espresso un voto di protesta contro le misure neoliberiste, la corruzione, i privilegi, l’ingiustizia sociale, assieme alla volontà di voltare pagina. Dietro il consenso alle liste di Grillo vi sono queste profonde ragioni. Il sistema politico della “seconda repubblica” è in decomposizione. Le forze politiche che hanno sostenuto i governi Berlusconi e Monti e le loro odiose misure hanno perso una caterva di voti (il PdL 6,3 milioni, il PD 3,4 milioni). rispetto alle elezioni del 2008. La Lega è crollata. Il carrozzone interclassista e giustizialista di Ingroia è fracassato senza raccogliere nemmeno un deputato. Ha pesato la sua ambiguità verso il PD e l’UE dei monopoli. La seconda catastrofe elettorale consecutiva per Rifondazione e Pdci è l’inevitabile sanzione per questi partiti opportunisti.

Grillo ha calamitato gran parte del voto di protesta di settori sociali schiacciati dalla crisi capitalistica, giovani “senza futuro”, operai senza lavoro, impiegati impoveriti, lavoratori “autonomi”, strati di piccola e media borghesia schifati dalla corruzione e dagli scandali. Ha raccolto molto malcontento e alcune rivendicazioni dei movimenti di opposizione (es. No Tav), senza però poter risolvere nessuna delle fondamentali questioni economiche e politiche attuali. Si tratta infatti di un movimento populista e interclassista, incapace di condurre una lotta organizzata contro il regime borghese e di fondare un nuovo Stato. E non va nemmeno trascurato che vi sono potenze imperialiste a cui Grillo può far gioco. Dalle elezioni esce incrinato il bipolarismo. Il prossimo Parlamento sarà meno disposto a essere usato come un votificio per proseguire a ranghi serrati nella politica dei sacrifici e della guerra. La borghesia imperialista cercherà di correre ai ripari dando impulso – a colpi di spread, ricatti e ingerenze – al processo di trasformazione reazionaria dello Stato. Ogni giorno che passa si rafforza la spinta dei “mercati finanziari” che, in nome della “stabilità”, chiedono la ricomposizione di una “grande coalizione” o un “governo del Presidente”.

Per la preparazione politica e materiale di questo rivolgimento storico che renderà effettiva la democrazia per i lavoratori (altro che internet!), è indispensabile un autentico Partito comunista. Solo con il Partito potremo lavorare, in uno scenario di inasprimento dello scontro fra le classi, per unire, organizzare e rendere consapevole il proletariato, mobilitando attorno alle sue forze i settori sociali interessati alla trasformazione sociale. Perciò poniamo costantemente agli elementi avanzati della classe operaia il problema del loro

distacco definitivo dall’economicismo, dall’opportunismo e della loro unificazione sotto le bandiere del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario. Lo sfacelo economico e politico del capitalismo italiano ci spinge a rilanciare l’appello per far avanzare il processo di formazione del Partito, quale combattivo partito del proletariato e della rivoluzione. Ogni ritardo, ogni settarismo, ogni tatticismo, ogni conciliatorismo verso gli opportunisti e i revisionisti dev’essere battuto e superato una volta per tutte.

“La piccola borghesia che ha definitivamente perduto ogni speranza di riacquistare una funzione produttiva....cerca in ogni modo di conservare una posizione di iniziativa storica: essa scimmieggia la classe operaia, scende in piazza. Questa nuova tattica si attua nei modi e nelle forme consentiti a una classe di chiacchieroni...” A. Gramsci, 1921 Ma qualsiasi governo che vorrà continuare con la politica d’austerità in nome del “rispetto degli impegni europei” dovrà scontrarsi con la classe operaia e le masse popolari, sempre meno disposte a subire mazzate. Lo scontro politico si intensificherà, in uno scenario che vede i lavoratori lanciarsi di nuovo nelle strade in molti paesi europei (Spagna, Portogallo, Grecia, Bulgaria…). La situazione apre obiettivamente spazi alla ripresa operaia e popolare. La crisi di consenso del sistema borghese procede assieme a quella economica, ma potrà avere uno sbocco positivo solo con lo sviluppo della lotta rivoluzionaria e dell’organizzazione di classe. Ci attende un periodo di inasprimento della situazione economica e politica. In questa situazione guai a lasciarsi paralizzare dai liberalriformisti, che faranno di tutto per ostacolare e dividere le lotte, bloccare l’iniziativa delle masse attraverso la burocrazia sindacale. La mobilitazione va portata avanti approfittando delle spaccature fra forze borghesi. I lavoratori devono provvedere alla loro difesa preparandosi a lottare su un fronte unico senza e contro i capi collaborazionisti, forgiando propri organismi di massa (Comitati e Consigli). Di fonte all’offensiva

capitalista, che proseguirà, urge l’unità rivoluzionaria di tutte le forze del proletariato e sulla sua base la più ampia unità popolare, per rovesciare la crisi sulle spalle dei padroni e dei parassiti, per rifiutarsi di pagare la crisi e il debito, rompere definitivamente col neoliberismo e col sistema capitalistico che lo produce. Nell’immediato è necessaria una piattaforma politica, un minimo comune denominatore, che sia elemento unificante e propulsore della lotta di classe, a cominciare dal blocco dei licenziamenti. Va costruita una forza organizzata, un Fronte popolare contro l’offensiva capitalista, la reazione politica e le minacce di guerra, per l’uscita dall’UE, dall’euro e dalla Nato, che rilanci la mobilitazione di massa e apra la strada a un governo degli operai e degli altri lavoratori fruttati. E’ un’esigenza urgente! Per sviluppare questa politica e mettersi alla testa delle lotte contro il prossimo governo borghese e le posizioni opportuniste e populiste, per preparare lotte di massa rivoluzionarie, i comunisti e gli elementi di avanguardia del proletariato devono separarsi definitivamente dagli opportunisti e dai revisionisti e unirsi in Partito comunista. In tal modo daremo una guida rivoluzionaria al proletariato.


