Scegliere di rallentare

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Nelly Pons vive in Francia. È stata ballerina, giornalista, collaboratrice dell’ambientalista Pierre Rabhi e direttrice di Terre & Humanisme. Da tempo si occupa di agricoltura biologica e permacultura, più recentemente ha iniziato a scrivere libri anche su altri argomenti. Tutti i suoi scritti sono accomunati dall’esplorazione del legame tra ricerca interiore e costruzione di uno stile di vita più sostenibile e pacifico. Foto di Antoine Combier

www.terranuovalibri.it ISBN  88  6681  510  5

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Scegliere di

ita v i d e l i t os n u o s r LE e I v B o I s s N pa TE S o p O o S d e o Pass TO, SANO piu LEN ‘

E poiché il mondo continua ad accelerare, l’unica leva su cui abbiamo il potere di agire siamo noi stessi. In conclusione del libro Paolo Ermani, una delle figure più attive del movimento ecologista in Italia, ci racconta la storia esemplare di un individuo che ha scelto di rallentare e ha raggiunto il proprio obiettivo.

NELLY PONS

Nelly Pons, sopravvissuta a un burn-out, un vero e proprio collasso fisico e psichico, parte dalla propria esperienza per suggerirci come riprendere in mano le nostre esistenze e costruire un nuovo rapporto con il mondo in cui viviamo. Rallentare è uno stile di vita, un modo per vivere più consapevolmente, per ridurre l’impatto ambientale dei nostri consumi e per aumentare il tempo e lo spazio dedicato alle relazioni con gli altri, con noi stessi e la natura. Rallentare non significa andare al rallentatore ma saper dosare il proprio ritmo ed elaborare un nuovo equilibrio tra velocità e lentezza.

NELLY P ONS

Scegliere di RALLENTARE

Quante volte ci diciamo che «non abbiamo tempo» per seguire un hobby, visitare un amico o semplicemente per fare nulla? Viviamo immersi in una società che ci spinge a essere frenetici, iperattivi, a voler possedere sempre qualcosa, a consumare noi stessi e le risorse del Pianeta.



Nelly Pons Illustrazioni di Pome Bernos

SCEGLIERE DI

RALLENTARE Passo dopo passo verso uno stile di vita più LENTO, SANO e SOSTENIBILE

Terra Nuova Edizioni


Direzione editoriale: Mimmo Tringale e Nicholas Bawtree Curatore editoriale: Enrica Capussotti Autore: Nelly Pons Illustrazioni: Pome Bernos Traduzione: Giuliana Lomazzi Claudia Benatti ha curato Il racconto di un’esperienza in Italia, a pag. 79. Progetto grafico e copertina: Andrea Calvetti Impaginazione: Daniela Annetta Correzione bozze: Alessia Maglione Titolo originale: Choisir de ralentir © Actes Sud / Kaizen, 2017 © 2020, Editrice Aam Terra Nuova via Ponte di Mezzo 1 50127 Firenze tel 055 3215729 - fax 055 3215793 libri@terranuova.it - www.terranuovalibri.it I edizione: gennaio 2020 Ristampa VI V IV III II I 2024 2023 2022 2021 2020 Collana: Stili di vita ISBN: 978 88 6681 5105 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memoriz- zata in un sistema di recupero dati o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elet- tronico o meccanico, inclusi fotocopie, registrazione o altro, senza il permesso dell’editore. Le informazioni contenute in questo libro hanno solo scopo informativo, pertanto l’editore non è responsabile dell’uso improprio e di eventuali danni morali o materiali che possano derivare dal loro utilizzo. Stampa: Lineagrafica, Città di Castello (Pg)


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a qualche anno si percepisce ormai un fermento: tutti ormai ritengono necessario un cambiamento, e molti cominciano a credere che sia possibile. Tramite una miriade di piccole evoluzioni-rivoluzioni nella vita quotidiana, ognuno di noi ha la capacitĂ di costruire il mondo di domani. Il successo del film Domani (2015), di Cyril Dion e MĂŠlanie Laurent, e le iniziative cittadine stimolate dalla sua proiezione in tutta Europa confermano che siamo pronti a mobilitarci. SĂŹ, ma come fare? Questo libro prova a rispondere a questa crescente domanda di strumenti pratici per agire e propone alcuni percorsi da sperimentare. Si rivolge a tutti con un obiettivo: accompagnare questo desiderio di cambiamento, sostenerlo e motivarlo, aiutarlo a compiersi.



INDICE 7

PERCHÉ

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CIRCONDARSI

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ATTREZZARSI

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LANCIARSI

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TENERE DURO

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E DOPO

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PER SAPERNE DI PIÙ

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IL RACCONTO DI UN’ESPERIENZA IN ITALIA


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PERCHÉ Un giorno, tutto si è fermato. Così. D’improvviso. Lunedì 1° luglio 2013: trentatré anni, tre mesi, trenta giorni e nove ore. I miei occhi si sono chiusi. Non ricordo più quando sono riuscito a riaprirli di nuovo. Gesti tanto semplici come sollevare un braccio, leggere, far da mangiare, sentire suonare il telefono e andare ad alzare il ricevitore erano diventati impossibili. Tutto quanto il mio corpo non rispondeva più. Tra incomprensione, frustrazione e collera, accusavo il colpo di questo tradimento, nel mezzo della penombra in cui ero appena sprofondato. Avrei compreso più tardi che, in realtà, mi aveva salvato la vita.


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C

hi, oggi, non ha l’impressione di correre incessantemente dietro il tempo, di dover andare sempre più veloce per avere, alla fine, la sgradevole sensazione di non andare né avanti né indietro? Le nostre vite sembrano intensificarsi man mano che il tempo passa. La nostra sete di scoperta è insaziabile, le nostre esigenze sempre più affinate. Abbiamo allungato la nostra speranza di vita, ottenuto le ferie pagate, la pensione e la settimana lavorativa di trentacinque ore. Abbiamo inventato un sacco di ordigni per andare più in fretta e alleggerire la quotidianità: automobile, microonde, lavatrice, computer ecc. Oggi, la porta aperta sulla conoscenza dipende da un telefono in tasca, disponibile immediatamente, ventiquattr’ore su ventiquattro. Siamo in grado di mandare un messaggino all’altro capo del pianeta in un secondo e di andarci in meno di due giorni. Ne abbiamo guadagnato, di tempo. Ma cosa ne abbiamo fatto? Questo mondo è il frutto di un sogno. Di un’utopia aspettata e sperata da parecchi personaggi che, a partire dal XIX secolo, pensavano che stessimo per liberarci. E questo, grazie al progresso. Pensavano che il nostro genio ci avrebbe ben presto affrancato dal dovere di lavorare: le macchine lo avrebbero fatto per noi. Questo sogno si è in parte realizzato. Una rivoluzione tecnologica senza precedenti nella storia dell’umanità ha permesso la nascita della cultura dei passatempi: sport, televisione, spettacoli, vacanze e viaggi sono diventati accessibili alla maggior parte delle persone.


