meditare
GUIDA
PRATICA PER fare amicizia con la propria mente
Dall’autrice di Liberi dalle vecchie abitudini
Come meditare
Guida pratica per fare amicizia con la propria mente
Terra Nuova Edizioni
QUESTO NON È UN LIBRO QUALUNQUE
Anche un libro ha la sua filiera. Proprio come una zucchina. Per portarti un «cibo per la mente» genuino, ecologico e giusto, Terra Nuova applica severi principi di sostenibilità ambientale e sociale: ecco quali.
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Meditare è, semplicemente, esercitarsi a permanere in uno stato in cui la mente e il corpo possono sincronizzarsi. Attraverso la pratica della meditazione, possiamo imparare a essere senza illusioni, a essere pienamente autentici e vivi.
La nostra vita è un viaggio senza fine: la pratica della meditazione ci permette di sperimentare tutte le tessiture del percorso, e in effetti è questo il senso stesso del viaggio.
– Chogyam Trungpa Rinpoche – Chogyam Trungpa RinpocheIntroduzione
La scelta di vivere con tutto il cuore
Il principio dell’essere-adesso è molto importante per qualunque sforzo di edificare una società illuminata.
Ci si può chiedere quale sia l’approccio migliore per dare un contributo alla società e come fare per essere certi che quel che stiamo facendo sia qualcosa di autentico e positivo. L’unica risposta è l’essereadesso. E quel che ci permette di rilassarci o far riposare la mente nell’essere-adesso è la pratica della meditazione. Nella meditazione adottiamo un approccio imparziale. Lasciamo che le cose siano come sono, senza giudizio, e così facendo impariamo a essere noi stessi.
– Chögyam Trungpa RinpocheLA MENTE è davvero inarrestabile. Nell’esperienza umana abbondano l’imprevedibilità e il paradosso, le gioie e i dolori, i successi e i fallimenti. Nel dispiegarsi della nostra esistenza, non possiamo sfuggire a nessuna di queste esperienze. Fanno parte di ciò che rende grande la vita,
e sono anche il motivo per cui i viaggi della mente sono così tortuosi. Se con la meditazione riusciamo a esercitarci a essere più aperti, più accondiscendenti rispetto all’ampiezza spalancata dello spettro dell’esperienza, se riusciamo ad addentrarci in profondità nelle nostre difficoltà e nel funzionamento degli scatti fulminei della nostra mente, possiamo maturare un approccio più stabile e rilassato alle cose della vita.
Ci sono tanti modi per lavorare con la mente. La meditazione seduta è uno degli strumenti più efficaci. La meditazione seduta ci apre a ogni singolo momento della vita. Ciascun momento è in tutto e per tutto unico e ignoto. Il nostro mondo mentale può sembrarci prevedibile, comprensibile. Passiamo in rassegna tutti gli eventi della vita e le cose da fare convinti che possano offrirci sicurezza e una base solida per la nostra esistenza. Ma non sono altro che fantasie: questo preciso momento, una volta rimosse tutte le nostre stratificazioni concettuali, è da ogni punto di vista unico. È assolutamente ignoto. Non abbiamo mai vissuto questo momento prima d’ora, e il momento successivo non sarà uguale a quello in cui ci troviamo adesso. La meditazione ci insegna ad avere a che fare direttamente con la vita, permettendoci di sperimentare appieno il momento presente.
Se volgiamo lo sguardo al Dharma – ovvero gli insegnamenti del Buddha, la verità di ciò che è – vediamo che attraverso la pratica della meditazione si intende rimuovere la sofferenza. Forse è per questo che tante persone sono
La scelta di vivere con tutto il cuore attratte dalla meditazione, è raro che ci si avvicini a questa pratica se non c’è qualcosa che ci turba. Secondo gli insegnamenti buddhisti, però, il punto non è rimuovere solo i sintomi della sofferenza: si tratta in realtà di rimuovere la causa, o la radice, della sofferenza. Il Buddha ha detto: «Io insegno soltanto una cosa: la sofferenza e la cessazione della sofferenza».
