MAN-MADE LINES (ITA)

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MAN-MADE LINES a spatial investigation on the “European Migrant Crisis”





Indice

- INTRODUZIONE_p.5 - CONFINI, PERIMETRI, LINEE_p.12 - UN SISTEMA UMANITARIO AFFOLLATO_p.18 - DUE PROCESSI A CONFRONTO_Italia, Olanda_p.29 - IL PROGETTO DI UNA LINEA_p.45 - bibliografia_p.55 - illustrazioni_p.61 (english version)

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INTRODUZIONE

Questo documento è il primo passo di una ricerca in corso sulla cosiddetta crisi migranti, dal punto di vista spaziale e legislativo: nelle sezioni successive saranno spiegati e discussi confini, aiuti umanitari, status legale e il fenomeno dell’“opposite migration”. Un focus su due processi d’accoglienza - in Italia e in Olanda, rispettivamente confine e cuore di Schengen - spiegherà le intricate linee e gli spazi che i migranti devono attraversare per poter ottenere un pezzo di carta, il documento che darà loro uno status legale, il permesso di soggiorno per asilo politico. Il mio obiettivo finale è quello di creare consapevolezza su aspetti non sempre tenuti in considerazione, ma al centro della “crisi migratoria europea”, “The Man-made Lines”. Attraverso queste due parole voglio identificare le linee astratte progettate dall’uomo che hanno conseguenze concrete sulla nostra vita. Il mio scopo è quello di aprire una discussione diversa sulla “crisi migratoria europea”, dal punto di vista del progetto e del design: il capitolo finale analizzerà alcune delle soluzioni progettuali fornite finora in Europa, ciò mi permetterà di introdurre un argomento

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importante per me ed il mio futuro, il ruolo del design nelle crisi del mondo contemporaneo. (1) La mia ambizione non è quella di offrire una soluzione, ma di sensibilizzare e denunciare alcuni aspetti non sempre considerati come parte del problema.

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La migrazione è l’atto di lasciare il luogo di nascita per stabilirsi in un’altra località, alla ricerca di migliori condizioni di vita. (2)

Oggi siamo ancora testimoni di enormi flussi migratori in tutto il mondo. Storicamente abbiamo già sperimentato questo evento, ma ora è qualcosa che non ha più controllo. Le ragioni di questi viaggi possono essere economiche, politiche, sociali e ambientali, ma ciò che di solito tendiamo a dimenticare è il ruolo dei paesi “occidentali” e dei loro interessi in queste crisi. Dagli anni ‘80 la nostra economia mondiale è stata colpita da una sempre maggior discrepanza tra i paesi ricchi e poveri. Oltre alle migrazioni economiche - provenienti dall’Africa, ma anche dall’Europa Orientale e dall’Asia Meridionale - nel XXI secolo l’aumento delle repressioni in tutto il mondo* ha aggiunto un altro problema alla situazione: una delle più grandi ondate migratorie dopo la II Guerra Mondiale. *(Ad esempio la risposta alle Primavere arabe in Nord Africa e Medio Oriente) (3)

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“Le guerre in Siria, Libia, Iraq, le repressioni in Eritrea, l’instabilità diffusasi nel mondo arabo, tutto ciò ha contribuito allo spostamento di 16.7 milioni di rifugiati nel mondo... 33.3 milioni di persone sono invece dislocate internamente alle loro nazioni devastate dalla guerra. I migranti dal Medio Oriente sono costretti ad attraversare il Mediterraneo in modi sempre più pericolosi, nella remota speranza di una vita migliore in Europa”(2015) I dati sopramenzionati sono del 2015, in un anno e mezzo più di 6 milioni di profughi si sono aggiunti ai flussi migratori e il numero di persone dislocate internamente (IDP) è quasi raddoppiato. Questa tendenza non finirà presto (4) : Tra il 1 ° gennaio e il 31 marzo 2017 sono arrivati 24.241 persone in Italia. Questa cifra è significativamente superiore rispetto allo stesso periodo del 2016, quando 18.784 persone (+ 29%) raggiunsero l’Italia. Nel marzo 2017 sono arrivati via mare 10,802 migranti, il 12% in più rispetto allo scorso anno, cinque volte più di quello di marzo 2015. L’ascesa di queste migrazioni ha visto in parallelo un

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aumento di aiuti umanitari e di sviluppo, ma con alcune differenze: Michael Barnett, autore di Empire of Humanity, A History of Humanitarianism (2012), descrive l’aiuto umanitario (humanitarian aid) come risposta a situazioni di emergenza, mentre l’aiuto per lo sviluppo (development aid) è iniziato con il Colonialismo ed è stato “trasformato in assistenza allo sviluppo dopo la guerra” (5). Entrambi i sistemi di aiuti sono finanziati in modo diverso e con diversi cicli di tempo: l’aiuto umanitario richiede che i soldi siano spesi in 6 o 18 mesi, mentre l’assistenza allo sviluppo ha un periodo di tempo da 3 a 5 anni. Quale è il modo migliore per raggiungere una soluzione stabile più velocemente? Inaspettatamente una risposta c’è già a questa domanda e la si può trovare nelle parole del Presidente del Comitato per l’Assistenza allo Sviluppo dell’OCSE, Erik Solheim, che ha dichiarato nel 2015 (6): “Sono lieto che si siano invertiti i recenti standard di aiuti ai paesi più poveri e che la maggior parte dei paesi non spenda più grandi quantità di ODA (official development assistance) per ospitare i rifugiati”.