Perché 9

Eppure… Più guadagniamo tempo, più abbiamo la sensazione di non averne. Un paradosso si è impadronito della nostra modernità: il progresso, proprio quello che poteva liberarci, si è messo al servizio di una fulminea accelerazione, una ricerca del “sempre più”: questa ci ha fatto sprofondare in una spirale infernale che non abbiamo visto arrivare e da cui è diventato urgente uscire.

«Presto, Non ho tempo, Aspetta, Sbrigati, Siamo in ritardo… Ma insomma, dove è finito quel tempo che abbiamo guadagnato?» La nostra quotidianità somiglia sempre più a una corsa sfrenata contro il tempo con un programma appagante: lavoro, trasporti, faccende domestiche, passatempi, relazioni sociali, mestiere di genitore… Una dittatura cui spesso ci sottoponiamo di buon grado. Una velocità inebriante, che ci porta, ci motiva, a volte ci incanta. E ci illude anche. Una rapidità senza mezze misure che ci mette alla prova. Funamboli: ecco cosa siamo diventati. Privati di questa àncora di salvezza che ci mette al riparo da brutte cadute, giochiamo con i nostri limiti fisici. Ci resta solo sapere da che parte finiremo con il cadere. E quando.


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Vivificante in un primo momento, con il tempo la nostra velocità si accompagna a effetti collaterali dannosi, con i quali scendiamo a patti come possiamo: stress, disturbi del sonno, ansia, dolori muscolari, lombalgie… Fino al burn-out, come viene giustamente chiamato questo spossamento totale, fisico e psichico, quell’incendio distruttore dei nostri migliori slanci e nel quale, per un periodo, mi sono inabissata. Io, che pensavo di aver attuato nella mia vita tutto per premunirmi dal nonsense; che avevo scelto di vivere in campagna, di dedicare del tempo alla mia famiglia, di fare un lavoro che mi appassionava e che mi sembrava utile. Io che mi credevo al riparo, ben attrezzata, meravigliosamente circondata… Eppure, ho ceduto. È questo che mi permette oggi di affermare che la posta in gioco, quella vera, è di non affondare. Agire, finché c’è ancora tempo.


DOVE SI VA, PAPÀ?

N O N LO S O , MA AN D IAM O

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LENTEZZA NON VUOL DIRE ANDARE AL RALLENTATORE

Larousse, 2015: “Lentezza, n. f.: mancanza di rapidità nei movimenti, di vivacità nel pensiero”. Insomma, all’alba del XXI secolo la velocità sarebbe appannaggio degli svelti, dei dinamici, di quelli che fanno un sacco di cose… E la lentezza, invece, apparterrebbe ai rammolliti, ai sempliciotti, agli imbranati… No! Rallentare non significa andare al rallentatore. Non è una ragione d’essere dei fannulloni, e nemmeno una requisitoria senza distinzioni contro la velocità e il progresso.

Rallentare vuol dire saper correre quando è necessario, essere rapidi nell’urgenza, dinamici e audaci in ogni momento e padroneggiare l’arte della sottigliezza, quella di coltivare il proprio spirito critico. Significa abbandonare l’attitudine dell’ariete che, una volta lanciato, non sa più fermarsi, e imparare a dosare il proprio ritmo. Rallentare è una scelta di vita forte, potente, che passa per un delicato connubio tra velocità e lentezza, e che si imparerà ad adattare a ogni situazione.

Più di 8 francesi su 10 pensano che il ritmo di vita della società attuale sia troppo rapido ed esprimono il desiderio di rallentare.1

1. Modes de vie et mobilité, une approche par les aspirations, l’ObSoCo (Observatoire Société et Consommation) et Forum Vies mobiles, 2016.


Perché 13

Mi propongo qui di condividere i frutti della mia esperienza. Un incontro con la parte di noi stessi più viscerale, istintiva, intuitiva. Una prova di pazienza che avrei voluto risparmiarmi, tanto è pericolosa. Ma che, se può esservi utile, meritava allora di essere compiuta. Siamo in tanti a desiderare il cambiamento. Ma come? Contro le insidiose ingiunzioni della nostra frenetica quotidianità, il modo per difendersi c’è: rallentare.

IL TEMPO, QUESTA INCORREGGIBILE EVANESCENZA

Secondo le definizioni, il tempo è un ambito infinito nel quale si succedono gli eventi, un movimento ininterrotto, una forza che agisce sul mondo e sugli esseri viventi, una durata quantificabile. La mitologia greca ne aveva fatto un dio, Crono; i fisici lo collegano alla nozione di spazio, i filosofi e gli scienziati si interrogano sulla sua natura: è un’illusione? Un eterno presente? Alcuni si chiedono perfino se esiste.

A seconda che si consideri il tempo umano, quello del pianeta, dell’evoluzione o dell’universo; a seconda che si sia frettolosi o pienamente presenti; in treno o su un veliero; in piena azione o in un momento di noia, noi non ne abbiamo la stessa percezione. L’unico su cui abbiamo il potere di agire è il tempo percepito. Soggettivo, individuale, variante da un istante all’altro, sarà il nostro alleato indispensabile per imparare a rallentare.


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“Cos'è dunque il tempo? Se nessuno m'interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m'interroga, non lo so”.2 Sant’Agostino, Le confessioni, Libro XI.


