Antonio Sandri
Il Guardone
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Mi sembra di essere un guardone della Parola di Dio. Sempre lì a spiare, tra la quantità di parole, di frasi contenute nei testi sacri, dove si nasconde la Parola, quella che conta. La situazione non è chiara né facile. La devi spiare la Parola, metterti sulle sue tracce e non desistere. Troppe cose che non si capiscono, troppe cose che non convincono. Purtroppo, nemmeno leggendo gli scritti dei più insigni studiosi e esperti e seguendo le loro tracce, si è sicuri di trovarla. All'inizio la loro guida sembra sicura e convincente, il sentiero che percorrono sembra essere quello giusto. Sembra essere sulla strada di capire. Illuso! Dopo un po’, tutto è ancora confuso. Se provo fissare sulla carta, con parole o con disegni o in qualsiasi altra forma, quello che mi sembra aver capito e poter dire: "fino qui sono arrivato, questo è acquisito, non parto ormai più da zero", avverto subito che sono più lontano di prima nella strada della comprensione e della visione. È come guardare l’interno di una stanza dal buco della serratura, pensando di riuscire a raffigurarsi come è arredata. Non si può aprire la porta. Quella si aprirà solo con la morte. Nel frattempo non rimane che guardare dal buco della serratura. A maggior dispetto ci si accorge che le
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convinzioni che ti eri fatto, non ti aiutano, ti sono di ostacolo. Restringono la visuale. Allora avvicini di più l'occhio, lo strizzi più che puoi sperando che, così rimpicciolito, la vista possa passare meglio attraverso quel buco. Ti pare di cogliere qualche particolare che prima non avevi visto e allora cercando di non cambiare il fuoco della tua visione, sposti la testa, pensando di cogliere la continuazione di quel particolare e completare così la figura di cui ciò che intravedi, ti fa intuire l'esistenza. Non ci riesci! Allora sposti il corpo, facendo movimenti dapprima con il sedere, poi con il sedere e le gambe, poi solo con le gambe. Se ci fosse qualcuno dietro, avrebbe una visione come da circo per bambini. Vedrebbe una persona con le mani appoggiate ad una porta, chinato in avanti in modo che la nuca spunti da dietro il sedere che, per il gioco della prospettiva, apparirebbe molto più imponente di quello che in realtà è. Due gambe leggermente flesse e divaricate che sostengono un enorme sedere, sopra il quale spunta il cespuglio dei capelli della nuca e le mani, che prive di braccia, sembrano orecchie per il sedere stesso e questo si muove, ondeggia a destra a sinistra in alto in basso, talvolta con movimento di va e vieni talaltra ondulatorio, agevolato da spostamenti leggeri delle gambe, ma più spesso in maniera del tutto
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indipendente., È la posizione del guardone dal buco della serratura. Eppure quanta tensione in quella involontaria comicità: sprazzi di visioni, ombre, luci, colori per comporre una figura che poi risulta costituita da schemi e riferimenti usuali, da cui non riesci a liberarti. Allora, perché continuare a fare il guardone? Prima di tutto perché è una ricerca di visione che non puoi affidare ad altri, è una tensione interna, è un (il?) modo di vivere. Se ti accontenti di quello che hanno intuito gli altri, vedi con i loro occhi, sono loro che hanno fatto e fanno i guardoni per te. Non è una soluzione più bella e più dignitosa, è solamente più accomodante. Non è detto che, in conclusione, non sia anche la più soddisfacente. Qualcuno può ritenere che l'atteggiamento del guardone si addica solo a coloro che sono capaci di cercare la Parola tra le migliaia di parole dei testi sacri, scritti in lingue ormai desuete. Il guardone come specialista? Non sempre il guardone specialista cerca la Parola, ma, piuttosto, la parola d’uomo nella quale la Parola è avvolta. Si ritiene che cercare la Parola di Dio, dispersa in questi testi, sia un atteggiamento valido per uno studioso, ma non per abitatori di civiltà moderne. Scientificamente, tecnologicamente, ma, soprattutto, razionalmente moderne.
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L'atteggiamento del guardone, non come specialista, è un tentativo di raggiungere la conoscenza prima che, spalancate le porte, si entri a fare i protagonisti del regno dove la Parola è insediata. Ho la sensazione che di fronte al principio di indeterminatezza di Heisemberg in fisica, al teorema di Godel in matematica, al principio solistico, alle tesi freudiane, si può anche arguire che la compagnia dei guardoni, invece di diminuire, aumenti continuamente, se non nel campo della ricerca della Parola della fede in quella della scienza. Scrive Tullio Regge nella introduzione al suo libro “L’INFINITO”:. Noi ci troviamo più o meno nella situazione di chi cerca di ricostruire cos’è avvenuto negli ultimi anni in una certa stanza, avendo a disposizione solo poche fotografie riprese dal buco della serratura lungo un intervallo di pochi secondi. Come volevasi dimostrare: fare scienza è fare i guardoni. Rita Levi di Montalcino scrive: “solo chi e' imperfetto ha speranza di migliorare”. Freeman Dyson intitola un suo libro "Infinito in ogni direzione". Il premio Nobel per la biologia Luria intitola il suo "L'uomo progetto non finito". E tutti strizzano quell'unico occhio che riesce a guardare dal buco della serratura, smenando il culo Mi sento un artista, guardone per istinto, guardone per curiosità e scelta.
