Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo - V Edizione

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ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDO Quinta edizione


ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDO

Quinta edizione Dedicata a Nelson Mandela

Associazione 46째 Parallelo


ATLANTE DELLE GUERRE E DEI CONFLITTI DEL MONDO QUINTA EDIZIONE

Direttore Responsabile Raffaele Crocco Capo Redattore Federica Ramacci

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In redazione Beatrice Taddei Saltini Daniele Bellesi Hanno collaborato Paolo Affatato Fabio Bucciarelli Nicole Corritore Angelo d’Andrea Davide Demichelis Marina Forti Federico Fossi Anna Frattin Emanuele Giordana Mariangela Gritta Grainer Rosella Ideo Adel Jabbar Enzo Mangini Federica Miglio Razzi Mohebi Sohelia Mohebi Enzo Nucci Ilaria Pedrali Alessandro Piccioli Alessandro Rocca Ornella Sangiovanni Luciano Scalettari Pino Scaccia Fabrizio Tassadri Alessandro Turci Roberto Zichittella

Redazione Associazione 46° Parallelo Via Piazze 34 - Trento info@atlanteguerre.it www.atlanteguerre.it

Un ringraziamento speciale a: Gabriele Eminente, Direttore Generale Medici Senza Frontiere Italia Federico Fossi, Unhcr Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International

Foto di copertina Foto del reportage "Battle to Death" scattata ad Aleppo in Siria il 10/10/2012 ©Fabio Bucciarelli www.fabiobucciarelli.com

Marica Di Pierri, Cdca Testata registrata presso il Tribunale di Trento n° 1389RS del 10 luglio 2009 Tutti i diritti di copyright sono riservati ISSN: 2037-3279 ISBN-13: 978-8866810292 Finito di stampare nel gennaio 2014 Grafiche Garattoni - Rimini

Editing Antonella Carlini Marika Tamanini Progetto grafico ed impaginazione Daniele Bellesi Progetto grafico della copertina Daniele Bellesi


Indice

Algeria Ciad Costa d’Avorio Guinea Bissau Liberia Libia Mali Nigeria Repubblica Centrafricana Repubblica Democratica del Congo Sahara Occidentale Somalia Sudan Sud Sudan Uganda

44 48 52 56 60 64 68 72 76 80 84 88 92 96 100

Colombia Haiti

108 112

Afghanistan Cina/Tibet Filippine India Iraq Kashmir Kirghizistan Kurdistan Pakistan Thailandia Timor Est Yemen

120 124 128 132 136 140 144 148 152 156 160 164

5 6 8 9 10 11 14 15 17 19 21 23 25 27 29 30 31 33 35 37 41 42

Editoriale Raffaele Crocco Saluti Amministratori Introduzione Riccardo Noury Introduzione Gabriele Eminente Introduzione Marica Di Pierri Introduzione Mariangela Gritta Grainer Istruzioni per l’uso La Redazione La situazione Raffaele Crocco Informazione e guerra/1 Pino Scaccia Vittime di guerra/1 Razi e Sohelia Mohebi Vittime di guerra/2 Gabriele Eminente Informazione e guerra/2 Enzo Nucci Geografia della guerra Rosella Idéo Evoluzione dei conflitti Enzo Nucci SPECIALE DONNE E GUERRA Donne e guerra/1 Federica Ramacci Donne e guerra/2 La Redazione Donne e guerra/3 Cdca Donne e guerra/4 Nicole Corritore Donne e guerra/5 Federica Miglio Africa Diritti umani, illusione africana Amnesty International SCHEDE AFRICA

104 105 106

Inoltre Etiopia America Stampa e giornalisti sempre nel mirino Amnesty International SCHEDE AMERICA

Israele/Palestina Libano Siria

174 178 182

Cecenia Cipro Georgia Kosovo

190 194 198 202

116 117 118

Inoltre Messico Asia In Asia il dissenso non viene tollerato Amnesty International

168 171 172

Inoltre Birmania/Myanmar - Corea del Nord/Sud - Iran Medio Oriente L’ingiustizia ha il volto dei profughi Amnesty International SCHEDE MEDIO ORIENTE

