Liberi di imparare

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Francesco Codello e Irene Stella

Liberi di imparare Le esperienze di scuola non autoritaria in Italia e all’estero raccontate dai protagonisti.


Francesco Codello e Irene Stella

Liberi di imparare Le esperienze di scuola non autoritaria in Italia e all’estero raccontate dai protagonisti

Terra Nuova Edizioni


Liberi di imparare Autori: Francesco Codello e Irene Stella Direzione editoriale: Mimmo Tringale Editing: Enrica Capussotti e Bettina Ricceri Impaginazione: Daniela Annetta In copertina: La montagna dello scorpione di Steve Tamburini Copertina: Andrea Calvetti ©2011 Editrice Aam Terra Nuova via Ponte di Mezzo 1, 50127 Firenze tel 055 3215729 - fax 055 3215793 libri@aamterranuova.it www.terranuovaedizioni.it I edizione giugno 2011 ISBN: 978-88-88819-77-8 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso dell’editore. Le informazioni contenute in questo libro hanno solo scopo informativo, pertanto l’editore non è responsabile dell’uso improprio e di eventuali danni morali o materiali che possano derivare dal loro utilizzo. Stampa: Lineagrafica, Città di Castello (Pg)


CAPITOLO 1

Cos’è una scuola democratica

È difficile dare una definizione precisa di educazione democratica perché una delle sue peculiarità principali è la flessibilità e la capacità di adeguarsi alle esigenze dei ragazzi e del contesto in cui opera. È più semplice dire che cosa non è: non si tratta di un insieme di regole da rispettare e neppure della libertà assoluta dei ragazzi, lasciati a loro stessi per osservare come si comportano, come fossero gli oggetti di un esperimento sociale. Semplicemente “il metodo” per un’educazione democratica non esiste. Nel 2005 a Berlino in occasione della Conferenza Internazionale per l’Educazione Democratica si è cercato di definire che cosa sia una scuola democratica; alla fine i partecipanti hanno concordato un’indicazione generale secondo la quale in qualsiasi contesto educativo i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze hanno il diritto di decidere individualmente come, quando, che cosa, dove e con chi imparare e hanno altresì il diritto di condividere in modo paritario le scelte che riguardano i loro ambiti organizzati, in particolare nelle scuole stabilendo, se ritenuto necessario, regole e sanzioni. Per gli addetti ai lavori queste poche righe sono chiare e non lasciano spazio a fraintendimenti, ma per chi, per la prima volta, si avvicina all’educazione democratica possono essere di difficile interpretazione. Potrebbe sembrare che in una scuola democratica ognuno ha il diritto di fare ciò che vuole, disinteressandosi degli altri, non prendendosi alcuna responsabilità e, per di più, trascurando l’apprendimento. In realtà non è così e questo libro cercherà di spiegarlo.


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Le lezioni come scelta Le scuole democratiche accolgono abitualmente bambini e ragazzi, di entrambi i sessi, dai 3 ai 18 anni. L’idea centrale attorno a cui le scuole libertarie prendono forma è di offrire ai ragazzi la possibilità di scegliere se frequentare le lezioni. Alla base vi è il presupposto secondo cui le attività scolastiche sono un’offerta e non un obbligo. Questa scelta, in forte contrasto con tutto ciò che abitualmente associamo alla scuola, si basa sulla profonda convinzione che ogni bambino è competente. Il compito della scuola è quindi mettere ogni studente in condizione di scegliere secondo i propri interessi; non si parla più solo di disciplina, ma anche di autodisciplina. Il percorso d’apprendimento diventa così una scelta e non la risposta alle aspettative di qualcun altro (il genitore, la società, gli insegnanti e così via). Nel libro Il bambino competente Jesper Juul sottolinea la diversità tra autostima e fiducia in sé: “L’autostima è la conoscenza e l’esperienza di quello che siamo. Si riferisce a quanto conosciamo di noi stessi, e a come consideriamo ciò che sappiamo. La stima di sé può essere considerata come un pilastro, una base di sostegno. Chi ha un sano senso di autostima ha anche un senso di completezza, ed è in generale soddisfatto di sé. Una sana autostima significa: ‘mi sento bene, ho un valore perché esisto!’ (...). La fiducia in sé è invece la misura in ciò che riteniamo essere in grado di fare, di quanto pensiamo di essere validi e capaci, o maldestri e inefficienti. Si riferisce a ciò che riusciamo a realizzare. La fiducia in se stessi è piuttosto una qualità esterna, acquisita, anche se con la parola esterna non si vuole intendere superficiale (...) Non dobbiamo illuderci che favorire la fiducia in sé di un bambino porti automaticamente sostegno all’autostima. Sapere cosa siamo capaci di fare non migliora il giudizio su ‘chi siamo’. Ed è bene incoraggiare gli altri a realizzare un obiettivo; aiutarli, criticarli e sostenerli, ma altrettanto si deve fare con il loro ‘sentirsi bene’ con se stessi» (Juul 2003).

