Test Uomini e Business

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Uomini&Business - DICEMBRE/GENNAIO 2009 • NANCY PELOSI, MARINA BERLUSCONI, GORDON BROWN, EMILIO BOTÌN, WALLENBERG, ENNIO DORIS, JOHN CHAMBERS, FELIX ROHATYN

Il 2009 e la crisi: sei motivi per essere fiduciosi

U Uomini Business ANNO 20 - N. 12 - DICEMBRE/GENNAIO 2009 - MENSILE

€ 3,00 IN ITALIA

B

&

IL MENSILE DI ECONOMIA D I R E T TO DA GIUSEPPE TURANI

MARINA BERLUSCONI IL VERO POTERE DELLA FIGLIA DI SILVIO NANCY PELOSI L’ARISTODEMOCRATICA DEL CONGRESSO USA GORDON BROWN LA RECESSIONE SALVA IL PREMIER BRITANNICO FLOTTE AZIENDALI RESISTENTI ALLA CRISI HALLE BARRY LA PIÙ SEXY DELL’ANNO Barack Obama

L'OTTIMISMO Da mesi tutto sembra andare nella direzione sbagliata, ma l'arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca consente di tornare a essere positivi


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Mercedes-Benz è un marchio Daimler.

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Il futuro dell'ambiente è una sfida affascinante. Nuova Classe C BlueEFFICIENCY. Maggiore potenza, minori consumi.

BlueEFFICIENCY è il primo passo di Mercedes-Benz verso una mobilità a zero emissioni. Un concetto rivoluzionario applicato a ogni componente del veicolo per ottimizzarne le performance riducendo i consumi. Telaio alleggerito, minore resistenza dinamica, cilindrata ridotta. Queste sono solo alcune delle caratteristiche che rendono i modelli BlueEFFICIENCY un concentrato

di tecnologia al servizio dell'ambiente. Nuova Classe C BlueEFFICIENCY con motore 250 CDI Prime Edition, 204 cavalli, 7 secondi per passare da 0 a 100 km/h e quasi 20 km con un litro. Iniziamo a consumare meno. Ciclo combinato: min 5,2 al massimo di 5,7 litri/100 km. Emissioni CO2: min 138 al massimo 150 g/km. 800 77 44 11 mercedes-benz.it


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L’Editoriale

Alla ricerca dell’Obama italiano Fa un po’ pena (per non dire di peggio) vedere l’entusiasmo di tanta parte del Pd per la vittoria di Obama. E ancora di più fanno impressione i tentativi per accreditarsi come gli Obama italiani. Infatti quello che viene fuori dalla vittoria del candidato americano è esattamente il contrario di quanto accade in Italia. È vero che lui era in politica da qualche anno e che aveva già raggiunto la carica di senatore (sono cento in tutto), abbastanza importante. Ma, in sostanza, si può dire che l’assalto alla presidenza degli Stati Uniti è stata la sua prima grande prova politica. Riuscita benissimo. Qui da noi, invece, gli aspiranti Obama sono di solito gente che è in pista da vent’anni, o trenta, e che magari non ha mai vinto niente, se non qualche assemblea di partito (magari manovrata in modo poco chiaro). Si segnala questo per dire che non si può escludere che anche la società italiana (a sinistra come a destra) possa esprimere un suo Obama, ma di sicuro questo non può venire fuori dalle consunte gerarchie politiche che abbiamo visto all’opera fino a oggi. È difficile per una classe politica (soprattutto di sinistra, o riformista) convincersi di essere invecchiata e di essere superata. Ma sta di fatto che le uniche due volte in cui i riformisti in Italia hanno vinto lo hanno fatto con un candidato scelto fuori dalle loro conventicole: Romano Prodi. Poi, visto che non era roba dei loro allevamenti addomesticati, lo hanno fatto fuori tutte e due le volte. Ma questa è un’altra storia. La verità, nuda e cruda, è che in questo paese la politica sembra ancora in uno stato provvisorio. Con una destra che è appesa ai soldi e alla popolarità di Berlusconi. E con una sinistra riformista che più che altro è un insieme di buone intenzioni agitate da vecchi personaggi che potrebbero rendere un segnalato servizio al paese (e alla politica) annunciando il proprio ritiro dalla scena. Ma nessuno di questi signori se ne andrà. E quindi la politica italiana continuerà a essere per anni e anni quello che è oggi: una povera cosa dove Berlusconi fa tutto quello che gli pare perché è l’unico che ha il senso della società e della comunicazione. Gli altri, i suoi oppositori, sono persi nei meandri delle loro alleanze e delle loro guerre interne (che in qualche caso durano da trent’anni), e quindi rappresentano soltanto lo sfondo di questa deprimente recita. Insomma, di un Obama avremmo proprio bisogno. Ma l’unica cosa che sappiamo è che non si trova fra i volti “noti” della politica italiana. Va cercato fuori, lontano.

Giuseppe Turani

Uomini&Business è anche online con aggiornamenti quotidiani al sito Internet

www.uominiebusiness.it


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Sommario PRIMO PIANO

Le ragioni dell’ottimismo

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La casa è solida, si sono solo rotte le tubazioni nella quali circolava il denaro. E senza denaro l’economia non gira

Cappotto di vicuña vendesi

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Persone e vizi da Oltremanica

Wallenberg, gli Agnelli di Svezia

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Il bottino cash di Cisco

VILLAGGIO GLOBALE

Il New Deal di Rohatyn salverà l’America

Monitor hi-tech

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La ricetta dell’ex banchiere delle Lazard per rilanciare l’economia

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Halle Barry, la più sexy

Una rock star di nome P!nk

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Oltre 23 milioni di dischi venduti in soli cinque album per la giovanissima cantante americana

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MOTORI

Cinquant’anni di Enervit

Arriva la rivoluzionaria city car della casa nipponica: 4 posti in 3 metri

iQ, la più piccola di casa Toyota

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Barrette e integratori hanno permesso all’azienda di superare mezzo secolo con i conti in forma

Viva l’auto low price

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Più piccole e più economiche, non solo nei consumi

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Da Villanova d’Asti fino alla Cina

Maxiscooter per professionisti

LE OPINIONI

Si chiama SW-T400 ed è targato Honda

Sei motivi per sperare in un 2009 meno disastroso del previsto

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L’attrice afro-americana consacrata da Esquire la più sensuale dell’anno

I fratelli Galante giocano la partita americana nei videogames

Il buono della crisi

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Belli e palestrati, ma soprattutto giovani. Le prede delle cougar woman

AFFARI ITALIANI

Dierre apre le porte del mondo

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L’ALTRA META’ DEL CIELO

Quelli che le donne vogliono…

Con Mediolanum è diventato uno degli uomini più ricchi d’Italia

Digital Bros

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News dal mondo delle tecnologie I nuovi prodotti hi-tech

L’ascesa della primogenita di Silvio Berlusconi

Ennio Doris, il banchiere venditore

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Visti da vicino

Con la crisi il premier britannico riconquista l’elettorato

Il vero potere di Marina B.

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La più redditizia delle società hi-tech. Merito del suo timoniere John Chambers

È l’italoamericana più ricca e potente degli Usa

La risalita di Gordon Brown

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Da centocinquant’anni ai vertici dell’economia del paese scandinavo

I PERSONAGGI

L’impeccabile Mrs. Pelosi

Il rivoluzionario del Santander Emilio Botin, banchiere per nascita e per passione

Siamo il paese meno competitivo d’Europa

Buckingham Palace

La soluzione dei problemi non sta in “più Stato e meno mercato” UOMINI & IMPERI

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La crisi colpisce anche i ricchi

Italia in stallo

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Lunga vita al capitalismo

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Fashion ’85, la signora in nero

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Rifiniture extra lusso per l’imbarcazione full optional del cantiere toscano GLI SPECIALI

Le flotte aziendali

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La crisi dell’auto non frena il noleggio ma sul 2009 pesa l’incognita Usato SOCIETÁ

Seicento olandese

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Una prestigiosa serie di vedute di città in una mostra all’Aja

Veermer, interni olandesi

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Porte aperte su scenari privati

Le altre mostre da non perdere LA FOLIE BAUDELAIRE Da Ingres a Delacroix, passando per Degas e Manet, tutti insieme nell’ultimo romanzo di Roberto Calasso

Ultime novità librarie Le quattro stagioni di Sadler

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Estroso ma severo, con la sua cucina moderna e creativa si è guadagnato una doppia stella Michelin

Punta Del Este, la Saint Tropez dell’Uruguay

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Una vacanza tra natura e mondanità

Un alchimista fece d’oro Praga

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Già famosa nel Medioevo, ancora oggi la capitale ceca conserva qualcosa di magico

L’anima romantica di Budapest

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Per inguaribili romantici, ma anche per gli appassionati di storia LE MODE & LO STILE

Boglioli, eleganza coraggiosa 150 Capi eclettici e classici si alternano nella collezione invernale

Profumi di carattere

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Fragranze rivelatrici di personalità

Un tuffo tra le nevi ai Bagni di Bormio 156 Nell’Alta Valtellina un’oasi rigenerante già nota agli antichi Romani

Vetrina News dal mondo delle aziende

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BMW EfficientDynamics Meno emissioni. Più piacere di guidare.

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Piacere di guidare

CHI NON VORREBBE LAVORARE IN UN’AZIENDA

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IN CUI SI FA STRADA COSÌ RAPIDAMENTE?


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Primo Piano

Il mondo è esattamente quello di un anno fa. E in giro c’è tutto quello che servirebbe per proseguire lungo il sentiero della crescita. Quello che è successo è stato un guasto alle tubazioni nelle quali circolava il denaro. E senza denaro l’economia non gira

Barack Obama e il nuovo Segretario di Stato, Hillary Clinton

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Le ragioni dell’ottimismo

DI GIUSEPPE TURANI

Ormai i pessimisti hanno preso il comando delle operazioni. E ci si domanda, allora, se è ancora possibile essere un po’ ottimisti. Per riuscirci bisogna fare un paio di operazioni. La prima delle quali consiste nel delineare i contorni della crisi attuale, che sono diversi e interessanti. La crisi di oggi (che va ancora di moda definire “tipo 1929”, dimenticando che allora la disoccupazioni in America raggiunge il 40 per cento, oggi non arriverà nemmeno al 10 per cento) non nasce da qualche disastro dell’economia reale. Non manca il petrolio, non c’è un’inflazione galoppante, non c’è un vuoto di produzione industriale. In realtà, non c’è niente. Il mondo è esattamente quello di sei mesi fa, di un anno fa. E in giro c’è tutto quello che servirebbe, se non per vivere felici, per proseguire pacificamente lungo il sentiero della crescita sul quale ci troviamo da almeno vent’anni. Quello che è successo è stato un guasto alle tubazioni nelle quali circola (circolava) il denaro. E senza denaro l’economia non gira. Il mondo è come sospeso. Da una parte ci sono le persone (alcuni miliardi) che

vogliono le cose, e dall’altra ci sono le industrie che possono produrre quelle cose. Solo che in mezzo è come scomparso il denaro. E questo nonostante da mesi le banche centrali non facciano altro che immettere liquidità (cioè denaro) nell’economia. La crisi attuale gira tutta intorno a questo problema. Verrebbe voglia di dire che la casa comune è sana e solida, ma che si sono intasate le tubature dell’impianto idraulico. Perché si sia verificato l’intasamento è cosa nota. La questione nasce dalla finanza creativa. Finanza creativa che ha trovato il modo (dai titoli sub-prime ai derivati di vario genere) di creare dei “pacchetti” contenenti vari materiali (mutui, obbligazioni, ecc.) con diverse qualità di rischio. Il rischio totale veniva calcolato con complessi algoritmi e il tutto è stato venduto sui mercati di tutto il mondo. E questa è stata una rivoluzione. Se prima, tradizionalmente, era una banca che si assumeva il rischio di un finanziamento (o di un mutuo), in questo modo il rischio veniva in pratica collocato sul mercato, suddiviso fra milioni di persone che acquistavano quei titoli “algoUOMINI&BUSINESS

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Primo Piano ritmati” (il che voleva dire che non si capiva che cosa c’era dentro). Sbaglierebbe chi pensa che tutto questo è stato solo un errore. In realtà, la finanza facile, creativa, ha generato per alcuni anni un mondo pieno di soldi e a basso costo, cosa che ha consentito l’avvio di molte iniziative interessanti e utili (ma a altissimo rischio, come Google o altre cose della new economy). Questo mercato era diventato talmente gigantesco che alla fine tutti vendevano a tutti di tutto. E quando il sistema è esploso (perché è salito un po’ il costo del denaro e perché ormai era tutto troppo grande), è esploso anche il panico generale. E si è scoperto che le grandi banche d’affari internazionali (ma anche quelle minori) avevano fatto utili giganteschi per anni vendendo roba che non valeva niente o quasi.

è rotta, non è guasta. Semplicemente nei suoi tubi non circola più la benzina. E questo è il primo punto da capire per provare a essere ottimisti. Non c’è niente di rotto: non gira il carburante, tutto qui. Ma il resto del meccanismo è intatto. Giunti a questo punto del ragionamento i pessimisti riprendono il sopravvento. E dicono che la strada per il ritorno alla normalità sarà molto lunga. Prima bisogna rimettere i soldi dentro le banche (che li hanno persi), poi bisogna convincere le stesse banche a tornare sul mercato del credito (devono tornare, cioè, a dare soldi alla gente), poi bisogna convincere le imprese a indebitarsi di nuovo e a fare nuovi investimenti e nuovi prodotti. Bisogna insomma prendere la macchina, che era finita nel fosso, rimetterla sulla strada e farla correre. Tutto questo, dicono i pessimisti, può richiedere anni e

Forse la promessa di due milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro in un paio d’anni è un po’ esagerata. Se però Obama parte con questo piglio e questa determinazione, impiegherà assai poco tempo a diventare credibile. E quindi a riscuotere la fiducia dei mercati Barack Obama con la famiglia

A quel punto si è aperta la stagione dei salvataggi bancari a opera dei vari Stati. Ma, soprattutto, si è intasato il sistema del credito. E per una ragione molto semplice: nessuno si fida più di nessuno. E le banche sono le prime a non fidarsi delle altre banche. Qualunque controparte è sospettata di avere scheletri nell’armadio e di essere potenzialmente insolvente. Il risultato è quello che stiamo vedendo oggi. Il mondo è pieno di soldi, ma di soldi in giro non se ne vedono. E poiché non si vedono soldi l’economia si comporta come un’automobile quando sta finendo la benzina: prima rallenta e poi si ferma. Ma la faccenda paradossale è che la macchina non 20

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anni di tempo. C’è addirittura chi dice dieci e chi allunga a venti. In realtà, è possibile che tutto sia meno drammatico. E questo grazie a una serie di elementi: 1- Il mondo non si è proprio fermato. Va un po’ più piano, ma va. Inoltre, l’Asia continua a correre, e così accade in America Latina, in India e in altri paesi emergenti (Russia e ex-satelliti). Le due locomotive principali (Usa e Europa) sono un po’ nei guai e stanno frenando, ma ormai nel mondo ci sono altre locomotive e queste ultime tirano ancora (con tassi di crescita annuali del 6-7 per cento). Per il momento sono queste aree che portano avanti la crescita mondiale e che fanno respirare


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Primo Piano l’economia. E non sembra che abbiano intenzione di fermarsi tanto presto. 2- Le banche centrali (compresa persino, riluttante, la Banca centrale europea) hanno capito dove sta il problema e stanno portando giù il costo del denaro e stanno riempiendo l’economia di soldi. Hanno capito, insomma, che in un momento di deflazione il rimedio consiste nell’inflazionare l’economia e non viceversa. Finora non si sono visti grandi risultati, va detto. Ma solo perché si è creata una situazione molto particolare. Gli Stati Uniti, che bene o male, sono il cuore e il centro di questo problema, sono di fatto in una fase di transizione da una presidenza all’altra (verrebbe da dire: da un’era all’altra), e quindi di fatto sono senza comandante in capo. Sono un po’ allo sbando e quindi non credibili qualunque cosa facciano. 3- Tutto questo, però, finisce il 20 gennaio, quando il nuovo presidente si insedierà ufficialmente alla Casa Bianca. E Barack Obama, che si è circondato delle migliori teste economiche disponibili oggi in America ha già fatto capire di aver afferrato la sostanza della questione e di essere ben deciso a porvi subito rimedio. Forse la sua promessa di due milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro in un paio d’anni è un po’ esagerata, ma è interessante. Se la nuova amministrazione parte con questo piglio e questa determinazione, impiegherà assai poco tempo a diventare credibile. E quindi a riscuotere la fiducia dei mercati e della finanza internazionale. 4- In sostanza, questa crisi ha avuto anche la sfortuna di non essere guidata fino a oggi. O, meglio, è stata guidata da gente (il clan Bush) non credibile e non autorevole. Quando però Obama arriva alla Casa Bianca il gioco cambia. Si comincia una nuova partita. E quello che il nuovo presidente si troverà di fronte non è un mondo rassegnato, ammalato, ma un mondo che ha solo voglia di tornare a crescere e che aspetta solo il via, il segnale della ripartenza. Le fabbriche, i consumatori, gli uffici, le università sono sempre lì. Basta mandare il segnale che si riparte, che la crisi è finita. 5- Da qui si arriva alla conclusione che la crisi potrebbe anche essere più breve del previsto. D’altra parte, un piccolo segnale che va in questa direzione arriva proprio dai mercati finanziari. Ogni volta che arriva una buona notizia (o anche semplicemente una notizia non-cattiva) i mercati volano su del 10-15 per cento. Sono tesi come una molla e hanno solo voglia di scattare verso l’alto. Nelle stesse condizioni si trova il resto dell’economia. E quindi si può anche sperare di uscire dalla crisi attuale in tempi molto più rapidi di quello che si pensa oggi. I 22