In questo libro vorrei mostrare soprattutto che la radice della sofferenza è la mente: la nostra mente. E che questa nostra mente è anche la radice della felicità. Nelle pagine del Bodhicaryavatara dedicate a questo tema, il saggio Shantideva, per illustrare il modo in cui cerchiamo di alleviare la nostra sofferenza, ricorre a una famosa analogia. Dice che se ti fanno male i piedi quando cammini, potresti coprire di cuoio tutta la terra, in modo da non dover mai soffrire il dolore del contatto col suolo. Ma dove trovare una tale quantità di cuoio? Oppure, puoi semplicemente avvolgere un po’ di cuoio intorno ai piedi: così sarai protetto come se tutto il mondo fosse coperto.
In altri termini, si può andare avanti all’infinito cercando di far cessare la sofferenza affrontando le circostanze esteriori, e di solito è così che facciamo tutti. È l’approccio convenzionale: non fai altro che cercare di risolvere per l’ennesima volta il problema là fuori. Ma il Buddha ha detto qualcosa di rivoluzionario, anche se la maggior parte di noi continua a non dargli retta fino in fondo: se lavori con la mente, potrai alleviare tutta la sofferenza che sembra provenire dall’esterno.
Quando qualcosa ti dà fastidio – una persona ti dà noia, una situazione ti irrita, o il dolore fisico ti assilla – devi lavorare con la mente: la meditazione ti permette di farlo. Lavorare con la mente è il solo modo che abbiamo per cominciare a sentirci felici, contenti del mondo in cui viviamo.
Riguardo alla parola “sofferenza”, c’è una precisazione importante da fare. Quando il Buddha dice: «L’unica cosa che insegno è la sofferenza e la cessazione della sofferenza», la parola che usa per indicare la sofferenza è dukkha. Dukkha è qualcosa di diverso dal dolore. Il dolore è un aspetto inevitabile della vita umana, come lo è anche il piacere. Il dolore e il piacere si alternano in chiunque abbia un corpo e una mente, e sono parte integrante della vita di chi è nato in questo mondo.
Il Buddha non intendeva dire: «L’unica cosa che insegno è il dolore e la cessazione del dolore». Piuttosto, dice che il dolore c’è, e che devi fartene una ragione, rilassarti rispetto al fatto che nella tua vita ci sarà dolore. Non si tratta di raggiungere uno stato in cui, se muore qualcuno a cui vuoi bene, non provi dolore. O se cadi da una rampa di scale, non ti riempi di lividi. Con l’età potrai avere il mal di schiena o le ginocchia doloranti. Sono cose che capitano.
Anche il praticante più avanzato ha i suoi cambi di umore. La qualità dell’energia che ci attraversa può essere pesante e opprimente, nel qual caso parliamo di depressione, paura o ansia: sono energie umorali che percorrono tutti gli esseri, non diversamente dal meteo, che cambia di
La scelta di vivere con tutto il cuore giorno in giorno. Allo stesso modo cambia anche il nostro meteo interiore, e lo fa di continuo, in chi è pienamente illuminato come in chi non lo è. La vera questione, allora, diventa: come ci poniamo rispetto a questo? Dobbiamo identificarci completamente e lasciarci trascinare oppure sprofondare?
Dukkha si traduce anche come insoddisfazione, non essere mai soddisfatti. Quel che mantiene in vita dukkha è l’essere costantemente insoddisfatti della realtà della condizione umana, del fatto che le situazioni piacevoli e quelle spiacevoli sono parte integrante della vita. Così c’è una forte tendenza, da parte di tutti gli esseri viventi, a desiderare che la sfera del sentire sia sempre e soltanto dominata da cose gradevoli, che trasmettono un senso di agio e sicurezza. Se c’è dolore, in qualsiasi forma si presenti – sgradevolezza, disagio, insicurezza – vogliamo allontanarcene, vogliamo evitarlo. È per questo che ci rivolgiamo alla meditazione. Perché meditare?
