Teoria & Prassi rivista teorica di Piattaforma Comunista
settembre 2010
n. 21
«Non passa una settimana, non passa quasi un solo giorno senza che qua o là ci sia uno sciopero - ora a causa di diminuzioni di salario, ora per un negato aumento, ora per un rifiuto di abolire soprusi o cattivi regolamenti, ora per nuove macchine, e ora infine per altre cento e cento cause. Questi scioperi sono in generale avvisaglie d'avamposti, talvolta combattimenti più notevoli; essi non decidono nulla, ma sono la prova più sicura che si avvicina la battaglia decisiva tra la borghesia e il proletariato. Sono le scuole di guerra degli operai in cui essi si preparano alla grande inevitabile lotta». FRIEDRICH ENGELS, La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845)
Teoria & Prassi, n.21 - settembre 2010 rivista teorica di Piattaforma Comunista (aderente alla Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti) - versione digitale -
Indice: Sviluppi della crisi e prospettive rivoluzionarie................................................................ 3 Crisi economica e trasformazione reazionaria dello stato e della società...................... 5 Verso quale partito operaio?.............................................................................................. 14 Ancora su coordinamenti, comitati e consigli................................................................... 20 Lettera aperta alla “Cgil che vogliamo”........................................................................... 24 Per chi suona la campana?................................................................................................. 28 Die Linke, ovvero il “socialismo piccolo-borghese del 21° secolo”................................. 30 Sullo spostamento del centro di gravità mondiale e l’ascesa della Cina ....................... 33 Il contributo della III Internazionale comunista alla formazione teorica e politica dei partiti comunisti nei loro primi anni di vita............................................ 40 Documentazione internazionale........................................................................................ 46 La redazione invita tutti i lettori ad esprimere la propria opinione sul contenuto di questo numero della rivista. Invita altresì a segnalare indirizzi email individuali o collettivi di possibili interessati a ricevere le nostre pubblicazioni. La redazione di Teoria & Prassi ringrazia la giornalista E. Massimino la quale, dando prova di grande sensibilità democratica, ha assunto la direzione responsabile di questa rivista permettendoci di adempiere alle formalità richieste dalla legge sulla stampa. Ribadisce, comunque, che la responsabilità politica degli articoli pubblicati è solo ed esclusivamente redazionale.
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Teoria & Prassi n. 21 Editoriale
SVILUPPI DELLA CRISI E PROSPETTIVE RIVOLUZIONARIE n quale situazione concreta si colloca oggi il nostro impegno teorico-pratico, principalmente volto alla ricostruzione del partito comunista? Un rapido affresco permetterà di inquadrare le caratteristiche del periodo attuale e le prospettive che si delineano. Il punto inferiore della caduta produttiva e commerciale, determinata in definitiva dalla contraddizione fra il carattere sociale della produzione e la proprietà privata capitalista dei mezzi produttivi, è stato raggiunto circa un anno fa, dopo un crollo senza precedenti nel dopoguerra per quantità, rapidità e diffusione. Ciò non comporta però il superamento degli squilibri e l’inizio di una risoluta crescita dell’economia mondiale. Dopo tre anni di crisi vediamo che nei principali paesi imperialisti occidentali i deboli sintomi di ripresa si alternano alle frenate. Un esempio di queste ultime: il tracollo verticale della produzione automobilistica in Italia (l'immatricolazione delle auto è diminuita del 26% dopo la fine degli incentivi statali).
dei deficit aumenteranno i problemi e l’incertezza esistenti, che può sfociare in una nuova recessione e scoppi di bolle speculative. Il corso della crisi economica è fortemente influenzato dal crescente carattere parassitario del capitalismo. Nulla è stato fatto a livello globale per dare un ordinamento diverso all’alta finanza, a conferma che l’imperialismo è irriformabile perchè i monopoli finanziari, le loro agenzie di rating, le istituzioni dell’oligarchia, non possono accettare misure che ostacolano il raggiungimento del massimo profitto. Osserviamo una più spiccata disuguaglianza tra gli andamenti dei diversi paesi capitalistici sviluppati ed emergenti. Il ciclo si è spezzettato e i vagoni del treno mondiale del capitalismo viaggiano a velocità ancora più diverse rispetto a prima, con Cina, India e Brasile a ritmi del 7-10% e l’UE praticamente ferma. Procede la tendenza alla riduzione della percentuale globale di PIL degli USA, dell’eurozona e del Giappone. Gli USA rimangono la principale potenza imperialista, ma sono in declino storico. Il dollaro perde importanza (è la bilancia commerciale della Cina a mantenerlo come valuta di riserva mondiale). Il peso del capitalismo cinese, di quello indiano, brasiliano, ecc. vanno aumentando velocemente. Siamo dunque di fronte ad una modificazione nei rapporti di forza tra le potenze imperialiste, preparato negli ultimi decenni. Una conseguenza di ciò è che oggi non c’è nessuna locomotiva capitalista in grado di trainare l’intero convoglio. Ciò ha conseguenze profonde sui tempi e sui ritmi e della ripresa. Un aspetto cruciale per la valorizzazione del capitale è il rinnovamento del processo produttivo e il risparmio energetico. Senza tali modificazioni non può esservi una crescita del saggio di profitto nei settori di punta. Ciò ha a che vedere con l’inasprimento della contesa per il controllo delle materie prime strategiche, delle fonti energetiche, dell'acqua, delle vie di trasporto, delle sfere di influenza, ecc. Nella crisi si è accentuato il corso aggressivo della politica imperialista, specie di quella USA, che si sforza di mettere in riga le potenze emergenti. Il proseguimento della guerra in Afghanistan, le minacce sempre più violente all’Iran, l’installazione di basi in Colombia e il tentativo di destabilizzare il
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La crisi da sovrapproduzione relativa persiste, come dimostrano gli impianti ampiamente inutilizzati, dopo aver ricostituito le scorte di magazzino. Il contrasto fra la produzione e il consumo si manterrà a causa della minore capacità di acquisto dei lavoratori, del crescente impoverimento della classe operaia e di ampi settori di piccola borghesia, dell’aumento della disoccupazione, dello sfondamento dei deficit statali. Le manovre di rientro
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Teoria & Prassi n. 21 Venezuela, la Bolivia, il Nicaragua, l’occupazione militare di Haiti, il cambio di strategia verso la RPD di Corea, l’incremento del blocco contro Cuba, indicano un’escalation militarista dell’amministrazione Obama e l’aumento degli antagonismi bilaterali e multilaterali. Nel Medio Oriente la politica criminale dello stato sionista, oggi più isolato nell’area mediterranea, si è accentuata con l’obiettivo di spingere gli USA (in difficoltà nell’esercitare la loro supremazia sui processi politici della regione) in avventure militari e conservare il proprio ruolo strategico. Le contraddizioni in quella area si vanno accumulando ed è possibile che esplodano in una nuova guerra di aggressione. Un aspetto importante della crisi attuale è che essa si è trasformata nella crisi del debito, il cui epicentro è nell'UE. Si tratta di una crisi ancor più pericolosa per l'imperialismo, poiché la bancarotta riguarda non più singole banche, ma interi stati. La speculazione sul deficit greco ha indebolito l'euro. Obiettivamente c'è stata una convergenza fra gli interessi degli speculatori finanziari e quelli degli USA che cercano di garantire l'egemonia del dollaro. L’operazione dunque può ripetersi su altri anelli deboli. Ma il vero motivo della crisi dell'euro è da cercare nello sviluppo ineguale dei paesi capitalisti. L’imperialismo tedesco ha imposto la politica di austerità e l'UE ha deciso che devono pagare i popoli. In tutti i paesi si varano piani di austerità che colpiscono gli standard sociali, le indennità di disoccupazione, le pensioni, le pensioni l'educazione, la sanità, i servizi sociali, ecc. Aumenta la pressione sulla classe operaia e le masse popolari. Si va verso un modello di stato borghese “snello” e poliziesco. Dopo la crisi finanziaria del 2007 i capi di governo dissero che l'UE proteggeva i paesi dalla crisi finanziaria. L'eurozona è stata presentata come barriera protettiva. Per decenni la borghesia e i riformisti di tutto il vecchio continente hanno promosso la frottola dell’ “Europa sociale”. Ma ora la classe dominante mette in discussione ciò e gli aspetti della propaganda solidaristica europea vanno a rotoli. C'è chi vuole andare avanti su un nucleo ristretto di paesi e con un sistema di decisioni più centralizzato; chi vuole bastonare ed estromettere gli stati con deficit eccessivo. Emergono profonde differenze di interessi fra le oligarchie europee. L’UE come istituzione imperialista è sempre meno unita e fra qualche anno avremo un quadro profondamente cambiato. In questo scenario si affacciano posizioni anti-UE reazionarie e posizioni progressiste. Queste
ultime vanno appoggiate per affermare il sacrosanto diritto ad uscire dalla gabbia imperialista e aprire la via ad una alternativa rivoluzionaria. Le strategie di rientro dal debito, sommate agli effetti della perdurante crisi capitalistica, inaspriscono terribilmente le condizioni della classe operaia e dei popoli. La questione sociale si acutizza. Sul piano economico la crisi vuol dire licenziamenti di massa, riduzione dei salari e delle pensioni, demolizione della contrattazione collettiva e dei diritti dei lavoratori, ulteriori privatizzazioni; sul piano politico si manifesta come involuzione autoritaria a tutto campo. Sono le esigenze monopolistiche a determinare il processo reazionario (come spieghiamo nell'articolo specifico sul caso italiano).
Una delle particolarità della crisi è che si è sviluppata nel periodo storico seguente la sconfitta temporanea e transitoria, ma assai pesante, del socialismo. In questo contesto svantaggioso per la classe operaia, l'evoluzione delle relazioni fra capitale e lavoro all'interno della crisi sta subendo delle modificazioni. I capitalisti e i loro governi intendono utilizzare la crisi non solo per scaricare nell’immediato il peso sulle spalle delle masse lavoratrici, ma anche per massimizzare i profitti negli anni a venire, aumentando lo sfruttamento in fabbrica, cancellando i diritti e le conquiste ottenuti a prezzo di dure lotte. Vogliono cioè approfittare del vantaggio acquisito per stabilire nuovi rapporti di forza. Per riuscirvi devono fare i conti con la ripresa del conflitto di classe. In Europa, in particolare, abbiamo visto svilupparsi negli ultimi mesi una delle più vigorose ondate di lotta degli ultimi decenni, in riposta alla macelleria sociale. Le politiche anti-deficit mettono a nudo la sostanziale omogeneità delle politiche e dei programmi delle forze borghesi. L'influenza della socialdemocrazia e dei riformisti nella classe operaia
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Teoria & Prassi n. 21 è in rapida diminuzione ed è sempre più visibile il contrasto fra movimento operaio ed opportunismo. Tutto ciò fa sì che tra i lavoratori sfruttati vadano svanendo molte illusioni e molti pregiudizi, frutto della fase precedente. La love story col capitalismo è agli sgoccioli per molti lavoratori che hanno perso fiducia nelle possibilità di miglioramenti nell'ambito di questo sistema. Per i giovani si presenta una situazione inedita: per la prima volta nell'occidente imperialista un’intera generazione avrà condizioni di vita e di lavoro peggiori di quella precedente. Ciò comporta delle modificazioni profonde nella visione del mondo di milioni di sfruttati, oggi più disposti alla lotta. E’ importante che strati politicamente attivi del proletariato comincino a guardare in modo diverso alla borghesia e si pongano nuovamente di fronte al problema di un'alternativa concreta al capitalismo, senza più dimostrare un atteggiamento di diffidenza o di repulsione verso il socialismo. In tale situazione, in cui le basi sociali dei partiti borghesi-riformisti sono più mobili, in cui l'insofferenza delle masse cresce e vi sono migliori condizioni per lo sviluppo della lotta di classe, si distaccano i compiti e le responsabilità dei comunisti. Le direttive fondamentali per conquistare strati sempre più ampi del proletariato e creare migliori condizioni per lo sviluppo della lotta rivoluzionaria possono essere fissate nelle seguenti: a) lotta contro l'offensiva del capitale, per l'organizzazione di una larga controffensiva operaia che si proponga di rovesciare la crisi sulla testa dei capitalisti, dei ricchi, dei parassiti; b) lotta contro la reazione borghese in tutte le sue forme, per la difesa delle libertà e dei diritti conquistati dai lavoratori; c) lotta contro le aggressioni imperialiste e la preparazione di una nuova guerra di ripartizione del mondo, per il trionfo delle lotte di liberazione e nazionali, per la solidarietà internazionalista dei lavoratori e dei popoli. Lo sviluppo del fronte unico di lotta del proletariato necessita del sostegno attivo di tutte le lotte e le rivendicazioni economiche e politiche delle masse lavoratrici e dei disoccupati che non vogliono pagare la crisi.. Unirsi per resistere e contrattaccare, lottare affinché la classe operaia diventi la classe dirigente dell’intero movimento popolare: ecco la via da seguire. I compiti del lavoro di massa, gli accordi politici e sindacali, le piattaforme rivendicative, ecc. vanno situati all'interno di queste linee generali. Un'uscita dalla crisi favorevole ai lavoratori non può essere raggiunta senza mettere in discussione la proprietà capitalistica e il potere dei monopoli
finanziari, senza lavorare per una profonda e radicale rottura politica con l’antistorico, antiumano e antinaturale regime capitalista. La crisi stessa dimostra la necessità ineluttabile di riplasmare il sistema generale dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, del credito, sulla base della proprietà sociale dei mezzi di produzione e di scambio e del potere in mano ai lavoratori. La lotta per instaurare il socialismo è l'unica alternativa razionale e necessaria per superare le contraddizioni e gli errori di fondo dell’attuale società, per mettere fine ad un sistema assurdo, che non abbandonerà la scena da solo. Dovrà essere abolito con la lotta di massa rivoluzionaria che aprirà la via ad un mondo giusto ed ugualitario, volto a soddisfare i bisogni materiali e culturali dei lavoratori, ecocompatibile, capace cioè di garantire la sopravvivenza stessa della specie umana. Piattaforma Comunista mentre dà impulso all'unità della classe operaia e dei movimenti popolari, promuove questa alternativa, in legame indissolubile col Movimento Comunista Internazionale, di cui la Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML) è la massima espressione. A tal fine chiama i migliori elementi del proletariato a compiere i passi necessari per avvicinare la ricostruzione del Partito, rompendo decisamente con gli opportunisti e unendosi ai marxisti-leninisti per rafforzarsi tanto in campo teorico – applicando il marxismo-leninismo alle circostanze concrete - quanto in quello politicoorganizzativo.
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CRISI ECONOMICA E TRASFORMAZIONE REAZIONARIA DELLO STATO E DELLA SOCIETA’ BORGHESE IN ITALIA L’articolo che segue, redatto nel febbraio 2010, è stato pubblicato (in lingua spagnola) sul n. 20 della rivista “Unidad y Lucha”, organo della Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti. Lo presentiamo ai lettori con alcuni aggiornamenti relativi ai dati statistici ed alla situazione politica. a crisi economica mondiale ha colpito l’imperialismo italiano in modo più grave di quanto gli economisti borghesi ammettono. Nel biennio 2008-9 il PIL è sceso di 7 punti, quasi la metà della crescita registrata nei dieci anni precedenti. Il volume della produzione industriale nel corso della fase depressiva è sceso fino ai livelli del 1987 e non si prevede che ritornerà ai livelli antecedenti la crisi prima del 2015. Le esportazioni sono crollate del 22%. Nel solo 2009 vi sono stati 9.400 fallimenti di impresa. I sintomi di ripresa sono deboli. Anche se il calo della produzione si va arrestando, la sovrapproduzione non è ancora risolta e la ripresa rimane lontana: gli impianti sono largamente inutilizzati, le scorte di magazzino si sono ulteriormente ridotte, gli investimenti rimangono ai minimi. Senza “pacchetti di stimolo” finanziari e incentivi fiscali la recessione proseguirebbe. Ne è riprova il crollo delle immatricolazioni registrato dalla Fiat nel luglio 2010 (-35%). Questo perché la forte riduzione del potere di acquisto dei lavoratori - che dura da almeno 15 anni ed è aggravata dalla crescente disoccupazione - impedisce lo sviluppo della domanda interna; l'export da parte sua è frenato dal prezzo dell'euro e dalla bassa produttività, dovuta a scarsi investimenti in capitale fisso, ricerca, formazione. I capitalisti approfittano della crisi per varare ristrutturazioni e trasferire la produzione dove i salari sono più bassi. Dopo aver incassato finanziamenti pubblici per sanare i bilanci, vengono tagliati i “rami secchi” e chiusi interi stabilimenti. Tra l’aprile 2008 e il marzo 2010 circa 815.000 lavoratori sono stati espulsi dalla produzione, in particolare i giovani precari; la cassa integrazione è aumentata del 311% e per molti operai non vi sarà rientro in fabbrica. Il tasso di disoccupazione reale supera il 10%, quello giovanile è al 30%. Il 4,7% delle famiglie versa in povertà assoluta, e la loro condizione peggiora di anno in anno. Il reddito dei lavoratori si è ridotto nel solo biennio 2008-9 del 3,4%. Allo stesso tempo i capitalisti tendono costantemente a ridurre i salari reali, che sono fra i più bassi dei paesi industrializzati. Di conseguenza procede senza interruzioni l’immiserimento del
proletariato e di larghi strati di lavoratori, delle masse popolari del meridione, che sono spinti a indebitarsi per mantenere gli standard di consumi. Negli ultimi due anni il rapporto fra debito pubblico e PIL è gonfiato di dodici punti percentuali, giungendo al 115,8%. Dopo aver adottato misure per stabilizzare del sistema finanziario, ricapitalizzando le banche più esposte e destinando denaro ai monopoli (nel 2008 il 78% dei prestiti bancari è andato alle grandi imprese), l’intervento statale si è indirizzato a rafforzare la centralizzazione e la concentrazione capitalistica. Scarse sono state le misure anti-cicliche adottate dal governo Berlusconi, in particolare quelle volte a sostenere il reddito dei lavoratori e l'occupazione. Si è scelto di puntare sulla retorica delle “grandi opere”, ma ciò finora non ha avuto alcun impatto sulla ripresa. Dal fondo della crisi – tutt'altro che conclusa e aperta a nuove cadute – la borghesia uscirà molto lentamente, attraverso una lunga fase di crescita anemica, con un apparato produttivo drasticamente ridimensionato e degradato (specie le microimprese e il sud del paese) e con pochi monopoli (Fiat, Eni, Pirelli-Telecom, Enel, Generali e la multinazionale “Mafia”) che dovranno affrontare una più agguerrita concorrenza internazionale, sia fuori che dentro casa.
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Teoria & Prassi n. 21 Nel prossimo periodo l’imperialismo italiano, caratterizzato da imprese sottodimensionate, frammentate, non presenti nei settori chiave dell'economia, con pochi capitali e molti debiti, falcidiate dalla crisi, continuerà dunque a declinare. Perderà quote di mercato, peso e importanza in confronto delle altre potenze imperialiste e capitaliste (vecchie e nuove), si troverà sempre più schiacciato, marginalizzato, costretto a competere su trincee arretrate, assediato dall’alto e dal basso. Perciò tenderà a reagire blindando le sue casematte finanziarie, aumentando allo spasimo il parassitismo e lo sfruttamento, distruggendo il sistema di conquiste e diritti dei lavoratori, dequalificando la forza-lavoro. Questi mutamenti nella base economica comportano delle profonde trasformazioni nella sovrastruttura. La crisi sta velocizzando la riorganizzazione della dittatura della classe borghese e determinando un rafforzamento della reazione politica e giuridica. Si tratta di un processo che va avanti da decenni, ma che oggi vede una decisa accelerazione. Nell'articolo apparso sul numero 18 di “Unità e Lotta”, scrivevamo che il governo di Berlusconi ”tende a trasformarsi in un regime reazionario della grande borghesia“. Tale svolgimento è proseguito nell’ultimo periodo attraverso: • l’uso sfrenato della decretazione di “urgenza” e del voto di “fiducia” con i quali si esautorano le prerogative parlamentari (solo il 13% delle leggi approvate nel corso di questa legislatura sono di iniziativa parlamentare, mentre l’87% è di iniziativa del governo); • approvazione del “pacchetto sicurezza” (militarizzazione del territorio anche con l’esercito, legalizzazione delle ronde razziste contro i migranti, respingimenti in mare, costruzione di lager per rinchiudere ed espellere i “clandestini”), promozione del razzismo e della xenofobia per mettere i lavoratori italiani contro quelli stranieri e distogliere le masse dalla gravità dei problemi esistenti; • rafforzamento delle operazioni belliche all’estero (per un tot. di 8.300 militari, di cui 3.200 in Afghanistan), aumento spesa militare, produzione aerei da guerra F-35 e ampliamento delle basi USA (come a Vicenza); • costruzione di nuove centrali nucleari in siti controllati dall'esercito (contro la volontà popolare espressa nei referendum del 1987); • privatizzazione dell’acqua e del settore acquisti della Difesa; • progetto di riforma della giustizia per subordinarla al potere esecutivo, varo di leggi per garantire
l'impunità dei membri del governo, e la protezione assoluta del premier per ogni tipo di reato; • cancellazione dei processi in cui sono imputati i padroni per aver violato le norme di sicurezza sul lavoro e provocato danni all’ambiente; • promozione della revisione della Costituzione (sia la I parte, relativa ai diritti democratico-borghesi, sia la II parte, tra cui l’art. 41 per favorire la piena libertà di impresa) e ulteriori modifiche restrittive della legge elettorale; • vasta attività di corruzione politica, uso di tangenti e scandali politico-sessuali per ricattare ed eliminare rivali; • emanazione della legge sul federalismo fiscale a vantaggio dei gruppi borghesi dominanti nel Nord del paese; • distruzione del sistema di istruzione pubblica, aziendalismo e autoritarismo nelle scuole, forme di esclusione dei giovani dalla scuola sempre più estese; • disegno di legge oscurantista sul testamento biologico; • riforma del mercato della forza-lavoro, riduzione del ruolo della contrattazione nazionale ottenuta tramite accordi separati con i vertici sindacali collaborazionisti; discriminazione dei sindacati che si rifiutano di firmarli; • negazione del diritto dei lavoratori di votare sui contratti di lavoro ed eleggere rappresentanze sindacali, aggressione al diritto di sciopero e ai diritti previsti dalla Statuto dei lavoratori, provocazioni antisindacali e antioperaie; • repressione poliziesca per colpire picchetti operai, scioperi e manifestazioni; denunce, arresti e condanne pesanti per militanti sindacali, antifascisti, occupanti di case, studenti in lotta; torture e omicidi in carcere contro rivoluzionari e proletari che non si arrendono; costruzione di nuove carceri; • uso, a bassi livelli, della strategia della tensione per bloccare lo sviluppo dei movimenti di massa; • censura mediatica delle lotte operaie e popolari, attacchi alla stampa e ai giornalisti critici verso il governo, tentativo di bloccare i siti internet, blog, facebook, ecc.; propaganda di regime “a reti unificate”, costante criminalizzazione dei movimenti di protesta; • rafforzamento di intercettazioni telefoniche, ascolto ambientale, localizzazione gsm, videosorveglianza, controllo e-mail, ecc.; • intensificazione della sorveglianza, della persecuzione e della repressione contro comunisti, rivoluzionari, antifascisti; • appoggio politico, protezione e finanziamento dei
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Teoria & Prassi n. 21 gruppi neofascisti con base nella piccola borghesia urbana declassata.
carattere episodico, bensì strategico, fungendo da battistrada di quella ”Europa fortezza” protetta da stati di polizia, in particolare nell'aggressione contro i migranti. Sul piano politico il principale obiettivo della grande borghesia, è dividere e immobilizzare la classe operaia, piegare la sua resistenza. Lo fa isolando i suoi settori più combattivi, disgregando le sue organizzazioni di lotta, colpendo i suoi diritti e agibilità, disarmandola politicamente e ideologicamente, impedendo la sua alleanza con classi e strati popolari oppressi dai monopoli. Nel prossimo periodo l'oligarchia finanziaria, incapace di aprire un periodo di crescita ai livelli dei precedenti cicli economici e di dare risposte alle rivendicazioni economiche e politiche delle classi subalterne, continuerà a portare avanti la sua politica di accaparramento della ricchezza prodotta, di spoliazione delle classi lavoratrici, di regressione sociale e di aggressività politico-militare. Perciò tollererà sempre meno le conquiste democratiche dei lavoratori, i diritti sociali e sindacali, la politica di concessioni, gli istituti costituzionali e parlamentari che ostacolano la sua azione piratesca, cercando di bloccare con ogni mezzo lo spostamento del proletariato su posizioni rivoluzionarie.
La fonte della reazione e del fascismo Come si può osservare, il governo Berlusconi ha inasprito la reazione in tutti i campi, sovvertendo i principi e le garanzie costituzionali, adottando misure antidemocratiche e rafforzando in modo impressionante il potere esecutivo. In altre realizzando il vecchio piano della loggia massonica filo-statunitense denominata “P2”.