Perché 15

Scegliere di rallentare vuol dire riprendere il controllo della propria vita. Significa abbracciare un’esistenza dignitosa e consapevole. Significa rivedere le proprie priorità, saperne pesare i pro e i contro. Vuol dire guardare dall’alto la quotidianità, osservare il proprio bisogno di sentirsi esistere tramite l’azione e dentro di essa. Vuol dire smettere di fare a ogni costo, di correre, semplicemente di reagire. Di pensare che tutto è urgente, importante, da fare entro un minuto.


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Rallentare vuol dire sapersi fermare qualche istante e osare compiere delle scelte; contrapporsi a questo flusso incessante che ci opprime ed esprimere il desiderio di un’altra relazione con il mondo, di un altro modo di vivere. Rallentare è cambiare il proprio rapporto con il tempo… … Per prendere meglio il tempo. Per sé, per i propri cari. Vuol dire riconsiderare il proprio corpo, riscoprirsi, apprezzare le proprie risorse personali, ascoltarsi. Non confondere più velocità e precipitazione. Riconciliarsi con la natura, la tenerezza, il rispetto, la grazia e la bellezza. Fare pace con l’attesa e la noia. Vestire l’audacia dell’esploratore che se ne va a zonzo, alla ricerca di sogni e silenzio. Rallentare è dire no… Ai molteplici imperativi quotidiani, alla pressione che proviene tanto dall’esterno quanto da dentro di noi.


Perché 17

…E dire sì! Alla vita. Essere pienamente presenti nell’istante, piuttosto di cercare di ottimizzare il tempo. Rimettere l’azione al suo giusto posto. Essere attenti. Rallentare è rendersi disponibile a quello che la vita ha da offrire e riallacciare con la propria libertà di scegliere. Rallentare? Sì, è possibile. Non in un giorno, ma si può fare. E lo si impara. Passo dopo passo, seguendo un appassionante cammino personale che dona respiro alla nostra anima, al nostro corpo, al nostro essere. Comprendere è una chiave. Agire un’altra. Dato che l’unico elemento su cui abbiamo il potere di agire siamo noi stessi, scegliamo di rallentare, insieme.



Il racconto di un’esperienzain Italia

IL RACCONTO DI UN’ESPERIENZA IN ITALIA

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Paolo Ermani: «Ho scelto fuori dagli schemi»

allentare non vuol dire “andare al rallentatore”, nient’affatto. In questo Nelly Pons ha ragione da vendere. Significa invece saper dare un ritmo differente alla propria vita, compiendo scelte che permettono di collocarsi al di fuori del flusso frenetico di una folla che fatica a pensare, schiacciata com’è da un’urgenza che aliena dalla consapevolezza di sé. E significa porsi al di fuori dell’ingranaggio del consumismo “a prescindere”, che anziché misurare gli effettivi bisogni rispondendo a essi, rincorre il soddisfacimento di una voracità semplicemente senza fine. Paolo Ermani è una delle persone (fortunatamente tante) che anche in Italia hanno scelto di “rallentare”, dandosi come obiettivo la sostenibilità e l’impatto positivo delle proprie azioni. È stato motore e fondatore dell’associazione Paea che si occupa, tra le varie attività, anche di ambiente e di energie rinnovabili, ha ristrutturato una casa nel Grossetano portandola a bassi consumi e persegue obiettivi di autosufficienza, in primis prendendosi cura di un orto e di un frutteto che gli forniscono cibo sano e sicuro.

La scuola

Paolo ha iniziato già dall’età delle scuole superiori a porsi domande e a coltivare dubbi sul “sistema” ortodosso che governava vita e lavoro della stragrande maggioranza delle persone. «Appena ho iniziato a frequentare la scuola superiore mi sono interessato subito a questioni che andavano oltre ciò che studiavo e mi sono già da allora reso conto dello scollamento esistente fra la scuola e la realtà esterna, che è tuttora notevolissimo» spiega Paolo. «La scuola in genere non fa altro che riproporre un modello di società superato, senza futuro, e in gran parte dei casi forma consumatori perfetti e obbedienti ai quali inculca nozioni per lo più di scarsa utilità per i giovani, che poi vengono presto dimenticate».

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«Si è schiavi delle valutazioni, spesso decise da insegnanti senza passione per ciò che fanno; si viene parcheggiati per ore e ore in aule chiuse, fermi sui banchi, un immobilismo che diviene la negazione del concetto stesso di apprendimento, di amore per la cultura. Perché in fondo senza la libertà non ci sono entusiasmi, pulsioni, curiosità, quindi apprendere diventa difficile. Dentro di me sentivo che la libertà andava ricercata altrove, anche mettendo in discussione ciò che la scuola insegnava. Sentivo crescere l’insofferenza per un sistema educativo che mi appariva fallimentare e frustrante e che non mi seguiva né appoggiava nella mia progressiva presa di coscienza che il mondo non era più quello che mi avevano paventato da bambino. Troppe cose non tornavano e non riuscivo più a credere in tutto ciò che mi si diceva. Vedevo intorno a me ingiustizie e disuguaglianze, repressione di idee e azioni, guerre, i deboli calpestati, genocidi, massacri, fame, carestie, disperazione. Allora mi sono detto: “Devo fare qualcosa nella mia vita per cercare di migliorare la situazione”».

L’ingresso nel mondo del lavoro

Paolo coltivava interessi per la politica e le questioni sociali e voleva rendersi quanto prima indipendente, «non solo dalla famiglia, ma anche da un modo di pensare che non sentivo affatto mio» spiega. «Non sopportavo che ci fossero dogmi sul ciò che si “deve fare” per essere accettati dalla società, per essere “normali”. È stato con questi pensieri e questo stato d’animo che, dopo una scuola che non mi fornito significati né risposte, mi sono affacciato al mondo del lavoro. E qui sono arrivate domande ancora più dure e nette. Possibile che dobbiamo accontentarci di quello che passa il convento? Possibile che l’unico motivo per cui si lavora risiede nel denaro? Veramente non ci sono alternative? È veramente impossibile fare qualcosa che piace, che ha un senso per noi e per gli altri, che non è dannoso, che migliora noi e il mondo? Lavorare è ciò che più occupa il nostro tempo nella vita, dopo il sonno… anche se si stanno invertendo persino queste proporzioni. Può dunque il lavoro essere parte importante della realizzazione personale e non una condanna?». Paolo si impegna come manovale nei cantieri edili, fa lavori saltuari in agri-


