TERRELIBERE.ORG • COLLANA PRAÇA DA ALEGRIA 05
Joan Queralt
L’enigma di Attilio Manca Verità e giustizia nell’isola di Cosa Nostra
Traduzione di Olga Nassis Prima edizione italiana terrelibere.org Settembre 2010 www.terrelibere.org/tag/attiliomanca
Joan Queralt, giornalista e scrittore catalano, esperto di mafia siciliana, ha pubblicato numerosi articoli in Italia, Spagna e America Latina.
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In copertina. “Il Trionfo della Morte”, Palazzo Abatellis. Palermo In quarta di copertina. “Paranoid Android”, fotografia di Loredana Guinicelli, www.loredanaguinicelli.com
“…nessuno trovò come i tristi cordogli degli uomini con la musa e i multísoni canti mitigare potesse; e di qui, stragi e orrende sventure devastano le magioni.” Euripide, Medea
“Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell'ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Un giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo - della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze. Le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere…” Giuseppe Fava
Indice Cronologia 11 Prologo 14 Capitolo I 18 Capitolo II. Le ultime trentasei ore 23 Capitolo III. Il dolore 34 Capitolo IV. Suicidio oppure omicidio di mafia? 38 Capitolo V. Un incontro fortunato 42 Capitolo VI. La pista Provenzano 50 Capitolo VII. Le radici malate 61 Capitolo VIII. Il riscatto di Angela Gentile e Gino Manca 67 Capitolo IX. Ombre su un enigma 82 Capitolo X. La Sicilia e l’apparente ricerca della verità 89 Capitolo XI. Il ritorno incompiuto 96 Capitolo XII. Un’angoscia segreta 107 Capitolo XIII. Il silenzio delle istituzioni 113 Capitolo XIV. Barcellona Pozzo di Gotto 127 Messina, il porto delle nebbie 134 Carmelo Santalco e la Democrazia Cristiana 139 La guerra tra clan 143
La morte di Beppe Alfano 149 Un’amministrazione sospetta 154 La nuova mafia di Giuseppe Gullotti 157 Antonio Franco Cassata, magistrato 164 Il mancato scioglimento del Consiglio Comunale 170 La Sicilia e l’eclissi morale dell’Italia 174 Nota 202
Cronologia 12 febbraio 2004. Attilio Manca era nato il 20 febbraio 1969 a S. Donà di Piave, provincia di Venezia. Trentacinque anni più tardi è ritrovato cadavere a Viterbo. Gli inquirenti rilevano che dal naso e dalla bocca era fuoriuscita un’ingente quantità di sangue, che aveva provocato una pozzanghera sul pavimento. Il volto presentava una vistosa deviazione del setto nasale. Sugli arti erano visibili macchie ematiche. L’appartamento era in perfetto ordine: nella stanza da letto si trovava ripiegato su una sedia il suo pantalone, mentre inspiegabilmente non furono rinvenuti i boxer né la camicia. Altrettanto inspiegabilmente, sullo scrittoio erano poggiati alcuni suoi attrezzi chirurgici (ago con filo inserito, pinze, forbici) che mai aveva tenuto a casa. Sul corpo di Attilio Manca erano visibili, al braccio sinistro, due segni di iniezioni, una al polso e una all’avambraccio. Manca era un mancino puro e compiva ogni atto con la mano sinistra. Aveva scarsissima praticità con la mano destra. Altro accertamento finora mancante è quello relativo a un viaggio effettuato da Attilio Manca nell’autunno del 2003 nel sud della Francia, per assistere a un intervento chirurgico, come disse ai suoi genitori. Nel 2005, nell’inchiesta che porta alla maxi operazione antimafia denominata “Grande Mandamento”, emerge che Bernardo Provenzano è stato a Marsiglia: una prima volta dal 7 al 10 luglio 2003 per sottoporsi a esami di laboratorio e in un secondo momento proprio nel mese
L’ENIGMA DI ATTILIO MANCA di ottobre dello stesso anno, per subire l’operazione alla prostata. 17 marzo 2007. Viene disposto lo svolgimento di un incidente probatorio, per accertamenti relativi al DNA dei dieci indagati. 1 luglio 2008. Il Gip di Viterbo dispone un ulteriore supplemento d’indagine sulla morte di Attilio Manca. 14 novembre 2008. Si conclude l’incidente probatorio. Davanti al Gip avviene l’audizione del perito che nei giorni precedenti aveva presentato una relazione scritta inerente le impronte digitali rinvenute a casa di Attilio Manca. La perizia riscontra che quattordici delle impronte rilevate sono di Attilio. Una particolarità della perizia riguarda un’impronta ritrovata su una piastrella del bagno che corrisponde a quella di Ugo Manca, cugino di Attilio. Un’altra ancora riguarda la presenza di tre impronte che non appartengono a nessuno degli indagati, né tanto meno ai familiari del giovane urologo. Ugo Manca spiega l’impronta con una visita alla casa di Viterbo del cugino tra il 15 e il 16 dicembre del 2003. 1 dicembre 2009. Per la terza volta la Procura di Viterbo deposita la richiesta di archiviazione del caso Manca. L’avvocato della famiglia contesta la decisione dei magistrati, perché anche nell’ipotesi di suicidio sarebbe stato comunque commesso un reato da 12
JOAN QUERALT perseguire (spaccio di sostanze stupefacenti). A maggior ragione se fosse vera l’ipotesi dell’omicidio. 16 luglio 2010. Davanti al GIP di Viterbo, dott. Fanti, viene fissata la discussione per decidere sull’archiviazione o sulla possibilità di concedere al Pubblico Ministero un supplemento di indagine. L’avvocato della famiglia Manca, Fabio Repici, aveva presentato opposizione alla richiesta di archiviazione. Al momento della stampa del presente volume, il magistrato non ha ancora preso una decisione definitiva.