Questo sempre più spiccato riordinamento autoritario dello Stato e delle istituzioni borghesi corrisponde a precise esigenze del capitale monopolistico: a) scaricare sui lavoratori tutte le conseguenze della crisi economica, incrementando lo sfruttamento e calpestando le loro libertà e diritti; b) aumentare i profitti e la capacità di concorrenza con gli altri paesi imperialisti; c) partecipare alle guerre imperialiste di saccheggio sotto l’egida della superpotenza USA. In Italia attualmente il battistrada della reazione politica e dell’autoritarismo è la FIAT guidata dal fascista Marchionne, che di concerto col governo Berlusconi punta a realizzare un regime autoritario in cui sia garantita la libertà assoluta al grande capitale e siano azzerati i diritti dei lavoratori. L'involuzione politica è legata alle crescenti difficoltà in cui versa il fragile capitalismo italiano e alla necessità di intensificare il predominio dei monopoli sull'economia e sulla società: controllando direttamente lo Stato e ponendolo al servizio dei propri esclusivi interessi, utilizzando i suoi apparati per rapinare reddito dagli sfruttati e massimizzare i profitti, armandolo per difendere i mercati di sbocco e rapinare risorse energetiche, approvando misure volte ad “abbattere i costi di produzione” (salari, evasione fiscale, ecc.) “recuperare competitività” e garantire “impunità” per un’oligarchia finanziaria sempre più trincerata all’interno e all’esterno. La trasformazione reazionaria in Italia non ha quindi
Obiettivi borghesi per il prossimo futuro Nel dicembre 2009 Berlusconi, che si trovava in seria difficoltà politica, ha approfittato dell’aggressione subìta a Milano, drammatizzata ad arte, per ottenere alcuni scopi politici: compattare una maggioranza parlamentare che si stava disgregando, mettere alle corde un’imbelle opposizione parlamentare e cercare di illegalizzare una vasta opposizione sociale che si era espressa in forme anche inedite. Sulla base di questa manovra ha immediatamente rilanciato una nuova stagione di controriforme. Il 2010 sarà un anno cruciale (nel bene e nel male) per il furfante al governo e le forze capitalistiche che lo appoggiano, pronti ad andare a elezioni anticipate per sbarazzarsi di ogni freno e realizzare il loro piano eversivo. Nel programma della destra vi sono le “riforme costituzionali” volte a realizzare un regime autoritario di tipo presidenzialista, con un esecutivo dotato di maggiori poteri decisionali e in posizione dominante rispetto a Parlamento e magistratura, senza organi di garanzia e con strumenti (controllo media, meccanismi elettorali, appoggio dei vertici sindacali collaborazionisti, ecc.) in grado di assicurargli vasto consenso. E' previsto anche un Senato federale, per soddisfare i
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Teoria & Prassi n. 21 famelici appetiti della borghesia “padana” rappresentata dalla Lega Nord. L'argomento demagogico per coprire questa operazione è la riduzione del numero dei deputati, funzionale a togliere al proletariato qualsiasi possibilità di rappresentanza politica parlamentare. Altre riforme in cantiere sono: quella della istruzione superiore, per completare il processo di “aziendalizzazione” della scuola; quella fiscale, mirante a favorire le aziende capitaliste, i redditi alti, gli evasori fiscali, tagliando ancora i servizi sociali e le pensioni. Sul piano politico-istituzionale siamo di fonte al tentativo di liquidare la tradizionale divisione fra i poteri, rafforzando al massimo grado il potere del capo del governo e della cricca che lo circonda, espressione di una frazione di oligarchia finanziaria che vuol governare a nome e per conto di quel 10% di miliardari che possiede circa la metà della ricchezza in Italia. Con questa spasmodica concentrazione del potere la borghesia imperialista vuole monopolizzare l'intera vita nazionale, ottenere il controllo pieno e totale sulle dinamiche decisionali, eliminare i tradizionali “ostacoli” (la lentezza dell’azione parlamentare, gli organismi di “controllo”, le relazioni sindacali e soprattutto i diritti dei lavoratori) che la rallentano la sua azione di rapina e la distruzione delle conquiste sociali. Oggi il disegno reazionario vede come protagonista il “Popolo della Libertà” di Berlusconi, che persegue un programma di controriforme economiche ed istituzionali associato al varo di leggi volte a salvaguardare gli interessi economici del capo del governo. La nascita di questo partito delle forze di destra (in cui sono stati assorbiti molti elementi fascisti), con un'ampia base nelle classi intermedie, ha modificato la situazione per un periodo che non sarà breve. Se la situazione economica peggiorerà ulteriormente e le fondamenta dell’ordine borghese fossero scosse da un'ondata rivoluzionaria, la classe al potere - non essendo più in grado di conservare il potere con i metodi parlamentari e pseudo-democratici - si sposterà su posizioni apertamente fasciste, suscitando movimenti antiproletari violenti. Questo pericolo esiste e non va sottovalutato. Esso si manifesta come tendenza, e la borghesia già adotta metodi fascisti per reprimere i lavoratori, specie quelli immigrati. Gli scopi del fronte reazionario non sono sostanzialmente diversi da quelli dei fascisti, poiché tendono a distruggere l'organizzazione e le libertà dei lavoratori. Ma il fascismo, in quanto
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forma di stato, non è uno sbocco inevitabile, poiché la classe operaia può fermarlo e batterlo. In ciò ci differenziamo da quei gruppi che danno per scontato il passaggio al fascismo, oppure ritengono di essere già in un regime fascista. Politicamente ciò significa non permettere alla classe operaia di organizzarsi e lottare efficacemente contro l'instaurazione della dittatura aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale monopolistico finanziario. Conflitti fra istituzioni e partiti borghesi Sappiamo che “la reazione politica su tutta la linea è propria dell'imperialismo” (Lenin). Chiaramente l’offensiva antidemocratica si sviluppa in determinate condizioni storiche, attraversa una serie di tappe, caratterizzate da esitazioni e conflitti interni. Questi conflitti si sviluppano nelle istituzioni e i partiti borghesi, fra i monopoli capitalisti, fra l’oligarchia finanziaria e le classi con cui mantiene un sistema di alleanze e di compromessi. In Italia il tentativo reazionario in atto comporta una rottura degli equilibri su cui si è finora fondato il dominio della classe sfruttatrice e uno scuotimento dell'ordine costituzionale vigente. Si determina quindi un conflitto senza precedenti fra i diversi organi della repubblica borghese italiana (parlamento, governo, presidente della repubblica, magistratura, corte costituzionale, ecc.). Sul piano politico tutte le forze borghesi, siano esse conservatrici o riformiste, gli organismi di massa come i sindacati confederali, sono attraversati da profonde contraddizioni. Nei mass-media borghesi vi sono settori che si oppongono allo strapotere berlusconiano. Vi sono conflitti fra i vari ministri del governo, fra Berlusconi e altri esponenti del “Popolo della libertà” - in particolare con Fini, il presidente della Camera, che ha una differente linea politica (la rottura si è consumata a fine luglio 2010, assicurando a Berlusconi il pieno controllo del PdL ma determinando un indebolimento del governo ed anche del partito), con la Lega Nord, con gli autonomisti siciliani, ecc. Esistono settori di monopolisti cui interessano più le riforme strutturali (pensioni, mercato del lavoro) che le vicende giudiziarie di Berlusconi; altri settori borghesi ritengono dannoso per i loro interessi un suo ulteriore rafforzamento, per cui premono per un cambio di leadership, o almeno per una successione a loro favorevole. Dentro i partiti riformisti e socialdemocratici vi sono posizioni diverse riguardo alle controriforme e si sviluppa una continua lotta di correnti e frazioni.
Teoria & Prassi n. 21 Questi conflitti sono conseguenza dell’acutizzarsi della lotta borghese per la suddivisione dei profitti e l’accaparramento delle scarse risorse economiche, contro l'accentramento nelle mani del gruppo al potere di tutte le ricchezze del paese, e sono anche collegati all’aumento del divario economico tra il Nord ed il Sud del paese. Anche nei rapporti con l'estero vi sono urti, persino nei confronti dell’ONU e degli USA, questi ultimi irritati dai rapporti di Berlusconi con Putin, Gheddafi, ecc. Il premio “nobel per la guerra”, Barack Obama, comunque continuerà a puntare sul premier in carica finché garantirà truppe all'estero e basi NATO a sua disposizione e manterrà il presidente dalla Camera, l’ex fascista Fini, come carta di riserva. Anche il Vaticano, “la più grande forza reazionaria esistente in Italia” (Gramsci), continuerà ad appoggiare il programma antioperaio del servile governo in carica, che collima con la politica integralista e di salvaguardia degli interessi economici della Chiesa cattolica. In caso di crisi del governo per la grande borghesia le alternative alle elezioni anticipate - che non vuole perché fanno perdere tempo in un contesto di accentuata concorrenza capitalista – stanno in un ricompattamento della maggioranza o in un governo di “transizione”, a cui il PD e i centristi daranno via libera, per continuare la politica di sacrifici antioperai. Il ruolo dei riformisti Il ruolo dei capi riformisti, socialdemocratici e dei settori di destra della burocrazia sindacale è di sfacciata collaborazione con le controriforme volute dal governo Berlusconi. Esso procede assieme alla servile accettazione delle misure antioperaie e con la svendita degli interessi dei lavoratori. Più il governo Berlusconi procede nella sua marcia antidemocratica e assolutista, più rende il Parlamento un ubbidiente votificio, più tramuta lo stato “di diritto” in uno stato “di eccezione”, e più i valletti riformisti si dichiarano “disponibili e intenzionati a una discussione immediata sulle riforme istituzionali” (Bersani, segretario del Partito Democratico). In tal modo cercano di salvaguardare posizioni di rendita economica e politica. Senza il loro obiettivo appoggio Berlusconi non sarebbe più da tempo al governo, e se pure si decideranno a sloggiarlo sarà per continuare il berlusconismo. Tutti i liberal-riformisti e i socialdemocratici, compresa l’ala sinistra extraparlamentare (Rifondazione e PdCI) , celano agli occhi delle masse il carattere di classe delle misure reazionarie,
nascondono le insanabili contraddizioni del capitalismo e negano l'inevitabilità della sua abolizione. Invece di appoggiare la resistenza dei lavoratori, tentano inutilmente di moderare i l’offensiva padronale, per riproporsi come “alternativa” di governo e rioccupare le poltrone parlamentari in alleanza fra di loro. Ciò determina una crisi sempre più profonda nel rapporto con gli sfruttati e una divaricazione con la loro stessa base che cerca in qualche modo di opporsi ai piani capitalisti. La crescita del malcontento e della lotta degli strati inferiori della massa provocheranno nuove difficoltà e fratture all'interno delle forze socialdemocratiche e riformiste.
E’ un errore ritenere che a causa della continua perdita di influenza fra gli operai e di consensi elettorali i dirigenti di queste forze politiche si sposteranno a sinistra. Man mano che si aggraveranno le conseguenze della crisi capitalistica sui lavoratori, i capi socialdemocratici e riformisti, i dirigenti di sindacati e cooperative, gli strati più imborghesiti e corrotti dell'aristocrazia operaia, prenderanno esplicitamente posizioni di destra opponendosi alla radicalizzazione delle masse lavoratrici e distaccandosi sempre di più da esse. Essi già fanno dell'anticomunismo la loro bandiera, al pari delle forze reazionarie e fasciste. In particolare, nel processo di sviluppo delle contraddizioni sociali la funzione dell’ala sinistra della socialdemocrazia e dei revisionisti – che in Italia mantengono numerosi quadri - è quella di continuare a spargere illusioni tra gli operai, di sostenere la collaborazione di classe e di ostacolare in mille modi la ricostruzione del partito comunista. Fra i loro scopi c'è la ricostituzione del vecchio PCI revisionista ed elettoralista di Togliatti e Berlinguer. Essi perciò vanno smascherati e combattuti apertamente in quanto agenzie del capitalismo all'interno del movimento operaio.
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Teoria & Prassi n. 21 meridionali, giovani e vecchi, garantiti (fino al momento del licenziamento) e precari. Per favorire questa guerra viene ampiamente usato il ricatto occupazionale.Della repressione abbiamo già accennato. Sul piano ideologico la classe operaia è subalterna all’ideologia e al sistema di dominio dei padroni. Decenni di revisionismo (in Italia esisteva il più forte partito revisionista dell'occidente capitalistico), di riformismo e la campagna di “rievangelizzazione” cattolica hanno prodotto risultati devastanti: rinnegati i valori di lotta antagonista del movimento operaio – a partire dalla liberazione del lavoro dallo sfruttamento con la lotta di classe – le forze borghesiriformiste si sono battute per rimuovere ogni embrione di coscienza nella classe lavoratrice, fino al punto di sostituire alle categorie di proletari e borghesi quella indistinta ed insignificante di “cittadini” o di “individui”.
Difficoltà e limiti della risposta di classe Nonostante il clima politico e l'abbandono da parte della sinistra borghese, la classe operaia e gli altri lavoratori continuano a resistere, lottando contro l'offensiva borghese. C'è un aumento dell'attività delle masse lavoratrici e diversi episodi locali (scioperi improvvisi, blocchi stradali, presidi ed occupazioni delle aziende) dimostrano una radicalizzazione di alcuni settori proletari, specie nelle fabbriche e nelle categorie che hanno tradizioni di lotta e di organizzazione. Dal 1998, anno in cui il numero di lavoratori partecipanti agli scioperi ha toccato il minimo, si è manifestata una lenta e irregolare ascesa della lotta di classe, seppur lontana dai livelli di conflittualità espressi negli anni '60-'70. Su questa tendenza positiva, alimentata dalla necessità di difendersi dalle continue aggressioni capitaliste, pesano però una serie di fattori di debolezza, oggettivi e soggettivi, che frenano la ripresa del movimento operaio e quindi una più vigorosa risposta di classe ai disegni borghesi. Fra i fattori oggettivi c'è la dispersione della classe operaia, di cui fanno parte circa 8 milioni di salariati. La struttura produttiva italiana è infatti caratterizzata da imprese piccole e medie, che rappresentano il 95% delle aziende ed assorbono circa l'80% della forza-lavoro. La ristrutturazione dei grandi gruppi e le privatizzazioni avvenute negli anni '90 hanno provocato una maggiore polverizzazione. La dispersione produttiva è stata accompagnata dalla frantumazione dei contratti di lavoro e delle tipologie occupazionali (lavoro a termine, a chiamata, in affitto, per formazione-lavoro, part-time, ecc.), dal vasto utilizzo del “lavoro nero”, delle ”terziarizzazioni”, dei “liberi professionisti”. Gli effetti negativi di questo sbriciolamento sono amplificati dalla politica di divisione seguita dai padroni e dai loro collaboratori, vertici sindacali e dirigenti riformisti, che puntano a mantenere separate fra loro le fabbriche, le categorie operaie e le rispettive lotte. Un' arma micidiale usata per dividere gli operai sono gli “accordi separati” con i sindacati collaborazionisti. Un'altra arma adoperata per scongiurare ribellioni operaie sono gli “ammortizzatori sociali”, vasta gamma di strumenti statali che hanno effetti sulla dinamica della lotta di classe. Gli operai, specialmente in questa fase, vengono spinti a farsi la concorrenza tra loro. I padroni puntano a scatenare una guerra tra sfruttati per passare dalla lotta di classe alla lotta nella classe, tra lavoratori italiani e stranieri, settentrionali e
Gli operai, abbandonati a se stessi, senza un'adeguata direzione politica rivoluzionaria, si aggrappano ai sindacati e alle istituzioni borghesi, alla Chiesa, specie dinanzi allo spettro della perdita del posto di lavoro. In alcuni casi divengono vittime delle politiche razziste della Lega Nord, oppure si fanno attrarre, specie al Sud, dalla demagogia delle forze borghesi che agitano strumentalmente la bandiera della lotta alla criminalità o della riduzione delle tasse. Ne è conseguita l’accettazione in fabbrica dell’ideologia padronale che ha ridotto molti operai a vivere sognando i consumi e imitando i comportamenti dei padroni che li sfruttano. I capitalisti e i loro ministri chiedono agli operai “complicità” ed obbedienza. In cambio di un salario da fame pretendono di comprare non solo le braccia degli operai – cosa che hanno sempre fatto – ma anche il cervello. Non c'è da stupirsi se in queste condizioni molti operai, lasciati soli dai partiti riformisti e da dirigenti sindacali venduti ai padroni, fanno a gara per fare gli
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Teoria & Prassi n. 21 straordinari e i turni notturni, unico sistema per portare a casa 200-300 euro al mese in più. Tra i giovani operai l’assunzione di droghe e alcol per evadere da una realtà senza apparenti prospettive raggiunge punte del 50%; cresce l’abbrutimento, l’arroccamento in un individualismo esasperato; chi non è licenziato pensa di essere un privilegiato e gira le spalle di fronte agli operai che vengono espulsi dalle fabbriche e che lottano disperatamente per riacquistare il “diritto” a farsi spremere nuovamente da un padrone.
Noi sappiamo che la conflittualità verso le conseguenze della crisi e la politica reazionaria è destinata a crescere, tuttavia dobbiamo tener conto delle difficoltà e dei limiti attuali del movimento operaio e popolare per stabilire una giusta politica rivoluzionaria. La tattica rivoluzionaria I comunisti si oppongono alle misure reazionarie e al fascismo prendendo l'iniziativa della costruzione di un fronte unico proletario. Lo scopo è dar vita a una vera e propria lotta di massa volta a ostacolare e sconfiggere i piani della borghesia, approfondire le sue contraddizioni e conquistare degli alleati preziosi nella lotta rivoluzionaria. Come insegnava Dimitrov: “La possibilità di prevenire la vittoria del fascismo dipende prima di tutto dalla combattività della classe operaia, dalla compattezza delle sue forze, strette in un unico battagliero esercito che lotti contro l'offensiva del capitale e del fascismo”. Nella situazione attuale i comunisti devono essere i portabandiera dell’unità di azione delle masse sfruttate, per far convergere e spingere alla lotta le ampie masse di operai e lavoratori e tutti gli organismi che resistono all’attacco capitalista. Dentro questo lavoro va affermato il ruolo dirigente
della classe operaia nella lotta per una nuova società. La tattica di fronte unico dal basso deve essere anzitutto rivolta agli strati profondi del proletariato, quelli peggio pagati, senza diritti, precarizzati, sottoposti ai licenziamenti di massa, super-sfruttati. Senza dubbio bisogna articolare questa politica nel modo più vasto, per sottrarre i lavoratori, all’influenza borghese-riformista e ottenere la più ampia mobilitazione della classe operaia e dei suoi alleati. Le basi politiche del fronte unico, il suo punto di partenza, sono: un programma concreto di rivendicazioni per difendere in modo intransigente gli interessi vitali dei lavoratori salariati contro l’offensiva capitalista; la lotta aperta contro la dittatura borghese in tutte le sue forme, la repressione poliziesca e il terrorismo fascista, la difesa delle fondamentali libertà di associazione, di sciopero, di manifestazione, di stampa, ecc. l’autodifesa delle masse dai fascisti; la lotta contro le aggressioni imperialiste all’estero e gli incombenti pericoli di guerra. Questa politica di fronte è indispensabile per unire e mobilitare nel modo più ampio contro il capitalismo monopolista le masse di operai e di disoccupati e dei loro alleati naturali: piccoli contadini e allevatori, pescatori, impiegati, insegnanti, artigiani, studenti. Serve a strappare alla borghesia i milioni di lavoratori che soffrono una diminuzione del proprio reddito e a neutralizzare, o almeno ad intralciare la mobilitazione reazionaria, dei piccoli proprietari e degli strati intermedi malcontenti. Sul piano organizzativo sosteniamo la creazione di organismi di raggruppamento delle masse come i comitati (di lotta, di sciopero) e i consigli, eletti da tutti i lavoratori, non subordinati agli apparati sindacali, per ampliare la base della lotta e dell’unità, farvi partecipare i non iscritti ai sindacati ed assicurare una direzione indipendente degli scioperi. Sosteniamo l'occupazione delle fabbriche che chiudono o delocalizzano, il blocco della produzione e i presidi degli stabilimenti per evitare lo spostamento dei macchinari, i blocchi stradali, ferroviari ecc. come forme di lotta per rovesciare la crisi sulla testa di chi l’ha causata. Sosteniamo la realizzazione nelle città di comitati e coordinamenti contro la crisi, composti da delegati delle fabbriche colpite dai licenziamenti, organismi di base politici, sindacali, sociali, collettivi studenteschi, ecc. con la funzione di sostenere le lotte e sviluppare azioni di solidarietà. Evidenziamo l’importanza del lavoro nei sindacati, sia in quelli confederali (che pure sono egemonizzati
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Teoria & Prassi n. 21 da forze riformiste e conservatrici), promuovendo l'opposizione di classe al loro interno, sia nei sindacati di base, soprattutto in quelli che adottano una politica classista, non basata sul mero corporativismo, con l'obiettivo di una loro saldatura. Sul piano degli obiettivi politici da realizzare nell'immediato, avanziamo la consegna dello sciopero generale per l’abbattimento del governo Berlusconi nelle piazze e nelle fabbriche, così da impedire le manovre neocentriste-confindustriali e determinare una trasformazione qualitativa della situazione, nella prospettiva di un radicale rivolgimento politico. Il compito odierno è mettersi alla testa delle masse e contribuire all’organizzazione e al coordinamento delle battaglie quotidiane per la difesa intransigente degli interessi economici e politici di classe, per lo sviluppo di un nuovo ciclo di lotte politiche e sociali contro il sistema capitalista nel suo complesso, per il socialismo. Prospettive e compiti generali Anche se la cricca di Berlusconi – con il sostegno di Confindustria, delle banche, di Confcommercio, Confagricoltura, dell’imperialismo USA, del Vaticano, dei sionisti, della Mafia, di Putin – dovesse superare la sua crisi e riuscire nel suo disegno, non potrà portare l’Italia fuori dalla crisi. Berlusconi è la personificazione della decomposizione e della disgregazione economica, politica e sociale dell’imperialismo italiano. Negli avvenimenti attuali non va visto solo il fallimento del nano di Arcore , ma quello storico della borghesia italiana, la sua incapacità di essere classe dirigente. La politica del “tutto ai padroni, niente ai lavoratori” farà sì che l’oppressione esercitata da una minoranza di parassiti sulla maggioranza della popolazione diverrà ancora più pesante e insopportabile. Il coperchio sulla pentola non potrà reggere a lungo. Il fossato sociale si approfondirà e lo scontro politico si acutizzerà. Dobbiamo perciò continuare a lavorare e lottare con impegno, denunciando la degenerazione del regime capitalista, chiamando alla lotta e all'unità i lavoratori, incitando gli operai a rifiutarsi di seguire la borghesia e la piccola-borghesia, a partecipare agli avvenimenti politici come classe indipendente, con i propri obiettivi immediati e storici. In Italia, la lotta contro la reazione politica deve diventare sempre più acuta e potrà essere diretta dal proletariato solo se questo acquisterà una coscienza rivoluzionaria e farà suo l’obiettivo della conquista di un “governo operaio e degli altri lavoratori
sfruttati”. Con questa parola d'ordine indichiamo una prospettiva di radicale rottura politica comprensibile alle masse. Essa esprime la necessità della presa del potere politico in un contesto, come quello italiano, in cui l'unica classe che può attuare una reale trasformazione sociale è il proletariato, in cui l'unica rivoluzione possibile per superare le contraddizioni e i limiti dell'attuale modo di produzione è quella socialista. Dobbiamo approfittare delle contraddizioni esistenti senza cadere nella difesa dello stato borghese, ma avendo interesse che i suoi «equilibri» si squilibrino, che continui il progressivo logoramento di quell'apparato burocratico-parlamentare che la futura rivoluzione socialista dovrà abbattere e sostituire con un nuovo Stato basato sui consigli operai e di tutti i lavoratori. Uno Stato nel quale non vi sarà più «separazione di poteri», ma un solo potere, quello del proletariato vittorioso, che supererà la forma democratica borghese, ristretta ed ipocrita, per affermare una democrazia di tipo superiore: la dittatura del proletariato. Una strategia ed una tattica adeguate a questo scopo non possono essere elaborate che da un forte partito comunista, che diriga la lotta per la difesa delle libertà democratiche dei lavoratori legandola in maniera inscindibile alla lotta per il socialismo, in cui esse si realizzeranno pienamente. Ricostruire un partito di avanguardia in cui l’ideologia, il programma e l'organizzazione siano garanzia della capacità di guidare una lotta rivoluzionaria è il compito prioritario che spetta in primo luogo agli operai più coscienti, più preparati e sperimentati, pronti ad accogliere favorevolmente i suoi scopi, la sua centralizzazione e disciplina. Questo compito deve essere posto in relazione allo sviluppo del movimento comunista ed operaio internazionale, in particolare alla lotta fra il marxismo-leninismo e le correnti neo-revisioniste e opportuniste, in vista delle prossime ondate rivoluzionarie che sconvolgeranno l'agonizzante società borghese aprendo la strada ad un superiore livello della società umana. ***
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VERSO QUALE “PARTITO OPERAIO”? L’incalzare della crisi economica mondiale, lo scatenamento della offensiva capitalista volta a scaricare il suo peso sulle spalle della classe operaia, degli altri lavoratori e dei popoli, il fallimento della politica dei partiti riformisti e socialdemocratici, la volontà di sempre maggiori settori proletari e popolari di opporre la propria resistenza alle politiche borghesi, tutti questi fattori stanno rimettendo all’ordine del giorno il problema della ripresa della prospettiva rivoluzionaria e della ricostruzione di un’organizzazione politica indipendente della classe operaia. In particolare, ha ripreso corpo in alcune realtà composte da proletari rivoluzionari il dibattito sulla necessità della costruzione del partito. Portatrice di questa istanza è, tra gli altri, l’Associazione per la Liberazione degli Operai (ASLO) e i gruppi operai che vi fanno riferimento, che rappresentano una tendenza ben definita nel movimento comunista ed operaio. Il riconoscimento da parte di ASLO che gli operai hanno bisogno di un partito politico indipendente è un fatto importante, così come è importante l’impegno di questa realtà per avvicinare l’obiettivo. Piattaforma Comunista ha sempre seguito con grande attenzione il lavoro di questi compagni e nel limite delle sue possibilità ha cercato di offrire un contributo al dibattito in corso, mossa dalla convinzione che l’organizzazione degli operai avanzati in partito indipendente e rivoluzionario legato al Movimento Comunista Internazionale è un compito vitale, reso ancor più impellente dagli sviluppi della crisi generale del capitalismo. Il presente intervento si situa entro questa logica, per nulla estranea o indifferente, ma del tutto interna ed interessata, al complesso processo di formazione degli operai avanzati in partito. La proposta di ASLO e le nostre critiche La proposta lanciata da alcuni anni da ASLO e ripresa da alcuni gruppi di operai con cui è in rapporto, è caratterizzata da una certa articolazione e complessità. Lo scopo immediato è “la formazione degli operai in classe, abbattimento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte degli operai” (Relazione ASLO del 29/051995). L’area dell’ASLO è consapevole che “gli operai non hanno un proprio partito indipendente“ (Appunti per un viaggio, 2007), né alcuna vera rappresentanza politica nel nostro paese. Ciò determina il fatto che gli operai seguono i partiti borghesi e piccoloborghesi, delegando ad essi la soluzione dei loro problemi. Avendo compreso che “è tempo di fare in proprio, di togliere la delega a quelli che dicono di rappresentarci”(ibid.), ASLO supera l’aspetto del coordinamento delle lotte e si pone giustamente il compito di ristabilire l’indipendenza degli operai tramite la costituzione di un loro partito indipendente. Questi compagni comprendono che “il partito degli operai non si costruisce da un momento all’altro” (Non c’è tempo da perdere, novembre 2008). Viene perciò individuato un processo di costruzione. Un passaggio di questo processo consiste nell’indicazione di iniziare a costituire un’organizzazione di partito “anche se in modo informale” (contenuta nell’articolo “L’inizio fu il
partito operaio informale…”, Operai Contro di giugno 2010). Pur nella considerazione del ruolo di ASLO, in quanto organizzazione costituita da operai rivoluzionari, la proposta complessiva, che mira a un giusto obiettivo, presenta però a nostro parere limiti e difetti che possono far naufragare le migliori intenzioni. Tra questi evidenziamo: 1) il concetto di organizzazione operaia “pura” vista come garanzia per il partito; 2) una concezione spontaneista dello sviluppo della coscienza di classe; 3) l’estraneità dal patrimonio teorico-pratico del movimento comunista ed operaio. In merito al primo punto: Con ASLO e con i gruppi operai promotori delle assemblee sul partito operaio siamo in sintonia su un punto fondamentale: il partito per il quale lottiamo è il partito di una sola classe, la classe operaia – la classe più forte, più combattiva, più capace di organizzarsi, più coerente e più rivoluzionaria della società - e la composizione eminentemente proletaria è una delle sue principali caratteristiche. Tuttavia chiamiamo tutti i compagni, fra cui quelli di ASLO, ad una riflessione su un punto chiave: un partito rigidamente, o in massima parte composto di operai (visto che ASLO sembra oggi prendere in considerazione anche i militanti non proletari, considerandoli in determinate condizioni capaci di
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Teoria & Prassi n. 21 contribuire alla costruzione del partito), è in sé condizione e garanzia assoluta per l’esistenza di un partito rivoluzionario? Noi riteniamo di no, perchè questo non può essere l'unico criterio per decidere se si tratta, oppure no, di un autentico partito operaio. Ad esempio in Italia il partito a più larga base operaia è la Lega Nord, un partito reazionario, organico alla borghesia. Altri esempi, su base storica e internazionale, di partiti operai degenerati possono essere portati. Dunque, un partito rappresentante gli interessi fondamentali e storici della classe operaia non può caratterizzarsi solo e semplicemente per la sua composizione di classe. La dispensa della scuola quadri del PCd’I, redatta da Gramsci nel 1925, contiene una risposta illuminante su tale questione: “Il partito può essere operaio per la sua composizione, ma non può esserlo affatto per il suo indirizzo, per il suo programma, per la sua politica. […] … il partito proletario è uno, il partito comunista. Gli altri partiti che si dicono operai e lo sono perché almeno in parte la loro composizione è operaia non sanno staccarsi dalla borghesia nella loro politica”. Dunque la composizione di classe del partito è condizione indispensabile ma non sufficiente. Il vero partito operaio, l’unico partito realmente indipendente dalla borghesia, è solo il partito comunista, che è il reparto di avanguardia, organizzato e cosciente del proletariato. Inoltre, nella elaborazione dell'area ASLO rimane assente la questione delle alleanze che la classe operaia deve costruire con le masse popolari sfruttate ed oppresse. Affermare che il partito politico deve essere di una sola classe non può voler dire “che si riferisce ad una sola classe” (Cinque quesiti sul partito operaio, Operai Contro n. 555/2009). Il partito infatti difende, insieme agli interessi del proletariato, gli interessi di tutte le masse lavoratrici oppresse e sfruttate. Questo perché la lotta per la conquista del potere e per la creazione dello Stato operaio, non può essere portata a compimento senza un’azione politica complessa attraverso la quale il proletariato mobilita intorno a sé tutte le forze sociali anticapitalistiche, realizzando la sua egemonia. In merito al secondo punto: Per ASLO lo sviluppo della coscienza rivoluzionaria del proletariato si determina attraverso uno spontaneo processo che ha luogo nel corso della lotta contro la classe nemica. Corollario di questa impostazione è che devono essere gli operai stessi a decidere come e quando darsi una propria organizzazione indipendente, a prescindere dall’attività dei comunisti. E' la vecchia
teoria economicista ed operaista secondo la quale la coscienza di classe viene acquisita, da parte della classe operaia, come suo riflesso immediato, all’interno della lotta economica. Occorre qui ribadire l’essenziale lezione leninista: “La classe operaia, con le sole sue forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunionistica, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni ecc.”. Vale a dire che gli sfruttati, in condizioni di schiavitù capitalistica, sotto il giogo della borghesia, non sono in grado di elaborare in sé con piena chiarezza le convinzioni socialiste. La vera coscienza di classe può essere attinta dagli operai solo “dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni” (Lenin), cioè dall’interno della sfera dei rapporti reciproci di tutte le classi e strati sociali, tramite una visione critica della società cui può giungere solo un’avanguardia proletaria provvista di una teoria rivoluzionaria. Senza queste concezioni generali, senza marxismoleninismo, si resta comunque (al massimo) all’interno una lotta politica tradunionista, che “è precisamente la politica borghese della classe operaia" (Lenin).