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Barack Obama con la moglie Michelle


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Primo Piano

Cappotto di vicuña vendesi La crisi colpisce anche i ricchi. È vero che il lusso non ruota tutto attorno al centro di Milano, ma certo l’aria che negli ultimi tempi si respira nel capoluogo lombardo è meno frizzante di un tempo DI GIUSEPPE TURANI

Forse non è vero che il lusso va così male come si sente dire in giro. Ma certo che l’aria non è molto positiva. Se si passeggia un po’ per il centro di Milano si vedono, e si sentono, storie desolanti. Quello che si vede è presto detto. I commessi delle più famose boutique del centro (quelle che stanno nel famoso quadrilatero d’oro) se ne stanno lì tutto il giorno a braccia conserte. E possono passare anche ore prima di vedere entrare un cliente. L’imbarazzo è evidente. I gestori di questi negozi dicono che il calo di vendite è del 25-30 per cento, ma probabilmente si può anche raddoppiare questa cifra. Risulta che sono in parecchi a trovarsi “sotto” rispetto al fatturato dell’anno scorso, e in qualche caso non di poco. In particolare sono quasi scomparsi i compratori stranieri. La crisi, questa volta, non è italiana, ma globale e quindi anche quelli che arrivavano da Mosca o da New York si sono fatti rari e assai meno spendaccioni. Poi ci sono le storie. Si racconta la vicenda dei famo-

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UOMINI&BUSINESS

si cappotti di vicuña, dal costo di circa 20 mila euro l’uno. L’anno scorso era stato un capo molto gradito e molto ricercato. Quest’anno nelle boutique milanesi non ne hanno venduto nemmeno uno. Stessa storia per le pellicce: zero assoluto. Ma c’è anche il caso di quell’albergo di super-lusso che ha appena inaugurato cinque suite molto sofisticate (sui 150 metri quadrati l’una) e con dentro ogni sorta di comodità, veri e propri appartamenti. Un soggiorno in una di quelle suite, in pieno centro, viene a costare anche più di due mila euro a notte. Ebbene, per il momento sono rimaste intatte perché nessuno vi ha ancora soggiornato. E non ci sono prenotazioni, nemmeno per il periodo delle feste. Si vedrà come va l’anno prossimo, ma l’impressione è che queste suite rischiano di rimanere vuote per ancora molti mesi. Non solo: lo stesso albergo sta registrando una discreta fuga di clienti perché è troppo di lusso e molti non vogliono fare una cattiva impressione su clienti e amici


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facendo sapere di soggiornare nel posto più costoso della città. Quindi via, in qualche albergo meno dispendioso. Vuoti abissali (e imbarazzanti) anche in parecchi ristoranti del centro della fascia alta. La gente, semplicemente, non si fa più vedere: o sta a casa oppure va in luoghi meno costosi e che sembrano più adatti ai tempi. Una delle poche eccezioni sembra essere la Risacca 6, noto ristorante di pesce, ben frequentato da modelle, sportivi e modaioli. Lì la crisi non si sente ancora e, anzi, accanto alla vecchia sede è appena stato inaugurato una Risacca dove si serve solo carne. Sempre in tema di ristoranti ha fatto una certa impressione che uno dei luoghi più eleganti (e costosi) della città abbia deciso di togliere dal menù tutti i vini al di sopra dei 40 euro alla bottiglia per evitare discussioni con i clienti nel momento del conto. Non sembra diminuito, invece, il traffico delle eleganti signore in Cayenne (un bestione Porsche da 4500 cc. di cilindrata). Ma si tratta appunto di ricche signore i cui bilanci familiari sono stati, per ora, solo scalfiti da questa crisi. Notizie un po’ tragiche, infine, arrivano dal mondo dei gioiellieri. Si vende poco, ma in compenso si è molto derubati. Ormai anche i negozi del centro (tipo Montenapoleone) non sono più al sicuro e capita che vengano rapinati anche in pieno giorno. Sono cose mai successe, ma si vede che la crisi sta aguzzando l’ingegno dei ladri. Uno ha addirittura smontato la vetrina di un gioielliere (facendosi passare per l’addetto alla pulitura del vetro) e si è portato via tutto quello che era esposto. È vero che il mondo del lusso non sta tutto nel quadrilatero d’oro milanese, e che molto si vende anche in giro per il mondo, ma a giudicare da quello nel capoluogo lombardo non dovrebbero essere tempi meravigliosi. Qualcuno, però, non si arrende e getta il cuore oltre l’ostacolo. Qualche settimana fa in una di queste boutique centrali c’era esposto un giubbino in pelle (sa il cielo di quale raro animale) del costo astronomico di 60 mila euro. In tempi di crisi, questo appare quasi come un gesto scaramantico. O, forse, era tutto finto e si trattava soltanto di una provocazione. I UOMINI&BUSINESS

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Primo Piano

COMPETITIVITÁ Italia a picco

Peggio di noi fanno solo Grecia e Turchia. Su diciotto Stati europei considerati, il Bel Paese si colloca al sedicesimo posto. Fisco, infrastrutture, concorrenza, sistema finanziario, mercato del lavoro: tanti i fronti dove intervenire DI CATERINA DOSI

L’Italia è tra i paesi meno competitivi d’Europa. Ai tanti mali che flagellano il Bel Paese, aggiungiamoci anche questo. La sentenza arriva dall’ufficio studi dell’Economist che ogni anno stila la classifica dei paesi più competitivi al mondo. Su 82 paesi presi in esame, ci siamo piazzati verso la metà, al 40esimo posto, dietro la Lituania e davanti alla Tailandia. Una distanza molto sostenuta ci separa dalla Germania, al 15esimo posto, e dalla Francia, al 18esimo. Ma siamo molte posizioni indietro anche rispetto alla Spagna, 22esima, e al Portogallo, 33esimo. Considerando

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UOMINI&BUSINESS

infatti i 18 paesi europei, ci classifichiamo al 16 posto. Peggio di noi ci sono solo Grecia e Turchia. Il problema si fa ancora più serio se si considera che nei prossimi anni non riusciremo a migliorare la nostra situazione. La ricerca considera infatti due periodi: il 20042008 che fissa l’andamento storico dell’economia e il periodo 2009-2013 che cerca di cogliere l’aspetto previsionale (sebbene quest’ultimo, avvertono gli analisti che hanno realizzato lo studio, vada preso con molta cautela dal momento che le stime sono state elaborate prima della crisi finanziaria e economica).


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Ebbene, le previsioni indicano che nel prossimo un buon segnale, ma con Berlusconi hanno subito un’interquadriennio, non solo non riusciremo a migliorarci, ma ruzione forzata. E di interventi ne servirebbero molti. Tra i addirittura faremo un piccolo passo indietro, scendendo al più urgenti, si legge nel rapporto, quello sul fronte banca39esimo posto della classifica. Insomma, ne esce il ritratto rio, dove l’Italia resta il paese con i costi più elevati di un paese al palo, che non riesce proprio a risalire verso d’Europa: 182 euro la spesa annua media pro-capite per un standard europei a livello economico e di servizi. conto corrente contro i 161 euro della Germania, i 100 euro Le conclusioni del rapporto sono sconsolanti: della Francia, i 40 euro del Regno Unito e i 34 euro «L'Italia appare sostanzialmente un Paese statico e, sebbe- dell’Olanda. La situazione non migliora quando si analizne i dati dell'Economist prevedono un timido miglioramen- zano le condizioni alle imprese: per gli imprenditori italiato, esso non appare sufficiente a far risalire la nostra peni- ni il costo medio degli interessi passivi è in media più elesola nella classifica mondiale e regionale. Forse una mag- vato di mezzo punto percentuale rispetto a quello sostenugiore stabilità governativa e l'apertura di una nuova fase di to dagli imprenditori in area euro. concertazione potrebbero rivelarsi ingredienti adatti a Apprezzamenti sono invece giunti per il giro di vite modificare il quadro attuale e sfatare così le previsioni sui dipendenti del pubblico impiego portata avanti dal poco rosee per il sistema Italia». ministro della Pubblica Amministrazione. È però urgente, Dieci sono i parametri presi in esame per calcolare il restando in ambito pubblico, accelerare il processo di inforlivello di competitività – ambiente macroenomico, ambien- matizzazione del sistema che, secondo i dati Assinform te politico, opportunità di mercato, politiche per l’impresa 2008 mostra ancora parecchie criticità: la spesa pubblica in privata e la concorrenza, politiche per gli investimenti este- IT, per il biennio 2006-2008, si è ridotta infatti del 3,2 per ri, commercio estero e cambio, cento. Ma anche sul fronte dell’inregime fiscale, sistema finanziario, dustria privata occorrono intervenmercato del lavoro, infrastrutture La congiuntura economica ti urgenti, come dimostrano i brute su molti di questi l’Italia resta negativa rischia di trascinare ti dati sulla produzione industriale. sotto la media europea. Gli sforzi maggiori su Particolarmente critica la situazio- il nostro paese in una recescui deve concentrarsi il paese sono ne per quanto riguarda il quadro forse quelli in campo fiscale, dove sione lunga che, in mancanmacroeconomico, il fisco e le l’Italia ha l’ultima posizione in infrastrutture. za di adeguati ammortizza- ambito europeo e resta il paese La recessione sarà pesante con il più alto tasso di prelievo nel nostro paese. «I problemi strut- tori sociali, non potrà che fiscale. Pur con molte cautele, turali che caratterizzano il nostro essere dolorosa. E che pegpassi avanti si stanno facendo. La paese, aggravati dalla congiuntura legge finanziaria del 2009 contienegativa, rendono la situazione giorerà i conti pubblici ne infatti alcuni elementi intereseconomica italiana particolarmente santi. Accanto alla conferma di delicata ed in mancanza di interalcune misure a sostegno delle venti mirate e di riforme strutturali rischiano di trascinare il famiglie che potrebbero avere un effetto benefico, piace nostro paese in una recessione lunga che, in mancanza di poco agli esperti dell’Economist la cosiddetta Robin Tax, adeguati ammortizzatori sociali, non potrà che essere dolo- che consiste in un aumento del 5,5 per cento dell’imposta rosa», si legge nelle conclusioni del rapporto. Senza conta- dei redditi delle imprese che producono e vendono energia re il fatto che il peggioramento dell’economia non potrà elettrica: «Quello che sembra uno strumento di redistribuche riflettersi in un peggioramento dei già pessimi conti zione, in realtà, potrebbe celare effetti che vanno nella direpubblici. zione opposta». Anche qui le conclusioni sono piuttosto dure: «La Un elemento, invece, dai potenziali effetti positivi finanza pubblica italiana presenta una situazione piuttosto sulla fiscalità italiana è invece rappresentato dal federalidelicata e, di fronte alla minaccia di una recessione globa- smo fiscale, su cui sono state presentate diverse bozze in le di probabile lunga durata, parrebbe opportuno adottare Parlamento. Il processo è però ancora lungi dall’avere una misure prudenti ma, allo stesso tempo, incisive e volte a fisionomia precisa ed è oggetto di un dibattito politico proteggere i soggetti meno tutelati», che il rapporto indica acceso tra i diversi partiti. nei «lavoratori a reddito medio-basso o impiegati attraverTornando alla Finanziaria 2009, gli esperti notano so contratti atipici». Per i quali sarebbe necessario introdur- che «il quadro macroeconomico non facilita senz’altro il re un alleggerimento della pressione fiscale. reperimento e l’allocazione delle risorse pubbliche, ma Passi avanti dovrebbero essere fatti sotto il profilo l’effetto netto della prima manovra finanziaria del nuovo delle concorrenza e delle politiche per le imprese private. governo si tradurrà in un aumento della pressione fiscale». Le liberalizzazioni avviate dal governo precedente erano Cauto ottimismo viene espresso nel capitolo dedicato al UOMINI&BUSINESS

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Primo Piano sistema finanziario. La crisi, imprevedibile un anno fa, che ha colpito le banche ha portato al rallentamento nell’espansione dei crediti e ad un irrigidimento dell’offerta. Ma il miglioramento della regolamentazione finanziaria e le maggiori responsabilità attribuite all’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato vanno verso una maggiore trasparenza dell’intero sistema. Miglioramenti sono avvenuti anche sul fronte del mercato del lavoro, con un aumento degli occupati e del tasso di attività femminile. All’Italia resta però il triste primato di essere il paese con il più alto numero di morti sul lavoro in Europa: 1 ogni 23 mila abitanti contro 1 ogni 50 mila per la Francia e 1 ogni 53 mila per la Germania. L’Italia resta anche uno dei paesi con la minor flessibilità del mercato del lavoro e con la produttività del lavoro più bassa. Tra i pochi ambiti in cui ci hanno promossi ci sono le telecomunicazioni, con giudizi positivi su telefonia

mobile, utilizzo di Internet e penetrazione della banda larga: qui otteniamo i maggiori punteggi. C’è poi il problema delle infrastrutture e dei trasporti. Ciò che da tempo rilevano gli esperti dell’Economist è la mancanza di visione globale. «Mancano i corridoi, manca un reale potenziamento dei valichi, manca un’integrazione mare e terra, soprattutto strada ferrata, manca una volontà di potenziamento del sistema attuale e miglioramento per un trasporto sicuro ed intelligente. Sono tanti i progetti ed i cantieri aperti sui quali bisognerebbe concentrare gli sforzi per poterli realizzare seguendo un disegno unitario». Questo, per estensione, è un po’ il problema dell’Italia: manca spesso di una visione d’insieme e fatica a trovare la strada per emergere dalla mediocrità. I prossimi anni, a quanto pare, non saranno molto diversi da questi. Anzi, potrebbero addirittura essere un po’ peggiori se davvero dovesse arrivare una lunga e dura recessione. I

La classifica mondiale delle competitività Paesi Singapore Danimarca Finlandia Svizzera Hong Kong Canada Usa Olanda Irlanda Regno Unito Svezia Nuova Zelanda Australia Belgio Germania Norvegia Austria Francia Cile Taiwan Estonia Spagna Emirati Arabi Malesia Israele Giappone Repubblica Ceca Bahrain Corea del Sud Qatar Slovacchia Messico Portogallo Cipro Slovenia Polonia Ungheria Latvia Thailandia Italia Lituania

2004-2008 Punteggio Posizione 8,82 8,67 8,64 8,62 8,61 8,60 8,57 8,57 8,47 8,42 8,33 8,19 8,13 8,12 8,09 8,06 8,00 7,89 7,82 7,64 7,63 7,51 7,27 7,27 7,25 7,14 7,13 7,11 7,05 6,99 6,95 6,92 6,90 6,87 6,86 6,82 6,72 6,67 6,61 6,58 6,53

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41

2009-2013 Punteggio Posizione 8,76 8,68 8,71 8,62 8,61 8,63 8,50 8,52 8,44 8,49 8,51 8,35 8,55 8,14 8,44 8,20 8,23 8,06 7,85 8,07 7,69 7,70 7,66 7,44 7,77 7,62 7,45 7,42 7,63 7,77 7,29 7,24 7,24 7,16 7,24 7,13 7,04 6,92 6,96 6,93 6,88

1 3 2 5 6 4 10 8 12 11 9 14 7 17 13 16 15 19 20 18 24 23 25 29 21 27 28 30 26 22 31 32 33 35 34 36 37 40 38 39 42

Paesi Brasile Sud Africa Costa Rica Kuwait Grecia Bulgaria Romania Colombia Peru El Salvador Croazia Filippine Arabia Saudita Turchia Giordania Argentina Cina Russia Indonesia Sri Lanka India Egitto Tunisia Repubblica Dominicana Serbia e Montenegro Kazakistan Ecuador Venezuela Marocco Vietnam Pakistan Bangladesh Arzerbaijan Ucraina Nigeria Algeria Kenya Libia Cuba Angola Iran

2004-2008 Punteggio Posizione 6,52 6,36 6,36 6,33 6,31 6,07 6,03 6,00 5,98 5,97 5,93 5,93 5,92 5,91 5,84 5,83 5,69 5,58 5,47 5,44 5,36 5,30 5,29 5,18 5,13 5,10 5,08 5,04 4,81 4,77 4,72 4,64 4,58 4,48 4,44 4,28 4,28 4,22 4,13 3,64 3,61

42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82

2009-2013 Punteggio Posizione 6,79 6,89 6,74 6,44 6,79 6,78 6,76 6,70 6,54 6,78 6,64 6,31 6,56 6,52 6,49 6,08 6,44 6,27 6,31 5,69 6,33 6,37 6,11 5,71 5,95 5,58 4,77 4,39 5,59 5,89 5,26 5,32 5,37 5,55 4,94 5,37 4,76 4,66 4,59 4,20 4,68