187 188

Europa Nella libera Europa vietata l’opposizione Amnesty International SCHEDE EUROPA

206

Inoltre Irlanda del Nord, Paesi Baschi

209 210 212 216 217 219 221 223 224 227 229 230 232 236 237 241 244 245 247

SPECIALE SVOLTA ISLAM Slolta Islam. A che punto siamo Adel Jabbar Altri stati coinvolti Ilaria Pedrali Le missioni Onu Nazioni Unite - I Caschi Blu Raffaele Crocco Vittime di guerra/3 Federico Fossi Vittime di guerra/4 Unhcr SPECIALE CONFLITTI AMBIENTALI I conflitti ambientali/1 Cdca I conflitti ambientali/2 Cdca SPECIALE PIRATERIA La pirateria/1 Alessandro Rocca La pirateria/2 Alessandro Rocca Amnesty 2013 Amnesty International Racconti di viaggio Anna Frattin/Fabrizio Tassadri Gruppo di lavoro Fonti Glossario Ringraziamenti

3

SCHEDE ASIA


Idea e progetto Associazione 46째 Parallelo Via Piazze 34 - Trento

Edizione Associazione 46째 Parallelo Via Piazze 34 - Trento info@atlanteguerre.it www.atlanteguerre.it In collaborazione con Editrice AAM Terra Nuova S.r.l. Via Ponte di Mezzo, 1 50127 - Firenze Tel. +39 055 3215729 info@aamterranuova.it www.aamterranuova.it

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Editoriale

Attacco a diritti e democrazia Così si alimenta la guerra

UNHCR/J. Akena

Il Direttore Raffaele Crocco

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S

ono sempre lì. Tutte e 36 sono sempre lì, non si muovono, le dannate. Le guerre del Pianeta, quelle in qualche modo dichiarate e combattute, non diminuiscono mai. Per una che finisce, un’altra inizia, in una girandola che fa perdere testa e speranze. Il 2013 si è chiuso con gli attentati in Russia, alla viglia delle olimpiadi invernali, la ripresa della guerra nella Repubblica Democratica del Congo – ma era mai finita davvero? -, la crisi politica della Thailandia, la ripresa della repressione in Ciad. Cito solo alcune cose, la lista è davvero lunga. Ad accorciarsi è solo la speranza. Rimaniamo prigionieri dei veti incrociati, degli interessi delle nuove potenze economiche, dell’incapacità europea ad esprimere una minima politica di peso nel mondo. La Siria, 140mila morti, milioni di rifugiati, è diventata il nuovo epicentro dello scontro e del massacro. La volontà del regime di non mollare, il sogno degli integralisti islamici di creare un califfato, la voglia di libertà dei siriani che si sono ribellati per primi e la determinazione dei curdi di avere finalmente uno stato loro e libero, creano un cocktail di violenza che nessuno vuole davvero affrontare. L’Onu in questa storia ha mostrato anche negli ultimi dodici mesi tutti i suoi limiti, subendo anche l’affronto di un Paese, l’Arabia Saudita, che ha rifiutato di entrare come membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza: inutile farlo – hanno spiegato i diplomatici sauditi – data l’incapacità di intervento. Così, l’ultimo brandello di speranza, l’unico teorico strumento di intervento che il mondo si era dato per risolvere le crisi, si avvia al tramonto definitivo. L’impressione è che non ci creda più nessuno e che nessuno pianga per questo. Affondare l’Onu, distruggerne immagine e contenuti, abbatterlo è la stessa operazione che in vari Paesi avanza per eliminare la democrazia. Non solo come forma – badate bene, per quello basta un qualsiasi golpe – ma come idea forte, come valore. Da un lato, si distrugge l’Onu svuotandolo di significati e rendendo marginale, inutile, superato dal tempo, tutto ciò che è scritto nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Si finge di darli per scontati, quindi inutile avere luoghi che ne garantiscano l’esistenza. Dall’altro lato, si lavora per fare della democrazia un pezzo del passato, reso vano dalla velocità dei tempi, dalle necessità del mercato e dalle nuove esigenze degli individui. Attenti: accade in Europa, succede a casa nostra, con dati di affluenza al voto ormai ridicoli. Nel mondo ogni cosa avanza trascinandone altre con se. Ignorare la catastrofe che ogni guerra porta, significa non renderci conto che ogni guerra ha una qualche influenza su ciò che siamo e saremo, sul nostro quotidiano, sul futuro. Pensare la guerra come ad una cosa degli altri vuol dire creare le condizioni per essere noi le prossime vittime.