Gli operai con le loro sole forze “iniziano a farsi le ossa nella lotta contro i padroni”(Appunti di viaggio, cit.), ma non possono elaborare la coscienza di essere i protagonisti di una lotta generale che investe tutte le questioni più vitali dell'organizzazione sociale, la coscienza scientifica del carattere fondamentale ed ineludibile della lotta rivoluzionaria per il socialismo. Perché non gli è possibile far questo spontaneamente? Due sono le ragioni fondamentali. a) All’operaio mancano le condizioni per farsi una consapevolezza teorica dell’irriducibile antagonismo tra lavoro e capitale, non dispone cioè di alcuni presupposti materiali favorevoli, fra cui il tempo libero. Il fatto stesso di dover lavorare alle totali dipendenze di un padrone gli impedisce di assumere
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Teoria & Prassi n. 21 spontaneamente una posizione radicale, capace di andare oltre gli interessi immediati, cioè di comprendere che è tutta la società borghese che deve essere superata e non solo il suo rapporto contingente col singolo capitalista. b) La borghesia, stando al potere, è in grado di disporre di enormi mezzi per propagandare l’ideologia proprietaria, che è molto più antica di quella socialista (ed anche meglio elaborata sotto taluni aspetti), per cui si impone facilmente alla coscienza dell’operaio.
contrappone alla borghesia sfruttatrice ed alla coscienza della propria universalità concreta, nell’asprezza della lotta di classe, nelle grandi battaglie, nelle trionfali vittorie e nelle amare sconfitte. Ma essa apprende sia attraverso la propria esperienza di lotta, sia per la capacità del suo reparto avanzato, comunista, di introdurre (specie in una prima fase!) nel movimento operaio spontaneo l’elemento ideologico, il sapere storico universale che ha il suo fondamento nell’azione rivoluzionaria, la comprensione delle condizioni e dei rapporti sociali in cui l'operaio vive, il processo di sviluppo che la società subisce per l'esistenza nel suo seno di antagonismi irriducibili, ecc. Il partito operaio, che sia effettivamente capace di orientare e guidare le masse alla vittoria nella rivoluzione proletaria ed alla costruzione del socialismo, non sorge dunque spontaneamente dallo sviluppo della lotta operaia, non “si va costituendo dovunque ci sono operai che hanno ingaggiato una lotta contro i padroni in quanto sono i loro sfruttatori diretti” (Cinque quesiti sul partito operaio, cit.). Quest'ultima è una visione influenzata dall’economicismo e dallo spontaneismo, che tende a sottovalutare la funzione dell’elemento cosciente. In realtà il Partito si forma da tutto uno sviluppo della società, delle scienze, delle teorie filosofiche, economiche, ecc. Consideriamo perciò il partito rivoluzionario e indipendente della classe operaia come l’unione della massa degli operai avanzati con il movimento comunista (m-l). Sia chiaro: non critichiamo qui la lotta spontanea in sé, la lotta di fabbrica in cui gli operai “si fanno le ossa” e che è la base sulla quale agiamo. La critica e lo sprone al superamento di alcune concezioni arretrate sono rivolti a quegli elementi che – erroneamente - si accodano al movimento spontaneo, minimizzano il ruolo della coscienza di classe e dell'organizzazione comunista, finendo per rimpallare agli operai non pienamente coscienti la questione del partito e rinviando così alle calende greche la sua ricostruzione.
Queste ragioni non cessano di venir meno con l’esplodere della crisi, come ritengono i compagni dell’ASLO. Cioè non è per nulla automatico che “ad un certo punto del ciclo economico…..“gli operai ridanno un nuovo significato alla contrattazione” (Appunti di viaggio, cit.), sviluppando la propria coscienza di classe. Questa è una concezione determinista, unilaterale, semplicistica, che trasforma una possibilità su cui lavorare in una realtà già compiuta, che fa confusione fra partito e classe. In realtà, è proprio durante questi periodi, in cui aumenta la spinta spontanea delle masse, che c’è più bisogno di attività teorica, politica ed organizzativa per dare al movimento operaio un carattere socialista! La lotta economica spontanea non è di per sé stessa rivoluzionaria (la "spontaneità" non porta mai la classe operaia oltre i limiti della democrazia borghese esistente), né la coscienza di classe si esaurisce in una contrattazione più “avanzata”, in cui si perpetua lo sfruttamento. Dunque gli operai non possono risolvere da soli la questione del partito, né nella fase di espansione del capitalismo, né nella fase della crisi. Servono i proletari coscienti, i militanti comunisti. Noi non abbiamo dubbi sul fatto che la classe operaia perviene alla comprensione dell’antagonismo che la
In merito al terzo punto: ASLO, in consequenziale logica con i due punti precedenti, ritiene ormai superati, inutilizzabili e perdenti, il patrimonio storico e le categorie teoriche e politiche fatte proprie dall’800 in poi dal movimento comunista ed operaio internazionale. Il “clou” di questo atteggiamento liquidazionista viene raggiunto quando nel documento “Cinque quesiti sul partito operaio” si inanella una
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Teoria & Prassi n. 21 meravigliosa “perla”: “Cosa potrà utilizzare il partito operaio delle passate formulazioni politiche entrate nella tradizione come bagaglio degli operai o meglio dei lavoratori? Un bel niente”, ed ancora “Perché non usiamo quei termini ben conosciuti come borghesi e di contro proletari? Perché non usiamo socialismo e comunismo? Prima ragione è che i partiti comunisti sono tanti e bisognerebbe stabilire qual è quello vero, seconda ragione è che i termini sono stati così ideologizzati che oggi vogliono dire tutto e niente”. Cari compagni, le questioni non si affrontano scansandole, ma misurandosi con esse! Anche sul piano organizzativo “la forma partito che si daranno gli operai sarà una formazione completamente diversa, da inventare ex novo” (Non c’è tempo da perdere, novembre 2008). Nella storia degli ultimi centocinquanta anni ASLO vede in pratica solo il rafforzamento del capitale. Da tale visione sostanzialmente negativa ne deriva una sorta di «ritorno alle origini»: l'idea che, dopo tante delusioni, dopo tanti tradimenti compiuti dai partiti e dai gruppi piccolo-borghesi che nascondono il loro opportunismo dietro una fraseologia pseudomarxista e pseudocomunista, la strada da percorrere sia quella del recupero di una “nuova” spontaneità, simile a quella dei primi embrionali circoli operai. Certe argomentazioni non possono essere intese altro che come una dimostrazione di distacco dal sistema di concezioni e di pratiche proprie del socialismo scientifico. Si tratta, evidentemente, di un grave errore. Crediamo invece che l’organizzazione indipendente degli operai avanzati si deve collegare a tutta l'esperienza rivoluzionaria del proletariato italiano e internazionale, con le sue vittorie e le sue sconfitte, con le sue avanzate e i suoi regressi, fino all’attuale realtà del Movimento Comunista Internazionale. Il partito informale L’editoriale di Operai Contro di giugno 2010 costituisce un significativo passaggio nella elaborazione politica dell’area dell’ASLO, dal momento che definisce una proposta politicoorganizzativa. La proposta, redatta da un gruppo di operai dell’INNSE e rivolta agli operai avanzati, si basa sulla possibilità concreta di utilizzare lo spazio abbandonato dalla politica borghese (la fabbrica) per “diventare militanti e organizzatori di un nostro partito, per un partito operaio, o almeno muovere in questa direzione i primi passi”. Pertanto, “costruire da subito anche se in modo informale un partito operaio è nell’interesse di tutti coloro che hanno
intenzione di usare la grande crisi per mettere in discussione questo modo di produzione e di scambio” (L’inizio fu il partito operaio informale…, cit.). Si tratta dunque di un passaggio reale, di grande valenza, che tuttavia continua a caratterizzarsi per alcuni limiti di fondo, dall’assenza di contenuti alla vaghezza in termini organizzativi.
Il vero punto critico non è l’ipotesi, plausibile alla luce delle condizioni concrete del movimento comunista e operaio, di una prima fase caratterizzata da un embrione “non ufficiale” di organizzazione politica, ma la sussistenza o meno dei requisiti che dovrebbe avere, la serietà dell'organizzazione in cui si vanno a raggruppare i gruppi e i circoli di operai avanzati, la capacità di svolgere fin dall'inizio una direzione ideo-politica e di agitare determinate rivendicazioni. Queste sono le condizioni per un suo ulteriore sviluppo. Per questi compagni invece la costruzione del partito del proletariato può iniziare poggiando praticamente “sul nulla”: il partito operaio che si prefigura è un partito senza ideologia, senza linea politica, senza programma - visto che “organizzarsi ed agire come operai è già un programma” (L’inizio fu il partito operaio informale, cit.), senza un’organizzazione leninista – visto che si tratta di un rimasuglio di un passato obsoleto…. Tutte queste caratteristiche - per noi necessarie almeno nelle loro linee essenziali fin dall’inizio per costruire un autentico partito proletario - verrebbero acquisite dal partito col tempo, nello sviluppo della crisi capitalistica. In tal modo i compagni dell’ASLO dimostrano di non capire che proprio una certa “informalità”, se non vuol tramutarsi in un impedimento decisivo alla costruzione del partito, deve accompagnarsi ad una più decisa configurazione ideologica, programmatica, politica, ecc. Un altro punto di caduta sta nel fatto che il documento non pone la necessità (perlomeno in
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Teoria & Prassi n. 21 questa fase) del distacco risoluto e definitivo degli elementi di avanguardia della classe operaia dai partiti riformisti e revisionisti; al contrario “ognuno resti dove è”, limitandoci al fatto che fra gli operai “si inizi a ragionare ed agire in quanto operai” ecc. Si tratta evidentemente di una concezione di retroguardia, che contrasta con lo sviluppo di un embrione di partito indipendente, il quale per essere tale deve spezzare i fili che tengono avvinti i suoi elementi alle formazioni politiche borghesi e riformiste, frenando la crescita e il rafforzamento di una solida organizzazione rivoluzionaria, favorendo la divisione e la dispersione delle forze.
Noi riteniamo che non si possa costruire il partito indipendente della classe operaia se non con una linea politica, un programma elaborato a partire dalla teoria e un punto di vista basato sull’obiettivo della conquista del potere e della edificazione di una società socialista. Questo partito, naturalmente, è anche un’unione di volontà, di azione e di organizzazione, e ciò significa che deve avere fin dall’inizio un’organizzazione indipendente, centralizzata (non in modo meccanico, ma democratico), disciplinata, un sistema unico di organizzazioni basato sulle cellule d’impresa (fabbrica, officina, magazzino, miniera, ecc), capace di sviluppare un lavoro quotidiano e continuativo, una direzione organizzata e sistematica nei differenti fronti in cui si svolge la lotta fra le classi. Ciò non si può fare rimanendo con un piede nella staffa dell’opportunismo e con l’altro in quella della rivoluzione proletaria. Se è vero che il partito della classe operaia deve avere forme e metodi di funzionamento completamente diversi da quelli dei partiti borghesi e riformisti, è altrettanto vero che, sulle questioni della «forma-partito», gli sviluppi portati dal leninismo al patrimonio del marxismo sono tuttora fondamentali e valgono per l'intera epoca imperialistica nella quale
viviamo, pur tenendo conto delle importanti trasformazioni avvenute nella struttura del lavoro salariato e nel tessuto sociale. Passi avanti o indietro? Il partito che fuoriesce dai documenti dell’area ASLO si configura come un organismo operaio senza una precisa fisionomia, piuttosto spoliticizzato, deideologizzato e disorganizzato. Un partito che proprio in quanto mancante di talune caratteristiche e prerogative fondamentali può cadere facilmente preda delle varie tendenze e sottotendenze borghesi. Un partito in cui prevalgono concezioni e pratiche economiciste e spontaneiste, che vivacchia tra movimentismo e “sindacalismo operaio”, che si batte per dare alla lotta economica un carattere politico (cioè che tende a ridurre la politica rivoluzionaria al livello di quella sindacale, a lottare per le sole riforme). Questa concezione è in ultima analisi una versione raffinata dell’economicismo, una corrente che si riproduce continuamente a causa dell’enorme confusione e debolezza politica e ideologica del movimento operaio e dei suoi elementi più avanzati. L’economicismo finisce per concepire un partito che non è altro che un sindacato “radicalizzato”, un partito dunque che finisce per rimanere all’interno dell’ordine sociale borghese. La stessa ASLO finisce in effetti per riconoscere ciò, quando parla di un sindacato “ma in versione nuova, in altre prospettive” (Operai Contro, marzo 2010), di un partito operaio che “gestisce la resistenza degli operai oltre il vecchio sindacalismo collaborazionista” (L’inizio fu il partito operaio informale…,cit.). Da ciò il continuo riferirsi alla lotta contro le burocrazie sindacali collaborazioniste mettendo in secondo piano la necessità della lotta politica rivoluzionaria contro la borghesia ed i suoi governi. Questa tendenza, lo sottolineiamo ancora una volta, al di là delle intenzioni che le forze proletarie possono avere, porta fuori strada le migliori energie ed ostacola seriamente la costruzione di un autentico partito operaio. La volontà di costruire un autentico partito operaio manifestata dai compagni di ASLO poggia oggi su posizioni che permetteranno il raggiungimento di questo obiettivo? Allo stato attuale pensiamo di no. Parlare di “partito operaio” fuori (e contro) l’ideologia proletaria, non è soltanto un controsenso storico. A fronte della storia del movimento comunista ed operaio internazionale, a fronte delle vittorie che la classe operaia ha ottenuto alzando la bandiera del marxismo-leninismo, e delle cocenti e
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Teoria & Prassi n. 21 dolorose sconfitte subite a causa del revisionismo e delle altre tendenze antimarxiste, ciò significa continuare a far navigare (e naufragare) il proletariato nel mare borghese e piccolo-borghese, lo si voglia oppure no. Le ultime teorizzazioni purtroppo ci sembra che non segnino dei reali passi avanti, ma degli arretramenti rispetto precedenti posizioni, perchè presupporre un più elevato livello politico-organizzativo (benchè informale) rimanendo però all’anno zero per quanto riguarda contenuti e caratteristiche essenziali di un partito significa appunto marciare come i gamberi. Ci auguriamo che i compagni di ASLO riusciranno a sciogliere queste contraddizioni, rafforzando con ciò il percorso intrapreso. Un dibattito che deve proseguire Nell’attuale fase della lotta di classe è di fondamentale importanza avere ben chiaro quale tipo di partito sia necessario ricostruire, su quali basi deve essere organizzato, in che modo le concezioni socialiste debbano essere fuse col movimento operaio, quali compiti e scopi debba avere, a meno di non contentarsi di ripetere la formula magica secondo cui “i programmi, le forme organizzative le scopriremo insieme mano a mano che ci costituiremo in classe e con ciò in partito politico indipendente” (L’inizio fu un partito operaio informale…, cit.). Abbiamo già accennato alle amnesie ed alle carenze di ASLO in questo senso, ma molto ci sarebbe da dire anche sul carattere forzatamente deterministico e fatalistico di quel “con ciò”, con cui questi compagni rinunciano a porsi fino in fondo il problema della formazione di un partito politico particolare contrapposto a tutti i partiti delle classi proprietarie. Le teorizzazioni su un partito operaio “puro”, o “deideologizzato”, “informale” o strutturato nella sua fase iniziale, le dichiarazioni plaudenti allo sbaraccamento di ogni riferimento storico, ideologico e organizzativo proprio del movimento comunista ed operaio non rappresentano il raggiungimento della ”indipendenza di classe”. Al contrario, certificano la posizione dominante dell'ideologia borghese e costringono inesorabilmente il movimento operaio alla subalternità teorico-politica. L’egemonia revisionista e riformista, le enormi difficoltà in cui versa il movimento operaio, non possono essere superate facendo piazza pulita dell’espressione teorica degli interessi del proletariato e della storia stessa del movimento operaio. All’opposto, è dal marxismo-leninismo, che va conosciuto per applicarlo alla situazione concreta,
che bisogna per riprendere la marcia in avanti. Auspichiamo che questa impostazione generale diventerà – grazie anche all’esperienza pratica del movimento operaio - sempre più un’acquisizione degli operai avanzati.
Quanti vogliono veramente portare a compimento il progetto della costruzione di un partito operaio indipendente e rivoluzionario, che permetterà al proletariato di agire come classe sviluppando la sua coscienza, cooperando alla sua organizzazione, indicando i compiti e gli scopi della lotta, devono andare oltre la linea del “minimo sforzo”. Devono cioè saper superare nel dibattito posizioni e convincimenti arretrati ed erronei che impediscono una formazione e uno sviluppo del partito in modo che esso diventi una realtà capace di condurre il proletariato alla vittoria. Per quanto ci riguarda, rilanciamo il confronto aperto e schietto per compiere passi avanti verso la ricostruzione del partito indipendente e rivoluzionario della classe operaia.
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ANCORA SU COORDINAMENTI, COMITATI E CONSIGLI La crescente resistenza della classe operaia, dei disoccupati, degli altri lavoratori, contro l’offensiva capitalista, pone all’ordine del giorno una riflessione sulle forme organizzative. I settori combattivi del proletariato rispondono alla politica dei sacrifici non solo partecipando e raggruppandosi alla base dei sindacati di categoria, ma spesso anche costituendo organismi quali Comitati di agitazione, di lotta, di sciopero, per la difesa dei posti di lavoro, Coordinamenti o reti di lavoratori, di delegati RSU/RSA, RLS, di cassintegrati, di disoccupati, che si costituiscono e convergono su alcuni obiettivi comuni, dando vita a mobilitazioni, assemblee, attività di sostegno alle vertenze, ecc. Questi organismi di lotta sorgono molte volte in aperta critica, o addirittura in contrapposizione, con gli apparati burocratici dei sindacati, che nel migliore dei casi vengono sentiti come insufficienti o non in grado di organizzare e collegare i proletari in lotta. La mobilitazione portata avanti da questi organismi costituisce un punto alto e rappresentativo della lotta del lavoro contro l’attacco capitalista, e contiene elementi di controffensiva. Allo stesso tempo in questi anni sono sorti e si sono moltiplicati Comitati popolari contro il degrado e la devastazione ambientale, il fascismo, i rigurgiti razzisti, per la difesa delle libertà e dei diritti civili, sociali e politici, ecc. Questa rivista aveva a suo tempo già cominciato a trattare l’argomento delle forme organizzative (vedi ad es. “I movimenti di massa e le loro forme organizzative” in Teoria & Prassi n. 10, gen. 2004). La comprensione della natura e delle caratteristiche di tali organismi ed il loro sviluppo organico sono fattori importanti per l’applicazione di una linea politica rivoluzionaria di massa. Espressioni del fronte unico Coordinamenti, Comitati e Consigli di lavoratori non vanno intesi come semplice espressione spontanea della resistenza operaia, ma quali espressioni organizzate della volontà di azione comune, del fronte unico dal basso contro l’offensiva economica e politica della borghesia, realmente capaci di dare forza, stabilità, continuità nel tempo all’azione delle masse sfruttate, nonché a svilupparla verso contenuti rivoluzionari più avanzati. In effetti, le lotte cui stiamo assistendo dimostrano la volontà di resistenza della classe operaia e di consistenti settori popolari, il loro rifiuto di pagare il peso della crisi economica e la determinazione nel portare avanti la lotta contro i monopoli capitalisti e la classe dominante. Se il periodo attuale è caratterizzato da una rinnovata conflittualità, va altresì rimarcato come questa, per cause oggettive e soggettive, non ha ancora portato a un mutamento nei rapporti di forza generali fra le classi. Molte mobilitazioni sono caratterizzate dallo spontaneismo e dall’insofferenza verso adeguate forme organizzative, lasciando le lotte in balia di un movimentismo inconcludente, isolate le une dalle altre, per di più frustrate da un orizzonte minimale ed asfittico, privo di qualsiasi base ideologica e politica di classe. In sostanza, l’evidente disponibilità alla lotta della classe operaia rimane spesso in balia delle concezioni e dell’orizzonte economicista o radicalborghese, che si limita all’azione quotidiana,
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incapace di una critica radicale dell’esistente e priva di una prospettiva volta alla conquista del socialismo nel nostro paese e nel mondo intero. C’è poi da considerare il ruolo negativo giocato dalle burocrazie di tutti i sindacati, sia quelli confederali che di base, che si muovono secondo logiche proprie, divisorie, estranee agli intessi fondamentali della classe operaia. Se i sindacati fossero effettivamente di classe, se svolgessero un ruolo propulsivo e di unificazione reale dei lavoratori e delle loro lotte, i lavoratori non sentirebbero l’esigenza di costruire questi organismi con cui cercano di unire, organizzare e contrapporre le proprie forze a quelle di tutti i gruppi di origine e natura borghese, al fine di poter cambiare i rapporti di forza. La scelta di dare impulso alla costruzione di tali organismi intende dunque contribuire ad una soluzione positiva alla debolezza politica ed organizzativa in cui versa attualmente la generalità degli organismi operai, all’interno di una strategia rivoluzionaria. Coordinamenti, Comitati e Consigli, a nostro parere, non devono essere composti da ristretti gruppi di avanguardia né semplicemente svolgere un ruolo di “volano” quantitativo delle lotte (così come vorrebbero gli economicisti del movimento). Al contrario, devono essere costruiti sulla base della massima unità di classe possibile, con il contributo degli operai combattivi e avanzati di tutte le tendenze. Perciò è necessario che svolgano la loro
Teoria & Prassi n. 21 azione quali espressioni organizzate del fronte unico proletario, liberandosi dalle pastoie “parlamentaristiche” borghesi-riformiste. Riferimenti storici, caratteristiche e funzioni La realtà dei Comitati e dei Consigli non nasce dal nulla. Essa si richiama e trae ispirazione da eventi che hanno segnato la storia del movimento comunista ed operaio. Tra questi ricordiamo: 1) Il movimento dei Consigli di Fabbrica torinesi (1919-20); 2) I Comitati Operai e Contadini che sorsero in Italia nel 1925-26, per impulso del partito comunista, come organismi di massa del fronte unico di lotta antifascista e anticapitalista. I Comitati di lotta ed i Consigli di fabbrica (che già esistono o che potranno costituirsi quando ne esistano le condizioni) sono organismi di massa di carattere propriamente politico, espressione diretta della democrazia proletaria, attorno ai quali si raccoglie la classe operaia e gli altri sfruttati. Essi sono eletti dalla massa dei lavoratori e caratterizzati da una sostanziale stabilità; devono essere in particolare la spina dorsale ed il motore del fronte unico proletario con alla testa la classe operaia, elemento determinante per aprire la strada alla prospettiva di un governo operaio e degli altri lavoratori sfruttati. In sostanza Comitati e Consigli devono agire nelle fabbriche e sugli altri posti di lavoro, nel territorio, senza mai perdere di vista gli obiettivi storici del proletariato, ma sapendo combinare efficacemente la lotta rivoluzionaria con quella quotidiana, cioè l’azione per le rivendicazioni politiche ed economiche immediate dei lavoratori. Essi dunque non limitano la loro azione all’orizzonte “tradeunionista”, non praticano semplicemente la parola d’ordine “negativa” che afferma “noi la crisi non la paghiamo”, ma cercano di imprimere al movimento di massa un carattere positivo per l’abolizione rivoluzionaria dell’imperialismo e delle sue istituzioni. La loro azione volta alla mobilitazione della classe lavoratrice e delle masse popolari si basa su parole d’ordine concrete della lotta di classe, e mira all’effettiva e intransigente difesa degli interessi di classe del proletariato nel campo politico ed economico. Gli obiettivi rivoluzionari della classe operaia vanno dunque saldati con precise rivendicazioni parziali che si scontrano in maniera inconciliabile con le politiche (neoliberiste o “sociali” che siano) della borghesia e delle classi dirigenti, quali ad esempio:
lotta per la difesa del posto di lavoro e per l’aumento dei salari; abolizione del precariato; difesa delle libertà di organizzazione e di sciopero; salvaguardia dei diritti sociali; attuazione di misure fiscali a carico dei padroni, degli sfruttatori, degli speculatori e dei parassiti; blocco delle misure reazionarie; lotta ai pericoli di guerra e alle aggressioni imperialiste, ecc. Comitati e Consigli dunque sviluppano ed unificano dal basso la mobilitazione della classe operaia, assumono la direzione degli scioperi e delle altre forme di lotta messe in essere dal proletariato e dalle masse popolari, combattono la ristretta e limitata ottica economicista e trade-unionista sapendo dare il loro determinante contributo alla costruzione della politica ed alle azioni di fronte unico. I Comitati ed i Consigli sono organi di sviluppo dell’azione proletaria di massa, senza distinzione di partito e di sindacato. Essi garantiscono l’unità del fronte di lotta e la conseguente applicazione di una linea di classe.
Nello specifico: a) I Comitati di lotta, di agitazione, di sciopero, ecc., sono, allo stato attuale della lotta di classe, fra le strutture di lotta più utilizzate dalla classe operaia. Essi si caratterizzano come organizzazioni autonome, non subordinate all’apparato riformista, di gestione dal basso delle lotte, per la difesa del posto di lavoro, per il salario ecc. Sono organismi diversi dai Consigli, hanno un carattere più provvisorio e meno duraturo. Altro elemento che caratterizza in particolare i Comitati di lotta è che essi, anche se non sono organismi di carattere sindacale, assumono talvolta la funzione di vero e proprio organo di controllo dal basso delle trattative e delle decisioni delle organizzazioni sindacali. In alcuni casi (specie in assenza dei sindacati o per la complicità delle loro burocrazie con il padronato e lo stato borghese)
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Teoria & Prassi n. 21 svolgono persino l’azione tipicamente sindacale, portando avanti vertenze di fabbrica, concludendo accordi, ecc. b) I Consigli di fabbrica (o di altro luogo di lavoro) sono organismi più politici rispetto ai Comitati. Storicamente sono propri di una fase più avanzata della lotta della classe operaia, in quanto hanno come loro «obiettivo immediato il controllo operaio della produzione» e, dopo la rivoluzione proletaria, dovranno assolvere - insieme ai sindacati «il grande compito della riorganizzazione della vita economica su basi socialiste» (cfr. in questo stesso numero, le tesi della Terza Internazionale comunista sui sindacati e i Consigli di fabbrica). I Consigli hanno un carattere più “strutturato” rispetto ai Comitati ed a differenza di essi sono organi a carattere non temporaneo, ma stabili e continuamente funzionanti. E’ inoltre fondamentale sottolineare, a scanso di ogni deriva movimentista, che Comitati di lotta e Consigli, così come altri eventuali organismi di lotta la classe operaia e le masse popolari vengono ad costituire nel corso delle loro lotte, non rappresentano la negazione della necessità del partito comunista, ma la presuppongono necessariamente in quanto strumento fondamentale ed insostituibile per assicurare una giusta direzione della lotta del proletariato, per condurre fino in fondo la lotta contro l’imperialismo e costruire l’unico nuovo mondo possibile, il socialismo.