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In altre parole: più investimenti nei paesi più poveri e meno nell’accoglienza dei rifugiati in Europa. Seguendo questa linea di pensiero, è meglio aiutare i rifugiati nel loro luogo di origine anziché fornire programmi di sviluppo a lungo termine nel nostro. Questa è una risposta possibile, ma anche “il minore di tutti i possibili mali” (7)(8) per il cosiddetto mondo occidentale perché in questo modo rifiutiamo di trovare modelli di integrazione efficaci per includere gli stranieri nelle nostre società, fingendo di dare risposte veloci in aree politicamente ed economicamente destabilizzate del mondo non occidentale - se pensiamo alla Siria, in alcune città non c’è neanche più un insediamento. Dal 2011, l’Europa è diventata la terra promessa per migliaia di persone; a partire dal 2012 l’incredibile numero di 65 milioni di persone in tutto il mondo stava migrando, di cui 22 milioni rifugiati, di cui la metà minorenne. (9) Lasciano tutto alle proprie spalle per sopravvivere; alcuni di loro hanno parenti e amici nei paesi europei e il loro scopo è quello di raggiungere tali connessioni e partire da zero. Per coloro che si dirigono verso l’Europa, il confine di Schengen è la linea da attraversare: (10). - Schengen è una zona

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composta da 26 Stati europei in cui è garantita la libera circolazione delle persone. In vigore dal 1995, il Trattato di Schengen (1990) fa parte dell’accordo di Schengen (1985) ed è la convenzione internazionale che definisce le condizioni di applicazione e le garanzie della libera circolazione nell’Unione Europea. L’accordo consente anche una sospensione del Trattato per un periodo limitato di tempo e per ragioni specifiche - ad esempio i controlli alle frontiere a causa di una crisi migratoria. Le leggi internazionali dovrebbero disciplinare i passaggi e i processi migratori - “dovrebbero” perché ogni paese è autorizzato a interpretare la legge in modo personale, con conseguenti approcci totalmente diversi rispetto alle politiche e alle norme per i richiedenti asilo - ancora una volta l’Europa vuole aiutare ma nel “modo meno pericoloso” per la sicurezza dei Paese dell’UE. (11) Questo è tradotto in severe politiche nazionali di accoglienza discordanti con la linea generale europea. Il primo passo per diventare rifugiato è attraversare il confine del proprio paese per dirigersi verso un paese in cui non si ha uno status legale - la somma dei diritti e dei privilegi di cui un membro della società gode per legge.

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CONFINI, PERIMETRI, LINEE

I confini non sono solo “linee ufficiali astratte che separano un paese dall’altro” (12), dividono realmente spazi fisici adiacenti (politicamente, economicamente e socialmente). Purtroppo, attraversare un confine non è così facile come si potrebbe pensare da una prospettiva europea; gli effetti di questa decisione sono catastrofici in termini di diritti umani, non solo per i pericoli, ma anche per le implicazioni di questa azione. Una volta che un gruppo di persone attraversa il confine di Schengen e si trova in un altro paese, l’Europa dovrebbe fare una ricollocazione in linea con gli accordi di Schengen (in caso di arrivo dalla Serbia o dalla Croazia, gli immigrati sarebbero stati trasferiti in Ungheria, decisamente più vicina alla Germania rispetto i Balcani). Purtroppo alla fine del 2015, in un breve lasso di tempo l’Unione Europea è stata sopraffatta da più di un milione di immigrati e dall’inizio degli attacchi terroristici dell’ISIS (DAESH): una cultura della paura diffuse una situazione di panico in tutta Europa(13). La Macedonia ha chiuso i suoi confini dopo che la Serbia ha anticipato l’azione. L’Ungheria è un altro paese che ha costruito un muro come risposta rapida alle politiche in

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materia di flussi migratori dell’UE. Queste decisioni di stati specifici sono la causa di un caos enorme: i percorsi migratori sono cambiati a favore di percorsi più pericolosi: dal 2014 le rotte del Mediterraneo hanno visto un aumento degli immigrati. Inoltre, l’accordo UE-Turchia nel 2015 ha portato una diminuzione del flusso migratorio sulla rotta nel Mediterraneo Orientale, dalla Turchia alla Grecia, e un aumento nel Mediterraneo Centrale, dalla Libia. (14) Secondo Mohammed Abdiker, capo dell’Operazioni e delle Emergenze dell’IOM (Organizzazione Internazionale per la Migrazione) in Libia - dove il governo non ha abbastanza potere per controllare gli spostamenti illegali - il mercato degli schiavi, gli abusi e le torture sono un grave pericolo per i migranti. (15) Strutture complesse in crisi permettono ogni tipo di corruzione da parte dello Stato ma anche da parte di organizzazioni criminali: un altro esempio è il recente arresto di un prete e di una cosca mafiosa ad Isola Capo Rizzuto, Italia; gestivano illegalmente e sfruttavano il centro di accoglienza migranti. (16)