Nella maggior parte delle scuole tradizionali si tende a prendere in considerazione soltanto ciò che è misurabile, le capacità e le compe-


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tenze mentre raramente ci si sofferma a capire se un alunno sta bene con se stesso. Ad esempio, tanti ragazzi tendono ad avere fiducia in sé quando i voti che ricevono sono positivi e a perderla quando sono insufficienti. Sottovalutare l’importanza che l’autostima ha nello sviluppo di un buon adulto porta, a lungo andare, alla convinzione che uno studente non sia in grado di scegliere ciò che vorrebbe imparare, approfondire o anche semplicemente tralasciare. Un adulto dotato di una solida autostima è in grado di vivere serenamente anche senza le nozioni e le conoscenze che si dovrebbero imparare a scuola, mentre il ragionamento contrario non funziona. Le scuole democratiche, quindi, propongo e sostengono l’importanza della libertà di scelta nell’apprendimento perché è un passaggio fondamentale per la costruzione dell’autostima. Oggi si può affermare, sulla base dell’esperienza quasi centenaria maturata dalle scuole libertarie, che l’assenza di imposizioni porta a scoprire una motivazione intrinseca nei ragazzi, talmente forte da spingere a imparare con gioia e a non scordare più ciò che si è appreso, consentendo di collegare teoria e pratica anche nel quotidiano. Nelle scuole democratiche quando uno studente decide di frequentare un corso ha l’obbligo di partecipare alle lezioni e di esercitarsi a casa quando richiesto. Ogni corso si dota di proprie regole; ad esempio se non frequenti la lezione o non hai svolto i compiti assegnati, la volta successiva puoi essere presente ma non puoi fare domande. È una regola nata dalla semplice constatazione che chi non partecipa attivamente al corso fa perdere tempo anche ai compagni. Alcune scuole hanno votato di rendere obbligatorie le lezioni che servono a imparare a scrivere e a conoscere i primi concetti di matematica. Ancora una volta ritorna il tema della flessibilità e dell’adattabilità di realtà che cambiano le proprie direttive alla luce delle trasformazioni che avvengono nella comunità stessa, adattandosi e ripensandosi costantemente. In una scuola democratica gioco libero, lettura libera e conversazioni libere costituiscono alternative alle lezioni e vanno considerate di pari valore educativo. Si ritiene infatti che esse stimolino i diversi


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aspetti dell’intelligenza o, meglio, le intelligenze multiple. “Non è possibile risvegliare la sensibilità attraverso la costrizione. La disciplina rappresenta una maniera facile di controllare un bambino, ma non lo aiuta a comprendere i problemi della sua vita. L’intelligenza, non la disciplina, crea l’ordine” (Krishnamurti 2009). L’assenza di obblighi per quanto riguarda l’apprendimento e l’organizzazione del tempo trascorso a scuola non significa mancanza di regole e di disciplina, tutt’altro. La costruzione di regole condivise Nelle scuole democratiche il numero di regole da rispettare è altissimo e l’autodisciplina di ogni ragazzo sorprendente. Le regole vengono proposte, discusse e votate da studenti e insegnanti durante un meeting. Si tratta di un’assemblea a cui partecipano tutti i soggetti della scuola, inclusi i genitori, che per ovvi motivi lavorativi non sono quasi mai presenti. La partecipazione all’assemblea è volontaria; ciò significa che spesso è una minoranza ad assistere e a intervenire all’incontro ma ciò che viene votato è legge per tutti. Ogni persona presente ha diritto a un voto e ogni voto, sia esso espresso degli insegnanti o dagli alunni, pesa in eguale misura. Ogni assemblea è gestita da un moderatore scelto tra gli studenti a rotazione tra coloro che si sono resi disponibili. Il moderatore presenta un ordine del giorno elaborato tenendo conto delle mozioni raccolte durante la settimana tramite appositi foglietti di cui tutti possono usufruire. I temi all’ordine del giorno vengono introdotti e discussi in forma assembleare e quando l’argomento è analizzato a sufficienza, si passa alla votazione. Gli argomenti discussi possono riguardare il divieto per tutti di usare il cellulare a scuola oppure dove collocare un nuovo divano o, ancora, la necessità di un nuovo insegnante. L’esempio di come una scuola tedesca ha discusso le proprie regole ci consente di ribadire la flessibilità e le peculiarità che caratterizzano ogni realtà. Nell’assemblea di questa scuola le bambine hanno espresso il bisogno di stare tra loro in quiete, separate dai bambini che le disturbavano o le prendevano in giro per i loro interessi.