Punti in comune Entrambi questi tipi di organismi di organizzazione operaia hanno però anche delle caratteristiche in comune. a) Il loro carattere unitario. Entrambi queste tipologie di organismi hanno salde radici di classe ed aggregano attorno alla loro direzione larghe masse operaie e lavoratrici e, nel caso dei Comitati, anche popolari. Ciò senza distinzione ideologica o di
appartenenza (o meno) a partiti politici o ad organizzazioni sindacali presenti fra le masse stesse. Questi organismi riuniscono dunque operai e lavoratori organizzati e non organizzati sulla base di un programma ed una piattaforma di classe. b) Il loro carattere non “assembleare”, tipico degli organismi piccolo-borghesi, ma basato sui più organici criteri della rappresentanza e della delega (es. Consigli dei delegati), con elezione dei rappresentanti su lista unica o per alzata di mano, direttamente responsabili ed effettivamente controllabili (grazie alla loro revocabilità) nelle fabbriche, negli altri luoghi di lavoro, fra le popolazioni in lotta, sul territorio. La elezione stessa dei delegati, si sviluppa dunque con un metodo e finalità completamente diverse da quelle delle scelte delle cariche sindacali decise dalle burocrazie. Le riunioni per la scelta dei delegati devono coinvolgere tutta quanta la massa dei lavoratori e dei settori popolari interessati, sia quelli organizzati che quelli non organizzati. c) Il loro carattere di soggetti politici attivi ed organizzati e non di semplici strutture di denuncia, o “reti” basate sul volontarismo e la estemporaneità. d) La necessità comune e cruciale di sviluppare forme di raccordo sistematico e dunque la costituzione di organismi di coordinamento e direzione generale, che devono stare in mano agli elementi più avanzati e coscienti della classe. e) Comitati e Consigli sono dunque la risposta alternativa della classe lavoratrice alla politica collaborazionista ed interclassista dei social riformisti e delle loro organizzazioni, ma entrambi non devono essere concepiti come strutture surrogato o intercambiabili con i sindacati (vedi sotto). f) Pur essendo organizzazioni di massa non di partito, Consigli e Comitati non possono tuttavia essere politicamente neutrali, indifferenti al problema della costruzione della nuova società. Differenze fondamentali con i sindacati La nostra concezione dei Comitati e dei Consigli è essenzialmente differente da quella delle organizzazioni sindacali. Essi si distinguono dai sindacati per loro sfera di aggregazione, natura, funzioni, scopi diversi e superiori. In effetti mentre Consigli e Comitati raccolgono la generalità dei lavoratori, organizzati e non organizzati, l’organizzazione sindacale è più ristretta e raccoglie nelle proprie fila solo i propri iscritti, oggi spesso addirittura una esigua minoranza della classe lavoratrice. Essi sono estranei a qualsiasi rapporto di
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Teoria & Prassi n. 21 subordinazione o identificazione con le organizzazioni sindacali, ma si rapportano dialetticamente con loro in piena autonomia ed anzi svolgono un ruolo di controllo su di essi a nome della massa. Essi storicamente sorgono in opposizione alle politiche ed alle burocrazie riformiste sui luoghi di lavoro, quali strumenti essenziali dell’autonomia della classe operaia e per la mobilitazione delle masse. Per quanto riguarda la loro funzione, come abbiamo già visto, Comitati e Consigli sono organismi di massa che hanno un carattere differente rispetto a quelli dei sindacati borghesi. Il sindacato “tradizionale” è limitato nella migliore della ipotesi, alla logica “contrattualistica”, alla logica della vendita della forza-lavoro alle migliori condizioni, dunque al mantenimento della schiavitù salariata, sia pure con catene dorate. Questo significa che i sindacati borghesi non possono essere la base del potere proletario nè uno strumento per la abolizione del sistema capitalista. L’opera di costruzione di Consigli e Comitati, e le differenze profonde fra questi ed i sindacati egemonizzati dai riformisti non significa la mancanza di rapporti fra questi organismi, e tanto meno la negazione del fondamentale lavoro dei comunisti e dei lavoratori avanzati nelle organizzazioni sindacali in cui si raggruppano grandi masse di lavoratori. Uno dei compiti dei Comitati e dei Consigli è anzi quello della difesa del sindacato – in quanto organismo di lotta dei lavoratori - dalle manovre antioperaie dell’imperialismo e dei suoi agenti, così come lo sviluppo ed il rafforzamento della lotta di massa per lo smascheramento, isolamento e liquidazione delle burocrazie sindacali collaborazioniste. Particolarmente importante, infine, può essere il ruolo dei Coordinamenti di delegati e militanti dei vari sindacati nel favorire la costruzione di una opposizione sindacale di classe unificata e strutturata in senso trasversale alle varie sigle; la formazione di un polo sindacale nazionale di tal genere rafforzerebbe l'intero movimento sindacale ed operaio.
superiore ordinamento sociale, grazie alle capacità organiche e alla volontà di lotta rivoluzionaria della classe operaia e degli altri lavoratori sfruttati.
Dunque anche attraverso il lavoro dentro questi organismi i comunisti possono conquistare una più ampia influenza fra le masse lavoratrici, possono e devono accumulare, organizzare ed educare le forze che cacceranno dal potere la borghesia. Riteniamo fondamentale compiere ogni sforzo per fare in modo che le lotte operaie e popolari vengano inquadrate nell’ambito di un’azione politica, rivoluzionaria che si ponga l’obiettivo della abolizione del sistema e la costruzione della società socialista. La realizzazione e il lavoro continuo e sistematico in questi organismi è un compito fra i più importanti per garantire ai comunisti la presenza sui posti di lavoro e per assicurare radicamento e costante contatto con gli strati profondi del proletariato e delle masse popolari. I comunisti (marxisti-leninisti) incoraggiano la loro creazione e si appoggiano su di essi in funzione della mobilitazione rivoluzionaria della maggioranza del proletariato, sforzandosi di esercitare un orientamento e una direzione complessiva ed unitaria. Il lavoro politico negli organismi di massa va inteso come “una scuola di socialismo” da intendersi nel senso più avanzato: esso è estremamente importante per la soluzione del problema della direzione politica rivoluzionaria dei movimenti di massa. ***
Coordinamenti, Comitati, Consigli e organizzazione comunista Noi intendiamo Coordinamenti, Comitati di lotta e Consigli quali organi di raccoglimento della classe operaia e dei lavoratori sfruttati, espressioni avanzate della loro lotta indispensabili per la creazione del fronte unico organizzato, attraverso tutta un’azione da sviluppare, schiudere la prospettiva di un nuovo e
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LETTERA APERTA AI LAVORATORI, AI MILITANTI SINDACALI E AI DELEGATI DELL'AREA “LA CGIL CHE VOGLIAMO” Care/i compagne/i, abbiamo seguito con grande interesse l’assemblea fondativa della nuova Area programmatica congressuale in CGIL. Valutiamo positivamente l'intenzione espressa da molti delegati interventi di sviluppare la lotta di classe contro l’offensiva capitalista – lotta che sul fronte economico si svolge nella sua fase di resistenza – e di costruire un argine alla deriva moderata della direzione della CGIL. Siamo anche d’accordo sulla necessità di “sviluppare la discussione ed il confronto aperto” sulle questioni aperte in CGIL, che hanno un rapporto diretto con lo sviluppo di una fattiva politica sindacale di classe. Raccogliamo pertanto l’invito e ci dichiariamo disposti a sviluppare un processo di dibattito e di confronto, in quanto comunisti impegnati nel lavoro sindacale. E’ nostra intenzione lavorare in tal senso con tutte le realtà che vogliono seriamente e concretamente opporsi all’offensiva antioperaia ed antipopolare in corso. Prima di affrontare il problema della linea sindacale è necessario chiarire in poche righe il quadro della situazione.
l'esistenza di una forte ondata di lotta su scala internazionale e nazionale. La lotta delle masse lavoratrici non ha solo un carattere economico, ma assume un carattere più spiccatamente politico, perché si verifica sempre più spesso uno scontro con i metodi reazionari delle classe dominanti, che vogliono gettare i lavoratori sul lastrico e privarli delle loro possibilità di lotta legali, delle agibilità sindacali. In Italia la Fiat è il battistrada di questo processo reazionario, che vede il governo Berlusconi impegnato a realizzare un regime reazionario con la sostanziale acquiescenza della cosiddetta opposizione parlamentare e l’appoggio di parte dei vertici sindacali. I contrasti di classe perciò si rifletteranno direttamente anche all'interno dei sindacati aventi base di massa, come la CGIL, in cui il conflitto fra esigenze, interessi, rivendicazioni sostenute dai lavoratori e quelle sostenute dalla burocrazia sindacale riformista è destinato ad acutizzarsi ed a divenire permanente. La linea di destra uscita vincente al Congresso CGIL si tradurrà inevitabilmente nell’adesione agli accordi separati, come quelli del 22 gennaio e di Pomigliano, per ricucire con i vertici collaborazionisti di CISL e UIL, e in un’involuzione autoritaria dell’organizzazione. Anche i conti con la FIOM saranno regolati dalla nuova segreteria, facendo quello che Epifani non è riuscito a fare fino in fondo: isolare il sindacato che rappresenta la categoria operaia più combattiva. L’asse portante della strategia uscita vincente al congresso è, infatti, l’accettazione del risanamento dell'ordine capitalistico attraverso un sistematico peggioramento delle condizioni di vita della classe operaia e degli altri lavoratori, naturalmente perseguito in nome di una “migliore ripartizione” dei sacrifici. Ma la riconquista della concertazione non sarà facile, sia perchè i capitalisti non sanno più cosa farsene, sia perché mentre le direzioni sindacali – tutte – vanno a destra, la classe operaia si sposta a sinistra. Pomigliano ha dimostrato questa tendenza.
Crisi, acutizzazione dei contrasti di classe e deriva sindacale La crisi è tutt'altro che chiusa. Si accresce costantemente la disoccupazione e la miseria si abbatte su sempre più ampi strati di lavoratori. L'offensiva del capitalismo e dei suoi governi va assumendo forme più acute. L'obiettivo è quello di scaricare sulla classe lavoratrice tutte le conseguenze della crisi economica capitalista; ma anche quello di sancire nuovi rapporti forza per assicurarsi il massimo profitto nel prossimo periodo attraverso l’aumento dello sfruttamento e la soppressione di tutte le conquiste economiche e politiche, delle libertà e dei diritti conquistati in decenni di dure lotte dalla classe operaia. Questa politica infame costringe naturalmente le masse popolari a resistere, a lottare unite per difendere i propri interessi e diritti. E infatti vediamo una continua acutizzazione dei contrasti di classe e un ampliamento del fronte di lotta di classe in numerosi paesi. Gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno evidenziato
Esiste in CGIL una minoranza attrezzata al periodo che abbiamo di fronte? Il dibattito emerso nella assemblea nazionale della
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Teoria & Prassi n. 21 “CGIL che vogliamo”, in particolare quello sull’essere o meno opposizione visibile dentro la CGIL, è indicativo. Nel documento approvato troviamo posizioni deboli ed errate. In particolare: - La caratterizzazione della crisi come crisi del “modello economico neoliberista”, e non del sistema capitalismo, basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, sullo sfruttamento della classe operaia e della natura. In tal modo si continua con la favola dei “due capitalismi”. - L'idea che la crisi attuale sia una semplice “crisi finanziaria”, e non una crisi di sovrapproduzione relativa, manifestatasi dapprima nella sfera monetaria, strettamente intrecciata con la crisi generale del capitalismo, che colpisce la società attuale in tutti i suoi aspetti. - L'individuazione della soluzione dei mali del capitalismo monopolistico-finanziario in una nuova (e di fatto impossibile) stagione riformistakeynesista. Essa sta, all’opposto, nella lotta della classe operaia, delle larghe masse lavoratrici e dei popoli per cacciare i governi dei padroni e costruire un diverso sistema sociale, effettivamente alternativo a quello attuale, e che rappresenti e realizzi veramente gli interessi e le aspettative della classe lavoratrice e delle più larghe masse popolari. - La presenza di micidiali illusioni sulla riforma dell’imperialismo (“le grandi istituzioni finanziare”) e sul ruolo sociale e politico che dovrebbe essere svolto dall’Unione Europea, un’istituzione al servizio esclusivo dei monopoli capitalisti che decide assieme al FMI la macelleria sociale applicata dai vari governi liberisti o socialdemocratici. - L'assenza di qualsiasi riferimento alla classe operaia ed alla stessa lotta di classe degli sfruttati. In altre parole la negazione della direzione nella lotta della sola classe sociale che può con la sua forza organizzata sconfiggere i progetti padronali e aprire prospettive diverse. A ciò dobbiamo aggiungere il rifiuto di ogni centralismo, in cui si sostanzia il rifiuto dell’organizzazione di classe e lo spalancamento di porte alla burocrazia sindacale. A nostro parere questo documento resta dunque nel suo impianto debole e subalterno alla linea riformista della maggioranza della CGIL e ci sembra non renda ragione della volontà di lotta manifestata nella stessa assemblea costitutiva e dalle migliaia e migliaia di lavoratori combattivi e avanzati che hanno sostenuto e sostengono l’esigenza di una opposizione classista in CGIL.
Allo stesso tempo riteniamo che le differenze e le divergenze esistenti, pur forti, non possano e non debbano costituire in impedimento insormontabile nell’ottica della necessità della costruzione di un ampio fronte di lotta comune di tutti coloro che si rifiutano di pagare la crisi. La strada per avanzare in campo sindacale Alla luce del percorso congressuale e del dibattito assembleare appare chiaro che il dilemma da sciogliere possa essere sintetizzato nelle seguenti domande: bisogna orientare il lavoro verso la conquista degli apparati, oppure verso le masse lavoratrici (iscritte e non) per conquistare consenso e peso nelle principali realtà? Bisogna cercare di “spingere la burocrazia sindacale, di spostarla a sinistra”, oppure bisogna lottare per strappare dalle mani dei liberal-rifomisti e dei social-liberisti la direzione del movimento sindacale? Nella nostra opinione la prima strada è quella dell’opportunismo, mentre la seconda è quella giusta e vincente.
Vediamo invece che, purtroppo, nell’Area “La CGIL che vogliamo”, sono presenti spinte che vanno in direzione della costruzione di accordi politici con pezzi di apparati di categorie che in questi anni hanno sostenuto e applicato la concertazione sindacale e l'assoggettamento del sindacato agli interessi politici dei vari governi borghesi di centrosinistra o di centrodestra. E' dunque necessaria un’inversione di rotta, soprattutto da parte dei militanti attivi nei posti di lavoro, in direzione di un impegno di lotta su una linea che rompa definitivamente con la subalternità alle forze liberiste e social-liberiste che inneggiano alla “competitività” e alla “coesione sociale” tanto care a Marchionne, con la logica del “meno peggio” e con la pratica degli equilibrismi interni. Il centro della nostra attività non deve essere l’apparato, la federazione, la segreteria in cui
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Teoria & Prassi n. 21 prospera la burocrazia sindacale. Deve essere invece la fabbrica, l’ospedale, l’ufficio, il luogo di lavoro, l’assemblea di base, il comitato degli iscritti, la RSU, le strutture territoriali di primo livello. E' in tal modo che si potrà anche aumentare la pressione sulla burocrazia sindacale riformista, senza subirne i condizionamenti. Per portare avanti la linea di classe vanno battute quelle posizioni che concepiscono la possibilità di riformare o correggere i vertici sindacali, di spostare a sinistra la burocrazia della CGIL, o di “controbilanciare” la deriva autoritaria nel sindacato. Tutte queste posizioni di fatto riducono l'attività sindacale di classe ad un problema parlamentaristico di maggioranze e minoranze dentro l’apparato. Conquista di posizioni nella CGIL significa conquista della massa operaia, non dell’apparato burocratico. Pensare di conquistare l'apparato sindacale riformista è, infatti, una pericolosa illusione. Questo non vuol dire che dobbiamo restare passivi verso la direzione ultramoderata della CGIL. Al contrario! Dobbiamo strappare con la lotta anzitutto le strutture di base e locali del sindacato dalle mani degli opportunisti e dei venduti. Dobbiamo lottare per ricoprire ogni posto elettivo ed estromettere dalle funzioni elettive a tutti i livelli i burocrati e gli agenti del capitalismo. Dobbiamo lottare contro l’esclusione degli elementi più combattivi e coscienti dai sindacati e dalle strutture direttive. La stessa maggioranza della FIOM è solo all'interno di questa linea che può salvaguardare la tradizione di lotta del sindacato operaio e impedire lo scavalcamento confederale sui negoziati cruciali. Queste sono solo alcune delle indicazioni che riteniamo si debbano seguire per scongiurare il pericolo che l’Area “La CGIL che vogliamo” finisca per tramutarsi, come è accaduto in passato, in uno sterile e fallimentare ambito per la gestione del dissenso interno alla CGIL (magari in cambio di spazi negli organismi dirigenti e di posti di funzionario), per fare in modo che si sviluppi un intervento in grado di consolidare posizioni e guadagnare consenso, di organizzare e di orientare i processi di lotta. Per un sindacalismo di lotta di classe Il periodo attuale pone come compito fondamentale la lotta per la conquista dei più ampi settori del proletariato e delle altre masse lavoratrici su un programma immediato che contenga alcuni punti miranti a sostenere le lotte in corso su occupazione, salario, pensioni, precarietà, reddito ai disoccupati,
diritti e a rovesciare la crisi sulle spalle dei padroni, dei ricchi, dei parassiti. Al centro della nostra azione vi devono essere gli operai colpiti dai licenziamenti, i disoccupati senza prospettive, i migranti discriminati e schiavizzati, gli impiegati pubblici colpiti dalle misure di austerità, i giovani condannati alla precarietà, i pensionati al minimo, ecc. Questa lotta va sviluppata in ogni circostanza e nelle forme più adeguate, per difendere l’occupazione, il salario, i diritti. Non solo nelle aziende che “hanno un futuro” ma anche in quelle dove viene delocalizzata la produzione, o nelle fabbriche che chiudono perché non sono in grado di sostenere la concorrenza, al fine di garantire il reddito ai disoccupati. E' da sconfiggere la posizione passiva di chi ritiene che nelle fabbriche in crisi non rimane che contrattare gli ammortizzatori sociali per rendere meno doloroso il licenziamento. E’ perciò il sindacalismo di lotta di classe che deve essere sviluppato, il rapporto vivo con gli sfruttati (iscritti e non iscritti che vanno inseriti nelle lotte), non la ricerca di accordi e compromessi con i gruppi dirigenti per salvaguardare la collocazione di taluni funzionari nell'apparato del sindacato o tentare il “governo unitario” delle strutture (che significa “se stai buono e non esageri con il dissenso ti faccio entrare in segreteria assieme a chi l’unità vuol farla con i collaborazionisti”). L’unità non si fa con i vertici e i burocrati della maggioranza che vanno all’attacco con ricatti, purghe e manovre. Si fa dal basso e su chiare posizioni di classe. Bisogna organizzare i lavoratori e i delegati su una linea sindacale conflittuale, costruire piattaforme rivendicative basate sulla difesa intransigente dei loro interessi, sostenerle con la mobilitazione e la lotta, con la creazione di comitati unitari, grazie alla quale sarà possibile trovare soluzioni anche parziali che consentiranno di ripartire da posizioni più avanzate. Ogni lotta, ogni sciopero, ogni dimostrazione devono diventare terreno di scontro fra le due linee presenti nel movimento sindacale ed operaio: quella di classe e quella riformistacollaborazionista. Per la massima unità di lotta della classe operaia Di fronte all'offensiva capitalista in corso occorre favorire e rafforzare il processo di sviluppo della lotta e dell'unità, sconfiggendo la politica scissionista e divisionista di destra e di “sinistra”, battendo ogni atteggiamento capitolardo, settario o autoreferenziale che indebolisce la forza organizzata delle masse
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Teoria & Prassi n. 21 lavoratrici, per conseguire l’unità sul terreno della lotta di classe. L’obiettivo da perseguire costantemente è quello della ricerca della massima unità di lotta della classe operaia e degli altri lavoratori sfruttati, attraverso una politica di fronte unico anticapitalista. Un fronte diretto dalla classe operaia, che sappia attrarre dentro di sé con una politica di massima unità di classe di tutti i settori popolari colpiti dalla crisi, che si caratterizzi per un’autentica piattaforma di classe che intenda far pagare la crisi a chi l’ha causata.
Un fronte che sappia unificare le tante lotte sparse che ci sono e ci saranno, che contribuisca a dare una reale prospettiva alle masse lavoratrici e popolari, indicando un sistema sociale veramente alternativo alle miserie ed agli orrori del capitalismoimperialismo. Crediamo che le lotte popolari oggi possano unificarsi su tre grandi direttrici che nel loro insieme costituiscono la risposta operaia all’offensiva capitalista: 1. lotta contro l’offensiva del capitale, per difendere in modo intransigente gli interessi delle masse lavoratrici e imporre misure immediate a loro tutela; 2. lotta contro la reazione politica in tutte le sue forme, per la difesa ed ampliamento dei diritti e delle libertà dei lavoratori; 3. lotta contro le aggressioni imperialiste e le minacce di guerre, per il ritiro delle truppe all'estero, per il sostegno alle lotte dei popoli. Tutte le forze sindacali (confederali e “di base”), sociali e politiche, tutte le realtà di organizzazione e di lotta delle masse popolari devono oggi schierarsi a favore del fronte unico e lavorare per realizzarlo nella pratica, senza porre ostacoli al suo sviluppo. Sottolineiamo di nuovo la necessità di compiere ogni sforzo per costruire la massima unità d’azione, per realizzare l’unità sul terreno della lotta di classe di tutte le forze che vogliono davvero opporsi alla offensiva padronale di cui sono vittime oggi la classe lavoratrice ed i popoli. Allo stesso tempo è oggi indispensabile mettere in campo lotte più dure, unitarie e di massa. Ad esempio
la giornata di azione europea del 29 settembre proclamata dalla CES, che va strappata dalle mani dei vertici sindacali filo-monopolisti e resa una giornata di lotta europea in cui rafforzare il coordinamento delle lotte a livello internazionale, la manifestazione nazionale dei metalmeccanici a ottobre attorno alla quale va aggregato il più vasto fronte di lotta e ancora lavorando nella prospettiva di vero sciopero generale unitario per cacciare il governo Berlusconi. Su queste basi va favorita l’unificazione politica di tutte le piattaforme e correnti classiste esistenti dentro e fuori i sindacati tradizionali, nei movimenti di lotta. In conclusione... Queste sono alcune proposte che intendiamo sviluppare nel dibattito fra tutte le forze che intendono battersi contro l’offensiva capitalista e contribuire il più vasto e deciso fronte unico di tutti i lavoratori e delle masse popolari. Riteniamo infine che la lotta contro il sistema capitalista non possa ridursi al semplice piano sindacale. La lotta economica, infatti, non può essere mai disgiunta dalla lotta politica e ne l'una ne l'altra possono essere disgiunte dalla lotta ideologica. Compito degli elementi più avanzati e combattivi, soprattutto dei lavoratori che si definiscono comunisti, è di favorire il collegamento della lotta quotidiana con la lotta diretta contro il sistema capitalista nel suo complesso. Questo per far sì che il proletariato divenga consapevole di essere il protagonista di una lotta generale che investa tutte le questioni fondamentali dell'organizzazione sociale, che cioè lotti nella prospettiva della conquista del potere politico e della costruzione di un sistema sociale che garantisca veramente il soddisfacimento dei bisogni materiali e culturali delle masse lavoratrici. E' da questa attività che sarà possibile ricavare esperienze preziose e far maturare le forze che costituiranno la spina dorsale del futuro partito comunista, indispensabile strumento di direzione della classe operaia e di costruzione delle necessarie alleanze di classe, nel quale si riassumono tutte le esigenze della lotta generale. Con la speranza di aver fornito un piccolo contributo al vostro dibattito, e con l’auspicio di continuare a svilupparlo e di compiere passi in comune in nome della lotta per il bene della classe operaia, vi inviamo fraterni saluti e auguri di successo per la festa in programma a Parma. (luglio 2010)
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Teoria & Prassi n. 21 Riceviamo e volentieri pubblichiamo
PER CHI SUONA LA CAMPANA "Non chiedere mai per chi suona la campana" scrisse il poeta John Donne "essa suona per te". Chissà se a Checchino Antonini prima di scrivere l'articolo "La vera storia di KOBA campanaro a Venezia" su Liberazione di martedì 17 agosto 2010 gli sia venuta in mente la poesia e il film in questione. Antonini racconta del passaggio in Italia nell'anno 1907 di Koba, uno dei tanti nomi di battaglia di Stalin. Koba sbarca sotto falso nome ad Ancona diretto a Londra dov'era in programma il congresso del Partito Socialdemocratico. Ad Ancona alloggia all'albergo "Roma e Pace" provato da un vecchio ritaglio del giornale di destra "Candido" diretto da Giovannino Guareschi autore di don Camillo e Peppone.
Si spostò poi a Venezia dove restò per qualche tempo, ospite del convento di S. Lazzaro degli Armeni. Il sanguinario.... Koba però "suonava la campana troppo forte all'uso orientale" (anche se lui georgiano proveniva dalla Transcaucasia formata da Armenia,Arzerbaigian e Georgia) e l'abate mecharista (congregazione armena di monaci benedettini) preferiva un tocco più morbido e , senza troppo carità cristiana, buttò fuori Koba dal
convento. A proposito di campane l'illustre scrittore francese Henri Barbusse nella sua biografia "STALIN" da lui definita "un mondo visto attraverso un uomo" ricorda un particolare che avveniva al Seminario di Tiflis dove Stalin veniva ammesso nel 1894 come "migliore alunno": "Alle nove, quando al rintocco di una campana, i ragazzi si recavano in refettorio per la prima colazione, i sorveglianti, in camerata,perquisivano i loro armadi mettendo tutto sossopra". Koba si diresse a Milano andando poi a Parigi e dopo a Londra. Ma quale é stato il vero motivo di questo viaggio in Italia di Koba? Secondo Antonini doveva organizzare (ma perché in Italia?) una rapina a Tiflis per autofinanziare l'ala bolscevica del partito socialdemocratico, ma (una rapina é sempre una rapina) doveva essere tenuta in gran segreto pena l'espulsione del partito. Ma quali sono le fonti, documentazioni, ricerche storiche su cui si basa Antonini per dimostrare che quello che racconta é verità storica? Sono un introvabile "Corto Maltese memorie" di Hugo Pratt del 1989 e nella storia "Corto Maltese La casa dorata di Samarcanda" del 1980 ristampato in questo mese d'agosto, sempre dal gruppo Rizzoli, che ho comperato in edicola.Nelle tavole Corto Maltese, si trova nella zona di frontiera e di guerra fra Russia e Turchia, viene catturato e scambiato per spia dai bolscevichi. Si salva dalla fucilazione grazie a una conversazione telefonica con il Commissario per le Nazionalità che è Stalin ricordando a Bepi (sarà un suo altro nome di battaglia?) sia Ancona che Venezia. Corto Maltese, dopo il pericolo scampato, si riunisce al suo "miglior nemico" Rasputin per la ricerca di un ambito tesoro. Nello stesso articolo, ricordando le parole del consulente, si attribuisce alle invenzioni di Hugo Pratt solide basi storiche e bibliografiche, ma nelle sue biografie per il suo modo di raccontare è stato coniato il termine di "letteratura disegnata". Nelle mie ricerche ho trovato che il monaco dissoluto Rasputin venne ucciso a martellate da una congiura di palazzo nel 1916 mentre Stalin divenne "Commissario del popolo per le nazionalità" solo dopo la Rivoluzione d'Ottobre del 1917, carica che tenne fino al 1923. Ma è un libricino "millelire" (anche se costa euro
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Teoria & Prassi n. 21 3,50) "Stalin in Italia ovvero Bepi del giasso" (giasso sarà ghiaccio?) di Raffaele K. Salinari , "rimasto colpito dal colloquio immaginario disegnato da Hugo Pratt", che ricostruisce il passaggio in Italia, nel 1907 del giovane Koba. Salinari ha un curriculum, da far invidia ai più, come ci racconta Antonini.E' medico chirurgo, ha lavorato per una ventina di anni come medico responsabile di programmi socio-sanitari nei luoghi più sperduti del pianeta. Consulente delle Nazioni Unite sui problemi sanitari e insegna presso ben cinque università, fra cui in Spagna nella città di Tarragona. Nel tempo libero, poco si presume, canta e suona in un gruppo rock ma è anche pubblicista e saggista, non è un nostalgico stalinista, la recensione del libricino é fatta da un troskista, ma ha tanta nostalgia di Hugo Pratt di cui ha seguito le tracce. Nel mio piccolo ho seguto le tracce storiche di Stalin nell'anno 1907.Nel libro dello storico inglese Ian Grey "Stalin. Man of History" , la migliore biografia di un autore non comunista secondo lo storico belga Ludo Martens in "Stalin un altro punto di vista",così si riporta: "Nel biennio 1907-1908 Stalin diresse con Ordzonikidze e Vorosilov, segretario del sindacato del petrolio, una lotta legale di grande ampiezza tra i 50.000 lavoratori dell' industria petrolifera di Baku. Essi riuscirono a strappare il diritto di eleggere dei rappresentanti dei lavoratori che si riunirono in una conferenza per discutere una contrattazione collettiva concernente i salari e le condizioni di lavoro. Lenin salutò questa lotta, che avveniva nel momento in cui la maggior parte delle cellule rivoluzionarie aveva cessato ogni attività". Barbusse ricorda, che dopo il V congresso del Partito socialdemocratico che sancì una grande vittoria dei bolscevichi, Stalin dirige a Baku "Il proletario di Baku", dopo aver diretto a Tiflis "Il Tempo". Stalin era sempre ricercato dalla polizia zarista e nei suoi continui spostamenti l"ostacolo più grande era che si doveva portarsi con sè la tipografia clandestina. La tipografia,dopo esser stata trasportata anche in un cimitero, finì nel giardino della casa di Khachim, vecchio contadino mussulmano, dove nel 1907 come Barbusse scrive: " Il vecchio contadino Khachim,dopo la fine del movimento rivoluzionario, ritorna a casa e si mette a ispezionare il pezzetto di terra. Qui aveva interrato la piccola tipografia clandestina molti mesi prima, all' atto di abbandonare in fretta e furia l'alloggio che era stato poi occupato dai soldati. Tutto era stato messo a soqquadro in casa e fuori, e i pezzi della tipografia disotterrati e gettati alla rinfusa
nel giardino.Khachim si mette a cercare pazientemente tutti quei pezzi di piombo,a metterli insieme, e quando finalmente li ha riuniti, dice al figlio: Vedi, è proprio con questi che è stata fatta la rivoluzione".
