Pasticceria con grani antichi

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GABRIELE CINI

PASTICCERIA CON GRANI ANTICHI Consigli e ricette di un rinomato mastro pasticcere per coniugare gusto e salute nell’arte dolciaria e in cucina



Gabriele Cini

Pasticceria con grani antichi Consigli e ricette di un rinomato mastro pasticcere per coniugare gusto e salute nell'arte dolciaria e in cucina

Terra Nuova Edizioni


Direzione editoriale: Mimmo Tringale e Nicholas Bawtree Curatore editoriale: Gabriele Bindi Autori: Gabriele Cini Foto delle ricette: Camilla Maria Santini (www.camillamariasantini.com) Editing: Gabriele Bindi Direzione grafica: Andrea Calvetti Impaginazione: Daniela Annetta ©2019, Editrice Aam Terra Nuova, via Ponte di Mezzo 1 50127 Firenze - tel 055 3215729 - fax 055 3215793 libri@terranuova.it - www.terranuovalibri.it I edizione: ottobre 2019 Ristampa VIII VII VI V IV III II I

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Collana: Alimentazione naturale ISBN: 978886681 5037 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero dati o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, inclusi fotocopie, registrazione o altro, senza il permesso dell’editore. Le informazioni contenute in questo libro hanno solo scopo informativo, pertanto l’editore non è responsabile dell’uso improprio e di eventuali danni morali o materiali che possano derivare dal loro utilizzo. Stampa: Lineagrafica, Città di Castello (Pg)


Ringraziamenti Ringrazio Gabriele Bindi, autore del libro Grani Antichi, e Alberto Angeli, produttore di farine macinate a pietra, per avermi coinvolto nella riscoperta dei grani antichi e reso partecipe di una ricerca ricca di ripercussioni positive: una maggiore attenzione alla salubrità degli alimenti, la possibilità di rilanciare l’economia del territorio, la creazione di una migliore consapevolezza sul valore del cibo e la prevenzione di diverse patologie dovute alle carenze nutrizionali delle farine oggi in uso. Ringrazio la casa editrice Terra Nuova, per l’interesse manifestato nei confronti dei miei esperimenti e del mio lavoro. Ringrazio mia moglie, perché mi ha sempre incoraggiato ad andare avanti nella sperimentazione, nonostante le difficoltà e le fatiche riscontrate durante i molti anni della mia attività di pasticcere, di studioso e di sperimentatore.


Prefazione  di Gabriele Bindi La debolezza è la nostra forza Se pensi al grano cosa ti immagini? Sicuramente ti viene in mente il pane e non penserai mai alle tonnellate di farina che si usano ogni giorno per servire le vetrine di bar e pasticcerie. Ebbene sì, il corpo delle più fini ricette rimangono le farine di grano, con quei “mattoncini” che vanno a formare l'ossatura dei nostri dessert. Quale anima e quale corpo vogliamo dare alle nostre delizie più o meno quotidiane? Per alcuni decenni l'industria alimentare ha cercato di convincerci che le farine migliori fossero quelle più forti, più bianche, più prestanti. Un tranello in cui siamo tutti caduti. Saremmo altrettanto ingenui se pensassimo che le farine integrali di grani antichi siano sempre e comunque migliori o adatte a tutte le preparazioni. Ma sicuramente l'industrializzazione del cibo negli ultimi anni non ha portato buoni risultati. Nei forni, in pasticceria, nella ristorazione lo scollamento tra chi il grano lo produce e chi lo consuma si è divaricato ulteriormente. Si sono imposte le farine di forza di provenienza canadese o comunque lontana dagli orizzonti della nostra agricoltura e dalla nostra cultura alimentare. Il modello industriale dei grandi trasformatori del cibo è dilagato anche nelle nostre cucine dei casa, modificando le nostre abitudini alimentari. La selezione genetica del frumento, oltre che alle rese produttive, ha guardato al contenuto proteico superiore e una forza del glutine adeguata alle esigenze dell'industria. Il glutine non va certo demonizzato, fatta esclusione ovviamente per tutti i soggetti celiaci, che in Italia corrispondono più a meno a un 1% di tutta la popolazione. Ma se oggi ci interroghiamo sulla digeribilità e sull'intolleranza rispetto a una molecola chiamata gliadina, è anche perché il grano è strutturalmente cambiato, e diversi studi mostrano come la forza e la qualità del glutine, e non tanto la quantità di proteine del grano, siano determinanti per definire il fattore infiammatorio delle farine. La riscoperta dei grani antichi operata da ricercatori e genetisti d'avanguardia è una frontiera ricca di risorse a cui attingere per immaginarsi delle colture più sostenibili perché meno bisognose di input chimici. E un nuovo modo di coltivare che guarda con responsabilità agli aspetti nutritivi e nutrizionali delle produzioni. Ho incontrato Gabriele Cini nel mondo della formazione, riconoscendo un maestro pasticcere sui generis, aperto e ricettivo di fronte alle novità, rigoroso e meto-

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dico in laboratorio. Già da anni impegnato nella riscoperta del gelato medievale e rinascimentale, e nella valorizzare della produzione di prodotti con l'uso della pasta madre, Gabriele ha raccolto subito la “sfida dei grani antichi” con grande serietà, senza mai cedere ai fanatismi e ai facili entusiasmi dell'ultimo arrivato. Il nostro cuoco-pasticcere ha sempre voluto vederci a fondo, senza concedere troppo all'approssimazione o ai compromessi. Pragmatico, rigoroso, attento a non discostarsi mai troppo rispetto al gusto e più in generale all'estetica formale della tradizione, ha cominciato a sfornare prelibatezze consultandosi con i colleghi più esperti, ma senza mai tralasciare l'importanza della prova. In forno e in pasticceria contano i fatti e i risultati: il pane deve essere ben lievitato, la sfoglia morbida, le creme vellutate. Gabriele Cini opera all'insegna della grande pasticcera artigianale italiana, che a sua volta si basa sulla rielaborazione delle tradizioni storiche regionali, in questo discostandosi, e di parecchio, da chi propone di stravolgere i gusti in nome di una ritrovata rusticità e semplificazione del cibo. Il suo è un lavoro di ricerca che si radica profondamente nel rispetto di queste tradizioni, che ha saputo raccogliere e interpretare le istanze di un nuovo modo di pensare al cibo rispetto agli equilibri cimatici, al consumo delle risorse, e all'esigenza di produrre cibi salutari.

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Una rivoluzione in cucina che attraverso l'attività di formazione e i corsi privati sta facendo breccia nel mondo della ristorazione professionale per andare a riscoprire l'essenza delle varie ricette nella loro purezza e semplicità, senza mistificazioni e riadattamenti troppo spregiudicati. I buoni pasticceri hanno anche nozioni di chimica, e come i tecnologi alimentari in realtà sanno bene che la debolezza del glutine in pasticceria diventa un vantaggio, con una riduzione dei tempi e la semplificazione di alcune procedure. Con l'uso accorto delle farine macinate a pietra, di grani antichi e non, il nostro mastro pasticcere dimostra di riuscire a padroneggiare al meglio le fasi, le procedure, i tempi di lievitazione, la capacità di assorbimento dei liquidi, la gradevolezza estetica e la conservazione. Pur parlando in varie occasione di benefici significativi per la salute non ci si aspetti in queste pagine una rielaborazione in chiave macrobiotica o vegana. L'autore si è impegnato a recuperare lo spirito e il gusto originario delle ricette, utilizzando i prodotti più genuini e tenendosi alla larga dalle scorciatoie e dai surrogati di scarsa qualità. Pasta sfoglia, brioches, babà, bigné, maritozzi, pandori, panettoni e così via! Tutto questo ben di Dio può diventare più leggero, gustoso e salutare. Nel libro troverete delle ricette ben collaudate per aiutare i pasticceri professionisti e tutti i dilettanti più volenterosi a compiere piccoli passi verso una produzione alimentare più sana e responsabile. Cominciando a eliminare l farine 00, a ridurre l'impiego zucchero bianco, fare a meno di latte condensato e latte in polvere, dei grassi idrogenati e dei miglioratori, fino all'uso corretto del lievito madre. La riduzione della forza del glutine e di quantitativi di zucchero impiegato, l'introduzione progressiva delle crusche con farine ben macinate a tutto corpo, sono modifiche sostanziali che non impongono alcun sacrificio e alcuna rinuncia ai piccoli (o grandi) peccati di gola. Eppure hanno una portata enorme. Cini è una persona molto concreta. Una volta mi disse “se usassimo le farine autoctone in tutti gli alberghi della Versilia per le colazioni nel periodo estivo non hai idea di che beneficio sarebbe per la salute pubblica e per l'agricoltura locale”. Grazie a questa idea sempre più persone, impegnate nella produzione di cibo di qualità, hanno cominciato a spostare lo sguardo sulla pasticceria, tant'è che come ci spiega il maestro Cini in questo ambito “generalmente si mangia il glutine allo stato puro”. Chi rimane dall'altra parte del tavolo o della vetrina delle pasticcerie non ha idee di quante sofisticazioni avvengono anche nella produzione cosiddetta artigianale, in realtà sempre più standardizzata e in tutto e per tutto simile alla produzione indu-

