BREVE SINTESI DELLA STORIA DELLA LIUTERIA NAPOLETANA
a Scuola Napoletana
LE ORIGINI: Verso la fine del ´500 molti liutai di Füssen*, sono scesi in Italia a cercare fortuna, stabilendosi in particolare nelle città di Napoli, Venezia, Firenze e Roma. Napoli, che insieme a Venezia era una delle capitali musicali dell´epoca, ha attratto un gran numero di liutai stranieri, i quali hanno affiancato i liutai locali per soddisfare la grande richiesta di strumenti della corte del Regno delle Due Sicilie. Già all´inizio del ´600 molti liutai tedeschi operavano a Napoli, presso le loro confraternite, tra cui Magnus Lang I (Magno Longo I), Matthäus Selloß, Jacob Stadler e Georg Kayser. Questi, più che liutai di strumenti ad arco, erano per la maggior parte “Gitarren- und Lautenmacher”, cioè costruttori di liuti, chitarre e simili – È quindi verosimile che la loro presenza abbia contribuito alla grande popolaritá e diffusione del mandolino in Campania. La convivenza tra liutai tedeschi e napoletani ha prodotto un florido scambio reciproco, sfociato in uno stile molto tipico per quanto riguarda gli strumenti ad arco – chiaramente ispirati ai grandi Maestri della scuola cremonese, ma con un`impronta molto particolare. Fu sicuramente influenzato dalla scuola di Füssen Alessandro Gagliano (±1660-±1735), l´inconfutabile capostipite della scuola napoletana, il quale ha dato inizio a una vera e propria dinastia che ha dominato la scena napoletana per più di un secolo e mezzo. Tutt´oggi non è noto dove abbia imparato il mestiere, ma a giudicare dallo stile abbastanza estroso di Alessandro Gagliano, appare quantomeno dubbia una sua lunga formazione nelle botteghe di Amati e Stradivari a Cremona, come spesso gli viene attribuito; semmai la mano della liuteria “classica” si nota maggiormente nei lavori dei figli Nicola (1695-1780) e Gennaro (1700-1770). E’ comunque accertato che il figlio di Antonio Stradivari, Omobono**, trascorse un periodo a Napoli (come risulta dal testamento del padre, non privo di rimproveri nei confronti del figlio) presumibilmente attorno al 1700, ed è altamente probabile che abbia lasciato tracce stilistiche tra i liutai operanti in città. Tra i discendenti di Alessandro Gagliano, oltre ai due figli, spiccano in particolare i nipoti, tutti figli di Nicola: Ferdinando (1724-81), Giuseppe (1725-93), Antonio (1728-±1807), e Giovanni (1740-1806) e inoltre, i figli di quest´ultimo, Raffaele (1790-1857) e Antonio II (1791-1866), i quali spesso collaboravano tra loro. Nell´entourage della famiglia Gagliano vanno menzionati altri due importanti liutai “germanici”: il boemo Mathia Popeller (±1671-?) e Tommaso Eberle (1727-1792), tirolese di Vils (nei pressi di Füssen) e allievo di Nicola Gagliano. Continuatori della tradizione dei Gagliano sono state le famiglie Vinaccia (±1730-±1880) e Ventapane – il cui più illustre esponente è Lorenzo (1790-1845)- fino ad arrivare a Vincenzo Jorio (1780-1869) e Alfonso Della Corte (1826-1884) per citarne solo i più rappresentativi. IL NOVECENTO: Dopo il tumultoso periodo dell´Unità d´Italia (1861) con il paese sottosopra, la situazione a Napoli a cavallo del secolo era piuttosto precaria e molte migliaia di napoletani erano costretti dalle circostanze a emigrare negli USA o in Sudamerica per migliorare le loro condizioni di vita. Con l´estinzione o quasi delle Grandi famiglie (soprattutto i Gagliano, ma anche i Ventapane, i Vinaccia, i Fabricatore e i Filano – queste ultime tre famiglie conosciute maggiormente, oltre che per gli strumenti ad arco, per i loro bellissimi mandolini e chitarre), la situazione della liuteria a Napoli era piùttosto stagnante; per i liutai erano tempi duri e solo in pochi si potevano permettere di mantenere una bottega. Poi, finalmente, verso la fine del secolo, grazie ad una crescente interesse generale per la Musica (nella scìa di Verdi e Puccini) e, di conseguenza, anche ad una maggiore richiesta di strumenti ad arco, pianpiano la liuteria a Napoli riprese a fiorire, anche se non era mai scomparsa del tutto come in altre parti d´Italia.
