CITTÀ DI VENEZIA
LE POE SIE NA SCONO AL SOLE
MUNICIPALITÀ DI FAVARO VENETO
Versi vecchi e nuovi interpretati da Francesca Tommasi Intermezzi musicali con Chiara Foffano - voce solista Michael Fiorin - chitarra Francesca Rismondo - violoncello
Auditorium IC Gramsci Campalto (VE) sabato 15/11 ore 20.15
A CURA DI:
UN PROGETTO:
BLOG - TERRITORI & PARADOSSI
CAMPARTE 2014
INGRESSO LIBERO Le Poesie nascono al Sole è un componimento di Mario Dimeglio
iSTITUTO COMPRENSIVO A. GRAMSCI
La serata “Le poesie nascono al sole” è organizzata dall'Associazione culturale Blog Territori e Paradossi nell'ambito del progetto Camparte, progetto che nasce con l'intento di proporre occasioni artistiche e culturali nel nostro territorio. Il titolo dell'evento è stato scelto navigando tra le onde del web, dove ci hanno colpito le parole de “Le poesie nascono al sole”, una composizione nella quale l'autore genovese Mario Dimeglio cerca di spiegare il senso della sua passione per i versi. Questa serata presso l'Aula Magna dell'IC Gramsci a Campalto è dedicata alle poesie scritte dai nostri vicini di casa, compaesani, amici o parenti che hanno voluto condividere le loro emozioni e riflessioni. Un grazie agli amici poeti e poetesse ed a tutti coloro che con il loro entusiasmo e la loro professionalità hanno collaborato nella realizzazione di questo evento.
Un progetto CampArte
Realizzazione di:
Blog Territori e Paradossi In collaborazione con:
Città di Venezia Municipalità di Favaro Vaneto
Istituto Comprensivo “A. Gramsci” - Campalto
LE POESIE NASCONO AL SOLE Versi vecchi e nuovi interpretati da
Francesca Tommasi Sabato 15 novembre - ore 20.15 Auditorio I.C. “Gramsci� - Campalto Intermezzi musicali con:
Chiara Foffano - voce solista Michael Fiorin - chitarra Francesca Rismondo - violoncello
le poesie, sono farfalle colorate... non importa dove ti portano tu seguile... perché... nascono nascono tutte al sole... LE POESIE NASCONO AL SOLE e le poesie nascono al sole.. appena piove... si bagnano e vanno via.. le poesie nascono al sole... come le ombre... non fanno rumore... e poi ci sono i sogni... che sono in fondo bisogni.. ma quanto ti tornerò in mente.... nascerà sul tuo cammino un arcobaleno che con i suoi colori... nasce al sole... come le ombre... nascono... lontane dai rumori... e questi sogni.. che non si avverano mai... in fondo solo... profondi bisogni... ma questi rumori... gli ultimi prima che la notte cominci ad urlare... quando tutte le abat-jour... si spengono per non vedere... disegna un arcobaleno... come tutte le belle cose... nasce al sole i dolori.. sono giorni di pioggia.. che sono tanti... e che sono troppi.. come i ricordi... che ti schiacciano il presente come nasce un sorriso... in mezzo ad un fiume di inutili parole come sperare di morire... per un disilluso sognatore... ma le poesie nascono al sole... come le pareti umide... di case abbandonate... svuotate dal tempo... che niente fa più rimanere solo le voci... di qualcuno... che non si arrendono a volare... ecco quei ricordi... che non si arrendono al dolore... come l'arcobaleno... non si arrende al temporale.. come lo sta a guardare... dopo esce fuori. nel suo più bello splendore... 0 per stupire gli occhi... degli spettatori solo in quell'attimo... perchè domani sarà tutto uguale... se non è per il cielo... domani sarà tutto uguale... (Mario Dimeglio - 2012)
ANONIMO E questa una filastrocca apparsa affissa alla bacheca della SIP di Mestre (l'azienda telefonica ora Telecom) circa 35 anni fa e di cui non è stato possibile rintracciare l'autore, all'epoca giovane dipendente, malinconicamente ironico, dell'azienda telefonica. COME LA NEVE Come la neve lenta lenta fiocca sugli aspri monti (e in questa filastrocca) e tutto copre con un manto greve e bianco e freddo (visto che è di neve!) Così un dopo l'altro fanno gli anni, fioccando assieme gioie coi malanni, coprendomi le spalle a me che narro, come le copre a un vecchio il suo tabarro. Mi tocca dir, per quanto sia banale, “amici” miei, di nuovo è già NATALE! Ma questa volta non la scrivo più la letterina al buon BAMBIN GESU', anche perchè, io ci scommetto, la posta mia la butta in gabinetto. Affermo solo che non c'è decoro soffrendo per questioni di lavoro; non val dannarsi il cuor, come qualcuno, se conta solo chi sa vender fumo; o se il tuo capo passa le giornate dicendo che fai solo puttanate, e intossicato dal suo stesso fumo si crede chissà chi, ed è NESSUNO. E allora perchè mai scavarsi nicchie, scannarsi per un piatto di lenticchie, avvelenarsi l'anima e il bicchiere e prenderlo, comunque, nel sedere? E' molto meglio far filosofia, guardare con distacco ed ironia, o meglio ancora viver di follie, o innamorarsi, o scrivere poesie; che forse non è il vivere più bello, né il vivere che guidi col cervello; ma certamente, quando sarai vecchio, ogni qualvolta guarderai lo specchio, ti eviterà di aver la sensazione e il dubbio, atroce, di essere un coglione!