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PREFAZIONE

striale. Cini insegna con maestria a semplificare il lavoro in cucina e nei laboratori di produzione con la massima attenzione alla qualità. L'aggiunta di ricette sui gelati e i semifreddi, fanno parte del suo bagaglio di ricerca e addolciscono ulteriormente la lettura Gabriele Cini si rivolge principalmente ai pasticceri e fornai professionali senza per questo escludere il singolo utente appassionato di cucina e desideroso di cimentarsi con comprovate ricette della tradizione, riadattate all'uso di grani antichi e di ingredienti esclusivamente di origine naturale. In effetti le ricette delle nonna sono ormai un lontano ricordo, rabberciato e storpiato dalle pubblicità e dai programmi televisivi. Non tutti sanno valorizzare al meglio le farine tra le mura di casa, e non tutti sanno che sono proprio le farine cosiddette deboli le più adatte per la biscotteria, cialde, dolci friabili e prodotti da forno. Largo ai grani antichi allora, che hanno bisogno di essere conosciuti e valorizzati al di là di ogni banalizzazione, tra facili mistificazioni e stroncature ingiustificate. In effetti, a tre anni dalla pubblicazione del libro Grani Antichi, oggi considero la sfida del Cini una felice prosecuzione del lavoro eseguito attorno a questa piccola grande rivoluzione, che coinvolge tante nuove piccole filiere in Italia. Il taglio estremamente pratico di questo libro ha il valore di ricondurci all'interno del nostro patrimonio gastronomico senza trascurare le esigenze e le difficoltà della produzione artigianale. I pasticceri in fondo sono un po' maghi, un po' scienziati alchimisti. Se le vetrine di bar e pasticcerie si riempiranno di prodotti realizzati con farine grani di produzione locale, senza l'uso di pesticidi, macinate a pietra, con meno zucchero ma con più sapore, sapremo chi ringraziare. E la magia potrà dirsi compiuta.

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Introduzione Ho scritto questo libro per quanti sono alla ricerca di un metodo teorico e pratico che sia utile al fine di reintrodurre le farine macinate a pietra di grani antichi nell’alimentazione. Al suo interno presenta il risultato di molti esperimenti svolti in laboratorio al fine di individuare il miglior impiego di queste farine anche nelle ricette tradizionali, al posto delle farine più convenzionali e raffinate oppure delle farine cosiddette forti, di provenienza straniera. La parte che riguarda la chimica della lievitazione è stata rivista da biologi e ricercatori universitari, mentre la parte pratica è stata elaborata per intero da chi scrive. In poche pagine, cercherò di dimostrare che è possibile realizzare una produzione a filiera corta con farine locali ricavate da varietà di grano adattate ai territori in cui crescono. Il punto di partenza di questo lavoro è la conoscenza delle caratteristiche delle farine. I professionisti del settore alimentare resteranno, probabilmente, stupiti dalla semplicità con cui si può di trasformare, senza stravolgerla, una ricetta che si è consolidata negli anni, con la certezza di ottenere ugualmente un prodotto di altissimo livello ma che in più porta benefici alla salute. Per gli esperimenti che sono all’origine di questo volume sono state utilizzate le farine del Molino Angeli di Pietrasanta (Lu), ma nelle ricette qui trascritte si è fatto volutamente riferimento al grado di raffinazione e al valore di forza delle farine, così che sia chiaro che è possibile impiegare tutte le farine che posseggono i valori indicati. Chi legge potrà quindi impiegare farine omologhe prodotte in altri territori della penisola. Sono anni che mi dedico con passione ai miei esperimenti, prendendo appunti su appunti, fino a quando mi è stato chiesto di condividerli con altri professionisti e con la vasta comunità di persone impegnate nella riscoperta e promozione dei grani antichi. Ho quindi ripreso le mie note, le ho messe in ordine e il risultato è il libro che tenete tra le mani. Ho cominciato a lavorare come pasticcere a Firenze nel 1983; ho imparato il mestiere dai vecchi maestri pasticceri e gelatieri, che erano detentori di un sapere antico trasmesso da generazione in generazione. Ho cercato di restare fedele alla tradizione ma nello stesso tempo sono sempre stato attento all’innovazione, spinto dalla ricerca di un modo più salubre di trasformare il cibo e produrre alimenti di

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INTRODUZIONE

qualità, con particolare attenzione all’applicazione delle nuove scoperte della chimica in campo alimentare. Il numero crescente di persone che soffrono di intolleranze alimentari e di problemi comunque legati al cibo mi hanno spinto a mettere al servizio della ricerca i miei 36 anni di esperienza e di studio nel settore, in particolare dei prodotti lievitati. In questo modo credo di contribuire alla produzione di alimenti bilanciati, conformi alle linee guida più aggiornate sulla salute e in sintonia con quanto viene prescritto dalla ricerca scientifica più recente. I miei esperimenti si sono quindi concentrati sulle conseguenze e sui diversi aspetti dell’introduzione delle farine prodotte con grani autoctoni e macinate a pietra all’interno delle procedure in uso nella pasticceria contemporanea. Il mio scopo è quello di consentire a un operatore del settore alimentare, ma anche chiunque voglia cimentarsi con l'arte culinaria, di sostituire alcune delle farine attualmente di uso comune con prodotti più salubri e di produzione locale, senza l'aggiunta di miglioratori e derivate da grani coltivati senza concimi, erbicidi e pesticidi dannosi per la salute. Ho creduto indispensabile arricchire il libro con altre ricette che non contemplano l'uso di farine, come la produzione artigianale di semifreddi, con lo stesso intento di suggerire un modo più sano di produrre nel solco della nostra secolare tradizione.

Conoscenze preliminari Come scegliere la farina più adatta Nello schema che segue a pag. 12 ho separato le più comuni preparazioni di prodotti da forno e pasticceria in tre gruppi, a seconda della forza-lavoro delle farine, indicata con la lettera W, che indica il grado di panificabilità. La forza viene determinata con la lettera W, che sta per work = lavoro o forza, e rappresenta l’energia necessaria alla deformazione del campione, ed è proporzionale al lavoro di deformazione a cui il campione viene sottoposto. Questo valore, misurato attraverso uno strumento chiamato alveografo di Chopin, è correlato alla forza della farina e ci dà le informazioni riguardanti la resistenza e l'elasticità della maglia glutinica. Le farine con un valore superiore ai 280 W sono farine ad alto contenuto glutinico. Quelle più moderne arrivano a superare anche i 400 W, mentre le farine di grani antichi difficilmente arrivano sopra i 100 W.

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Preparazioni che necessitano di farine più deboli (tipo 1, W 80) Pane, pasta fresca e all’uovo, pan di Spagna, plumcake, crema pasticciera, biscotteria in genere, bignè (frolle e impasti non lievitati facendo uso di batteri lattici oppure di saccaromiceti), preparazioni del burro impiegato per le varie sfogliature, grissini. Preparazioni che necessitano di farine mediamente forti (tipo 1, W 200) Pane da buffet (per fare i croissant salati suggerisco il rinforzo che si ottiene mettendo, al 50%, farina tipo 1, W 280), pane comune, pizze in genere; anche questa farina può essere usata per preparare la crema pasticciera, i bignè e i grissini. Preparazioni che necessitano di farine più forti (tipo 1, W 280) Pasta sfoglia (solo il pastello con acqua), impasto per bomboloni, brioches, croissant e maritozzi, pandoro, colomba, veneziana e panettone. Ricordo a tutti gli operatori del settore che è ovviamente possibile cambiare le percentuali delle farine, utilizzando anche delle buone farine di altro tipo, qualora emerga la necessità di prodotti visivamente più simili a quelli che siamo abituati a trovare nelle vetrine. È infatti possibile preparare un’ottima pasta frolla anche usando un mix di farine composto in parte da maizena, in parte da farina di riso, di farro o altri cereali. È innegabile che l’aspetto dei prodotti preparati con le farine di tipo 1, tipo 2 e integrale è di colore più bruno rispetto a quello a cui il pubblico è abituato. La mia raccomandazione è di iniziare a usare delle farine con una minore forza del glutine, specialmente per quei prodotti non soggetti alla fermentazione effettuata tramite i batteri lattici (lievito madre). Se non subisce demolizioni di nessun tipo il glutine viene introdotto nel nostro apparato digerente ancora completamente da metabolizzare, con tutte le conseguenze a carico del nostro apparato digerente. Per chi ha la pregevole abitudine di usare il lievito madre nel proprio ciclo produttivo, è opportuno ricordare che le farine macinate a pietra assorbono più acqua, caratteristica da ricordare durante l’operazione di rinfresco secondo le consuete proporzioni (ugual peso di farina e metà peso di acqua rispetto alla massa del lievito da rinfrescare). Chi conserva il lievito madre in acqua avrà dei notevoli vantaggi per quanto riguarda il pH, mentre chi usa il metodo tradizionale (lievito tenuto legato negli stracci infarinati) dovrà tenere conto di un maggiore assorbimento di acqua di circa il 15%.