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Tramite votazione questa proposta è diventata una norma. Ormai da anni tutti i venerdì si svolgono attività separate secondo il sesso di appartenenza: mentre un gruppo fa un’uscita, l’altro rimane a scuola e viceversa. I regolamenti possono naturalmente essere rivisti e cambiati se, con il passar del tempo, risultano inadeguati o insoddisfacenti. La scelta di attribuire eguale valore al voto degli insegnanti e degli alunni si basa sulla convinzione che tutti fanno parte della stessa comunità e lavorano per raggiungere i medesimi obiettivi: fare esperienze, imparare e crescere. Il fatto che gli alunni costituiscono il gruppo più numeroso, e quindi potenzialmente maggioritario in un sistema che si basa sul principio ‘una testa, un voto’, è compensato dal fatto che gli insegnanti possono sfruttare le loro capacità dialettiche più raffinate. In ogni caso le assemblee sono momenti formativi e d’apprendimento fondamentali. È molto interessante osservare come i bambini imparano a presentare delle proposte che nascono dai loro bisogni e non dal desiderio di compiacere un insegnante o di farsi belli di fronte alla classe. Altro aspetto educativo significativo risiede nell’accettare il dissenso espresso dall’assemblea verso una mozione proposta personalmente. Tutti i protagonisti maturano la consapevolezza che le scelte si basano sull’ascolto, sulla discussione e sul bene comune. Che cosa accade se qualcuno non si attiene alle regole ratificate dall’assemblea? In questo caso entra in gioco il secondo strumento democratico, ovvero il comitato di giustizia, che può intervenire come parte dell’assemblea, oppure come organo indipendente. È un organismo composto dai ragazzi stessi che, a rotazione rivestono questo ruolo. Si tratta di un gruppo di alunni che, con la supervisione di un insegnante nelle vesti di uditore, ascoltano con serietà e pazienza le parti interessate, cercando di farle riflettere e di far capire le motivazioni reciproche. Svolgono il ruolo di mediatori tra i contendenti e il dialogo è il veicolo principale attraverso cui sono risolti i conflitti; solo nei casi più complessi, o in presenza di recidivi, si attivano delle punizioni.


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I più piccoli tendono ad abusare di questo strumento, denunciando anche brevi litigi o angherie, che potrebbero essere risolti al momento con l’aiuto di un adulto. Le punizioni possono consistere nell’obbligo di pulire i vetri di alcune aule della scuola, oppure di fare un turno di due ore in cucina per la preparazione del pranzo o, ancora, nel divieto di giocare al computer per una settimana. In alcune scuole viene tenuto un archivio dei casi controversi e delle punizioni assegnate cosicché i recidivi sono soggetti a sanzioni maggiorate. La centralità dell’assemblea e del comitato di giustizia si riflette nel nome stesso di ‘scuole democratiche’. In questi laboratori d’apprendimento la democrazia non si studia e non si frammenta all’interno della routine scolastica, ma la si vive e la si mette in pratica nella strutturazione complessiva dell’esperienza. L’assenza dei voti Un altro elemento che accomuna le diverse scuole democratiche è l’assenza dei voti. Questa scelta è condivisa da numerosi metodi pedagogici alternativi a quello istituito dal curriculum statale. Scrive a questo proposito Don Milani: “Dopo un mese della vostra scuola [quella statale], l’infezione aveva preso anche me. A scuola durante le interrogazioni sentivo il cuore fermarsi. Auguravo agli altri quello che per me non volevo. Durante la lezione non ascoltavo più. Pensavo già all’interrogazione dell’ora seguente (...). A casa non m’accorgevo se la mamma stava male. Non domandavo notizie dei vicini. Non leggevo il giornale. La notte non dormivo” (Milani 1996).

Forse quest’esperienza non riguarda tutti gli alunni, forse non sempre emerge alla consapevolezza di ciascuno, ma i voti generano spesso ansia e confusione perché inducono a misurare il proprio valore di persona. In famiglia, nel gruppo d’amici, nella società si è instaurata una sorta di identificazione più o meno evidente tra voto e riconoscimento. O, per dirla con le parole di Juul, la fiducia in sé prende il posto dell’autostima.


