ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDO Quarta edizione
ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDO
Quarta edizione Dedicata a Malala Yousafzai
Associazione 46째 Parallelo
ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDO QUARTA EDIZIONE
Direttore Responsabile Raffaele Crocco Capo Redattore Federica Ramacci
assoc iazio ne cultu rale
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In redazione Beatrice Taddei Saltini Daniele Bellesi Hanno collaborato Paolo Affatato Andrea Baranes Barbara Bastianelli Giulia Bondi Fabio Bucciarelli Pietro Cavallaro Francesco Cavalli Luigi Cortellessa Angelo d’Andrea Angela de Rubeis Angelo Ferrari Marina Forti Federico Fossi Emanuele Giordana Flora Graiff Diego Ibarra Sanchez Rosella Ideo Adel Jabbar Stefano Liberti Enzo Mangini Federica Miglio Luisa Morgantini Enzo Nucci Ilaria Pedrali Alessandro Piccioli Alessandro Rocca Stefano Rossini Ornella Sangiovanni Luciano Scalettari Renato Kizito Sesana Pino Scaccia Alessandro Turci Roberto Zichittella Editing Marika Tamanini Anna Cinzia Dellagiacoma
Redazione Associazione 46° Parallelo Via Piazze 34 - Trento info@atlanteguerre.it www.atlanteguerre.it
Un ringraziamento speciale a: Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR)
Foto di copertina ©Diego Ibarra Sánchez www.diegoibarra.com
Giovanni Puglisi, Presidente Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International
Si ringrazia Flora Graiff, creatrice de “Il mondo di Kako”, per aver voluto partecipare al progetto
Testata registrata presso il Tribunale di Trento n° 1389RS del 10 luglio 2009 Tutti i diritti di copyright sono riservati ISSN: 2037-3279 ISBN-13: 978-8866810186 Finito di stampare nel dicembre 2012 Grafiche Garattoni - Rimini
Progetto grafico ed impaginazione Daniele Bellesi Progetto grafico della copertina Daniele Bellesi
Indice
Algeria Ciad Costa d’Avorio Guinea Bissau Liberia Libia Mali Nigeria Repubblica Centrafricana Repubblica Democratica del Congo Sahara Occidentale Somalia Sudan Sud Sudan Uganda
48 52 56 60 64 68 72 76 80 84 88 92 96 100 104
Colombia Haiti
112 116
Afghanistan Cina/Tibet Filippine India Iraq Kashmir Kirghizistan Pakistan Thailandia Timor Est Turchia Yemen
124 128 132 136 140 144 148 152 156 160 164 168
5 6 9 10 11 14 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 37 39 41 43 45 46
Editoriale Raffaele Crocco Saluti Amministratori Introduzione Barbara Bastianelli Introduzione Flavio Mongelli Introduzione Riccardo Noury Istruzioni per l’uso Raffaele Crocco La situazione Raffaele Crocco Il mondo in movimento/1 Laura Boldrini Beni a rischio/1 Giovanni Puglisi Banche e guerra Andrea Baranes Informazione e guerra Enzo Nucci Vittime di guerra/1 Luisa Morgantini Geografia della guerra Rosella Ideo Evoluzione dei conflitti Enzo Nucci Land grabbing Stefano Liberti Vittime di guerra/2 Renato Kizito Sesana SPECIALE LA PIRATERIA La pirateria/1 Alessandro Rocca La pirateria/2 Enzo Mangini La pirateria/3 Luciano Scalettari Africa Libertà e giustizia sono il sogno africano Amnesty International SCHEDE AFRICA
108 109 110
Inoltre Etiopia America C’è ancora Guantanamo nell’America di Obama Amnesty International SCHEDE AMERICA
Israele/Palestina Libano Siria
178 182 186
Cecenia Cipro Georgia Kosovo
194 198 202 206
120 121 122
Inoltre Messico Asia Fra integralismo e dittature Amnesty International
172 175 176
Inoltre Birmania - Corea del Nord/Sud - Iran Medio Oriente I diritti umani sono lontani Amnesty International SCHEDE MEDIO ORIENTE
191 192
Europa In Europa vince la chiusura Amnesty International SCHEDE EUROPA
210
Inoltre Paesi Baschi