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INTRODUZIONE

Durante il periodo estivo e in ambienti caldi, bisogna monitorare con attenzione l’idratazione degli impasti, la velocità e l’attrito prodotti dalle diverse impastatrici, per evitare l’eccessivo surriscaldamento dei medesimi e il conseguente deterioramento della maglia glutinica. La temperatura di esercizio ottimale per la lavorazione del lievito naturale deve essere non inferiore a 24° C e non superiore a 31° C, così da scongiurare sia il deterioramento della maglia glutinica dell’impasto e sia la formazione di sostanze sgradevoli, come un eccesso di acido acetico e acido butirrico. Un'altra considerazione da fare è che quando infariniamo il tavolo di lavoro stiamo aggiungendo alla ricetta della farina in più, che non è ovviamente stata impastata (e quindi idratata) e nemmeno trasformata dai batteri lattici. Si tratta dunque di una farina che assorbe i liquidi dell’impasto, provocandone la disidratazione e il conseguente indurimento. Per questo motivo suggerisco l’utilizzo delle farine di grani antichi per infarinare i banchi di lavoro e le sfogliatrici e per stendere gli impasti col matterello. Essendo povere di agenti essiccanti queste farine permettono un buon utilizzo senza provocare l’essiccamento del prodotto finale. Ogni professionista e appassionato potrà cominciare a rendere i propri prodotti più sani procedendo prudentemente e per gradi verso un cambiamento del ciclo produttivo. All'inizio si potrà continuare a utilizzare le farine convenzionali utilizzate abitualmente ma in proporzione diversa, introducendo percentuali sempre più importanti di farine di grani antichi, biologiche, macinate a pietra e comunque di provenienza locale. In questo modo ci incammineremo verso una produzione realmente sostenibile per l'ambiente e per il mantenimento di un buon stato di salute.

Le buone farine? Una scelta di campo  di Gabriele Bindi Tutti i pizzaioli, tutti i pasticceri, tutti i cuochi e i fornai giurano di utilizzare solo farine di qualità. Ma cosa si intende per qualità? Ciò che è buono per il produttore può infatti essere meno buono per chi quel prodotto alla fine se lo deve mangiare. L'impasto della pizza che volteggia alta e flessuosa nelle prove di freestyle, la pasta che non scuoce mai, le alveolature giganti e spugnose che i fornai espongono in vetrina, non corrispondono esattamente a ciò che oggi dalla ricerca scientifica viene indicato come buono per la nostra salute.

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Nel corso degli ultimi decenni l’industria molitoria ha selezionato grani con un glutine sempre più tenace per soddisfare le esigenza dell’industria del cibo: lavorabilità meccanica e buona tenacità dell’impasto. Ai panettieri le farine forti garantiscono impasti voluminosi e ben lavorabili con le comuni impastatrici. Ma da qualche anno molti ricercatori ci mettono in guardia sulle conseguenze della diffusione delle super farine: i grani di forza, e più in generale i grani moderni, sono ritenuti responsabili di scatenare le componenti infiammatorie del glutine, in particolare per la proteina conosciuta come gliadina. Grazie alla ricerca operata da agronomi coraggiosi, è ripresa la coltivazione dei grani cosiddetti antichi, che non hanno subito il processo di “miglioramento genetico” che ha modificato l’assetto proteico del grano, aumentando la forza e l’elasticità del glutine. Al contrario dei grani di nuova concezione, che richiedono alti input energetici e forti concimazioni azotate, quelli “antichi” sono stati selezionati nei secoli per il loro sapore e per l’adattamento ai vari territori regionali. Questi ultimi hanno inoltre una maggiore disponibilità di metaboliti secondari, come antiossidanti, sali minerali e vitamine importanti per la nostra salute. Purtroppo la definizione di grani antichi rimane spesso un po' generica e mancano criteri di identificazione precisi. Ciò che possiamo fare è affidarci all’onestà del produttore e alla tracciabilità della filiera, che inizia dalla giusta remunerazione dell'agricoltore e riconosce il ruolo fondamentale del mugnaio. La macinazione d'altra parte è un aspetto importante e non secondario, che condiziona fortemente la qualità delle farine, a cominciare dalla pulizia del grano dalle impurità e dalla macinazione a tutto corpo garantita dall'uso delle macine a pietra. Fondamentale è privilegiare comunque farine biologiche macinate a pietra di provenienza italiana, che hanno subito una minore esposizione a erbicidi e anticrittogamici. In Italia infatti, soprattutto al Sud, le condizioni di crescita per il frumento sono molto favorevoli e il glifosato non è consentito nel periodo precedente alla raccolta, prassi abituale nei climi più freddi e umidi. Purtroppo è invece in aumento la tendenza a utilizzare farine straniere, e come dimostrano diversi test condotti in Italia su pane, pasta e prodotti da forno, sono talvolta presenti tracce di glifosato nei prodotti di fabbricazione industriale. Il glifosato, identificato come “probabile cancerogeno” dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, potrebbe compromettere la salute del nostro microbiota intestinale e minare le nostre difese immunitarie. I prodotti realizzati con farine di qualità, macinate a pietra e possibilmente con una forza del glutine contenuta, come quelle dei grani antichi, consentono di con-

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INTRODUZIONE

ciliare gli aspetti salutistici con il gusto e una migliore conservabilità, grazie anche alla lievitazione e fermentazione con pasta madre. Ovviamente si possono mescolare anche farine di altre cereali, come farro, segale, orzo, riso o delle farine più forti, sempre di provenienza nazionale. Una lunga fermentazione lattica degli impasti del lievito madre può ridurre la concentrazione di glutine, ma per le farine più deboli sarà sufficiente un tempo inferiore. Anche se un criterio assoluto dei tempi di lievitazione non può essere definito una volta per tutte, anche perché dipende da diversi fattori, come l’umidità e le temperature.

Il grado di raffinazione delle farine Per legge, il grado di raffinazione delle farine è stabilito in grado alle percentuali di ceneri, ovvero le concentrazioni di minerali presenti nel prodotto finale. Nella macinazione mediante cilindri d’acciaio il grano viene spogliato della crusca e degli strati esterni e la farina viene poi ricostruita in base alle esigenze di mercato recuperando i materiali scartati. Nella macinazione a pietra avviene invece una macinazione “a tutto corpo” e non è possibile ottenere gradi di raffinazione assoluta come la farina 00, che è la più povera di micronutrienti. È fondamentale che le farine integrali siano di provenienza biologica, perché nella parte esterna si accumulano maggiori quantità di residui chimici. La fermentazione degli impasti permette anche una buona metabolizzazione degli antinutrienti contenuti nella parte cruscale. Percentuale di ceneri contenute nelle farine di grano tenero Farina di grano tenero tipo 0 0,65% Farina di grano tenero tipo 1 0,80% Farina di grano tenero tipo 2 0,95% Farina integrale di grano tenero 1,70%

Il lievito madre: un approfondimento necessario In preparazioni che prevedono la lievitazione tramite fermentazione batterica, è sempre opportuno utilizzare il lievito madre. Esso infatti produce l’acidità della prima fase di fermentazione, condizione determinante al fine di rendere il glutine più solubile. La fermentazione incrementa l’attività delle proteasi, gli enzimi che permettono l'idrolisi delle proteine, e quella delle amilasi, che scindono i disaccaridi in monosaccaridi, rendendoli meglio assimilabili.