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I suddetti confini non sono solo un perimetro geopolitico, ma anche una barriera sociale: una volta attraversati i profughi devono seguire le regole del paese ospitante e nella maggior parte dei casi sono soggetti a discriminazioni durante il processo di domanda per l’accoglienza. Il diritto alla casa ad esempio è uno dei possibili atti discriminatori che i migranti subiscono. (17) Ci sono diverse frontiere in gioco su diverse scale: quelle del paese d’origine, quelle di Schengen - tra queste ci sono altri confini in linea con la rotta migratoria e la quantità di denaro disponibile. Una volta entrati nell’UE, le linee cambiano scala e regolano lo status dei migranti e la loro permanenza con muri ed edifici in cui sono relegati, in attesa. L’Unione Europea ha la responsabilità di queste persone che arrivano attraverso la rotta mediterranea, sbarcano a Lampedusa o aspettano al confine turco per la fine del rafforzamento dei controlli alle frontiere greche. (18)(19) Una volta riconosciuti ed accettati i migranti, il paese ospitante è responsabile di queste persone e dei loro diritti. I giornali ed i media mostrano gli spazi in cui sono

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ospitati i richiedenti asilo, ma ciò che spesso non mostrano sono le regole e le politiche che regolano questi spazi. Come già detto, ogni paese ha le proprie linee guida, se il numero degli arrivi è troppo alto, questi regolamenti possono essere bypassati per accogliere tutti. Una volta esaminata più da vicino l’assistenza umanitaria, diventano più visibili le difficoltà del sistema.

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UN SISTEMA UMANITARIO AFFOLLATO

Quando pensiamo ai profughi e alle organizzazioni umanitarie non dobbiamo dimenticare il ruolo dei governi coinvolti e dei loro interessi. Ci sono diversi rapporti gerarchici tra tutti gli attori, per ogni centro di accoglienza/ detenzione anche il governo nazionale ospitante ha un ruolo fondamentale. Per chiarire la situazione generale, gli stati dispongono di quattro ruoli e responsabilità principali in materia di aiuti umanitari: - Dichiare la crisi e invitare gli aiuti internazionali - Fornire assistenza e protezione - Monitorare e coordinare l’assistenza esterna - Definire i quadri normativi e giuridici che disciplinano l’assistenza umanitaria La principale responsabilità dello Stato nel rispondere ai disastri è chiaramente riconosciuta dal Diritto Internazionale e dalla risoluzione 46/182 delle Nazioni Unite, che afferma: La sovranità, l’integrità territoriale e l’unità nazionale degli Stati devono essere pienamente rispettati in conformità

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alla Carta delle Nazioni Unite. In questo contesto, l’assistenza umanitaria dovrebbe essere fornita con il consenso dei paesi interessati e in linea di principio in base ad una richiesta di aiuto dei suddetti. Ogni Stato ha la responsabilità innanzitutto di occuparsi delle vittime di disastri naturali e altre emergenze che si verificano nel proprio territorio. Quindi,lo Stato interessato ha il ruolo primario nell’iniziazione, nell’organizzazione, nel coordinamento e nell’attuazione dell’assistenza umanitaria nel suo territorio. Dopo che una crisi è ufficialmente annunciata, entrano in gioco diversi attori: le Nazioni Unite hanno individuato differenti interventi e per ciascuno di questi è coinvolta una ONG diversa. Ognuno ha il suo ruolo, ma non tutti gli aiuti sono gestiti e forniti nello stesso modo. Questo è l’elenco composto dall’OCHA e tratto dal diagramma di approccio agli interventi in situazioni di emergenza: Nutrizione - UNICEF Rifugi di Emergenza - UNHCR & IFRC Logistica - WFP Gestione e Coordinamento campi - UNHCR & IOM

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Salute - WHO Protezione - UNHCR Food Security - FAO & WFP Telecomunicazioni di emergenza - WFP Early Recovery - UNDP Educazione - UNICEF & Save the Children Sanitation & Water Hygiene - UNICEF L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), fa parte del Segretariato delle Nazioni Unite e ha il ruolo di riunire gli attori umanitari per assicurare una risposta coerente alle emergenze.(20) I suddetti dati sono un esempio di quanto complesso possa essere il sistema di aiuti: da un lato c’è solo l’approccio delle Nazioni Unite all’assistenza umanitaria e, dall’altro, l’aiuto allo sviluppo non è nemmeno considerato. L’approccio per “clusters” fornisce un elenco di necessità a cui corrispondono ONG specifiche, ma alcune di queste non operano in tutte le aree di crisi. Ogni paese ha la propria responsabilità per avviare, coordinare e organizzare l’assistenza

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umanitaria, ponendosi al di sopra dell’ONU. Le associazioni nazionali e locali non sono citate ma in alcuni paesi, ad esempio in Italia, hanno un ruolo molto importante nell’assistenza e nell’accoglienza dei migranti. Un altro aspetto che non bisogna dimenticare sono i finanziamenti. Queste organizzazioni sono quasi paragonabili a una federazione di paesi. L’ONU ha calcolato che i fondi globali delle ONG sarebbero le quinta più grande economia in un ipotetico elenco delle nazioni divise per PIL. 1. USA 2. Cina 3. Giappone 4. Germania 5. NGOs 6. Francia (Furlanetto 2013, Polman 2009) (21) Un altro punto di vista interessante è espresso da Andrew Herscher, in un articolo su e-flux che si riferisce al problema “umanitario” delle abitazioni per la classe

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operaia durante l’età vittoriana in Gran Bretagna. Nel suo articolo possiamo vedere come il problema delle abitazioni è generalmente descritto attraverso la rappresentazione di situazioni e comunità specifiche, e come questa crisi veniva utilizzata come strumento politico. (22) Cito: - ”... L’alloggio, inteso sia come catapecchia che come casa modello, è stato il mezzo con cui i riformatori vittoriani rappresentavano i problemi sociali a cui si erano rivolti e, in molti casi, le soluzioni stesse che erano state proposte ... nel libro del 1853 The Million-Peopled City, il reverendo John Garwood ha dichiarato ai suoi lettori che “ovunque a Londra (...) esiste una catapecchia, possiamo essere certi che è abitata dagli irlandesi.” Nelle ultime linee A. Herscher usa l’analisi di Engels dei fenomeni architettonici della città per spiegare come l’abitazione fosse l’esempio primario per criticare una distribuzione irregolare della ricchezza, anziché essere un’opportunità per interventi migliorativi.