Non meditiamo per sentirci a nostro agio. In altre parole, non meditiamo per stare bene sempre e comunque. È possibile che questa frase vi lasci di stucco, perché sono in tanti ad arrivare alla meditazione col semplice obiettivo di “stare meglio”. Per altri versi, vi solleverà sapere che lo scopo della meditazione non è neppure quello di stare male. Piuttosto, la meditazione ci offre l’opportunità di ri-
volgere un’attenzione aperta e compassionevole a tutto ciò che accade. Lo spazio meditativo è ampio come il cielo, abbastanza vasto da accogliere tutto ciò che si manifesta. Nella meditazione, i nostri pensieri e le nostre emozioni possono essere come nuvole che rimangono per un po’ e poi vanno via. Buono, confortevole e piacevole o difficile e doloroso, sono tutte cose che vanno e vengono. Quindi l’essenza della meditazione è esercitarsi in qualcosa di decisamente radicale, che di certo non coincide con gli schemi abituali della nostra specie: rimanere presenti a noi stessi qualunque cosa accada, senza etichettare tutto come buono o cattivo, giusto o sbagliato, puro o impuro. Se la meditazione fosse solo una questione di stare bene (e ho l’impressione che sotto sotto tutti quanti speriamo che si tratti proprio di questo), rischieremmo di trovarci spesso a pensare che in quello che facciamo deve esserci qualcosa di sbagliato. Perché la meditazione, a volte, può essere un’esperienza davvero difficile. Una condizione ricorrente tra i praticanti, in una giornata tipo oppure durante i ritiri, è quella della noia, di un’irrequietezza accompagnata da schiena a pezzi e ginocchia doloranti, dove a volte a farti male è la mente stessa: insomma, un bel po’ di esperienze che non vanno affatto nella direzione dello “stare bene”. La meditazione, piuttosto, è una questione di apertura compassionevole, di sviluppare la capacità di essere presenti a se stessi e alla propria condizione attraversando esperienze di ogni tipo. Nella meditazione, qualunque cosa ti porti la vita, tu sei aperto. Si tratta di toccare la terra
La scelta di vivere con tutto il cuore e tornare a essere proprio qui. Certe forme di meditazione mirano al raggiungimento di stati particolari e in qualche modo si elevano al di sopra delle difficoltà della vita o le trascendono. Il tipo di meditazione che ho praticato e che qui mi propongo di insegnare, invece, è incentrato su un completo risveglio alla vita e sull’apertura del cuore e della mente alle difficoltà e alle gioie della nostra esistenza, così com’è. I frutti di questo genere di meditazione non hanno limiti.
Quando meditiamo, coltiviamo cinque qualità che emergono gradualmente nel corso dei mesi e degli anni di pratica. Può essere utile richiamarle alla mente quando ti ritrovi a chiederti perché sto meditando? La prima qualità – quello che facciamo quando meditiamo – consiste nel coltivare e alimentare la nostra stabilità. Una volta, durante una conversazione sull’argomento, qualcuno mi ha chiesto: «Questa stabilità è una specie di fedeltà? Ma se è così, a cosa saremmo fedeli?» Grazie alla meditazione, maturiamo una certa fedeltà a noi stessi. È questa la stabilità che coltiviamo nella meditazione, e che si traduce immediatamente nell’essere fedeli alla propria esperienza di vita.
Stabilità significa che quando ti siedi a meditare e ti permetti di sperimentare ciò che accade in quel momento – può essere il fatto che la mente va a cento all’ora, che il corpo si contorce, che la testa pulsa, che il cuore trabocca di paura, qualunque cosa venga fuori – rimani presente a quell’esperienza. Tutto qui. Capita di starsene seduti lì per
un’ora di fila senza nessun miglioramento. A questo punto magari ti dici: «Questa sessione di meditazione è andata male». Ma la buona volontà di starsene seduti lì per dieci, quindici, venti minuti, mezz’ora, un’ora, per tutto il tempo che sei rimasto seduto, è in sé e per sé un gesto compassionevole che ti permette di sviluppare fedeltà a te stesso, ovvero stabilità con te stesso.
Abbiamo una tendenza molto spiccata a mettere un sacco di etichette, opinioni e giudizi su ciò che accade. Stabilità, fedeltà a se stessi, significa lasciare andare questi giudizi. Quindi, in un certo senso, stabilità significa anche che, quando ti accorgi che la mente gira alla velocità della luce e che ti attraversano pensieri di ogni tipo, affiora anche un elemento non pianificato, che si manifesta senza sforzo alcuno. Rimani presente alla tua esperienza. Grazie alla meditazione, sviluppi fedeltà, stabilità e perseveranza verso te stesso, e ti nutri di queste qualità. Poi, una volta imparato a farlo in meditazione, comincerai a essere più perseverante in situazioni di ogni genere, anche al di fuori della meditazione.