WILMA VIANELLO Wilma Vianello è nata a Venezia nel 1939 e si è trasferita a Mestre, con rammarico, nel 1966. Da autodidatta e con i capelli grigi riesce a scrivere nel suo dialetto tutto l’amore e la nostalgia per Venezia. Fa parte del gruppo “Poesia Comunità di Mestre”; sue liriche sono presenti in varie raccolte e antologie ed ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Lei dice “scrivo par no desmentegar”.
Buriana a Venessia
Luna de istà in campielo
Scapussa el vento, supia el se intriga dentro e onde lampi che sbrega el çielo el ronchisar dei toni, l’acqua vien sora le rive bagnando cale e campieli s-ciafisa l’acqua el passo de grandi e de puteli. Se specia zo i balconi pieni de tanti fiori e come un calendoscopio xe festa de colori. Po el sol, da drio a le nuvole, zoga a nascondarelo, le giosse par cristali parsora palassi e case se puza i cocai. La buriana la xe passada torna el ciacolar tra i campieli e calesele sora ghe fa coverta un çielo strapien cargo de stele.
Quando el calor de l’istà, el sonno el cavava via Venessia diventava ‘na magia. La luna gera granda in alto là in çielo la iluminava zò tuto el campielo e de sora un ponte cantava un menestrelo el sfiorava le corde de la so chitara pian come che el gavesse la so bela soto le so man. La acaressava e la ninolava e intanto in çielo la luna lo ascoltava. Cussi gera Venessia de ‘na volta, quela vera quando che ancora la gente se vedeva girar de note par cale e campieli incontrando par la strada solo qualche imbriago bon o menestrelli. Co la luna andava via, verso matina la pareva come da drìo de ‘na coltrina a spiar curiosa ‘na alba che incominciava a farse rosa la tirava sù ‘na scala fata de stele argentae lassando zò i sogni de tante copie inamorae. Cussi xe Venessia soto el çielo stelà co la luna alta parsora, sempre presente là un fià rufiana come che la fusse l’ocio atento de ‘na mama.
Maria Teresa Morini Maria Teresa Morini è nata al Lido di Venezia nel 1954. Ha trascorso l’infanzia a Venezia in un ambiente famigliare molto legato alla città e da questo le deriva un vissuto tradizionale con Venezia e con il suo dialetto. Si laurea a Padova in Giurisprudenza. Inizia a scrivere per diletto da ragazza, e nel 1982 pubblica in proprio una piccola raccolta di poesie intitolata “Rosso Cacao Olandese”. Inoltre Maria Teresa ha pubblicato i suoi versi in alcune riviste on line, come “Rosso Venexiano”. Maria Teresa non si avvale della poesia come mero mezzo descrittivo di sentimenti, ma come forma di indagine circa la concezione esistenziale di se stessa rispetto al mondo e alla esperienza del vivere. VERZILO, LASSALO ‘ NDAR STO FAZOLETO Verzìlo, làssalo 'ndar sto fazoleto sgiònfo de corente e de rimorsi daghe un vento de siròco e mètite a spetar sentà sul ponte dei Mendìcoli. Gnente nasse par caso e ti la sentirà. L'aqua la vien suzo dai tombini umile e ciàra, la pararìa quasi 'na carèssa se no la fusse 'na disgràssia. La cresse sensa riguardo paròna de tuto e tuto la porta via, 'na trasparensa che dura quel che basta fin soto al campanil de sant'Alvise. L'aqua alta, la ciamemo alta che bassa no la farìa nissun dano, la starìa bona tra le rive a spenzér qualche culo de limon rosegando sensa denti la piera greza de i palassi.