43 41 48 56 44 45 47 49 52 46 50 59 51 53 54 63 55 61 60 67 58 57 62 66 64 69 76 81 68 65 74 73 72 70 75 71 77 79 80 82 78

Fonte: Economist Intelligence Unit

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I Personaggi

DI PAOLO FILO DELLA TORRE

Charles Spencer rubacuori

Fin da bambino, Charles Spencer, fratello maggiore di Lady Diana, era molto vanitoso. Si rendeva conto che era bello e che, una volta cresciuto, avrebbe fatto strage di cuori femminili. Infatti ne colleziona ancora, malgrado i suoi due matrimoni falliti. Le cronache mondane registrano continuamente le sue conquiste. L’ultima è Lady Bianca Elliot, ricca vedovella di un aristocratico inglese con tanto di castello, maggiordomi e guardiacaccia. C’è chi scommette che Bianca diverrà la terza contessa Spencer. Lord Spencer detto "Champagne Charles" perché per la festa dei suoi ventuno anni se ne erano bevute alcune centinaia di bottiglie, aveva sposato la prima volta Lady Victoria Lockwood, bellissima modella sudafricana, ma lei si sentiva ignorata ed era gelosa del fatto che Charles continuasse a "flirtare" con tutte le ragazze che incontrava. Di conseguenza aveva suscitato scandalo avendo cominciato a consumare alcool e cocaina. Il tutto finì in un divorzio. Il fratello di Diana non perse tempo. Si risposò presto con la graziosa Carolyne Freud. Seguirono altre fidanzate come la irlandese Coleen Sullivan e Jane Yarrow. Certamente il Lord non cambia con il passare dell’età, ormai si avvicina alla cinquantina ma il suo modo di vivere rimane quello di un ragazzone un po’ troppo viziato; dalle donne, naturalmente. I 32

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I PARENTI POVERI DI ELISABETTA

Elisabetta è decisa a far pesare l'austerity anche sui suoi parenti. I primi a farne le spese sono il Principe Michael di Kent (nella foto a destra) e sua moglie, di origini tedesche. Già hanno molti problemi perché non riscuotono alcun appannaggio malgrado la loro stretta parentela con la sovrana. Finora vivevano in un appartamento di Kensington Palace dove per un lungo periodo di tempo alloggiarono anche la Principessa Margaret e Lady Diana, almeno fino alla conclusione delle loro vite. I Kent dovevano pagare soltanto una sterlina all'anno come cifra simbolica per l’affitto. Quel poco bastava per vivere nel palazzo dove avevano abitato, fino a che è salita sul trono la Regina Vittoria, i sovrani e le sovrane d’Inghilterra. Le condizioni economiche di Michael e Christina di Kent erano motivo di ironie; circola nella buona società britannica la frase scherzosa "Rent a Kent", affitta un Kent per impressionare i tuoi ospiti a cena di gala o ai ricevimenti. Ai Kent veniva dato così non soltanto da mangiare ma anche l’equivalente di un gettone di presenza: i nuovi ricchi spesso erano generosi. Ma gli introiti del cugino di Elisabetta non saranno sufficienti a pagare un affitto ventimila volte maggiore di quello finora sborsato. Per questo dovranno trovarsi un’abitazione molto più a buon mercato. Michael assomiglia molto all’ultimo zar di Russia nipote della regina Vittoria, e per questa ragione difficilmente potrà accettare l’ospitalità degli ex concittadini di Lenin, l’uomo che lo aveva condannato a morte insieme alla zarina e ai figli. Non saranno soltanto i Kent a soffrire della nuova crisi economica alla quale Elisabetta ha deciso di adeguarsi; lo saranno anche i fedelissimi cani Corgy che vedranno la loro razione di biscotti di cioccolato ben ridotta. Inoltre lo saranno gli altri cugini Duchi di Gloucester, pure loro costretti a lasciare l’abitazione londinese nel palazzo di Kensington e ad adeguarsi a vivere permanentemente in campagna nella loro casa paterna. I

GLI ARISTO-CATS I gatti più belli ed aristocratici di Londra sono in pericolo, almeno quarantacinque di loro sono scomparsi nella zona elegante di Mariden Avenue, che viene ora definita il Bermuda Triangle per gatti. Scotland Yard è al lavoro per cercare di scoprire la ragione delle loro scomparse. Il primo a scomparire era stato un magnifico siamese di nome Tabatha, poi è stata la volta di Blackie, poi Lucky, quindi Norman e Felix. Gli abitanti della zona non riescono a darsi pace, ma per loro sembra impossibile trovare tracce per scoprire questo misterioso giallo del quale sono protagonisti tanti bei felini; sono vittime di un qualche maniaco oppure vengono rapiti per essere rivenduti a nuovi padroni? Alcuni sostengono che i criminali dei quali sono vittime i gatti aristocratici sono legati ai padroni di ristoranti cinesi dove la carne di gatto viene servita ai clienti come fosse coniglio. I


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29-11-2008

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I Personaggi

L’impeccabile Mrs.

Pelosi

Stile soft e pugno di ferro per la Speaker della Camera, prima donna, prima californiana e prima italoamericana a ricoprire questa carica. Ora che Barack arriva alla Casa Bianca, avrà molto bisogno di lei

DI DESIDERIA CAVINA

Da quando Hillary Clinton ha accettato la carica di Segretario di Stato di Barack Obama, Nancy Pelosi èscivolata – si fa per dire – in seconda posizione. Non è più “la donna più potente della storia politica americana”, ma quasi… In pole position ci era arrivata nel gennaio 2007 quando è stata eletta – prima donna, prima californiana e prima italoamericana – come Presidente (Speaker) della Camera dei Rappresentanti a Washington. Una posizione di potere assoluta e incontrastata mantenuta con uno stile soft e molto efficace come hanno fatto notare i giornali americani. È sempre impeccabile, non minaccia mai, non grida, non insulta, non beve e non fuma, e il suo completo controllo della Camera è sempre fuori discussione. Pare che per creare ulteriori legami con gli altri rappresentanti eletti da 300 milioni di americani la signora Pelosi lasci cadere ogni tanto, nella conversazione, i nomi di coniugi e figli, accompagnati da un gentile «tutto bene?»

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che lascia regolarmente senza parole il collega di turno. Imbattibile. Persino nella raccolta dei fondi elettorali. È stata la migliore del suo partito con 26 milioni di dollari riscossi tra cene, balli di beneficenza, conferenze e riunioni di partito. E ora che Obama si appresta a guidare l’America per i prossimi quattro anni è ovvio che alla Casa Bianca avrà bisogno di lei, «più di quanto lei avrà bisogno di lui», azzardano i suoi sostenitori di San Francisco, che l’hanno eletta in maniera bulgara e che mantengono con lei un solido legame anche quando è nella capitale, dall’altra parte degli States. La nascita di Nancy Patricia D’Alessandro è sulla costa orientale americana, il 26 marzo 1940 a Baltimora nello Stato del Maryland. La politica è di casa: suo padre era un rappresentante del Maryland al Congresso e per 12 anni anche sindaco di Baltimora. Si laurea al Trinity


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College di Washington nel 1962 e lì conosce suo marito, Paul Pelosi. Con lui, che è originario della California, si trasferisce a San Francisco dove un fratello di lei è attivo nel board dei supervisors della contea. Un altro fratello di Nancy diventerà sindaco a Baltimora. Nei primi anni dopo il matrimonio – racconta oggi la signora Pelosi, che nel frattempo è già nonna di sette nipoti – ho fatto soprattutto la moglie e la mamma dei miei cinque figli. Per le cronache la giovane figlia Alexandra ha seguito le campagne di Bush e dei repubblicani nel 2000 girando anche un film Journeys with George e scrivendo un altro libro nel 2004. Quando anche l’ultimo figlio arriva alle scuole superiori, Nancy comincia a farsi coinvolgere attivamente dai democratici e dalle vicende strettamente legate alla sua città di adozione, dove la diffusione dell’Aids miete vittime, i problemi legati alla tutela dell’ambiente sono particolarmente sentiti e la comunità cinese è numerosissima per cui è necessario mantenere buone relazioni con la Cina che dalla California è molto più vici-

na che dalla capitale americana… Le proteste degli studenti dopo le violenze di Piazza Tien an Men la vedono impegnata nel sostenere un movimento cinese per la democrazia e lanciare dure e aperte critiche a Pechino mentre negli ultimi tempi le difficoltà del Tibet l’hanno vista in viaggio per Dahramsala dove ha incontrato il Dalai Lama. Il primo mandato intero lo ottiene nel 1988. È stata rieletta otto volte, spesso con più del 70 per cento delle preferenze, nell’ottavo distretto, quello che comprende gran parte dell’area metropolitana di San Francisco e che è saldamente in mano democratica dal 1949. Dopo le elezioni di mid-term del 2006 alla Camera dei Rappresentanti è stata nominata a vasta maggioranza la prima donna Speaker della House of Representatives dove è nota per le sue posizioni femministe e tutt’altro che “conservative”. Qualcuno la definisce aristodemocratica perchè Nancy Pelosi è il sesto contribuente della Camera (25 milioni di dollari), visto che insieme al marito è proprietaria di molti immobili nella baia di San Francisco oltre che

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I Personaggi

Qualcuno la definisce aristodemocratica perchè Nancy Pelosi è il sesto contribuente della Camera (25 milioni di dollari), visto che insieme al marito è proprietaria di molti immobili nella baia di San Francisco oltre che di vigneti nella famosa Napa Valley. Dopo Hillary Clinton, è “la donna più potente della storia politica americana”

di vigneti nella famosa Napa Valley. Indubbio comunque che abbia sempre mantenuto posizioni coerenti con una visione decisamente aperta delle principali questioni all’ordine del giorno alla Camera. Pro-choice la sua dichiarazione sull’aborto: ha votato a favore tutte le volte che si sono finanziate strutture abortiste o quando sono stati destinati fondi per le organizzazioni pro-aborto. Appoggia l’agricoltura americana, la ricerca sulle cellule staminali, la possibilità di dare assistenza medica e istruzione agli stranieri, le nuove tecnologie per ridurre la dipendenza dal petrolio straniero, i programmi di risparmio energetico e di difesa dell’ambiente. In linea con le promesse di Barack Obama, Nancy Pelosi sostiene una riforma sanitaria che si estenda anche alle categorie meno abbienti e ai tanti americani che non si possono permettere un’assicurazione sanitaria. In precisa contrapposizione con il governatore dell’Alaska Sarah Palin, è contrarissima alle nuove trivellazioni sul suolo americano e alla vendita facile di armi da fuoco di qualsiasi tipo. Più volte ha votato – spesso inutil-

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mente – contro gli emendamenti sul possesso e la vendita al dettaglio di armi da fuoco e da taglio negli Usa. Infine i bambini e gli immigrati. È stata strenua sostenitrice del No child left behind Act del 2001 che istituisce continui esami per monitorare il progresso degli studenti e per autorizzare un incremento nella spesa educativa complessiva. Mentre votò – inutilmente – contro la costruzione della grande doppia rete elettrificata anti-immigrazione lungo il confine Stati Uniti-Messico: 1100 chilometri voluti da George Bush col Secure Fence Act del 2006. Sulla recessione economica che attanaglia il suo paese in questi ultimi mesi non ha dubbi e soprattutto non ha alcun timore di esporsi prima e di più dei consiglieri scelti personalmente da Obama. Un esempio? Gli amministratori delegati delle grandi case automobilistiche americane che in novembre chiedono aiuto…Senza un minuto di esitazione Nancy Pelosi li incontra e subito dichiara la necessità di aiuti pubblici al settore. Poco dopo la squadra di economisti messa in campo da Obama concorda e si allinea con la signora. Che sorride compiacente: They need me. I


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I Personaggi

Il New Deal di Rohatyn salverà l’America Economista, ex banchiere delle Lazard, da sempre vicino ai democratici, ha un’idea per rilanciare l’economia: varare un enorme pacchetto di investimenti per ricostruire ponti, strade e scuole d’America. Obama lo seguirà? DI ANTONIA PIETRINO

Il terremoto finanziario che ha messo in ginocchio le maggiori banche mondiali e ha mandato in recessione le maggiori economie industrializzate era stato previsto. Già quindici anni fa Felix Rohatyn – economista, uno dei banchieri più influenti d’oltreoceano, simbolo della finanza colta, salito alle cronache per aver salvato New York dalla bancarotta e per la sua vicinanza al partito democratico – aveva messo tutti in guardia definendo gli strumenti derivati e la finanza creativa ad essi legata vere e proprie “bombe all’idrogeno” che avrebbero distrutto i mercati e l’economia. Ora che la bomba è scoppiata – e i primi a saltare in aria sono stati proprio quelli che l’avevano innescata – Rohatyn torna a dire la sua. «La crisi è gravissima e non è ancora finita. Per ripartire l’America ha bisogno di un New Deal, un gigantesco piano di opere pubbliche che rimetta in moto l’economia reale e la fiducia». Nella pratica quello

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Rockefeller Center - Prometeo



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I Personaggi a cui pensa il banchiere è un pacchetto di stimoli per ricostruire strade, ponti e scuole d’America, che versano in uno stato vergognoso e hanno bisogno urgente di interventi di riammodernamento. Ecco, questa la via di fuga pensata da Rohatyn per rilanciare gli Stati Uniti. Una via non nuovissima che il banchiere suggerisce da anni e che fu già messa in atto da Roosevelt sul finire degli anni Trenta per risollevare l’economia americana dalla Grande Depressione. Questa volta i suoi consigli potrebbero non andare dispersi. Il progetto di una National Infrastructure Bank, ossia un istituto per il finanziamento pubblico-privato delle grandi opere, è nel programma di Barack Obama, che ha promesso di creare 2.500 nuovi posti di lavoro nei prossimi due anni. Chissà…. Viene da chiedersi come sarebbero andate le cose se negli ultimi anni a capo delle Fed ci fosse stato Rohatyn anziché Greenspan. In passato la fronda dei repubblicani ha impedito al banchiere e economista di origini austriache di accedere a una carica pubblica nell’amministrazione americana. Era considerato troppo a sinistra, e si temeva che le sue idee potessero mettere in difficoltà l’economia (tasse e inflazione più alte). Oggi sappiamo come sono andate le cose. E che a mandare in crisi l’America è stato un eccesso di deregulation da parte delle Authority e la scelta della Federal Reserve di Greenspan di lasciare per un lungo periodo i tassi vicini allo zero. Ora Felix Rohatyn torna in auge. Nonostante gli 80 anni compiuti lo scorso maggio, sta vivendo un nuovo momento di gloria. Si è addirittura parlato di lui e di un altro ottuagenario, l’ex governatore della Fed Paul Volcker (in carica tra il 1979 e il 1987 passato alla storia per aver sconfitto l’inflazione grazie ad un’aggressiva politica restrittiva) come consiglieri economici della Casa Bianca. L’età non ha giocato dalla loro parte anche se Obama ha affidato a Volcker una speciale Commissione anti crisi che dovrà cercare nuove idee per rilanciare l’economia. Di origini ebree, Felix George Rohatyn nasce a Vienna il 29 maggio 1928. In America si trasferisce nel ’42 per sfuggire alle persecuzioni razziali. Dopo la laurea in fisica inizia a lavorare negli uffici newyorkesi della Lazard Frères, la banca d’investimento francese all’epoca guidata dal potentissimo Michel David-Weill, di cui Felix rappre-

senta per decenni l’uomo di fiducia d’oltreoceano. Dal trentaduesimo piano del suo ufficio nel Rockefeller Center, affacciato proprio sulla famosa statua in bronzo di Prometeo, Rohatyn ha concluso alcuni degli affari più grandi della finanza americana, come la fusione tra Time e Warner. A fine anni Settanta compie una sorta di miracolo finanziario. Viene chiamato dall’allora governatore di New York Hugh Carey a raddrizzare le disastrose finanze della metropoli, ormai sull’orlo del fallimento. Grazie Felix Rohatyn a una serie di emissioni obbligaziocon la moglie Elisabeth narie e altre misure riesce a riportare in equilibrio i bilanci della Grande Mela. La sua fama è alle stelle. Un sondaggio televisivo della Cbs condotto dal famoso anchormen Dan Rather lo aveva indicato al primo posto tra i personaggi non candidati che gli americani avrebbero voluto vedere in corsa per la Casa Bianca. Da sempre sostenitore dei democratici, grande amico di Bill Clinton, quando questi nel ’93 vene eletto presidente degli Stati Uniti, Rohatyn sogna un posto al governo. Si parla di lui come possibile segretario del Tesoro, ma i democratici gli preferiscono Robert Rubin, all’epoca co-presidente di Goldman Sachs. Qualche anno dopo, Clinton non nasconde di volerlo a capo della Fed al posto di Alan Greenspan. Anche in questo caso non se ne farà nulla. Questa volta è l’opposizione dei repubblicani a bloccare la nomina, giudicando troppo a sinistra la politica economica di Rohatyn. In contropartita, nel 1997 viene nominato ambasciatore a Parigi, città a cui Felix è molto legato e dove vanta numerosi amici. Vi resterà solo pochi anni. Nel 2000 torna in patria. Riservato, rifugge la mondanità e i salotti. È stato molto amico di Enrico Cuccia e dell’avvocato Agnelli. Durante gli anni di Fresco alla guida del Lingotto, Felix sedeva nel consiglio di amministrazione della Fiat. Nel 2006 viene chiamato dal presidente della Lehman Brothers, Richard S. Fuld, come senior advisors per gli affari internazionali. Peccato che Mr. Fuld non abbia ascoltato, o non abbia ascoltato abbastanza i consigli di Rohatyn. Quando lo scorso 15 settembre Lehman dichiara il fallimento, Felix è costretto a impacchettare i suoi effetti personale e a scendere in strada con gli scatoloni in mano. Proprio come un impiegato qualsiasi. Proprio lui, che quindici anni prima aveva già previsto tutto. I