La seconda qualità che generiamo grazie alla meditazione è simile alla stabilità: la qualità della “chiara visione”. È detta anche “chiara consapevolezza”. Attraverso la meditazione sviluppiamo la capacità di cogliere i momenti in cui, in preda a una crisi, prendiamo a muso duro una situazione o una persona, cioè quando ci chiudiamo alla vita. Cominciamo a saper cogliere le prime avvisaglie di una
La scelta di vivere con tutto il cuore reazione a catena nevrotica che limita la nostra capacità di provare gioia o di stare in relazione con gli altri. Si potrebbe pensare che standocene seduti in meditazione, zitti e fermi, concentrati sul respiro, non ci accorgiamo di nulla. Ma in realtà è proprio il contrario. Grazie alla stabilità che coltiviamo, al fatto stesso che impariamo a stare in meditazione, cominciamo a sviluppare la chiarezza non giudicante e imparziale del semplice vedere. Vengono i pensieri, vengono le emozioni, e noi riusciamo a vederli sempre più chiaramente.
Nella meditazione, ci avviciniamo sempre di più a noi stessi, e a poco a poco la comprensione che abbiamo di noi stessi diventa più chiara. Cominciamo a vedere con chiarezza senza basarci su un’analisi concettuale, perché grazie a una pratica regolare vediamo ripetutamente quello che facciamo, più e più volte. Vediamo che nella mente riproduciamo sempre le stesse scene. Può cambiare il nome del partner o del capufficio, ma i temi sono alquanto ripetitivi. La meditazione ci aiuta ad avere una chiara visione di noi stessi e degli schemi abituali che limitano la nostra vita. Cominciamo a vedere con chiarezza le nostre opinioni. Vediamo i nostri giudizi sulle cose. Vediamo i nostri meccanismi di difesa. La meditazione ci permette di approfondire la comprensione di noi stessi.
La terza qualità che coltiviamo nella meditazione è quella che in realtà ho già richiamato a proposito della stabilità e della chiara visione, cioè la qualità che coltivia-
mo quando ci permettiamo di stare seduti in meditazione con un disagio emotivo. Penso che sia davvero importante distinguerla come una qualità a sé stante che sviluppiamo nella pratica, perché quando nella meditazione sperimentiamo un disagio emotivo (ed è certo che succederà), spesso abbiamo l’impressione che in quello che facciamo ci sia “qualcosa di sbagliato”. La terza qualità che si sviluppa in noi in modo molto spontaneo consiste nel coltivare il coraggio, nel graduale manifestarsi del coraggio (e penso che sia molto importante dire “graduale”, perché può essere un processo lento). Col tempo ci troviamo a sviluppare il coraggio di sperimentare il nostro disagio emotivo, le prove e le tribolazioni della vita. La meditazione è un processo di trasformazione, non un incantesimo con cui ci accaniamo a cambiare per magia qualcosa di noi stessi. Più pratichiamo, più ci apriamo e più sviluppiamo il coraggio nella vita. Nella meditazione non si ha mai la sensazione di “avercela fatta” o di “essere arrivato”. Senti di essere abbastanza rilassato da sperimentare ciò che è sempre stato lì, dentro di te. Questo processo di trasformazione a volte lo chiamo “grazia”. Perché sviluppando questo coraggio, cioè permettendo alla gamma delle nostre emozioni di manifestarsi, possiamo sperimentare momenti di intuizione profonda, a cui non potremmo avere accesso se cercassimo di capire su un piano concettuale che cosa c’è che non va in noi o nel mondo. Provengono dall’atto stesso di sedersi in meditazione, che richiede coraggio, un coraggio che cresce con il tempo. Grazie al crescere di questo coraggio, spesso
La scelta di vivere con tutto il cuore riceviamo la grazia di un cambiamento nella nostra visione del mondo, per quanto lieve. La meditazione ci permette di vedere qualcosa di nuovo che non avevamo mai visto prima, di capire qualcosa che non avevamo mai capito prima. A volte diciamo che questi benefici della meditazione sono delle “benedizioni”. Nella meditazione, impariamo a sgomberare la strada quel tanto che basta per dare spazio al manifestarsi della nostra stessa saggezza, perché smettiamo di reprimerla.