NULLA DORME NEL GELO Gennaio... sì, molto freddo, padrone di cieli senza storia, cattura rumori e li nasconde premuroso nei becchi di uccelli affamati. Dai seni dei bulbi narcisi premono incauti germogli non s'avvedono della brina glassata. Il fiore lavora nel suo silenzio. Sotto i ponti mormorano i mìtili stretti contro la pietra viva. Nulla dorme nel gelo. Nell'angusta soffitta ho scoperto un nido. Tornerà primavera voglio sentir cantare. ESSERE MELAGRANA La melagrana si spacca alla forza dei suoi semi rubenti, apre la scorza in sorrisi-ferite, doni di vita. Io sono la tua melagrana se paziente da me una ad una trai le piccole gocce sanguigne. Non lacrime rosse di occhi delusi. Uno scherzo d'amaro ti pungerà la lingua e perle fresche di dolce sorprenderanno il tuo pensiero. Saranno il mio dire a te seme che contengo fiore. Il frutto è un altro venire.
AURORA NISCO Nata a Carpenedo, da sempre ama annotare pensieri; un’estate in un paesino di montagna di tre case e due abitanti, un vecchio montanaro passava tutta la sua giornata seduto al sole.
Tra sogno e realtà Un paesino perso tra le montagne l’eco di una campana a festa giunge dalla valle il canto delle cicale e l’abbaiare di un cane, riempiono il silenzio. Da lontano una piccola cascata tra il verde dei boschi. E tu vecchio stanco, le tue gambe non ti reggono più, passi ore, con lo sguardo perso nel vuoto, seduto su quella panchina. Forse sogni….sogni quella ragazza con gli occhi azzurri ed i capelli biondi, che tra i prati in fiore, tu stringevi al cuore, sogni il tuo primo bacio d’amore, quando immaginavi….di sentire…le campane suonare a festa per tutta la valle …sogni…sogni… Una mano si appoggia alla tua spalla.. E’ quella ragazza con gli occhi azzurri ed i capelli bianchi Che quel tempo tu hai stretto al cuore Che ti guarda ancora con tanto amore
VIRGINIA BASSAN Nella sede dell'Auser “Il Gabbiano” qui a Campalto da tempo giaceva un plico contenente poesie con il nome Virginia Bassan impresso sulla copertina. Non siamo riusciti a raccogliere notizie della signora Virginia (che non è più in vita). Abbiamo letto quei versi, ci siamo emozionati e ne abbiamo scelto un paio per tutti voi. Grazie Virginia!
PER IL TUO COMPLEANNO (1919)
EL MIO CAMPIEO (1967)
Per il tuo compleanno Adalgisa cara possa il mio augurio realizzare i tuoi sogni: d'amor, di gioia e tutto ciò che agogni
Quatro case 'na ciesa e un canceo che porta ai orti, ecco el me campieo!
E nell'april si bello, mese di fiori e canti, dell'azzurro del ciel, dei prati verdeggianti, del cinguettare gentile che all'amor ci invita, bella come l'Aprile trascorra la tua vita!
Un tempo 'sto campieo gera el mio mondo e vegnivi a sogar el girotondo insieme ai putei dea mia età attorno a un albero che gera là impiantà. In 'sto campieo go vissuo 'na vita degioie, de dolori e de speranse, e minzonar ste cose el mio cuor pianse el pianse, el se dispera el me fa mal parchè in quea caseta rossa col faral go passà i più bei anni dea gioventù insieme ai me do veci che ora no i ghe xe più. Quanta felicità, quanta dolcessa insieme a lori, e adesso che tristessa! Ancora adesso, se vardo quel balcon, me passa par i oci 'na vision e vedo mia mama là pusada co la so bea testa inarzentada che la me speta! E sento un gran dolor e me pararìa butarme in senocion par ciamarla caramente come allora perchè la tornasse con noialtre ancora. Campieo mio ti xe uno scrigno d'oro pien de i gioiei de le mie memorie e te ricordarò fin che mi moro!