Il racconto di un’esperienzain Italia

coltura e via dicendo. «Ho anche svolto il servizio civile come obiettore di coscienza e mi sono iscritto all’università, scegliendo la storia moderna, quantomeno per capire se quel ciclo di studi potesse risultare più significativo delle scuole superiori. Ma la mia grande passione erano e restavano la tecnologia e le energie rinnovabili, in particolare l’utilizzo dell’energia del sole. Volevo fare l’installatore di pannelli solari e cercavo di convincere amici e conoscenti che forse si poteva lavorare nel settore ambientale. Mi guardavano come se fossi matto. All’epoca, verso la metà degli anni Ottanta, l’ambiente era un ambito considerato “strano”, questione per pochi, per persone strambe. Erano importanti le proteste sindacali, le rivendicazioni salariali, il diritto al lavoro. Eppure, io vedevo la gente intorno a me, sia lavoratori che disoccupati, che manifestava frustrazione e rabbia, in attesa di una fantomatica rivoluzione che però non arrivava mai. Non solo non arrivava mai, ma chi avrebbe dovuto farla, cioè i cosiddetti proletari, gli “sfruttati” o quello che ne rimaneva, non facevano altro che fare a gara per entrare prima possibile nel favoloso mondo dei balocchi del consumismo. In fondo i “rivoluzionari” volevano solo avere soldi e quel cosiddetto benessere fatto di consumismo che dall’alto il sistema elargiva loro volentieri, purché non rompessero troppo le scatole».

“Schiavi” del consumismo

E le lotte sociali? Gli ideali? «Sono stati barattati per un piatto di lenticchie, accompagnato rigorosamente dal televisore, meglio se a colori, mezzo perfetto per diffondere il consumismo e soffocare la cultura» prosegue Paolo. «Così, il sistema del consumo si è comprato praticamente tutti. E i più lesti e svegli hanno finito per occupare proprio i posti di chi poco prima definivano “il padrone”. Chi era prima da una parte della barricata, con tanto di truci e bellicose rivendicazioni, poi l’ho ritrovato comodamente seduto sulla poltrona dell’ex nemico. Gente anche istruita, preparata, persino creativa, che s’è fatta largo nel mondo dei media mainstream mettendosi a disposizione di chi ne deteneva la proprietà. Insomma, mi era chiaro che chi voleva cambiare le cose a parole, poi nei fatti era facilmente comprabile, bastava fargli luccicare davanti denaro, qualche bene di consumo, gadget, benefit e

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il gioco era fatto, funzionava sia per il fine intellettuale radical chic che per il poveraccio di borgata». Paolo aveva tutto questo sotto gli occhi «ed è stato allora che ho pensato che non solo non volevo fare un lavoro inutile e nocivo, ma non volevo nemmeno essere uno di quei finti alternativi che si davano anima e corpo per far guadagnare i Berlusconi, gli Agnelli e i vari padroni assortiti del caso. E chi mi derideva per le mie scelte ecologiste, non era di certo un esempio, visto che stava solo aspettando di entrare a far parte del grande supermercato delle coscienze». «Ero sempre più convinto che la mia idea di lavorare sull’ambiente avesse senso e iniziai a cercare in Italia luoghi e realtà che si occupassero di energie rinnovabili. All’epoca, però, in Italia se ne sapeva ben poco ed era durissima trovare qualcuno che avesse deciso di lavorarci. Maturai quindi la scelta di andarmene all’estero, che si confermava quando osservavo gli universitari romani sdraiati mollemente al sole sulle scale della facoltà, come lucertole, quegli stessi che all’epoca facevano attività politica ma poi avevano posti di lavoro già assicurati dalle loro famiglie. Da bravi contestatori, consumavano la loro simpatica stagione di protesta per poi ovviamente entrare dalla porta principale nei posti di lavoro che reputavano alla loro altezza. Ovviamente non ero compreso quando provavo a parlare di alternative lavorative e del bisogno di cambiare in prima persona la realtà esistente. E anche chi non aveva le spalle coperte da famiglie benestanti agiva secondo la logica contraddittoria per cui ci si doveva lamentare ma poi bastava trovare un lavoro, quale esso fosse, e ci si sarebbe accontentati di qualsiasi cosa pur di sbarcare il lunario e continuare a imprecare».

Lo sguardo all’estero

La realtà italiana non offriva a Paolo ciò che a lui interessava, quindi iniziò a guardarsi intorno oltre i confini nazionale per vedere se c’erano possibilità diverse. «In quegli anni ancora non esisteva Internet e sono andato alla ricerca di un’alternativa senza alcuna sicurezza o garanzia di successo, solo con molta voglia di trovare risposte a problemi reali. Non mi interessava “vedere il mondo”, non volevo fare il turista, il venditore di collanine


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e incensi fra uno spinello e l’altro, il parassita occidentale in qualche paese esotico; volevo affrontare la realtà per quello che era, senza trucchi e senza stupefacenti, volevo cercare un lavoro che fosse in linea con i miei ideali, aspirazioni, e che fosse bello, utile per me e per gli altri, non distruggesse l’ambiente, non favorisse multinazionali o padroni senza scrupoli di sorta. Non volevo alimentare un sistema fallimentare e suicida, che dava a tutti una bella ruota da criceto per correrci dentro con tanto di future frustrazioni, disagi, malattie, depressioni, burn out. Volevo fare del cambiamento la mia vita; non sopportavo chi parlava solamente e poi nei fatti agiva all’opposto dando la colpa di tutto ai “cattivi”, ai politici, ai grandi burattinai». Inizia così la sua ricerca di luoghi in Europa che rispondessero ai suoi bisogni, «in aperta sfida allo scetticismo di tutti, parenti e amici, e contro la solita cantilena: ma chi te lo fa fare; non fare pazzie; ma dove vai?; Quello che cerchi non esiste, e la lista è ancora lunga». Ogni pausa dal lavoro Paolo la dedicava alla “esplorazione”, con l’Interrail e zaino in spalla, da solo, sempre con l’obiettivo di visitare posti (lavorandoci anche) che reputava consoni a ciò che stava cercando. «Con mia grande sorpresa trovai realtà che confermavano esattamente quello che per me, e molti come me, era un sogno: luoghi dove era possibile impegnarsi in un lavoro che piaceva e che aveva un senso, dove si imparava costantemente, non si era considerati sottoposti o numeri. Dove magari non si faceva carriera, ma perché la carriera non serviva e non interessava se stavi lavorando al di fuori dai parametri convenzionali». Quindi, ecco Paolo in Inghilterra, Galles, Danimarca, Francia, Spagna, Svizzera, Olanda, Austria e soprattutto Germania, «dove l’ambientalismo non era un hobby ma una cosa seria» spiega. «E dopo aver frequentato molti posti che lavoravano esattamente sui temi che mi interessavano, decisi che dovevo trasferirmici definitivamente. Non volevo e non potevo fare la fine della lucertola al sole sulle scale della facoltà di Lettere di Roma. Quindi presi i pochi bagagli che avevo e mi trasferii in uno dei centri per le tecnologie alternative che ci sono in Europa, precisamente in Germania, vicino a Hannover, all’Energie und Umweltzentrum – EUZ, ovvero il Centro per l’energia e l’ambiente, nato nel 1981 per ini-