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Ripresa della mobilitazione e fronte popolare Le forze che hanno dato vita nei mesi scorsi al Comitato No Monti Day (CNM) e alla manifestazione nazionale del 27 ottobre scorso, si sono riunite subito dopo le elezioni per verificare la possibilità di continuare il percorso intrapreso. E’ stato deciso per sabato 16 marzo a Roma (Centro Congressi Cavour, ore 9) un incontro pubblico aperto alle diverse realtà di lotta esistenti, per discutere della costruzione di un movimento unitario contro la crisi e le politiche di austerità. Riteniamo significativo il rilancio immediato dell’attività nel nuovo quadro politico. La situazione che si sta concretizzando nel dopoelezioni, incluso l’ennesimo fallimento delle forze opportuniste, apre spazi all’opposizione di classe e rafforza la necessità dell’unità e del rilancio dell’iniziativa politica di massa. Come parte integrante di

questo cammino avviato nello scorso settembre, vi parteciperemo sulla base di alcuni presupposti e proposte. La recessione continuerà per tutto il 2013 e il prossimo governo borghese, qualunque esso sia, andrà avanti con l’offensiva contro la classe operaia e le masse popolari. In questa situazione le politiche di fronte unico proletario e di fronte popolare rivoluzionario diventano ogni giorno sempre più necessari ed urgenti. La prosecuzione dell’attività del CNM va dunque inserita in questo quadro, ed ha oggi maggiori possibilità di sviluppo. Perciò: nessun attendismo! Rivendichiamo come un elemento acquisito i punti di programma usciti dall’assemblea nazionale del 15 dicembre. Il lavoro concreto va sviluppato su alcuni assi di intervento che diverranno cruciali nei prossimi mesi: la lotta per il blocco dei

licenziamenti, esproprio senza indennizzo per le aziende che chiudono, delocalizzano e inquinano, aumento dei salari, CIG al 100%, reddito ai disoccupati, lotta alla precarietà, difesa della sanità e della scuola pubblica, denuncia della guerra imperialista e stop allle spese militari. Va compiuto tutto un lavoro per radicarci nei settori operai e popolari, questione che è strettamente legata agli obiettivi politici da praticare. In tal senso rilanciamo la proposta della creazione di organismi di base, quali i comitati di posto di lavoro e territorio, che sostengano le lotte e prendano iniziative sulla base degli obiettivi fissati. Un ruolo importante dovranno averlo le assemblee cittadine. Così come è indispensabile una direzione nazionale che si riunisca regolarmente. Nel medio periodo guardiamo con interesse a un Referendum sulla questione dell’adesione

alla UE e agli eurotrattati. Su ciò occorre incalzare il M5S. E’ altresì importante ampliare lo spettro delle forze partecipanti a questa coalizione, creando una struttura efficente, stabile e del tutto indipendente dal riformismo e dal populismo. L’assemblea nazionale in preparazione e le prossime manifestazioni non devono essere avulse da tale progettualità, ma la devono rafforzare e concretizzare. Per noi l’importante è che questo strumento di unità di azione fra forze politiche, sindacali, di movimento, contribuisca ad avviare un percorso politico e organizzativo per la scesa in campo di un Fronte popolare. Ciò servirà ad offrire una concreta e credibile alternativa di rottura alla classe operaia e ai settori popolari massacrati dall’oligarchia finanziaria. Quello che non si è voluto fare prima del voto, si deve costruire adesso.

Un nuovo mestiere: addestratore per i quiz Invalsi Corrispondenza Capita a volte di incontrare e conoscere una nuova persona che, per curiosità, mi chiede: “Ma che lavoro fai?”. Allora io rispondo, in modo ironico e quasi insolente: “Una volta insegnavo, ora faccio l’addestratore di giovani concorrenti per i quiz dell’Invalsi”. Ebbene, la mia risposta, ancorché sarcastica e provocatoria, non è affatto distante dalla realtà, anzi. Il guaio peggiore è che, ovunque mi sia trovato, ovverosia in qualunque ambiente scolastico abbia avuto l’occasione di prestare servizio, ho avuto modo di ravvisare un numero sempre crescente di colleghi e colleghe a cui sembra addirittura piacere questa “mansione professionale”. O, perlomeno, sembra accolta supinamente. Mi riferisco anzitutto all’obbligo di preparazione degli studenti ai quiz predisposti, ma soprattutto imposti e calati dall’alto, dall’istituto Invalsi. Un carrozzone di stampo assistenzialistico e

clientelistico, assolutamente inutile e costoso, gradito soprattutto ai funzionari ministeriali, ai burocrati e ai capi d’istituto, in particolare ad un certo tipo di dirigenti scolastici, cinici e affaristi, paternalistici ed opportunisti, arrivisti e carrieristi. Penso altresì alle attribuzioni, indubbiamente necessarie, connesse alla vigilanza degli alunni, nonché alle mansioni di “parcheggiatore” per giovani disoccupati permanenti o, peggio ancora, ad una sorta di “ufficio di collocamento” al servizio di giovani “precari cronici”. Purtroppo, l’azione educativa è, per mille ragioni, sempre più avvilita, mortificata e sacrificata nelle sue prerogative, a partire da chi governa (male) la scuola. Non che io nutra sentimenti di nostalgia per un prototipo di scuola concepita in maniera tradizionalistica, ossia in forme cattedratiche e professorali, come uno strumento di indottrinamento e trasmissione unilaterale (che presuppone un atteggiamento ricettivo assolutamente passivo da parte dell’allievo) di un sapere