VANNA SALMASI Ci racconta la figlia di Giovanna Salmasi, Maurizia: “mia madre Vanna non era una donna comune. Era combattiva, dotata di grande spirito di osservazione e di una spiccata sensibilitĂ . In lei albergavano sentimenti contrastanti che amava comunicare agli altri con le sue poesieâ€?. LA GONDOLA UNICA DEA Appoggiato sul suo fianco il romantico amante accompagna la dama che avanza lenta nel canale illuminato dal latteo chiarore della luna. La sinuosa dea, dal vestito filettato d'oro e il lungo manto nero, lambisce l'acqua dai riflessi argentei. La vezzosa si abbandona in una danza lasciva dondolandosi al suono di una musica in sordina; suonata dal braccio dell'amante che batte l'acqua cheta del canale. Nel silenzio della notte estiva la fascinosa dama scivola lenta nello specchio luccicante della laguna, dove la luna accesa nel cielo punteggiato di stelle, l'avvolge nel suo diafano manto e l'accompagna, sospinta da tiepida aria, nella scia olezzante di profumi salmastri. Unica dea senza confronti, distesa nel suo vagante letto, segue la luna nel suo lento cammino cullandosi nell'acqua che scorre senza posa verso lontani lidi!
GIULIANO BRANDOLI Ho iniziato a scrivere poesie diversi anni fa come fanno, o facevano, molti giovani. Scrivere versi mi ha spesso consentito di fare sintesi delle mie ansie, dei miei entusiasmi e delle mie emozioni: mi ha aiutato a comprendere me stesso e gli altri. Valentina Ecco, ti aspettavo. Con curiosità, con orgoglio, con un po’ di timore, con la certezza che ti avrei tenuto testa. Invece zero! Hai travolto ogni difesa con il solo apparire, con l’esserci. Hai sgretolato concrezioni accumulate in mezzo secolo di regole e convenzioni; ridicolizzato la mia idea di forza, abbattuto l’orgogliosa diga delle lacrime. Un piccolo movimento di quelle fragili dita, esili steli di margherita, e si è sciolto come gelatina il fortino di ferro che avevo nel petto. Ti aspettavo. Ed ancora aspetterò il primo sorriso e le prime parole che mi solleveranno da terra e mi faranno fluttuare. Ti terrò testa! Aspetterò i primi barcollanti passi, le prime domande, i tuoi occhi che vogliono imbrogliarmi, e le grida mentre giochi. Quando piangerai ti terrò la mano, asciugherò le lacrime e ti darò ragione. Poi, aspetterò che tu mi venga incontro, altrimenti lo farò io, e ti accarezzerò. Su di te Mani di profumo come un alito tracciano sottili e dolci brividi. Dalle spalle ai morbidi fianchi disegnano il tuo respiro, e senza lasciarti sfiorano rossi desideri nascenti. Lo sai? Profumi di amore e gelsomino.
MATTEO BARBIERI Sono nato nell’85 e ho iniziato a scrivere un po’ dopo. Attualmente sono scoperto con la vaccinazione per il tetano. Per il resto tutto a posto. Accade spesso sulle rive
Rinuncio
T'ho vista divenire onda alla sera a te, che pur del pane hai forma al sole e dorme la città, Venezia dorma sull'altra sponda in cui precetto vuole
Rinuncio al grano in dono affilato come un rasoio e rinuncio alle mie mani che l'hanno mietuto rinuncio ai corpi che non posso alterare alle pazzie di un tempo ai portici sicuri sotto cui far asciugare i vestiti e rinuncio alla pioggia che offre alibi alla pigrizia rinuncio al meccanismo perverso del benessere economico alle mani strette sotto la sua bandiera alle bandiere senza vento o con vento scostante rinuncio al vino offerto malvolentieri e alle offerte di pace se la pace è ignorarsi lungo la via rinuncio alla carta che illude alla penna che sputa rinuncio al miraggio doloroso delle finestre illuminate nel buio agli insegnamenti dei grandi maestri al loro talento che è concime per l'invidia rinuncio alla bassezza dei miei istinti ai miei abiti di urla ai fratelli di latte che deliberatamente ripudiano rinuncio al sangue fatto sabbia all'irrigazione della mia anima al mio puzzle di retorica sasso nella scarpa rinuncio a rinunciare se possibile rinuncio.
