Carlo Rubbia

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Un uomo dei nostri tempi, un grande fisico italiano, un tecnico che sa trovare le soluzioni. Figlio di un ingegnere elettronico e di una maestra di scuola elementare, alla fine della Seconda guerra mondiale lascia la città natale, Gorizia, spostandosi prima a Venezia e poi a Udine, dove frequenta il liceo scientifico G. Marinelli . All'esame di selezione per entrare alla Normale di Pisa, risulta undicesimo su dieci posti disponibili. Si iscrive quindi all'Università di Milano, ma viene riammesso alla Scuola Normale di Pisa grazie ad un posto rimasto vacante. Si laurea in fisica all' Università degli Studi di Pisa nel 1957. Trascorre poi un anno presso la Columbia University, dove esegue esperimenti sulle interazioni deboli presso il sincrociclotrone di Nevis. Trascorre in seguito un anno in Italia all'Università La Sapienza di Roma come professore assistente di Marcello Conversi. Dal 1960 svolge la sua attività di ricerca al CERN di Ginevra, il più grande laboratorio nel mondo per la fisica delle alte energie, di cui sarà poi Direttore Generale dal 1989 al 1994,


svolgendo ricerche inerenti alla fisica delle particelle elementari e dove completa esperimenti sulle interazioni deboli al sincrociclotrone, al protosincrotrone e in seguito al collisionatore di fasci protonici. Per verificare la teoria elettrodebole di Abdus Salam e Alvin M. Weinberg, modifica un acceleratore SPS in un collisionatore di protoni e antiprotoni. Con questo esperimento, a capo del gruppo di cento fisici noto con il nome di UA1, scopre nel 1983 le particelle che sono responsabili dell'interazione debole, cioè i bosoni vettoriali W+, W− e Z, confermando anche la teoria dell'unificazione della forza elettromagnetica e della interazione debole nella forza elettrodebole. Nel 1984, ad appena un anno dalla scoperta, riceve insieme all'olandese Simon van der Meer il premio Nobel per la fisica. Dal 1970 al 1988 é Higgins Professor per la fisica presso la Harvard University. È stato anche professore ordinario di complementi di fisica superiore all'Università di Pavia.


Dal 1986 al 1994 è stato il Presidente del Laboratorio di Luce di Sincrotrone di Trieste. Dal 1999 è Presidente dell'ENEA. Nel 2005 a seguito di ripetuti contrasti con il consiglio di amministrazione dell'ENEA, critica il governo Berlusconi sull' "umiliazione che la ricerca in Italia sta subendo"'. L'ENEA viene allora commissariato e Rubbia non viene riconfermato dal Ministro Claudio Scajola.

A questa vicenda seguono alcune polemiche, in particolare sulle competenze e sulle

affermazioni di alcuni successori. Le sue ricerche coprono molti aspetti della fisica delle particelle elementari in cui è estremamente attivo. Negli anni dopo il Nobel comincia a interessarsi ai problemi energetici e studia un reattore a fissione sicuro, il cosiddetto Amplificatore di Energia, conosciuto anche con il nome di Rubbiatron, nel quale i neutroni della reazione a catena vengono prodotti tramite un acceleratore di particelle. Il reattore resta però allo stadio di progetto.


Ha inoltre contribuito in maniera decisiva alle attività di ricerca del Laboratorio del Gran Sasso, con le ricerche sui neutrini cosmici. Con l'esperimento ICARUS ha sviluppato una nuova tecnica di rivelazione degli eventi ionizzanti in Argon liquido ultra-puro, mirata anche alla rivelazione diretta dei neutrini emessi dal Sole. Continua a svolgere attività di ricerca nel campo della stabilità del protone, della fissione, della fusione nucleare controllata; ha ideato un motore (il progetto 242) che usando solo 2,5 kg di americio 242 può portare un'astronave fino a Marte in un tempo molto minore degli attuali propulsori. Attualmente si interessa al problema della materia oscura. L'esperimento da lui proposto, WARP (Wimp ARgon Programme), si propone di rivelare la presenza di materia oscura sotto forma di WIMP (Weakly Interacting Massive Particles).