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È chiaro quanto complesso possa diventare il sistema di aiuti d’emergenza. Dal punto di vista dei migranti; un altro problema è lo stato di eccezione. Giorgio Agamben spiega questo problema nel suo Homo Sacer, Sovereign Power and Bare Life (1995): nell’ Antica Roma ogni cittadino viveva “due vite”; bios identificava la vita politica nella società e zoe era legata alla “vita nuda”(bare Life) data da Dio e al di fuori della legge degli uomini. L’homo sacer era un uomo punito con l’esilio dalla società, poteva essere ucciso da chiunque ma non essere sacrificato in un rituale religioso. Era ancora “un sacro uomo che non può essere sacrificato” - nonostante sia stato espulso dalla vita civile, viene lasciato solo con la sua vita nuda. Nell’epoca delle monarchie, il sovrano aveva il potere di decidere chi potesse essere ucciso legalmente, ponendo sè stesso al vertice della società. Il suo potere era legittimato da Dio e quindi il suo diritto ad uccidere. Dopo la Dichiarazione di Indipendenza tutti gli uomini sono diventati uguali e la sovranità e il diritto di uccidere sono diventati parte delle responsabilità dello Stato.

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Attraverso una discussione sulla bio-politica, la biologia e il bio-potere, analizzando anche i termini del punto di vista di Foucault, Agamben prosegue e spiega come nella nostra società moderna la biologia sia un’emergenza, un’ideologia totalitaria nella sua natura: da un lato misura la vita con eugenetica e genetica che identifica le persone con le loro qualità animali, “li bestializza”; dall’altra definisce la norma e quindi l’anormalità. La biologia descrive gli uomini e le donne come oggetti (zoe) mentre le nazioni definiscono loro soggetti (bios), il risultato è un oggetto biologico, la vita nuda con diritti politici. Questo è il paradosso delle nazioni moderne: le loro identità sono fatte dai cittadini, dalla loro vita nuda. Questo è definito dall’autore come bio-politica, controllo politico sulla vita nuda (e quindi sulla morte). Quindi, rispetto all’Antica Roma, la vita di uomini e donne non ha più un doppio aspetto, senza cittadinanza non c’è vita nuda, si può essere uccisi senza commettere crimini. Per evitare questa condizione è nata una nuova categoria, lo stato di eccezione: questo permette alle nazioni moderne di dare diritti ai cittadini espulsi - ad esempio i prigionieri e i richiedenti asilo. Dieci anni dopo il

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testo State of Exception (2005) di Agamben indaga come la sospensione delle leggi in casi di emergenza o di crisi può diventare una condizione estesa e come può privare gli esseri umani della loro cittadinanza e diritti. Analizzando la teoria giuridica di Carl Schmitt e quella della “violenza pura” di Walter Benjamin, Agamben conclude: “Lo stato di eccezione è cessato di essere la soglia che garantisce l’articolazione tra un interno e un esterno, o tra anomie(assenza di leggi) e il contesto giuridico, virtù di una legge in vigore nella sua sospensione; è piuttosto una zona di assoluta indeterminazione tra anomie e legge, in cui [la vita e la legge] sono intrappolati in una sola catastrofe “ (23) (24). “La vita e la legge sono intrappolati in una sola catastrofe”. Suona familiare? Lo stato di eccezione viene tradotto in una categorizzazione per status: IDP (persone dislocate internamente), rifugiati, rimpatriati, apolidi (stateless), richiedenti asilo. Questi sono solo alcune delle categorie, ma quando entra in gioco la burocrazia, queste si moltiplicano; come ha affermato l’architetto irlandese Gráinne Hassett in una conferenza

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all’ HNI, Rotterdam, esaminando i documenti ufficiali di diversi paesi e ONG online si possono scoprire nuove e nuove definizioni, in linea con nazionalità, religione e altre sottocategorie che rendono tutto solo più complicato. (25) (26) Queste categorie implicano un approccio diverso da parte dell’assistenza umanitaria. Questi fatti sono un’altra prova che, invece di semplificare il processo per le persone che necessitano di aiuto, le Nazioni Unite, l’UE, le ONG ed i paesi coinvolti tendono a guardare il problema con i propri interessi, la maggior parte del tempo discordanti tra loro. I confini sono strumenti politici usati per scoraggiare gli immigrati e lo status è uno strumento secondario utilizzato per riconciliare gli interessi di tutti, a parte quello dei migranti. Una volta dentro Schengen, i rifugiati devono affrontare estenuanti tempi di attesa e innumerevoli ricollocazioni. Nella sezione successiva verrano confrontati due processi d’integrazione: in Italia e in Olanda, rispettivamente il confine ed il cuore di Schengen.