silenzio; e tu che piano prendi forma ti muovi come l'erba fa col vento e ridi e piangi, senza risa o pianto. A un tratto tutto muta ed io lo sento non c'é Venezia o l'erba, tu soltanto che pur tra faro ed ombra ammiro a stento brillare di riflessi ed acque il gioco. Consueta sei, l'incanto a poco a poco cambiò sopra di noi la volta intera: t'ho vista divenire onda alla sera. Io sono come un piccione Io son come un piccione sul cemento schivando ora un passante oppure un cane cercando spunti ad uno, dieci o cento lanciati come briciole di pane. Non volo: chino, timido zampetto son pollo, le parole il mio becchime son gallo, in una gabbia gonfio il petto pavone, e fo' la ruota con le rime. La giacca -non ho piume- a volte stona non ho la cresta, allora in testa ho un guanto e quando la campana il giorno suona mi rizzo sulle zampe e al sole canto; le ali faccio corteggiare al vento io son come un piccione sul cemento
Chiara Foffano Chiara Foffano, 32 anni. Di professione faccio girare il mondo a chi me lo chiede: lavoro in un’agenzia di viaggi. Amo la musica e le parole, cantare e leggere. Mi piace scrivere e ci provo, e qualche volta ne esce qualcosa di carino. Credo che questa sa la mia prima “poesia” in assoluto, scritta di getto qualche anno fa. Scorri senza domande
Momenti fatti di persone
Scorri senza domande senza domande avanzi, scavi e travolgi.
Momenti fatti di persone Persone fatte di momenti
Tu non aspetti. Aspetta chi alle tue sponde si accomoda, ti osserva e prega. Rassegnato al tuo andare accogli la fine della tua gente. Abbonda e disseta la tua terra rossa. Lava la pelle stanca. Scava il tuo letto per questi piedi scalzi per queste mani che non hanno riposo. Fedele al tuo andare salvi la vita della tua gente.
Fatti che poco contano Fatti che non cambiano Cambi di vita La vita che cambia Scelte che corrono che non si fanno prendere che non Scegli. Polvere nei pensieri Polvere nei pensieri, fermi tra i capelli. Polvere nelle narici e nella bocca non c’è ossigeno per parlare ma solo per aspettare. Polvere di strada di montagna rossa, violata dal vento e dai passi di gente che la respira. A fatica respiro anch’io. Nel viaggio tra polli e sudore vedo le stelle più belle. Posso toccarle, posso sentirle sulla mia pelle fredda. Vieni notte, vieni con le tue luci all’arrivo di questo viaggio riposo, tra polli e sudore.
LUCIA SENO Lucia Seno è nata nell'isola dei merletti, a Burano, ed è cresciuta nell'isola di Ortigia in provincia di Siracusa: “due bellissime isole, che io amo a dismisura, mi hanno indotto a scrivere dei miei ricordi di bambina in versi in dialetto veneto e siciliano”. 'NA CASA VECIA
VITA è......
Su ea fondamente un poco sconta ghe xe 'na casetta un fià malandada ma se tea vardi ben na xe tanto mal ciapada; la ga solo i balconi de legno tuti screpoai da l'umidità e un campaneo che xe stanco de sonar e mi so là che la vardo incantà. Par che ladiga: venì zente, venime abitar parchè go ancora vogia de vivar e vogio sentir ancora ea me parona cantar e i fioi zogar; sta casa vecia, se podesse parlar, quante robe ea podarìa contar! Ma una sola ve ne vogio dir: a mi Venessia me piase cussì!
Una carezza, un bacio, gioire, piangere, ridere, arrabbiarsi; essere felici, essere repressi, non sapere di esistere. Vita è un alternarsi di momenti che vorresti non ricordare mai, o non dimenticare mai! Che il mondo si fermasse lì in quel preciso istante perchè tutto diventi speciale per te: le persone, le cose, e tutto quello che ti circonda; vorresti che anche gli altri si sentissero felici di esistere! Perchè la vita è bella, ma tante volte conduce a pascoli infiniti dove, tra l'erba, si annidano gli ingrati.
Teresa Righetto (detta Resi) Se ne è andata qualche anno fa! è cresciuta in una famiglia con altri 11 fratelli e sorelle; ha scritto diverse poesie e ha dedicato questi versi al marito Lino che l'aveva lasciata 10 anni prima. In questo triste anniversario ho voluto scrivere una letterina al mio Lino: non esagero quando dico “la tua presenza”, perchè quando sono sola mi sembra di averti vicino! DECIMO ANNIVERSARIO Dieci anni son passati dal dì che sei partito e sei volato via, via verso l'infinito. Sai dirmi perché mai ti sento a me vicino? Mi segui, mi proteggi per il resto del cammino! Anch'io ti seguo sai! Ma con la fantasia sperando, quando è ora, di ritrovarci ancora. Mi vedi tu, mi senti? Sono curiosa sai! Ma so che queste cose non le sapremo mai. Che c'è un “di là” lo sento perché la tua presenza e delle persone care mi danno la certezza. Quand'è la sera a letto il mio pensiero vola sai; e vola all'infinito a te vicino più che mai. Se puoi proteggi noi che ti vogliamo bene, e al momento del tramonto, se puoi, vienimi incontro!