211 213 215 218 222 223 225 227 231 234 239 241 245 246 247
SPECIALE SVOLTA ISLAM Resta il dubbio sull’inizio del cambiamento Adel Jabbar Foto reportage dalla Siria Fabio Bucciarelli Altri stati coinvolti Ilaria Pedrali Le missioni Onu Nazioni Unite - I Caschi Blu Raffaele Crocco Vittime di guerra/3 Federico Fossi Il mondo in movimento/2 Giulia Bondi Foto reportage dalla Colombia Diego Ibarra Sanchez Beni a rischio/2 Luigi Cortellessa Beni a rischio /3 Federica Ramacci Gruppo di lavoro Glossario Fonti Ringraziamenti
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SCHEDE ASIA
Idea e progetto Associazione 46째 Parallelo Via Piazze 34 - Trento
Edizione Editrice AAM Terra Nuova S.r.l. Via Ponte di Mezzo, 1 50127 - Firenze Tel. +39 055 3215729 Fax +39 055 3215793 info@aamterranuova.it www.aamterranuova.it
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Foto di Fabio Bucciarelli
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Con la collaborazione di
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Sponsor PROVINCIA DI PESARO E URBINO
In collaborazione con
Editoriale
Mi hanno raccontato una storia. Conoscere la guerra, per smettere di farla
Lorenzo Taliani - Fzero Photographers
Il Direttore Raffaele Crocco
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U
n giorno, qualche anno fa, in un luogo che non ricordo, forse negli Stati Uniti, forse in Europa, era stato organizzato un convegno per trovare soluzione alle troppe guerre dell’Africa. Erano stati invitati Presidenti, capi di Governo, capi Tribù e ognuno di loro aveva raccontato quello che accadeva nel proprio Paese. Ad un certo punto si era alzato un vecchio capo, di non so quale Regione. “Anche noi – aveva detto – siamo stati impegnati per anni in una tremenda guerra contro i nostri vicini. Per un tempo interminabile noi e loro abbiamo combattuto per controllare l’acqua della nostra terra. Poi, un giorno, vicino ad un pozzo c’è stato un morto. Era davvero troppo: abbiamo subito smesso di combattere”. Davvero è accaduto, non è una favola. Davvero esistono nel mondo, in qualche Regione sperduta che poco conosciamo, essere umani che smettono di farsi la guerra se qualcuno muore. Potrà sembrare un sogno, invece è un segno: dentro la nostra pancia, nella nostra testa o nell’anima, se preferite, c’è l’idea che la morte in guerra di qualcuno sia ingiusta, per qualsiasi ragione. È un’idea da coltivare anche leggendo questo Atlante. Per la quarta volta, in quattro anni, mettiamo in fila ciò che accade nel Pianeta. Alcune guerre sembrano essere alla fine, dopo decenni: nei Paesi Baschi, in Colombia, in parte nelle Filippine. Altre sono arrivate a sconvolgere la vita di milioni di persone, costrette a fuggire, a lasciare tutto. Nel Mali l’integralismo sta distruggendo storia e cultura di un popolo in nome di un dio. In Siria il potere difende se stesso uccidendo chi dovrebbe governare. Storie che teniamo lontane. La Comunità internazionale sta mostrando – anche in questi casi, soprattutto in Siria – la propria incapacità nel trovare soluzioni, nel portare pace. Gli interessi contrari e contrastanti delle potenze che siedono nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite impediscono interventi e rendono inevitabile l’idea del massacro. Quando non siamo distratti, scopriamo di essere addolorati e impotenti. L’unica strada possibile, allora, è continuare a raccontare quello che avviene, insistere nell’informare, pensando che ognuno, poi, possa avere una libera opinione e possa chieder conto di quello che accade. È la vecchia storia della democrazia, amici miei. Lo abbiamo dimenticato, ma a volte funziona ancora.