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L’ENIGMA DI ATTILIO MANCA
Prologo La Sicilia è bella, straordinariamente bella. Quando si parla dei suoi doni, non si può non pensare a Rilke: la bellezza non è che l’inizio di qualcosa di terribile. Questo libro tratta di un crimine trasformato in mistero: il delitto dell’urologo Attilio Manca. Una storia reale che mostra come in Sicilia, terra terribile quanto bella, la mafia uccide, violenta, umilia. Quelle morti, quelle violenze, quelle umiliazioni lasciano nella vita quotidiana della sua gente, nella sua difficile e dura convivenza, nella sua disperazione, unite al dolore, ferite aperte per sempre. Ecco perché i misteri siciliani covano nell’omertà, nell’impunità di molti e nell’indifferenza della maggioranza, rinnovandosi di giorno in giorno. Indifferenza che, nelle parole di Rita Borsellino, è il fetore più intenso di tutti, più intenso anche della complicità. Perché l’indifferenza a volte porta, senza neanche averne consapevolezza, all’abbandono di quelli che invece non sono indifferenti e affrontano le situazioni, non tollerando complicità e contiguità. La solitudine di quelli che muoiono è figlia dell’indifferenza, il frutto più amaro dell’impegno, il più difficile da digerire e il più nocivo. Solitudini che uccidono: quelle del generale Dalla Chiesa, dell’imprenditore Libero Grassi, del giornalista Peppino Impastato, del giudice Falcone e di tanti altri. Queste pagine parlano di una impossibilità storica: quella dell’affermazione della verità e della giustizia in Sicilia. Terra dove la menzogna è più forte della verità e l’esigenza di giustizia nasce solo dalla disperazione e dal 14
JOAN QUERALT desiderio di vendetta. In Sicilia, diceva il pittore di Bagheria Renato Guttuso, puoi trovare tanto: la gastronomia, l’arte, il mito. Tutto tranne la verità. Senza l’indifferenza, senza la mafia e i suoi complici, senza l’evidente assenza di verità e di giustizia, il mistero di Attilio Manca non sarebbe stato possibile. Il suo è uno degli interrogativi più oscuri di questo ultimo secolo. Enigmi – falsi enigmi – non mancano nella tragica storia politica della Sicilia, terra nella quale secondo quanto diceva Fransceso Forgione, ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, non si distinguono neanche i confini dei fatti. Tutto sfuma e si perde nei silenzi e nel non detto, in un gioco di ombre nel quale con frequenza si confondono i personaggi del libretto e gli interpreti della realtà. Questo libro vuole rivendicare il dolore, il quotidiano dolore di molti siciliani. Il dolore insepolto che attraversa l’isola e che, come lo scirocco, intreccia una sua identità. Il magistrato Giancarlo Caselli proponeva di pensare al dolore come a un’arma. Così facendo, diceva, tutto sarebbe stato diverso o avrebbe potuto cominciare a esserlo. Allo stesso modo anche quest’opera vuole testimoniare il dolore delle vittime e quanto terribile sia stato o debba essere per quelle vivere guardando il volto ai loro futuri assassini, incontrarli per le strade, sopportare la loro vicinanza, la prepotenza che segna il quotidiano della gente che in Sicilia ha deciso di combattere la mafia: amministratori, commercianti, giornalisti, magistrati, agenti di polizia, familiari… La stessa terribile e anonima realtà di donne e uomini come Angela Gentile e Gino Manca, che nonostante tutto, hanno saputo trasformare la loro solitudine e il loro privato dolore in impegno civile. 15