Giancarlo Bergamasco Giancarlo Bergamasco è nato a Venezia nel 1936. Autodidatta, scrive per passione senza nessuna presunzione letteraria. Autore del libro “Via Bagaron” di “Viaggio a premio” e di “Burger il figlio del lupo” alterna i suoi scritti con qualche poesia, nessuna delle quali pubblicata. Non so ben che fare Tu mi guardi, e io ancor non so vederti. Poi un baleno accende la speranza. Ti vedo: ti parlo ma non odo il tuo riscontro, son io che non ti sento, o sei tu che non mi parli? Mi scuoto, ti scuoto, parlo e la mia voce va morendo. Che stia sfiorando la follia? In te tutto è vago e si consuma Or tu stai guardando il non so che, e io non so vedere. Se percepir potessi almeno in parte il tuo pensare potrei sentirmi pago; potrei trovar risposta al mio desio. Forse il mio impegno è troppo schivo, o poco probo per entrar nel vostro mondo, dove tutto è inesplicabile dove pochi sanno prendervi per mano. Mi butto, ritento, provo ad emular vicino. Vorrei scoprir il mistero, trovar la giusta via per stringerti le mani. e aprirti al mondo intero. Ma è come gridare al vento, come lenire il mare. Sto sbagliando, e con me la gran platea che non reagisce, che resta muta a quel soffrire. Vi chiamano diversi, non so ben da chi. Questa l'insana sorte che vi è stata data. Capovolgendo il tutto, i diversi siamo noi che non sappiam capire, e meno ancora alleviar il cuor compunto, e il tormento di chi si trova ad affrontar la sorte. Ineluttabile il plauso vada a quegli alfieri che con tanto amor s'apprestan. E' sorte oscura per chi, senza rimorso alcuno, continua a navigar imperterrito, e non si cura.
Guardando negli occhi Hai mai guardato negli occhi la gente? Parlo della gente comune, quella che incontri per strada, che va a lavorare, che incontri al mercato, o non sa dove andare. Se guardi paziente e sai ben osservare, rivelano cose che fanno pensare. C'è l'occhio stanco che guarda e non vede, l'occhio dolce che ispira fiducia, l'occhio bigio che di nulla si cruccia. C'è l'occhio pio, l'occhio di mamma che guarda amoroso dentro la culla il bimbo che dorme C'è l'occhio furbesco, l'occhio rapace. Ci sono occhi di fuoco, occhi di stizza, squallidi sguardi, occhiate d’intesa, a volte amorose, altre impietose. Ognuno si porta incastrato nel viso, quei due fari lucenti che non sanno mentire. Ma gli occhi più belli son quei dei ragazzi perché son sani, hanno il sorriso e il brillar del domani. è vero, qualcuno ha l’occhio un po’ spento, lo sguardo impietrito, l’andare un po’ lento che induce a pensar. Per questi non basta a guardare! Ci vuole pazienza, tanto calore, esser indulgenti. Offrir loro l’amore, solo così li possiamo aiutare, e di nuovo il sorriso far loro tornare!
SERGIO SCANCELLI E' nato a Venezia nel 1952; ha lavorato al porto di Venezia, al petrolchimico di Marghera dal 1975 al 2010. Attualmente svolge attività come professionista e docente in materia di sicurezza sul lavoro. Ha pubblicato su "Spartivento", "pietra serena", "abiti lavoro" rivista di poesia operaia di cui è stato redattore sino alla fine attività negli anni '90. BARENA L’acquitrino vasto sembra enorme, così piatto, livellato, dalle onde basse, invece è una pozza. Una larga sottana estesa buttata ai piedi della nobildonna che si profuma alla giornata che l’attende. L’antica città, impettita, elegante si dona un po’ noncurante agli sguardi ammirati di turisti stremati. Si presta materna con calli ed anfratti al gioco dei bimbi alle ombre e all’ozio dei grandi. Ha un volto segnato dal tempo, l’aristocratico pallore ormai è terreo incarnato di una sofferenza biliare di bocconi amari che non vanno giù. La laguna, la barena, i ghebi, povere viscere appesantite eruttano miasmi fetidi. La bassa marea impietosa mette a nudo oscenamente membra sfatte ricoperte di alghe marcite. La prende un effluvio dolce che sa di morte di lenta decomposizione di rinuncia e rassegnazione. Sempre caldi e stemperati gli oli sulle tele i versi dei sonetti a riesumare gli affetti che furono il gioco di fata Morgana. Nata dal mare offerta all’amore del comune mortale perduta pel suo vizio. Sogno una generosa marea che ti porti con sè e metta fine al supplizio.