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Nelle scuole democratiche, invece che sul voto, si pone l’accento sul percorso d’apprendimento che ogni ragazzo ha intenzione di svolgere. Spesso questo percorso viene concordato tra il ragazzo e gli insegnanti e nel corso dell’anno viene monitorata la strada fatta. Ogni scuola adotta una sua modalità per rappresentare l’osservazione, le trasformazioni e lo sviluppo costante dell’apprendimento. In alcune realtà i ragazzi si incontrano ogni settimana con un insegnante-tutor che li aiuta ad analizzare e valutare i progressi ottenuti a scuola. A fine anno le famiglie ricevono una lettera dello stesso tutor in cui viene raccontato il processo di crescita relazionale, sociale e d’apprendimento del figlio. Questo ‘metodo’ previene l’instaurarsi di una competizione distruttiva tra i ragazzi poiché ognuno è consapevole di seguire un proprio percorso che non è valutato né migliore né peggiore di quello di un altro, ma viene cucito addosso a ognuno. Alle lezioni, quindi, partecipano bambini e ragazzi in base al loro livello di preparazione e non all’età. In questo modo scompare il concetto di un determinato programma da svolgere in uno specifico momento evolutivo dell’alunno. A questo proposito Alexander Neill scrive: «il compito dell’insegnante è semplice: scoprire qual è l’interesse di un fanciullo e aiutarlo a esaurirlo» (Neill 1992). Questo approccio determina che, oltre agli insegnamenti tradizionali come italiano, scienze, matematica, geografia, storia, facciano parte della scuola anche altre proposte: educazione ambientale, cura di un orto, espressione corporea attraverso il gioco, la danza e il teatro, laboratori artistici-artigianali che utilizzano l’argilla, il feltro, il legno. In questo scenario anche la comunicazione riveste un ruolo fondamentale, sia nella forma di assemblea che coinvolge tutti i protagonisti della scuola, sia come metodo di risoluzione di controversie e conflitti, sia come strumento per esplorare i propri interessi.


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Gli insegnanti e i genitori Non esiste una formazione specifica per diventare insegnante in una scuola democratica. Spesso coloro che sono interessati a operare in questo contesto svolgono qualche mese di tirocinio presso una struttura esistente da tempo. La selezione degli insegnanti è garantita dal fatto che, in molte scuole, studenti e insegnanti già assunti osservano per due settimane il candidato o la candidata e insieme decidono se è adatto alla scuola. Gli studenti possono anche far licenziare un insegnante se in assemblea viene votato. Chiaramente una richiesta così radicale deve essere ben motivata e, anche se sembra strano, non accade quasi mai che gli alunni siano a tal punto insoddisfatti o contrariati. Coloro che insegnano sono disponibili a mettersi in gioco e a rivedere le proprie lezioni. Poiché gli studenti non sono obbligati a seguire i corsi, se gli educatori osservano che le loro lezioni sono disertate si chiedono che cosa non funziona e cercano di cambiare le proprie offerte di insegnamento. Il dialogo costante fa crescere il tenore delle lezioni e il rapporto tra alunni e insegnanti. Può pertanto accadere che nella stessa scuola vi siano degli insegnanti che prediligono lezioni frontali e altri che seguono altri metodi pedagogici. Il ruolo dei genitori nel buon funzionamento del progetto è centrale in quanto partecipano sia offrendo le proprie competenze sia con contributi economici. I genitori sono tenuti a dedicare delle ore di volontariato per attività che possono andare dal pulire i bagni, all’organizzare un open day o allo svolgimento di lavori di riparazione dell’edificio. Anche in questo caso il modo di operare si basa sulla libera scelta: genitori con interessi simili formano un gruppo che si occupa di un determinato tema. Ognuno può scegliere il campo in cui mettere a disposizione le proprie capacità, garantendo così una miglior resa e una partecipazione attiva.