squisitamente nozionistico, formato da cumuli di contenuti disciplinari aridi, accademici e pedanti, attraverso metodologie didattiche che sono di stampo esclusivamente astratto e verbalistico. Anzi. Penso, al contrario, ad una professione sociale che sia altamente edificante e gratificante sotto ogni punto di vista, culturale, morale, affettivo e via discorrendo, tanto per i docenti quanto per i discenti, ad un esercizio intellettuale di autentica democrazia diretta, di confronto critico e dialettico tra i soggetti che sono i principali protagonisti del rapporto di insegnamento/apprendimento. Un processo interattivo e consapevole che, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe svolgere

un compito altamente formativo a 360 gradi, ovvero una funzione di carattere creativo con finalità educative. Non a caso, il concetto di educazione discende dall’etimo latino e-ducere, che significa letteralmente trarre fuori e si riferisce ad un ruolo professionale che persegue lo scopo primario della formazione integrale, e non equivale all’atto dell’indottrinare o del riempire la testa di nozioni, bensì al compito di aprire e liberare la mente. In ultima analisi, l’impegno educativo consiste in un’opera di emancipazione globale dei giovani, anzitutto sul versante della coscienza civile e politica, nel senso più nobile del termine. L.G.

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Costruire un’opposizione militante e di classe in Cgil Unirla alle realtà sindacali che resistono ai padroni Lo scorso anno si è costituita la “Rete 28 Aprile - opposizione CGIL”, come area autonoma nel più grande sindacato italiano. La costituzione di quest’area è e deriva dalle scelte disastrose e dai cedimenti compiuti dai vertici Cgil e Fiom nel periodo del governo ultra conservatore Monti. In sostanza è il prodotto degli spostamenti di classe determinatisi in CGIL nel periodo di acutizzazione della crisi economica, dell’offensiva padronale e del collaborazionismo riformista. In queste settimane dopo l'assemblea nazionale di Sesto S. Giovanni del 1° febbraio si stanno svolgendo una serie di riunioni locali della “R28Aoppoiszione CGIL”. Da queste assemblee, che vedono un’ampia partecipazione di delegati e iscritti, stanno emergendo delle posizioni importanti: presentazione di un documento alternativo per il prossimo Congresso della CGIL, che metta al centro l’opposizione alla concertazione vecchia e nuova, ai cedimenti continui sul terreno della flessibilità, della produttività, del salario e della difesa del posto di lavoro, con l'impegno di partire subito con l'iniziativa contro il patto sociale

sulla produttività e contro l'austerità; -necessità del radicamento ei posti di lavoro e nei territori, per rafforzare e sviluppare u sindacalismo di classe e combattivo; forte spinta all’unità di lotta a partire dal basso con il sindacalismo di base e tutte le forze sociali e i movimenti che oggi lottano per respingere l’offensiva capitalista. Noi condividiamo questa impostazione perché crediamo che il centro dell’attività non deve essere l’apparato, la federazione, la segreteria in cui prospera la burocrazia sindacale. Deve essere invece la fabbrica, l’ospedale, l’ufficio, il luogo di lavoro, l’assemblea di base, il comitato degli iscritti, la RSU, le strutture territoriali di primo livello. Per portare avanti la linea di classe vanno battute quelle posizioni che concepiscono la possibilità di riformare o correggere i vertici sindacali, di spostare a sinistra la burocrazia della CGIL, o di “controbilanciare a sinistra” la deriva autoritaria nel sindacato. Tutte queste posizioni di fatto riducono l'attività sindacale di classe ad un problema parlamentaristico di maggioranze e minoranze dentro l’apparato.

L’obiettivo da perseguire costantemente è quello della ricerca della massima unità di lotta della classe operaia e degli altri lavoratori sfruttati, attraverso una politica di fronte unico anticapitalista. Per compiere dei passi avanti dobbiamo quindi cercare l’unità di azione nei luoghi di lavoro, fra tutti i militanti sindacali, i delegati, gli iscritti, i lavoratori, ovunque siano collocati, che vogliono resistere e lottare di fronte all'attacco capitalistico. Così si sviluppa un sindacato militante e classista che sia volano del fronte unico di lotta della classe operaia, che sappia attrarre con una giusta politica i

settori popolari colpiti dalla crisi capitalistica, che si caratterizzi per un’autentica piattaforma di lotta volta a far pagare la crisi a chi l’ha causata e contribuisca a dare una reale prospettiva alle masse operaie e popolari, indicando un sistema sociale veramente alternativo alle miserie ed agli orrori del capitalismo. Questo è il sindacato che vogliamo! Da questa attività sarà possibile ricavare esperienze preziose e far maturare le forze che costituiranno la spina dorsale del futuro partito comunista, indispensabile strumento di direzione della classe operaia.

Un suicidio che mette sotto accusa un sistema barbaro L’operaio Giuseppe Burgarella di Trapani si è recentemente tolto la vita perché dal 2010 al 2013 aveva lavorato solo 44 giorni. Giuseppe era un militante sindacale della Fillea, il sindacato degli edili. All'ultimo direttivo aveva denunciato con forza la crisi del settore ed aveva esclamato: "Dobbiamo suicidarci tutti per far capire quanto è grave la situazione?". Prima di mettersi la corda al collo ha scritto su un foglio l'elenco dei morti di disoccupazione degli ultimi due anni. Sono centinaia, una strage che ha una relazione precisa con la crisi economica. Ed ha aggiunto due frasi: "Se non lavoro non ho dignità. Adesso mi tolgo dallo stato di disoccupazione". Poi ha messo il foglio dentro una copia della Costituzione italiana. Giuseppe era convinto che non si poteva e non si doveva rinunciare