QUANDO SIAMO TUTTI SULLA STESSA... VASCA (dedicata a Massimo) I blocchi di partenza ondeggianti all’orizzonte della bracciata non rappresentano un punto di approdo ma l’occasione di un’altra virata. Nuotare sul liquido clorìto come volare sul cielo di un etereo denso piastrellato azzurro intenso della vasca che scivola di sotto come superficie di un pianeta cotto. E il fondo un metro poco più sotto si può toccare, sfiorare, carezzare ma risalire è un obbligo con la boccata d’aria conquista periodica ineludibile. I nuotanti avanti - indietro sulle corsie a tenere la destra condomini rispettosi tutti nudi esposti e condizionati al loro stesso galleggiare. E un corpo emerge, galleggia riceve una spinta dal basso verso l’alto perché sposta un volume equivalente alla sua stessa forma. Così la teoria vale dunque agitarsi tanto ?! Delfino e rana alternati allo stile detto libero per l’approccio così approssimato da risultare comico. E il respiro s’inceppa poi riprende ritmo inspira - espira inspira - espira inspira - espira
CRISTINA MARSON Mi chiamo Cristina Marson, sono nata a Venezia 49 anni fa. Spinta nel vedere questa Venezia abbandonata nel degrado, attraverso la poesia, cerco di far conoscere a tutti, sia i suoi problemi, sia le meraviglie storiche che essa possiede, sperando di arrivare al cuore di chi veramente la ama.
El rigatièr e la bambolèta El vénde recòrdi, de sècoi lontàni dai mòbili vèci, ai ogèti piu' stràni... persi nel tèmpo, e desmentegài da chi na volta, li gavéva amài...
in un cantón, desóra na careghéta vèdo el vixéto, de na bèa bambolèta e gànase, dó pésche, òci grandi e scuri la portària via sùbito, da sti quàtro muri!
se sente l'odór, de na vita pasàda che bèa sensasìon, su sta stànsa saràda...
par che eà me vàrda, che eà vòja parlàrme, de la so stòria, star a contàrme... ghe vado darénte, ghe sfiòro eà mànina me mèto in zenòcio, e ghe digo visina: «Mia pìcola stéla, te portària co mi ma fòra, sto móndo, no fa più par ti
co i òci lustri, ritòrno a che'l epoca dei nòstri vèci, che ogni tanto i la evòca
xe tuto cambià, se te pòrto all'estèrno xe come dal Paradiso, pasàr all'Inferno...»
de quàndo co póco i géra contènti e gàveva valòr, i bei sentimènti...
E tra el profùmo, de na vita lontàna strénzo tra le man, la so biànca sotàna
me vàrdo intórno, co nostalgìa, ma d'un tràto, me sènto rapìa...
fazèndome prométer, da che'l vècio rigatièr che se el sèra botèga, el me fàsa sàver...
in mèzo a la pólvare, là ad aspetàr na ànema Pia, che li voja compràr...
De Venèssia ghe nè una Se de mi ti vol véder, la piasa più famosa xe quela de S.Marco, bèla come na spósa ... so na luxe par i to òci, un ricòrdo par la vita farme e foto pàr i turisti, xe na gran zòja infinita ... Ma te svelerò un segrèto, e lo digo solo a ti sì so bèa in cartolina, ma go un'anima anca mi tiente prónto e vien co mi , che te pòrto nel me cuòr drénto e cale e i posti scónti, dove regna el me splendór go palàsi e tanta stòria, sotòporteghi e càmpieli i me balcóni casca a tòchi, ma a vàrdar, xe sempre bèli varda in àcqua i me riflessi, i me colóri che alegrìa tuti quanti co me varda i vòria portàrme via ... su na téla i me pitùra, mi me mostro e stago in posa perchè si, so tanto bèla, e anca un póco vanitosa ... nei me càmpi sóto el sól, i putèi soga a balón mentre e sióre e se svéntola là nell'ombra nel portón i gati pigri venèssiani i se ripòsa in fondaménta el profùmo che se sente xe da pése e de polènta su le corde la biancherìa, la svolàza sui canài mentre intànto là nel ciél, xe un svolàr de cocài so romantica e misteriosa, de l'amor so la cità le me strade un labirìnto e che mai se capirà ne la laguna mi so nata, so na pèrla in mezo al mar delicàta so preziosa, so un zòjelo da salvàr ... dèso ciàpa la me man, dime, nel cuòr ti senti la me zòja, el me dolór, l'alegrìa e i me tormènti ... vojo entràrte ne le vène, e co amór farte capìr che mi sempre sarò viva, e no vojo mai morìr ti me portarà nell'ànema co l'odór de la laguna co ti me pensi ti dirà ... de Venèssia ghe nè una ... !