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I costi economici Anche se in ogni paese vigono leggi diverse, la maggior parte delle scuole democratiche sono sorte per volontà di privati. Spesso si è trattato di genitori alla ricerca di un’alternativa a un sistema che non funzionava per i figli, altre volte di insegnanti che preferivano confrontarsi con alunni motivati e liberi. Questo significa che gran parte del sostentamento economico dipende dalle rette pagate dalle famiglie. Come dicevo ogni paese ha la sua storia: in Israele, ad esempio, il governo riconosce le scuole democratiche come una proposta parallela a quella tradizionale; in Germania, dopo i primi tre anni di attività, in cui la scuola dimostra di avere la capacità di sostenersi da sola, riceve dei finanziamenti statali pari al recupero degli stipendi degli insegnanti; in Danimarca c’è una lunga tradizione di Frei Skole, scuole libere, in cui rientrano anche quelle democratiche che vengono sovvenzionate dallo Stato. Le rette variano a seconda dei servizi offerti: a Summerhill i ragazzi usufruiscono di vitto e alloggio, altrove si va a scuola soltanto di mattina, o di pomeriggio. Le persone che si avvicinano a una scuola democratica provengono da contesti politici, sociali ed economici molto diversi. Nelle scuole avviate da tempo succede che, se una famiglia non è in grado di coprire la quota, altri sono disponibili a pagare di più per sanare l’ammanco. Non si viene esclusi da una scuola per motivi economici, si cerca sempre di trovare una borsa di studio o comunque una soluzione. In Italia le prime scuole democratiche si stanno finanziando completamente da sole o con sponsor privati. Ogni scuola stabilisce la retta necessaria, che al momento si aggira intorno ai 200-300 euro al mese. Per mantenere contenute le rette, gli stipendi degli insegnanti sono inferiori a quelli della scuola statale. La speranza è che, con il tempo, si giunga a un riconoscimento e a sovvenzioni statali. Nel nostro paese la tradizione della scuola statale è molto forte e la scuola privata è associata a qualcosa di elitario perché a pagamento. Le scuole democratiche non vanno considerate al pari delle scuole private che propongo un servizio simile a quello statale, forse di


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qualitĂ migliore o semplicemente seguendo un metodo pedagogico piuttosto che un altro. Le scuole democratiche offrono una diversa visione della scuola e presentano dei progetti a cui aderire e non dei servizi di cui usufruire. Sono frutto della collaborazione tra persone dal comune sentire che, quando possibile, non ritengono la mancanza di denaro un motivo di esclusione.


Indice Prefazione Introduzione Capitolo 1 - Cos’è una scuola democratica Le lezioni come scelta La costruzione di regole condivise L’assenza dei voti Gli insegnanti e i genitori I costi economici Capitolo 2 - L’educazione libertaria tra pratica e teoria Educare a essere L’impossibilità di un curricolo generale L’insegnante tra maestro, mentore e facilitatore Metodi educativi La comunità educante L’apprendimento pluralistico e la molteplicità metodologica La valutazione senza premi e castighi Gli esseri speciali Il genitore consapevole Capitolo 3 - In viaggio tra le scuole democratiche: esperienze a confronto Due esperienze europee Capitolo 4 - La parola ai protagonisti Insegnanti Genitori Capitolo 5 - Le realtà italiane APPENDICI Homeschooling Leggi che regolano l’obbligo di istruzione in Italia Bibliografia

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Francesco Codello, dirigente scolastico di Treviso, è da anni impegnato nella ricerca storico-educativa. È autore di numerosi libri e articoli, animatore dell’International Democratic Education Network in Italia e redattore della rivista Libertaria.

Irene Stella è insegnante di matematica. Partecipa in Italia e in Europa alle attività della European Democratic Education Community e ha pubblicato diversi articoli sulle attività delle scuole libertarie. Collabora con la rivista Terra Nuova.

www.terranuovaedizioni.it È possibile imparare senza essere obbligati a frequentare lezioni? Senza essere sottoposti a voti e alla minaccia di una bocciatura? Questo libro risponde di sì attraverso le voci e le esperienze concrete di coloro che animano le scuole democratiche libertarie in Italia e nel mondo. Gli autori, con linguaggio chiaro e appassionato, ricostruiscono la storia e i presupposti teorici dell’educazione non autoritaria, dall’assenza dei voti alla libertà d’apprendimento, dalle regole condivise al protagonismo degli studenti. I tratti comuni a ogni esperienza educativa, così come le peculiarità dovute ai diversi contesti ambientali, emergono attraverso le testimonianze di studenti, insegnanti e genitori, che ci raccontano la vita e le scelte quotidiane in questi gruppi educativi non convenzionali. In chiusura del volume potete trovare una mappa dei progetti e delle esperienze di scuola democratica in Italia, alcune informazioni concrete per diffonderle nel nostro paese e una ricca bibliografia per chi desidera approfondire. ISBN 88-88819-77-8

€ 12,00


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