Simbolo della finanza colta, negli anni Settanta salvò New York dalla bancarotta. Ambasciatore a Parigi dal 1997 al 2000, ha sognato invano una qualche carica pubblica a Washington

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I Personaggi

La risalita di

Gordon Brown Fino a pochi mesi fa amici e nemici gli consigliavano le dimissioni. Poi le cose sono cambiate rapidamente. Con il peggioramento della crisi, i sudditi della regina Elisabetta hanno ridato fiducia all’unico uomo ritenuto in grado di riportare la Gran Bretagna fuori dalla recessione

DI MARIANGELA TESSA

Suona come un paradosso, ma a quanto pare la forte crisi economica che sta investendo la Gran Bretagna sembra aver rimesso di buonumore il primo ministro inglese nonché capo del partito Laburista, Gordon Brown. I commentatori politici d’oltremanica parlano di una trasformazione camaleontica dell’inquilino del numero 10 di Downing Street. È tornato a sorridere, fa addirittura battute di spirito. Il che lascia tutti interdetti: tra le tante qualità che vengono riconosciute non si è mai vista traccia del proverbiale sense of humor britannico. E pensare che fino agli inizi dell’autunno, per lui suonavano solo campane a morto. A un anno e mezzo circa dalla sua nomina a primo ministro (giugno 2007), una carica ago-

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Dopo la nomina a premier, la luna di miele con l’elettorato laburista è durata poco. Il colpo di grazia è arrivato con la crisi della Northern Rock

gnata per circa 13 anni, l’eterno numero due di Tony Blair si è trovato ad affrontare una serie di cattive notizie che non finivano mai. La luna di miele con l’elettorato laburista, che da anni aspettava il cambio di guardia con il suo amico-rivale Blair, è infatti durata poco. Sono in molti a sostenere che la vera maledizione di Gordon Brown sia stata la crisi della Northern Rock, l’istituto di credito erogatore di mutui che, nel settembre del 2007, chiedendo un prestito di emergenza alla Banca d’Inghilterra, scatenò il panico dei correntisti britannici. Di lì in poi è stato uno sfacelo. Lo scorso giugno, dopo la pesante sconfitta dei laburisti alle elezioni amministrative, la sua popolarità viaggiava sui minimi storici.


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I Personaggi La comunità finanziaria gli rinfacciava l’incapacità di gestire la crisi bancaria. Una politica estera “timida” e una scarsa capacità di comunicare agli elettori erano le altre due più frequenti critiche avanzate nei suoi riguardi. Insomma, Mister Brown aveva tutti contro. Non solo i suoi detrattori, ma anche i suoi sostenitori

ventilavano la necessità delle dimissioni. Ad un certo punto sembrava che per il premier britannico l’unica buona notizia fosse l’impossibilità di una sua sostituzione da parte del partito. Un altro premier non eletto, dopo la staffetta Blair-Brown, poteva rivelarsi l’ennesimo boomerang per i Labour già a corto di consensi. Poi ad un certo punto tutto è cambiato. In peggio per l’economia, in meglio per il premier. L’ingresso dell’economia britannica in recessione e la prospettiva che la Gran Bretagna soffrirà in questo biennio di una forte crisi ha fatto risalire la sua popolarità tra i sudditi di Elisabetta II. Chi meglio di lui che ininterrottamente per dieci anni è stato Cancelliere dello Scacchiere, in prati-

Nato in Scozia 57 anni fa, Brown fu eletto al Parlamento nel 1983. Dal 1997 per dieci anni ha ricoperto la carica di Cancelliere

ca il nostro ministro dell’economia, può guidare la nave britannica che viaggia in una tempesta mai vista? In un baleno, David Cameron, leader dei conservatori, ma anche David Miliband, attuale ministro degli esteri nonché suo principale antagonista in seno al governo, hanno perso vantaggio nei confronti di Brown. Nato in Scozia 57 anni fa, figlio di un pastore presbiteriano di modesti mezzi, Brown perse la vista a un occhio in un incidente da bambino. Dotato di una straordinaria intelligenza, entrò all'università a 16 anni. Finiti gli studi, fu eletto al parlamento nel 1983, lo stesso anno di Blair. I due dividevano lo stesso ufficio, stretti in un’alleanza politica di ferro. Dopo la morte improvvisa nel 1994 di John

Smith, Brown venne additato come potenziale leader del partito, ma si fece indietro, lasciando la carica a Tony Blair. A lungo si è ventilata l'ipotesi di un patto tra i due stipulato al ristorante italiano di Islington (Londra), il Granita, con cui Blair promise di dare a Brown il completo controllo della politica economica in cam-

bio della non intromissione nelle elezioni, e che in seguito Blair si sarebbe ritirato lasciando a Brown la carica di Primo Ministro, cosa che poi non accadde. Brown, in ogni caso, ha fatto una sua carriera stellare come Cancelliere. Sotto la sua guida, l’economia del Paese ha conosciuto una fase di fortissima espansione, disoccupazione minima, tasse contenute, in particolare per le imprese, e il boom della City come centro finanziario mondiale. Il suo primo atto nel 1997 - dare l'indipendenza alla Banca d'Inghilterra, con il potere di stabilire i tassi di interesse - gli conquistò subito la fiducia degli operatori. Fedele alla tradizione laburista, non ha mai lesinato stanziamenti per sanità e istruzione, ambiti dove UOMINI&BUSINESS

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I Personaggi pure il boom del settore privato è stata la tendenza dominante degli ultimi anni. Con Blair, i motivi di scontro più forti sono stati le riforme del settore pubblico e l'ingresso della Gran Bretagna nell'euro, che il premier voleva entro la fine della sua permanenza a Downing Street, ma che è stato bloccato di fatto dal Cancelliere. Se è vero che nessun ministro dell’economia ha vissuto sulla sua pelle una crisi economica di portata simile a quella attuale; è altrettanto vero che, come fa notare John Lloyd, una delle penne più note del quotidiano inglese Financial Times: «Brown conosce le persone che contano nei ministeri delle finanze di tutto il mondo, al Fondo monetario internazionale e alla Banca Mondiale, nelle segreterie dei governi, ai vertici delle grandi banche e delle grandi imprese. Non ha bisogno di conoscere i protagonisti, li conosce già e loro conoscono lui. E mentre il suo operato è oggetto di polemiche nel Regno Unito – i conservatori gli rimproverano una

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spesa sconsiderata e la mancanza di riserve per gli aiuti in questa crisi – all'estero, dopo un decennio di forte crescita economica in Gran Bretagna, gode di alta reputazione». In effetti, in piena crisi delle banche il piano britannico – partecipazione statale parziale nei grandi istituti di credito per favorire l’accesso ai finanziamenti statali – è stato visto come un esempio da seguire. A malincuore anche l’ex ministro del Tesoro statunitense, il repubblicano Hank Paulson, si è trovato a imitare l’orientamento di un uomo di sinistra.

La coppia BrownBlair è stata talvolta in disaccordo su temi economici di rilievo come l’ingresso della Gran Bretagna nell’euro

Detto questo, gli esperti si domandano se e fino a quando questo stato di grazia durerà. Troppo presto per dirlo. Di sicuro molto dipenderà dalla sua capacità di gestire i numerosi problemi che l’economia britannica si troverà ad affrontare nel corso dei prossimi mesi. La sua rimonta, come fanno notare alcuni dei suoi sostenitori, mostra che l'impopolarità di Brown nel primo anno e mezzo di mandato non aveva motivazioni serie. Riprendendo le parole di Lloyd sul Financial Times: «È vero che è apparso indeciso su alcuni temi, che sa essere legnoso in pubblico, soprattutto in televisione, che si dice che sia duro e addirittura sleale con i suoi ministri. Ma non ha fatto grossi errori, non è imputato di corruzione, ha lavorato sodo e seriamente, non rappresenta estremismi politici, nel privato ha mostrato rispettabilità. In tempi difficili, la gente, temendo gravi conseguenze, ha rivalutato Brown e lo trova rassicurante. Al momento sembra che Gordon Brown goda del beneficio del dubbio». I


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Il vero potere di

Marina

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Lì dove non è arrivato suo padre, è arrivata lei. Numero uno dell’impero della famiglia Berlusconi, alla primogenita del premier si sono spalancate le porte di Mediobanca

DI ELISA GIULIETTI

Di lei dicono che sia ancora più a destra del padre, anche se per ora alla politica preferisce di gran lunga la finanza. Marina Berlusconi, 42 anni, la donna più ricca e potente d’Italia - e tra le più ricche e potenti del mondo come ogni anno ci ricordano le classifiche americane di Forbes e Fortune - ha un unico scopo: far girare a pieni giri il potente impero Fininvest che papà Silvio le ha messo tra le mani. Un gruppo da 7 miliardi di euro che spazia da Mediaset alla Mondadori, dal Milan alla Medusa Film, da Mediolunum alla Endemol. Il suo prestigio è volato ancora più in alto dopo la nomina nel consiglio di amministrazione di Mediobanca. Per anni l’Alta Finanza aveva tenuto il Cavaliere fuori dai cancelli di Via Filodrammatici. Gli stessi che lo scorso

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primo novembre si sono invece spalancati per accogliere la primogenita Marina, all’esordio nel cda della più influente banca d’investimento italiana. D’altronde pare che sia stata proprio lei a insistere perché Fininvest rilevasse il 2 per cento di Mediobanca, da sempre crocevia dei poteri forti del capitalismo, dalle Generali a Rcs, conquistandosi finalmente quell’ambito posto nell’establishment finanziario che ancora le mancava. Un altro successo personale per la giovane Marina o un nuovo tassello del sempre più forte asse tra il cavaliere e il numero uno di piazzetta Cuccia, Cesare Geronzi? Minuta, un’aria perfino impacciata e timida nelle prime foto di lei poco più che ventenne ritratta per mano al padre, Marina ha sfoderato negli anni una grinta e un carat-


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I Personaggi tere insospettabili. Se fosse nata in un’altra famiglia, sareb- Bonomo aveva rinunciato ai propri poteri e la giovane be diventata un veterinario. Un giorno invece papà Silvio la Marina doveva rendere conto solo al padre, che nel 2005 la invita a partecipare ad una delle tante riunioni di lavoro di nomina presidente della Fininvest. Un papà ingombrante che lei adora e che ancora cui i saloni di Arcore sono ancora oggi testimoni. Marina accetta, non sappiamo fino a che punto consapevole del oggi le telefona ogni sera e ogni lunedì la vuole a pranzo fatto che varcare quella porta fu il primo passo verso l’in- ad Arcore. Proprio il forte legame che rimane con il capo del governo, giunto ormai al suo terzo mandato, fa suscoronazione. Nel 1991, a soli 25 anni, entra in azienda. Riunione surrare che l’autonomia decisionale della super manager dopo riunione, ascolta silenziosa, prende appunti, fa tesoro sia una questione di pura facciata e che dietro di lei, a tiradei consigli di papà e di zio Fedele (così chiama lo storico re le fila delle aziende di famiglia, ci sia sempre e comunpresidente di Mediaset, Fedele Confalonieri), anche se il que il Cavaliere, in barba ai conflitti di interesse di cui suo pigmalione resta Franco Tatò, a quell’epoca ammini- nemmeno più si parla. Maldicenze che Marina da anni constratore delegato di Fininvest: «lavorare con lui è meglio tinua a re-spingere, con fermezza e convinzione. Nata il 10 agosto 1966 dal primo matrimonio di che andare a Harvard. “Prima di tutto vai a vedere l’ultima riga”, mi diceva sempre. L’utile netto è il suo unico santo». Silvio con Carla Dall’Oglio, Maria Elvira Berlusconi detta Quando nel 1996, all’età di 30 anni, viene nominata Marina è stata educata in casa da un precettore per paura vicepresidente della Fininvest, la cassaforte di famiglia, dei rapimenti. Ha frequentato il liceo classico a Monza Marina non fa altro che mettere in pratica gli insegnamenti retto dai padri dehoniani. Si è iscritta all’università statale del suo maestro (chiamato nel frattempo a dirigere l’Enel) a Milano, prima legge e poi scienze politiche, ma non si è tagliando costi e teste. Bastano pochi mesi e la stampa le mia laureata. Di recente sotto i riflettori per il matrimonio con il affibbia il soprannome di “zarina” e di “principessa di ferro”. Fa il giro delle redazioni la notizia di quel bel gior- compagno Maurizio Vanadia, ex primo ballerino alla Scala, nalista che le chiese un appuntamento per discutere un e papà dei suoi due figli di 6 a 4 anni, Gabriele e Silvio Carlo (nato il 29 settembre, lo nuovo programma e, pensanstesso giorno del nonno di cui do di fare un gesto galante, si porta il nome), Marina detepresentò con un mazzo di sta la mondanità. Non frefiori. Il gelo fu immediato e in quenta le spiagge della pochi minuti l’ambizioso e Sardegna, feudo di Veronica e avventato conduttore capì che degli altri tre figli di Silvio. la sua carriera in Mediaset Preferisce gli esotici lidi delle poteva considerarsi finita. Bermuda dove si ritira con la È subito chiaro a tutti famiglia e la madre, a cui è che in azienda la sua non è legatissima. Vive in un attico una presenza decorativa. Guai da museo in Corso Venezia, a a sottovalutare il potere di Milano, arredato con mobili Marina. Una che lavora a francesi del settecento con il ritmi «da martello pneumatimarito, i bimbi e i suoi inseco» come ebbe a dire parabili quattro cani. Confalonieri. Sono anni in Il potere non le ha dato cui, dal suo ufficio di Via alla testa. Sa di essere arrivata Paleocapa 3, all’ombra del in cima con l’ascensore, e non castello sforzesco, sovrintensalendo le scale. Ma sa di de alla riorganizzazione del essersi guadagnata sul campo gruppo concentrandosi sopratla stima del padre e del mertutto su Mondadori e Standa. cato. Raccontano le cronache Dalla sua scure si salvano che fu proprio lei a convincesolo Mediaset, dove a presire papà Silvio a non cedere diare i conti ci sono il fidato Mediaset allo “squalo” Confalonieri e l’amato fratelRobert Murdoch, che nel ’98 lo Piersilvio, e Mediolanum, aveva messo sul piatto 7.000 la banca affidata al leale socio miliardi di lire. Insomma, Ennio Doris. D’altronde Marina Berlusconi, guai a sottovalutare il potere sopra di lei non c’è nessuno. presidente Fininvest L’allora presidente Aldo di Marina. I UOMINI&BUSINESS

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Ennio Doris Il banchiere venditore Non solo abile uomo di finanza, ma anche genio del marketing. È quanto ha dimostrato il socio di Berlusconi con il risarcimento ai clienti Mediolanum delle perdite per le ormai famigerate obbligazioni Lehman Brothers DI LAURA WILDERMUTH

Ennio Doris è un ottimista, ritiene che fiducia e credibilità debbano essere mantenute e riconfermate nel tempo. Proprio per questo ha compiuto un’azione di marketing geniale, generosa e che ha spiazzato la concorrenza, ottenendo anche un grande ritorno di immagine: insieme alla Fininvest della famiglia Berlusconi, con cui è socio in Mediolanum, ha risarcito con una spesa complessiva di 120 milioni di euro le perdite dei suoi assicurati che avevano sottoscritto polizze contenenti le ormai famigerate obbligazioni Lehman Brothers. Operazione che non è molto piaciuta al vertice dell’Anie, l’associazione che raggruppa le compagnie di assicurazione italiane, che ha temuto di leggervi un precedente da evitare con cura. Ma Ennio Doris, 68 anni, imprenditore, re italiano del capitale investito con 34,6 miliardi di euro amministrati, considera il milione e 77.000 clienti di Mediolanum, tanti erano alla fine dello scorso settembre, il suo vero

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patrimonio ed intende tutelarli. Da anni nella lista di Forbes dei più ricchi al mondo con solo altri tredici italiani, le leggende narrano che in una tasca dei pantaloni custodisca sempre un po’ di banconote di grosso taglio ad infondergli sicurezza. Nato da una famiglia certamente non benestante in un piccolo paesino della provincia di Padova, Tombolo, dove ritorna quasi ogni fine settimana per giocare a briscola con gli amici di sempre, è stato definito da Silvio Berlusconi “il più bel investimento che io abbia mai fatto”. Si considera un imprenditore, non un finanziere e, oltre ad essere presidente di Mediolanum ha una poltrona nel consiglio di Mediobanca e di Banca Esperia. Sempre stato il migliore della classe in matematica, ancora oggi ricorda con esattezza l’importo dei suoi stipendi compreso il primo, 47.500 lire mensili, quando lavorava agli sportelli della banca Antonveneta del suo paese.