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Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati United Nations High Commissioner for Refugees
I dati contenuti nella tabella a fianco sono forniti dall’Alto Commissariato per i Rifugiati UNHCR. Sono dati ufficiali tratti dal rapporto Global Trends 2011 uscito nel giugno 2012 dai quali è possibile vedere i flussi dei rifugiati in entrata ed in uscita da ogni singolo paese. Per un approfondimento rimandiamo alla consultazione del rapporto stesso.
RIFUGIATI ORIGINATI DAL SUDAN RIFUGIATI
500.014
PRINCIPALI PAESI CHE ACCOLGONO QUESTI RIFUGIATI CIAD
298.311
SUD SUDAN
76.845
ETIOPIA
45.286
SFOLLATI PRESENTI NEL SUDAN 2.422.520 RIFUGIATI ACCOLTI NEL SUDAN RIFUGIATI
139.415
PRINCIPALI PAESI DA CUI ARRIVANO QUESTI RIFUGIATI ERITREA
100.464
CIAD
31.871
L’Unione Africana vuole il referendum Il Consiglio Pace e sicurezza dell’Unione Africana (Ua) garantirà il proprio sostegno perché si giunga allo svolgimento del referendum sullo status di Abyei, la Regione petrolifera contesa al confine tra Nord e Sud Sudan. L’organismo dell’Ua l’ha annunciato nel novembre 2012, concedendo sei settimane ai due Paesi per indicarne le modalità di svolgimento. La questione di Abyei era rimasta irrisolta anche nell’ambito dei diversi accordi sottoscritti dai due Presidenti – Omar el Bashir per il Sudan e Salva Kiir per il Sud Sudan – firmati alla fine di settembre del 2012. Il Consiglio ha annunciato che, in caso di mancato accordo, il referendum verrebbe organizzato sotto gli auspici dell’Onu nell’ottobre 2013. La consultazione avverrebbe fra i residenti nella Regione, escludendo la comunità nomade dei Misseriya, che invece il Governo di Khartoum vorrebbe includere fra i partecipanti. I Misseriya sarebbero favorevoli a rimanere col Sudan, i residenti di Abyei, invece, sarebbero in maggioranza pro Sud Sudan.
UNHCR/W. Stone
Il 2012 si apre con una dura diatriba fra Nord e Sud Sudan per la questione dei diritti di pedaggio che il Sud deve pagare al Nord per usarne gli oleodotti. Il Governo di Juba sceglie la linea dura: interrompe la produzione di greggio, privando il Governo di Khartoum di un ingente introito (ma anche se stesso, dato che il 98% delle entrate dello Stato dipendono dal petrolio). Seguono mesi di trattative e accordi subito disattesi: gli scontri armati al confine continuano. Nel maggio 2012 Khartoum ritira le sue truppe da Abyei (ricca di greggio, controllata dal Nord ma reclamata dal Sud). Decisione che consente di riaprire il tavolo di trattative fra i due Paesi. Intanto, però, la situazione economica del Paese precipita: il crollo delle entrate dovuto al blocco di produzione decretato da Juba provoca una progressiva impennata dei prezzi e dell’inflazione. Il Governo sudanese, per fronteggiare la crisi, emana drastiche misure di austerità, fra le quali i tagli ai sussidi sul carburante e su alcuni beni di prima necessità. La popolazione reagisce scendendo ripetutamente in piazza. Sul versante bellico, il Paese si trova in una situazione difficile: è l’unico Stato al mondo ad avere quattro fronti di guerra interna: il Darfur, il Blue Nile, il Sud Kordofan e Abyei. Verso la fine di luglio 2012 si riaccende il conflitto in Darfur. L’esercito di Khartoum si scontra con i ribelli del Jem (Movimento per