Credo anche che sia giusto e doveroso ricordare che Checchino Antonini è uno dei giornalisti di Liberazione firmatari della "LETTERA DI UN GRUPPO DI REDATTORI" del 11 aprile 2009 amareggiati e delusi solo perchè il giornale si era permesso di recensire il libro di Domenico Losurdo "Stalin. storia e critica di una leggenda nera". Se Salinari non ha nostalgie staliniste, Antonini non nasconde le sue simpatie troskiste con l'articolo "TROCKIJ L'ERESIA POSSIBILE" su Liberazione di sabato 21 agosto 2010. Stalin come ricorda Orakhelachvili,suo compagno di lotta nei primi anni da rivoluzionario, " non amava ingiuriare gli avversari, la violenza del linguaggio era per lui un'arma proibita. Tutt'al più, dopo aver dimostrato l'incosistenza degli argomenti dell'avversario e ridotto al silenzio il contradditore con una discussione serrata, ecco a colpir di freccia usando una espressione corrente e proverbiale nella Transcaucasia: Tu che sei un tipo così straordinario, perchè indietreggi di fronte a gente così di poco conto come noi?" S. Valsecchi (MI)
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DIE LINKE, OVVERO IL «SOCIALISMO PICCOLO-BORGHESE DEL 21° SECOLO» l presente articolo intende prendere in considerazione alcuni fondamenti ideologicopolitici del programma del partito Die Linke, la formazione socialdemocratica tedesca a cui spesso si richiamano, e da cui traggono sostanzialmente ispirazione, in Italia alcune componenti delle varie formazioni politiche nate dalla frantumazione della vecchia «Rifondazione Comunista»e del defunto «Arcobaleno». Die Linke è il partito politico nato in Germania (dopo il fallimento del progetto «Rosso-Verde») dalla fusione, avvenuta il 16 giugno 2007, fra il Linkspartei-PDS dell'ex Germania dell'Est e il Wasg («Alternativa Elettorale per il Lavoro e la Giustizia Sociale») di Oskar Lafontaine. Die Linke aveva (nel 2009) 77.000 iscritti; è presente nel Bundestag con 72 seggi (su 622) e nell'europarlamento con 7 seggi (su 99). Il suo programma1 si ispira totalmente alla mitologia del cosiddetto «socialismo del 21° secolo». Ogni legame col marxismo è abbandonato. Il documento vorrebbe presentarsi come un passo avanti rispetto alle esperienze del socialismo del 19° secolo e alle realizzazioni del comunismo nel 20° secolo, mentre costituisce un enorme passo indietro, un gigantesco ritorno all'utopismo premarxista. Non è possibile comprendere lo spirito del documento, le sue fondamentali basi ideologiche, senza tener conto di un evento che ebbe il significato di un vero e proprio spartiacque nella storia della socialdemocrazia tedesca: il Congresso di Bad Godesberg del SPD. Il 15 novembre 1959, a Bad Godesberg, una cittadina termale nei pressi di Bonn, il Partito socialdemocratico tedesco - sotto la guida di Erich Ollenhauer e di Willy Brandt - dichiarava il «superamento», cioè la liquidazione, dei suoi vecchi programma di Erfurt (1891) e di Heidelberg (1925), e approvava il suo nuovo programma con il quale non solo rompeva decisamente con il marxismo e abbandonava ogni sia pur vaga prospettiva di trasformazione rivoluzionaria della società capitalistica, ma dichiarava apertamente la sua estraneità alla lotta di classe e adottava una linea politica ultrariformista. Partendo dalla premessa che «il Partito socialdemocratico tedesco è il partito della libertà dello spirito» e che «Il Partito socialdemocratico ha la sua radice nell'etica cristiana, nell'umanesimo e nella filosofia classica», il Congresso dichiarava che
«il socialismo si attua solo attraverso la democrazia e la democrazia attraverso il socialismo» e che «da Partito della classe lavoratrice il Partito socialdemocratico è diventato un partito del popolo». Il programma di Bad Godesberg accettava la «libera economia di mercato», con i soliti correttivi di tipo keynesiano che consentissero «un'equa ripartizione del reddito e dei patrimoni» e si concludeva con delle parole che vogliamo riportare integralmente: «La speranza è un ordine fondato sui valori sostanziali del socialismo democratico, che intende creare una società civile nel rispetto della dignità umana, una società libera dall'indigenza e dal timore, da guerre ed oppressioni, in unità di intenti con tutti gli uomini di buona volontà». Bad Godesberg, con il suo intento di mettere definitivamente Marx «in soffitta», ha veramente «fatto scuola». Tutto il programma di Die Linke, che si presenta come totalmente deideologizzato, è in realtà l'espressione più coerente degli interessi di classe della piccola borghesia tedesca radicalizzata e della sua ideologia, sotto ogni aspetto subalterna a quella della borghesia dominante. Il preambolo è già estremamente eloquente: «Il capitalismo non è la fine della storia. Una società di liberi e di eguali, nella quale regnino la democrazia e la pace, nella quale siano garantite l'eguaglianza di genere e la tutela della natura è possibile solo se il dominio del capitale sull'economia, la società e la natura sia limitato e schiacciato. Il capitalismo può essere superato solo se si schiudono nuovi orizzonti per un diverso approccio al lavoro e alla vita, per un diverso modo di produzione sociale, per una completa solidarietà internazionale e uno sviluppo congiunto, che costituiscono i fondamenti della pace. All'inizio del 21° secolo si pone la stessa questione che fu posta da Rosa Luxemburg cento anni fa: o socialismo o barbarie. Abbiamo bisogno nel 21° secolo di un socialismo che si misuri con le attuali sfide e possibilità sociali e globali […]». «Vogliamo una società socialista nella quale ogni individuo possa decidere la propria vita cooperando con gli altri in solidarietà. Le condizioni essenziali sono l'eliminazione della proprietà capitalistica nell'economia e uno Stato costituzionale sociale. In tal modo sarà possibile conseguire ed estendere una vita felice e una democrazia sociale. Tutti debbono avere accesso alla ricchezza. L'accesso socialmente
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Teoria & Prassi n. 21 eguale di ciascuno alle condizioni di una vita libera e la democratizzazione di tutte le sfere della vita si condizionano reciprocamente. Socialismo e democrazia sono inseparabili. Abbiamo bisogno di un diverso modello di sviluppo economico e di progresso tecnico-scientifico, al fine di tutelare l'ambiente naturale e di lasciare alle future generazioni un mondo migliore. Vogliamo che lo Stato costituzionale e lo Stato sociale formino un tutto integrato, e tendiamo a un ordine mondiale caratterizzato dalla pace, dalla solidarietà e dalla giustizia. […] Il socialismo democratico si ispira ai valori della libertà, dell'eguaglianza, della solidarietà, della pace e della sostenibilità ecologicosociale. Essi determinano anche i mezzi da usare sulla strada che porta a una società socialista democratica». Ciò che immediatamente colpisce è il fatto che, nelle 40 pagine del documento, non esistono la classe operaia, il proletariato, la borghesia, la piccola borghesia. Le classi sono pure entità sociologiche e statistiche, meri gruppi sociali classificati secondo i criteri più vari; gruppi presentati come meri aggregati di singoli individui, che vediamo comparire più e più volte, ora come titolari di diritti, ora come percettori di reddito, ora come consumatori, mai come appartenenti a classi antagonistiche in lotta fra loro. Non esiste, nel documento, la rivoluzione proletaria per «l'eliminazione della proprietà capitalistica nell'economia». Non esiste la questione della presa rivoluzionaria del potere politico per espropriare la borghesia e reprimerne la resistenza. Marx ed Engels così concludevano il loro Manifesto del Partito comunista: «I comunisti dichiarano apertamente che i loro scopi non possono essere raggiunti che con l'abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente». Ma per Die Linke tutto avverrà pacificamente attraverso la «democratizzazione» di tutte le sfere della vita, per superare «l'ineguale distribuzione dei redditi e delle proprietà». Contro «l'inettitudine dei socialisti» e il loro utopismo, Marx scriveva: «Il sistema del denaro è effettivamente il sistema dell'uguaglianza e della libertà, e quegli elementi di disturbo che compaiono a contrastarle nello sviluppo più immediato del sistema sono disturbi immanenti al sistema stesso, e appunto la realizzazione dell'uguaglianza e della libertà, che si mostrano come disuguaglianza e illibertà. […] Ciò che distingue questi signori dagli apologeti borghesi è da un lato la sensazione delle contraddizioni che il sistema racchiude, dall'altro l'utopismo di non capire la
necessaria differenza tra configurazione reale e ideale della società borghese, e di volersi perciò assumere il compito superfluo di volerne realizzare di nuovo l'espressione ideale, ove questa è in effetti soltanto la trasfigurazione di questa realtà» Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica [Grundrisse], La Nuova Italia 1978, vol. I, p. 219). E Lenin incalzava: «Chi riconosce la lotta di classe, deve riconoscere che in una repubblica borghese, foss'anche la più libera e la più democratica, la «libertà» e l'«eguaglianza» non potevano essere e non sono mai state altro che espressione di eguaglianza e di libertà fra possessori di merci, di eguaglianza e libertà del capitale. Marx lo ha spiegato mille volte in tutte le sue opere e soprattutto nel Capitale. […] Chi ha letto il Capitale di Marx e non ha capito ciò, non ha capito nulla di Marx, non ha capito nulla del socialismo, è di fatto un filisteo e un piccolo borghese» (Opere scelte, Edizioni Progress, V, pp. 334).
Gli obiettivi generali di Die Linke sono quelli di tutti i movimenti che, in Europa e in America Latina, ripropongono oggi - in chiave contemporanea - i vecchi motivi del socialismo utopista premarxista. E' un ritorno in piena regola a Owen e a Saint-Simon. Primato della logica sociale su quella del capitale. Nuovo modello di produzione, di vita e di democrazia, basato sulla produzione e la equa distribuzione dei "beni di libertà". Accesso egualitario ai beni di libertà, autodeterminazione e sicurezza sociale in un sistema basato sulla
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Teoria & Prassi n. 21 solidarietà. Estensione delle forme cooperative, specialmente nel settore dei beni primari e dei servizi. Cooperazione solidale dal livello locale a quello planetario. Come giungervi, sul terreno politico? Attraverso il «rafforzamento dei diritti individuali», il «rafforzamento dei parlamenti come organi decisionali democratici»» e la «democrazia partecipativa» (il vero «mito del 21° secolo», criticata e denunciata a fondo da tutti i movimenti autenticamente rivoluzionari dell'America Latina). «Lo Stato costituzionale deve diventare uno Stato sociale. La Repubblica Federale Tedesca ha bisogno di un rinnovamento come Stato costituzionale democratico e sociale. Perciò la democrazia rappresentativa parlamentare dev'essere rafforzata attraverso la democrazia diretta. A tal fine, uno strumento importante saranno i referendum». Non manca una ripresa del municipalismo proudhoniano: «La libertà dei cittadini di determinare la loro vita dipende in larga misura dalle amministrazioni comunali. Di Linke si impegna al rafforzamento delle amministrazioni locali e all'efficiente sviluppo dei servizi pubblici generali. Per garantire che la democrazia non sia un guscio vuoto, le amministrazioni debbono possedere degli adeguati mezzi finanziari. Die Linke opera per una politica di bilancio partecipativa, per bilanci partecipativi come forma importante di democrazia locale». E le strutture repressive dello Stato borghese? Si tratta di spezzarle? No. Ciò che auspica Die Linke è un «controllo democratico della polizia, delle Forze Armate federali e dei servizi di intelligence (!)». Per quanto riguarda la politica internazionale, la ricetta è sempre la stessa: «Disarmo, sicurezza collettiva, Europa democratica, pacifica e sociale». Al contrario di questo concentrato utopista, la classe operaia tedesca ha il compito fondamentale è, dunque, quello di riconquistare la sua piena autonomia di classe, liberandosi dal condizionamento ideologico della borghesia e della piccola borghesia e rompendo organizzativamente i suoi legami con la socialdemocrazia di destra e «di sinistra». Ricostruire il suo Partito comunista sulle basi iincrollabili del marxismo-leninismo è la condizione per ricominciare il suo cammino rivoluzionario verso il socialismo del Manifesto di Marx ed Engels, il socialismo proletario.
(40 pagine), rinvenibile integralmente nel sito web di Die Linke. Esso consta di un preambolo e di cinque capitoli.
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“Il compito principale di Piattaforma Comunista è la lotta teorica e politica per la formazione nel nostro paese di un forte partito comunista, quale partito politico rivoluzionario e indipendente della classe operaia” (dalla Dichiarazione di principio).
Nota 1) Il testo, in lingua inglese, a cui facciamo riferimento è il Draft by the Program Commission
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Teoria & Prassi n. 21
SULLO SPOSTAMENTO DEL CENTRO DI GRAVITA’ MONDIALE E L’ASCESA DELLA CINA Nello scorso numero della rivista abbiamo approfondito la questione del declino della superpotenza USA. Gli sviluppi della crisi economica, ma anche delle questioni aperte sui vari fronti (ambientali, politici, militari, ecc.) confermano la nostra analisi sulla accelerazione delle tendenze in atto e la progressiva perdita di egemonia dell’imperialismo nordamericano. Ora vogliamo affrontare l’altro aspetto della contraddizione, la veloce ascesa delle potenze capitalistiche asiatiche, in particolare quella cinese, e le connesse trasformazioni nella struttura del sistema imperialista. Conoscere l’attualità e le prospettive di un sistema nel suo complesso decadente e storicamente superato, è di grande importanza per gli scopi finali del proletariato. La situazione mondiale è gravida di rivoluzione ed i processi storici di transizione come quello che stiamo creano migliori condizioni per lo sviluppo del processo rivoluzionario in diversi angoli del mondo.
Uno sviluppo sempre più ineguale La crisi ha acuito ed accelerato tendenze in atto da lungo tempo nell’economia capitalista. In particolare ha rafforzato l’ineguaglianza dello sviluppo, economico e politico, dei paesi capitalisti, risultato dell’affermarsi del capitalismo monopolistico finanziario. E’ in virtù di questa legge che le caratteristiche della distruzione di capitale e di forze produttive durante la fase di crollo produttivo e commerciale sono state difformi nei vari paesi, così come ora i ritmi di ripresa non sono uniformi. Nel corso della crisi economica si è dunque manifestato in modo più evidente il cambiamento nei rapporti di forza nel sistema imperialista, preparato nei decenni precedenti, all’interno di diversi cicli economici. Vi saranno dunque paesi capitalistici che ne usciranno rafforzati rispetto i loro concorrenti ed altri che ne usciranno indeboliti. Una conseguenza di ciò è che ora i vagoni del treno mondiale del capitalismo viaggiano a velocità ancora più diverse rispetto al periodo precedente la crisi. La tendenza alla riduzione della percentuale globale di PIL degli USA, dell’eurozona e del Giappone – apparsa in modo inequivocabile nello scorso trentennio – va avanti in maniera più marcata. Mentre prosegue la parabola discendente della quota “occidentale” del PIL mondiale, vediamo una crescita della quota dei “paesi emergenti” asiatici come la Cina, che nel periodo 1980-2007 aveva già aumentato del 440% la propria quota nel PIL mondiale. Nel corso del 2009 la variazione positiva del PIL cinese è stata dell’8,7%, quella dell’India del 7,3%, mentre gli USA sono arretrati del 2,4% e l’area dell’euro del 4,1%. Nel 2010 la previsione di crescita del PIL cinese è del 10,2%, quello dell’India del 9,5%, in linea con
l’espansione economica e dei consumi dei paesi capitalistici emergenti (fra cui anche paesi non asiatici come il Brasile e la stessa Russia). Nello scorso mese di luglio l’Agenzia Internazionale dell’Energia ha diffuso i dati dei consumi mondiali di energia: dal 2000 al 2010 la domanda di energia in Cina è raddoppiata, finendo per sorpassare quella statunitense. Ancora più recente è l’annuncio del sorpasso cinese sul Giappone. Dieci anni fa la Cina era la settima potenza economica del mondo, ora è la seconda, alle spalle degli USA. Basterebbero queste notizie per mettere in luce i ritmi ed il livello di sviluppo del capitalismo cinese che negli ultimi anni ha continuato ad espandersi rapidamente, soprattutto grazie alla crescita del settore privato. Tendenze in atto Se prendiamo in esame l’ultimo quarto di secolo, la quota dell’Asia orientale e meridionale nel Prodotto Interno Lordo (PIL) mondiale, a parità di potere d’acquisto, è quasi triplicata, passando dal 12% circa del PIL mondiale nel 1980 al 35% circa del PIL mondiale di oggi. Certamente l’export cinese è stato colpito in maniera pesante dalla crisi mondiale e l’attività produttiva si è ridotta nel corso del 2008. Comunque, anche a causa di una vigorosa azione di supporto politicoeconomico e di “aggiustamenti liberisti” nel mercato della forza-lavoro, si è determinata una svolta nel secondo trimestre del 2009, che ha rafforzato la posizione della Cina nel convoglio capitalista, pur non avendo ancora la forza per trascinarlo. La stessa tendenza si riflette nei flussi degli investimenti di capitale. Nel periodo 1980-2006 Cina e India hanno visto
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Teoria & Prassi n. 21 crescere in modo significativo la quota di investimenti diretti, mentre la quota USA è diminuita, quella giapponese è rimasta stabile e quella dell’eurozona è cresciuta. Dal 2000 ad oggi la quantità di capitale straniero destinato ai paesi asiatici, specie alla Cina, è aumentata rapidamente. Negli ultimi tre anni, con la crisi, i flussi di capitale si sono indirizzati in maniera ancora più marcata verso i paesi “emergenti”, specie quelli della zona asiatica bagnata dall’oceano Pacifico. Anche per i prossimi anni questi paesi continueranno ad attrarre forti investimenti di capitale. In ciò si riflette ovviamente lo sfrenato desiderio dei monopoli capitalistici di produrre merci come computer, cellulari, apparecchi audio e video, etc. a costi più bassi e di massimizzare i profitti. In questa nuova divisione internazionale del lavoro la Cina ha la funzione di snodo di assemblaggio finale dei prodotti del network asiatico, in cui il capitale straniero gioca un ruolo preminente. Altro indicatore importante sono i flussi commerciali, che vanno cambiando direzione. Nel periodo 1980-2007 la quota USA di export mondiale è scesa dall’11,1% all’8,4%; quella del Giappone dal 6,4% al 5,13%; quella dell’UE dal 30,7% al 29,1%. Quella cinese è invece passata dallo 0,9% all’8,8%.
liberalizzazioni, incluso l’entrata nel 2001 nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, la Cina ha accresciuto la sua quota di esportatore mondiale di prodotti ICT (tecnologia informatica e delle comunicazioni), passando dal 3% del 1992 al 24% del 2006. Anche se la Cina ha sofferto di una riduzione delle esportazioni durante la crisi, ha avuto però risultati migliori della maggior parte degli altri paesi. Infatti, nel 2009 ha sorpassato la Germania come maggiore esportatore mondiale (il fatturato dell’export cinese è stato di 1.070 miliardi di dollari), portando a compimento la sua trasformazione in potenza capitalistica manifatturiera indirizzata all’export, con una dinamica fortemente dipendente dagli investimenti dai monopoli stranieri operanti nel settore e dalla capacità di assorbimento dei mercati occidentali. E’ decisamente finita l’epoca in cui le imprese capitalistiche situate in Cina e India occupavano la “fascia bassa” del mercato, con prodotti come giocattoli, vestiti e scarpe. Oggi le multinazionali dei paesi asiatici - colossi che per fatturato occupano i primi posti delle classifiche e che crescono a velocità impressionante - fanno la guerra alle multinazionali occidentali non solo nei mercati interni e in quelli dei paesi “in via di sviluppo”, ma anche negli stessi mercati europei e statunitensi. Nessuna sorpresa, dunque se il valore delle importazioni cinesi negli USA è passato da 16 miliardi di dollari del 1990 ai 340 miliardi del 2007. Fra i dati più significativi del trasferimento ad est del baricentro mondiale – segnatamente dell’ascesa cinese e del declino statunitense - è proprio il raffronto fra il surplus commerciale cinese e il passivo delle bilance dei pagamenti e commerciale USA. Allo stesso tempo la Cina è il più grande detentore del debito USA. Questi fatti causano grande allarme per gli equilibri del capitalismo, specie se il dollaro dovesse perdere il suo ruolo privilegiato. Si sposta il centro di gravità del capitalismo Quanto abbiamo detto da un lato ciò conferma che è il centro del sistema imperialista mondiale ad essere investito in maniera più forte dalla crisi, dall’altro dimostra che siamo di fronte ad un cambiamento nei rapporti di forza tra le varie potenze imperialiste, preparato negli ultimi decenni e amplificatosi durante la crisi attuale. Un cambiamento che ha dunque un ruolo particolare nella storia del capitalismo, sia riguardo i rapporti contraddittori fra i vari paesi imperialisti e capitalisti, sia nel conflitto
Trasformazioni nella produzione In accordo con la logica del network sopra accennata, che vede la Cina come produttore finale, una crescente percentuale del commercio interno asiatico consiste nel flusso export/import di semilavorati e componenti, specie dai paesi asiatici verso la Cina. La stessa composizione del commercio asiatico è cambiata, essendo sempre più caratterizzata da merci ad elevato contenuto tecnologico. Dopo decenni di
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Teoria & Prassi n. 21 lavoro-capitale. Gli USA, potenza in inesorabile declino storico (vedi Teoria & Prassi n. 20, “Si approfondisce il declino statunitense”), alle prese con un processo di deterioramento non solo economico, ma anche politico, morale, ecc., rimangono tuttora il principale paese imperialista. Ma è il centro di gravità del mercato mondiale che si va spostando ad oriente. Esso si trovava in Italia nel medioevo, in Inghilterra nell’era moderna, è poi passato in Nordamerica alla fine dell’800. La prima guerra mondiale ha accelerato questo dislocamento, mentre la seconda guerra mondiale ha permesso agli Stati Uniti di diventare la potenza egemone e il cuore dell’intero mondo capitalista (ad es. nel 1945 l’economia statunitense americana incideva per il 50% sull’intero PIL mondiale). Dai primi anni settanta dello scorso secolo gli USA sono in declino e col tempo cesseranno di essere la superpotenza economica che siamo abituati a vedere. Avranno un ruolo economico, a livello mondiale, sempre meno rilevante. Di conseguenza si va verificando un trasferimento del centro economico del mondo dagli USA all’Asia orientale e meridionale: un’area in cui sono concentrati i due terzi della popolazione mondiale, in cui il peso delle economie capitalistiche “emergenti” ad alto sviluppo demografico (Cina e India anzitutto, ma anche Indonesia, Corea del Sud, Filippine, Pakistan, Thailandia, Taiwan, Malaysia) sta aumentando velocemente. Si tratta di fenomeno tra i più significativi della storia del capitalismo, dall’epoca della rivoluzione industriale, che implica una mutazione degli assetti del sistema imperialista, e una rimessa in discussione degli equilibri internazionali. In particolare l’importanza e il peso della Cina sono destinati a crescere. Secondo l'ultimo rapporto Ocse il gigante asiatico, grazie ai massicci stimoli governativi, nel prossimo decennio si trasformerà nella prima potenza economica del mondo, surclassando gli Stati Uniti. Secondo P. Golub, nel 2020 l’economia cinese potrebbe rappresentare circa il 25% del PIL mondiale, l’economia indiana potrebbe rappresentarne circa il 9%, mentre la quota del Giappone dovrebbe mantenersi attorno al 6%. Secondo altri economisti tra 30 anni la quota di Prodotto Interno Lordo globale della Cina, che raggiungerà il 40%, renderà al confronto minuscola quella degli Stati Uniti e dell'Unione Europea, in cui l’industria e il commercio dovranno fare sforzi terribili per rimanere sul mercato.
Il Carnegie Endowment for International Peace prevede invece che entro il 2050 l'economia cinese sarà superiore a quella degli Stati Uniti solo del 20%. In ogni caso la Cina apparirà come l'economia dominante, in lotta per l’egemonia mondiale.
La Cina, anello fondamentale del sistema imperialista Già oggi il capitalismo cinese, con il suo apparato produttivo che si sviluppa anche a livello tecnologico, il suo il suo attivo commerciale, i suoi crescenti livelli di consumo, le sue riserve finanziarie, la sua economia di capace di reggere nella crisi globale, è vista come una sfida al predominio degli Stati Uniti. Non passa giorno senza che il raffronto con la Cina sia motivo di ansia e frustrazione per Washington. La Cina inoltre tiene costantemente in apprensione la superpotenza USA, perché se si dovesse convertire le sue valute in euro il dollaro perderebbe molto del suo valore. Dunque gli Stati Uniti considerano la Cina una seria minaccia per il futuro. La Cina attuale è un anello fondamentale della catena del sistema capitalista-imperialista. Possiede il secondo settore manifatturiero del mondo ed è, come abbiamo visto, il primo esportatore in assoluto: una sorta di “fabbrica mondiale” in cui si produce una quantità impressionante di merci destinate ai mercati di tutto il globo, principalmente quelli europei e nordamericani. Diversi sono i fattori che devono essere presi in considerazione per comprendere la rapida scalata del neo-imperialismo cinese, che ha acquisito un ruolo chiave nel mercato mondiale capitalistico a seguito delle riforme avvenute durante e dopo il periodo di
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Teoria & Prassi n. 21 Mao Zedong (in cui non si realizzarono alcune trasformazioni necessarie per la transizione al socialismo) e soprattutto in quello di Deng Xiaoping (in cui si consolidarono e svilupparono i fenomeni capitalisti e la borghesia); dopo Deng i dirigenti della “terza generazione”, come Jang Zemin, hanno legittimato e portato a termine il processo di transizione ad un’economia di mercato capitalista regolata dal governo, incorporando la classe dei capitalisti nel partito e adottando i necessari cambiamenti sovrastrutturali.
Tra questi fattori ve ne sono alcuni che raramente vengono evidenziati, come il ruolo fondamentale del settore agricolo, vale a dire lo sfruttamento intensivo dei contadini cui è riconducibile circa un terzo della crescita economica cinese, o l'enorme investimento che la Cina sta facendo nel settore dell'istruzione (operai più istruiti equivalgono ad operai più produttivi di plusvalore). Da non sottovalutare nella lotta per l’egemonia mondiale l’offensiva nel settore culturale: il mandarino ha soppiantato lo spagnolo per la rapidità di diffusione come prima lingua straniera nelle scuole americane (altrettanto significativa in questo campo la posizione dell’India: la quantità di produzione intellettuale indiana in tutti i campi – scienze, letteratura, cinema, scienze politiche, filosofia, metafisica, tecnologia, management, ecc. è strabiliante; oggi la stragrande maggioranza di tutti gli scienziati e ingegneri titolari di un dottorato vivono in Asia). Ma non c’è dubbio che il mutamento del rapporto di forza parte naturalmente dalla produzione, dallo sfruttamento intensivo della forza lavoro, perpetrato tanto dai monopoli stranieri impiantati nelle “zone franche” (450 dei 500 monopoli più grandi del
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mondo sono attivi in Cina), quanto dai monopoli cinesi. L’intensa spremitura e il trasferimento ai monopoli di enormi quantità di plusvalore estratto da centinaia di milioni di proletari cinesi, diritti sociali inesistenti o malsicuri, la creazione di una famelica oligarchia finanziaria, l’instaurazione di un moderno stato capitalista capace di competere con gli altri paesi imperialisti, sono alla base dell’ascesa della Cina capitalista. Tale è il processo manifestatosi in modo aperto da Deng in avanti. Altro che “comunità economica socialista”, “socialismo di mercato”, “nuova NEP” o sciocchezze del genere. La farsa del “socialismo di mercato” Sull’argomento siamo intervenuti in passato (cfr. “La Cina, paese socialista?” in T&P n. 11, “Gli sviluppi della lotta operaia in Cina” in T&P n.16), ma è bene rinfrescare la memoria. Il “miracolo economico” cinese deve essere spiegato sulla base delle condizioni estremamente favorevoli che i monopoli capitalistici hanno trovato in quel paese a seguito delle riforme, adottate in modo particolare a partire dal 1976. Riforme che non hanno fatto avanzare il socialismo né risolto alcun problema della classe operaia e dei contadini cinesi, ma hanno aumentato lo sfruttamento e la disoccupazione, ridotto i salari, permesso la concentrazione della ricchezza in poche mani, aumentato a dismisura le disuguaglianze sociali (un’infima minoranza di ”nuovi ricchi” possiede la maggioranza della ricchezza nazionale), fatto dilagare la corruzione e la prostituzione, costretto al suicidio per troppo lavoro gli operai e finalmente sviluppato l’antagonismo di classe. I beneficiari di queste riforme, sono stati i capitalisti, che hanno beneficiato di una politica di privilegi, di incentivi fiscali, di garanzie infrastrutturali e soprattutto di un basso prezzo della forza-lavoro su cui hanno basato la loro strategia dell’export. Pertanto la retorica revisionista sulla crescita cinese non è altra cosa dall’espansione di migliaia di imprese capitaliste, dallo sviluppo del capitalismo a spese dei lavoratori cinesi. D’altronde quale “socialismo” può esservi se il potere politico non sta nelle mani della classe operaia, se i mezzi di produzione si trovano nelle mani dei padroni, se lo sfruttamento non è abolito e la forza-lavoro resta una merce, se l’economia non è pianificata, se la circolazione mercantile si amplia a dismisura, se i prezzi non sono controllati e la speculazione è permessa, se il capitale finanziario predomina, se la classe operaia e i contadini sono costretti a produrre per la borghesia e i latifondisti?