al diritto al lavoro. Pensava giustamente che il lavoro è la condizione per avere dignità sociale e non sopportava più l’umiliazione della disoccupazione e della discriminazione. Prima di maturare il suo gesto si era rivolto alla segretaria nazionale della Cgil e a Napolitano, per rivendicare il suo diritto. Non ha ricevuto risposta. Forse Camusso, dopo tanti cedimenti, era troppo impegnata a presentare a Bersani un illusorio Piano del Lavoro (cioè un nuovo patto sociale). Forse Napolitano era talmente preso a certificare il fallimento del comunismo (che l’umanità non ha ancora visto) per non vedere quello del capitalismo. Il suicidio di Burgarella è un durissimo atto di accusa all’ipocrisia ed alla falsità dello Stato borghese. Uno Stato che

tradisce quotidianamente i diritti sanciti nella sua Costituzione, mentre regala miliardi alle banche, salva i corrotti e gli evasori, protegge gli sfruttatori che si servono della macchina statale borghese. Parlare di “Repubblica fondata sul lavoro” con sei milioni fra disoccupati e precari, con un’intera generazione senza futuro in questo sistema, significa prendersi gioco dei lavoratori, dei disoccupati e della gioventù. Al tempo stesso il suicidio di Giuseppe è un macigno sulla testa dei capi riformisti che sostengono il capitalismo e si preparano a governare per portare avanti la stessa politica di austerità e di guerra seguita dai loro predecessori. Ma non è nemmeno giusto parlare di suicidio. La morte di Giuseppe è da addebitare all’infame sistema che getta gli operai nell’abisso

della disoccupazione e dei licenziamenti. Piaghe incurabili nella società fondata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. Piaghe di cui è corresponsabile l’intero quadro politico e istituzionale che fa gli interessi dei capitalisti. Ma tutto ciò non è previsto nel codice penale. La morte di Giuseppe ci dice che dobbiamo farla finita con la rassegnazione, con la moderazione, con la ritirata. Che dobbiamo difenderci come si deve, organizzandoci col fronte unico di lotta di tutti gli operai per preparare la riscossa, per uscire dalla crisi emancipando il lavoro dall'oppressione del capitale. Porgiamo alla famiglia dell’operaio Burgarella le nostre sentite condoglianze e rinnoviamo l’impegno di lotta per un mondo senza sfruttamento e senza disoccupazione.


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La crisi della Chiesa e i compiti dei comunisti Le clamorose dimissioni di Ratzinger hanno messo in luce le difficoltà in cui si dibatte il Vaticano, scosso da scandali, corruzione, crimini sessuali, diffusione di documenti segreti, gravi problemi finanziari, acute lotte intestine, con conseguenze devastanti. Il quadro in cui sono maturate è quello di una Chiesa divisa e ingovernabile, con un papa “circondato da lupi” (così scrisse l’Osservatore Romano), irresoluto e logorato dallo scontro fra fazioni, incapace di fare pulizia e di gestire la situazione col suo conservatorismo morale. Altro che problemi cardiaci! La crisi è più grave e profonda di quella che appare in superficie. Dopo Woytila la Chiesa cattolica non è riuscita ad aprirsi nessuno spazio e il “capitale spirituale” ereditato dal campione anticomunista (che ha nascosto sotto la sua sottana i crimini ecclesiastici) è stato dilapidato in pochi anni. La rievangelizzazione, specie ad est, è fallita. La politica conciliare si è esaurita. Il dialogo con le altre religioni ha segnato il passo. Non c’è stata alcuna riconciliazione con la scienza moderna. L’offensiva reazionaria su matrimoni gay, contraccezione, eutanasia, aborto, cellule staminali, ha prodotto scarsi risultati ed ha fatto perdere altro consenso. Gli ordini religiosi sono decimati dalle mancanza di vocazioni. Il numero dei matrimoni religiosi e dei battesimi è in calo costante. Le chiese sono sempre più vuote, i giovani più lontani dalla fede cattolica. La stessa crisi economica capitalistica, che avrebbe dovuto favorire il ruolo della "carità cattolica", ha funzionato come un boomerang. Sia perché ha accelerato il risveglio delle masse, sia perché ha ampliato il buco di bilancio delle casse vaticane ed acuito le rivalità fra centri imperialisti. Va inoltre ricordato che è di pochi mesi fa la rimozione di Gotti Tedeschi, il presidente dello IOR (membro dell’Opus Dei ed amico di Ratzinger) che temeva di essere ucciso per aver scoperto in alcuni conti cifrati il denaro sporco di politici, faccendieri, costruttori e alti funzionari dello Stato, nonché di boss mafiosi, come sostengono alcuni magistrati. E’ stata la manifestazione di un feroce scontro nelle gerarchie ecclesiastiche sulla questione dei conti off-shore, le norme