Il Rubbiatron Nel campo della fisica nucleare, il rubbiatron è la prima proposta per un reattore ad amplificazione di energia affiancato da una sorgente esterna di protoni (sistema noto in inglese come Energy Amplifier o ADS), necessaria ad alimentare la reazione nucleare nel nucleo del reattore in sé, perché questo ha la caratteristica di essere un reattore subcritico, incapace di sostenere la reazione a catena e dunque di dar luogo ad una reazione incontrollata. Per iniziare la reazione a catena ha bisogno di essere irraggiato da un potente fascio di particelle proveniente da un acceleratore di particelle (sincrotrone), una volta acceso il nucleo del reattore rilascia sufficiente energia termica, successivamente trasformata in energia elettrica che servirà per alimentare l'acceleratore di particelle oltre a fornire un surplus di energia elettrica destinato all'immissione in rete. L' amplificatore d'energia si serve di un acceleratore a sincrotrone per produrre un fascio di protoni. Questi colpiscono un bersaglio in metallo pesante (come piombo, torio o uranio) e


danno luogo ad un flusso di neutroni attraverso il processo della spallazione. Inoltre si prospetta la possibilità di aumentare il flusso neutronico attraverso l'uso di un amplificatore di neutroni (un film sottile di materiale fissile che circonda la sorgente di spallazione). Una più ampia trattazione dell'amplificazione di neutroni nei reattori CANDU si trova nel sito, anche se il CANDU è un modello di reattore critico, molti dei suoi concetti possono essere applicati ad un sistema sub-critico. I nuclei di torio assorbono neutroni, in questo si dà luogo alla trasmutazione degli elementi e si genera il materiale fissile uranio-233, un isotopo dell'uranio che non si trova in natura. La cascata di neutroni moderati produce la fissione dello U-233, che rilascia energia. Questo disegno di reattore, è interamente plausibile con la tecnologia disponibile attualmente, dal momento che si dispone del sincrotrone della potenza necessaria e della tecnologia metallurgica ed ingegneristica per gli amplificatori di neutroni ed il reattore a barre di torio, ma richiede ulteriori studi prima che esso possa essere dichiarato sia pratico che economicamente conveniente.


Questo progetto presenta una serie di potenziali vantaggi rispetto ai reattori nucleari a fissione convenzionali: Il progetto di tipo sottocritico comporta che la reazione nucleare non possa divergere; se qualsiasi parametro si allontanasse dai valori di progetto, la reazione si fermerebbe e il reattore si raffredderebbe. La fusione del nocciolo potrebbe comunque avvenire qualora venga persa la possibilità di raffreddamento del nucleo. Il Torio è un elemento decisamente, più abbondante in natura dell'uranio; in questo modo vengono attenuati i problemi, strategici e politici, di approvvigionamento, e viene eliminato il costoso e dispendioso processo di separazione isotopico. Allo stato attuale si prevede che le riserve di Torio siano sufficienti alla produzione di energia per molte centinaia di anni. L'amplificatore di energia produrrebbe pochissimo Plutonio, quindi questo progetto viene ritenuto molto più rispondente ai principi di non proliferazione nucleare rispetto ai reattori nucleari convenzionali (sebbene la questione dell'uso di Uranio-233 come combustibile per armi nucleari debba essere valutata con attenzione).


Esiste la possibilità di utilizzare questo reattore per "bruciare" plutonio, riducendo le riserve mondiali di questo pericoloso elemento a lunghissimo tempo di dimezzamento. Vengono prodotti meno rifiuti radioattivi a lungo tempo di dimezzamento; dopo 500 anni, i rifiuti prodotti avranno la stessa attività delle ceneri di carbone. Non sono richieste alcune innovazioni tecnologiche ulteriori; la tecnologia necessaria per costruire l'amplificatore di energia è già stata dimostrata in laboratorio. La costruzione richiede soltanto una certa ingegnerizzazione, non ricerca fondamentale (al contrario delle proposte collegate alla fusione nucleare). La produzione di energia potrebbe essere conveniente dal punto di vista economico se si considerano i costi complessivi del ciclo del combustibile nucleare e lo smantellamento e smaltimento delle scorie e struttura. Il progetto potrebbe funzionare in una scala relativamente piccola, rendendolo più adatto per paesi senza un sistema adeguato di griglia di potenza elettrica. La sicurezza intrinseca ed il trasporto in sicurezza del combustibile potrebbero rendere la tecnologia più adeguata ai paesi in via di sviluppo oltre che ad aree densamente popolate.


Impianto solare termodinamico Un impianto solare termodinamico, anche noto come impianto solare a concentrazione, è una tipologia di impianto elettrico che sfrutta la componente termica dell'energia solare per la produzione di energia elettrica. Deve il suo nome al fatto che, oltre alla captazione di energia solare già presente nei comuni impianti solari termici, aggiunge un ciclo termodinamico (Ciclo Rankine) per la trasformazione dell'energia termica in energia elettrica tramite turbina a vapore come anche avviene nelle comuni centrali termoelettriche. A differenza dei comuni pannelli solari termici per la generazione di acqua calda a fini domestici (con temperature inferiori a 95 °C), questa tipologia di impianto genera medie ed alte temperature (fino a 600 °C) permettendone l'uso in applicazioni industriali come la generazione di elettricità e/o come calore per processi industriali (cogenerazione). La grande rivoluzione rispetto alle altre comuni e già affermate tecnologie solari (solare termico e fotovoltaico) è la possibilità di produzione energetica anche in periodi di assenza della fonte energetica primaria ovvero l'energia solare durante la notte o con cielo coperto grazie alla possibilità di accumulo del calore in appositi serbatoi.