Teoria & Prassi n. 21 Questo è esattamente ciò che accade in Cina, paese in cui il partito revisionista al potere ammette e incentiva il capitalismo interno e internazionale, attrae i borghesi nelle proprie fila, in cui la proprietà privata è consacrata ufficialmente nella Costituzione e protetta in modo che i proletari non la mettano in discussione, in cui lo stato agisce a favore degli sfruttatori e opprime la classe operaia e gli altri lavoratori. Non c’è dubbio, chi continua a sostenere che in Cina c’è il socialismo, sia pure “di mercato” è solo un ipocrita e un servo della borghesia.
ampiezza, che tenderà ad accentuarsi nei prossimi anni. Proseguirà in modo pacifico l’ascesa della Cina? Un’interessante cartina di tornasole per rispondere a questa domanda è la crescente influenza della Cina in Africa, uno degli obiettivi strategici dell’economia cinese. Nell’ultimo decennio la Cina ha aumentato il suo coinvolgimento economico in Africa. Il suo commercio con l'Africa è cresciuto da 18.5 miliardi di dollari del 2003 a 107 miliardi nel 2008. Ora è il più grande partner commerciale dell’Africa Meridionale. Gli interessi cinesi spaziano dal petrolio dell’Angola, della Nigeria, dell’Algeria, del Sudan, della Libia e del Kenia, alle dighe in Etiopia e Mozambico; dall’uranio del Niger al ferro della Liberia; dai porti in Kenya alle miniere di rame dello Zambia; dalle piantagioni nella Valle dello Zambesi ai biocombustibili in Uganda; dalla vendita delle armi in Corno d’Africa al cotone del Senegal; dalle ferrovie del Marocco ai contratti pubblici per la costruzione di strade e infrastrutture in numerosi altri paesi. L'indebolimento del dollaro sta incoraggiando Cina a sviluppare strategie finanziarie globali (l’esportazione di capitale è uno dei tratti fondamentali dell’imperialismo). Un consorzio di banche cinesi ha recentemente iniettato un miliardo di dollari attraverso la Banca Standard dell'Africa Meridionale per ottenere l'espansione degli investimenti finanziari. La Cina ha inoltre programmi di investimento in numerosi paesi africani, sullo stile del Piano Marshall. Ha già oliato i suoi interessi imperialisti impegnando 10 miliardi di dollari in prestiti con bassi tassi di interesse e periodi di rimborso più lunghi di quelli standard. Questa offerta è stata chiaramente ben accettata da molti governi africani, fra cui la Repubblica Democratica del Congo, ricca di materiali strategici. Gli Stati Uniti hanno immediatamente risposto tramite il FMI che ha minacciato di tagliare le linee di credito al Congo. Il conflitto sull’investimento cinese in Congo è un’anticipazione di quello che avverrà. La natura imperialista dei piani cinesi in Africa, ulteriormente sospinta dalla recessione globale, condurrà inevitabilmente a forti contrasti con gli Stati Uniti, con la Francia e con altri paesi imperialisti che hanno interessi vitali nel continente africano.
Una chiave di lettura della dinamica in atto nella regione La progressiva ascesa cinese (in particolare quella del suo export), quella indiana e degli altri paesi asiatici, può essere compresa solo nel contesto di una più ampia dinamica capitalista, diretta dai monopoli finanziari, consolidatasi nell’ambito della cosiddetta globalizzazione. Questa dinamica che ha investito l’intera regione asiatica, è il frutto di una ristrutturazione, di una riorganizzazione e di un riorientamento dell’economia mondiale, che prodotto una nuova divisione internazionale del lavoro ed ha spostato il baricentro da Occidente a Oriente, nelle megalopoli asiatiche, nelle regioni costiere, dove si concentrano gli investimenti diretti di capitale. I monopoli capitalisti in una prima fase si sono concentrati su settori a basso costo e ad alta intensità di lavoro, per la produzione di prodotti a scarso valore aggiunto; in una seconda fase si sono indirizzati verso la produzione per assemblaggio di prodotti a più forte intensità tecnologica, destinati non solo al mercato internazionale, ma anche al mercato locale, regionale e nazionale. Sono questi monopoli che hanno determinato la nuova divisione del lavoro e la nuova organizzazione della produzione a livello mondiale, che hanno strutturato a scopi precisi le economie dei paesi asiatici. Non si tratta dunque solo degli sforzi compiuti dai paesi asiatici per elevarsi nella gerarchia mondiale di questo o quel paese, ma del risultato di un ampio processo di trasformazione diretto dai monopoli capitalistici, sostenuto dai loro surplus di capitale, che ha influenzato e modificato in profondità la struttura stessa del sistema imperialista mondiale. Tale processo di ricentramento, grazie al quale la Cina e l’Asia nell’insieme stanno diventando il cuore del mondo capitalista, costituisce un fenomeno storico di primaria importanza ed eccezionale
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Teoria & Prassi n. 21 La Cina è consapevole del bisogno di proteggere con la forza i suoi interessi in Africa. Ha già spedito una flottiglia di cacciatorpedinieri nel Golfo di Aden con il pretesto di combattere la pirateria in un’idrovia geo-politicamente sensibile. E’ il primo rilevante impegno della marina militare cinese, al di fuori di un mandato ONU. L’ascesa dell’imperialismo cinese non potrà avvenire senza intaccare lo status quo e gli equilibri strategici esistenti. L’evoluzione dei rapporti di forze in Asia ha già costretto Washington a disegnare nuove strategie di sicurezza, che vanno oltre la politica del “coinvolgimento + contenimento”, funzionale al mantenimento dell’egemonia USA. Non a caso il Pentagono ha dovuto creare un nuovo comando militare: l’Afri-Com, non a caso gli strateghi militari da alcuni anni hanno iniziato a parlare di un “possibile conflitto” con la Cina. Se osserviamo gli sforzi USA per far rimanere agganciati al loro sistema di alleanze il Giappone e l’India, il mantenimento delle truppe in Corea del Sud, l’estensione della presenza yankee in Asia centrale, gli aiuti militari a numerosi paesi del SudEst asiatico, l’occupazione dell’Afghanistan, le provocazioni e le minacce rivolte alla RPD di Corea, l’incessante sforzo per mantenere un gap decisivo in termini tecnologici e di combattimento fra le forze armate USA e quelle cinesi, possiamo ben comprendere bene che l’Asia è destinata a prendere il posto dell’Europa nella strategia militare statunitense. Come già nel 2001 scriveva il Dipartimento di Stato USA nel suo Quadriennal Defense Review Report: “l’Asia sta gradualmente emergendo come una regione dove potrebbe svilupparsi una competizione militare su larga scala. Esiste la possibilità che un competitore militare con una formidabile base di risorse emerga nella regione”. Due sono i punti chiave emersi in questi anni, sulla base della geo-strategia di Brzezinski secondo cui chi domina l’Asia domina il mondo: a) il mantenimento della supremazia militare USA e la rimozione di qualsiasi limitazione della superiorità strategica o di minacce nucleari nel continente euroasiatico (v. Iran, RPD di Corea); b) l’impedimento di un sistema di alleanze regionali, o peggio ancora strategiche, facenti perno sulla Cina. D’altra parte la strategia cinese, imperniata sulla multipolarità del sistema imperialista, la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e la ricerca di una “partnership” con gli USA, continua a svilupparsi cercando di evitare per il momento un confronto diretto con la superpotenza americana,
dando dimostrazioni di affidabilità e di interesse a mantenere la situazione attuale. Gli Stati capitalisti hanno un solo mezzo per mettere a prova la loro forza Potrà la Cina sopportare all’infinito il predominio USA? Da quanto abbiamo esposto ne deriva che un contrasto, anche armato, fra la Cina e gli altri paesi imperialisti è praticamente certo. Non dobbiamo infatti fermarci all’analisi dei fenomeni esteriori, ma dobbiamo vedere le forze profonde dell’imperialismo, che determineranno il corso degli eventi. Già oggi notiamo che l’atteggiamento cinese è molto differente da quello degli anni passati, più assertivo e determinato, anche nei confronti degli USA. Ricordiamo la dura posizione cinese a proposito del ventilato riconoscimento nordamericano della indipendenza di Taiwan, gli ammonimenti a non interferire negli affari interni cinesi (v. la visita del Dalai Lama negli USA), le dispute in ambito commerciale e monetario, il conflitto sull’Iran, gli attacchi informatici o, da ultimo, l’opposizione alle manovre militari di una portaerei yankee a 500 km. da Pechino. In realtà, dietro le dichiarazioni diplomatiche e gli inviti alla cooperazione, esiste una rivalità strategica fra Cina e USA, che ha per posta il predominio mondiale. Il dragone asiatico si sta rafforzando e sta emergendo sempre più sulla scena economica e politica, ha un’influenza crescente, penetra nei quadranti-chiave (come l’Asia del Sud Ovest), disputa spazio agli USA e agli altri imperialismi, svolge un ruolo finanziario sempre più pesante. Ciò avrà profonde ripercussioni sull’arena internazionale. Nessun brigante imperialista può contentarsi a lungo dello status quo. I paesi imperialisti in ascesa, smaniosi di accrescere la propria influenza, cercheranno di accaparrarsi nuovi mercati, di mettere le mani sulle risorse energetiche, di sottrarsi dal predominio altrui. Allo stesso tempo le vecchie potenze dominanti faranno di tutto per imbrigliare i concorrenti, per mantenere le proprie posizioni e proteggersi, preservare il potere e la ricchezza di cui dispongono. In particolare gli USA vogliono conservare a tutti i costi la posizione di unica superpotenza mondiale, impedendo che altre potenze del continente eurasiatico emergano e si alleino per porre una sfida all’egemonismo, al controllo delle risorse strategiche e alla penetrazione economica statunitense. Da qui la loro politica aggressiva e guerrafondaia, accentuatasi
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Teoria & Prassi n. 21 dopo il rovinoso crollo del revisionismo sovietico. Come osservava il compagno Stalin, non esiste alcuna garanzia di un confronto pacifico fra paesi imperialisti, al contrario “l'inevitabilità delle guerre fra i paesi capitalistici continua a sussistere…. per eliminare l'inevitabilità delle guerre, è necessario distruggere l'imperialismo” (Problemi economici del socialismo nell’URSS).
fucina della rivoluzione proletaria nel corso di questo secolo e gli sviluppi della crisi economica, nonché l'accentuato contrasto fra potenze imperialiste, accelereranno il corso degli avvenimenti. Allo stesso tempo in Cina si sviluppa la contraddizione fondamentale fra lavoro e capitale. Nei mesi scorsi gli operai cinesi hanno intensificato la lotta per un aumento dei salari, così come per un miglioramento delle pessime condizioni di lavoro. Lo sciopero dilagato dalla Honda di Foshan è stato un fatto estremamente positivo, che deve essere appoggiato da tutti i proletari. Questa lotta, che ha confermato l’esistenza in Cina un movimento operaio dinamico, militante e con caratteristiche indipendenti, ha anche dimostrato che il blocco di una singola unità produttiva ha ripercussioni immediate per le operazioni globali dei monopoli. Per un lungo periodo i capitalisti hanno concentrato i loro sforzi in Cina ed hanno ottenuto una serie di facilitazioni nello sfruttamento degli operai al fine di assicurarsi il massimo profitto. E’ veramente positivo che oggi gli operai cinesi riprendono a lottare per mandare all’aria i piani dei capitalisti, sempre più determinati ed organizzati, e ci auguriamo anche sempre più coscienti. La classe operaia cinese costituisce un gigante decisivo della ripresa della lotta di classe a livello mondiale. Al suo interno si moltiplicano i segni di una combattività che avrà conseguenze enormi (fra questi segni c’è anche la ripresa del mito di Mao), soprattutto se la classe operaia degli altri paesi si collegherà agli sforzi della classe operaia del gigante asiatico, contro tutte le obiezioni che muovono i partiti borghesi, piccolo-borghesi e revisionisti. L’ascesa complessiva dell’area asiatica evidenzia al contempo il declino statunitense ed europeo (fra cui spicca quello italiano); nei prossimi decenni la traiettoria discendente sarà più rapida di quanto emerge da molti documenti. La classe operaia e gli altri lavoratori dei paesi occidentali saranno chiamati dalle classi dominanti a sacrifici senza sbocco, a rinunce e peggioramenti economici e politici senza fine per salvaguardare i privilegi e il parassitismo di un’esigua minoranza di sfruttatori e parassiti. L'unica possibilità che hanno i paesi a capitalismo avanzato di non cadere nel declino e nella dipendenza industriale, commerciale e politica, l’unica possibilità che i lavoratori hanno per uscire dalla infinita perdita di conquiste di civiltà, di salario, di diritti, è di iniziare una rivoluzione sociale che riesca adeguare i rapporti di produzione al carattere delle forze produttive.
Maturano le premesse di grandi sconvolgimenti sociali Siamo in un periodo di transizione, in cui l’Occidente declina e l’Oriente aumenta in potenza ma non è ancora al punto di “dargli il cambio”. Nel prossimo futuro questo trend proseguirà, determinando tra l’altro la formazione di una nuova superpotenza imperialista, la Cina, in termini economici, politici e militari. Si tratta di un periodo ricco di “sostanze infiammabili”, suscettibile di subitanee esplosioni. Chiaramente bisognerà vedere se il capitalismo non andrà incontro a nuovi sconvolgimenti economici, se gli imperialisti occidentali avranno la forza e l’opportunità di frenare lo sviluppo asiatico, così come bisognerà vedere se la borghesia dei nuovi giganti asiatici saprà controllare il proletariato e risolvere i suoi problemi interni.
Il dominio imperialista in Asia, specie nelle regioni meridionali, è vulnerabile. Le contraddizioni generate dal capitalismo hanno generato condizioni favorevoli per la lotta di classe rivoluzionaria in diversi paesi, in cui vi è tradizione rivoluzionaria e una presenza di movimenti comunisti, rivoluzionari, progressisti. La lotta di classe degli sfruttati si combina con le questioni nazionali irrisolte, che si presentano strettamente legate alla questione sociale. Imperialismo e rivoluzione si confrontano ormai apertamente in una serie di paesi, dall'India al Nepal, dal Bangladesh al Bhutan, dalle Filippine allo Sri Lanka. Questa regione del mondo sarà sicuramente una
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IL CONTRIBUTO DELLA TERZA INTERNAZIONALE ALLA FORMAZIONE TEORICA E POLITICA DEI PARTITI COMUNISTI NEI LORO PRIMI ANNI DI VITA 1. Nel marzo 1919 venne fondata a Mosca la Terza Internazionale comunista. Fin dal 1° novembre 1914 Lenin, dal suo esilio in Svizzera, aveva così delineato il ruolo della futura nuova Internazionale: “Nell’ultimo terzo del secolo XIX e all’inizio del XX secolo la Seconda Internazionale ha compiuto la sua parte di utile lavoro preparatorio, di organizzazione delle masse proletarie nel lungo periodo “pacifico” della più crudele schiavitù capitalistica e del più rapido progresso capitalistico. Alla Terza Internazionale spetta il compito di organizzare le forze del proletariato per l’assalto rivoluzionario contro i governi capitalistici, per la guerra civile contro la borghesia di tutti i paesi, per il potere politico, per la vittoria del socialismo”. Le conferenze di Zimmerthal e di Kienthal contro la guerra imperialista, la formazione della “sinistra di Zimmerthal” (di cui Lenin fu il principale animatore con il lancio della parola d’ordine rivoluzionaria “trasformazione della guerra imperialista in guerra civile”), i possenti scioperi contro la guerra nei principali paesi capitalistici, le due rivoluzioni del febbraio e dell’ottobre 1917 in Russia, la rivoluzione tedesca del 1918, furono le tappe principali attraverso le quali si giunse infine, nel marzo 1919, al congresso di fondazione della III Internazionale. La Terza Internazionale si assunse esplicitamente il compito di preservare il patrimonio teorico e politico del marxismo dalla degenerazione e dalla corruzione cui era andato soggetto nell’epoca della II Internazionale. Il leninismo venne ricollegato esplicitamente al marxismo originario di Marx ed Engels per il fatto di essere, come quello, il prodotto di un’epoca di grandi trasformazioni rivoluzionarie, la nuova epoca dell’imperialismo. Perciò la lotta ideologica contro tutte le tendenze che, in seno alla classe operaia, esprimevano un grado maggiore o minore di subordinazione ideologica del proletariato alla borghesia imperialista, fu concepita come una componente fondamentale della lotta di classe e come parte integrante dell’azione rivoluzionaria del movimento comunista. Compito politico fondamentale della nuova Internazionale comunista: concatenare e saldare insieme le rivoluzioni socialiste nei paesi capitalistici avanzati, le lotte dei popoli oppressi dalla
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dominazione coloniale, e la difesa del regime sovietico, come momenti indivisibili di un processo unitario tendente a un fine ultimo: l’instaurazione della Repubblica sovietica internazionale. 2. In questo articolo ci proponiamo di illustrare il fondamentale contributo di orientamento e di guida che - attraverso le principali tesi e risoluzioni approvate dai suoi primi Congressi (1919-1925) l’Internazionale dette ai partiti comunisti negli anni della loro formazione. Faremo parlare direttamente quei documenti (riportandone larghi estratti), i quali, lungi dall’avere un significato puramente storico, sono ancora ricchissimi di insegnamenti per i comunisti del nostro tempo, soprattutto per la più giovane generazione di operai e di lavoratori rivoluzionari che si avvicinano al comunismo. In quel primo periodo, l’attenzione della nuova Internazionale si concentrò principalmente su tre grandi questioni: - La rottura politica dei partiti della Terza Internazionale con il riformismo e il centrismo opportunista della socialdemocrazia europea. - La tattica di fronte unico nei paesi capitalistici avanzati. - La bolscevizzazione dei partiti comunisti. 3. Nei suoi due primi Congressi (1919, 1920) l'Internazionale fissò con estrema chiarezza le discriminanti fondamentali che contrapponevano nettamente i nuovi partiti comunisti alla vecchia socialdemocrazia e ad alcune tendenze anarcosindacaliste ed estremiste su alcuni problemi di importanza cruciale: il ruolo del partito nella rivoluzione proletaria; il suo rapporto con i Soviet e con i Consigli di fabbrica; la questione del parlamentarismo. «Il partito comunista è una parte della classe operaia e precisamente la parte più avanzata, più cosciente e più rivoluzionaria. [ …] I concetti di partito e di massa debbono essere tenuti rigorosamente separati…. In certe circostanze storiche è senz’altro possibile che la classe operaia sia formata da numerosi strati reazionari. Il compito del comunismo non consiste nell’adeguarsi a queste parti arretrate della classe operaia, ma nell’innalzare l’intera classe operaia al livello della sua avanguardia comunista.
Teoria & Prassi n. 21 La confusione di questi due concetti – partito e classe – può condurre ai più gravi errori». «La nascita dei Soviet come forma-base storica della dittatura del proletariato non indebolisce in alcun modo il ruolo di guida del partito comunista nella rivoluzione proletaria. […] Chiunque propone al partito comunista di “adeguarsi” ai Soviet, chiunque vede in tale adeguamento il rafforzamento del “carattere proletario” del partito rende un pessimo servizio tanto ai Soviet quanto al partito e non comprende l’importanza né del partito né dei Soviet».[…] «Il partito comunista deve essere costruito sulla base del centralismo democratico» (Tesi sul ruolo del partito nella rivoluzione proletaria, 24 luglio 1920). La necessità di stabilire un legame stretto e indissolubile con la vita della classe operaia e, attraverso questa, alla grande massa degli sfruttati, per guidarli nella lotta decisiva contro il capitalismo, si riflette nelle indicazioni riguardanti il rapporto col movimento operaio e sindacale. «Là dove nell’ambito dei sindacati o al di fuori di essi nelle fabbriche si costituiscono organizzazioni come gli Shop Stewards e i Consigli di fabbrica che si pongono come scopo la lotta contro le tendenze controrivoluzionarie della burocrazia sindacale e l’appoggio alle azioni spontanee e dirette del proletariato, è evidente che i comunisti debbono appoggiare con tutta la loro energia tali organizzazioni. […] La lotta dei Consigli di fabbrica contro il capitalismo ha dunque come obiettivo immediato il controllo operaio sulla produzione. [ …]. Ma poiché al tentativo degli operai di controllare il rifornimento di materie prime alle fabbriche e le operazioni finanziarie degli imprenditori industriali la borghesia e i governi capitalistici risponderanno con le più drastiche misure contro la classe operaia, la lotta per il controllo operaio sulla produzione porterà alla lotta per la conquista del potere da parte della classe operaia». «I Consigli di fabbrica non possono sostituire i sindacati. Soltanto nel corso della lotta essi possono unirsi al di là dei limiti di singole fabbriche e officine secondo i vari rami di produzione e creare un apparto comune per dirigere l’intera lotta. I sindacati sono già fin d’ora organi di lotta centralizzati, quantunque non abbraccino masse come quelle raccolte dai Consigli di fabbrica, i quali sono una libera organizzazione accessibile a tutti gli operai della fabbrica. La divisione dei compiti tra Consigli di fabbrica e sindacati è un risultato dello sviluppo storico della rivoluzione sociale» (Tesi sul lavoro sindacale e i Consigli di fabbrica, 3 agosto 1920).
Un punto fondamentale da affrontare nella lotta per la dittatura del proletariato nella forma del potere sovietico (cioè dei consigli operai) fu quello della critica del parlamento borghese e della possibilità di trarre vantaggio, osservando tutta una serie di rigorose condizioni, dal suo utilizzo. «Il comunismo rifiuta il parlamentarismo in quanto forma della società futura; lo rifiuta in quanto forma della dittatura di classe del proletariato. Rifiuta la possibilità di conquistare durevolmente i parlamenti, giacché si pone come obiettivo la distruzione del parlamento».
«L’ “antiparlamentarismo” di principio, nel senso di un rifiuto assoluto e categorico di partecipare alle elezioni e all’attività parlamentare rivoluzionaria è una teoria ingenua e infantile al di sotto di qualsiasi critica. […] Pertanto il partito comunista che riconosce la necessità di partecipare alle elezioni tanto per i parlamenti centrali quanto per gli organi amministrativi locali, e del pari ammette come regola generale il lavoro entro queste istituzioni, deve risolvere in modo concreto il problema partendo dalla valutazione delle specifiche particolarità del momento. Il boicottaggio delle elezioni o dei parlamenti oppure l’uscita da questi ultimi sono da scegliere principalmente quando siano date le condizioni preliminari per passare direttamente alla lotta armata e alla presa del potere» (Tesi sui partiti comunisti e il parlamentarismo, 2 agosto 1920). Ma la questione decisiva per la nascita dei nuovi partiti comunisti fu quella della piena accettazione della concezione marxista e leninista della dittatura proletaria, contro la teoria e la pratica del riformismo e contro tutte le varianti dell'opportunismo centrista. Oltre alla Piattaforma approvata dal 1° Congresso di fondazione, il documento fondamentale in proposito furono le Tesi sulla democrazia borghese e la dittatura del proletariato, elaborate direttamente da Lenin e approvate dal 2° Congresso.
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Teoria & Prassi n. 21 «La conquista del potere politico da parte del proletariato significa annientamento del potere politico della borghesia. […] La vittoria del proletariato sta nella disorganizzazione del potere nemico e nell’organizzazione del potere proletario; nella distruzione dell’apparato statale borghese e nella costruzione dell’apparato statale proletario» (Piattaforma, 4 marzo 1919). «La storia insegna che nessuna classe oppressa è mai giunta e ha potuto accedere al dominio senza attraversare un periodo di dittatura, cioè di conquista del potere politico e di repressione violenta della resistenza più furiosa, più disperata, che non arretra dinanzi a nessun delitto, qual è quella che hanno sempre opposto gli sfruttatori. […] Pertanto, quando oggi si difende la democrazia borghese con discorsi sulla “democrazia in generale”, quando oggi si grida e si strepita contro la dittatura del proletariato fingendo di gridare contro la “dittatura in generale”, non si fa che tradire il socialismo, passare di fatto dalla parte della borghesia, negare al proletariato il diritto alla propria rivoluzione proletaria. […] Tutti i socialisti, chiarendo il carattere di classe della civiltà borghese, della democrazia borghese, del parlamentarismo borghese, hanno espresso la stessa idea che già Marx ed Engels avevano esposto con il massimo rigore scientifico, dicendo che la repubblica borghese più democratica è soltanto una macchina che permette alla borghesia di schiacciare la classe operaia, che permette a un pugno di capitalisti di schiacciare le masse lavoratrici.
[…] Il punto essenziale che i socialisti non comprendono e in cui consiste la loro miopia teorica, la loro soggezione ai pregiudizi borghesi e il loro tradimento politico nei confronti del proletariato, è che nella società capitalistica, di fronte all’acuirsi più o meno forte della lotta di classe che ne costituisce il fondamento, non può darsi alcun termine medio tra la
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dittatura della borghesia e la dittatura del proletariato. Ogni sogno d’una qualsiasi terza via è querimonia reazionaria piccolo-borghese» (Tesi e risoluzione sulla democrazia borghese e la dittatura del proletariato, 4 marzo 1919). Per la nascita dei nuovi partiti comunisti era necessario che, nei vecchi partiti socialisti, la rottura ideologica e politica col riformismo e con l'opportunismo centrista (Turati, Modigliani, MacDonald, Longuet, Kautsky, Hilferding, Serrati, ecc.) si traducesse anche in alcune misure pratiche ed organizzative interne, che furono incluse nelle celebri 21 condizioni di ammissione all'Internazionale comunista. La n. 15 e la n. 21 furono tra le più significative: «I partiti che fino ad oggi conservano i loro vecchi programmi socialdemocratici sono tenuti a modificare nel più breve tempo possibile tali programmi e, conformemente alla situazione particolare del loro paese, ad elaborare un nuovo programma comunista coerente con le risoluzioni dell'Internazionale comunista». «Tutti i membri del partito che respingono fondamentalmente le condizioni e le norme dell'Internazionale comunista debbono essere espulsi dal partito stesso». 4. Uno dei compiti principali che l'Internazionale pose alle sue sezioni nazionali nel 3°, 4° e 5° Congresso (1921, 1922, 1924) fu quello della conquista delle masse. Essa prese atto realisticamente che anche dopo la nascita dei partiti comunisti la maggioranza della classe operaia si trovava ancora sotto l'egemonia della socialdemocrazia. Era dunque, necessario elaborare una tattica adeguata che, partendo dall'esperienza concreta di lotta delle masse proletarie, riuscisse a sottrarre all'egemonia riformista la maggioranza della classe operaia spingendola ad accettare, come giusta e conforme ai suoi fondamentali interessi di lavoro e di vita, la direzione politica dei comunisti. Fu questa la tattica di fronte unico proletario, che l'Internazionale sviluppò ampiamente nel corso di quegli anni, combattendone, al tempo stesso, le interpretazioni opportunistiche. «Il problema oggi più importante per l’Internazionale comunista è quello di conquistare un’influenza determinante nella maggioranza della classe operaia. […] L’Internazionale fin dal primo giorno della sua costituzione si è posta in modo chiaro ed univoco come scopo non la creazione di piccole sette comuniste, che cercano di affermare la propria influenza sulle masse operaie soltanto
Teoria & Prassi n. 21 attraverso la propaganda e l’agitazione, ma la partecipazione alle lotte delle masse operaie, la guida di queste lotte secondo una direttiva comunista e la creazione, nel corso di questa lotta, di partiti comunisti di massa, efficienti, grandi e rivoluzionari. […] «I partiti comunisti debbono avanzare rivendicazioni il cui soddisfacimento costituisce un bisogno immediato e improrogabile per la classe operaia, debbono propugnare tali rivendicazioni nella lotta delle masse, indipendentemente dalla loro conciliabilità o meno con l’economia di profitto della classe capitalistica. […] Nella misura in cui questa lotta contrapporrà le necessità di vita delle masse alle necessità di vita della società capitalistica, la classe operaia acquisterà la consapevolezza che perché essa possa vivere il capitalismo deve perire; questa consapevolezza costituirà il fondamento della volontà di combattere per la dittatura» (3° Congresso, Tesi sulla tattica, 12 luglio 1921). Le caratteristiche del fronte unico, il metodo da seguire per la sua realizzazione in modo ampio, non ristretto e formale, rivolgendosi alla grande massa dei lavoratori che fanno riferimento ai partiti riformisti o sono influenzati da essi, fu sempre al centro dell’attenzione della Terza Internazionale. «La tattica del fronte unico è l’offerta della lotta comune dei comunisti con tutti gli operai appartenenti ad altri partiti o gruppi e con tutti gli operai senza partito per difendere – contro la borghesia - i più elementari interessi di vita della classe operaia. […] Il vero successo del fronte unico scaturisce “dal basso”, dalle profondità delle masse operaie stesse. Tuttavia i comunisti non possono rinunciare a trattare, a certe condizioni, anche con i vertici dei partiti operai avversari. Sull’andamento di queste trattative le masse devono però essere continuamente ed esaurientemente informate. La libertà di movimento del partito comunista non deve assolutamente essere limitata neppure durante i negoziati con i vertici. S’intende che la tattica del fronte unico è da applicarsi nei vari paesi in forma diversa, a seconda delle condizioni concrete» (4° Congresso, Tesi sulla tattica, 5 dicembre 1922). Di fronte ad alcune interpretazioni deboli o erronee della tattica del fronte unico e del suo sbocco politico rivoluzionario, il Congresso dell’Internazionale intervenne con la massima chiarezza per evitare confusioni e fraintendimenti. «La tattica del fronte unico è soltanto un metodo di agitazione e di mobilitazione rivoluzionaria delle masse per la durata di un intero periodo di tempo. Ogni tentativo di interpretare questa tattica come alleanza politica con la socialdemocrazia
controrivoluzionaria è una forma di opportunismo che viene rifiutata dall’Internazionale comunista. «La parola d’ordine del governo operaio e contadino è stata ed è intesa dal Comintern come conclusione della tattica del fronte unico. Gli elementi opportunisti del Comintern hanno cercato in passato di alterare anche la parola d’ordine del governo operaio e contadino, interpretandolo come un governo “nel quadro della democrazia borghese” e come un’alleanza politica con la socialdemocrazia. Il V Congresso mondiale del Comintern rifiuta nel modo più deciso questa interpretazione. […] La formula “governo operaio e contadino”, derivata dall’esperienza della rivoluzione russa, non fu e non può essere altro che un metodo di agitazione e mobilitazione delle masse nell’intento di provocare il crollo per via rivoluzionaria della borghesia e di edificare il potere sovietico» (5° Congresso, Tesi sulla tattica, 8 luglio 1924).