antiriciclaggio, la trasparenza finanziaria, il contrabbando di valuta, i “capitali anonimi…potere distruttore che minaccia il mondo ” (discorso di Ratzinger dell’11.10.2010). Che la disputa intorno allo IOR sia all’origine di acuti contrasti nella cupola vaticana, che fanno da sfondo alle dimissioni di Ratzinger, lo dimostra il fatto è stato nominato in extremis, dopo un balletto di nomi, il nuovo presidente della banca: Von Freyberg, legato all’industria bellica tedesca. La disputa “teologica” sul solo paradiso esistente - quello fiscale, situato tra le Bahamas e Panama proseguirà senza esclusioni di colpi. Come ha dovuto riconoscere lo stesso papa la Chiesa è “una barca che fa acqua da tutte le parti”, sempre più distante dalla realtà sociale, in perdita di influenza e consenso. Dunque le inedite dimissioni, che la stampa esalta come sinonimo di modernità e di umanità, sono anzitutto il risultato di un fallimento su tutta la linea. Non solo del suo pontificato, ma della strategia del Vaticano, del suo consenso e del suo stesso sistema di governo. Questioni che non si possono risolvere con i messaggini di Twitter. Riuscirà la Chiesa a risolvere la sua crisi? No, perché questa potenza reazionaria è storicamente sulla difensiva e in declino dopo i colpi assestati dapprima dalla Rivoluzione francese e poi dalla Rivoluzione Socialista d’Ottobre. Non può risollevarsi perché si sono esaurite le condizioni della sua egemonia e subisce continuamente l’iniziativa dei suoi avversari. Non può innovarsi perché ciò avrebbe per conseguenza ulteriori spaccature. E’ dunque destinata a perdere terreno. Chi sarà il nuovo monarca assoluto dello Stato della Città del Vaticano? La lotta è aperta e i diversi settori delle gerarchie ecclesiastiche non si risparmieranno i colpi. I cardinali italiani manovreranno per recuperare il trono e confermarsi alla Segreteria di Stato. Alcune caratteristiche del successore derivano dal fatto che Ratzinger è apparso fin dall’inizio troppo debole sia nei confronti del suo predecessore, sia nei confronti del principale concorrente sul piano religioso, l’Islam. Di qui la necessità di sostituirlo con un nuovo pontefice relativamente più giovane ed energico, abile nella

comunicazione per recuperare un’immagine deteriorata, in grado di modernizzare un apparato tanto barocco quanto corrotto. Ma è prevedibile la strenua opposizione della Curia romana in un Conclave da resa dei conti. La grave crisi in cui si dibatte la Chiesa cattolica non ci deve far dimenticare che questa potenza è un pilastro del sistema di sfruttamento e un nemico giurato del proletariato internazionale. La Chiesa è la stampella a cui si appoggia la malata borghesia italiana e il Vaticano è un potente fattore di condizionamento regressivo della vita politica, sociale, sindacale, culturale del nostro paese, di ingerenza e di limitazione della sovranità nazionale attraverso il Concordato (che si somma a quella imposta dagli USA e dalla UE). E’ perciò nostro dovere portare a fondo la critica sul piano politico e ideologico, indebolirli e combattere la loro nefasta influenza nel movimento operaio e popolare, in vista dei prossimi “assalti al cielo”. Di qui la necessità di sfruttare tutte le contraddizioni che stanno emergendo con le dimissioni del papa per accrescere la crisi vaticana e scalzare le posizioni tradizionali della casta cattolica. La situazione apre spazi al lavoro dei comunisti. Sul piano delle rivendicazioni politiche è necessario rilanciare la lotta su alcuni obiettivi immediati: fine dei finanziamenti al Vaticano, alla Chiesa, alle scuole e alla sanità privata, agli enti religiosi; abolizione dell’8x1000; forte tassazione per i beni mobili e immobili della “Vaticano S.p.A.” e degli enti ecclesiastici, con restituzione degli arretrati; soppressione di tutti i privilegi economici, sociali e fiscali del Vaticano e della Chiesa; verità e giustizia sui traffici finanziari dello IOR; basta con le emissioni nocive di Radio vaticana; completa separazione della

Chiesa dallo Stato; lotta all’oscurantismo religioso, alle ingerenze clericali; difesa intransigente dei diritti delle donne; una scienza e una scuola libere da ogni condizionamento e da tutte le confessioni religiose. La “questione vaticana”, assieme alla questione operaia e a quella meridionale, rappresenta uno dei nodi che il proletariato dovrà sciogliere instaurando la sua dittatura. Con la presa del potere da parte della classe operaia e dei suoi alleati saranno dichiarati nulli e senza effetto i Concordati e le varie intese stipulate dallo Stato italiano con le confessioni religiose. L’enclave della Città del Vaticano sarà annessa allo Stato italiano. Tutti i beni appartenenti alle istituzioni religiose saranno espropriati senza indennizzo. Tutti i cittadini avranno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa e di praticarne il culto, così come sarà assicurata la libertà di propaganda atea. Non sarà ammessa la propaganda religiosa a fini politici, e sarà eliminata ogni influenza delle religioni nelle scuole di ogni ordine e grado. Con il socialismo ed il comunismo sarà distrutta la pesante eredità dell’ideologia reazionaria e clericale.

Scintilla

organo di Piattaforma Comunista Mensile. Editrice Scintilla Onlus Dir. resp. E. Massimino Iscrizione ROC n. 21964 del 1.3.2012 Redaz: Via di Casal Bruciato 15, Roma Chiuso il 3.3.2013 - stampinprop.

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Firenze 17 marzo, convegno nazionale “Con Stalin per il Socialismo” Il prossimo 17 marzo a Firenze presso il DLF di V. Alamanni 4, si svolgerà dalle ore 9 alle 15 un convegno nazionale per ricordare, valorizzare e attualizzare il pensiero e l’opera del compagno Stalin a 60 anni dalla sua morte (5.3.1953). In questo convegno metteremo in risalto lo straordinario ruolo svolto da Stalin nella lotta contro il capitalismo e l’imperialismo, per il socialismo e il comunismo. Ma non sarà una celebrazione retorica o di carattere storiografico, bensì un momento e un aspetto del lavoro da sviluppare, in modo combattivo e unitario, nella situazione concreta, per dare una risposta ideologica e politica all’offensiva della classe dominante e rilanciare le ragioni della rivoluzione sociale del proletariato, per costruire una società senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Nei mesi scorsi, come i nostri lettori sanno, abbiamo lavorato per realizzare un convegno

unitario, evitando iniziative separate, per dare una risposta coesa e decisa, che faccia pesare la presenza dei comunisti nella situazione italiana. La base politica e ideologica comune di questa manifestazione sta nel riconoscimento della dittatura del proletariato, che il compagno Stalin ha edificato, consolidato e difeso, seguendo gli insegnamenti di Marx, Engels e Lenin. Dunque, nel giudizio positivo sul suo pensiero, sulla sua opera, sulla funzione svolta da Stalin in Unione Sovietica e nel movimento comunista internazionale. Ciò comporta la netta condanna del rovesciamento dello stato operaio e della conseguente restaurazione del capitalismo in URSS, ad opera dei revisionisti che con il XX congresso ufficializzarono le tesi antisocialiste e provocarono la divisione nel movimento comunista internazionale.