L’ENIGMA DI ATTILIO MANCA Tutti gli enigmi sono una forma d’impostura. Un tentativo di inganno, secondo Eraclito. L’impostura che circonda il caso Attilio Manca è come quella che contraddistingue tutta la storia siciliana, incluso il suo attuale assetto di apparente regime democratico. Quale che sia la causa determinante della sua morte, la tragedia privata del giovane medico rappresenta il dramma della storia di tutta la Sicilia e, per la stessa ragione, diventa una delle sue possibili metafore. Un’immagine riflessa che, partendo dal paesaggio morale di una città, Barcellona Pozzo di Gotto, dove crebbe il protagonista di queste pagine e dove potrebbe nascondersi la chiave della sua morte, ci permette di arrivare alle radici dell’errore comune della Sicilia e, andando oltre, alla crisi di un intero paese: l’Italia, specchio dei mali che, in incubazione in gran parte della penisola, ritornano al vilipeso Sud. La morte di Attilio Manca continua a essere un caso aperto, in attesa di verità e giustizia. Chiedersi se si arriverà a conoscere la verità è lo stesso che interrogarsi sul futuro della Sicilia. La verità sulla tragica fine dell’urologo di Barcellona è la stessa verità che l’isola aspetta per affrancarsi e riconquistare i suoi diritti. Allo stesso modo, se la giustizia invocata dalla famiglia di Attilio Manca - e dai familiari degli innumerevoli Manca che affollano la storia contemporanea – diventasse una realtà, significherebbe che la Giustizia al maiuscolo ha messo piede in questa terra e non in via eccezionale ma come segno di vittoria definitiva. Nelle conversazioni che diedero vita a La Sicilia come metafora, Leonardo Sciascia confessava a Marcelle Padovani: “Quando mi si interroga sull’origine del pessimismo dei siciliani, sono tentato di rispondere: 16
JOAN QUERALT come non essere pessimista in un paese in cui non esiste il verbo coniugato al futuro, dove si parla del futuro solo al presente?”. Al momento il caso Manca, come il caso Sicilia, continuano a essere coniugati al presente. Non esistono risposte esaustive che permettano di intravedere una soluzione futura a questi dolorosi dubbi. La Sicilia: bellezza e orrore, mescolanza di luce e di lutto, come scrisse Gesualdo Bufalino in un lamento che riprendeva quello di Sciascia, nel quale ammise di non poter vivere né con essa né senza di essa, sembra non poter sfuggire alle afflizioni, alle passioni e alle convivenze impossibili ma reali. Non è soltanto la mancanza di amore quella che si percepisce vagando per le ferite di questa terra, dove l’inferno, nascosto nella sua bellezza infinita e abbandonata, nel sole implacabile, nel mare più azzurro che si possa incontrare, si è fatto isola, rifugio, nazione, identità e soprattutto disprezzo. Disprezzo e abbandono assoluto. Della comune terra, di se stessi e degli altri. Un chiaroscuro violento e contraddittorio di rinuncia al futuro e di ambizione senza limiti. Avidità cannibale, inutile, chiusa.
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L’ENIGMA DI ATTILIO MANCA
Capitolo I Il cadavere di Attilio Manca fu rinvenuto, poco dopo le 11 del mattino di giovedì 12 febbraio del 2004, nel suo appartamento di Viterbo, vicino Roma, quando i colleghi dell’ospedale Belcolle, che lo aspettavano in sala operatoria per un intervento programmato, allarmati per il ritardo, accorsero nel suo appartamento di via Monteverdi 10. Aperta la porta dell’abitazione, con l’aiuto della proprietaria dell’alloggio, trovarono il cadavere del medico, seminudo, disteso sul piumone del letto ancora intatto, come se non avesse dormito lì. Le braccia erano distese lungo il corpo, le mani e le dita ritratte, in tensione, come di chi cerca di difendersi prima di morire. Il volto mostrava il setto nasale deviato, come se avesse subito un colpo violento. L’emorragia della narice e della bocca aveva insanguinato parte del corpo, prima di riversarsi sul pavimento. Sul corpo si distinguevano macchie ematiche, sui polsi e sulle caviglie. Due segni di iniezione sul braccio sinistro, uno sul polso e l’altro sull’avambraccio. Non si riscontravano segni di altri buchi recenti o passati. Al momento della sua morte aveva 34 anni e tutto il futuro davanti. L’appartamento, con le luci accese e la televisione in funzione ma senza sonoro, appariva in perfetto ordine, come se fosse stato pulito di recente. Sul pavimento, all’entrata del bagno fu trovata una siringa d’insulina usata, con il tappo di protezione inserito, identica a quella rinvenuta nel bidone della spazzatura assieme a due flaconi di Tranquirit, uno completamente vuoto e l’altro a metà. Nell’abitazione, piegato su una sedia, il 18