la giustizia e l’eguaglianza) e proclama di aver ucciso una cinquantina dei suoi miliziani. Scontri e scaramucce continuano nei mesi successivi, nel solo mese di ottobre 2012, tre diversi agguati uccidono cinque caschi blu di Unamid, la missione ibrida Onu-Unione Africana dispiegata nella Regione Occidentale del Sudan. Intanto, peggiora la situazione nel Blue Nile e nel Sud Kordofan: centinaia di migliaia di profughi fuggono in Sud Sudan dove si viene a creare – specie nell’immenso campo rifugiati di Yida – una grave emergenza umanitaria. Finalmente, l’8 agosto, Khartoum e Juba raggiungono un primo accordo sulla questione dell’utilizzo degli oleodotti. E il 27 settembre 2012 il Parlamento di Khartoum (in contemporanea con quello di Juba) ratifica l’accordo rag-
SUDAN
Generalità Nome completo:
Repubblica del Sudan
Bandiera
Lingue principali:
Arabo, i diversi gruppi etnici parlano oltre 400 lingue locali, inglese
Capitale:
Khartoum
Popolazione:
34.500.000
Area:
1.886.068 Kmq
Religioni:
Musulmani (60%, predominanti fra arabi e nuba, nelle regioni del Centro-Nord), cattolici (15,5%), arabi cristiani (1%), aderenti a religioni tradizionali (23,5%)
Moneta:
Sterlina sudanese
Principali esportazioni:
Petrolio e prodotti petroliferi, cotone, sesamo, arachidi, gomma arabica, zucchero, bestiame
PIL pro capite:
Us 2.700
giunto ad Addis Abeba. Le intese riguardano la gestione del petrolio, i confini, la creazione di una fascia demilitarizzata lungo la frontiera e il reciproco riconoscimento dei diritti di cittadinanza (ma resta irrisolto lo status amministrativo della Regione petrolifera di Abyei).
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Situazione attuale e ultimi sviluppi
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Il Governo sudanese non può permettersi di perdere altre aree del suo territorio, con la secessione del Sud, ha dovuto rinunciare all’85% delle riserve di greggio e a buona parte della produzione agricola, che proveniva dalle fertili Regioni Meridionali, passate sotto il controllo di Juba. Il Paese, di fatto, è a rischio di disgregazione: ben quattro Stati della federazione sono abitate da una popolazione che in maggioranza rifiuta il potere di Khartoum. Nel Darfur non c’è alcuna evoluzione che faccia pensare a una soluzione della difficile situazione che perdura dal 2003 (nonostante la ripresa delle trattative fra Governo e ribelli verso la fine di novembre 2012 in Qatar), e che non riesplode con la stessa violenza dei primi anni di guerra civile solo per la
presenza della missione Onu. L’altra cruciale ragione dei combattimenti – che riguarda invece gli Stati del Nord a ridosso del confine col nuovo Paese secessionista – è il petrolio. Quel 15% dei giacimenti rimasti in mano al Governo di Omar Hassan El Bashir si trovano nelle Regioni di Abyei, del Sud Kordofan e del Nilo Azzurro, tre aree dove storicamente il movimento ribelle aveva massicciamente appoggiato l’Spla (l’Esercito di Liberazione del Sud Sudan) nella lunga guerra contro il Nord. Nelle tre Regioni si chiede il referendum per l’autodeterminazione, che finora il Governo sudanese non ha mai voluto concedere. Nel caso di Abyei, peraltro, la consultazione era stata prevista già negli accordi di pace del 2005, ma Khartoum finora ne ha impedito la realizzazione.