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ziativa di un gruppo di insegnanti e tecnici che volevano dare una risposta pratica che andasse oltre le manifestazioni contro le costruende centrali nucleari. Volevano dimostrare direttamente e concretamente con il loro esempio, con la loro vita, la loro organizzazione lavorativa, il loro studio, la sperimentazione e l’applicazione, che un altro paradigma era possibile. E volevano viverlo in prima persona, agendo e testimoniando». «Tutti cercano sicurezze, vogliono certezze e questa società vuole gente accomodante, meglio se ottenebrata» prosegue Paolo nel suo racconto. «Tutto deve essere facile, immediato e sicuro. Si inseguono il lavoro sicuro, la carriera e tutti quegli aspetti che ormai è la stessa società a non garantire più. Negli anni Ottanta e Novanta ancora forse quel mito, che ha portato a migliaia di sistemazioni in posti statali in cambio di favori e voti elettorali, poteva reggere. Ma quando sono partito per trasferirmi definitivamente, di sicurezze non ne avevo nessuna. Avevo un accordo di parola con il responsabile del Centro EUZ che installava pannelli solari (in Germania, dove il sole è un pallido ricordo se confrontato all’Italia): avrei potuto fare qualche mese di praticantato e poi chissà. Nessun contratto, nessuna garanzia e soprattutto niente soldi, andavo là in cambio di vitto e alloggio. Una scommessa totale e forse ero il primo emigrante che andava in Germania alla ricerca del sole, sembrava una barzelletta. Ma avevo una certezza: era quello che volevo fare ed ero mosso dalla passione di imparare e capire tutto di quel mondo che a me in Italia era sempre sembrato un miraggio. Infatti, non era solo interessante il lavoro che si faceva ma anche la struttura organizzativa: un’associazione non profit indipendente e autogestita, il tentativo di prendere decisioni condivise. Insomma, si imparava dalla A alla Z, in tutti i campi, in tutti i settori. Ci andai senza sapere una parola di tedesco e con il mio inglese da autodidatta, visto che la scuola nemmeno quello mi aveva insegnato decentemente. Ero un lavoratore infaticabile, ovunque servisse una mano io c’ero. Per questo, dopo l’apprendistato, continuai a lavorare all’EUZ, con impegno ed entusiasmo. E là iniziai la mia vera “università”, fatta di conoscenza teorica e immediata applicazione pratica. Potevo osservare, costruire e far crescere idee e progetti, alcuni tentati per la prima volta in quel luogo da pionieri geniali, dove si sperimentava anche


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senza conoscenze pregresse. Quella lungimiranza, quella passione, quella convinzione hanno dato all’EUZ un vantaggio su tutti, rendendolo uno dei siti al mondo più all’avanguardia nella ricerca, applicazione e sperimentazione, soprattutto di sistemi per il contenimento energetico delle abitazioni, pur non essendo né una mega-ditta, né tantomeno una università o un istituto di ricerca. Questo dà il senso di quanto possano fare la passione e la motivazione etica, in proporzione elementi ben più forti della spasmodica ricerca del profitto».

La trasmissione del sapere

Dalle energie rinnovabili alla fitodepurazione, dai sistemi di recupero dell’acqua piovana alle costruzioni con materiali isolanti naturali, dalla coltivazione e alimentazione biologica ai tetti verdi: per Paolo Ermani tutto ciò di cui si occupava il Centro EUZ era interessantissimo, perché arricchente, utile, importante, reale. «E visto che volevo testimoniare e diffondere anche quello che imparavo, iniziai a pensare a come coinvolgere gli italiani. Quindi organizzai corsi di formazione rivolti a cittadini italiani che venivano a visitare l’EUZ e che si portavano a casa quelle conoscenze e quelle applicazioni che, se funzionavano in Germania, figuriamoci in Italia...». «All’inizio non mi resi conto di quanto fosse stata e fosse importante e utile la mia vera “università”, che passava immediatamente dalla teoria alla pratica. Ne divenni consapevole quando, iniziando i primi corsi per italiani, costituiti da argomenti teorici subito applicati alla pratica, non pochi partecipanti (dagli studenti ai professionisti) rimanevano sgomenti nel verificare che a loro di quegli argomenti non aveva mai parlato nessuno, nemmeno accennato, zero assoluto. Meno che mai avevano visto e toccato con mano. Al massimo avevano letto qualcosa su qualche libro o rara rivista di settore. Emergeva che professori universitari, pagati a peso d’oro, erano di un’ignoranza spaventosa, l’ennesima conferma che la scuola, l’università, la formazione in genere in Italia era (e purtroppo è ancora in vari casi) in condizioni tragiche, situazione che aiutava a spiegare e spiega ancora oggi la cronica arretratezza culturale italiana dal punto di vista ambientale e non. I commenti dei corsisti, che per la prima volta sperimentavano e si

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confrontavano con argomenti dei quali avevano sentito solo parlare in maniera teorica, esprimevano indignazione e rabbia nei confronti di docenti e istituzioni che tutto avevano trasmesso tranne quanto era fondamentale per il futuro lavorativo e la sopravvivenza del pianeta». Vedendo il successo di questi corsi e l’interesse che suscitavano, Paolo propose all’EUZ di portare in Italia una mostra itinerante sulle energie rinnovabili che il Centro aveva allestito su un Tir, una vera e propria casa viaggiante perfettamente vivibile, alimentata da fonti rinnovabili e coibentata con materiali isolanti naturali. «Un gioiello di progetto, una meraviglia, geniale, era l’espressione della didattica, del fai da te, della tecnologia, tutto concentrato, montabile e smontabile su un camion» prosegue Paolo. «Era la più grande mostra di quel tipo in Europa, a oggi ancora ineguagliata. Una mostra/scuola/casa che, da sola, era un esempio che valeva più di qualunque tesi di laurea. Sono poi riuscito a portare quella mostra/casa in Italia, ho organizzato un team specializzato e ho girato il paese mostrandone il valore e il significato a decine di migliaia di persone fra studenti, cittadini, tecnici e amministratori».