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L’uomo è giovane, sveglio e vuole crescere: si lascia alle spalle prima l’Antonveneta, poi la direzione delle Officine Meccaniche Talin e a 29 anni decide di diventare il padrone di se stesso. Non temendo la fatica, e finalmente libero di gestirsi come meglio ritiene, senza limiti e vincoli, diviene venditore dei fondi comuni di investimento Fideuram e Dival del gruppo Ras. I suoi guadagni sono a percentuale ed è capace di lavorare anche venti ore al giorno per raggiungere i suoi clienti. Quando nel 1981 incontra a Portofino l’artefice della svolta e della sua grande fortuna finanziaria, Silvio Berlusconi, è già un signore che guadagna più di cento milioni di lire al mese. Insieme fondano Mediolanum e il socio gli dà quello che ritiene essere il consiglio più importante per un imprenditore: pensare in grande. Doris lo ripaga con risultati importanti. Oggi il gruppo Mediolanum, la rete di promotori nata nel 1982 dall’incontro nella celebre piazzetta, è divenuto un gruppo finanziario diversificato che spazia dalla banca online, alle assicurazioni, ai fondi pensione. Anche quest’anno chiuderà l’esercizio in positivo, anche se con utili inferiori rispetto al 2007, ma, cosa non da poco visto i tempi, ha deliberato comunque la distribuzione di un vero dividendo in denaro ai propri soci. La raccolta netta è stata addirittura in crescita del 55 per cento rispetto all’anno precedente – l’altro grande segreto del suo successo è stato quello di aver affrontato con strategie e servizi diversi la clientela – e aumenta anche il numero dei promotori finanziari: circa 850 agenti attendono di sostenere l’esame Consob ed il loro totale nel corso del 2008 è cresciuto del 9 per cento. Negli anni Doris è stato contattato da gruppi stranieri per la cessione di parte delle sue quote nella società, ma ogni proposta è stata rifiutata, la sua creatura è viva e preziosa. Con costante e, fino ad oggi, premiato ottimismo, considera la crisi attuale una pausa salutare e necessaria dopo l’ubriacatura di finanza degli anni scorsi. Riesce anche a intravedere, attraverso il calo dei prezzi delle materie i prime, i segnali di un’iniziale ripresa che non tarderà ad arrivare, almeno negli Stati Uniti, forse già dalla seconda metà del prossimo anno. I

Ennio Doris

Da quasi 30 anni è socio di Berlusconi in Mediolanum, con cui ha guadagnato una fortuna diventando uno degli uomini più ricchi d’Italia

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Affari Italiani

Digital Bros gioca la partita americana

Dopo essere diventata numero uno in Italia nei videogames e tra i primi player in Europa, la società dei fratelli Galante conquista anche gli Stati Uniti

DI DANIELA BRAIDI

Assomiglia un po’ a un videogame d’azione la storia di Digital Bros, azienda milanese fondata, guidata e controllata dai fratelli Galante, Abramo il presidente, Raphael l’amministratore delegato. «La nostra – spiegano – è in fondo una strategia da guerriglia, siamo piccoli e agili e questo ci ha permesso di infilarci in quegli spazi lasciati vuoti dai big del settore, dove i grandi non avrebbero molta convenienza a entrare perché senza grossi volumi di vendita non riuscirebbero ad andare a break-even». Partiti vent’anni fa rivendendo prodotti per l’ufficio, sono riusciti a creare una realtà unica nel suo genere. Nel tempo Digital Bros si è infatti trasformata e diversificata è oggi è a

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tutti gli effetti una Game Entertainment Company, un’azienda leader assoluta nel mercato domestico dei videogiochi e la sola italiana ad aver conquistato una posizione internazionale nel settore: è tra i primi player d’Europa grazie alle filiali di Londra, Lione e Madrid ed è da pochissimo approdata in America, da sempre il mercato più importante al mondo per i videogiochi. La nuova filiale di Los Angeles ha raggiunto un accordo per il lancio di Hotel for Dogs, ispirato all’atteso film della DreamWorks Pictures, che sarà il primo videogame messo in commercio da Digital Bros negli Usa da gennaio 2009, in concomitanza con la pellicola, e da febbraio disponibile anche in Europa. Non solo più internazionale. Oltre alla distribuzione, da qualche anno il gruppo si dedica con pieno

successo all’attività di publishing, ossia acquisizione dei diritti di pubblicazione dei videogiochi e loro successivo adattamento (linguistico e culturale) per i singoli paesi. Qui il fatturato è cresciuto del 118 per cento nell’ultimo esercizio raggiungendo il 30 per cento dell’intero giro d’affari. Forte interesse viene riservato anche ai New Media (online gaming, mobile gaming, e-commerce, d-commerce e IP-TV) dove Digital Bros ha concluso un importante accordo con Rcs. Il grande merito dei Galante è stato di aver giocato bene l’evoluzione del comparto dei veodegames, che da metà anni Novanta in poi è cresciuto a ritmi esponenziali. E lo hanno fatto da soli, attraverso la crescita interna: «ci chiedono spesso perché non abbiamo mai fatto acquisizioni. La risposta è sempre la stessa: il know how tecnico


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lo abbiamo, come pure la capacità di anticipare il mercato, per crescere non ci serve altro». D’altronde Digital Bros esiste da prima dell’avvento dei videogiochi, un mercato che Raphael e Abramo hanno visto nascere e svilupparsi. «Con l’arrivo sul mercato delle console Sony e poi Microsoft, i videogiochi – spiega Raphael – hanno conquistato un posto in salotto e hanno sedotto anche gli adulti. Oggi sono uno strumento di intrattenimento al pari della musica e del cinema. Tanto più che sulle moderne console puoi vedere film e navigare su Internet». Non deve quindi sorprendere se l’industria dei videogames abbia ormai superato in fatturato quella dei dvd e perfino il box office di Holliwood: l’anno scorso nel nostro paese sono state vendute 5 console e 34 videogiochi al minuto per un volume di affari che nel complesso ha superato il miliardo di euro, con una crescita del 40 per cento rispetto al 2006 (dati Aesvi, l’Associazione editori software videoludico italiana). Il 2008 dovrebbe essere andato ancora meglio e per il 2009, nonostante la crisi economica mondiale, non sono attese inversioni di rotta. Ne è convinto anche l’amministratore delegato di Digital Bros. «È l’affermarsi – spiega – della cosiddetta ‘economia del lampadario’. In tempi di consumi più oculati, le famiglie escono meno e investono di più per migliorare la qualità della vita entro le mura domestiche, accorgendosi anche di quella lampadina rotta a cui prima non davano importanza. E il videogioco è tutto sommato uno svago cheap, da riutilizzare più volte. E da più persone dentro il nucleo familiare. È più facile che un consumatore rinunci a un viaggio piuttosto che a un videogame». Sino ad ora il gruppo non ha avvertito contraccolpi. Anche quest’anno PES 2009, il videogioco di calcio più amato e atteso in Italia, ha registrato nel primo mese un boom di vendite, circa l’11 per cento in più rispetto al record delle edizioni precedenti. È la conferma, come già accaduto anche nelle

I fratelli Galante. Da sinistra Raphael e Abramo, amministratore delegato e presidente di Digital Bros, società quotata in Borsa dal 2000

recenti recessioni, che il settore dei videogames è svincolato dalla congiuntura. Quotata in Borsa dal 2000 e al segmento Star dal 2004, Digital Bros ha raddoppiato i ricavi negli ultimi quattro anni arrivando nell’ultimo esercizio a un soffio dai 180 milioni di euro di fatturato (+30 per cento rispetto all’anno prima, stesso incremento dell’utile operativo lordo). Il 2009 si presenta come un anno con tassi di crescita altrettanto significativi. La società continuerà a sviluppare il settore del publishing, che si sta affermando come il motore principale della crescita, e quello dedicato al famele e social games per Nintendo DS. Da giugno 2009 sarà avviata la distribuzione in Europa del gioco rivelazione Cooking Mama e Cooking Mama 2, mentre con il lancio in Italia di Gardening Mama si tende a ripetere il boom di vendite della serie dedicata alla cucina. Pensando al Natale, è appena uscita, sempre per Nintendo DS, la nuova serie di titoli dedicati agli animali (Il mio cucciolo Fidi Eroi, Allegri Delfini; Teneri Poni; Mici Amici), ma il gruppo pensa già oltre. «Più che ai prodotti di elettronica, che diventano obsoleti a distanza di qualche anno dall’esibizione sullo scaffale, il videogame è come l’industria cinematografica dove il film è vecchio due settimane dopo l’uscita nelle sale», afferma l’amministratore delegato del gruppo. La cosa più importante è dunque saper anticipare e prevedere i gusti del pubblico e non affezionarsi troppo a un successo quando si capisce che ha fatto il suo tempo. E in questo i fratelli Galante e il loro team internazionale di manager si sono rivelati massimi esperti. Al punto da sentirsi pronti per il grande salto acquistando, già nel 2009 se ne avranno l’opportunità, una licenza importante legata a un film o a un evento sportivo di rilievo. Insomma, il videogame di Digital Bros continua, con sfide sempre più avvincenti e sentieri di guerriglia sempre più scoscesi. I UOMINI&BUSINESS

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Affari Italiani

Cinquant’anni di

Enervit Barrette, integratori e bevande energetiche hanno consentito all’azienda della famiglia Sorbini di superare mezzo secolo di vita con i conti in gran forma. Le nuove sfide si giocano adesso a Piazza Affari e sui mercati esteri

DI AMANDA DEL CORO

Il suo cuore batte forte per gli sportivi. Ma negli ultimi anni ha strizzato l’occhio (con grande soddisfazione del giro d’affari) ai patiti del wellness, un gruppo - sempre più numeroso a sentire le più recenti statistiche – di persone attente al proprio benessere e a mantenere sotto controllo il proprio peso. Stiamo parlando di Enervit s.p.a., un gruppo dal nome nuovo (è stato ribattezzato così quest’anno, prima si chiamava AlsoEnervit) ma con alle spalle una storia lunga mezzo secolo. Dal 1954, anno delle sua fondazione, l’azienda di Zelbio (Como) ha cambiato completamente volto: agli inizi si chiamava Also Laboratori e la sua attività era concentrata nella

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distribuzione dei prodotti farmaceutici importati dalla Germania. Oggi, il gruppo, da pochi mesi quotato a piazza Affari, è tra i leader in Italia nella vendita di barrette, integratori e bevande energetiche per gli sportivi. Centotrenta dipendenti, tre linee di prodotto, un giro d’affari 2007 di 36,4 milioni di euro con utili netti per un milione di euro sono

alcune delle cifre che fotografano lo stato attuale del gruppo. Le trasformazioni di cui si è resa protagonista Enervit in questi oltre cinquant’anni di storia sono tante. Un tratto è rimasto però inalterato nel tempo, la proprietà. La società, per quanto negli ultimi anni abbia aperto le sue porte a nuovi soci, resta saldamente nelle mani dei tre fratelli Sorbini (56,42 per cento del capitale): Alberto (presidente a amministratore delegato), Giuseppe (amministratore delegato e direttore produzione e stabilimento) e Maurizia (amministratore esecutivo). Sono loro che hanno ereditato l’azienda fondata dal padre Paolo, un medico con il pallino del ciclismo


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Affari Italiani che negli anni ’70 inizia a collaborare per il Giro d’Italia. È suo il merito di aver individuato già allora le grandi potenzialità del mercato “nutraceutico”, quello che comprende i prodotti alimentari con caratteristiche funzionali, applicato allo sport. Bisognerà aspettare i primi anni ’80 per vedere sul mercato Enervit Protein, il primo sostitutivo del pasto uscito dallo stabilimento di Zelbio, tuttora sede produttiva della società. Ma questo è solo l’inizio. La società nel corso degli anni ha battuto nuove strade, espandendo sempre di più il raggio d’azione. Gli anni ’80, come dicevamo, sono gli anni in cui le attività prendono slancio con quelli che comunemente venivano chiamati “beveroni”; il decennio successivo il gruppo da sempre coinvolto nella ricerca applicata al fitness, prosegue il suo percorso nel mondo dello sport, a fianco ai club calcistici di Juventus (fino al 1998) e Milan (fino al 2003). Ma è nel 2000 che il gruppo comincia a muoversi oltre i confini degli sportivi. Lo spinta arriva dalla collaborazione con Barry Sears, l’inventore della dieta a zone: con lui Enervit sviluppa una linea di prodotti (commercializzati con il marchio EnerZona) di cui oggi la società ha l’esclusiva in Europa. A fianco della linea Sport&Fitness ed EnerZona, è poi la volta della terza linea di prodotti Enervit Protein, che comprende una serie di prodotti alimentari per il mantenimento della salute e controllo del peso. Per Enervit gli ultimi anni, in pratica quelli del passaggio del testimone alla seconda generazione, sono stati anni di grosso fermento. E non solo nella produzione. Fino a pochi mesi fa cresciuta solo per via interna, Enervit ha cominciato a guardarsi intorno a caccia di prede interessanti per dare slancio all’espansione. Il primo passo in questa direzione è avvenuto nel 2007 con l’acquisto di Sportvital, brand diffuso in Svizzera nella commercializzazione di prodotti

Alberto Sorbini, presidente a amministratore delegato di Enervit

Per anni la strategia predominante dell’azienda è stata quella della crescita per via interna. Nel 2007 la svolta con l’ acquisizione dell’elvetica Sportvital

per l’integrazione sportiva. Ma è solo l’inizio. La società ha già annunciato, entro l’anno, una nuova acquisizione in Germania (finalizzato a migliorare la distribuzione). Mentre nel 2011 sarà la volta della Gran Bretagna. L’impronta di azienda familiare, per quanto nel DNA di Enervit, a quanto pare non è stato un ostacolo per aprirsi all’esterno. «Per crescere a

volte la famiglia non basta. Crediamo sia arrivato il momento per essere meno azienda familiare, più realtà internazionale», ha dichiarato in una recente intervista, il numero uno della società Alberto Sorbini. E così prima sono arrivate risorse dai tre soci: la Technogym di Nerio Alessandri, che ha poco meno del 34,98 per cento, il banchiere d’affari Claudio Costamagna (4,59 per cento) e infine la merchant bank Tamburi Investment partner (3,55 per cento). Poi, è stata la volta della quotazione a Piazza Affari. Il periodo non proprio favorevole non pare essere stato un ostacolo nella decisione di approdare in Borsa. Il collocamento, all’Expandi, è avvenuto lo scorso luglio a 2 euro, in piena crisi dei mercati. Oggi il titolo viaggia sotto il prezzo di collocamento, ma Sorbini non sembra preoccuparsene più di tanto. Senza rimpianti di alcun genere, fiducioso guarda al 2009, che da lui viene considerato “l’anno della resa dei conti”. Nel frattempo, i progetti in cantiere proseguono a passo spedito. C’è da seguire le new entry sul mercato: il Mini Rock, l’ultimo snack della linea EnerZone e la macchina per produrre al momento bevande integratrici fresche, una sorta di espresso per l’atleta. Per il 2009 è poi previsto il lancio di una dieta anti-stress, studiata per il mercato italiano e spagnolo. Insomma, la strada da percorrere è lunga. E l’atleta Sorbini non ha proprio intenzione di deprimersi. I

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Affari Italiani

apre le porte del mondo Da Villanova d’Asti fino alla conquista dei mercati internazionali. Europa, Africa e Cina i principali destinatari dei sistemi di sicurezza di questa azienda tutta italiana che riesce ad essere competitiva a dispetto della recessione DI MONICA CIRILLO

In un momento in cui l’economia italiana è in pieno tzunami, come un albero sano e dalle forti radici, Dierre regge bene alla recessione e continua a affermare in Europa e nel mondo il made in Italy, quello che ha solide basi nella tradizione e che fa dell’unione di stile e tecnologia il proprio carattere distintivo. Si occupa di porte di sicurezza e non solo questa bella realtà tutta italiana nata nel ’75 per volontà dei giovani imprenditori De Robertis (da qui l’acronimo D-R = Dierre). Affermare il gruppo non è stato semplice. Fiero e orgoglioso di

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quella che è diventata oggi la sua creatura Vincenzo De Robertis, presidente dell’azienda, ci racconta come è stato complesso lavorare nell’Italia degli anni Settanta, caratterizzata dalla crisi energetica e dall’austerity, quando il boom edilizio non decollava. Anzi, gli unici interventi del settore erano volti al restauro e alla ristrutturazione di edifici preesistenti. Considerando inoltre il patrimonio immobiliare della nazione, fatto in prevalenza di edifici storici, è facile capire come allora si optasse principalmente per serramenti ove la blindatura di sicurezza veniva installata su porte preesistenti. Ricordate quelle orribili sbarre che ‘armavano’ le porte in verticale e orizzontale

andandosi a conficcare a vista in muri e pavimenti? Ecco, la visione avveniristica dei De Robertis fu quella di fare propria una tecnologia emergente, quella che prevedeva la produzione di porte direttamente in metallo, aggiungendo la personalizzazione derivata dal proprio know-how. In questo modo venivano proposte vere porte blindate, ma assolutamente ritagliate sulle specifiche esigenze del cliente. Quindi, fermo restando la comune anima armata, in acciaio, le porte continuavano ad essere elemento di arredo, di ogni forma colore, materiale, perfettamente integrate nel contesto esistente. Fu un vero successo e quella capacità di offrire soluzioni ritagliate su misu-


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ra, come un abito sartoriale, è ancora oggi l’elemento primario dell’affermazione di Dierre. In più l’azienda ha da sempre un’inclinazione fortemente votata alla tecnologia e avendo tutte le competenze necessarie fa da subito del ‘fuori misura’ il proprio punto di forza. «Negli anni Settanta vinceva chi riusciva a offrire un prodotto fuori standard e in tempi brevissimi - afferma De Robertis -. Allora come oggi operavamo attraverso una rete di specialisti sempre più diversificati: falegnami, mobilieri, o semplici rivenditori di porte interne, ma tutti in grado di offrire soluzioni ad hoc al cliente. La nostra tecnologia permetteva la massima flessibilità nelle realizzazioni». Dierre si rivela la soluzione giusta. L’azienda decolla e nell’82 inaugura a Villanova d’Asti, alle porte di Torino, il primo stabilimento produttivo. Nel 2000 gli stabilimenti sono ben sette e l’azienda si afferma sempre più come leader del settore, con un fatturato che supera i 198 miliardi delle vecchie lire. Nel 2005 un nuovo passo avanti: viene costituito il Gruppo Dierre con la società Dierre Holding interamente posseduta dalla famiglia De Robertis. Contemporaneamente nascono Dierre Partner e Dierre Technical Service, due progetti mirati a migliorare il servizio e a potenziare la rete commerciale sul territorio italiano. Nel tempo la rete dei partner specialistici si è infatti ampliata e la filiera che va dal produttore al consumatore si è arricchita di nuove sfaccettature. D’altronde le porte sono sempre più prodotti tecnologici. Sono strumenti che oltre alla sicurezza, devono garantire rispetto ambientale e risparmio energetico unitamente al design e alla ricercatezza tipici del made in Italy. Importante sotto questo profilo è l’innovazione. Negli stabilimenti Dierre opera un intero reparto dedicato alle prove tecniche. Qui si fa ricerca applicata in collaborazione con Enti e Istituti internazionali, soprattutto tedeschi. «Grazie ai nostri studi abbiamo una serie di omologhe che ci permettono di entrare in tutti i mercati europei e mondiali in maniera estremamente competitiva», continua De Robertis.