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DUE PROCESSI A CONFRONTO

I due casi studio di mio interesse sono rispettivamente Italia e Olanda, la ricerca pone particolare attenzione a momenti specifici del processo di integrazione. L’UE e i leader europei sono stati più volte rimproverati per il loro comportamento; l’Italia è stata denunciata da Amnesty International per i cattivi trattamenti nei confronti dei rifugiati nel 2013 e tre anni dopo per la “reticenza italiana quando si tratta del cofinanziamento dei profughi siriani in Turchia” dal presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker. Nello stesso anno Médecins Sans Frontières ha pubblicato il reportage “Out of sight” per spiegare e denunciare perché il processo italiano è un “sistema di accoglienza che esclude”. (27)(28)(29) Nel 2015 l’Italia ha ricevuto 83.245 domande di asilo, pari al 7% del totale dell’Europa. Il fallito piano di trasferimento migranti dell’UE ha potuto spostare il 20% di 106.000 persone, di questo 20%, solo il 7% dall’Italia (2.917 persone). Tutti i migranti identificati in Italia e impossibilitati a spostarsi in altri paesi, devono affrontare le regole italiane. La migrazione ed il lavoro per i cittadini stranieri sono regolati dalla legge

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Bossi-Fini (2002) che sostituisce la Turco-Napolitano (1998) a cui è stato aggiunto il decreto legislativo recentemente approvato (aprile 2017) del ministro dell’Interno Minniti, il decreto include ulteriori emendamenti (30). Alcune delle organizzazioni coinvolte in Italia sono l’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), il Ministero degli Interni, le Regioni, le Prefetture Locali, la Corte Costituzionale, le Province, la Polizia Locale, i Municipi, le Cooperative Locali. Di seguito è riportato un elenco dei centri italiani per l’immigrazione, ciascuno di essi rappresenta un livello diverso del processo: CDA - CPSA, CPA Ricezione, Pronto Soccorso, Primi Centri di Assistenza. Ce ne sono 10 in tutta l’Italia con una concentrazione più alta nelle coste e lungo i confini, in queste strutture possono essere ospitate 4196 persone. Il soggiorno dovrebbe essere limitato, pochi giorni di riposo e il tempo per scoprire di più sui migranti attraverso interviste - “per accertare la legittimità del soggiorno in Italia”.

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CARA Dopo i CDA, il secondo passo sono i CARA, centri che ospitano solo i rifugiati sbarcati in Italia come richiedenti asilo o senza documenti d’identità, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiati o di protezione internazionale. 6 centri dovrebbero ospitare da 4 a 8 mesi un totale di 980 persone e fornire le prime attività di integrazione. CAS, DIFFUSO, SPRAR Una procedura straordinaria ha aperto il numero di strutture disponibili oltre ai CARA: CAS, DIFFUSO e SPRAR sono un’opportunità offerta ai rifugiati in attesa del permesso di soggiorno. Ognuno di questi spazi è parte di un processo che ha come scopo l’indipendenza del migrante (dalla supervisione al denaro in tasca). Questo è un aspetto interessante della politica italiana perché apre anche l’opportunità per i proprietari privati di aprire la loro seconda residenza ai migranti - verificando che tutto sia legale. Ci sono anche iniziative come “Benvenuti Rifugiati” che aprono il processo alle famiglie, consentendo loro di ospitare gli immigrati, contribuendo attivamente al loro processo di integrazione.

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(Precedentemente CIE) CPR Approvato nell’aprile del 2017, parte del nuovo decreto legislativo del Ministro Minniti è il passaggio da CIE (Centri per l’identificazione e l’Espulsione, 10 in tutta l’Italia, 1290 posti) a CPR, Centri per la Permanenza e il Rimpatrio “, con una rete più ampia e capillare - eventualmente fuori dai centri urbani - con una capacità limitata, max 100-150 persone “, con una previsione di 1600 posti totali. I migranti non possono attraversare i perimetri di questi centri, mentre nei casi precedenti hanno la possibilità di lasciare il centro. (31)(32) Come accennato sopra, in Italia gli spazi in cui i migranti sono ospitati possono essere case private, ex case di riposo, alloggi pubblici, edifici, appartamenti di proprietà della chiesa, ecc. Architettonicamente, questo tipo di spazi ha una storia: per esempio, a pochi minuti da Biella, in Italia, c’è Villa Ottino uno dei CAS chiusi nell’ambito della procedura straordinaria - la struttura, chiusa alla fine di marzo 2017 come previsto dalla legge - apparteneva alla nobiltà fu costruita nel XVIII secolo, ed è stata utilizzata

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fino al 2005 come casa di riposo. L’edificio a tre piani ha un cortile di circa 1500m2, ampie camere (20 in totale) con soffitti affrescati e stanze aggiunte per i custodi. Fu donato dai propritari e ora è gestito da un istituto religioso di Torino. Lo spazio, né povero né tantomento decadente, ospitava un totale di 27 persone. Ci sono macchie di umido su alcune pareti, ma la casa è accogliente e presenta dettagli interessanti. L’edificio non è per nulla fatiscente e ce ne sono molti di più simili a questo in tutto il territorio italiano; questo è un aspetto importante da tenere a mente se paragonato al caso olandese. Guardando più da vicino il sistema legale, ci sono alcune regole spaziali che definiscono l’approvazione e l’apertura dei suddetti spazi. Una delle linee guida sul numero di abitanti per esempio è che ogni spazio può ospitare fino a 6 persone per ogni bagno presente nella struttura. Anche senza analizzare spazio / tempo / uso, un bagno condiviso tra sei adulti che non si conoscono e devono convivere forzatamente per mesi, probabilmente non basta. Inoltre, ogni camera dovrebbe ospitare un massimo di 4 persone (minimo 2/3); ancora una volta una decisione che costringe i migranti a vivere insieme. (33)