Introduzione

Informare in nome della pace Questo libro sarebbe piaciuto a Ilaria e Miran

Mariangela Gritta Grainer Presidente Associazione Ilaria Alpi

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L

a pubblicazione della quinta edizione dell’Atlante delle guerre e dei conflitti arriva in un momento particolare: il 20 marzo 2014 saranno venti anni da quando Ilaria è stata assassinata “nel più crudele dei giorni” insieme a Miran Hrovatin a Mogadiscio: un’esecuzione preordinata e ben organizzata perché lei tacesse per sempre e non potesse più raccontare. “Non tacere” era il titolo dell’appuntamento per il 19° premio televisivo “Ilaria Alpi” che si è concluso lo scorso settembre a Riccione. Conoscere, cercare, svelare, raccontare… non tacere: imperativo categorico, scelta etica che si rintraccia sempre nei lavori di Ilaria. Non tacere e raccontare le guerre che ci sono nel mondo, spesso sconosciute o dimenticate: è l’ispirazione dell’Atlante fin dalla sua prima edizione. “L’Italia ripudia la guerra” è scritto nella nostra Costituzione (art.11). Nella realtà non è però così: Perché molti Paesi (oltre alle superpotenze) hanno la bomba atomica. Perché al terrore nucleare, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, si è sostituito l’incubo del terrorismo e di nuove guerre per combatterlo. Perché i conflitti cosiddetti locali in corso sono tanti, in ogni parte del mondo. Perché si continuano a fabbricare armi che poi, ineluttabilmente, si vendono legalmente o illegalmente per alimentare i conflitti locali. Perché l’Italia è il quinto Paese produttore di armamenti bellici e il primo esportatore mondiale per pistole e fucili, armi “leggere” non soggette ai controlli della legge e che finiscono prevalentemente nei Paesi del Sud del mondo. Perché l’Italia partecipa, insieme con altri Stati e Nazioni, a guerre e noi ce ne accorgiamo solo quando muore un militare italiano, un ragazzo, un figlio nostro. Perché le guerre uccidono e sottraggono risorse per lo sviluppo. Perché noi viviamo in una parte del mondo che ospita il 20% della popolazione e consuma l’85% della ricchezza, e siamo convinti che i diritti umani riguardino questo 20% senza pensare alle persone che vivono “Dove i diritti umani non esistono più” o non esistono ancora. È tempo di costruire una cultura di pace: è questa la finalità di questa pubblicazione proprio perché parla di guerre. L’Associazione Ilaria Alpi pensa che la cultura della pace può crescere ed affermarsi solo insieme alla cultura della legalità, della giustizia e della verità. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin uccisi con un solo colpo ciascuno sparato alla nuca: perché Ilaria aveva rintracciato, nel suo lavoro d’inchiesta, un gigantesco traffico internazionale di rifiuti tossici e di armi che aveva nella Somalia (martoriata da un sanguinario dittatore come Siad Barre prima e dalla guerra civile poi) un crocevia importante oltre che in zone del nostro Paese come solo in questi giorni viene “rivelato”. A gestire sono mafia,’ndrangheta e camorra, organizzazioni criminali che godono di coperture e complicità nelle strutture di potere pubbliche e private. Sappiamo già quel che è successo quella domenica 20 marzo 1994. Sappiamo quel che è successo prima e anche dopo, il perché, forse anche da chi era composto il commando assassino, ma ancora non sappiamo con certezza chi ha ordinato l’esecuzione e chi ha coperto esecutori e mandanti. Vogliamo che il 2014 sia l’anno della verità, tutta la verità, e della giustizia. Ce la faremo grazie a Luciana e Giorgio Alpi (Giorgio ci ha lasciato ma è sempre con noi): ci hanno insegnato tanto con il loro dolore, la dignità, l’indignazione, l’orgoglio, l’impegno incessante. Ce la faremo grazie alle donne e uomini di buona volontà, tantissimi amici dell’Associazione e del premio Ilaria Alpi a partire da quanti lavorano con passione e competenza per aggiornare e rinnovare l’Atlante delle guerre e dei conflitti: una pubblicazione che sarebbe piaciuta molto a Ilaria.