Quando sviluppiamo il coraggio di sperimentare il nostro disagio emotivo in tutta la sua difficoltà, e ce ne stiamo lì seduti in meditazione con questo disagio, ci rendiamo conto di quanto conforto e quanta sicurezza traiamo dal mondo della nostra mente. Perché, a quel punto, quando l’emozione è tanta, cominciamo davvero a entrare in contatto col sentire, con l’energia di fondo delle nostre emozioni. Come imparerete in questo libro, cominciamo a lasciare andare le parole e le storie, al meglio delle nostre possibilità, e poi ce ne stiamo lì seduti. Allora ci rendiamo conto che, per quanto possa sembrare spiacevole, è come se qualcosa ci costringesse a continuare a rivivere il ricordo, la storia delle nostre emozioni, oppure la voglia di dissociarci. Potremmo scoprire che spesso ci lasciamo trasportare dalle fantasie su qualcosa di piacevole. È che sotto sotto, in realtà, non vorremmo affatto che fosse così. C’è una parte di noi che aspira ardentemente a risvegliarsi e ad aprirsi. La specie umana vuole sentirsi più viva e sveglia, presente alla
vita. Al contempo, la specie umana non si sente a suo agio di fronte alla transitorietà e alla mutevolezza dell’energia della realtà. In parole povere, gran parte di noi in realtà preferisce il conforto delle fantasie mentali e della pianificazione, ed è per questo che, di fatto, questa è una pratica tanto difficile. L’esperienza del disagio emotivo e delle altre qualità – la stabilità, la chiara visione, il coraggio – scuote davvero in profondità i nostri schemi abituali. La meditazione allenta i condizionamenti: il nostro modo di tenere insieme i pezzi, di perpetuare la nostra sofferenza.
La quarta qualità che sviluppiamo nella meditazione è quella che fin qui è rimasta sempre sullo sfondo, cioè la capacità di risvegliarci alla vita, momento per momento, così com’è. Questa è l’essenza assoluta della meditazione. Sviluppiamo l’attenzione a questo momento qui. Impariamo a stare qui e basta. E in questo stare qui acquisiamo molta resistenza! Quando ho iniziato a praticare, pensavo di non avere la stoffa. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire che avevo molta resistenza a stare nel qui e ora. Il semplice fatto di stare qui – l’attenzione a questo momento qui –non ci offre certezze o previsioni di alcun tipo. Ma quando impariamo a rilassarci nel momento presente, impariamo a rilassarci riguardo all’ignoto. La vita non è mai prevedibile. Possiamo dire: «Oh, l’imprevedibilità non mi dispiace», ma è vero solo fino a un certo punto, cioè a patto che sia divertente e avventurosa. Nella mia famiglia, molti fanno cose come il bungee jumping e altre attività terrificanti di
La scelta di vivere con tutto il cuore ogni genere, soprattutto i miei nipoti, maschi e femmine. A volte, se penso ai loro passatempi, mi coglie un profondo terrore.
Ma tutti, perfino i miei nipoti, finiscono per incontrare i loro limiti. E a volte, a dirla tutta, per i più avventurosi questi limiti si rivelano nelle situazioni più impensate, per esempio quando non c’è modo di avere un caffè come si deve. Siamo pronti a saltare da un ponte a testa in giù, ma pestiamo i piedi se non c’è modo di avere un caffè come si deve. Per quanto possa suonare strano che i confini dell’ignoto stiano in quella tazza di caffè come si deve che non puoi avere, di fatto, per certuni, e forse anche per te, sta proprio lì la soglia da attraversare per accedere allo spazio del disagio e dell’incertezza.
Questo luogo di incontro con i nostri limiti, di accettazione del momento presente e dell’ignoto, racchiude una grande forza per chiunque desideri risvegliare il cuore e aprire la mente. Il momento presente è il fuoco vitale della nostra meditazione. È ciò che ci spinge verso la trasformazione. In altre parole, il momento presente è il carburante del nostro viaggio personale. La meditazione ci aiuta a raggiungere il nostro limite, il punto in cui andiamo a sbattere e cominciamo a perdere il controllo. Incontrare l’ignoto del momento presente ci permette di vivere la vita, le relazioni e gli impegni con sempre maggiore pienezza. Cioè di vivere con tutto il cuore.