La comunità orizzontale e partecipata

Paolo aveva anche studiato e osservato la struttura organizzativa del Centro tedesco, ne aveva notato pregi e limiti, spesso propri e caratteristici delle organizzazioni orizzontali e a partecipazione democratica. «Aspetti e problematiche che poi ho ritrovato simili nei vari progetti comunitari che ho conosciuto, sistemi lavorativi e organizzativi che ritengo dovranno essere il futuro della società se vuole sopravvivere. L’obiettivo principale di chi si impegna in progetti di quel tipo non è intascarsi denaro, se non avere di che vivere una vita dignitosa; è invece realizzare qualcosa che abbia senso per sé stessi e per l’ambiente. Esattamente la filosofia e la pratica che io ho sempre cercato e per la quale mi davano del matto. Spesso mi veniva da ridere mentre ripensavo a chi aveva cercato di dissuadermi dalla mia avventura a loro giudizio suicida. Certo, non sono state tutte rose e fiori; ci sono stati problemi, difficoltà, tensioni, fatica, ma niente di nemmeno lontanamente paragonabile alla assoluta noia e all’assenza di prospettive che


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mi ero lasciato dietro le spalle in Italia, dove il massimo dell’ambizione erano un qualsiasi posto di lavoro sicuro e la pensione. La pensione per molti rappresentava e rappresenta quasi una religione. Ma se per averla avessi dovuto fare per tutta la vita un lavoro frustrante e che non rispecchiava le mie aspirazioni e i miei sogni, allora… nemmeno per idea! E se, dopo tanti sacrifici, al mio primo giorno di pensionamento fossi morto? Sai che fregatura! Io volevo vivere, non galleggiare in attesa di qualcosa che magari non sarebbe nemmeno mai arrivato (e infatti con i chiari di luna successivi, altro che pensione…). Nella mia follia ero stato lungimirante a non credere alle favolette. Sono sempre stato convinto che la migliore “pensione” sia fare qualcosa di positivo per me e per gli altri, di meritevole e sensato, è questo ragionamento a darmi conforto. In fondo è così che si fa nelle comunità che non hanno perso il senno, dove l’anziano ha un ruolo centrale. Sono certo che, anche senza pensione, per quello che ho fatto finora non morirò di fame, non finirò su una panchina nel parco o davanti a un televisore in un bar, meno che mai in un ospizio o con una badante rigorosamente dell’Est, pagata in nero, come vuole la prassi italica».

Tutto è connesso e la coerenza è fondamentale

L’esperienza di Paolo Ermani non si è certo esaurita all’EUZ, ma anzi si è arricchita di viaggi in altri luoghi simili, di esperienze comunitarie, progetti dove lavorare e fare formazione, prendendo in considerazione ogni aspetto dell’esistenza per un vero e profondo cambio di paradigma. Dal lavoro all’alimentazione, dall’energia all’economia, dai sistemi organizzativi e decisionali all’agricoltura, tutto rientra in un quadro di cambiamento. «La società ci vuole a compartimenti stagni, punta sulla mancanza di coerenza» prosegue Paolo. «Così si può dare il voto a un partito ecologista e avere al tempo stesso un conto corrente in una banca che finanzia il commercio di armi; ci si può definire di sinistra ma adorare il consumismo, amare visceralmente un cane o un gatto ma mangiarsi quintali di carne, fare volontariato in un’associazione ambientalista ma poi magari lavorare tranquillamente per una multinazionale del petrolio o della chimica, e la lista sarebbe ancora lunga. C’è persino una quantità notevole di lavori inutili, in un contesto

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dove ogni cosa è slegata, non c’è connessione logica nei vari passaggi e tutto è consentito senza una minima coerenza. La verità è che invece tutto è connesso e ogni azione contribuisce a migliorare o peggiorare la vita per noi, per gli altri e per l’ambiente; tutto ha ripercussioni ed effetti. Ecco perché mi sono sempre interessato a ogni aspetto del quotidiano: in quale banca depositare i soldi che avevo, quali vestiti indossare, che tipo di alimentazione seguire, che lavoro scegliere, quale approccio alla salute, tutto per me deve avere un filo conduttore, che è quello di causare meno danni possibili al pianeta (quindi alla mia casa) e agli altri. Le scelte quotidiane sono importantissime, per questo nei corsi di formazione che organizzavo in Germania, e anche in molti di quelli successivi, ho sempre trattato vari argomenti, non solo quelli tecnici».

Il ritorno in Italia e la nascita dell’associazione PAEA

Paolo ha trascorso al Centro EUZ in Germania gli anni dal 1992 al 1997, per poi decidere di tornare in Italia per cercare di sviluppare e realizzare ciò che aveva appreso, «forte del fatto che nel nostro Paese le potenzialità geoclimatiche sono eccezionali se comparate a quelle tedesche o del Nord Europa». Insieme ad altre persone, nel 1999 ha fondato l’associazione non profit di promozione sociale PAEA1 (Progetti Alternativi per l’Energia e l’Ambiente), il cui obiettivo era ed è quello di proporre le tematiche dell’EUZ. «Ho quindi iniziato un’avventura che prosegue ancora oggi, benché abbia toccato con mano la mentalità ancora chiusa e gretta che nel nostro Paese permane e che alimenta danni su danni anziché puntare a percorrere strade virtuose sulle questioni ambientali, che potrebbero avere innumerevoli risvolti positivi dal punto di vista sociale, sanitario, occupazionale, culturale ed economico». Le attività svolte da PAEA sono molteplici e riguardano le tematiche ambientali ad ampio spettro, per realizzare e consolidare una vera e propria alternativa anche nel campo dell’occupazione. «Le resistenze sono certamente tante e forti, i governi e gli amministratori non riescono a convincersi 1. Per approfondire: www.paea.it