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Nei Paesi Bassi nel 2015 le richieste dei richiedenti asilo sono state inferiori al 4% del totale europeo e non ci sono dati disponibili dal primo trimestre del 2017. Il governo è stato denunciato da Amnesty International e dall’UNHCR per il suo atteggiamento nei confronti dei migranti residenti illegalmente nei Paesi Bassi - dopo che la richiesta di asilo viene respinta. (34) Una lettera del Dr. K.H.D.M. Dijkhoff, Segretario di Stato per la Sicurezza e la Giustizia, è disponibile online per chi desidera richiedere l’asilo nei Paesi Bassi. Il documento è suddiviso in piccoli paragrafi che spiegano in dettaglio cose come “Alloggio” o “Riunione familiare”, ma anche ciò che implica “Disturbo della quiete” e “Contributo personale per la ricezione”. (35) Alcune delle organizzazioni che collaborano con i rifugiati nei Paesi Bassi sono l’UNHCR, l’Ufficio per l’immigrazione e la naturalizzazione, il ministero olandese per gli Affari Esteri e il COA. Quest’ultimo è l’Agenzia Centrale per la Ricezione dei Richiedenti Asilo, principale responsabile dei centri. È “un organo amministrativo indipendente che rientra nella

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responsabilità politica del Ministero della Sicurezza e della Giustizia. Il COA da “conto delle sue operazioni al Ministero“. Come in Italia, i centri sono organizzati in linea con i diversi livelli di processo: COL Prima tappa dove i migranti vengono identificati, registrati e sottoposti ai test medici; questa procedura dura da 2 a 5 giorni. Ci sono un totale di 3 centri che possono ospitare fino a 3200 persone. “A volte sono state chieste domande come - puoi disegnare la tua bandiera nazionale? Il nome del tuo presidente? Ma anche - In quale negozio andavi a fare la spesa di solito? Puoi descrivere il percorso? - per essere sicuri di non mentire. Non è un approccio accogliente “(36) POL Con un totale di 24 centri per 13.286 persone, questi sono gli spazi in cui i richiedenti asilo vengono inviati in attesa della procedura di asilo generale. Il soggiorno può variare da 12 giorni a poche settimane. Il cibo e le bevande sono forniti ma niente denaro.

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AZC In questi centri “i rifugiati possono beneficiare di assistenza durante la loro richiesta di asilo”. Ci sono 32 centri per 20.404 persone, sono la maggior parte delle volte strutture esistenti che il COA affitta dal governo olandese - ex prigioni, basi militari, parchi ricreativi. I visitatori non sono ammessi previa richiesta. Per quanto riguarda le norme di sicurezza, i rifugiati non hanno il diritto di appendere decorazioni sulle pareti o di usare un tappeto. BED BAD BROOD A seguito di pressioni internazionali, il governo olandese ha deciso di creare il programma BBB (Bed Bath and Bread) che consiste in sistemazioni aperte ogni giorno dalle ore 17 alle ore 9 nelle 5 grandi città olandesi -Amsterdam, L’Aia, Utrecht, Rotterdam, Eindhoven. Queste strutture sono (parzialmente) pagate dal governo nazionale, ma esistono interessi diversi tra l’autorità centrale e i comuni locali; questa soluzione è ancora un argomento caldo nel paese e riguarda semplicemente la sistemazione temporanea dei rifugiati a cui è stata respinta la richiesta di asilo e che in attesa di rimpatriare, non hanno alcun diritto. (37)

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Come già detto, la maggior parte dei centri sono ex prigioni, basi militari, parchi ricreativi. Il numero di posti disponibili è enorme rispetto all’Italia, ma il numero degli arrivi e delle richieste di richiedenti asilo è inversamente proporzionale. Nel progetto fotografico “Return to Sender”, gentilmente condiviso da Lou Muuse,vengono documentati gli spazi utilizzati per il processo: diviso in sezioni, la ricerca è un documento informativo che mostra i diversi edifici e le strutture in cui si svolge il processo. In “Arrival To the Netherlands” è evidente la differenza con i centri italiani, le stanze sono arredate con gli stessi arredi, neutri, freddi, non accoglienti e ci sono regole rigorose sulle decorazioni - soprattutto per motivi di sicurezza. A pagina 55 vengono citate alcune politiche spaziali prese da una scheda informativa nazionale inviata dal COA alle municipalità olandesi“La guida del COA specifica un’area di 5m2 per residente. Un alloggio per 8 persone ha una superficie di circa 90m2, compresi gli spazi condivisi...quando ci sono troppe richieste d’asilo queste linee guida possono non essere sempre seguite “.

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Qui la situazione è ancora più stretta che in Italia: 5m2 è equivalente a una stanza di 2x2,5m (non ci sono camere con queste dimensioni ma ci sono locali di 10-15m2 per 2,3 persone). L’utilizzo di queste specifiche dimensioni in entrambi i processi è di nuovo uno strumento politico. Da un lato queste regole e dimensioni sono parte di un mondo che non appartiene ai migranti e probabilmente non è appartenuto loro - le differenze culturali e sociali non vengono minimamente prese in considerazione. D’altra parte, la ragione per la fornitura di regole diverse dall’attuale nazionale è semplice: sulla carta, i migranti non hanno gli stessi diritti dei cittadini. Z. A. e M. R. sono due migranti provenienti dalla Siria, hanno seguito il processo di integrazione olandese e ora stanno ufficialmente imparando l’olandese per trovare un lavoro. Durante la loro esperienza, sono stati costretti a spostarsi più volte in un anno mentre stavano aspettando il loro permesso di soggiorno - Z.A. è stato spostato 10 volte.