Istruzioni per l’uso La redazione

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Piccola guida alla lettura della quinta edizione Questa guida è ormai una tradizione. Esiste da quando esiste l’Atlante perchè i temi trattati sono “sensibili”, si prestano a interpretazioni, prese di posizione, perché no anche a strumentalizzazioni. Spiegare, quindi, le ragioni che ci hanno portato a scrivere, trattare e impaginare in un certo modo argomenti e fatti diventa essenziale per dare la giusta chiave, o almeno quella che secondo noi è la giusta chiave. Detto questo cominciamo, scusandoci con i lettori affezionati, che si ritroveranno dinnanzi a cose già dette. Iniziamo dalle novità. Questa quinta edizione vede nascere la collaborazione con Medici Senza Frontiere. Ci pare fondamentale averli nel progetto, per il punto di vista “originale” che hanno dei conflitti, delle crisi umanitarie e della scarsa informazione che i mass media danno della guerra. A loro si aggiunge il Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali, che ci consente di raccontare ciò che la guerra combina nell’ambiente. Gli altri ci sono tutti, come l’anno scorso. L’elemento principale, in questo libro, resta la forma grafica, la scelta di essere Atlante. Lo ripetiamo: ogni guerra ha esattamente lo stesso spazio, il medesimo numero di pagine. Questo per evitare di dare ad una maggiore importanza rispetto alle altre. È una scelta “politica”, che vuole mettere tutte le guerre allo stesso livello. Così, le schede conflitto sono tutte di 4 pagine, divise rigorosamente per continente, come in un Atlante, appunto. Attenzione: in questo – che è un Atlante particolare – troverete delle schede conflitto, non delle “schede – Paese”. Qui si disegna un profilo geografico ad una guerra e, quindi, vi sono schede che non corrispondono a Stati o Nazioni, ma ad aree di conflitto. È una differenza fondamentale. Per l’uso delle parole, cioè per le definizioni che diamo ad ogni aspetto delle guerre, vi rimandiamo anche quest’anno al Glossario che troverete nelle ultime pagine. Leggetelo, perché è importante per avere un criterio univoco e senza incertezze. Le definizioni che diamo non sono scientifiche, lo scriviamo sempre, ma sono una scelta, fatta dopo giorni di discussione. E danno un indirizzo preciso alla lettura. Vi diciamo, poi, che troverete, sotto le carte geografiche di ogni scheda conflitto, i dati sulla situazione profughi e rifugiati. È stata realizzata in collaborazione con l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu e si aggiunge al tradizionale rapporto sul tema che pubblichiamo, come tradizione, nelle ultime pagine. Altre istruzioni: le foto che trovate in questo Atlante ci sono state fornite da fotografi amici, dalle associazioni che collaborano, dall’Alto Commissariato dei Rifugiati. Altre sono tratte da video di reporter sparsi in tutto il mondo. Sono quelli che tecnicamente si chiamano “frame”, cioè fermi immagine di un filmato. Per questo, a volte, possono sembrare di qualità strana, magari mosse o sgranate. Le abbiamo volute e scelte per la loro efficacia, per la capacità di raccontare tutto in una sola immagine. Un’ultima cosa: le carte geografiche sono quasi tutte messe a disposizione dalle Nazioni Unite, per questo sono in inglese. Unica eccezione è la Carta di Peters, usata da sempre in questo Atlante. Anche questa è una scelta politica. Buona lettura.

Foto in alto UNHCR/P.Behan


Il dissenso in manette Un giro di vite contro ogni forma di dissenso nei confronti del Governo: è la politica di Pechino secondo Human Rights Watch. Dal febbraio 2013, sarebbero stati arbitrariamente arrestati almeno 55 attivisti, messi sotto controllo critici e opinionisti di spicco. Inoltre ha aumentato i controlli sui mezzi di comunicazione sociale, sulla rete e sull’attivismo pubblico, riducendo considerevolmente lo spazio a fatica conquistato dalla società civile cinese nel corso di questi ultimi anni.