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Bisogna aggiungere che questo lievito è anche l'unico capace di ridurre il rischio che insorgano delle intolleranze al glutine e a prevenire fenomeni di celiachia. Può infatti trasformare e neutralizzare il potere allergizzante di alcune molecole proteiche, le gliadine, in modo da renderle idonee al contatto con il nostro apparato digerente e con le mucose intestinali. Il lievito madre può essere mantenuto e rinfrescato, usando una farina tipo 1 macinata a pietra, seguendo le consuete procedure utilizzate abitualmente con le altre farine. A questo proposito, utilizzando una farina con una forza di 280 W, ho riscontrato delle particolari differenze di idratazione, notando un assorbimento maggiore di parti liquide di circa il 5%, rispetto alle farine comunemente usate e a parità di consistenza dell'impasto. Molti operatori del settore sono erroneamente convinti che le farine ricche di glutine debbano essere lavorate usando piccole quantità di lievito di birra e giocando sui tempi lunghi di lievitazione. In realtà bisogna comprendere che i saccaromiceti presenti nel lievito di birra sono appunto dei miceti, e quindi qualcosa di molto diverso dai batteri lattici presenti nel lievito naturale (pasta madre acida). I miceti sono capaci solo in parte di ridurre i disaccaridi presenti nelle farine trasformandoli in monosaccaridi, come il maltosio, per renderli digeribili e assimilabili dal nostro organismo. Questa trasformazione è invece molto più completa con l'utilizzo di lievito madre. L’impasto lavorato con lievito madre subisce infatti una vera trasformazione a opera della fermentazione lattica che migliora la digeribilità e la biodisponibilità di tutti i nutrienti. Il lievito di birra al contrario contiene saccaromiceti che attivano unicamente una fermentazione alcolica, con la conseguente produzione di Co2 per una vigorosa e rapida lievitazione dell’impasto, lasciando pressoché intatto il glutine, l’acido fitico contenuto nelle crusche e gli altri antinutrienti. Oggi nella lievitazione si usano dei coadiuvanti e miglioratori che ritengo un’ulteriore scorciatoia poco onesta e delle cui conseguenze sappiamo in realtà molto poco. Lo spiega bene Alessio Fasano, gastroenterologo pediatrico e ricercatore di fama mondiale sugli effetti del glutine nella nostra alimentazione. “Se in passato la lievitazione era un processo lungo, oggi si preferisce accelerare i tempi con gli enzimi” sostiene il ricercatore statunitense di origine italiana. “Con la lunga fermentazione gli enzimi contenuti naturalmente nella farina digerivano i frammenti potenzialmente tossici del glutine, mentre oggi gli enzimi del lievito ‘digeriscono’ solo una piccola parte del carico tossico del glutine. E di conse-

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INTRODUZIONE

guenza questo tipo di panificazione può influire sullo sviluppo della patologia celiaca o di altre sensibilità al glutine”. Come dimostrano gli studi eseguiti dal professor Marco Gobbetti, condotti presso i laboratori di microbiologia degli alimenti dell’Università di Bari, una lunga lievitazione degli impasti di farina di frumento con lattobacilli ricchi di particolari enzimi proteolitici può ridurre la concentrazione di glutine al di sotto della soglia dei 10 ppm. In uno degli studi, che ha visto la collaborazione dei dipartimenti di pediatria dell’Università Sapienza di Roma e dell’Università Federico II di Napoli, nonché dell’Istituto superiore di sanità, sono stati coinvolti tredici soggetti celiaci che hanno assunto per 60 giorni 200 grammi al giorno di prodotti a base di frumento, panificati secondo le modalità di lievitazione con lattobacilli che abbattono il contenuto di glutine. I risultati dimostrano che la fermentazione potrebbe aiutare i celiaci a riavvicinarsi al grano. È però necessario portare l’attenzione anche sul ruolo dei lieviti e dei loro effetti negli impasti: per quanto riguarda il lievito naturale il numero e il tipo di microrganismi dipende dalla capacità che essi hanno di coabitare e di determinare in sinergia l’equilibrato sviluppo dell’impasto. La relazione che lega lieviti e batteri lattici è da ricondurre principalmente alla produzione di questi ultimi, di antibiotici e acidi organici, nonché all’utilizzazione non competitiva della fonte di carbonio. La modificazione dell’ambiente, in primo luogo, determina la selezione delle specie che meglio vi si adattano; la mancanza di competizione per le sostanze nutritive permette, poi, la normale crescita dei differenti microrganismi. Molti dei lieviti che normalmente vivono nell’impasto acido infatti mostrano un’elevata resistenza, sia agli acidi organici che agli antibiotici. La presenza degli acidi lattici e acetici gioca un importante ruolo durante le fasi dell’evoluzione dell’impasto. L’acidità della pasta, infatti, condiziona lo sviluppo microbico e l’attività dei sistemi enzimatici della farina. Il rapporto fra acido lattico e acido acetico non si dovrebbe mai discostare dal valore ottimale di 3:1, alla luce degli effetti che i due acidi hanno sul glutine: l’acido lattico lo rende più elastico, mentre l’acido acetico ne accorcia e irrigidisce le maglie. La presenza eccessiva di acido acetico, che si forma a temperature di conservazione più basse, è percepibile dall'odore pungente di aceto. Questo squilibrio appare evidente quando, durante la produzione di impasti con madre acida, l’eccessiva presenza di acido acetico determina un indebolimento (sgranatura) dell’impasto, che risulta molto meno elastico rispetto a quella che sarebbe la condizione ottimale.

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Per venire incontro alle necessità di quanti lavorano nel settore alimentare, ho messo a punto un sistema di lavorazione per così dire “misto”, che coniuga la praticità di lavorazione del lievito di birra con la salubrità che deriva dall'utilizzo del lievito naturale. Con l’Accademia Italiana della Cucina abbiamo organizzato nell’aprile del 2018 un convegno su questi temi. Vale la pena riportare uno stralcio dell’intervento di uno dei relatori, il professor Massimo Vincenzini, ordinario di Microbiologia alimentare all'Università di Firenze e presidente dell'Accademia dei Georgofili, per meglio comprendere la diversità delle caratteristiche dei miceti e dei batteri lattici coinvolti nei processi fermentativi: “per ottenere un aumento di volume dell’impasto analogo a quello con lievito di birra, occorrerà una fase di lievitazione decisamente più lunga durante la quale non solo si assisterà ad una proliferazione dei microrganismi presenti ma anche, e soprattutto, ad una prolungata attività metabolica da parte dei batteri lattici su diversi componenti della farina. Al termine di questa complessa fase di lievitazione, l’impasto sarà visibilmente aumentato di volume per azione principalmente dei lieviti, che avranno prodotto anidride carbonica, e avrà un gusto acido per azione dei batteri lattici, che avranno prodotto principalmente acido lattico. Ma le conseguenze saranno, come anticipato nella tabella che segue, molto più profonde e richiedono una più dettagliata descrizione del lievito madre e della sua azione”.

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INTRODUZIONE

Pane da lievito di birra e da lievito madre a confronto Caratteristiche

Pane da “lievito di birra”

Pane da “lievito madre”

Lievitazione

Rapida (1 ora circa)

Lenta (da 8 a 12 ore)

pH finale

5,3-5,8

3,8-4,6 (acidi lattico e acetico)

Profilo sensoriale

Semplicità di aroma e gusto

Complessità di aroma e gusto

Raffermamento

Rapido (ore)

Lento (giorni)

Conservazione

Sensibilità a sviluppo muffe

Protezione contro muffe

Biodisponibilità minerali

Bassa, minerali legati a fitati

Alta, grazie ad attività fitasica

Contenuto vitaminico

Simile a impasto iniziale

Maggiore dell’impasto iniziale

Indice glicemico

Simile a impasto iniziale

Minore dell’impasto iniziale

Concentrazione amminoacidi

Simile a impasto iniziale

Maggiore dell’impasto iniziale

Peptidi bioattivi

Non presenti

Presenti

Glutine

Simile a impasto iniziale

Minore dell’impasto iniziale

Digeribilità

Simile a impasto iniziale

Maggiore dell’impasto iniziale

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RICETTARIO ELABORATO PER L’UTILIZZO DELLE FARINE MACINATE A PIETRA

Ricettario elaborato per l’utilizzo delle farine macinate a pietra 31


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Pasta sfoglia Ricetta classica

1000 g di burro freddo 300 g di farina di grani antichi W 80 tipo 1 700 g di farina W 280 tipo 1 430 g di acqua circa 15 g di sale

■ Impastare il burro e la farina di grani antichi, fino ad ottenere un panetto consistente e omogeneo.

Impastare la rimanente farina con 400 g di acqua, in prima velocità, per circa 7 minuti.

Fare 3 giri con 4 pieghe e uno in 3 pieghe, facendo riposare la pasta, tra il 2° e il 3° giro, in frigo. ■

Versione al cioccolato 100 g di farina + 200 g di cacao amaro in polvere

OSSERVAZIONI

Con questi ingredienti ho osservato uno sviluppo e una resa ottimali. La pasta si lavora molto bene e ha un'elasticità molto più gestibile. Infatti, i fondi stesi a 2 mm di spessore per fare il millefoglie restano molto tesi e non tendono a ritirarsi incrementando il loro spessore, come succede con le farine più estensibili, tipo la manitoba, o con quelle molto ricche di glutine. In questo modo si evita di ottenere un fondo troppo spesso e quindi inadatto alla produzione di millefoglie di alta qualità. ■

Questa pasta sfoglia ha il rimarcabile pregio di rimanere molto morbida e friabile anche dopo diversi giorni: al momento del taglio non necessita della pressione eccessiva del coltello, a differenza di quanto può succedere utilizzando le farine di forza. ■

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RICETTARIO ELABORATO PER L’UTILIZZO DELLE FARINE MACINATE A PIETRA

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Pasta sfoglia

Metodo moderno 700 g di farina tipo 1 W 280 300 g di farina di grani antichi tipo 1 W 80 600 g di acqua circa 15 g di sale 1000 g di burro freddo

OSSERVAZIONI

NOTA BENE

Impastare le farine, l'acqua e il sale per circa 7 minuti, in prima velocità; può essere necessaria l'aggiunta di 20-40 g di acqua, qualora l'impasto risultasse eccessivamente duro, specialmente negli ambienti di lavoro caldi. ■

Dare 4 giri in 4 pieghe, facendo riposare la pasta, tra il 2° e il 3° giro, in frigo; concludere come di consueto. ■

Il burro tende a legarsi meno bene quando si è già fatto il primo pastello di acqua e farina. Per questo motivo è meglio dare i 4 giri in 4 pieghe, così il burro si lega meglio alla pasta, evitando di dare il 3° giro in 3 sole pieghe. ■

In pasticceria si utilizzano anche delle margarine definite “melange”, che sono adattate alle lavorazioni dei prodotti sfogliati, a seconda del bisogno di plasticità, e che possono essere usate in ambienti di lavoro molto caldi. Esistono delle margarine appiattite, già pronte da inserire negli impasti al momento della sfogliatura e della loro lavorazione con la spianatrice (sfogliatrice). Possono essere composte con: 85% di margarina e 15% di burro; 75% di margarina e 25% di burro; 51% di burro e 49% di margarina.