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A volte il centro non aveva abbastanza spazio costringendo tutti in letti a castello distribuiti su lunghi corridoi - diverse centinaia di persone erano costrette a dormire insieme. Un aspetto sconcertante venuto fuori durante la nostra conversazione è la “migrazione al contrario” (opposite migration). Come indicato nella lettera ai richiedenti asilo da parte del Segretario di Stato per la Sicurezza e la Giustizia, i migranti non possono richiedere un permesso affinchè la loro famiglia raggiunga i Paesi Bassi. Alcuni amici di Z.A.e M.R hanno preferito tornare in Siria, ma qui viene il problema: una volta in Europa hanno chiesto il permesso di soggiorno per rifugiati, questo documento consente loro di rimanere di solito tra i 3 ei 5 anni nel paese e di prendere parte al processo di integrazione. Il documento in alcuni paesi europei - ad esempio in Ungheria - dà ai rifugiati gli stessi diritti dei cittadini, quindi la libera circolazione nell’area Schengen. Se devono attraversare Schengen per tornare in Siria, hanno bisogno di un passaporto che non hanno. Paradossalmente, l’unica soluzione è quella di pagare un viaggio illegale e pericoloso, attraversando le stesse linee in senso opposto.

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Le suddette informazioni sono necessarie per capire come l’approccio europeo non funziona: entrambi i processi discriminano i migranti sulla base dei regolamenti spaziali e la “opposite migration” segna il punto più basso di questo sistema.

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IL PROGETTO DI UNA LINEA

Ripercorrendo i fatti menzionati sopra, questa crisi è basata sulle linee: a partire dalla scala più grande, ci sono confini nazionali che dividono i paesi, queste linee regolano il nostro status legale e quindi i nostri diritti. Una volta dentro l’area Schengen le linee diventano più fitte e complesse, a ciascun paese corrisponde un diverso processo di integrazione - non sembra un meccanismo lineare per identificare i migranti e dare loro residenza, ma appare più come un sistema utilizzato come strumento politico per ostacolare l’integrazione. La “migrazione al contrario” mostra come questo approccio sia un fallimento: i migranti vengono bloccati in un paese in cui sono stati assegnati e se per un motivo specifico vogliono tornare - per esempio per raggiungere la propria famiglia - devono rischiare la propria vita. L’Architettura e l’Architettura d’Interni hanno un ruolo importante in questa situazione. Recinzioni, pareti, tende sono solo l’inizio, anche ex case di riposo, vecchie ville, strutture affittate, ecc. giocano una parte fondamentale negli interventi umanitari. Questi spazi devono essere approvati dalla legge per accogliere i migranti.

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Queste specifiche leggi sono obsolete e sono un ostacolo per le persone che cercano una migliore condizione di vita. Le linee tratte da questi regolamenti rappresentano una discriminazione verso una certa categoria di cittadini. “Dobbiamo allontanarci dal concetto che, visto che tu hai un determinato status - migrante, rifugiato, marziano, straniero, qualunque cosa - non ti è permesso di essere come tutti gli altri”. K. Kleinschmidt (2015) (38) Questo stato legale viene “guadagnato” attraversando il perimetro del paese d’origine per evitare persecuzioni e morte. Questo sembra essere la prima cosa che l’Architettura e il Design dimenticano: la tendenza a pensare al rifugiato come possibile cliente crea automaticamente un sistema di bisogni e l’impulso di assegnare loro (i migranti, target del progetto) qualità di vita che non possiedono per esempio perché progettiamo abitazioni temporanee se stanno cercando condizioni di vita più stabili? Un aspetto importante da tenere da conto è che la parola

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“temporariness” è legata anche all’idea di impermanenza e di scomodità. La famosa soluzione di IKEA per i profughi, Better Shelter, ha vinto il premio del Design of the Year 2016, rilasciato da The Design Museum, Beazley Design of the Year. Il premio mostra un’area di attuale interesse per le imprese nel mondo del design. Nonostante il premio, una delle autorità leader a livello mondiale in materia di aiuti umanitari, in precedenza a Zaatari, in un discorso all’ HNI, Rotterdam, ha dichiarato che la soluzione da 18 m2 di IKEA non è “better”(meglio) di altre: entra la sabbia e i materiali si sciolgono al sole. Uno dei “shelter consultant” per l’IOM ha visto che molte persone finisco per usarle come pollai. Tende di propilene, capannoni metallici, vecchie fabbriche in rovina che vengono usate come rifugi, bombole del gas che sostituiscono la cucina; a quanto pare questi sono gli spazi che i progettisti europei vogliono fornire ai migranti. (39)

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Tra rifugi, alloggi, edifici vacanti e cambiamenti politici, un’interessante discussione nel mondo dell’Architettura ha iniziato ad affrontare la questione, ma in modo ancora vago: su Dezeen Ruben Pater(40), parlando di concorsi, afferma che competizioni come What Design Can Do stanno sfruttando il design come uno strumento perché queste soluzioni sono possibili su larga scala solo con il supporto di governi e ONG. Quante di queste soluzioni sono state finora realizzate? “... È anche assurdo suggerire che il design possa trovare soluzioni per una crisi che è prima di tutto politica e socio-economica”. Il design qui è soprattutto uno strumento politico, da un lato i rifugi e la temporaneità sono - “esattamente come i neoliberali sperano di scoraggiare i rifugiati dal venire in Europa” dice Ruben - e dall’altro questo tipo di concorsi spinge gli studenti a concentrarsi più sul premio finale. Ancora una volta non vengono considerati gli interessi dei più deboli.