Degli specchi parabolici concentrano la luce diretta del sole su un tubo ricevitore posto nel fuoco del paraboloide. Dentro il tubo scorre un fluido (detto fluido termovettore perché adatto ad immagazzinare e trasportare calore), che assorbe l'energia e la trasporta in un serbatoio di accumulo, necessario se si vuole supplire ai momenti di scarsa o nulla insolazione (come la notte). Per esempio nella centrale sperimentale Archimede di Priolo l'accumulo termico è sufficiente per coprire la produzione elettrica per 8 ore in assenza di sole. L'accumulo è in contatto termico con uno scambiatore di calore, che attraverso una caldaia genera vapore; questo viene utilizzato per muovere delle turbine collegate a sua volta a degli alternatori per produrre così corrente elettrica. Il fluido termovettore può essere 'olio diatermico' (centrali di 1ª generazione) oppure, secondo gli sviluppi di questi ultimi anni, una miscela di sali che fondono alle temperature di esercizio della centrale e per questo detti sali fusi (centrali di 2ª generazione).


La temperatura più alta raggiunta dai sali fusi rispetto all'olio diatermico consente una migliore resa energetica finale grazie alla possibilità di accoppiamento con un ciclo a vapor d'acqua sottoposto (cicli binari) più efficienti delle centrali standard e che lavorano a temperature più alte. Una volta 'catturata' l'energia del Sole (sorgente) il processo di produzione ovvero conversione in energia elettrica è quindi del tutto analogo, se non identico, a quanto avviene in una comune centrale termoelettrica. In generale può essere definita un'efficienza di captazione degli specchi rispetto all'energia solare totale incidente (1°conversione), un'efficienza di conversione del calore captato in energia elettrica (2° conversione)(sempre minori dell'unità) e un'efficienza totale del processo totale rispetto alla fonte primaria di energia che si ottiene come prodotto delle due precedenti. Gli specchi concentratori sono completamente automatizzati in modo da inseguire costantemente il Sole nel suo moto apparente in cielo massimizzando così la resa di captazione solare durante l'intero arco della giornata. L'abbassamento verso terra dello specchio durante la notte consentirebbe anche l'eventuale pulizia della superficie contro l'accumulo di polveri.


Sono possibili anche analoghe centrali solari con specchi riflettenti piani non parabolici che riflettono e concentrano l'energia solare su una torre solare, posta al centro dell'impianto, su cui scorre il fluido termovettore e perciò dette centrali solari a torre. Nel 2005, Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica, lasciò la presidenza dell'ENEA, in un periodo di contrasti con quanti non erano disposti a finanziare il solare termodinamico a concentrazione. Nel dicembre 2007, il governo italiano ha approvato un piano industriale per costruire dieci centrali da 50 MW nel sud Italia. Nel progetto Archimede dell'ENEA, sviluppato in collaborazione con l'ENEL e fortemente sponsorizzato dal premio Nobel Carlo Rubbia, come fluido termovettore venne usato una miscela di sali fusi (60% di nitrato di sodio e 40% di nitrato di potassio) che permette un accumulo in grandi serbatoi di calore e una temperatura di esercizio molto elevata (fino a 550 °C) aumentando l'efficienza dell'impianto. Per inciso, l'uso di sali fusi come fluido di scambio termico compare anche nel progetto di nuovi sistemi che condividono la necessità di liquidi di conduzione ad alta temperatura come i reattori a fissione di IV Generazione ed i reattori nucleari a fusione.


Nel luglio 2009 il Senato Italiano ha approvato una mozione decisamente critica riguardo al solare termodinamico, ritenuta una fonte non completamente ecologica in quanto necessita di essere combinata a fonti non rinnovabili che ne garantiscano il funzionamento anche in assenza di sole, e poco efficiente sotto diversi punti di vista anche in confronto con la nuova politica di rilancio del nucleare. Lo stesso presidente dell'ENEA Luigi Paganetto ha dichiarato "Ritengo singolare che questo accada, perchÊ sul solare termodinamico siamo leader del mondo". Il 15 luglio 2010 è stata inaugurata dall'ENEL a Priolo Gargallo in provincia di Siracusa la prima centrale termodinamica italiana di 5 MW costata 60 milioni di euro. Lo scopo principale di questo progetto è di tipo dimostrativo e vuole sottolineare la grande potenzialità del solare termodinamico applicato alle centrali a turbo gas al fine di migliorarne l'efficienza.



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