Questi compromessi possono servire qualora si abbia necessità di un prodotto particolarmente lavorabile, oppure che costi un po’ di meno rispetto al burro, ma che possa garantire una resa, anche di gusto, di un buon livello qualitativo.

Esistono anche margarine senza olio di palma e grassi idrogenati.

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Torta di mele, pere e cioccolato e Plumcake Impasto base

500 g di burro 400 g di zucchero semolato 2 g di vanillina, oppure sciroppo di vaniglia 9 uova 525 g di farina TIPO 1 W 80 di grani antichi 10 g di lievito in polvere Versione al cioccolato 450 g di farina 75 g di cacao

OSSERVAZIONI

Montare in planetaria il burro, lo zucchero e la vanillina fino a quando il composto risulta molto leggero e spumoso; aggiungere via via le uova e finire di montare il composto. Nel frattempo setacciare la farina con il lievito in polvere. ■

■ Quando la montata è pronta mescolare con un mestolo, oppure con l'utensile a forma di foglia, sempre in planetaria, fino a rendere l'impasto liscio e omogeneo. Legare gli ingredienti quel tanto che basta, senza insistere troppo.

Ogni 350 g di impasto aggiungere 150 g di pere a cubetti, oppure 350 g di gocce di cioccolato, mele spezzettate o altra frutta a scelta, sempre rispettando le proporzioni. ■

Cuocere a 180° C per circa 45 minuti le torte da 500 g; per 1618 minuti le monoporzioni da 60 g. circa. ■

Lo sviluppo in forno durante la cottura è stato notevole e anche la conservazione è risultata particolarmente buona. Ciò è stato possibile grazie alle caratteristiche della farina utilizzata, che hanno dimostrato una incomparabile capacità di mantenere la morbidezza ottimale, anche per diversi giorni, a parità di ricetta e di procedimento.

Grazie alla dolcezza conferita al prodotto da questa farina, ho potuto diminuire la quantità di saccarosio di circa il 20%.

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Pan di Spagna e Rollè 8 uova 250 g di zucchero semolato un pizzico di vanillina, o qualche goccia di sciroppo di vaniglia 300 g di farina tipo 1 W 80 di grani antichi

OSSERVAZIONI

Montare in una planetaria con la frusta le uova, lo zucchero e la vanillina. ■

Setacciare la farina e quando la montata è pronta unirla gradualmente mescolando a mano il composto, delicatamente, dal basso verso l'alto. ■

Una stampa di 18 cm di diametro, contenente 250–280 g di impasto, cuoce a 180° C in circa 20 minuti nel forno statico. ■

Per realizzare il Rollè, invece, va steso l'impasto di circa 5 mm di spessore su una teglia foderata con carta da forno abbondantemente unta di burro. La cottura in questo caso è a 215° C, per circa 6 minuti. ■

L'utilizzo della farina di grani antichi ha comportato un beneficio evidente per la diminuzione dello zucchero nella ricetta (-15%). Setacciata come di consueto, ha permesso un'ottima lavorabilità, con un notevole mantenimento del volume della montata, dovuto al basso indice di forza W 80.

Anche la morbidezza è risultata ottima, in virtù della carenza di agenti essiccanti, invece molto presenti nelle farine convenzionali.

Si potrebbe tranquillamente usare il 100% di farina di grani antichi W 80, ma per avvicinarsi alle caratteristiche più diffuse oggi nelle pasticcerie suggerisco di utilizzare 50% di farina di grani antichi e 50% di amido di mais.

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Torta Paradiso 100 g di burro morbido, 150 g zucchero 4 uova a temperatura ambiente buccia grattugiata di un limone bio vaniglia q.b. 80 g di fecola di patate oppure di amido di mais 200 g farina di grani antichi tipo 1 o 2

Montare con il montapanna burro, zucchero e aromi, aggiungendo poi, una per volta, le uova.

■ Setacciare le farine e il lievito in polvere e unire il tutto, senza impastare troppo.

Disporre l’impasto nello stampo imburrato ma non infarinato, oppure in stampini monoporzione imburrati. ■

Cottura: a 175° C per 40 minuti, in forno preferibilmente statico, preriscaldato. ■

Per realizzare una versione della torta al cacao: unire della crema ganache di cioccolato fondente a una parte dell’impasto. ■

Se si vuole realizzare una torta paradiso tutta al cioccolato: sostituire 50 g di farina, con 50 g di cacao amaro in polvere.

10 g di lievito per dolci zucchero a velo (meglio se di canna) vanigliato, per decorare

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PASTICCERIA CON GRANI ANTICHI

Bignè 180 g di burro 220 g di acqua 3 g di sale 200 g di farina di grani antichi W 80 o grano San Pastore 7 uova circa

Bollire il burro, l'acqua e il sale fino al completo scioglimento; unire la farina e mescolare velocemente col mestolo, a fuoco bassissimo, per circa un minuto. ■

Passare immediatamente in planetaria con gancio a forma di foglia a media velocità. ■

Incorporare gradualmente le uova, una ad una, fino alla completa elasticizzazione dell'impasto. ■

Stendere i mucchietti di pasta usando la tasca da pasticcere (sac à poche). ■

Cuocere a 205° C; il tempo di cottura varia secondo le dimensioni dei bignè. ■

OSSERVAZIONI

A parte la colorazione leggermente più scura, l'elemento più importante da registrare è stato il maggiore assorbimento di uova (circa il 15% in più) durante la fase finale della realizzazione dell’impasto, necessaria per portare alla giusta consistenza il composto.

Per quanto riguarda le uova, il 20% del totale può essere costituito da solo albume, che andrà a sostituire circa 1 uovo e mezzo intero.

Notevole lo sviluppo in forno e la capacità dei bignè di mantenere la fragranza, anche dopo che sono stati riempiti con la crema pasticciera.

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Crema pasticciera 1 l di latte 270 g di zucchero 7 tuorli d'uovo 100 g di farina tipo 1 vaniglia scorza di limone bio (facoltativa)

OSSERVAZIONI

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Bollire il latte con 100 g di zucchero, la vaniglia ed eventualmente la buccia di limone. Nel frattempo sbattere i tuorli con i rimanenti 170 g di zucchero e un pizzico di vanillina.

Aggiungere la farina non setacciata e mescolare energicamente, sempre con la frusta a mano. ■

Quando il latte comincia a bollire unire velocemente il tutto e mescolare il composto energicamente a fuoco basso, fino a quando anche la crema inizia a bollire. ■

Abbattere e conservare, come di consueto.

A parte una colorazione un po' più scura, per quanto riguarda la tenuta e la sodezza il risultato finale è praticamente lo stesso della ricetta convenzionale. ■



PASTICCERIA CON GRANI ANTICHI

Cantuccini alle mandorle 1000 g di farina di grani antichi W 80 850 g di zucchero 1000 g di mandorle con la buccia 5 g di vanillina o vaniglia 20 g di polvere lievitante 200 g di burro una scorza di arancia bio grattugiata 8 tuorli e 6 uova intere

Per cantuccini al cioccolato e nocciole 180 g di cacao amaro

Pesare tutti gli ingredienti, tranne le uova e i tuorli, dentro l'impastatrice e far girare molto lentamente per qualche secondo.

■ Aggiungere le uova e far legare l'impasto, che deve essere piuttosto denso ma non troppo (eventualmente, aggiungere un tuorlo o un uovo intero).