Brutta fine di 2013 per la Cina: il 28 ottobre un attentato in piazza Tienanmen è costato la vita a cinque persone. Lo ha rivendicato l’Etim, l'East Turkestan Islamic Movement, sigla separatista uigura dello Xinjiang. Rivendica l'indipendenza da Pechino della Regione autonoma Nordoccidentale cinese dello Xinjiang, che definisce Turkestan Orientale. Vi vive la minoranza degli uiguri, di lingua turcofona e fede musulmana. Qualche giorno dopo, il 7 novembre, un nuovo attentato nella Provincia Settentrionale dello Shanxi ha ucciso altre due persone. Le tensioni sono forti e resta senza soluzione il conflitto con il Tibet. L'ennesimo tentativo per trovare una soluzione pacifica, il Dalai Lama, l'ha fatto in autunno del 2013. “Basta con le autoimmolazioni”, ha detto. Fermiamo, insomma, i giovani monaci che si danno fuoco per la libertà del Tibet. “Non aiutano nessuno”, ha spiegato. È stata la nuova prova di pace, il modo per spiegare al Governo di Pechino che c'è voglia e bisogno di un accordo che chiuda sette decenni di conflitto. Una posizione netta quella del Dalai, arrivata dopo che il 20 luglio 2013, il 120mo monaco in quattro anni, dal 2009, aveva bruciato la propria vita per protestare contro l'occupazione del Tibet da parte della Cina. I quasi 70 anni di scontro continuano a non portare a nulla. Nessun accordo pare possibile tra il Governo tibetano in esilio e Pechino. Il primo, ormai da sessant'anni in India, ha smussato angoli e richieste, passando dai proclami di libertà e indipendenza ai progetti di una forte autonomia all'interno della Repubblica Democratica di Cina. Il secondo ignora ogni possibile mediazione e accusa il Dalai Lama e il Governo in esilio di alimentare proteste e ribellioni contro la legittima annessione territoriale realizzata con la forza nel lontano 1954. La protesta si allarga. Nella contea di Zatoe sono iniziate manifestazioni contro le attività minerarie avviate dal Governo di Pechino. La reazione è stata durissima. In settembre del 2013, le autorità hanno lanciato un ultimatum, minacciando “gravi misure” contro i contestatori. I tibetani avevano iniziato la protesta bloccando gli oltre 500 minatori ci-

CINA TIBET

Generalità Nome completo: Bandiera

Lingue principali:

Cinese mandarino

Capitale:

Pechino

Popolazione:

1.353.000.000

Area:

9.596.960 Kmq

Religioni:

Confuciana, taoista, buddista (95%), cristiana (3,5%), musulmana (1,5%)

Generalità Nome completo:

Tibet

Bandiera

Lingue principali:

Tibetano, Cinese

Capitale:

Lhasa

Popolazione:

3.030.000

Area:

1.228.400 Kmq

Religioni:

Buddista, altre

Moneta:

Renminbi

Principali esportazioni:

n.d.

PIL pro capite:

Us 948

Repubblica Popolare Cinese

125

Situazione attuale e ultimi sviluppi

Moneta:

Renminbi

Principali esportazioni:

Praticamente tutto nel manifatturiero, più frumento, riso, patate

PIL pro capite:

Us 9.055

nesi, definendo i lavori illegali. Gli scontri sono stati durissimi, centinaia i feriti. A tutto questo si aggiungono le notizie sulla possibile deportazione di più di due milioni di tibetani, spostati contro la loro volontà in nuovi villaggi costruiti da Pechino per tenere sotto controllo popolazioni altrimenti nomadi. L'obiettivo, denuncia Human Rights Watch, è di controllare facilmente nuove insurrezioni anti-cinesi e mettere fine alla cultura nomade dei tibetani.