La meditazione è rivoluzionaria, perché non smetti mai di trovare luoghi in cui riposare: puoi trovare una quie-
te sempre più profonda. Per questo continuo a praticarla, anno dopo anno. Se guardandomi indietro non provassi un senso di trasformazione, se non riconoscessi chiaramente di sentirmi più stabile e più flessibile, ci sarebbe davvero di che scoraggiarsi. Ma è proprio questo che sento. E sento che c’è sempre un’altra sfida, cosa che ci mantiene umili. È la vita a buttarti giù dal tuo piedistallo. Possiamo sempre darci da fare per incontrare l’ignoto in uno spazio ancora più stabile e aperto. Capita a tutti noi. Pensi di aver capito tutto quello che c’è da capire e di essere davvero rilassato, e poi qualcosa ti manda fuori di testa.
Per esempio, eccoti qui che cominci a leggere un’introduzione alla meditazione scritta da “una monaca che ha trovato la calma mentale”. Eppure devi sapere che ci sono cose che mi fanno pestare i piedi come un bambino viziato. Anche per me, dopo anni di meditazione, ci sono ancora momenti in cui incontrare il momento presente è una sfida. Non molto tempo fa ho fatto un viaggio da sola con la mia nipotina, che all’epoca aveva sei anni. È stata un’esperienza orribile, perché lei mi ha messo davvero alla prova. Quell’adorato angioletto diceva “no” a qualunque cosa, e io continuavo a perdere la testa. A un certo punto le ho detto: «Va bene, Alexandria, è una cosa tra te e la nonna, giusto? Non lo racconterai a nessuno, va bene?». «Hai presente tutti quei libri con la foto della nonna sulla copertina? Ecco, se vedi qualcuno che ha in mano uno di quei libri, non raccontargli niente di tutto questo».
La scelta di vivere con tutto il cuore Il punto è che quando salta la tua copertura, è imbarazzante. Più imbarazzante di qualunque altra cosa, ma sei contento comunque di vedere dov’è che sei ancora bloccato, perché vorresti poter morire senza avere altre grandi sorprese. Ti dispiacerebbe, sul tuo letto di morte, quando pensavi di essere San Chicchessia, scoprire con frustrazione e rabbia che l’infermiera ti fa perdere le staffe. Non solo muori arrabbiato con l’infermiera, ma muori anche disilluso riguardo a tutto il tuo essere. Quindi, se ti stai chiedendo perché meditiamo, direi che è per diventare più flessibili e tolleranti riguardo al momento presente. Perché può anche darsi che l’infermiera ti darà sui nervi quando sarai in punto di morte, e allora ti dici sai che c’è, è la vita. Lasci che ti attraversi. Puoi trovare quiete proprio in questo. E, auspicabilmente, morire ridendo. È stata una fortuna avere proprio questa infermiera. Ti dici: «È semplicemente assurdo!» Queste persone che fanno saltare la nostra copertura, le chiamiamo “guru”.
L’ultima qualità legata al motivo per cui meditiamo è quella che io chiamo “che sarà mai”. È quello che intendo quando dico “flessibile” al momento presente. Sì, grazie alla meditazione puoi sperimentare un’intuizione profonda, o un meraviglioso senso di grazia, di benedizione, o anche di trasformazione e di un rinnovato coraggio, ma in fondo: che sarà mai. Sei sul letto di morte, c’è questa infermiera che ti fa impazzire, ed è una cosa buffa, e che sarà mai.