Per cosa si combatte
La storia tardo coloniale e post-coloniale del Paese africano è stata sempre caratterizzata da conflitti, tensioni e violenze nelle diverse regioni del Paese. Una sequela ininterrotta di guerre civili che ne hanno segnato tutta la storia, tanto che si può affermare che il grande Paese africano non ha mai avuto periodi significativi di pace e stabilità. Dagli anni ‘50 è stato un continuo susseguirsi di colpi di Stato e di giunte militari. Anche l’attuale Presidente, Omar Hassan El Bashir, che guida il Paese dal 1989, è salito al potere con un golpe. Altrettanto costanti nel tempo sono state le tensioni e gli scontri armati fra il Nord del Paese, arabo e islamizzato, e il Sud, africano e cristiano-animista. Solo con la secessione delle Regioni Meridionali e la nascita della Repubblica del Sud Sudan, avvenuta il 9 luglio 2011, questo interminabile conflitto si è chiuso, aprendone tuttavia altri, nei territori contesi degli Stati di Abyei, del Sud Kordofan, del Nilo Azzurro, ossia quegli Stati della federazione ai quali il Governo di Khartoum non ha consentito di scegliere attraverso l’autodeterminazione se rimanere con il Nord o passare nel nuovo Stato della Repubblica del Sud Sudan. La fase bellica più lunga e cruenta è stata sicuramente la guerra combattuta fra il 1983 e il 2003: i gruppi ribelli (guidati dalla più importante delle fazioni, l’Spla-Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese) si sono battuti per ottenere l’indipendenza dal Nord. Quello che non hanno ottenuto le armi, poi, l’ha fatto il petrolio: il bisogno crescente di greggio ha portato la comunità internazionale (Stati Uniti e Cina in testa) a moltiplicare le pressioni per il raggiungimento della pace, anche perché la maggior parte dei giacimenti si trovavano nella zona di confine fra il Nord e il Sud del Paese (e ora, con la divisione in due seguita alla secessione, l’85% dei giacimenti è rimasto nel territorio del nuovo Stato, nel Sudan Meridionale). La fine del conflitto sudanese, fortemente voluta dai Paesi industrializzati e ottenuta con gli
Accordi generali di pace del 2005, ha portato in breve tempo allo sviluppo delle infrastrutture per l’industria estrattiva e all’assegnazione di molte concessioni petrolifere (in gran parte accaparrate dalla Cina), tanto che alla vigilia della divisione dei due Stati il petrolio costituiva l’80% delle esportazioni del Paese. Ma con la nascita della Repubblica del Sud Sudan sono sorti nuovi problemi: il grosso dei giacimenti è rimasto nel Sud, ma le infrastrutture sono rimaste al Nord. Inoltre, fra i due Stati si sono dovuti ridiscutere il sistema delle divisioni delle royalties e gli accordi per l’utilizzo da parte del Sud Sudan degli oleodotti che attraversano le Regioni del Nord. Problemi, questi ultimi, che hanno provocato la gran parte delle tensioni e degli scontri armati lungo la frontiera nel corso del 2012, fino all’accordo siglato ad Addis Abeba in ottobre. Sul piano internazionale, il Governo sudanese ha da molti anni rapporti non facili con l’Europa e con la gran parte dei Paesi industrializzati occidentali. Con gli Stati Uniti, le relazioni sono state a lungo molto tese, specie dopo il 2001, quando l’intelligence americana appurò che Osama bin Laden era stato protetto a Khartoum per lunghi periodi. Tensioni che erano sfociate in aperta ostilità nei primi anni della guerra ci-
Quadro generale
Quel che resta del petrolio Centoventimila barili al giorno. È ciò che resta della produzione petrolifera sudanese dopo la secessione del Sud. Nel 2012, questa è stata la produzione del Paese africano secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale (Fmi). All’inizio dell’anno l’obiettivo era stato fissato in 180mila barili/giorno, ma pare che problemi tecnici e la presenza di giacimenti “maturi” abbiano portato a una produzione di greggio ridotta. Sempre secondo l’Fmi, la separazione dal Sud Sudan (luglio 2011) ha dimezzato le entrate fiscali del Governo di Khartoum, ma ritiene tuttavia che future esplorazioni e la ripresa dell’attività di giacimenti esistenti potrebbero far crescere la produzione petrolifera già nel 2013, fino a raggiungere i 240mila barili/giorno nel 2020.