Formare dei cilindri del diametro di 1,5 cm circa, lunghi quanto la teglia che si intende usare, già foderata con carta da forno. Spennellarli con uovo intero sbattuto e infornare a 190° C per 20 minuti circa, con forno a camera aperta, per far essiccare bene i biscotti che vanno sfornati quando sono ben cotti. ■

Tagliare di traverso i filoncini ancora caldissimi, via via che si sfornano, usando un coltello da macelleria e un tagliere. ■

Lasciarli seccare direttamente sul tavolo, o su una teglia, senza rimetterli nel forno, contrariamente a quanto riportato su molti ricettari e su internet. ■

Per cantuccini al cioccolato e nocciole seguire lo stesso procedimento con le seguenti accortezze: ■

200 g di cioccolato fondente in gocce

sostituire 180 g di farina, con altrettanto cacao amaro;

inserire 200 g di cioccolato fondente in gocce;

1000 g di nocciole non tostate

usare 800 g di zucchero invece di 850 g;

inserire le nocciole non tostate al posto delle mandorle;

OSSERVAZIONI

l’impasto potrebbe necessitare di un po’ di uovo in più, qualora risulti troppo asciutto.

L'impasto ha richiesto il 10% di uovo in più per raggiungere la consistenza ottimale, mentre ha permesso di utilizzare il 15% di zucchero in meno a fronte della medesima dolcezza. ■

Ottima la conservazione del prodotto finale, anche a distanza di giorni, nelle medesime condizioni dei cantuccini prodotti usando le farine convenzionali raffinate.

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Pasta frolla Ricetta 1

1250 g di zucchero a velo 2500 g di burro 15 tuorli 15 g di sale oppure di polvere lievitante 3500 g di farina tipo 1 grani antichi W 80

■  Impastare

zucchero e burro fino alla completa omogeneizzazione. Aggiungere i tuorli e amalgamarli molto bene.

■  Aggiungere

la farina e impastare quel tanto che basta per legare assieme il tutto.

■ Per realizzare la frolla al cioccolato sostituire 700 g di farina con 700 g di cacao amaro in polvere e poi procedere come indicato sopra.

aromi naturali Per la frolla al cioccolato 700 g di cacao amaro in polvere

OSSERVAZIONI

A parte la colorazione più scura ho registrato un'ottima lavorabilità.

Anche in questo caso ho ritenuto opportuno diminuire del 15% lo zucchero, al fine di ottenere un prodotto bilanciato.

Anche utilizzando il 20% di cacao in polvere rispetto alla farina, ho registrato un'ottima tenuta e lavorabilità dell'impasto.

Molto buona la conservazione e la fragranza dei biscotti nei giorni a seguire.

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Pasta frolla Ricetta 2

4 kg di burro 2 kg di zucchero a velo 20 g di sale oppure 40 g di polvere lievitante vaniglia

Impastare zucchero e burro fino alla completa omogeneizzazione. Aggiungere i tuorli (oppure le uova) e amalgamarli molto bene.

Aggiungere la farina e impastare quel tanto che basta per legare assieme il tutto. ■

scorza di arancia bio grattugiata 6 kg di farina tipo 1 di grani antichi W 80 34 tuorli oppure 15 uova intere

OSSERVAZIONI

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Sostituire i tuorli con le uova intere consente una migliore lavorabilità ma bisogna mettere in conto una minore friabilità. Questo cambiamento è indicato quando si ha bisogno di tirare la pasta in grandi quantità, usando la sfogliatrice da pasticceria.


RICETTARIO ELABORATO PER L’UTILIZZO DELLE FARINE MACINATE A PIETRA

Frolla montata

per biscotti, crostate e torte 600 g di burro

300 g di zucchero

un pizzico di sale 8 tuorli (170 g) aromi naturali 750 g di farina di grani antichi tipo 1 W 80 Per una frolla montata al cioccolato 600 g di farina 9 tuorli d’uovo 150 g di cacao amaro

OSSERVAZIONI

Montare il burro con lo zucchero, il sale e gli aromi.

Aggiungere i tuorli e far montare bene il composto in modo omogeneo. Incorporare la farina manualmente tutta insieme, oppure usare il gancio a forma di foglia quel poco che basta per omogeneizzare il composto.

■ Con la tasca da pasticcere spremere le porzioni di impasto sopra una teglia foderata con carta da forno e lasciare i biscotti a essiccare nell'ambiente, meglio se ventilato, prima di infornare.

Cuocere a 180° C; variare il tempo di cottura a seconda della dimensione dei biscotti. ■

Per realizzare la frolla montata al cioccolato si segue lo stesso procedimento sostituendo gli ingredienti con quelli specificati qui a fianco. La farina può anche corrispondere ad una miscela composta da 2/3 di grani antichi e 1/3 di amido di mais, farina di riso, di farro o altri cereali a piacere. ■

■ L'impasto

appare di ottima consistenza. Come per tutte le frolle montate, bisogna far asciugare i biscotti all'aria (non in frigo) per circa un'ora, così da evitare il rigonfiamento durante la cottura, che va effettuata a camere aperte per espellere subito l'umidità interna che farebbe gonfiare, crepare e abbassare i biscotti. Per realizzare biscotti nelle migliori condizioni è meglio evitare le giornate molto piovose e umide. Ambienti umidi si prestano alla produzione dei lievitati: ostacolano la formazione di croste sui prodotti a beneficio di un più libero sviluppo della lievitazione.

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Tecniche di cottura e salute

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Salute e tecniche di cottura L’ultima fase della preparazione di molti prodotti, la cottura, rappresenta un passaggio fondamentale per il gusto, l'aroma, la friabilità o la croccantezza. Oggi però sappiamo quanto sia importante per la nostra salute non sottoporre gli alimenti a temperature eccessive. Per quanto riguarda le fritture si raccomanda di non superare i 180° C dell’olio che si usa per friggere, al fine di evitare la formazione di acroleine, che sono cancerogene; ma per i prodotti da forno? A questo riguardo, l’Efsa ha ritenuto opportuno divulgare alcune indicazioni che sono state regolamentate dall’Unione Europea. Anche in Italia dall’11 aprile 2018 è entrato in vigore un disciplinare per tutti quelli che producono alimenti amidacei in cui si raccomanda di “evitare di sottoporre i prodotti finiti a temperature eccessive, per evitare la formazione di acrilammide”.

Non bruciamoci la salute di Gabriele Bindi (pubblicato sul mensile Terra Nuova, aprile 2018) Nella cottura dei cibi ad un certo punto subentra una fase che potremmo definire magica. Un processo chimico che trasforma la materia, noto come “reazione di Maillard”, dal nome del chimico francese Louis Camille Maillard, che nei primi decenni del 'Novecento studiò un fenomeno di per sé piuttosto banale anche se in realtà è molto complessa: la reazione che rende i cibi abbrustoliti e anche più gustosi. Una reazione ben conosciuta e ammaestrata dai cuochi di mezzo mondo che ne sfruttano gli effetti sul piano sensoriale. Se cuocendo un cibo questo si “imbrunisce” è grazie a questa reazione: ad alte temperature, tra i 140°C e i 180 °C, gli zuccheri e le proteine si legano tra loro, grazie all’energia fornita dal calore, formando delle sostanze nuove. Questo fenomeno chimico, solo apparentemente banale, è responsabile degli aromi presenti nel caffè tostato, nella crosta del pane, nel cioccolato, nella birra o nelle patate fritte. Ebbene è proprio in questa fase che si può formare l'acrilammide, a partire dalla combinazione tra alcuni zuccheri e alcuni aminoacidi, in particolare uno chiamato “asparagina”, presente naturalmente in molti vegetali. L’acrilammide trova modo di svilupparsi in alimenti come patatine, patate fritte a bastoncino, pane, biscotti e caffè. Alimenti che consumiamo tutti i santi giorni. L'acrilammide è una sostanza che si forma naturalmente negli alimenti amidacei durante la cottura ad alte temperature come frittura, cottura al forno e alla griglia,

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già quando si supera una temperatura di 120° C con bassa umidità. Compare nelle patate fritte, nei crackers, nel pane di casa, nella pizza. Laddove cominciamo a percepire il buon aroma della cottura...ecco che accade qualcosa di spiacevole, si forma una sostanza potenzialmente cancerogena che lo IARC già nel 1994 aveva classificato come probabile cancerogeno per l’uomo (classe 2A). A lanciare il primo vero l’allarme nel 2002 furono i risultati di uno studio svedese che ne mostrò gli effetti cancerogeni. Altre ricerche mondiali spinsero poi l’Agenzia Alimentare Europea e la Food and Drug Administration, l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione degli alimenti e dei farmaci, a prendere misure per ridurne l’uso. Studi successivi hanno confermato queste ipotesi, al punto che per l’autorità europea per la sicurezza del cibo, l'Efsa, lo ha definito un motivo di preoccupazione per la salute pubblica. La posizione l’Efsa è piuttosto rigida: attualmente non si può stabilire una dose “sicura” per quanto riguarda l’assunzione ma solo indicare un quantitativo con effetto “trascurabile” pari a 0,17 mg per chilo di peso corporeo al giorno. Considerando che questo valore è stato ottenuto da studi su ratti, l'Efsa stima che la quantità veramente sicura per la popolazione umana debba essere 10.000 volte inferiore. Per un uomo di 60 kg la quantità “ innocua” sarebbe di circa 1 microgrammo al giorno di acrilammide, che corrisponde al valore che possiamo trovare in un grammo di patate chips, o in appena tre grammi di patate fritte o al forno. Considerando che la dose “ innocua” dipende dal peso corporeo, i bambini rappresentano la fascia d’età più a rischio, seguiti dagli adolescenti, che sono i maggiori consumatori di prodotti amidacei confezionati, primi tra tutti le immancabili patatine, che allietano ogni festa di compleanno per i più piccoli e troneggiano sui banchi di ogni bar a qualsiasi ora.