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Continua: - “Il membro del partito VVD Halbe Zijlstra è stato esplicito:” Dobbiamo rendere le condizioni per i rifugiati il più austere possibili, per scoraggiare gli altri a venire nei Paesi Bassi ... I progettisti dovrebbero prestare attenzione al fatto che il loro lavoro non finisca per essere utilizzato per legittimare uno stato di vita temporaneo permanente, deliberatamente creato per impedire ai rifugiati di venire in Europa ... la crisi dei rifugiati è molto progettata - i progettisti hanno svolto un ruolo attivo nel creare i confini digitali e fisici per controllare ed impedire ai rifugiati di entrare in Europa...”

I fatti sopramenzionati mostrano come il Design non venga utilizzato correttamente per ottenere una vera soluzione: è usato per legittimare un sistema che non funziona più.

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Il mio interesse come designer non è quello di fornire una soluzione, non credo che questo sia possibile: l’Architettura e il Design non risolveranno mai la cosiddetta “crisi migranti” perché questa è solo la punta dell’iceberg, le radici di questa emergenza non possono essere guarite da aiuti umanitari o di sviluppo. La mancanza di informazioni sulle politiche e sui sotterfugi legali ostacolano i cittadini europei dal vedere le condizioni reali della migrazione nell’UE. I fatti e le regole citate mostrano l’atteggiamento allarmante che discrimina sul piano delle normative spaziali le persone che aspettano l’esito alla loro richiesta o lo status legale. L’atto di disegnare una linea per definire un’area diventa qui un’ingiustizia verso certe persone. A mio avviso, invece di alimentare un meccanismo malato che si dedica alla progettazione di rifugi e dimore temporanee, il Design e l’Architettura dovrebbero creare la consapevolezza su questioni gravi specifiche per promuovere un maggior sostegno da parte dei cittadini. Il problema deve essere affrontato anche in modo sociale e politico e i progettisti e gli architetti devono essere a conoscenza di questo. Il diritto alla casa non è l’unico

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ostacolo, un sistema complesso di linee intricate impedisce alle persone di trovare una soluzione stabile per sé stessi e per le loro famiglie, lontano dalle guerre. Il mio scopo è quello di dare un aspetto fisico ad alcune di queste linee per aprire una discussione e diffondere consapevolezza. “Aiutare” significa per me mettere in luce la discriminazione spaziale cui sono sottoposti i rifugiati. L’atto di ricreare uno “spazio per rifugiati” con le linee guida del COA olandese diventa un modo per denunciare un sistema fragile sfruttato da tutti i partecipanti. È chiaro che la cosiddetta “crisi migratoria europea” è anche il risultato di politiche ostili perpetrate dai paesi europei. Ostili perché impediscono ai migranti di arrivare e stabilizzarsi nei territori dell’UE. Le frontiere, lo stato di eccezione e le politiche spaziali sono alcuni degli strumenti utilizzati per ostacolare il cammino. La opposite migration è invece il punto più basso nel fragile sistema per integrare i migranti.

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Il Design e l’Architettura non dovrebbero sostenere le soluzioni convenienti (per l’UE) che incitano temporaneità e instabilità. Devono denunciare questo tipo di ingiustizia e promuovere un dialogo condiviso tra le parti. Il Design e l’Architettura dovrebbero essere gli strumenti per rompere un sistema formale che alimenta un meccanismo malato che sfrutta le persone.



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IMAGES Cover. T. Sandigliano (2017) Man-made Lines. Illustration p. 6 - T. Sandigliano (2017) Migrants Routes Map. Illustration p. 30 - T. Sandigliano (2017) Italian Immigration Centers Map. Illustration p. 36 - T. Sandigliano (2017) Dutch Immigration Centers Map. Illustration (EN VERSION) p. 13 - T. Sandigliano (2017) “Culture of Fear”. Illustration p. 25 - T. Sandigliano (2017) “Homo Sacer vs Refugee”. Illustration p. 39 - T. Sandigliano (2017) “POL’s Basic Package for Refugees”. Illustration p. 43 - T. Sandigliano (2017) “We got used to Pain”. Illustration p. 48 - T. Sandigliano (2017) “What Design Can Do”. Illustration (ITA VERSION) p. 13 - T. Sandigliano (2017) “A Dangerous Travel”. Illustration p. 25 - T. Sandigliano (2017) “Legal Status”. Illustration p. 35 - T. Sandigliano (2017) “6 men and 1 toilette”. Illustration p. 43 - T. Sandigliano (2017) “Opposite Migration”. Illustration p. 48 - T. Sandigliano (2017) “Not so Better” Shelter. Illustration

All the photographic material and the legal documents not included in the book can be found online at www.teosandigliano.com/man-made-lines

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MIARD | master of Interior Architecture: Research + Design PZI, Willem de Kooning Academy Rotterdam University of Applied Sciences. Man-made Lines Š 2017 All Rights Reserved to Teo Sandigliano




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