Elettra è una porta governata da un sistema elettronico automatico. Tecnologia e sicurezza sono in perfetta armonia

La linea di porte Fusion è caratterizzata da un design molto particolare e materiali hi-tech. Il telaio è a vista e in alluminio satinato

Dierre è guidata dall'imprenditore Vincenzo De Robertis

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Affari Italiani Insomma una bella realtà imprenditoriale quella di Dierre, che dà lavoro a oltre 1000 dipendenti e, a dispetto dell’attuale situazione economica del Paese, quest’anno dovrebbe mantenere almeno lo stesso fatturato del 2007, una cifra di tutto rispetto che l’anno scorso ha oltrepassato i 160 milioni di euro (e pensare che il fatturato di 1 miliardo di lire del 1980 sembrava già un traguardo difficile da superare). I numeri sono sempre più interessanti, non solo per il fatturato ma anche per i volumi: Dierre ogni anno produce 200 mila porte blindate, 110.000 controtelai per porte a scomparsa, 80.000 porte per interni, 90.000 chiusure tagliafuoco, 45.000 porte multifunzione, 10.000 persiane blindate, 25.000 portoni da garage e più di 300.000 serrature e casseforti. Alla leadership del gruppo nelle porte ha contribuito anche la recente espansione internazionale, con oltre il 30 per cento del giro d’affari generato all’estero, soprattutto in Europa. Oggi Dierre dispone di proprie filiali in Francia, Spagna, Portogallo, Polonia e Grecia e in crescita è la sua presenza anche in Africa e in Cina. Vincenzo De Robertis continua a mantenere una percezione attenta del mercato. Sue sono spesso le intuizioni in merito a nuove proposte, come le porte blindate con cerniere a scomparsa, dalla linea sempre più pulita e di design, che saranno commercializzate dalla prossima primave-

Sede principale Dierre a Villanova d'Asti, alle porte di Torino

Negli stabilimenti Dierre la produzione viene curata in tutte le fasi con estrema cura. Oltre il 30 percento dei prodotti è destinato ai mercati esteri

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ra, ma anche l’ultima grande innovazione tecnologica, introdotta con successo sul mercato da qualche anno. Si tratta di una porta che si apre senza chiave: tecnologia elevata all’ennesima potenza. Un microchip contenuto in una card invia un segnale alla porta che è in grado di ‘riconoscere’ l’utente e optare per una serie di azioni, non ultima l’inibizione all’accesso. Vincenzo De Robertis è anche acuto osservatore del proprio target, tanto da aver deciso quest’anno di cambiare testimonial nella propria comunicazione pubblicitaria. Da Sharon Stone, si è passati all’attore Andy Garcia nella campagna stampa ideata dall’agenzia Armando Testa. «Con prodotti sempre più tecnologici e sempre più personalizzati, in grado di inserirsi nell’ambiente come un complemento d’arredo, il nostro target diventa la signora di casa, colei che con gusto e raffinatezza di solito sovrintende all’arredo degli spazi. Per questo abbiamo pensato che il messaggio proposto da un attore di indiscutibile fascino latino fosse più efficace», commenta De Robertis. Così il presidente guarda soddisfatto l’effige della nuova campagna affissa sul muro e guarda anche con tenerezza la foto dei ‘pulcini’ di casa, i piccoli De Robertis, che già mostrano attenzione per il business di famiglia e che, c’è da scommetterci, faranno di questo brand una vera dinastia nel settore delle porte. I



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Il buono della crisi Sei motivi per sperare in un 2009 meno disastroso del previsto: scendono i prezzi delle materie prime e del petrolio e con essi anche l’inflazione e i tassi di interesse, mentre i governi studiano incentivi e i paesi emergenti continuano a correre DI GIOVANNI TAMBURI*

Ormai il verdetto è unanime: dal G20 a tutti i principali uffici studi non c'è più nessuno che non sostenga che il 2009 sarà un anno disastroso. Crollo dei consumi, forte calo degli investimenti, liquidità ancora estremamente problematica, fallimenti in aumento in ogni angolo del mondo, questo è il quadro che si pro-

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spetta ad imprenditori e manager per i prossimi dodici mesi. In effetti il dato che mai dal dopoguerra i paesi dell'area Ocse fossero globalmente in recessione, come è stato recentemente annunciato, fa molto effetto. C'è poi chi sostiene che la globalizzazione accelererà l'uscita dal tunnel, chi invece sostiene che proprio il "contagio" della globalizzazione rallenterà ogni possibile recupero. Insomma il quadro è quello che ogni

giorno si trova non solo sui media ma anche nei rapporti degli uffici studi: una grande confusione. Peraltro poi, visto che quasi nessuno aveva previsto neanche vagamente ciò che è successo, come ci si potrebbe fidare di chi - ora - fa previsioni? Ma proviamo ad analizzare almeno una parte delle componenti che oggi ci troviamo di fronte e valuteremo se per caso ci sono elementi se


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non in grado di mitigare visioni cosi disastrose, almeno in grado di consentire a degli operatori economici accorti di formulare previsioni basate su fatti reali. 1 - Le materie prime: una delle ragioni che negli ultimi anni veniva addotta per giustificare prezzi sempre in crescita, margini in contrazione, spesso anche difficoltà nei reperimenti e pertanto tensioni tra offerta e domanda, erano proprio le materie prime. Acciaio alle stelle, rame che sembrava non fermarsi mai, solo per fare due degli esempi più macroscopici. Nelle ultime settimane però il costo del rottame di acciaio è arrivato a meno di un quarto rispetto ai prezzi di due mesi fa. Con crolli di simili dimensioni è chiaro che un minimo di sollievo per i costi delle aziende ci dovrà essere! Non sarà forse tale da riequilibrare la prevista forte diminuzione dei ricavi, però degli effetti non può non averli. Tra l'altro essendo l'Italia un grande produttore di meccanica ed elettromeccanica, componenti come l'acciaio sono rilevantissime ed una sensibile diminuzione dei costi è da mettere in programma. 2 - Un altro ritornello che per mesi ci ha accompagnato, nel 2007 in particolare, è stato quello sui costi energetici, del petrolio in particolare. Il barile di petrolio in luglio ha superato i 150 dollari, adesso è attorno a 50; possibile che questo crollo nei costi non abbia effetti, specie sulle aziende maggiormente energivore? E se ci fosse un buon risparmio sul versante dell'energia, quante aziende avrebbero profittabilità in miglioramento? 3 - Sulla base dei due punti precedenti, ma soprattutto come effetto intrinseco della recessione, la diminuzione dell'inflazione è certamente un elemento assai positivo per i conti delle aziende e per la programmazione che ciascuno può fare. Bassa inflazione vuol dire praticamente tutti i costi che non dovrebbero aumentare, per cui maggiore efficienza di ogni impresa. E se anche taluni possono aver sfruttato in positivo il tasso di inflazione per

scaricare nei ricavi un incremento di costi meno che proporzionale, ora ma da tempo - questi trucchetti sono finiti ed in quasi tutti i settori le aziende si misurano ad armi pari sul mercato. Per cui chi è più efficiente vince. A maggior ragione in tempi di crisi della domanda. Uno dei temi ancor più profondi è se siamo o stiamo per entrare in un periodo di deflazione, fatto terribile se non altro perchè le generazioni attuali non sanno proprio come affrontarla e dopo decenni di piani con ricavi prima o poi in crescita, concepire il contrario sarebbe - e sarà - una sfida veramente molto complessa. 4 - Tra i pochi effetti positivi della

C'è chi sostiene che la globalizzazione accelererà l'uscita dal tunnel, chi invece sostiene che proprio il "contagio" della globalizzazione rallenterà ogni possibile recupero. Insomma, in giro c’è molta confusione

crisi finanziaria in atto, c'è certamente il livello dei tassi di interesse, che da qualche settimana sono finalmente in discesa. E che non potranno che scendere ancora non appena si rasserenerà il quadro dei rapporti tra banche. Il tasso Euribor che già in due mesi è sceso sensibilmente, le tensioni sull'interbancario che sembra si stiano allentando, lo stesso effetto dell'inflazione, sono vari gli elementi a supporto di tassi di interesse calanti. Purtroppo però è la liquidità che manca ancora, per cui nei rapporti tra impresa e banca c'è ancora l'ostacolo della quantità di fido concedibile che prevale nettamente sull'ipotesi di tassi in discesa. Non è facile pertanto ipotizzare quando il fenomeno del cosiddetto credit crunch si arresterà. E per ora non ci sono segnali che la situazione migliori molto. Una volta terminata questa fase però - specie per le imprese migliori, quelle che si sono indebitate poco e che hanno preventivato fonti di finanziamento committed a medio termine - ci sarà certamente un sollievo anche a livello di costo del denaro. 5 - Un fatto esogeno ma non meno importante dei precedenti, anzi forse più rilevante in termini di impatto, è riferibile all'effetto di traino della domanda da parte dei paesi in via di sviluppo. Queste ex Cenerentole che fino a poco tempo fa crescevano molto ma pesavano globalmente ancora poco, c'è chi dice che nel 2008 arrivino ad avere un Pil aggregato grosso modo pari a quello dei paesi industrializzati. Se ciò fosse vero o se comunque il peso di Cina, India, Russia ed altri fosse in grado di avvicinarsi a quello delle economie cosiddette occidentali, vorrebbe dire che il mondo ha - finalmente - due macro-locomotive. E che lo sviluppo non è più necessariamente nelle mani del consumatore americano o tedesco, ma sarà la trasformazione in operai ed impiegati degli ex contadini di tanti paesi a poterci tirare fuori dai guai in cui ci siamo infilati. Sappiamo tutti che la Russia è in grande crisi, che la Cina e UOMINI&BUSINESS

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Le Opinioni l'India stanno rallentando, però se si immagina che il tasso di sviluppo di questi paesi possa restare almeno vivace, il bilanciamento sull'economia mondiale potrebbe essere molto interessante. E seriamente trainante. 6 - Il recente G20 ha ulteriormente ribadito la necessità di forti programmi di sostegno alle economie di tutti i paesi del mondo: infrastrutture, sconti fiscali, incentivi di ogni tipo caratterizzeranno proprio l'annus horribilis 2009 e dovrebbero alleviare gli effetti di una recessione che si annuncia epocale. In questo contesto imprese di costruzione e tutto il loro indotto, produttori di beni incentivati o defiscalizzati ed in genere chi potrà anche indi-

rettamente beneficiare di questi programmi, potrà soffrire meno di altri. Èun fenomeno non quantificabile, che certamente non farà tornare - neanche nel medio termine - agli sciali che hanno caratterizzato gli anni scorsi però, specie nell'ultima parte del 2009, qualche effetto dovrebbe produrlo. Sei ragioni apparentemente banali, semplici riflessioni, tentativi di capire e di interpretare, soprattutto tentativi di non farsi prendere da quelle ondate che prima erano di ottimismo assoluto, ora sono orientate in senso contrario e non consentono di fare - con il necessario distacco ed oggi con la ancor più necessaria serenità - le scelte che invece la quotidia-

nità del lavoro di ognuno di noi impone. In ogni azienda. Ed a cui vanno date risposte immediate e possibilmente efficaci anche per poter reagire ad una crisi certamente epocale ma che, ragionevolmente, non può essere la fine di tutto. Per cui probabilmente i primi due, ancor più probabilmente tre trimestri del 2009 saranno molto difficili, ma da dopo l'estate qualche effetto positivo potrebbe cominciare a vedersi e la fine dell'anno potrebbe far scorgere segni di recupero. Sperando in un 2010 migliore. I

*Presidente e amministratore delegato della banca d’affari Tamburi Investment Partners

Il barile di petrolio in luglio ha superato i 150 dollari, adesso è attorno a 50. Possibile che questo crollo nei prezzi non abbia effetti positivi su consumatori e imprese? Tanto più che sono crollati anche i prezzi delle materie prime. Tutti poi potranno trarre beneficio dalla forte discesa dell’inflazione

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capitalismo

La soluzione della crisi attuale non sta in ‘più Stato e meno mercato’, ma in uno Stato e un mercato che funzionino meglio, ognuno nella loro distinta sfera DI ANTONIO MARTELLI*

All’inizio di novembre, si può ritenere che, almeno per quanto riguarda i mercati finanziari, la fase più acuta della crisi sia passata e che ci si stia avviando, magari lentamente e attraverso molti alti e bassi, verso un ritorno alla normalità? Molti lo sperano, alcuni lo sostengono, tutti temono che non sia vero. In realtà, l’incertezza regna sovrana. Molti sintomi lasciano supporre che l’azione più o meno concertata dei paesi più ricchi e dei principali fra quelli emergenti, azione che poi è consistita nell’immissione nel sistema economico di massicce dosi di liquidità, possa alla fine sortire l’effetto di far ritornare quel minimo di fiducia che è il presupposto indispensabile per la ripresa economica. Ma chi, in realtà, può escludere che non esploderanno nuove bolle speculative fra le molte che si sono annidate negli ultimi anni nelle pieghe dei mercati finanziari? E poi, quand’anche questi tornassero rapidamente alla normalità, gli effetti sull’economia reale, l’economia direttamente produttiva cioè, quasi non si sono ancora fatti sentire. Campa cavallo … eccetera. Ma già dagli avvenimenti degli ultimi mesi e dal confuso e veemente dibattito che ne è seguito alcune indicazioni abbastanza chiare è pur tuttavia possibile ricavarle. E le principali sono le seguenti. Il capitalismo non sta crollando e non crollerà. Qualcuno, soprattutto fra chi guarda a sinistra, spera che gli eventi di 20 anni fa che portarono al crollo del Muro di Berlino e con ciò stesso alla fine del sogno messianico comunista si ripetano ora a proposito del capitalismo. Ma il

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capitalismo, che ha alla sua base l’economia di mercato basata almeno in larga misura sulla concorrenza, è abituato alle crisi: si potrebbe quasi dire che le crisi sono la manifestazione periodica della sua resilienza. Le crisi di sistema hanno molti aspetti negativi e spiacevoli, ma servono anche a eliminare le scorie: e dopo il sistema riparte più forte di prima. In questo caso, poi, a differenza di quanto accadde nel 1929 e anni successivi, i governi hanno mostrato una buona o almeno discreta capacità e rapidità di intervento. Alla radice di questa crisi, in particolare, c’è l’insufficiente capitalizzazione del sistema finanziario e con essa l’eccesso di debito a livello globale: è probabile che questa lezione sia stata appresa e che i governi faranno in modo che capitale fresco affluisca alle banche e che le maglie del debito siano ristrette. Certo, il capitalismo è un’istituzione umana e come tutte le istituzioni umane anch’esso finirà: ma non questa volta. Come ha scritto Giorgio Ruffolo in un