126

È uno scontro storico, reso attuale da precisi interessi economici quello che contrappone Cina e Tibet. Pechino considera vitale il presidio della frontiera con l’India, Paese da sempre considerato rivale. In Tibet, poi, ci sono importanti risorse minerarie e immense riserve d’acqua, quelle che vengono dai tanti fiumi della Regione. Pechino ha sempre voluto il controllo di quell’area. Questa esigenza cinese si scontra naturalmente con la voglia di indipendenza dei

tibetani, che forti di una cultura politico-religiosa radicata e delle tradizioni, rivendicano il loro diritto ad essere uno Stato libero e autonomo. La scelta del Dalai Lama di trovare una soluzione attraverso il dialogo non convince tutti i tibetani. L’ala più radicale del movimento indipendentista chiede all’opinione pubblica mondiale un intervento più duro nei confronti della Cina, da loro considerata Paese occupante.

Per cosa si combatte

Un problema interno alla Cina: al di là delle parole, è questa la visione internazionale dello scontro con il Tibet. È esattamente ciò che le cancellerie mondiali hanno pensato la mattina del 7 ottobre del 1950, leggendo sulle agenzie stampa o sui dispacci dei servizi segreti che quarantamila soldati dell’Esercito cinese avevano attraversato il fiume Yangtze e occupato tutto il Tibet Orientale e il Kham - che ora è parte di tre Province cinesi - uccidendo ottomila soldati tibetani male armati. Solo sette giorni dopo l’attuale Dalai Lama, Tenzin Gyatso diventò sovrano del Tibet. Il cuore della controversa questione tibetana è tutto in una frase: è un problema interno. Nessun Paese occidentale ha mai riconosciuto il Tibet come uno Stato sovrano indipendente. Quindi, in punta di diritto internazionale, Pechino ha ragione nel definire la questione un “problema interno”. I cinesi - coerenti con questa visione - avevano pianificato tutto. Soprattutto avevano saputo cogliere il momento adatto. Il mondo guardava solo alla guerra in Corea, scoppiata all’alba di domenica 25 giugno 1950, con un attacco della Corea del Nord di Kim Il Sung alla Corea del Sud. Gli Stati Uniti intervennero militarmente, subito, chiedendo e ottenendo l’ombrello politico delle Nazioni Unite. In questo clima, l’attacco al Tibet, passò in secondo piano. Formalmente il Tibet era in una posizione di stallo, nata dall’abbandono dell’India da parte della Gran Bretagna nel 1947. Storicamente, la Regione era stata a lungo indipendente, poi era caduta sotto l’influenza della

Cina imperiale, prima di essere messa sotto tiro dalla Russia zarista e dal Regno Unito, che intervenne militarmente nel 1904. Da sempre, però, cultura e autonomia politica erano rimaste salde, tanto da definire una identità nazionale, che aveva nel Dalai Lama il capo di Governo e spirituale. La Cina aveva annunciato l’attacco. Mao, al potere dal 1949, aveva più volte spiegato che voleva una Cina riunita in tutti i suoi territori e questo significava anche il Tibet. Il 1° gennaio 1950 Radio Pechino annunciò che presto il Tibet sarebbe stato liberato dal giogo straniero. Così, l’occupazione avvenne senza quasi proteste, messa ulteriormente in secondo piano dal fatto che i cinesi il 19 ottobre del 1950 intervennero pesantemente nella guerra di Corea

Quadro generale

Ancora arresti per corruzione Continuano gli arresti di politici e notabili con l’accusa di corruzione. L’ultimo a finire in gabbia, nell’ottobre 2013, il sindaco di Nanchino, Ji Jianye. L’accusa è di reati economici. Secondo il Quotidiano del Popolo, voce del Governo, Ji, che in quanto sindaco del capoluogo della Provincia del Jiangsu ha una carica equivalente a quella di vice Ministro, è accusato di aver intascato 20milioni di yuan, pari a circa 2,4milioni di euro. Il caso, come fa notare la stampa cinese, è collegato alla vicenda di Zhu Xingliang, imprenditore edile di Suzhou e uomo più ricco della Provincia di Jiangsu, sotto inchiesta da tempo.