5. Alcuni anni dopo la fondazione della Terza Internazionale, si palesò in modo sempre più stringente la necessità di trasformare i partiti comunisti in autentici partiti bolscevichi. La loro bolscevizzazione non doveva essere intesa nel senso di un meccanico trasferimento dell’esperienza russa in quella degli altri partiti comunisti (errore dal quale già Lenin aveva messo in guardia), ma nell'assimilazione di quei tratti dell'esperienza russa che - come lo stesso Lenin aveva affermato ne L'estremismo malattia infantile del comunismo avevano "un significato internazionale". Ciò avrebbe consentito non solo di sviluppare e rafforzare le diverse sezioni nazionali dell'Internazionale, ma anche di correggere un certo numero di errori e di deviazioni di destra e di «sinistra» - sul piano teorico, politico e organizzativo - che si erano manifestate nei primi anni di vita dei partiti comunisti. Il documento più organico col quale l'Internazionale esercitò, su quei problemi, la sua importante funzione di orientamento e di guida furono le Tesi del V Plenum sulla bolscevizzazione dei partiti comunisti (aprile 1925), di cui riportiamo alcune parti essenziali.
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Teoria & Prassi n. 21 Sulla teoria «Ogni deviazione dal leninismo equivale a una deviazione dal marxismo. Non meno decisamente debbono essere combattute tutte le deviazioni dal leninismo nel campo della cosiddetta “teoria pura”, della filosofia, della teoria dell’economia politica, ecc. L’insufficiente apprezzamento della teoria che si è potuto rilevare in parecchi partiti costituisce il maggior ostacolo a una bolscevizzazione dei partiti dell’Internazionale comunista. Se permane un atteggiamento “tollerante” verso deviazioni teoriche non si può certo parlare di un'effettiva bolscevizzazione. L’assimilazione del leninismo in quanto teoria è la premessa per una positiva bolscevizzazione. Una deviazione particolarmente pericolosa è il trotskismo, una varietà del menscevismo che fonde l’“opportunismo europeo” con la retorica della “sinistra radicale”, e in tal modo maschera di frequente la propria passività politica».
Sul lavoro nei sindacati «La deviazione nella questione del lavoro dei comunisti in seno ai sindacati cela gravissimi pericoli per la causa dell’effettiva bolscevizzazione dei nostri partiti. In tutto il mondo capitalistico i sindacati sono la più importante forma di organizzazione di massa del proletariato. Senza dubbio, grandissimo valore hanno anche altre forme di organizzazione di massa (Consigli di fabbrica e simili), e senza dubbio anch’esse hanno davanti a sé un grandissimo futuro rivoluzionario, ma soltanto ora queste nuove forme di organizzazione di massa cominciano a guadagnare il riconoscimento generale di ampie masse operaie. D’altra parte, tali forme di organizzazione di massa del proletariato, come i consigli, sono possibili soltanto all’inizio della rivoluzione. …Una delle più importanti componenti della bolscevizzazione è il lavoro nei sindacati esistenti, socialdemocratici o di altro genere (gialli, nazionalsocialisti, confessionali e fascisti); ad esso
bisogna dedicare un’attenzione centuplicata rispetto al passato. … I comunisti accresceranno la loro influenza e acquisteranno autorità tra le masse operaie battendosi per tutte le rivendicazioni concrete: aumento dei salari, difesa della giornata lavorativa di otto ore, lotta contro la disoccupazione, ecc., e ponendosi seriamente e coraggiosamente alla testa di tutti i conflitti, accanto alla classe operaia». Sulla politica di alleanze del proletariato «Il leninismo ha sempre considerato che uno dei suoi doveri fondamentali fosse quello di risolvere nel modo più preciso e concreto il compito di individuare quali strati intermedi siano in grado, in ciascuna tappa dello sviluppo rivoluzionario, di diventare alleati del proletariato, di individuare quali siano le rivendicazioni di fondo che in ogni data situazione ne fanno degli alleati del proletariato. […] In linea generale, il leninismo suddivide la piccola borghesia in tre gruppi: determinati strati di piccola borghesia possono, e quindi devono, sia pure temporaneamente, essere conquistati come diretti alleati del proletariato; altri strati devono, invece, essere neutralizzati; altri ancora infine (gli strati superiori della piccola borghesia urbana e rurale) devono essere combattuti direttamente, per improrogabile necessità». Sulla forma organizzativa del partito e sulla selezione dei quadri dirigenti «La forma principale e fondamentale di organizzazione per qualsiasi partito bolscevico è la cellula nel luogo di lavoro. L’antico principio organizzativo, assunto dalla socialdemocrazia, secondo cui il partito viene costruito in base alle circoscrizioni elettorali tenendo presenti le necessità delle elezioni per il parlamento, è inaccettabile per i comunisti. Un vero partito bolscevico non può esistere se le basi della sua organizzazione non poggiano sulle cellule di fabbrica». «Uno dei compiti importanti di ciascun partito comunista deve consistere nel selezionare con la massima cura i quadri dirigenti, traendoli dalla massa dei lavoratori d’avanguardia che si siano distinti per la loro energia, le conoscenze, l’abilità e la devozione al partito. […] L’organizzatore e il quadro operaio comunista non devono avere nulla di comune con i funzionari e impiegati “responsabili” socialdemocratici. L’organizzatore comunista deve vivere in mezzo alle masse – nella fabbrica, nell’azienda, nella miniera – e lavorarvi. […] Un obiettivo da raggiungere immediatamente è quello
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che gli organi dirigenti del partito assumano sempre più carattere operaio». E’ necessario «coinvolgere tutti gli organi subordinati e tutte le cellule nella partecipazione alla vita politica e organizzativa del partito, e parimenti stimolare lo spirito di iniziativa degli operai all’interno del partito». Al tempo stesso, «una ferrea disciplina proletaria è una delle più importanti premesse della bolscevizzazione. I partiti che hanno per insegna la “dittatura del proletariato” devono avere ben chiaro che non si può parlare di dittatura proletaria vittoriosa se manca nel partito una disciplina ferrea, quella disciplina che si conquista nel corso di anni e di decenni».
Primo punto dello statuto della Terza Internazionale comunista approvato dal II Congresso (4 agosto 1920)
6. Questi preziosi insegnamenti della Terza Internazionale comunista conservano la loro validità anche dopo lo scioglimento di essa, perché costituiscono i principi ispiratori dell'internazionalismo proletario del nostro tempo, i fondamenti teorici, politici e organizzativi che guidano l’azione dei partiti comunisti che si raccolgono sotto le bandiere della "Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni MarxistiLeninisti”. La CIPOML rappresenta un insostituibile punto di riferimento e di orientamento ideologico, politico e organizzativo per le nuove giovani leve di comunisti che stanno sorgendo in tutto il mondo nella prospettiva delle nuove rivoluzioni proletarie che nasceranno dalla crisi inarrestabile della società capitalistica. La storia dimostra la necessità inderogabile della formazione e del rafforzamento di un centro di direzione delle forze rivoluzionarie del proletariato, potente fattore di stimolo alla scissione con l’opportunismo e alla costituzione di partiti comunisti nei singoli paesi, al loro efficace funzionamento nella lotta per il potere e al loro coordinamento sul piano internazionale. Conformemente, possono considerarsi comunisti soltanto quei partiti e quelle organizzazioni che concepiscono la propria attività in stretta connessione con la lotta e con gli sforzi del movimento marxista-leninista internazionale. Concludiamo questo articolo ricordando quanto giustamente diceva la Terza Internazionale: «Un bolscevico non è colui che aderisce al partito al culmine della marea rivoluzionaria, ma colui che sa costruire il partito per anni, per decenni se è necessario, anche quando la marea è in riflusso e la rivoluzione si sviluppa lentamente».
1. La nuova associazione internazionale dei lavoratori è creata per organizzare azioni comuni dei proletari dei vari paesi, che perseguono quest’unico obiettivo: la caduta del capitalismo, l’istituzione della dittatura del proletariato e di una repubblica sovietica internazionale per la completa eliminazione delle classi e la realizzazione del socialismo, primo gradino della società comunista.
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DOCUMENTAZIONE INTERNAZIONALE PER UN 1° MAGGIO DI LOTTA E DI UNITA' IN TUTTI I PAESI! Lavoratrici e lavoratori di tutto il mondo! Dopo tre anni di profonda crisi economica, fenomeno inevitabile del modo di produzione capitalista, celebriamo il 1° Maggio in una situazione caratterizzata dalla crescita della disoccupazione, dall’aumento dello sfruttamento, dalla diminuzione dei salari, dalla miseria dilagante e dalla fame. L’offensiva reazionaria del capitale va assumendo forme più acute. Allo scopo di proteggere gli interessi dei monopoli capitalistici e riversare tutto il peso della crisi sulle spalle dei lavoratori, si apre la strada ai licenziamenti di massa e alle “riforme” antisociali, sono attaccati i contratti di lavoro, si impone l’autoritarismo antioperaio per ridurre il valore del lavoro al limite più basso e aumentare il potere dei padroni. La borghesia va all’assalto per demolire le conquiste economiche e politiche, i diritti ottenuti dalla classe operaia con decenni di dure lotte. Dopo aver sovvenzionato banche e grandi imprese con enormi quantità di denaro pubblico ora si risana il debito degli stati tagliando le pensioni, smantellando i servizi sociali, aumentando l’oppressione fiscale delle masse.
Di conseguenza le condizioni sociali della maggioranza dei lavoratori peggiorano costantemente, mentre gli strati più alti della società continuano a vivere nel lusso e nello spreco. Se i giornali borghesi parlano di ripresa è solo per i grandi azionisti che si spartiscono lauti dividendi, non certo per gli operai. Mentre si accentuano le contraddizioni e gli squilibri propri dell'economia capitalista, osserviamo l’aggravarsi dei contrasti fra i monopoli e gli stati imperialisti per difendere i mercati di sbocco e le zone di influenza, per impadronirsi delle materie prime e sbaragliare i propri concorrenti. Va avanti l'escalation aggressiva della decadente superpotenza USA. Vediamo l'intensificazione della guerra di rapina in Afghanistan e in Pakistan, le minacce a Cuba, alla R. P. D. di Corea, al Venezuela, i golpe in Honduras e in Africa, il sostegno alla criminale politica sionista, l’occupazione militare di Haiti, la preparazione dell'aggressione all'Iran, l'installazione di basi militari in Colombia, le minacce contro le forze progressiste e rivoluzionarie in ogni continente. Allo stesso tempo si accrescono i contrasti con le altre potenze capitaliste, in particolare la Cina e la Russia, e si rafforzano le tendenze proprie dell’imperialismo che porteranno a nuove guerre. Dietro i sorrisi e la maschera “pacifista” si sviluppa una nuova corsa agli armamenti, come lo “scudo antimissili” che gli USA vogliono installare in Europa, il cui peso ricadrà come sempre sui lavoratori e sui popoli. Tutti i tentativi della borghesia di superare artificialmente la crisi economica, di sanare le piaghe sociali, ambientali, morali, dell’attuale modo di produzione si sono rivelati inutili. In questa situazione si intensifica la lotta fra capitale e lavoro. Sottoposto a un feroce attacco il proletariato non vuole tornare indietro e non può rimanere immobile. I suoi interessi di classe lo portano a lottare in modo organizzato contro la classe dominante. In Europa, in Asia, nel continente americano prosegue e si rafforza la lotta della classe operaia, che si rifiuta di pagare la crisi dei capitalisti e ricomincia a fare affidamento sulla propria forza. In modo particolare si sviluppa la lotta dei giovani operai, precari e super-sfruttati, dei lavoratori immigrati senza diritti, dei disoccupati senza indennità, dei milioni di sfruttati che a stento
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Teoria & Prassi n. 21 arrivano alla fine del mese. Al loro fianco si mobilitano i contadini poveri e gli altri strati popolari oppressi dalle politiche dei monopoli. Anche i popoli e i paesi oppressi si schierano con le loro legittime rivendicazioni sempre più apertamente contro il dominio imposto dal capitale finanziario. Essi si uniscono al movimento rivoluzionario contro il comune nemico: l’imperialismo. Lo spirito di rivolta cresce e si accumulano gli elementi che porteranno alle future esplosioni rivoluzionarie negli anelli più deboli della catena imperialista. Di fronte alla crescita e all’avanzata del proletariato e dei popoli la borghesia cerca una via di uscita con la reazione politica e la repressione più brutale. I capitalisti e i loro governi indeboliscono e aggrediscono le organizzazioni di massa nei quali i lavoratori si uniscono e lottano, spargono a piene mani il veleno del razzismo e della xenofobia per incrementare la concorrenza fra lavoratori, mobilitano in senso reazionario le loro riserve piccolo-borghesi, utilizzano l'arma terrorista del fascismo contro il movimento operaio e sindacale, perseguitano i dirigenti delle lotte operaie e popolari. Dentro questo disegno reazionario si colloca il tentativo di mettere nell'illegalità le forze comuniste e di proibire i simboli della liberazione dei lavoratori. Questa situazione pone ai lavoratori di tutti i paesi l’esigenza di organizzare un ampio fronte unico di lotta, contro l’offensiva del capitalismo, la reazione politica e i pericoli di guerra, per accelerare la fine ineluttabile del sistema di sfruttamento capitalista. E' necessario che i lavoratori sviluppino in ogni paese una politica di unità contro il capitale per bloccare i licenziamenti, contro la flessibilità e il precariato; per impedire la soppressione dei diritti e delle conquiste sociali, per il rispetto e lo sviluppo della contrattazione collettiva; per dire no al pagamento del debito estero e le privatizzazioni; per rivendicare la riduzione della giornata lavorativa e due giorni di riposo settimanale senza diminuzione di salario; per un salario minimo dignitoso e indennità che coprano le necessità basilari dei disoccupati; contro le spese militari, per servizi pubblici, sanità e istruzione gratuite e fruibili dalle larghe masse; per la regolarizzazione dei “sans papier”; per il ritiro delle truppe dai paesi occupati. Con la sua unità e la massiccia partecipazione alla lotta la classe operaia è in grado di spezzare il fronte del capitale, di respingere gli attacchi della borghesia e di far pagare le conseguenze della crisi ai
capitalisti, ai ricchi, ai parassiti, aprendo la via alla trasformazione rivoluzionaria dell'intera società. L’ostacolo principale che si oppone alla costituzione del fronte unico è la politica di collaborazione e conciliazione di classe seguita dai partiti socialdemocratici e riformisti. In questa fase emerge in modo ancora più chiaro la politica di tradimento degli interessi degli sfruttati attuata dai capi socialdemocratici e riformisti, dai vertici sindacali collaborazionisti, che dietro la demagogia del “dialogo sociale” disarmano gli operai, li dividono e li spingono a capitolare. Ma queste forze che per decenni hanno bivaccato nelle istituzioni borghesi hanno ormai perso ogni credibilità agli occhi dei lavoratori, i quali criticano sempre più la loro incoerenza e debolezza, il loro ruolo di freno delle lotte e di aiuto alle forze reazionarie.
Nella lotta contro l’imperialismo e le borghesie nazionali si potrà avanzare solo sconfiggendo l’opportunismo, infrangendo la passività e la politica scissionista propria della socialdemocrazia, degli opportunisti e delle altre forze scioviniste. In questo processo di sviluppo della lotta fra le classi sociali masse sempre più ampie di lavoratori sfruttati comprenderanno la realtà dell'imperialismo, abbandoneranno le illusioni riformiste e si convinceranno che è necessaria la rivoluzione sociale del proletariato per passare ad un nuovo e superiore sistema sociale. Il capitalismo monopolistico finanziario, l’imperialismo, è un sistema parassitario e moribondo, volto unicamente al massimo profitto di una minoranza di sfruttatori, pertanto irriformabile. La borghesia sta dimostrando di essere incapace di rimanere a lungo la classe dominante, sta dimostrando che la sua esistenza è sempre più incompatibile con quella della società e della natura. Il solo modo per mettere fine alle devastanti crisi
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Teoria & Prassi n. 21 economiche, alle guerre ingiuste, alla distruzione ambientale, alla corruzione dilagante, ai mali endemici del capitalismo, è l'azione rivoluzionaria per la conquista del potere politico da parte della classe operaia e dei suoi alleati, l'abolizione dei rapporti borghesi di proprietà e la costruzione del socialismo. Per questo chiamiamo i migliori elementi del proletariato, i giovani rivoluzionari, a partecipare in ogni paese alla costruzione di autentici partiti della classe operaia, a rafforzare le fila di quelli esistenti, perché il partito comunista basato sul marximoleninismo è la garanzia sicura per dirigere le lotte del movimento operaio e popolare fino alla vittoria. Che il 1° Maggio del 2010 sia una giornata di lotta di classe, che si esprima con manifestazioni di strada e scioperi di massa, con un accresciuto significato rivoluzionario! Rafforziamo la lotta unitaria contro il capitalismo, creiamo e consolidiamo le organizzazioni operaie e popolari, in primo luogo i partiti e le organizzazioni comunisti! Facciamo pagare la crisi ai monopoli capitalisti, ai ricchi e ai parassiti borghesi che ne sono i responsabili! Dimostriamo che milioni di lavoratori fanno di nuovo propria la causa della rivoluzione e del socialismo! Sviluppiamo la solidarietà internazionale dei lavoratori e dei popoli!
Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML)
visitate il sito della CIPOML http:// www.cipoml.org
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SOLIDARIETÀ CON I LAVORATORI ED IL POPOLO DI GRECIA. NON PAGHEREMO LA CRISI E I DEBITI DEL CAPITALE! La classe operaia ed il popolo di Grecia sono l’obiettivo di un attacco congiunto delle banche, dell'U.E. e del F.M.I. che vogliono imporre un enorme arretramento sociale, per far pagare loro i debiti dei capitalisti. Diminuzione drastica dei salari e delle pensioni, aumento delle tasse, liquidazione del sistema di protezione sociale, prosecuzione delle privatizzazioni….è un'austerità al cubo quella che la borghesia internazionale vuole imporre al popolo greco. Ed il governo socialdemocratico greco ubbidisce. I lavoratori, i giovani, i contadini, hanno ragione nel rifiutarsi di pagare la crisi del sistema. Non passa giorno senza scioperi e manifestazioni. Con il popolo greco, noi diciamo: "Sono le banche, sono i capitalisti che devono pagare la loro crisi e i loro debiti, non il popolo!". L'Unione Europea ha imposto le politiche neoliberiste che hanno amplificato la crisi finanziaria ed economica e distrutto i meccanismi di protezione sociale. I governi, la Banca Centrale Europea, hanno bruciato miliardi di fondi pubblici per il salvataggio delle banche: le stesse banche che oggi traggono immensi benefici dai debiti degli Stati. Il tasso di interesse dei prestiti che "concedono" al governo greco supera già il 10%, mentre finanziano loro stesse a tassi di gran lunga inferiori. I capi degli altri paesi dell'U.E., particolarmente quelli di Germania e di Francia, esigono dal governo greco ulteriori misure antipopolari. Questa è “la solidarietà europea”: solidarietà tra capitalisti, tra monopoli, al fine di rimuovere gli ostacoli al supersfruttamento dei lavoratori di tutti i paesi, solidarietà tra governi neoliberisti e social-liberisti per privatizzare, per organizzare la macelleria sociale. Tale solidarietà non è mai nei confronti dei popoli, vittime della loro politica e delle potenze imperialiste che dominano nell'U.E., approfittando della crisi e delle difficoltà dei loro concorrenti per rafforzarsi, guadagnare ed accaparrarsi i mercati. Altri paesi sono nel mirino delle banche e degli speculatori: la Spagna, il Portogallo…. Affermiamo la nostra solidarietà con la classe operaia, i lavoratori delle città e delle campagne, la gioventù di Grecia: sosteniamo la loro lotta per non
Teoria & Prassi n. 21 pagare la crisi ed i debiti del capitale. Denunciamo le pressioni odiose dei governi dell'U.E. che esigono sempre più “sacrifici”. Denunciamo l'U.E. ed il F.M.I. che vogliono mettere quel paese sotto il controllo delle grandi banche, dei monopoli e delle grandi potenze imperialiste. Affermiamo il diritto del popolo greco, come di tutti i popoli, ad uscire dell'U.E., strumento di dominio e di supersfruttamento dei lavoratori e dei popoli. Chiamiamo i lavoratori e i popoli ad esprimere la loro solidarietà con la battaglia della classe operaia e del popolo di Grecia, lottando dovunque contro la stessa politica dell'U.E., che è al servizio esclusivo dei monopoli. 27/4/2010
“Il proletariato nella sua lotta per il potere ha soltanto un’arma: l’organizzazione” (V. I. Lenin) Organizzati e lotta con PIATTAFORMA COMUNISTA!
Movimento per la Riorganizzazione del KKE 1918-55 (Grecia) Partito Comunista di Spagna (marxista-leninista) PCE(ML) Gioventù Comunista di Spagna (marxistaleninista) JCE(ML) Partito Comunista degli Operai di Francia (PCOF) Partito Comunista degli Operai di Danimarca (APK) Piattaforma Comunista (d’Italia) Organizzazione per la costruzione di un Partito Comunista degli Operai di Germania Organizzazione Marxista-Leninista Revolusjon di Norvegia Partito Comunista Rivoluzionario di Turchia (TDKP) Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML) Hanno aderito: Organizzazione Comunista Marxista-Leninista di Linea Rossa – Genova Partito Comunista Italiano Marxista-Leninista Sindacato Lavoratori in Lotta Sindacato di base RdB di Pinerolo Gruppo Atei Materialisti Dialettici (GAMADI) Mensile “La Voce” Movimento Terra e Liberazione Ha espresso piena solidarietà: Partito Comunista di Tutta l'Unione (Bolscevico) Russia Sono giunte anche adesioni personali di numerosi compagni.
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Teoria & Prassi n. 21 L'indignazione dei popoli del mondo è esplosa in numerose manifestazioni che si sono tenute nelle principali città, particolarmente europee, come in Francia, Italia, Spagna, Germania, Belgio, Portogallo e con particolare combattività in Turchia. Di fronte a questa indignazione popolare, la tiepidezza ipocrita dei governi che al più "deplorano e chiedono spiegazioni”, quando lo Stato sionista, per la sua attività criminale, dovrebbe essere espulso dagli organismi internazionali e cancellati gli accordi preferenziali con l'Unione Europea. Ancora oggi, 2 giugno, non si sa esattamente quanti morti (assassinati), ci sono stati nell'operazione, né il numero esatto dei feriti. Con impressionante cinismo, l'ambasciatore israeliano in Spagna ha dichiarato ai mezzi di comunicazione, dopo il ritornello sulla legittima difesa, che c’è stata solo una decina di morti tra più di settecento persone che erano a bordo, il che è “una percentuale molto bassa". Il presidente Obama, questo "democratico" che fa suonare tamburi di guerra contro l'Iran e la Corea del Nord, che mantiene il criminale embargo contro Cuba, che continua l'aggressione contro l’Afghanistan e l’Iraq, si è limitato a esprimere rincrescimento per ciò che successo, null’altro.
CONTRO LA BARBARIE DELLO STATO FASCISTA D’ISRAELE! SOLIDARIETÀ COL POPOLO PALESTINESE! La brutale aggressione compiuta dall’esercito nazisionista contro la cosiddetta "Freedom Flotilla”, merita la condanna più energica e senza appello, la denuncia e il ripudio generale. Lo Stato d’Israele sta portando avanti un genocidio sistematico della popolazione palestinese, davanti al silenzio complice di quelle che sono erroneamente definite democrazie; sottopone alla fame più nera la popolazione di Gaza e proibisce che arrivi a quella sofferente popolazione (più di un milione e mezzo di abitanti in una striscia di terra lunga 40 chilometri e larga circa 6) qualsiasi tipo di aiuto umanitario: alimenti, medicine, materiale per ricostruire le case distrutte dai bombardamenti israeliani, materiale scolastico, etc. La "Freedom Flotilla” trasportava tonnellate di aiuti, ma lo Stato d’Israele ne ha impedito l’arrivo con la violenza bestiale delle sue truppe. E’ uno Stato che non rispetta nessuna risoluzione dell'ONU, nessun accordo internazionale, che non ha altra ragione al di fuori della sua forza brutale e dell'appoggio incondizionato dell'imperialismo statunitense e di altri paesi. La nave "Mavi Marmara" di nazionalità e bandiera turca è stata attaccata da motoscafi militari, da truppe speciali trasportate da elicotteri che hanno aperto il fuoco contro persone di differenti nazionalità che cercavano di portare soccorso al popolo palestinese. Un'operazione militare contro civili disarmati, compiuta da soldati addestrati per ammazzare gente che lotta con la parola e la solidarietà, per la pace e la giustizia. Il governo di Tel Aviv ha dichiarato senza vergogna che i suoi soldati “hanno agito per legittima difesa" contro le armi degli attivisti civili. Ecco le armi confiscate: cacciaviti, alcuni coltellini multiuso, attrezzi propri di una barca, martelli, un paio di pneumatici... L'azione è stata compiuta in acque internazionali, si è trattato cioè di un atto di pirateria puro e semplice, in totale disprezzo delle leggi internazionali. Ma la NATO, alla quale appartiene la Turchia, ha pronunciato a stento alcune parole di "dispiacere per l’incidente", così come l'ONU, dove gli Stati Uniti hanno vietato una condanna esplicita del Consiglio di Sicurezza contro Israele. Per l’ennesima volta, l'imperialismo statunitense ostacola la condanna di uno Stato fascista, del quale Washington è il principale sostenitore e protettore.