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Singapore nei Novanta?), oppure suo recente libro, esso ha già i utilizzando strumenti diversi secoli contati. dalle banche, come gli hedge É un’illusione l’idea che funds. Caso mai, occorre inaspricon nuove regole si possano evire il deterrente più efficace di tare altre crisi. Le regole sono tutti, le pene personali per coloro necessarie, come è necessario che sgarrano e finiscono magari cambiarle quando quelle in vigocol mettere sul lastrico molte re hanno dato cattiva prova. E migliaia di persone. quelle attuali certamente l’hanno Il rischio è ineliminabile data: per cui vanno sostituite con dall’economia di mercato. Chi fa altre. Tra queste vi sarebbe certaimpresa, corre rischi, come pure mente la unificazione del sistema Immagine apparsa sul New Yorker Magazine nel 1932 chi fa banca corre rischi: ed è un dei controlli sul mercato finanziario americano, oggi suddiviso fra Le crisi di sistema hanno molti gioco al quale si può vincere molto, ma anche perdere molto. quattro diverse agenzie che per di aspetti negativi e spiacevoli, Del resto, nessuno è obbligato a più sono in competizione fra loro e difendono con le unghie e con i ma servono anche a eliminare rischiare. Per esprimere questo concetto con un esempio certadenti le loro frammentate e conle scorie: dopo il sistema ripar- mente molto impopolare, chi ha traddittorie competenze, una vera sottoscritto un mutuo per abitae propria manna per gli speculatote più forte di prima zione a tasso variabile, perché in ri più spregiudicati. Occorre anche rendere obbligatoriamente più estese quel momento questo tasso era inferiore a quello fisso, ha le riserve di capitale delle banche d’affari e controllare accettato implicitamente che la variazione del tasso potesmeglio le operazioni dei colossi come la AIG, soprattutto se anche avvenire all’insù. Certo, in molti casi può essere stato indotto a farlo quando debordano dal loro specifico campo di attività e si da banche o società finanziarie troppo spregiudicate: e avventurano in quello delle speculazioni finanziarie. In Europa, occorre completare le strutture di regola- bisognerebbe imporre in futuro che le conseguenze di una zione della finanza e istituire un’Agenzia europea di vigi- sottoscrizione a tasso variabile fossero esplicitate e richialanza, che si affianchi alla Banca centrale quale prestatore mate più volte in un contratto. Certo, vi sono molti casi penosi di gente che ha di ultima istanza. Là dove le banche di investimento sono state sottratte al controllo della banca centrale, come negli investito i suoi risparmi nel comprarsi una modesta abitaStati Uniti ma anche altrove, esse vi vanno riportate e zione e ora se la vede portare via perché non può più pagavanno tenute strettamente d’occhio. Vanno posti limiti re il mutuo. La si aiuti pure, se necessario e possibile: ma severi alla cartolarizzazione dei debiti. Soprattutto va tute- in questo modo si coprono i rischi di chi ha voluto rischialato il risparmio non speculativo, come quello di chi affida re e si lascia allo scoperto chi il rischio non l’ha accettato, i suoi denari alle banche. Ma non si possono immaginare sottoscrivendo un mutuo a tasso fisso. È un caso lampante regole che eliminino la possibilità di fluttuazioni, crisi di disparità di trattamento. È stolto contrapporre l’economia reale alla finanza. incluse, della finanza senza eliminare in questo modo il fondamento stesso dell’economia di mercato. D’altra parte, Economia finanziaria ed economia reale sono un tutt’uno. come ha osservato l’Economist, la regolazione non può Esistono naturalmente sia una buona sia una cattiva finanza, come esistono una buona e una cattiva economia reale. andare oltre certi limiti. Qualsiasi regola può essere aggirata: i nostri vecchi Una cattiva economia reale è per esempio quella che si basa lo sapevano bene, tanto che avevano coniato l’adagio “fatta su imprese decotte tenute artificialmente in vita con sussila legge, trovato l’inganno”, che non è un principio suicida, di, aiuti di Stato, trattamenti preferenziali e dazi protettivi. come è stato detto da qualcuno, ma una semplice constata- Il problema vero è quindi quello di tutelare e sviluppare la zione di buon senso. In una finanza globalizzata, come buona finanza e la buona economia reale. Ma senza l’una o quella attuale, all’aggiramento delle regole si offrono molte senza l’altra non si può vivere. Elaborazione marxiana a parte, l’ultima volta che un più possibilità che non in passato. Banchieri e finanzieri ne sapranno sempre una di più dei regolatori e riusciranno modello teorico ha contrapposto l’una all’altra è stato nel invariabilmente a infilarsi negli inevitabili interstizi che Settecento, quando François Quesnay elaborò il suo qualsiasi norma offre sempre ai più furbi, a cominciare dai Tableau économique, nel quale la terra era vista come crediti fuori bilancio o dalle esposizioni fuori controllo di l’unica fonte primaria di ricchezza e l’unico lavoro produtuffici periferici (chi non ricorda i casi della BNL ad Atlanta tivo era quello degli agricoltori, mentre lo Stato, la Chiesa, negli anni Ottanta o quello della Baring Brothers a gli artigiani e gli intellettuali non svolgevano che un lavoro UOMINI&BUSINESS

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Le Opinioni parassitario. Da allora la teoria econo2007. È vero che molti economisti, mica qualche passo in avanti l’ha comsoprattutto econometrici, tra i quali piuto e oggi, salvo alcune posizioni non pochi insigniti del premio Nobel, estreme, gli economisti sono d’accoravevano lavorato per dimostrare che do sul fatto che un sistema finanziario era possibile rischiare allo scoperto e efficiente è indispensabile per lo svivincere: ma ce ne sono stati altri che la luppo economico. crisi l’hanno abbastanza puntualmente La finanza è stata alla radice del anticipata. La meritata concessione del grande progresso tecnologico di questi Nobel di quest’anno a Paul Krugman, ultimi decenni, per non dire secoli, e quindi, è un, molto tardivo, riconosciquindi dell’enorme miglioramento del mento in questo senso. tenore di vita, delle condizioni igieniIl problema, al solito, non è di che e sanitarie, dell’istruzione ed edurifiutare il ricorso alle previsioni - in cazione nella maggior parte dei paesi Ci sono economisti che questo momento le domande più insidel mondo. La si tenga d’occhio, per stenti e ansiose sono “quanto durerà la quanto possibile e senza dimenticare la crisi l’hanno puntual- crisi finanziaria?” e “quali saranno i quanto detto prima sui limiti delle mente anticipata. suoi effetti sull’economia reale?” -. Il regole: ma immaginare che sia separaproblema è l’integrità dei previsori e, bile dall’economia reale è una scioc- La meritata concessione nel merito, di riconoscere il carattere chezza. Non ha senso mettere lo Stato del Nobel di quest’anno ciclico delle crisi, allo scopo di attein contrapposizione al mercato. Dopo nuarne gli effetti (e non di eliminarle, il un paio di decenni di entusiasmi neo a Paul Krugman (nella che sarebbe impossibile). La rinuncia a liberisti, nel giro di pochi mesi, se non foto)rappresenta un tarformulare ipotesi sul futuro, ammesso di poche settimane, stiamo passando, che fosse praticabile, porterebbe a soprattutto in Italia, all’estremo oppo- divo, riconoscimento risultati altrettanto disastrosi delle presto: l’entusiasmo neo interventista. Si visioni sbagliate. è affermato fino all’esagerazione che porre delle regole o Conclusioni. Torniamo alla domanda iniziale e chiedei vincoli al mercato significava impedirgli di svolgere diamoci a che punto della crisi siamo. Il nuovo guru deltutto il suo potenziale di sviluppo e di arricchimento per l’economia mondiale, l’iraniano americanizzato Nourile l’universo mondo. Ora sale il coro di quelli (e magari sono Roubini, che aveva previsto in anticipo lo scoppio della le stesse persone di prima) che pretendono l’intervento bolla immobiliare, avanza al riguardo previsioni piuttosto dello Stato su tutto e per tutto, anche per regolare il prezzo pessimistiche. Secondo lui, negli Stati Uniti la recessione è delle carote. La cosa stucchevole è che si tratta di un tipo partita già all’inizio di quest’anno e vi ha preso piede stadi cambiamento di opinione più o meno repentino cui si è bilmente. E in effetti negli Stati Uniti quello che è uno degli assistito già molte volte in passato. indicatori più sicuri circa la situazione economica, vale a Peraltro, in nessun paese di quelli che sono più coin- dire il tasso di disoccupazione, è in costante salita da divervolti nella crisi si pensa alle misure che sono state assunte si mesi e arriverà almeno all’8 per cento. per fronteggiarla, come l’ingresso nel capitale delle banche Questa recessione sarà quindi peggiore di quelle che più esposte, se non come a interventi d’emergenza, che l’hanno preceduta a partire dagli anni Ottanta dato che essa dovranno avere carattere relativamente transitorio. È vero combina tre crisi: quella immobiliare, quella bancaria e che in questo modo a essere penalizzati saranno i contri- finanziaria e quella della domanda, perché le famiglie, buenti: ma è la scelta sofferta, come ha dimostrato il indebitate e con redditi ridotti, non sono in grado di sosteCongresso americano, del minore fra due mali, il maggio- nerla. Quanto alla sua durata, egli prevede che un’inversiore dei quali sarebbe una catastrofe finanziaria di proporzio- ne di tendenza non potrà avvenire prima della primavera – ni inimmaginabili. estate del 2009 e forse anche più in là. Ben pochi o nessuno pensano davvero a reintrodurQueste anticipazioni possono sembrare più o meno re controlli globali sul mercato oppure a un ritorno dello severe: ma sulla gravità della crisi non è possibile farsi illuStato imprenditore. La soluzione dei problemi non sta in sioni. Del resto, quando inizia la fase negativa del ciclo più Stato e meno mercato, ma in uno Stato e un mercato economico è normale che essa si prolunghi per un certo che funzionino meglio, ognuno nella sua sfera di attribu- periodo. Resta da sperare che le settimane attraversate dal zione. È quanto meno ingenuo immaginare che si possa sistema finanziario non siano seguite nei prossimi mesi da fare a meno di previsioni. La crisi è giunta inaspettata, ma altre ancora peggiori. I non imprevista: se ne parlava da almeno uno o due anni prima che essa cominciasse a esplodere nell’estate del *Docente di Strategia e Politica Aziendale alla Bocconi di Milano

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Don Emilio Botin, il banchiere “rivoluzionario” del Santader Quando uno ha la banca nel sangue c’é poco da fare...Lo sa bene la figlia Ana Patricia, presidente del Banesto, in attesa di prendere il posto di papà DI ANNA ZAFFONI

Quando, nel 1986, Emilio Botìn sostituì il padre alla guida del Banco de Santander, lui non era di certo più un giovane banchiere alle prime armi, avendo superato sia pur di poco la boa della mezza età, e l’istituto che si apprestava a guidare non era che una delle tante banche che affollavano lo scenario spagnolo dell’epoca. Ma che quell’austero e instancabile figlio della Cantabria (Comunità Autonoma spagnola al confine con i Paesi Baschi), con sei figli e tre generazioni di banchieri alle spalle (il suo bisnonno fu tra i fondatori del Santander), fosse fatto di ben altra pasta rispetto ai suoi colleghi iberici fu ben presto chiaro a tutti. Laureato in Legge ed Economia all’Università di Bilbao, Botìn aveva in testa un’idea ben precisa: nel nuovo scenario economico di una Spagna che d’ora in poi avrebbe dovuto giocare in campo europeo, i vecchi modi di “fare banca” erano assolutamente da abbandonare. Del “suo” Santander conosceva ogni piccolo dettaglio (del resto vi lavorava fin dal 1964), anche quanto era costato l’ultimo gadget promozionale, ma era arrivato il momento di guardare oltre, di pensare più in grande.

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E non si può dire che Botìn non lo fece. Con un’audacia che gli valse il soprannome di “banchiere rivoluzionario”, il presidente di Santander cominciò un’agguerrita e serrata politica di espansione dentro e fuori i confini spagnoli, fatta di alleanze ma anche e soprattutto di coraggiose acquisizioni. Nel 1993 acquisì e assorbì il Banesto e nel 1999 si fuse con il Banco Central Hispano, dando vita al Banco Santander Central Hispano (Bsch), che diventò la più grande banca di tutta la Spagna. Cinque anni dopo, nel 2004, il Bsch rilevò la britannica Abbey National e si portò al secondo posto nella classifica degli istituti bancari europei a maggior capitalizzazione, dove tutt’ora permane, alle spalle di Hsbc. E mentre da una parte allargava il suo raggio d’azione in Europa, dall’altra Botìn investiva pesantemente anche in America Latina, comprando banche in Argentina, Cile, Colombia, Brasile, Perù, Venezuela e Messico. Ma resta comunque lo scacchiere europeo quello su cui il presidente di Santander preferisce giocare le sue mosse migliori, come dimostrano le nuove, recenti acquisizioni nel Regno Unito di Alliance & Leicester e di divisio-


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ni e depositi della neo nazionalizzata Bradford & Bingley, nonché la presenza diffusa in Italia, dove l’abile don Botìn intrattiene solide alleanze, come quella con Mps (anche se recentemente alcune indiscrezioni di stampa, prontamente smentite, davano quest’ultima come sua futura, possibile preda tricolore). Oggi il Banco Santander (tornato alla vecchia denominazione) si presenta dunque su un mercato devastato dallo tsunami bancario con una posizione forte e un’indipendenza decisamente rara nel settore, contando su fondamentali da far invidia a più d’un concorrente: i primi nove mesi dell'anno si sono chiusi con un utile di 6,93 miliardi di euro, evidenziando un incremento del 6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2007, che sale però al 16 per cento al netto delle plusvalenze straordinarie registrate allora. Il risultato non considera peraltro i 586 milioni di plusvalenza realizzati sulla cessione di alcune sedi del gruppo ed è dovuto a un progresso del 13 per cento del fatturato: un ritmo di crescita superiore di 4 volte rispetto a quelli dei costi, aumentati del 3 per cento. Nel terzo trimestre 2008 il Santander ha inoltre registrato un utile di 2,21 miliardi, in crescita del 4,4 per cento rispetto ai 2,11 miliardi di un anno fa. Il colosso del credito spagnolo ha poi confermato la guidance e il target dei 10 miliardi di euro di profitti previsti per fine anno. La banca ha poi fatto sapere attraverso il Ceo Alfredo Saenz che - viste le attuali condizioni dei mercati - sono stati accantonati i piani di cessione dei business assicurativi e dell'asset management. Il reddito operativo netto ha fatto un balzo in avanti

del 21 per cento, portandosi a 13,14 miliardi di euro, mentre, a dispetto del peggioramento del contesto operativo, gli impieghi sono aumentati dell'8 per cento e i depositi del 20 per cento, esclusi gli effetti valutari. Per quanto riguarda i mercati di riferimento dell’istituto iberico, i paesi dell'Europa continentale hanno registrato un utile di competenza di 3,53 miliardi, l'America Latina uno di 3,29 miliardi di dollari (+20 per cento, +6 per cento se calcolato in euro), mentre in Gran Bretagna l'utile di competenza di Abbey è stato di 737 milioni di sterline (+20 per cento, +4 per cento in euro). La quota in Abn Amro ha contribuito ai risultati dei primi nove mesi per 725 milioni, generati quasi interamente dal brasiliano Banco Real. Il tasso di sofferenze a fine settembre era dell'1,63 per cento, con un tasso di copertura del 104 per cento. Con dei conti così non stupisce che l’annuncio di un nuovo aumento di capitale da 7,2 miliardi di euro, arrivato a sole due settimane dalla pubblicazione dei risultati dei primi nove mesi, abbia sorpreso un po’ tutti e sia stato accolto piuttosto male dai mercati finanziari. Vista l’aria che tira, infatti, il pessimismo nei confronti del mondo bancario dilaga e lo scetticismo pure. Così, a poco sono valse le rassicurazioni di Botìn che non c’erano perdite nascoste da coprire, ma solo la necessità di combattere ad armi pari con concorrenti che sono o sarebbero stati aiutati dai propri Governi: i mercati hanno storto il naso e le vendite hanno cominciato ad abbattersi sul titolo. Ma ci vuole ben altro per fermare il “rivoluzionario” Botìn. Del resto, la sua scalata all’Olimpo bancario

Mentre Forbes la cita tra le più potenti donne del mondo, Ana Patricia Botìn, figlia di Emilio, si scalda a bordo pista in attesa di entrare nell’arena principale, come rappresentante della quinta generazione dei Botìn a capo del Santander

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Uomini & Imperi non è mai stata solo rose fiori. Soprattutto negli ultimi dieci anni alcune sue azioni sono state giudicate “non eticamente corrette” e gli sono valse anche un bel po’ di problemi giudiziari, soprattutto legati alla fusione con il Banco Central Hispano. Inizialmente, infatti, l’operazione fu presentata al mercato come una “fusione tra eguali”, che avrebbe dato vita a una nuova entità di cui i top manager delle preesistenti banche si sarebbero spartiti il controllo. Ben presto però cominciarono i dissapori e gli ex vertici del Bch, Jose Amusategui e Angel Corcostegui, accusarono Botìn di volerli mettere da parte e minacciarono di intraprendere azioni legali contro di lui. La cosa si risolse quando i due accettarono di ritirarsi in buon ordine e di andare in pensione dietro pagamento della modica cifra di 164 milioni di euro. La stampa si scatenò contro Botìn e il risultato fu che il presidente di Bsch fu accusato, salvo poi essere assolto da tutte le accuse

nel 2005, di “appropriazione indebita di fondi” e di “gestione irresponsabile”. Questa vicenda, però, fu molto dura per don Emilio, in quanto rischiò di mettere in crisi il rapporto con suoi due grandi e soli amori: il Santander...e la sua famiglia. La storia della fusione fece infatti litigare Botìn con l’adorata figlia, nonché erede designata, Ana Patricia. Ma, si sa, il sangue non è acqua. E così, con la pace tornata in famiglia, Ana Patricia Botìn si installò definitivamente alla guida del Banesto. E dato che buon sangue non mente, mentre Forbes la cita tra le più potenti donne del mondo, lei si scalda a bordo pista in attesa di entrare nell’arena principale, come rappresentante della quinta generazione dei Botìn a capo del Santander. Papà non commenta e non conferma, ma si sa... quando uno ha la banca nel sangue c’é poco da fare. I