Questo è uno dei più grandi insegnamenti del mio maestro, Chögyam Trungpa Rinpoche: che sarà mai. Ricordo che una volta sono andata a riferirgli quella che credevo fosse un’esperienza di pratica davvero decisiva. Ero tutta eccitata e gli ho raccontato tutto per filo e per segno. Ah, il suo sguardo. Era uno sguardo indescrivibile, uno sguardo molto aperto. Non si poteva dire che fosse compassionevole o giudicante o altro. E mentre ancora parlavo, mi ha toccato la mano e ha detto: «Che… sarà… mai…». Non stava dicendo «non ci siamo» e non stava neppure dicendo «va bene». Diceva «Sono cose che succedono», e possono trasformare la tua vita, ma nello stesso tempo bisogna dirsi “che sarà mai”, perché altrimenti è una strada che porta all’arroganza e all’orgoglio o a sentirsi più speciali degli altri. D’altra parte, drammatizzare le difficoltà porta nella direzione opposta: autocommiserazione e scarsa opinione di sé, autodenigrazione. Insomma, la meditazione ci aiuta a coltivare questo senso di che sarà mai, come un’espressione non di cinismo, ma di umorismo e flessibilità. Ne hai viste di tutti i colori, ed è proprio per questo che ti sta bene tutto.
Direzione editoriale: Mimmo Tringale e Nicholas Bawtree
Curatore editoriale: Enrica Capussotti
Autore: Pema Chödrön
Titolo originale: How to meditate
Copyright © 2013 Pema Chödrön. This translation is published by arrangement with Sounds True and by the agency of Agence Schweiger
Traduzione: Andrea Libero Carbone
Progetto grafico e copertina: Andrea Calvetti
Impaginazione: Daniela Annetta
Copyright per l’Italia 2020 © Editrice Aam Terra Nuova, via Ponte di Mezzo 1
50127 Firenze - tel 055 3215729 - fax 055 3215793
libri@terranuova.it - www.terranuova.it
I edizione: settembre 2020
Ristampe
VI V IV III II I 2025 2024 2023 2022 2021 2020
Collana: Ricerca interiore
ISBN: 9788866815778
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso dell’editore. Le informazioni contenute in questo libro hanno solo scopo informativo, pertanto l’editore non è responsabile dell’uso improprio e di eventuali danni morali o materiali che possano derivare dal loro utilizzo.
Stampa: Lineagrafica, Città di Castello (Pg)
Quando una situazione ci preoccupa, una persona ci irrita o un dolore fisico ci angoscia, in genere, siamo portati a intervenire sulle cause esterne, dimenticando che spesso la prima ragione di quel malessere è dentro di noi. La meditazione ci invita a “fare amicizia” con la nostra mente, a fare pace con noi stessi per riconoscere le vere cause delle nostre sofferenze e, allo stesso tempo, a individuare quello che davvero ci fa star bene. Per meditare, spiega l’autrice, non serve praticare strani rituali, non è neanche necessario ritirarsi sull’Himalaya o diventare monaci buddhisti, si tratta semplicemente di prendere del tempo per stare con noi stessi e questo si può fare ovunque e in qualunque momento.
Con un linguaggio di facile comprensione, non privo di autoironia, l’autrice conduce per mano il lettore alla scoperta della meditazione, una pratica millenaria i cui molteplici benefici sono oggi riconosciuti anche dalle neuroscienze.
Gli oltre quarant’anni di esperienza dell’autrice come insegnante di meditazione fanno di queste pagine una guida preziosa alla meditazione, un valido aiuto per chi vuole iniziare a sperimentarne i benefici, ma anche una lettura di grande stimolo e ispirazione per chi medita da lungo tempo.
Infaticabile insegnante di Buddhismo, madre di due figli, monaca e prolifica scrittrice, Ani Pema Chödrön (Deirdre Blomfield-Brown) è nata a New York nel 1936. Dopo la laurea a Berkeley ha esercitato per molti anni la professione di insegnante. Negli anni ’70 si è avvicinata al Buddhismo tibetano e in seguito è stata ordinata monaca da Chögyam Trungpa Rinpoche, il XVI Karmapa, di cui è stata allieva fino alla sua morte. Da allora, ha ispirato milioni di persone in tutto il mondo che sono state toccate dal suo esempio e dal suo invito a praticare la pace e la meditazione in questi tempi turbolenti. Vive nel monastero di Gampo Abbey, in Canada e conduce seminari e ritiri di meditazione tra gli Stati Uniti e il Canada.
È autrice di numerosi libri pubblicati in tutto il mondo, tra cui Liberi dalle vecchie abitudini (Terra Nuova Edizioni).
www.terranuova.it
ISBN 88 6681 577 8