Attenzione ai bambini Gli studi condotti finora sugli esseri umani hanno fornito prove limitate e discordanti dell’aumento del rischio di sviluppare tumori in seguito ad ingestione di acrilammide. Gli studi effettuati sugli animali da laboratorio d'altra parte hanno dimostrato che l’esposizione all’acrilammide, attraverso la dieta, aumenta enormemente la probabilità di sviluppare mutazioni geniche e tumori in vari organi. Sulla base di questi studi gli esperti dell’EFSA hanno più volte comunicato che la presenza di acrilammide e il suo metabolita, la glicidammide, possono danneggiare il Dna, aumentando il rischio di cancro per i consumatori in tutte le fasce d’età. Una volta

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ingerita, questa sostanza, viene rapidamente assorbita dal tratto gastrointestinale, distribuito a tutti gli organi e metabolizzato. Sotto osservazione sono anche i probabili effetti nocivi dell’acrilammide sul sistema nervoso, sullo sviluppo prenatale e postnatale e sul sistema riproduttivo maschile. Questi effetti non sono stati ritenuti motivo di preoccupazione, sulla base dei livelli di esposizione alimentare attuali. Secondo l'Efsa se per gli adulti i principali prodotti da tenere sott'occhio, oltre a patatine e cereali tostati, sono caffè e sigarette, ma attenzione anche a bevande apparentemente innocue come caffè d'orzo e di cicoria. Per i bambini i prodotti a base di patate fritte sono responsabili fino al 51% dell’esposizione alimentare complessiva. Un buon 25% è invece da ascrivere a pane morbido, cereali da colazione, biscotti e altri prodotti a base di dcereali o patate. Ripetute analisi compiute su campioni di patatine di largo consumo reperite in supermercati hanno dimostrato concentrazioni di acrilammide ben superiori ai limiti raccomandati dalle autorità europee. Anche la National Food Administration indica il rischio maggiore per cibi come patatine fritte, biscotti, crackers, tutti alimenti amati dai bambini, che contengono le maggiori quantità tossiche. Un secondo livello di rischio è stato riscontrato in pane, cereali per la colazione e chips di mais che registrano valori leggermente inferiori.

La mannaia sugli alimenti integrali Che le patatine fossero un cibo quanto meno sospetto l'abbiamo sempre pensato, fingendo ogni volta di dimenticarlo quando ce le troviamo davanti. Ben diversa la reputazione del pane, che ahimé, è finito anch'esso nel mirino dell'Efsa, anche se presenta un indice di rischio decisamente inferiore a quello della patate. La cattiva notizia, per tutti gli amanti del buon cibo, ma anche per i salutisti, è che il giudizio più severo è caduto proprio sulle farine integrali, a causa della maggior presenza di crusche e micronutrienti, tra cui l'amminoacido asparagina. Un progetto di ricerca svolto presso l’Università degli Studi di Parma, in collaborazione con Art Joins Nutrition Academy, l’Accademia Europea di Nutrizione Culinaria, ha cercato di individuare quanto influisca il tipo di farina impiegato per la realizzazione dell’impasto della pizza, sulla formazione di acrilammide nel prodotto finale. Nel confronto tra i diversi gradi di raffinazione delle farine è stata dimostrata una maggiore presenza di acrilammide nei campioni a base di farina integrale, confermando altre ricerche precedenti. Nella parte esterna dei cereali, sarebbe infatti presente un maggior

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quantitativo di asparagina rispetto all’endosperma, la parte interna del chicco. Anche la scelta della farina può giocare un ruolo importante. I tenori più elevati si trovano nella segale e, in ordine decrescente, in avena, frumento, granturco e riso, che presenta i tenori più bassi. Questa indicazione contraddice in pieno tutte le osservazioni dei principali studi, tra cui quella del Codice Europeo contro il cancro, che ci invitano a una dieta ricca di cereali integrali? Come affrontare questa contraddizione? La prima osservazione da fare è che tali processi si innescano ad alte temperature. La seconda è quella di preferire, laddove sia possibile, altri metodi di cottura rispetto alle fritture e alla cottura in forno ad alte temperature. Il problema, non scordiamolo riguarda le superfici di contatto: nelle patate lesse, come nella mollica del pane non ci sono pericoli di sorta. Come ha avuto modo di ricordarel’epidemiologo Franco Berrino il problema dell’acrilammide non deve essere un buon motivo per preferire i cereali raffinati, ma è piuttosto una buona ragione per tostare solo moderatamente i creali integrali, scartare le parti più brunite della crosta del pane, e preferire cotture a temperatura moderata. Ricordiamo inoltre che con una dieta ricca di cereali integrali si muore meno di diabete, di cancro, malattie cardiovascolari, respiratorie, intestinali e anche di malattie infettive.

Il ruolo della pasta madre Una quantità minima di acrilammide durante la cottura è inevitabile, ma con alcuni accorgimenti si può stare tranquillamente al di sotto dei valori di tolleranza, stabiliti su una soglia di 150 µg/kg per i multicereali, che per il pane di farina di grano scende a 80 µg/kg . L'autorità per la sicurezza dei consumatori tedesca, Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit (BVL), che ha attivato una serie di controlli già dall'anno 2013, assicura che nella stragrande maggioranza dei casi, (il 98%) questi valori vengano sempre rispettati. Un ruolo particolare nel contenimento dell'asparagina è invece da assegnare ai metodi di lievitazione naturale con pasta acida. I batteri e i lieviti presenti nella fermentazione avrebbero la funzione di metabolizzare l'asparagina trasformandola in altri composti innocui e abbassando nel risultato finale le percentuali di acrilammide. In ogni caso si dovrebbe evitare la cottura in forni ventilati che provocano un'essiccazione maggiore delle superfici di cottura, esponendo gli impasti a temperature più elevate, con minore presenza di acqua. Si dovrebbe anche evitare di spolverare l'impasto con farina prima di informare, perché la farina non lievitata brucia ancora più facilmente.

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La glicazione degli alimenti Altro aspetto da considerare nelle cotture è il fenomeno la glicazione. Il termine AGE si riferisce a una serie di composti chimici prodotti quando gli zuccheri si combinano con proteine o grassi (glicazione avanzata). Si trovano per esempio sulle superfici dorate o abbrustolite di cibi fritti o grigliati, oppure sul pane tostato. Oltre al colore, gli AGE conferiscono agli alimenti cotti anche sapore e aroma, tipici quelli dei prodotti da forno, dei derivati del latte, della carne e del pesce. In definitiva occorre limitare l’utilizzo di calore secco, nelle cotture e tenere più basse possibili le temperature, perché rendono cancerogeni un gran numero di alimenti che sono del tutto salutari, se consumati crudi, o cotti a vapore, ma che divengono resi molto dannosi, se sottoposti a un calore secco ed eccessivo.

Una riflessione sulla pizza Com’è nata la pizza e soprattutto come veniva cotta? Verosimilmente, è nata da un pezzo di impasto di pane prodotto con farine di grani autoctoni e lievito madre, sul quale sono andati ad aggiungersi, oltre al pomodoro, anche un sacco di altri ingredienti. Gli impasti non venivano certo messi nei frigoriferi (che non c’erano) e la fermentazione era veramente naturale, perché avveniva a temperatura ambiente. La pizza veniva cotta, probabilmente, come il pane, a forno spento, dopo averlo preriscaldato con la combustione di legna arrivando a una temperatura attorno a 200-230° C. Ebbene, come sono cambiate le nostre abitudini rispetto alla tradizione? Oggigiorno, a partire dalla mia esperienza come giudice ai campionati di pizzaioli, circa il 90% dei pizzaioli utilizza delle farine forti (anche di manitoba), prodotte non si sa dove, impastate con il solo lievito di birra, che come abbiamo già visto non esercita quasi nessuna azione metabolica sugli amidi e il glutine. Alcuni pensano di allungare la lievitazione tenendo l’impasto in frigorifero anche per diversi giorni, mentre in realtà il freddo ha solo la capacità di rallentare sia i miceti, sia i batteri lattici. Dal punto di vista chimico sarebbe più opportuno rispettare il range ottimale di lavorazione già spiegato nella parte iniziale di questo libro. Ma possiamo alle cotture: molti pizzaioli hanno l'abitudine di settare i forni elettrici o a gas intorno a 300° C. Una temperatura di per sé già eccessiva, addirittura superata da coloro che spingono il forno a legna oltre i 400° C. Ecco, sono proprio

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queste procedure che determinano un aumentare della produzione di acrilammide e AGE, con le conseguenze negative descritte da Gabriele Bindi nelle pagine precedenti. “Ma il cliente sbuffa, se la pizza non gliela serviamo in 6-7 minuti!”. È questa la tipica risposta che si sente quando si prova a spiegare che non è necessario e neppure salutare cuocere le pizze a una temperatura così alta. Se ci fermiamo a riflettere, è la velocità a snaturare, ancora una volta, le sane e corrette abitudini della tradizione. Sarà dunque bene ricordare da dove siamo partiti e cominciare a dare maggiore importanza alla salute e all'ambiente. Una considerazione che vale per i grani che si sceglie di coltivare e anche per i metodi di preparazione e cottura.