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Non ci sono, però, solo i sapienti, filosofi e affini che cercano la Parola, ma anche gli umili, i semplici coloro che hanno pensieri e cuore di bambini. Forse non lo cercano nei testi sacri ma nella vita quotidiana. In verità vi dico; chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non entrerà nei regni dei cieli (Lc 18,17.) Poi ci sono tutti coloro, e ne ha incontrati tanti, che non gliene frega niente di cercare la parola ma danno da mangiare agli affamati, da bere agli assetati e così via. (Lc 25, 31-46) Questi forse non fanno i guardoni perché trovano la porta aperta ed entrano, da vivi e protagonisti nella stanza, dove la Parola ha preso la sua dimora. Divenire come loro non è facile: può darsi che sia più difficile che continuare a fare il guardone. Poter essere guardoni è poter essere persone Primum manducare, deinde filosofari. Qualunque sia la Parola o la parola che viene cercata. Beati i guardoni, al pari beati di quelli che credono senza vedere. Essi sono coloro che cercano perché è come se avessero trovato. Può darsi. Credo che in tutto questo discorrere manchi un elemento chiave: abbandonarsi all'amore di Dio senza chiedere niente, ma specialmente senza porci delle domande. Questo elemento chiave è Cristo, l’uomo-Dio. Signore, io non credo in te, ma sto tentando di amarti.
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Non ci si abbandona alla misericordia di Dio in maniera collettiva. Non gli umili, i poveri,ecc., ma la persona umile, povera, ecc. Il singolo. Il singolo deve farsi umile e povero. Questo significa che vi e' una annotazione fortemente storica per sapere che cosa e' il povero e l'umile. E' difficile pensare che io darei alla parola povero e umile, lo stesso contenuto, lo stesso significato di un etiope, di un cinese o se si vuole di un italiano del nono secolo. Diffido di chi si sente povero ed ha l’armadio che trabocca di vestiti. Per questo non mi fido di me stesso. Tutto ciò non facilita, ma responsabilizza e testimonia ancora una volta che si parte sempre dal relativo per raggiungere l'assoluto e quindi qualunque sia il punto di partenza la distanza da percorrere e' incommensurabile. Nessuno parte avvantaggiato o svantaggiato e la violenza degli umili è un punto di partenza. Ciascuno ha il suo. Non può barattarlo con quello di un'altro, né prendere per giustificazione il comportamento di chicchessia. Può darsi che questo sia il significato della parabola dei talenti (Mt 25,14-30). Non mi è del tutto chiaro il perché si sia preferito scegliere il più povero, quello cui è stato dato un solo talento come dote di partenza, come esempio di colui che ha fallito e non il più ricco. Ho chiesto che cosa potesse significare talento per Gesù. Mi fu risposto che non significava doti o ricchezze terrene, ma, per esempio, quantità di parola di Dio.
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Anche in questo caso però i conti non tornano. Mi chiedo quanti talenti di parola di Dio riceve, durante la sua vita, un onesto guardone. La strada che ogni uomo deve percorrere, sia umile o superbo, povero o ricco, qualunque sia il suo punto di partenza, il percorso è individuale: in questo sta la responsabilità. Non viene addebitato a colpa da dove si parte, ma il percorso che si fa. Nemmeno dove si arriva può essere addebitato, ma unicamente il percorso che si sceglie di fare e che in concreto si compie. E questo ci riporta a ricominciare a meditare su qual è il cammino del guardone. Se Gesù è nato per camminare accanto agli uomini, allora, io lo invoco perché mi stia vicino quando faccio il guardone. Isaia scrive che il Signore, volgerà il suo sguardo a tre categorie di persone. Su chi rivolgerò il mio sguardo? Sull’umile e su chi ha il cuore contrito, su chi teme la mia parola. (Is 66,2). Il guardone non appartiene a nessuna delle tre categorie. Non è umile, poiché per fare il guardone deve essere convinto di se stesso. Non ha il cuore contrito, perché non sa ancora di che cosa si debba contrire. Non teme la parola, poiché la paura non è la compagna del guardone. Spero che il Signore, nella sua misericordia, trovi il motivo di volgere il suo sguardo al guardone. Il guardone, poi, è più che pervicace; è un incapace di non essere guardone. Se trovasse spalancata la porta della
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stanza, rischierebbe di passarci davanti, senza accorgersi che la porta è aperta. Salvo, al massimo, darci una sbirciatina. Sarebbe capace di chiudere la porta per poter guardare dal buco della serratura. Essere guardone è essere vivere nel dubbio. Purtroppo. Ăˆ una condizione esistenziale permanente.