Auspichiamo che in questa iniziativa unitaria si sviluppi il confronto aperto e serrato sulle questioni che la profonda crisi capitalistica pone di nuovo all’ordine del giorno della lotta di classe degli sfruttati. Dal nostro punto di vista il convegno ha un’importanza in termini di dibattito e cooperazione tra forze che lavorano per la ripresa del movimento comunista ed operaio e che sentono la necessità di formare nel nostro paese un vero Partito comunista sulla base del marxismoleninismo. Hanno aderito all’iniziativa i seguenti partiti, organizzazioni e associazioni: Associazione Stalin, Centro di Cultura e Documentazione Popolare Resistenze.org, Circolo Culturale Proletario di Genova, Comitato Comunista Toscano, Comunisti Sinistra PopolarePartito Comunista, Fronte della Gioventù Comunista, G.A.Ma.Di., redazione Guardare

Avanti! La Città del Sole, Partito Comunista Italiano MarxistaLeninista, Piattaforma Comunista, Scintilla Onlus, Scintilla Rossa forum m-l e molti compagni a titolo personale. Invitiamo i comunisti, gli operai avanzati, i giovani rivoluzionari, gli antifascisti a partecipare!

Un esempio di internazionalismo proletario Il rapporto del compagno Stalin agli operai di Tifllis sullo sciopero generale inglese del 1926, che pubblichiamo come inserto di questo numero di "Scintilla", è un luminoso esempio di internazionalismo proletario. Nei primi mesi del 1926 la lotta di classe in Gran Bretagna aveva raggiunto un grado di estrema acutezza. I proprietari delle miniere chiedevano non solo il ritorno alle condizioni salariali precedenti all'accordo strappato dai minatori nel 1924, ma anche l'abolizione della legge delle 7 ore del 1919 e il ristabilimento del turno di otto ore. I sindacati minerari erano riusciti inizialmente a respingere l'offensiva padronale, riuscendo a mobilitare al proprio fianco l'intero schieramento delle Trade Unions britanniche e a imporre il rispetto dei minimi salariali; ma all'inizio del 1926, incoraggiati dall'atteggiamento del governo conservatore, gli imprenditori reclamarono nuovamente drastiche riduzioni salariali, il prolungamento

dell'orario di lavoro, accordi salariali regionali e nessun contratto collettivo nazionale. Quando i minatori respinsero queste condizioni jugulatorie, i proprietari dichiararono il 30 aprile la serrata delle miniere di carbone. Il 30 maggio il Consiglio generale delle Trade Unions aderì alla richiesta della Federazione dei minatori e proclamò lo sciopero generale in tutto il territorio nazionale. Il governo dichiarò allora lo stato di emergenza, fece affluire truppe nel Lancashire, in Scozia e nel Galles, e furono mobilitate tutte le forze reazionarie La Terza Internazionale dette tutto il suo appoggio alla lotta dei minatori e della classe operaia inglese. Nel Manifesto del Comitato Esecutivo del 25 aprile 1926 essa dichiarava: «La classe operaia di tutto il mondo deve avere ben chiaro qual è la posta in gioco oggi in Gran Bretagna. Sono in gioco gli interessi vitali degli operai di tutti i paesi. «La vittoria o la sconfitta dei minatori significano anche la vittoria o la sconfitta dell'intero

movimento operaio britannico. Lo sciopero dei minatori significa sciopero generale, e lo sciopero generale non potrà limitarsi ad essere una lotta economica, ma al contrario si trasformerà immediatamente in lotta politica. «La lotta per il salario, per l'orario di lavoro e per le condizioni di lavoro, data la brutalità della borghesia e del suo governo, assume sempre di più per gli operai l'aspetto di un problema di potere». Ma il dirigenti nazionali traditori delle Trade Unions rifiutarono il sostegno internazionale e l'aiuto sovietico, smobilitarono le masse proletarie, cedettero alle pressioni del governo e decretarono la fine dello sciopero.. «La classe operaia, smobilitata dai dirigenti, perdette così la più grande battaglia mai combattuta nella storia del movimento operaio britannico» (Tesi del Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista sugli insegnamenti dello sciopero generale in Gran Bretagna, 8 giugno 1926).

Il rapporto di Stalin agli operai di Tiflis, nel quale egli esprime la solidarietà totale del proletariato sovietico con la lotta dei minatori e dei proletari britannici, colpisce per la forza e la lucidità dell'analisi della situazione politica e sociale dell'Inghilterra degli anni '20 e del suo nesso con le tendenze di sviluppo del capitalismo internazionale, e per le critiche sferzanti che egli rivolge ai dirigenti sindacali inglesi, al Partito laburista e all'atteggiamento equivoco della II Internazionals socialdemocratica. Date le molte analogie che i nostri lettori troveranno fra la lotta di classe degli operai inglesi di allora e le lotte in cui è impegnata oggi la classe operaia italiana, segnaliamo, in particolare, l'importanza del penultimo capitolo del Rapporto staliniano (quello intitolato Gli insegnamenti dello sciopero generale). L’inserto verrà spedito in cartaceo ai nostri abbonati e inviato per email a tutti coloro che lo richiederanno.