Vincenzo Jorio era portatore della vecchia scuola ed ha passato il testimone agli allievi Giuseppe Desiato (1826-1907) e Vincenzo Postiglione (1831-1916), il quale è da considerarsi il capostipite delle nuove leve. Frequentavano la bottega di quest´ultimo, Alfredo Contino (1890-1963) e, almeno per un periodo, Giovanni Pistucci (1864-1955), mentre invece in quella di Francesco Verzella (1840-1928), furono iniziati Armando Altavilla (1876-1968) e Vincenzo Sannino (18791973). Oltre ai già menzionati, all´inizio del ´900 erano operanti in città le famiglie Calace e Loveri, Giovanni Tedesco (1861-1947), Giuseppe Tarantino (1878-1962), fino ad arrivare a Vittorio Bellarosa (1907-1979). Attorno a questo grande cerchio di liutai più o meno importanti, ruotava una miriade di liutai minori, intagliatori oppure gente semplicemente portata per lavori manuali, che vendevano ricci (o strumenti) di loro fattura per arrotondare le entrate – cosa che a volte rende estremamente difficile attribuire una paternità assoluta a molti strumenti napoletani. LE “COPIE D´AUTORE” All´inizio del ´900, quando cominciavano a scarseggiare gli antichi strumenti cremonesi e veneziani, molti commercianti stranieri si recarono a Napoli, dove era ancora relativamente facile trovare strumenti importanti; un Gagliano minore spesso si poteva acquistare ad un costo di poco superiore di quello di uno strumento moderno. Fridolin Hamma di Stoccarda era frequentemente in città in cerca di strumenti antichi, come anche importanti case statunitensi dell´epoca, William Lewis & Son di Chicago e Wurlitzer Co. di New York, per menzionarne alcuni. Ben presto anche Napoli fu prosciugata degli strumenti antichi e quindi la crescente domanda di strumenti del ´700, fece sì che molti liutai napoletani, per sopravvivere, furono costretti a fare copie degli antichi, dando a loro strumenti appena costruiti un attribuzione più antica. Uscivano quindi dalle mani dei vari Pistucci***, Altavilla, Sannino, Bellarosa ed altri, molti “falsi d´autore” (soprattutto copie della famiglia Gagliano), nati già con l´etichetta Gagliano, spesso autentica – Giravano ancora numerosissime etichette originali sopravvissute dalle antiche botteghe, che erano passate di mano in mano ai liutai successori e che si aiutavano reciprocamente. Oggigiorno a Napoli è piuttosto raro trovare violini antichi del glorioso passato, ma esiste ancora una notevole quantità di “copie d´autore”. MATERIALI: Ciò che rende affascinante la liuteria napoletana minore è “L´arte di arrangiarsi” con materiali “poveri”, come assi magari recuperate da un vecchio letto. Strumenti, a volte grezzi, assimmetrici e costruiti visibilmente in fretta con pochi attrezzi a disposizione, ma che spesso sono di qualità acustiche ottime, di grande personalità e ricoperti da una vernice splendida e trasparente. La vernice degli antichi era a base d´olio, ma già a partire dalla seconda metà del ´700 prendeva sempre più piede la vernice ad alcool, più veloce nell’asciugarsi. Gli aneddoti raccontano che le vernici di molti liutai a cavallo del secolo ´800-´900 venivano acquistate presso Donna Teresa (che veniva da un paese vicino Napoli dove si producevano le varie vernici), la quale si recava al mercato in città con un carretto trainato da cavalli per vendere le sue vernici “di tutti i colori”: era quindi una specie di colorificio ambulante dell´epoca. Era uso comune nella verniciatura anche il catrame (di color marrone scuro), facilmente reperibile in una città di mare. Frequentemente l´abete per la tavola armonica proveniva delle montagne calabresi della Sila e l´acero, usato per fondo fasce e testa, era di origine locale (chiamato in molte maniere: “abruzzese”, “napoletano”, “platanoide” o “campestre”), proveniente dai molti boschi nelle vicinanze di Napoli o dall’Appennino.
Sia l´abete sia l´acero del Sud sono di un colore appena più scuro (sul grigiolino, l´acero e roseo, l´abete) rispetto alle specie normalmente usate in liuteria ed è perciò più facile ottenervi un bel colore di sottofondo, prima della verniciatura. Altri materiali comunemente usati per la costruzione degli strumenti erano: carta colorata per la parte scura dei filetti; alcuni liutai optarono per la “carta ´e maccarune”: una carta doppia e grezza di color blu scuro (che veniva usata dai venditori di pasta per avvolgere Ziti e Spaghetti). Per la parte chiara degli stessi e per le controfasce veniva usato il faggio, ricavato dalle “cascette ´e pesce” (che erano usate per il trasporto di pesce e verdura). Si trovavano buttate via a fine mercato ed erano facili da lavorare, perché già quasi dello spessore giusto. Per le controfasce si adoperava anche l´abete o, più raramente, l´acero oppure quello che si aveva sotto mano.