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del fatto che l’ambiente non è per forza un costo, che l’educazione ambientale non è solo la flora e la fauna locale, che lavorare sulla tutela ambientale è una grandissima opportunità. Laddove realisticamente e oggettivamente si potrebbero risolvere i problemi, entrano in giochi fattori quali l’arroganza, l’opportunismo, la falsità, la disonestà. Non basta parlare di cambiamento, di ambiente e di decrescita per essere migliori di chi se ne disinteressa. Con l’associazione PAEA abbiamo proprio cercato di “fare” e non solo di “parlare”: realizzando tra l’altro anche progetti per le ristrutturazioni energetiche e le costruzioni delle abitazioni, implementando e applicando soluzioni che puntano all’autosufficienza energetica, facendo formazione e informazioni sulle energie rinnovabili, seguendo cantieri e incontrando professionisti con i quali tessere relazioni, rapporti e collaborazioni».

La nascita del portale Il Cambiamento

Il gruppo che faceva capo all’associazione PAEA e la comunità di intenti che si era creata nel tempo intorno a essa approdano poi a un’idea: la realizzazione di uno strumento mediatico che permettesse di divulgare e informare su tutte le tematiche di cui Ermani e il suo gruppo si interessavano e che ai media mainstream interessavano assai poco o di cui, tutt’al più, si occupavano malamente. «È iniziata così un’altra difficile scommessa, quella di dare vita a un “giornal web quotidiano” che fornisse quelle informazioni, idee e proposte che altrimenti non sarebbero passate. Sfida complicata anche dal fatto che non volevamo che il giornale si sostenesse con i soldi di sponsor che sono parte o causa del problema. Volevamo fare un’informazione veramente indipendente sull’ambiente, quindi non potevamo accettare denaro dagli inquinatori e devastatori del pianeta. È nato così il portale Il Cambiamento2, per il quale abbiamo sempre accettato solo contributi economici dei lettori e pubblicità in linea con i valori ispiratori. Portale che funziona tuttora, costantemente aggiornato e che ha al suo attivo migliaia di articoli. Abbiamo dimostrato che se si vuole, si può fare reale informazione anche non dipen2. Il portale web di informazione quotidiana è navigabile qui: www.ilcambiamento.it

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dendo per forza dai grandi capitali e dai grandi inquinatori». «Quindi, si è aggiunto anche questo tassello a una proposta che vuole essere culturale, tecnologica, organizzativa, di qualità della vita e del lavoro».

L’Ufficio di Scollocamento

Sul fronte delle opportunità lavorative e dell’aspirazione e creare alternative alle scelte convenzionali, Paolo Ermani ha investito tempo ed energie anche nella creazione di quello che è stato chiamato “Ufficio di Scollocamento”3, scaturito pure dal confronto con Valerio Pignatta, decrescente “ante litteram” con famiglia e quattro figli. Il progetto vuole dare consulenza, formazione e informazione per chi vuole cambiare vita e lavoro, e ha trovato la sua realizzazione insieme a Simone Perotti, divenuto una sorta di emblema del cambiamento e con il quale è stato scritto un libro dall’omonimo titolo. Classe 1965, Perotti, insieme a Paolo Ermani, è stato uno dei primi a parlare alle nostre latitudini di downshifting, ossia il fenomeno, la capacità, il coraggio di scalare marcia, rallentare, cambiare vita. Per 19 anni, Simone ha lavorato come manager di multinazionali credendo nel modello che gli era stato impartito. Laurea, specializzazione, carriera; poi ha deciso di cambiare tutto. Ha lasciato il lavoro, pur senza avere a disposizione una rendita, senza proprietà mobiliari o immobiliari e ha iniziato a fare ciò che gli piaceva: scrivere, navigare, scolpire, restaurare. Che gli porta un guadagno non altissimo ma sufficiente per vivere. Abita in una casa che ha ristrutturato in Liguria, lava e restaura barche, dà lezioni di vela, fa lo skipper, scrive libri e articoli di giornale. «Simone è un amico ed è diventato un prezioso collaboratore nel progetto dell’Ufficio di Scollocamento» spiega Paolo. «Il messaggio è quello che è importante scollocarsi da un sistema suicida e fallimentare sorretto dal lavoro di tanti che vengono sfruttati e che è urgente un reale cambiamento. Facciamo formazione, forniamo consulenze e sosteniamo nella progettualità chi si rivolge a noi, con suggerimenti e strumenti concreti. Il luogo d’elezione che abbiamo scelto per fare formazione parla già di 3. www.ufficiodiscollocamento.it


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per sé: è il PeR, il Parco dell’Energia Rinnovabile,4 in Umbria, un Centro di sperimentazione, ricerca e sviluppo alimentato solo da fonti rinnovabili e che sperimenta varie tecnologie alternative che è possibile toccare con mano. La nostra convinzione è che in un luogo come il PeR pensare e pianificare il proprio cambiamento di vita e lavoro è più stimolante perché si entra in contatto con persone e realtà che lo vivono direttamente e che quindi dimostrano concretamente che è possibile. Decine sono i corsi di formazione che abbiamo condotto insieme ad Alessandro Ronca, direttore scientifico del PeR, e continuiamo ad avere riscontri estremamente gratificanti e costruttivi».