marzo 2013

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Contro la guerra dei governi imperialisti Giù le mani dalla Siria, dall’Iran e dal Mali Con il “meeting dei Paesi Amici della Siria” svoltosi recentemente a Roma i piani guerrafondai hanno compiuto passi avanti. Nel chiamare a una ripresa della mobilitazione antimperialista, pubblichiamo la mozione scaturita dall’assemblea che si è tenuta al Centro di Iniziativa Proletaria G. Tagarelli il 10 febbraio 2013, organizzata dal Comitato contro la guerra di Milano. CONTRO LA GUERRA DEI GOVERNI IMPERIALISTI! GIÙ LE MANI DALLA SIRIA, DALL’IRAN E DAL MALI! Contro i bombardamenti e l’intervento militare imperialista in Siria, in Mali e le minacce all’Iran e ai popoli che si oppongono alla penetrazione imperialista resistenza ora e sempre. Il nemico è anche in casa nostra. L’art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, ripetutamente calpestato, recita: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” Il governo italiano, dopo tante chiacchiere sulle soluzioni

pacifiche dei c o n t r a s t i internazionali, ancora una volta sostiene chi ha fatto in passato il ricorso alle armi per difendere i suoi interessi. La crisi economica ha acuito i contrasti interimperialisti accentuando la lotta per il controllo delle materie prime, dei mercati e delle zone d’influenza strategiche e la g u e r r a commerciale è diventata guerra militare. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, organismo dominato dai maggiori paesi imperialisti, dopo le minacce, sostiene i bombardamenti e l’intervento militare imperialista per affermare il suo “diritto” a salvaguardare i suoi interessi cercando di imporre la pace con i suoi militari, missili, raid aerei e mercenari inviati sul campo. USA, Francia e Gran Bretagna, il Consiglio di sicurezza dell'ONU, compreso il governo italiano, fino a ieri sostenitore di Assad (ricevuto con tutti gli onori al Quirinale), stanno facendo pressioni per approvare una risoluzione che autorizzi la “no fly zone” sulla Siria, e sostengono l’intervento francese in Mali. Attraverso una grande campagna di disinformazione, fondata su menzogne, cercano di farci accettare la

partecipazione ad una aggressione criminale contro un Paese sovrano come la Siria. Come sempre si usano due pesi e due misure a seconda dei propri interessi, e si tace sui massacri compiuti dal governo sionista israeliano o sugli yemeniti massacrati da un regime reazionario. Contro le aggressioni imperialiste, noi lavoratori e cittadini, leviamo forte la nostra voce di dissenso e di protesta nelle assemblee di fabbrica, nei luoghi di lavoro e nelle mobilitazioni di piazza. Contro la guerra di aggressione alla Siria e al Mali sostenute dal governo italiano e da tutti i partiti di centrodestra e centrosinistra, ribadiamo la nostra opposizione attiva nelle fabbriche, nelle scuole, nelle piazze e ovunque sia possibile esprimere la nostra protesta. La sorte della Siria, del Mali e di tutti i paesi sovrani ed il loro

futuro va deciso dal popolo. Sono loro gli artefici del proprio destino. A loro spetta decidere il proprio futuro, senza ingerenze esterne o guerre umanitarie. Il nemico è in casa nostra: sono i padroni e il governo italiano, i partiti borghesi di centrodestra e centrosinistra che spendono miliardi di euro in armamenti per aggredire altri popoli a scapito dei più elementari diritti per la popolazione, come il diritto al lavoro, allo studio, alla salute, alla casa, ad una vita decente. Noi siamo a fianco degli operai, dei lavoratori e dei popoli di tutto il mondo che lottano contro le guerre imperialiste. Contro le guerre dei padroni, solidarietà internazionale fra i lavoratori e i popoli sfruttati di tutto il mondo. Sesto San Giovanni 10.02.2013 Mozione approvata all’unanimità

Viva l’8 Marzo delle donne proletarie! Riceviamo e pubblichiamo nel quadro della lotta per rivendicare e attualizzare questa importante giornata, nel suo originale significato anticapitalista e rivoluzionario, contro la deformazione commerciale di questa giornata.

il titolo scelto dalle mogli degli operai Fiat di Pomigliano organizzate in comitato per promuovere l’incontro del prossimo 8 marzo che è invece decisamente in sintonia con i loro sorrisi e la determinazione con la quale da quasi un anno affiancano le lotte dei loro uomini per difendere il posto di lavoro. Pasta al forno, dolce e un buon Può sembrare una provocazione bicchiere di vino seguiranno l’ assemblea convocata dalle donne

per le ore 11.30 nella sala convegni dello Slai cobas di Pomigliano. Un incontro, che senza nulla togliere alla più che mai necessaria riflessione sull’alto costo da sempre pagato dalle donne, ed oggi ancor di più nella moderna società dello sfruttamento globalizzato, porrà al centro l’organizzazione di un altro appuntamento significativo, quello del