GINO ZANELLA Nasce nel 1910 a Trevigano, allora un insieme di borghi disseminati nella campagna, poco distanti da Montebelluna. Ed è proprio la “sua” gente di campagna, con la sua serenità, ma anche con le miserie e le povertà, che ha ispirato, unite a una profonda fede cristiana, gran parte delle sue numerose opere. Poesie, racconti, trame teatrali che non ha mai voluto pubblicare ma che sono raccolte in preziosi volumi. Ci ha lasciati nel 1995. Il dono
Sconosciuto
Chi ha donato ai fratelli tutto di sé non è come l’albero spoglio che ha reso alla terra le fulgide foglie e nudo, stremato, le braccia scheletriche stende nel vuoto immenso del mondo, ma come seme di vita che rifiorisce in profondo, occulto nel cuore vivrà di ogni fratello.
Tu guardi e non vedi che l’ombra d’un nulla oltre la soglia, d’un volto che sfiora fugace il tuo sguardo. L’immagine uguale e diversa dell’uomo nasconde un mistero più fondo e segreto del cuor della terra. Ignoto a se stesso, ignoto al fratello, nel vasto e affollato deserto del mondo, va l’uomo all’occulto destino come falena notturna che corre a morire incontro alla luce. Sul tumulo muto non resta che un nome, oscuro, segreto, sepolto d’oblio.
Pietro Silvestri Pietro nasce a Venezia nel 2000. Comincia a esprimere le sue emozioni sotto forma di lettere a partire dalla morte del nonno: una poesia occasionale dedicata a lui dà il via ad una serie di brani che tiene per sé fino alla decisione di condividerne qualcuno sui social network. RICORDI MATILDA ricordi, Matilda, quando a lume di candela, ballavamo da soli, lenti, sulla musica sporca della vecchia radio? ricordi Matilda? Non guardarti le rughe, Matilda, ricorda quando ridevamo, seduti sulla riva, al tramonto e tu eri bellissima, e io ti facevo ridere, ricordi Matilda? non mi importa dei capelli bianchi, Matilda, ricorda quando suonavo la chitarra, stonando improbabili canzoni d'amore e ti piacevano tanto, e io cantavo, ricordi Matilda? no, non ci pensare, Matilda, non ti truccare, devi solo ricordare, non mi importa quello che dice il dottore, non devi dimenticare, ricorda, Matilda. LA CITTà è MIA
Sarai come una casa vuota
La città è mia "Mia" dice il barbone. Si guarda intorno, lo sa che è sua. Ride. La città, tutta quanta. Dai muri rovinati della periferia fino ai mastodontici alberghi in centro. Altro che presidente. Altro che regina. Lui controlla tutto. Lui decide quando la gente attraversa la strada Lui decide quali linee della metro passano. è tutta sua. Sua, come la bottiglia di vino vuota al suo fianco. Sua, come il mucchio di giornali che lo ricopre. Si alza dai gradini, il barbone, barcolla. "Mia!!" grida al vento. Una risata grassa, come quella di un re, riempie il buio della strada deserta.
Sarai come una casa vuota. Come un pavimento polveroso, pieno di calcinacci. Senza più spazio nemmeno per muoversi. Come un vecchio muro dal quale l'umido ha staccato gli ultimi lembi di intonaco. Mancherai del tuo scopo. Come una sedia senza una gamba Come un letto di cemento. Allora servirà a poco chiedere come ci si sente quando si è soli. Come ci si sente quando si è inutili. Dimmelo tu, come ci si sente vecchia armatura arrugginita dimmelo tu, maestoso affresco scolorito insulsa coppa di plastica.