La responsabilità ambientale I diversi accorgimenti che sono stati descritti in questo libro per la preparazione di pasticceria e prodotti da forno hanno un impatto positivo anche a livello ambientale. In particolare abbiamo tenuto contro di tre parametri fondamentali: 1. carbon footprint: misura la massa di CO2 equivalente a una produzione specifica. 2. water footprint: misura l’acqua necessaria per preparare un alimento. 3. ecological footprint: calcola la superficie di terra e di mare necessaria per produrre un alimento

1. Carbon footprint Per produrre energia elettrica viene liberata molta CO2, insieme ad altri gas inquinanti. Quanta energia, e quindi quanti gas serra, si potrebbero risparmiare evitando di settare il forno a temperature di 300–350° C, ma rimanendo intorno ai 200–250° C? Difficile essere precisi, ma di certo anche i frigoriferi e i condizionatori dei locali, non più surriscaldati da forni così roventi, consumerebbero molto meno e si avrebbe un maggiore rispetto del benessere psicofisico del personale. Il clima interno delle cucine diverrebbe più sopportabile e gli addetti non sarebbero costretti a respirare i fumi tossici prodotti dai residui carboniosi! Senza fare troppi allarmismi la mia esperienza nella ristorazione mi suggerisce che è importante che si possa lavorare serenamente e senza soffrire un caldo persistente ed insopportabile. Mi sembra anche necessario far comprendere che la capacità dei prodotti di scaldarsi senza deteriorarsi non è direttamente proporzionale

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PASTICCERIA CON GRANI ANTICHI

alla capacità di forni e fornelli di produrre calore. La velocità in cottura non è mai una buona maestra. Anche perché ci sono dei tempi minimi di assorbimento del calore che non possono essere disattesi, altrimenti il prodotto resterà sempre crudo al suo interno e si brucerà all'esterno. Quando si tira su un pezzo di pizza appena sfornata e vediamo che subito si affloscia, vuol dire che la parte centrale è cruda, perché è stata cotta a temperatura troppo alta. Il calore non ha fatto in tempo a diffondersi e a raggiungere il prodotto in tutte le sue parti. Forse, varrebbe davvero la pena di abituarsi a cuocere la pizza più di quei canonici 60-90 secondi a 450 gradi!

2. Water footprint Il bisogno di considerare l’acqua come un bene sempre più prezioso ci induce a una riflessione sul metodo utilizzato in cucina. Nel campo della produzione alimentare professionale ci sono molti strumenti che usano l’acqua nei loro sistemi di raffreddamento (pastorizzatori, mantecatori, impianti di raffreddamento in genere). Anche per questo motivo è sempre più urgente ridurre il calore durante le lavorazioni.

3. Ecological footprint L’ecological footprint calcola la superficie di terra, o di mare, biologicamente produttiva necessaria per fornire le risorse e assorbire le emissioni associate a un sistema produttivo. Un altro esempio virtuoso di risparmio potrebbe essere rappresentato dal minor consumo di foraggi per gli allevamenti di animali da macello e un maggior utilizzo dei vegetali all’interno della nostra catena alimentare, proponendo menù incentrati sempre più sul consumo di frutta e verdura di provenienza locale, in alternativa alla carne.

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Indice Prefazione di Gabriele Bindi Introduzione Conoscenze preliminari Ricettario elaborato per l'utilizzo delle farine macinate a pietra Pasta sfoglia. Ricetta classica Pasta sfoglia. Metodo moderno Torta di mele, pere e cioccolato e Plumcake. Impasto base Pan di Spagna e Rollè Torta Paradiso Bignè Crema pasticciera Cantuccini alle mandorle Pasta frolla. Ricetta 1 Pasta frolla. Ricetta 2 Frolla montata per biscotti, crostate e torte Biscotti tipo “frollino da colazione” (o, a scelta, senza lattosio e uova) Tortine di mele senza grassi Lingue di gatto Panettone prodotto mediante autolisi e metodo diretto Panettone con metodo tradizionale Panettone classico tipo milanese Colombe Pasquali Pandoro con metodo diretto e autolisi Bomboloni, brioches e croissant. Impasto con lievito madre Bomboloni, brioches e croissant. Impasto solo con lievito di birra Babà Panini al latte Pizza con lievito di birra Pizza con lievito naturale Pane con grani antichi Pane con grano antico “San Pastore” Grissini Ricette complementari Riso per budini, frittelle e torte Sciroppo di vaniglia Crema bavarese

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Crema diplomatica (detta anche “Chantilly”) Crème caramel Crema Mousseline Meringa Soufflé Pasta sablé Pasta frolla salata Speculoos Pasta per strudel e cenci Ovis molis Maddalene Ricciarelli Panforte di Siena La pasta fresca I vantaggi dei grani antichi nella ristorazione Pasta fresca all’uovo Pasta fresca Gentilrosso/Cappelli Ripieni per i ravioli Pasta fresca vegan Varianti colorate Come conservare la pasta fatta in casa Una linea alternativa di semifreddi Base cremosa per semifreddi 1 Base semifreddo con pochi grassi Base cremosa per semifreddi 2 Base cremosa per semifreddi 3 Zuppa inglese rivisitata Ganache (copertura al cioccolato) Ganache a specchio (senza glucosio, latte condensato e in polvere) Mousse di cioccolato Glassatura con copertura di cioccolato pinguino bianco e fondente Crumble Moelleux Salsa di frutti rossi Salute e tecniche di cottura Non bruciamoci la salute di Gabriele Bindi

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Questo libro è il risultato di anni di ricerca e sperimentazione sull’utilizzo di ingredienti naturali di qualità nella pasticceria professionale. L’autore dimostra che le farine ottenute da grani antichi, autoctoni e a km 0, possono sostituire le farine raffinate ed eccessivamente ricche di glutine oggi diffuse nell’industria alimentare. Il volume si divide in cinque capitoli, che mettono al centro l’impiego di farine macinate a pietra. Il primo contiene oltre 30 ricette, sia dolci che salate: dalla pasta sfoglia alla frolla, dagli impasti base per torte di mele, paradiso e plumcake ai dolci delle grandi feste, come panettoni, pandori e colombe pasquali; non possono mancare gli impasti per la prima colazione (brioches e croissants) e quelli per panini al latte, pizza, pane e grissini. Il secondo capitolo è invece dedicato alle ricette complementari (crema bavarese, chantilly, caramel, impasti per frolla salata, strudel, cenci, ricciarelli…); il terzo contiene indicazioni per produrre diversi tipi di pasta fresca. Chiudono il volume una sezione dedicata alle ricette di semifreddi e alcune considerazioni sulle tecniche di cottura. Il lavoro di Gabriele Cini concilia quindi due esigenze importanti: la produzione di cibo di alta qualità e la diffusione di prodotti alimentari sani per il consumatore. Per questi motivi, e perché affronta in modo innovativo temi cari alla nostra ricca cultura enogastronomica, questo libro è già stato inserito nelle bibliografie dei corsi universitari e professionali di arti culinarie. Le ricette sono rivolte innanzitutto a pasticceri e panettieri professionisti, ma anche semplici appassionati di pasticceria e panificazione possono trovare indicazioni utili per la produzione casalinga. Gabriele Cini è nato e cresciuto a Firenze e da oltre 30 anni si occupa di pasticceria. Nel 1985 ha ottenuto il titolo di “primo pasticcere”. Ha lavorato in diversi ambiti dell’enogastronomia, come hotel di lusso e ristoranti stellati, e ha partecipato a numerosi incontri internazionali di pasticceria e gelateria. Dal 2013 si dedica all’insegnamento delle materie riguardanti la pasticceria, la pizzeria e la gelateria. Negli ultimi anni il suo lavoro si è incentrato sulla sperimentazione e la diffusione delle farine prodotte con i grani antichi a tutti i livelli della produzione alimentare. Vive vicino a Seravezza, in Versilia.

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