Lo Stato d'Israele ha goduto fino ad ora di totale impunità e di passività davanti alle sue continue aggressioni e ai crimini. È ora di farla finita con questa situazione. Questo Stato fascista, reazionario, razzista, deve essere condannato e combattuto. Il popolo palestinese ha diritto a costruire il suo Stato, in frontiere sicure, a recuperare i territori occupati dai sionisti, ad essere risarcito per le barbarie di ogni tipo che ha sofferto. Bisogna incrementare la solidarietà col popolo palestinese, e contemporaneamente, denunciare e combattere il sionismo e tutti quelli che lo proteggono. Israele conta sul quarto esercito più
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Teoria & Prassi n. 21 potente del mondo, ha un arsenale atomico e di armi di distruzione di massa che è una vera polveriera, non solo per il Medio Oriente. La Conferenza Internazionale di Partiti ed Organizzazioni Marxisti-Leninisti, esprime totale solidarietà col popolo palestinese e la sua giusta lotta che deve manifestarsi in azioni concrete. La nostra solidarietà va altresì alle vittime della pirateria israeliana. Viva la lotta del popolo palestinese! Contro l'imperialismo e la reazione, lotta senza quartiere! 2 giugno 2010 Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML)
IN EUROPA E NEL MONDO I LAVORATORI, I GIOVANI, I POPOLI SI RIFIUTANO DI PAGARE LA CRISI DEL SISTEMA CAPITALISTA La crisi del sistema capitalista mondiale si prolunga, gettando milioni di lavoratori in mezzo alla strada, nella miseria. Tutte le masse popolari, operai, lavoratori e lavoratrici delle città e della campagna, contadini piccoli e medi, artigiani, impiegati, attivi o disoccupati, giovani o pensionati… sono taglieggiate da un pugno di ricchi, sempre più ricchi, dall’oligarchia finanziaria, le sue banche ed i suoi monopoli. In tutti i paesi capitalisti, sviluppati o emergenti, nei paesi imperialisti e nei paesi dominati dall’imperialismo, l’oligarchia vuol fare pagare la sua crisi alla classe operaia, alle masse lavoratrici, agli strati popolari ed ai popoli: undici milioni di miliardari nel mondo si arricchiscono sempre più alle spalle di miliardi di uomini. Mai come oggi le ricchiezze prodotte sono state così grandi; mai come oggi tante donne ed uomini sono stati privati del minimo vitale, mai come oggi questa ricchezza è stata così concentrata nelle mani di una classe parassitaria, la classe borghese, la classe dei possessori del capitale. Dopo aver preteso degli Stati al suo servizio esclusivo, che mobilitano centinaia di miliardi di dollari, di euro, di yen … per salvare le sue banche e le sue istituzioni finanziarie, l’oligarchia finanziaria esige ora il pagamento dei debiti pubblici e dei loro interessi. La sua parola d’ordine è: dagli ai deficit pubblici, che essa stessa ha creato. Le politiche di riduzione dei deficit pubblici: un pretesto per imporre i piani d’austerità In Europa, il popolo greco è stato il primo bersaglio di questa offensiva di enorme ampiezza, condotta congiuntamente dalla commissione europea e dal FMI, che si è tradotta in un abnorme piano d’austerità, con il pretesto di ridurre il debito pubblico. In alcune settimane, in tutta l’Unione europea, i governi di destra ed i governi social-liberali si sono impegnati in una escalation della quantità dei « risparmi » che vogliono imporre ai bilanci degli Stati; queste economie si valutano in centinaia di miliardi e non risparmiano nessun paese. La scusa: rassicurare i mercati finanziari e le loro « agenzie di rating ». Lo scopo: operare un nuovo trasferimento di enormi ricchezze, dal lavoro verso il capitale, per garantire i
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Teoria & Prassi n. 21 profitti delle banche e dei monopoli più potenti. Sono i bilanci sociali ad essere spremuti, sono tutti i meccanismi sociali conquistati ed imposti dalla classe operaia e dai popoli, in particolar modo dopo la seconda guerra mondiale, a costituire il bersaglio di questa offensiva concertata. Le prime vittime della liquidazione delle « reti sociali », che sono state realizzate, sono gli strati più poveri della società, quelli che vivevano già nella miseria, nella precarietà e nella paura del domani. Sono loro che subiscono più duramente i tagli nei bilanci sociali. Nei paesi più ricchi, come la Germania, la Francia… sono milioni di uomini e di donne, di giovani alla ricerca di un lavoro, di giovani abituati ai piccoli lavori, di lavoratori poveri, ad essere minacciati di affondare nella miseria più nera. All’altro polo della società, i ricchi continuano a stappare champagne per festeggiare i loro redditi sempre più rigonfi. Gli attacchi erano cominciati ben prima di questa crisi; le politiche neolibiste e social-liberiste avevano già causato pesanti danni, privatizzando grandi settori economici, incominciando la liquidazione dei servizi pubblici della salute, dell’istruzione, della protezione sociale… Oggi, l’oligarchia vuole approfittare della crisi per rimuovere gli ostacoli al libero sfruttamento della forza lavoro, liquidando i diritti sociali ed economici conquistati dai lavoratori. Essa vuole poter supersfruttare chi rimane al lavoro, mentre licenzia in massa; per far lavorare di più e più a lungo, fino allo sfinimento, per salari sempre più bassi, per pensioni sempre più scarse. Vuole approfittare dell’esercito dei disoccupati per abbassare i salari e peggiorare le condizioni di lavoro. In questi piani di mega austerità, la rimessa in discussione dei sistemi pensionistici basati sulla solidarietà e la ripartizione è un obiettivo comune dei governi dell’UE. Far lavorare oltre i 65 anni è diventata la norma, mentre milioni di giovani non trovano lavoro. Le banche e le assicurazioni si fregano le mani: esse sperano di poter vendere i loro sistemi pensionistici a capitalizzazione agli strati sociali che possono ancora pagare qualcosa, speculando sulla paura del fallimento dei sistemi previdenziali basati sulla solidarietà fra generazioni e sui contributi sociali. Per imporre questo arretramento sociale di grande ampiezza, l’oligarchia rinforza gli organi di repressione, indurisce le leggi anti-operaie ed antipopolari e cerca di dividere i lavoratori ed i popoli.
Al culmine della crisi in Grecia, nel momento in cui centinaia di migliaia di manifestanti gridavano nelle strade di Atene e di tutte le città della Grecia il loro rifiuto di pagare la crisi del capitale, abbiamo sentito dalla bocca di responsabili politici discorsi di odio, largamente ripresi ed amplificati dai media, contro i lavoratori ed i popoli del sud dell’Europa, accusati di voler « profittare » di altri paesi, e che dunque bisognava « punire »... Come sono lontani i discorsi sull’armonia europea, sulla pace e l’intesa che l’UE doveva far regnare e l’Euro doveva facilitare!
I popoli hanno il diritto di uscire dall’Euro e dall’UE Dopo diversi anni di esistenza dell’Euro, i popoli hanno fatto i loro conti. Questa moneta « unica » è essenzialmente servita alle grandi potenze imperialiste dominanti nell’UE, per rinforzare il loro peso economico ed il loro potere politico. L’euro ha accelerato il livellamento verso il basso dei salari all’interno dell’UE. I « criteri di convergenza » del trattato di Maastricht sono uno strumento di questo dumping sociale permanente. I governi dell'UE cercano di imporli anche a paesi non membri dell’Eurozona, come la Daimarca, dove il popolo si è pronunciato contro attraverso il referendum. L’Euro ha significato un rialzo generale dei prezzi dei beni di largo consumo, i cui beneficiari sono stati particolarmente i grandi monopoli della distribuzione e dell’agro business, e di cui i grandi perdenti sono stati i consumatori dei ceti popolari, i piccoli e medi produttori agricoli, i piccoli commercianti...
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Teoria & Prassi n. 21 L’Euro è un meccanismo essenziale della costruzione di una Europa che aspira a diventare una grande potenza imperialista, un'Europa neoliberista che sfrutta a morte la classe operaia, che partecipa al saccheggio delle ricchezze dell’Africa, dell’America Latina, etc., e che partecipa alle guerre ed ai conflitti per il controllo delle materie prime strategiche, delle fonti energetiche e dei loro mezzi di trasporto verso i grandi centri di produzione dei paesi imperialisti. Il carattere reazionario di questa costruzione europea non cessa di affermarsi: l’Europa-fortezza si « protegge » dai migranti cacciati dai loro paesi dalla fame e dalle guerre fomentate dall’imperialismo. L’Europa delle polizie dispiega i suoi mezzi messi in comune per sorvegliare e reprimere le grandi mobilitazioni popolari, come al vertice della NATO a Strasburgo o al summit « sul clima » a Copenaghen. Oltre all’enorme dispiegamento poliziesco che ha determinato, con migliaia di arresti, il summit di Copenaghen ha anche dimostrato fino a che punto le grandi potenze non si preoccupano che dei loro interessi e concepiscono le problematiche di salvaguardia dell’ambiente soltanto come un mercato per i loro monopoli.
Noi siamo al fianco del popolo greco e di altri paesi quando reclamano il diritto ad uscire dall’Euro e dall’UE. Siamo per lo sviluppo della solidarietà con tutti i popoli del mondo, senza eccezione. Abbiamo delle battaglie comuni da condurre con i lavoratori ed i popoli d’Europa, contro i meccanismi di sfruttamento, di messa in concorrenza dei lavoratori, di sottomissione dei « piccoli » paesi alle potenze imperialiste, di dominazione politica, contro i meccanismi che organizzano il saccheggio delle
ricchezze dei paesi dominati. La costruzione europea, l’UE e la « sua » moneta sono degli strumenti di queste politiche che denunciamo e combattiamo. Far crescere le resistenze ai piani d’austerità, dovunque in Europa La resistenza della classe operaia e dei popoli all’aggressione del capitale è stata immediata e si è sviluppata dappertutto. Parecchie giornate di sciopero, molti scioperi generali, si sono svolti in diversi paesi. La collera e la volontà di battersi per rifiutarsi di pagare la crisi del sistema, i debiti dell’oligarchia ed i suoi piani d’austerità, sono grandi. Questa collera preoccupa al massimo grado la borghesia ed i partiti riformisti che hanno dato la loro adesione alle politiche d’austerità e che accettano di realizzarle. Parlano di « ripartire i sacrifici », ma li impongono solo ai lavoratori ed ai popoli. Questa resistenza deve svilupparsi ed amplificarsi, al tempo stesso in ciascun paese e sul piano internazionale. Alcuni appuntamenti, particolarmente per il movimento sindacale, sono già lanciati in autunno: lavoreremo per dar loro il massimo di ampiezza e di successo, per farne una espressione forte dell’internazionalismo e dell’unità della classe operaia. Lavorare per l’unità della classe operaia è una necessità vitale. E’ essa che produce il plus-valore ed è essa che può esercitare una pressione considerevole sul Capitale. Essa è la colonna vertebrale delle battaglie contro il capitale, per la trasformazione sociale. In tutti i paesi dell’UE, è la classe operaia che ha resistito per prima e massicciamente agli attacchi dei padroni, dei governi, della Commissione di Bruxelles, del FMI, etc. Il primo strumento di resistenza della classe operaia e delle masse lavoratrici delle città e delle campagne, è il sindacato. Il movimento sindacale è stato diviso ed indebolito dalle politiche di collaborazione di classe che sono state sviluppate nel suo seno. Ma oggi delle correnti, dei sindacalisti, dei sindacati, sviluppano il sindacalismo della lotta di classe, alla base, dentro le lotte concrete. Noi difendiamo il sindacalismo della lotta di classe e chiamiamo i lavoratori ad organizzarsi nei sindacati, a lavorare per l’unità del movimento sindacale su posizioni di lotta di classe. Denunciamo e combattiamo i tentativi di esclusione dai sindacati dei militanti combattivi. Lavoriamo per sviluppare la solidarietà internazionale, per delle iniziative sindacali che rinforzano la lotta dei lavoratori in
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Teoria & Prassi n. 21 ciascun paese e sul piano internazionale. I lavoratori immigrati, con o senza permesso di soggiorno, « legali » o « illegali » fanno parte della classe operaia in ogni paese. Si tratta di una mano d’opera di cui i monopoli hanno bisogno, poichè essendo privata di diritti, è sfruttabile senza pietà. Nella concorrenza inasprita in cui operano i monopoli e nei settori ove essi non possono delocalizzare la produzione, questa forza-lavoro è essenziale. In questo contesto, lo sciopero vittorioso condotto in Francia dai lavoratori e dalle lavoratrici sans papier per la loro regolamentazione, riveste una grande importanza ed è un incoraggiamento per tutti coloro che si battono su questo fronte. Questo sciopero di più di otto mesi è stato sostenuto dai sindacati, dalle associazioni delle donne, dalle organizzazioni democratiche e dall’insieme dei partiti della sinistra. Esso è stata la dimostrazione concreta che gli immigrati sono innanzi tutto delle lavoratrici e dei lavoratori, facenti parte della classe operaia. Esso ha suscitato un grande movimento di solidarietà nell’opinione pubblica, vero antidoto ai tentativi di divisione che l’oligarchia e la reazione non cessano di incrementare. Queste lavoratrici e questi lavoratori vanno a prendere interamente il loro posto nelle battaglie comuni per rifiutarsi di pagare la crisi del sistema. I lavoratori della funzione pubblica, gli impiegati statali e delle amministrazioni locali (municipalità, dipartimenti, regioni…), sono particolarmente colpiti dai piani di riduzione dei bilanci statali e di tutte le istituzioni pubbliche e semi-pubbliche. Le soppressioni dei servizi postali si contano a decine di migliaia in tutti i paesi, i salari sono tagliati, come in Grecia, dove il governo « socialista » vuol sopprimere due mesi di salario. Battendosi contro le privatizzazioni, per i loro salari, per delle assunzioni, i lavoratori dei servizi pubblici si battono anche per gli utenti dei ceti popolari. E insieme devono lottare per opporsi alle politiche di smantellamento dei servizi pubblici. Rifiutiamo i piani d’austerità, la militarizzazione e le guerre imperialiste La crisi del sistema capitalista ed imperialista mondiale acutizza tutte le contraddizioni, che assumono un carattere sempre più violento. Per imporre i piani di massima austerità, l’oligarchia rinforza la repressione ed il suo arsenale di criminalizzazione delle lotte operaie e popolari. La concorrenza inasprita per il controllo dei mercati e delle fonti di materie prime si traduce già in conflitti e guerre. La sporca guerra che le potenze
imperialiste ed il loro braccio armato, la NATO, conducono contro il popolo dell’Afghanistan, ha come sfondo anche il controllo dei futuri gasdotti e dei minerali contenuti nel suo sottosuolo. Per questo, diciamo « non pagheremo la vostra crisi, non pagheremo le vostre guerre ». Noi affermiamo che il denaro non deve andare alla guerra ed alla militarizzazione, ma al soddisfacimento dei bisogni sociali, all’educazione, alla salute, alla protezione sociale, per il più gran numero di persone. Diciamo « fuori dall’Afghanistan le truppe della NATO» e « fuori dall’Irak le truppe imperialiste». Vogliamo inoltre esprimere la nostra solidarietà con il popolo palestinese e con la popolazione di Gaza, sottomessa da mesi ad un blocco disumano, organizzato dal governo reazionario israliano. Con le forze progressiste nel mondo intero, condanniamo la criminale politica sionista ed esigiamo l’eliminazione immediata di questo blocco. Denunciamo la complicità dell’UE e sosteniamo la battaglia del popolo palestinese per il riconosciemento effettivo dei suoi diritti nazionali. Per una alternativa di rottura con il sistema capitalista imperialista I piani di mega austerità toccano tutte le classi e gli strati della popolazione. La necessità di lavorare per l’unione di tutti i settori vittime di questa politica di regressione sociale è più attuale che mai. Noi lavoriamo per costruire questa unità, attraverso delle politiche ambiziose di fronte, che concretizzano il rifiuto di pagare la crisi del sistema capitalista, il rifiuto delle politiche d’austerità. Sosteniamo che sono le banche, gli azionisti, l’oligarchia a dover pagare la loro crisi e vogliamo lavorare con tutte le forze, politiche e sociali, che condividono questo obiettivo, per imporlo concretamente, attraverso mobilitazioni sempre più forti. La profondità di questa crisi pone con acutezza la necessità di lavorare all’elaborazione ed alla realizzazione di politiche di rottura con il sistema. Esse devono basarsi su misure sociali e politiche concrete, da imporre fin da ora, attraverso e nelle lotte e mobilitazioni delle masse. Queste esigenze devono essere la base di programmi di rottura sviluppati attraverso delle coalizioni di partiti politici, forze sociali, organizzazioni di massa… Utilizziamo tutti gli spazi politici e democratici, tra cui il terreno elettorale, per farci sentire dalle grandi masse e portarle sulle nostre posizioni. In quanto partiti ed organizzazioni che rappresentano la classe operaia, affermiamo la nostra convinzione
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Teoria & Prassi n. 21 che l’unica vera, duratura ed effettiva uscita dalla crisi del sistema capitalista imperialista, passa per il suo rovesciamento e l’istaurazione del socialismo. Tutta la nostra battaglia si inserisce dentro questa prospettiva. Viva la lotta della classe operaia, della gioventù e dei popoli per rifiutarsi di pagare la crisi! E’ l’oligarchia a dover pagare la sua crisi! Viva la solidarietà internazionale! Parigi, giugno 2010 Partito Comunista degli Operai di Danimarca – APK Partito Comunista degli Operai di Francia – PCOF Partito Comunista di Spagna (marxista-leninista) – PCE(ML) Partito Comunista Rivoluzionario di Turchia – TDKP Organizzazione per la ricostruzione del Partito Comunista di Grecia (1918-1955) Organizzazione Marxista-Leninista Revolusjon di Norvegia Piattaforma Comunista (d'Italia) membri della Conferenza Internazionale di Partiti e Organizzazioni Marxisti-Leninisti (CIPOML) Organizzazione per la costruzione di un Partito Comunista degli Operai di Germania (osservatore)
DICHIARAZIONE FINALE DEL XIV SEMINARIO INTERNAZIONALE PROBLEMI DELLA RIVOLUZIONE IN AMERICA LATINA Nonostante i disperati sforzi della borghesia internazionale per mettere fine alla crisi del sistema capitalista e a dispetto delle "ottimiste" analisi degli economisti borghesi che da mesi immaginavano la fine della stessa e l'inizio di una ripresa economica, siamo oggi testimoni di un ulteriore momento di approfondimento della crisi del sistema, continuazione di quella iniziata alla fine del 2008 negli Stati Uniti, che ben presto si estese alle più grandi economie del pianeta ed i cui effetti si sono sentiti in tutto il mondo. Il corso dello sviluppo di questo fenomeno ha dato l'impressione che esso abbia avuto origine nel settore finanziario, ma si tratta di una crisi di sovrapproduzione relativa di beni di consumo e, come abbiamo segnalato nel precedente seminario, la sua causa è radicata nella contraddizione esistente tra il carattere sociale della produzione e l'appropriazione privata dei beni e delle ricchezze prodotte, che si presenta come la contraddizione fondamentale del sistema capitalistaimperialista dominante. In paesi come i nostri, per effetto della crisi internazionale, si è accelerato un processo di distruzione delle forze produttive, dei capitali autoctoni, delle industrie nazionali e delle fonti di lavoro. Migliaia di conterranei si vedono obbligati ad abbandonare le case per vendere la propria forza lavoro nei paesi capitalisti più sviluppati, dove sono vittime del super sfruttamento e di politiche xenofobe e razziste. Come nel passato, la borghesia internazionale cerca di scaricare sulle spalle dei lavoratori e dei popoli i meccanismi per ottenere la ripresa economica del sistema e delle sue imprese. Un esempio attuale di ciò sono le misure di aggiustamento elaborate dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Centrale dell'Unione Europea e dai governi di Grecia e Spagna che colpiscono duramente i lavoratori di quei paesi. Ma i popoli non si conciliano con quelle misure: le combattono. In questi giorni, in maniera particolare in Europa, la classe operaia svolge un ruolo fondamentale nella resistenza e si mobilita con lo slogan "Che la crisi la paghino i capitalisti che ne
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Teoria & Prassi n. 21 sono i responsabili, non i lavoratori". Anche l’America, l’Asia e l’Africa sono lo scenario di lotte popolari contro la crisi e i suoi beneficiari. Per la sua rilevanza ed intensità questa è la crisi più grave nella storia del capitalismo, tuttavia non per questo il sistema crollerà da solo. L'esperienza storica ci mostra che ha capacità di recupero, tuttavia è evidente che gli effetti negativi della crisi fanno crescere la sfiducia dei popoli nel capitalismo e determinano migliori condizioni per il lavoro rivoluzionario, per far sì che le masse comprendano che non c'è via uscita nel quadro di questo sistema decadente e che il socialismo è l'alternativa per lo sviluppo e il progresso dell'umanità. Senza dubbio, questa crisi è un'opportunità per l’avanzata delle forze rivoluzionarie.
realizzazioni, salvo alcune eccezioni, non fanno altro che puntellare il sistema imperante. Le condizioni politiche in America Latina sono favorevoli per la rivoluzione, perciò non è casuale che la borghesia cerchi diversi meccanismi per frenare la lotta delle masse o per deviarla nei suoi obiettivi. Vecchie teorie vengono aggiornate a tale scopo e all'interno del movimento popolare, come all’esterno di esso (inclusi i governi considerati come progressisti), si strombazza l’urgente necessità di raggiungere i cambiamenti sociali che devono essere realizzati per la via delle riforme e nel quadro delle istituzioni, rispettando i meccanismi e i canali democratici. Ovviamente, si tratta di istituzioni e di una democrazia concepite e dirette da banchieri, grandi industriali, proprietari terrieri, cioè, dalle classi sfruttatrici.
In conformità a questi avvenimenti, in America Latina c'è un importante processo di sviluppo della coscienza politica dei popoli che, a diversi livelli, hanno saputo identificare ed isolare gli esponenti e difensori dal rapace neoliberismo. Al calore delle lotte si è delineata una tendenza democratica, progressista e di sinistra che ha provocato un cambiamento nei rapporti di forze sociali e politici nella regione. I governi democratici e progressisti esistenti sono risultato ed espressione di questo nuovo scenario; tuttavia i loro limiti sono evidenti, poiché, al di là dei loro enunciati, delle loro
Il discorso costituzionalista, pacifista, che parla della conciliazione sociale e nazionale, cerca di fare in modo che la coscienza delle masse non avanzi a livello rivoluzionario, che queste facciano affidamento nelle riforme nel quadro del capitalismo come via per risolvere i loro mali. Noi rivoluzionari comprendiamo che senza il potere nelle mani dei lavoratori le riforme non svolgono un ruolo rivoluzionario e che non è possibile farla finita con lo sfruttamento dell'uomo sull’uomo, e pertanto non è possibile la liberazione sociale. Lottiamo per le riforme come rivendicazioni materiali e politiche delle masse, necessarie nelle circostanze per migliorare le condizioni di vita dei popoli, ma che in nessun modo sono la soluzione definitiva dei loro problemi. Limitarsi alla lotta per le riforme equivale a fidarsi del capitalismo, è fare il gioco degli usurpatori del potere, è cadere nel riformismo e nella politica socialdemocratica, strumenti delle classi dominanti. Dal punto di vista politico lottiamo per le riforme come un meccanismo per accumulare forze per la rivoluzione. I lavoratori ed i popoli devono lasciarsi alle spalle i canti di sirena che parlano di rivoluzioni pacifiche, di rivoluzioni cittadine o di socialismo del XXI secolo, che costituiscono progetti politici funzionali al capitalismo, poiché non prendono misure per colpire la pietra angolare sulla quale si erige questo sistema: la proprietà privata dei mezzi di produzione. Dobbiamo mettere fine, in maniera rivoluzionaria, al potere della borghesia e questo implica la conquista del potere. Perciò ricorriamo a tutte le forme di lotta e lavoriamo per includere tutte quelli classi, strati e settori sociali colpiti dal capitalismo ed interessati alla rivoluzione sociale.
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Teoria & Prassi n. 21 Lo sviluppo della lotta delle masse è un'importante tendenza presente nella vita politica dei paesi dell'America Latina. I lavoratori, la gioventù ed i popoli in generale lottano per il cambiamento sociale, fanno pressione sui governi progressisti affinché portino avanti e radicalizzino i loro programmi, combattono la politica interventista dell'imperialismo - principalmente statunitense respingono la presenza di basi militari yankee ed inglesi, si oppongono al saccheggio delle risorse naturali da parte dei monopoli stranieri, chiedono il riconoscimento dei diritti nazionali dei popoli originari, ecc. tutte azioni represse con la violenza dai diversi governi. Osserviamo che, come parte dell'offensiva anticomunista, è in corso la criminalizzazione della protesta popolare e dei dirigenti politici e sociali per intimidire le masse e frenare la loro lotta: Argentina, Cile, Ecuador e Perù vivono tale processo. In altri casi, le classi dominanti ricorrono all'azione di gruppi ed apparati paramilitari che colpiscono e fanno sparire dirigenti e combattenti popolari, come succede in Colombia, Honduras, Messico, Brasile nel nostro continente, o in Filippine e in Russia ad altre latitudini. La borghesia, socialdemocratica o neoliberista, criminalizza le lotte popolari sotto la denominazione di azioni terroristiche, destabilizzatrici o di sabotaggio; etichetta come terrorista chi si solleva contro lo status quo; in nome della pace nega il diritto dei popoli alla ribellione, con il pretesto di respingere la violenza, quando in realtà l'esercita in ogni momento contro i popoli. Le classi dominanti creole e l'imperialismo sono le responsabili della fame, della disoccupazione, dell’arretratezza dei popoli, della dipendenza straniera, perciò sono nostri nemici e bersagli di attacco della rivoluzione. Per affrontarli e sconfiggerli abbiamo bisogno della più ampia unità dei lavoratori e popoli, dei democratici e di coloro che sono di sinistra, dei rivoluzionari e di tutte le forze sociali e politiche interessate alla trasformazione sociale, alla fine della dipendenza. La lotta di liberazione sociale e nazionale che portiamo avanti richiede anche l'unità antimperialista in un grande fronte dei popoli che, soprattutto, si deve manifestare nella lotta contro ogni forma di dominazione straniera e nella difesa dei principi e diritti sovrani dei nostri paesi. Noi partecipanti in questo XIV Seminario Internazionale ribadiamo la nostra vocazione
internazionalista, ci impegniamo a lavorare per la fraternità e la solidarietà dei popoli, a lavorare per portare alla vittoria la rivoluzione nei nostri paesi quale migliore contributo alla rivoluzione mondiale. Siamo confluiti in questo evento come differenti forze politiche che hanno avuto la possibilità di esporre e dibattere in maniera aperta e franca i propri punti di vista, pratica di grande valore che deve riprodursi nei rispettivi paesi. Abbiamo molti argomenti da dibattere nel futuro, perciò convochiamo il XV Seminario Internazionale Problemi della Rivoluzione in America Latina che sarà effettuato nel 2011 in questo stesso territorio. Quito, 16 luglio 2010 Partito Comunista Rivoluzionario di Argentina Partito Rivoluzionario (marxista-leninista) (Repubblica Argentina) Partito Comunista Rivoluzionario (Brasile) Partito Comunista di Colombia (marxistaleninista) Umbrales TV Popolare (Cile) Partito Comunista Marxista-Leninista dell'Ecuador Movimento Popolare Democratico (Ecuador) Gioventù Rivoluzionaria dell'Ecuador Unione Generale dei Lavoratori dell'Ecuador Confederazione Ecuadoregna di Donne per il Cambio (Ecuador) Fronte Popolare (Ecuador)
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Teoria & Prassi n. 21 Fronte Democrático Rivoluzionario Nazionale delle Filippine Comitato Continentale di Solidarietà con il Popolo Haitiano Fronte Popolare per la Liberazione di Haiti Partito Comunista del Messico (marxistaleninista) Partito Popolare Socialista del Messico Fronte Popolare Rivoluzionario (Messico) Partito Marxista Leninista del Perú Partito Proletario del Perú Unione delle Donne Solidarias (Perú) Partito Comunista del Lavoro della Repubblica Dominicana Movimento Independenza Unità e Cambio (Repubblica Dominicana) Giustizia Globale (Repubblica Dominicana) Coordinamento Patriottico (Repubblica Dominicana) Partito Comunista (Bolscevico) di tutta l'Unione Movimento Manuelita Sáenz (Sucre - Venezuela) Movimento Gayones (Venezuela) Assemblea dei Socialisti (Venezuela) Organizzazione di Donne Ana Soto (Venezuela) Movimento di Educazione per l'Emancipazione (Venezuela) Gioventù del Consiglio Político Operaio (Venezuela) Centro di Formación e Investigazione Prof. Franklin Giménez (Venezuela) Partito Comunista Marxista-Leninista del Venezuela
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Teoria & Prassi, organo di Piattaforma Comunista 58