Jung Chang (Yibin, 25 marzo 1952)

Mao, 120 anni e tante polemiche La crisi colpisce anche la Cina, tanto da mettere in discussione le cerimonie per i 120 anni dalla nascita di Mao Zedong (Mao Tse-tung). Media e social network protestano per la decisione del governo di investire 2,5miliardi di dollari nel villaggio natale del Grande Timoniere, Shaoshan per renderlo all’altezza di un tale evento. Sedici i progetti varati, incluso un rinnovato centro di accoglienza turistica e il restauro della casa dove Mao è nato il 26 dicembre 1893. I lavori previsti includeranno anche stazioni per la linea ad alta velocità e superstrade in grado di facilitare l’arrivo dei visitatori

appoggiando il Nord con milioni di uomini e mettendo in grave difficoltà gli Stati Uniti. Il 23 maggio 1951 il Dalai Lama firmò il “Trattato di liberazione pacifica” e diventò vice Presidente del comitato permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo. Il documento permise alla Cina di iniziare la colonizzazione del Tibet. Prima militarizzandolo, poi spingendo i cinesi ad andare nella nuova Regione. Il Tibet intanto rinunciava ad avere una politica estera autonoma, a batter moneta, a stampare francobolli. Le terre venivano ridistribuite, soprattutto nelle zone del Kham Orientale e nell’Amdo, per non rompere i rapporti con l’aristocrazia. Da quel momento fu tutto un susseguirsi di ribellioni, avvicinamenti pacifici e rotture, spesso alimentate dall’esterno, da altri Paesi. Nel 1959 la prima grande rivolta. Il 10 marzo 1959 il movimento di resistenza tibetano guidò una protesta contro i cinesi. Per reprimerla, Pechino schierò 150mila uomini e unità aeree. Morirono in migliaia nelle strade di Lhasa e in altre città. Il 17 marzo, il Dalai Lama abbandonò la capitale e chiese asilo politico in India, assieme ad almeno 80mila profughi. I morti furono 65mila. Nel 1965 il Tibet venne dichiarato Regione Autonoma, con una annessione di fatto alla Cina. Nel 1968 la Rivoluzione Culturale portò alla di-

I PROTAGONISTI

struzione dei monasteri, almeno 6mila e all’uccisione di molti monaci. La resistenza tibetana però non mollava. Nel 1977 e nel 1980 vi furono altre due sollevazioni, anche queste represse duramente da Pechino. Dal 1976, Pechino ha riavviato l’opera di colonizzazione, tanto che in Tibet sono arrivati 7milioni di cinesi, contro i 6milioni di tibetani che ci vivono. L’obiettivo di Pechino, denuncia la resistenza, è cancellare la cultura e l’identità tibetane. Il Dalai Lama ha nel frattempo tentato la via della mediazione, rinunciando a reclamare l’indipendenza, puntando all’autodeterminazione per salvare la cultura del Paese e salvaguardare i diritti umani. Una mediazione proposta nel 1987 tramite gli Stati Uniti è fallita. E come sempre, dopo ogni fallimento, sono ricominciati gli scontri, diventati protesta internazionale a partire dalle Olimpiadi a Pechino nel 2008 e, dal 2009, autoimmolazioni di giovani monaci. Nel 2012 il capo del Governo tibetano in esilio, Lobsan Sangay, ha definito quei gesti di autodistruzione “Un chiaro atto d’accusa alle politiche di repressione del Governo di Pechino”. Circa 3mila tibetani ogni anno scelgono l’esilio, raggiungendo il Nepal o l’India. In 20mila risiedono stabilmente in comunità sparse in Nepal, senza però venga loro riconosciuto – nonostante gli accordi internazionali – lo status di profughi. Il risultato è che, di fatto, sono prigionieri. La ragione è semplice: il Nepal non vuole irritare il grande vicino.