UNHCR/L. Aström
Ali Mahdi Nouri (Khartoum) UNHCR/ V.Tan
La questione dei Nuba Da giugno del 2011 sui Monti Nuba (Sud Kordofan) è guerra. Bombardamenti, raid aerei, incursioni dell’esercito di Khartoum si susseguono. Un’azione di repressione che presenta tragiche analogie con quanto avvenuto in Darfur nei primi anni della guerra civile. Da più parti, nella comunità internazionale, si parla esplicitamente di genocidio in atto. Si stima che almeno mezzo milione di persone abbia abbandonato i propri villaggi per cercare scampo dal conflitto fuggendo in Sud Sudan, dove vanno a ingrossare i campi dei rifugiati, accanto ai profughi provenienti dalle altre aree del Sud Kordofan e del Blue Nile. Il personale umanitario e i missionari che hanno potuto verificare sul posto la situazione, hanno riferito nel corso del 2012 di una situazione umanitaria drammatica, con i piccoli ospedali della Regione colmi di feriti, donne e bambini mutilati. Il conflitto oppone le Forze armate sudanesi all’Spla-N, ossia l’Esercito popolare del Sudan-Nord. I leader della ribellione accusano il Governo di aver mobilitato 45mila combattenti, per lo più reclutati dalle Forze di difesa popolari (organizzazioni paramilitari), per lanciare i loro attacchi. Khartoum, dal canto suo, accusa il Governo di Juba di sostenere i guerriglieri. Per la martoriata popolazione dei Nuba, alla guerra si aggiunge il dramma dell’assenza quasi totale di aiuti umanitari (e del silenzio generale dei mezzi d’informazione su quanto sta avvenendo): il Governo sudanese ha per lungo tempo negato l’accesso agli aiuti umanitari. Unione africana, Lega araba e Nazioni unite, nella primavera del 2012, avevano anche firmato un documento (“Proposta per la libertà di accesso degli aiuti umanitari”) per fare pressione su Khartoum e ottenere l’apertura di corridoi umanitari. Richiesta che ha trovato ascolto solo nel giugno 2012, ma a condizione che non venissero aperti campi profughi in territorio sudanese.
vile del Darfur, quando il Governo statunitense aveva operato forti pressioni diplomatiche per ottenere dall’Onu che la repressione di Khartoum sui darfuriani fosse considerata genocidio, decisione che avrebbe comportato l’intervento armato sotto l’egida delle Nazioni Unite in territorio sudanese (all’epoca ancora unito al Sud Sudan). I forti contrasti fra Washington e Khartoum si
I PROTAGONISTI
erano attenuati nella fase precedente al referendum per la secessione del Sud, e in tutta la fase seguente fino alla proclamazione dell’indipendenza dello Stato di Juba. Nel 2012 le tensioni fra i due Paesi sono nuovamente cresciute, in coincidenza con le dispute sul confine fra Nord e Sud Sudan e con l’esplodere dei nuovi focolai di conflitti civili nelle Regioni Meridionali (Sud Kordofan, Blu Nile e Abyei) nelle quali la maggioranza della popolazione vuole l’annessione al Sud Sudan. Dal 1997 gli Stati Uniti rinnovano di anno in anno l’embargo nei confronti del regime di Khartoum.
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Attore, regista e musicista sudanese, Ali Mahdi Nouri usa da sempre l’arte come strumento di dialogo, dimostrando come il teatro possa essere essenziale per costruire processi di pace. Direttore dell’organizzazione “Villaggi del Fanciullo”, nel 2012 è stato premiato dall’Unesco come “artista della Pace” Le sue attività si svolgono quasi sempre al fronte, dove bambini soldato e rifugiati politici sono costretti a vivere, spesso senza una famiglia, in campi d’accoglienza e centri di primo soccorso, privati del naturale diritto a vivere. Oltre a essere presidente dell’associazione impegnata in Sudan con 2 Villaggi Sos e altre strutture di accoglienza per minori orfani, abbandonati e senza famiglia sostenuti con le adozioni a distanza, è anche attore e direttore teatrale. Nel 2004 ha fondato l’AlBuqaa, un’esperienza di teatro itinerante attraverso le zone in guerra del Sudan, dove ha portato performances teatrali basate su racconti popolari, tradizioni e storie dell’Africa. Lo scopo – dichiara – è di fare dell’arte un veicolo creativo per il dialogo e la multiculturalità, la pace, il reinserimento e la socializzazione per tanti bambini cresciuti e costretti a vivere in contesti difficili.
ISBN-13: 978-8866810186
€ 20,00