1° maggio a Pomigliano voluto proprio dalle donne per dare un segnale forte e chiaro sulla necessità di rimettere al centro la Questione Operaia relegata ai “bordi del nulla” dai vari governi, politici e sindacalisti confederali negli ultimi decenni. Appuntamento: 8 marzo - h 11.30 sede Slai cobas Pomigliano Comitato Mogli Operai Pomigliano


marzo 2013

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Tunisia: non si ferma la mobilitazione popolare Il vile assassinio del compagno Chokri Belaid - commesso da banditi islamisti della L.p.r. - è stato diretto a colpire il movimento operaio e popolare, le forze progressiste i giovani disoccupati, le donne, e la loro espressione politica: il Fronte Popolare. Ma ha avuto l’effetto contrario, grazie alla capacità politica dei dirigenti del Fronte Popolare che hanno denunciato come mandante il partito al potere e chiamato allo sciopero generale. La risposta è stata massiccia. Come sappiamo in Tunisia si è aperto due ani fa un processo rivoluzionario di carattere democratico e antimperialista, che va avanti per tappe. In questo svolgimento il popolo tunisino – oppresso dall’imperialismo e dalle cricche reazionarie ad esso asservite – compie la propria esperienza politica e si convince della giustezza delle posizioni dell’avanguardia rivoluzionaria. Il suo potenziale rivoluzionario è lungi dall’essere esaurito, come non si è esaurito in Egitto. Le lotte non si sono mai fermate. Ma vi sono fasi di sviluppo che non possono essere scavalcate. Dopo l’assassinio di Belaid le masse si sono nuovamente mobilitate mentre la borghesia tunisina è spaccata. Vi sono fratture nella troika al

potere, ed anche dentro Ennhada, il partito islamista che si muove in continuità col regime di Ben Alì e non vuole cedere il potere. Le dimissioni del premier Jebali acusicono la crisi politica. Come può evolvere la situazione? E’ chiaro che le forze reazionarie cercano di impedire con ogni mezzo che le forze popolari avanzino e raggiungano delle vittorie. Dopo più di un anno di assemblea costituente la costituzione non è stata varata. La borghesia compradora, quella di stato, i padroni, i latifondisti, vogliono cambiare poco o nulla. Vogliono che le trasformazioni politiche e sociali siano parziali, limitate, monche. Si rifiutano di prendere le misure urgenti che la situazione richiede. Si sono dimostrati pronta a sabotare e a tradire la rivoluzione. Hanno bisogno del vecchio potere, del vecchio apparato, delle vecchie leggi, della corruzione, dell’oscurantismo religioso. Così come hanno bisogno dei legami con le multinazionali, del modello neoliberista e della protezione imperialista per continuare ad arricchirsi, schiacciando le masse lavoratrici e saccheggiando il paese. La borghesia ha boicottato la rivoluzione democratica, cercando l’intesa con le forze più

reazionarie (i salafisti) e con l’imperialismo che ieri sosteneva Ben Alì, ed oggi Ennhada. USA e UE hanno interesse a una soluzione moderata, in funzione degli interessi dei capitalisti che vogliono sfruttare a sangue gli operai tunisini. Difendono gli interessi delle banche che strozzano con il debito estero i popoli. Non bisogna sottovalutare il ruolo dell’imperialismo che interviene militarmente e politicamente nell’area per rapinare risorse, controllare punti strategici, assicurare lo sfruttamento intensivo della classe operaia. Il suo obiettivo è quello di restaurare forme di governo autoritario/militare e assicurare gli interessi economici e politici messi in discussione dalla sollevazione di due anni fa. La rivoluzione tunisina verrà

portata a compimento se il proletariato, saprà mettersi alla sua testa e portarla sino in fondo; se il proletariato, divenendo la forza dirigente della rivoluzione democratica popolare, saprà assicurare l’alleanza con le vaste masse popolari, i giovani disoccupati e studenti, i contadini poveri, le donne oppresse, mantenendo la loro unità e rafforzando le forme di auto-organizzazione popolare (comitati popolari, etc.). Il Fronte Popolare esprime la necessità per il proletariato di avere alleati di massa e privare la borghesia delle sue riserve. E’ la sola vera alternativa di governo, capace di portare avanti gli obiettivi del 14 gennaio 2011. Nel braccio di ferro in atto in Tunisia è di fondamentale importanza sviluppare la solidarietà internazionalista.

Libertà subito per Samer Issawi! Samer Issawi sta morendo. Giunto ormai ad oltre 200 giorni di sciopero della fame in un carcere israeliano, le condizioni di salute del prigioniero palestinese sono critiche. Samer pesa ormai 47 chili, non tocca cibo da agosto e rifiuta le cure mediche della clinica militare di Ramleh. Vive in una sedia a rotelle e vomita sangue. "Il suo cuore potrebbe fermarsi in qualsiasi momento", ha detto Daleen Elshaer, coordinatore della campagna Free Samer Issawi. Ma Samer dice di non preoccuparsi perchè la sua battaglia non è solo per la sua personale libertà, ma contro l’occupazione israeliana che umilia un intero popolo. Trentatre anni, residente a Gerusalemme Est, Samer sta

attuando lo sciopero della fame in segno di protesta per il suo l'arresto illegale, avvenuto dopo la sua liberazione tramite l'accordo di scambio dei prigionieri palestinesi con il soldato israeliano Shalit. Ed oggi muore nel silenzio del mondo “democratico e libero”. La lotta di Samer e degli altri prigionieri palestinesi è parte integrante della resistenza all’occupazione sionista e infatti sta rilanciando le proteste popolari nei territori occupati, in cui spicca il ruolo svolto dai comitati popolari. Le carceri israeliane sono uno dei modi per infliggere sofferenze ai palestinesi, rappresentano la roccaforte della tortura, delle violazioni dei diritti umani, delle pratiche illegali e

della negazione dell’assistenza sanitaria. I sionisti violano sistematicamente i diritti umani del popolo palestinese all'interno di Israele con il suo sistema di apartheid legalizzata e di discriminazione, e nei territori occupati con il loro sistema di oppressione politica, sfruttamento economico e pratiche disumane, in risposta

alla ribellione palestinese contro l'oppressione e lo sfruttamento. Solidarietà con l'eroe Samer Issawi! Esigiamo la sua scarcerazione immediata! Ecuador: i “10 di Luluncoto” condannati senza prove per giustificare un anno di prigione e creare un precedente antiproteste popolari. Vergogna!


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