127

Grande oppositrice del Governo, Jung Chang è una scrittrice diventata famosa per una biografia durissima contro il Grande Timoniere, Mao Zedong. Figlia di due funzionari del Partito Comunista Cinese, era adolescente proprio negli anni della grande rivoluzione culturale voluta da Mao. A 14 anni si arruola nella Guardia Rossa e partecipa alla “pulizia” ordinata dal partito nei confronti di intellettuali e dissidenti. Frequenta l’università di Sichuan, laureandosi in letteratura inglese. Nel 1978 ottiene una borsa di studio e lascia la Cina, trasferendosi a York, in Gran Bretagna. Nel 1992 raggiunge la celebrità con il romanzo autobiografico Cigni selvatici, in cui ripercorre quasi un secolo di storia cinese attraverso le vicende di tre donne della sua famiglia (la nonna, la madre e se stessa): tradotto in ventotto lingue, il libro ha venduto oltre 10milioni di copie. Del 2006 la biografia su Mao, scritta con il marito Jon Halliday. Attualmente vive a Londra.


Altri saluti Cambiano le cose, ne prendiamo atto. Trovare i soldi per sostenere l’Atlante diventa sempre più complicato. Le amministrazioni pubbliche e locali sono in difficoltà, lo sappiamo tutti e trovarne alcune che ancora riescono ad avere risorse per puntare su di noi è quasi miracoloso. La Provincia autonoma di Trento, in questa partita, è come sempre motore e benzina: grazie davvero. Non è da meno la Provincia di Firenze e sappiamo quanta fatica facciano tutti gli altri Enti. Di divertente c’è l’arrivo – in qualche modo compensativo – di nuovi sponsor privati. Dall’anno scorso ci sono gli Artigiani di Trento al nostro fianco: hanno voluto tornare ed è una meraviglia. Si sono aggiunti la Federazione delle Cooperative di Trento e la Banca del Chianti: senza di loro saremmo rimasti fermi. Parlato dei soldi, arriviamo ad altro, ma sempre essenziale: l’aiuto in informazioni, notizie, idee, immagini e chi più ne ha, più ne metta. Un abbraccio vero va all’Associazione Ilaria Alpi, da sempre nel progetto e poi all’Unhcr, a Medici Senza Frontiere, al Cdca, ad Amnesty International, all’Asal. Infine, un saluto a tutti quelli che ci leggono, ci scrivono, ci contattano e a coloro che incrociamo nei davvero tanti incontri in giro per l’Italia. Tutti costoro, davvero tutti, sono la nostra forza.

Ringraziamenti Come ogni anno siamo allo spazio che mi prendo per i ringraziamenti personali, quelli che rivolgo a chi davvero permette al folle progetto di proseguire, pur privo di risorse. Da questo punto di vista, un abbraccio va a chi scrive, elabora idee, impegna il proprio tempo per far nascere l'Atlante: siete tutti incredibili ed è stupefacente che dopo cinque anni molti di voi siano ancora su questa pazza giostra. Un pensiero speciale va a Federica, Daniele e Beatrice, che spendono davvero giorni per questo lavoro. Ringraziarli è il minimo, dato che senza di loro questo volume resterebbe un'idea. Ci sono poi gli amici e le amiche di sempre, quelli che ci stanno accanto dal primo momento: sono Sara Ferrari, Stefano Fusi, Giuliano Andreolli, Laura Strada, Wanda Chiodi, Giuseppe Ferrandi, Simone Silliani, Carlo Basani. Li ho messi in ordine sparso, ma li abbraccio tutti. Voglio aggiungere Paolo Pardini, che mi permette di trovare tempo e risorse da dedicare a questa parte della mia vita. Quest'anno abbiamo scoperto di avere casa anche a Torino: le amiche del Caffè dei Giornalisti ce lo hanno dimostrato ed è stato un bellissimo regalo. A Torino abbiamo altre persone fondamentali, sono Fabio Bucciarelli e Alesandro Rocca. Mi stupisce sempre come riescano a trovare il tempo anche per questo libro. Un grazie di cuore va anche ai tanti che ci seguono su Facebook e sul sito. Dobbiamo migliorare molto, lo sappiamo, dando più continuità ad entrambi. È il nostro impegno per quest'anno. Infine, un grazie speciale va a Mario Calabresi. Ci ha accolto e ci ha premesso di immaginare come far crescere ancora questa idea, come renderla più solida e duratura. Davvero: non è poco. Raffaele Crocco


Un mondo migliore è già qui.

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ISBN-13: 978-8866810292

9 788866 810292 € 20,00


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