La coerenza nelle scelte di vita

Tutto ciò su cui Paolo Ermani si è sempre concentrato e di cui si è sempre interessato ha toccato e influenzato profondamente le sue scelte di vita. «Ho sperimentato in prima persona ciò di cui sono convinto: un lavoro al di fuori dei parametri convenzionali, un’alimentazione accorta, la cura della salute il più possibile in modo autodeterminato e naturale, un utilizzo positivo e sostenibile dell’energia e delle risorse, con l’obiettivo della maggiore autoproduzione e autosufficienza possibili». Di qui anche la scelta di stabilirsi vicino alla natura, scelta che è caduta sulle colline del Grossetano. «Il contatto con la natura è essenziale, ho un po’ di terra da coltivare per ricavare parte del cibo che consumo; sperimento tecniche dell’agricoltura biologica e naturale che, a differenza di ciò che molti pensano, riducono lavoro e fatica e danno migliori risultati. Scaldo la casa e l’acqua con le energie rinnovabili e uso essiccatori solari per la conservazione dei cibi. L’energia che l’autosufficienza ancora non mi consente di procurarmi la attingo da un fornitore etico che a sua volta utilizza solo fonti rinnovabili. Sono tutti elementi vissuti in prima persona che garantiscono una qualità della vita sana e a impatto positivo per me, per gli altri e per il pianeta». «Ho ristrutturato la mia casa passo dopo passo, mettendo in pratica i criteri appresi e sperimentati in trent’anni di lavoro e studio. E osservo ogni gior4. www.per.umbria.it

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no la grandissima differenza che fa l’avere una casa coibentata nel modo adeguato: d’inverno necessita di essere scaldata pochissimo e resta fresca d’estate. Mi sposto solo quando è indispensabile e utilizzando il più possibile mezzi di trasporto pubblici, ad eccezione dell’aereo ». «E si badi bene» ammonisce Paolo, «non è affatto una fatica immane affrontare tutto con queste modalità. Basta usare il cervello, ragionare, e compiere i passi conseguenti. La vita diventa più semplice, salutare e assai meno costosa. E la si può vivere in questo modo dovunque; è una prospettiva che mette al centro le persone e l’ambiente, non il profitto, non i soldi, come vuole il sistema imperante. I soldi sono solo un mezzo, non un fine».

L’alternativa possibile esiste

Dall’esperienza di vita di Paolo Ermani, così come da quella di tante altre persone nel nostro Paese e nel mondo, si trae la conferma che esiste una strada percorribile alternativa ai ritmi forsennati della modernità concentrata sul denaro, sulla crescita a ogni costo e sull’alienazione dei ritmi di vita. «Le soluzioni alternative esistono, è possibile affrontare il lavoro diversamente, accrescere la qualità della vita, dedicare maggior tempo a sé stessi, agli amici, ai propri cari, alla cultura. È possibile fare quello che veramente piace, seguire le nostre passioni. Io l’ho sperimentato e lo sperimento quotidianamente. Non è una passeggiata, non è facile, ma di sicuro è meglio che vivere in una metropoli impazzita, inquinata, correndo a destra e sinistra senza avere nemmeno il tempo di respirare. Non è sano fare un lavoro che non ci piace, che odiamo, che non ci dà null’altro che denaro, che ci impoverisce umanamente così tanto da costringerci a compensare comprando e consumando per acquietare almeno momentaneamente la frustrazione, il disagio, il malessere. Una realtà del genere non ha alcun futuro, si deve cambiare rotta. Il rischio estremamente reale è quello di vedersi passare davanti agli occhi la vita senza mai afferrarla, imprigionati in paure, timori, cliché, dogmi e scuse. Così, chi non vuole rischiare di perdere nulla, si troverà a perdere tutto. C’è un mondo intero di opportunità e attività meravigliose in cui cimentarsi, sta a noi renderlo possibile».


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GRAZIE A Gilles Vernet per avermi offerto questo “tempo di scambio” sul soggetto che appassiona entrambi; Agnès Martineau-Arbes per l’azione di vasta portata contro il burn-out e per la sua dolcezza, generosità e testimonianza;Bruna Sibille e la sua assistente Elena Martini per la loro gentilezza;Carlo Petrini per la sua disponibilità, malgrado il nostro mancato incontro;Anne-Sophie Novel per la nostra conversazione sulla sua serie “Tant de temps”;Pierre Rabhi per i ricchi anni passati al suo fianco, per avermi ispirato e continuare a farlo. Ma anche a Marie-Noëlle Himbert per la sua fiducia, assistenza e la ricchezza degli scambi; Émeline Lacombe, Françoise Vernet e Anne-Sylvie Bameule per il dinamismo mostrato nel condurre questa collana entusiasmante;Pome Bernos per le risate a crepapelle e il suo talento, che ha gentilmente accettato di mettere al servizio di questo messaggio essenziale. E altrettanto a tutti coloro, familiari e amici, che mi hanno sostenuta durante quest’avventura del burn-out; in particolare papà, la tata Martine, Audrey, Joëlle, Paul e Claire. La palma d’oro per la pazienza va ad Antoine, il mio faro, che mi permette di ritrovare la strada quando mi sono allontanata troppo… E infine ad Axel, il mio raggio di sole.



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Nelly Pons vive in Francia. È stata ballerina, giornalista, collaboratrice dell’ambientalista Pierre Rabhi e direttrice di Terre & Humanisme. Da tempo si occupa di agricoltura biologica e permacultura, più recentemente ha iniziato a scrivere libri anche su altri argomenti. Tutti i suoi scritti sono accomunati dall’esplorazione del legame tra ricerca interiore e costruzione di uno stile di vita più sostenibile e pacifico. Foto di Antoine Combier

www.terranuovalibri.it ISBN  88  6681  510  5

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E poiché il mondo continua ad accelerare, l’unica leva su cui abbiamo il potere di agire siamo noi stessi. In conclusione del libro Paolo Ermani, una delle figure più attive del movimento ecologista in Italia, ci racconta la storia esemplare di un individuo che ha scelto di rallentare e ha raggiunto il proprio obiettivo.

NELLY PONS

Nelly Pons, sopravvissuta a un burn-out, un vero e proprio collasso fisico e psichico, parte dalla propria esperienza per suggerirci come riprendere in mano le nostre esistenze e costruire un nuovo rapporto con il mondo in cui viviamo. Rallentare è uno stile di vita, un modo per vivere più consapevolmente, per ridurre l’impatto ambientale dei nostri consumi e per aumentare il tempo e lo spazio dedicato alle relazioni con gli altri, con noi stessi e la natura. Rallentare non significa andare al rallentatore ma saper dosare il proprio ritmo ed elaborare un nuovo equilibrio tra velocità e lentezza.

NELLY P ONS

Scegliere di RALLENTARE

Quante volte ci diciamo che «non abbiamo tempo» per seguire un hobby, visitare un amico o semplicemente per fare nulla? Viviamo immersi in una società che ci spinge a essere frenetici, iperattivi, a voler possedere sempre qualcosa, a consumare noi stessi e le risorse del Pianeta.


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