Emilio Botìn ha fatto del Santander (sotto la sede centrale) la seconda maggiore banca d’Europa grazie a un’agguerrita e audace campagna di acquisizioni dentro e fuori i confini di Spagna

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WALLENBERG gli Agnelli di Svezia È una delle famiglie più longeve del capitalismo del Vecchio Continente. Da oltre 150 anni dominano l’industria svedese con partecipazioni che vanno dalla finanza all’hi-tech, passando per la meccanica. Scottati dalle tempeste dei mercati, ora i Wallenberg sono a caccia di nuove società. Preferibilmente non quotate DI MARIANGELA TESSA

Con alle spalle una storia lunga oltre 150 anni, i Wallenberg rappresentano senza dubbio una delle famiglie più longeve del capitalismo europeo. Le loro vicissitudini sono legate a doppio filo con la storia del loro paese, la Svezia. Si pensi che nel diciannovesimo secolo, André Oscar Wallenberg capostipite e fondatore dell’impero finanziario del sole di mezzanotte fu uno dei finanziatori della rivoluzione industriale svedese attraverso la Stockholm Enskilda Banken (SEB), la banca di famiglia, da lui fondata nel 1856. Da allora cinque generazioni di Wallenberg si sono succedute al timone di un impero che alla fine degli anni Novanta era costituito da partecipazioni in società che messe insieme rappresentavano il 40 per cento circa del valore della Borsa di Stoccolma. A differenza di molte dinastie industriali la cui for-

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tuna è stata accumulata cavalcando un prodotto, i Wallenberg hanno fatto della diversificazione il loro punto di forza. Finanza, meccanica, farmaceutica, hi-tech: in oltre un secolo e mezzo di vita hanno allargato i loro orizzonti verso un’infinità di settori. Tramite la Investor, la holding di famiglia fondata nel 1916, gli Agnelli di Svezia controllano circa ottanta società che operano in settori quanto mai variegati e dal business più o meno maturo. Abb, Saab, Electrolux, Ericsson, SEB sono solo alcuni dei gruppi in cui da anni la dinastia svedese possiede pacchetti azionari più o meno consistenti. Nel corso dei decenni, ai business più tradizionali se ne sono aggiunti di nuovi, legati alle nuove tecnologie, come è il caso della 3 Scandinavia, società di telefonia mobile di terza generazione, in cui la Investor è socia con


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il 40 per cento a fianco della Hutchinson Whampoa. Certo, in una storia lunga oltre un secolo qualche società è stata anche ceduta. È successo per esempio alla casa automobilistica svedese Saab passata di mano all’americana General Motors e più di recente al produttore di camion Scania, venduta in due tranche (l’ultima pochi mesi fa) alla tedesca Volkswagen. Come spesso viene ricordato dai numerosi esperti che si sono occupati dei Wallenberg, sono poche le famiglie di imprenditori che resistono oltre la terza generazione. Che sia una minore propensione agli affari rispetto al

fondatore o una forte conflittualità tra gli eredi, da qualche parte il baco viene fuori. In questo caso, nulla di tutto questo è successo. Ovvio, le sorti dei Wallenberg hanno conosciuto vicende alterne, e non sempre fortunate. Ma alla fine sono ancora lì, inossidabili, pronti per il passaggio alla sesta generazione. Il segreto del loro successo molti lo riconducono alla capacità di mettere i manager giusti al posto giusto. E di non aver avuto mai tentennamenti quando era ora di cambiarli, qualora non si fossero rivelati all’altezza della situazione. Sì, perché nelle società partecipate i Wallenberg, grazie ad un complicato meccanismo che regola le attività finanziarie in Svezia, detengono in molti casi la maggioranza dei voti in consiglio di amministrazione senza possedere la maggioranza delle azioni. Ci sono poi una serie di altri meriti che vengono

Jacob Wallenberg, presidente di Investor, la holding di famiglia

attribuiti a questa dinastia in circolazione nel paese scandinavo da più tempo rispetto alla casata dei Bernadotte, quella degli attuali regnanti di Svezia. Ottimi studi, lunghi tirocini nelle aziende partecipate, disciplina e sobrietà nello stile di vita non hanno mai fatto difetto a nessuno dei discendenti dei Wallenberg. Insomma, una famiglia molto low profile. Uno degli aspetti che più colpisce quando si parla di loro è che, nonostante l’immenso patrimonio, il loro nome non compare nella lista dei più ricchi di Svezia. La loro fortuna, nel rispetto dell’archetipo del capitalismo protestante secondo cui il successo non è godimento personale ma è soprattutto responsabilità sociale, è blindata in un una fondazione no-profit obbligata per legge a donare circa l’80 per cento dei profitti alla ricerca e all’educazione. Forse è anche in questo aspetto che va cercata la longevità dei Wallenberg. Quanto mai significativa a queUOMINI&BUSINESS

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Uomini & Imperi sto proposito è una dichiarazione rilasciata qualche anno fa da Jacob Wallenberg, presidente di Investor: «Non possiamo sperperare il nostro patrimonio perché in realtà non ne siamo proprietari. Questo tuttavia non ci impedisce di distruggerlo». Almeno finora quest’ultima ipotesi non si è mai profilata neppure lontanamente. Ognuna delle generazioni succedute a André Oscar Wallenberg ha dato il personale contributo al consolidamento della fama di questa famiglia. Una fama che prescinde dalle loro ricchezze. Perché, e qui si impone una digressione, non tutti i Wallenberg sono stati finanzieri e industriali. Il più celebre di tutti è infatti Raul, classe 1912, che negli anni 30 iniziò a lavorare senza infamia e senza lodi nelle filiali estere delle aziende familiari. La sua notorietà è legata agli eventi tragici del periodo nazista. Nel 1944, poco dopo l’invasione di Hitler in Ungheria, Raul viene inviato come attacché dell’ambasciata della neutrale Svezia a Budapest per salvare il maggior numero possibile di ebrei. Una missione che gli riuscì benissimo, ma da cui non fece più ritorno probabilmente arrestato a Lubjanka dall’Armata Sovietica perché sospettato di essere una spia americana. Ma veniamo ai giorni nostri. L’ultima generazione dei Wallenberg è rappresentata da Marcus e Jacob. Entrambi nati nel 1956, i due cugini ricoprono cariche esecutive ai vertici della Investor e della SEB, oltre a sedere nei consigli di amministrazione di alcune delle società partecipate. A loro il merito di essere entrati in aziende che operano in settori più giovani, come l’hi-tech. È sempre grazie a loro che Investor, da sempre concentrata sull’industria

svedese, ha cominciato a guardarsi attorno a caccia di opportunità anche all’estero. I due cugini non sono riusciti tuttavia ad evitare due delle critiche che vengono avanzate nei confronti della dinastia industriale più famosa della Scandinavia. Una è quella di detenere un eccessivo controllo sulle società partecipate, in virtù del potere dalle azioni A e B, le prime con spropositati diritti di voto rispetto al peso dell’investimento. La seconda, speculare, è che è inutile controllare un numero così elevato di aziende. Investor, quotata a Stoccolma, secondo molti esperti potrebbe avere performance migliori diventando un agile fondo di investimento. Mentre queste questioni restano aperte, altre se ne sono aggiunte più di recente. L’interrogativo più grande al momento tra gli esperti riguarda la destinazione dei 17 miliardi di corone svedesi che i Wallenberg hanno incassato dalla recente vendita della quota in Scania. Un’indicazione in questo senso è arrivata da Jacob Wallenberg, che ha espresso l’intenzione di continuare ad investire in società non quotate. Tendenza, quest’ultima, che si è affermata solo di recente. Negli ultimi anni, Investor ha trasferito il 20 per cento dei suoi asset verso società private, ma l’intenzione è di arrivare al 25 per cento. Strategia assolutamente comprensibile, tanto più se letta alla luce delle tempeste azionarie degli ultimi mesi. Tempeste che non hanno risparmiato la famiglia Wallenberg. Nei primi nove mesi del 2008, la Investor ha accumulato perdite pari a 21,2 miliardi di corone svedesi contro profitti per 18,8 miliardi dello stesso periodo del 2007. Un motivo in più, dunque, per rivolgere lo sguardo fuori dai listini azionari. I

Le origini di questa dinastia svedese risalgono al diciannovesimo secolo con la fondazione nel 1856 della Skandinaviska Enskilda Banken. La banca di famiglia è oggi presieduta da Marcus Wallenberg (nella foto a sinistra)

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John Chambers seduto su una montagna di cash

Da oltre quindi anni è a capo di Cisco, il colosso numero uno al mondo nelle soluzioni di rete, ma anche la società in assoluto più redditizia tra i big dell’hi-tech DI DANIELA BRAIDI

Senza Cisco non esisterebbe nemmeno Internet, lo sanno tutti. Figuriamoci John Chambers, da quindici anni alla guida del colosso hi-tech americano, numero uno al mondo nella fornitura di soluzioni di rete. Una posizione unica, che consente alla società di fregiarsi dell’appellativo di regina del Web e di essere considerata una sorta di termometro con cui misurare lo stato di salute dell’intero settore tecnologico e, per estensione, dell’economia. Logico che di questi tempi il gruppo stia soffrendo. Dai massimi dell’anno la quotazione si è quasi dimezzata e i conti trimestrali hanno segnato il passo. Niente a che vedere con il crollo verticale delle azioni da 80 a 10 dollari visto dopo lo scoppio di bolla della New economy, nel 2000, ma pur sempre un segnale che qualcosa non sta andando nel verso giusto.

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In effetti molti clienti stanno sospendendo gli ordini, costringendo Cisco a sospendere le assunzioni, i viaggi di lavoro e i trasferimenti nel tentativo di ridurre le spese per le strutture e gli stipendi. Per la prima volta in cinque anni Chambers prevede un calo di fatturato nel secondo trimestre, che termina in gennaio, di circa il 10 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Per la prima volta in dieci anni, Cisco ha annunciato che durante le festività chiuderà gli uffici in Nord America per cinque giorni consecutivi come parte di un piano a più largo raggio che la dovrebbe portare a risparmiare un miliardo di dollari entro la fine dell'anno fiscale 2009, che terminerà a luglio. Per Chambers si apre dunque una nuova stagione di sfide. Il ricordo della bolla della New economy non è in fondo lontano. Nel marzo 2000 la società capitalizzava 550


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miliardi di dollari, la metà del Pil italiano dell’epoca. Un anno dopo aveva bruciato ben 400 miliardi del suo valore. Di fronte alla caduta a picco delle azioni, Chambers decise di azzerarsi lo stipendio: da 157 milioni di dollari si decurtò l’assegno annuale a 1 dollaro: un segno di realismo e responsabilità che a tutt’oggi non si è ancora visto da parte di nessuno banchiere, nonostante le perdite e le svalutazioni miliardarie annunciate dagli istituti di credito. Come un capitano valoroso, Chambers rimase al suo posto cercando di ritrovare la rotta nonostante le pesanti accuse giunte da più parti di non essere riuscito a prevedere per tempo, e quindi a prevenire, il disastro. Le difficoltà sono state alla fine superate e Cisco è tornata a galla. Chambers ha l’abitudine di guardare lontano e all’orizzonte oggi vede notizie rassicuranti. Finanziariamente il gruppo è più forte che mai e lui continua a godere di grande credito come capitano d’impresa. L’ultimo esercizio si è chiuso con ricavi in crescita del 22 per cento a 35 miliardi di dollari e utili in aumento del 31 per cento a 7,3 miliardi di dollari. Tra i big tecnologici d’Oltreoceano, Cisco è l’azienda con la redditività più alta, quella che genera maggiore cassa e che dispone della maggiore liquidità da impiegare. Ecco perché come un tirannosauro affamato si aggira sul mercato a caccia di nuove prede. Negli ultimi 15 anni ha rilevato dozzine di società e solo negli ultimi cinque anni ha speso qualcosa come 10 miliardi in shopping. Di recente si sono diffuse notizie su un eventuale interesse per Motorola, la prima società di telefonini degli Stati Uniti che da qualche tempo naviga in cattive acque e soffre la supremazia di Nokia e dei produttori asiatici. Il gruppo smentisce. Già qualche anno fa si diceva che avesse messo nel mirino Research In Motion, ovvero il produttore del Blackberry, ma alla fine Cisco si tirò indietro, decidendo che non voleva entrare nel business dell’elettronica di consumo. Una motivazione probabilmente ancora valida. Negli ultimi anni il gruppo ha portato avanti una sua precisa strategia di diversificazione, a causa anche della proliferazione della banda larga che ha reso meno indispen-

Sotto la guida di Chambers, Cisco ha aumentato il fatturato da 1,2 miliardi a 35 miliardi di dollari. Negli ultimi cinque anni ha investito 30 miliardi di dollari tra acquisizioni e innovazione. Pare che oggi il gruppo abbia in cassa altri 20 miliardi di dollari da impiegare UOMINI&BUSINESS

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Uomini & Imperi sabili i suoi router (e infatti la loro incidenza sul fatturato complessivo si è assottigliata). Abituata com’è ad essere la numero uno nel settore delle infrastrutture di rete, è comprensibile che preferisca puntare su settori dove possa vantare una posizione da leader. E l’elettronica di consumo resta un mercato troppo concorrenziale e affollato per essere un target appetibile per l’azienda. Meglio allora dirottare le proprie fiches sulla crescita interna e sull’innovazione tecnologica. Qui i progressi fatti sono enormi a fronte di investimenti che negli ultimi cinque anni hanno raggiunto i 20 miliardi di dollari. Insomma, liquidità per fare acquisizione e capacità innovativa non le fanno difetto. E nemmeno il denaro per realizzare tutto ciò: si calcola che il gruppo abbia in cassa circa 20 miliardi da investire con cui continuare a allargare i suoi confini (e con i prezzi in caduta, le occasioni non mancano). Oggi Cisco domina su oltre una ventina di prodotti, dagli switch allo storage networking, dalle applicazioni Voip alla sicurezza, dalle videoconferenze (con telepresence) alle wireless lan, ecc…. Negli ultimi tempi pare che si stia concentrando sul business legato agli enormi data center di cui i giganti di Internet – Microsoft, Google, Yahoo!, Amazon – hanno sempre più bisogno per poter affrontare il crescente traffico di dati sul Web. Basti pensare che ogni settimana YouTube aggiunge 57.000 clips alla sua library. In particolare Cisco prevede investimenti per 85 miliardi di dollari l’anno da qui al 2012 da parte di aziende, governi e laboratori di ricerca per aggiornare e potenziare le loro infrastrutture di rete. E una bella fetta potrebbe finire proprio nelle sue tasche. Insomma, il primato di Cisco non è in discussione. Il gruppo sa come difenderlo continuando a individuare le aree di next-generation delle rete e conquistando in esse posizioni da leader. E il merito va in gran parte al suo timoniere. Sessant’anni il prossimo agosto, Chambers è nato Charleston, West Virginia, da madre ostetrica e padre psi-

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cologo. Da piccolo ha sofferto di dislessia, un problema che non gli ha impedito di prendere una laurea in legge all’Università della Virginia e un Master in Finanza all’Università dell’Indiana. Dopo sei anni alla IBM (19761982) e otto anni alla Wang Laboratories (1982-1990), nel 1991 approda in Cisco come senior vice president e nel 1995 assume il ruolo di amministratore delegato. Sotto di lui il gruppo è cresciuto moltissimo, passando da 1,2 a 35 miliardi di dollari di fatturato ed è diventato una delle migliori compagnie hi-tech al mondo. Sposato, due figli grandi, Chambers è dotato di una forte capacità comunicativa, è abituato a parlare sottovoce, non ha bisogno di urlare per convincere il mondo delle opportunità del Web. Al contrario dei suoi colleghi di Google e delle aziende della Silicon Valley, si è schierato in favore dei repubblicani alla recenti presidenziali, contraccambiato dal candidato (sconfitto) John McCaine che lo aveva indicato come uno dei possibili aspiranti alla carica di Segretario del Tesoro. Il suo impegno si concentra da tempo sulla formazione. Negli ultimi 10 anni 2.500 giovani provenienti da 160 paesi hanno affinato le loro conoscenze tecnologiche al Networking Academies di Cisco, un progetto educativo fortemente voluto da Chambers con l’obiettivo di formare i leaders dell’industria hi-tech di domani. «Il ruolo essenziale che la rete gioca nell’incrementare la produttività ed il vantaggio competitivo – ricorda Chambers – è più che mai rilevante nell’attuale quadro macroeconomico. Così come abbiamo aiutato i nostri clienti a sfruttare i vantaggi per la produttività e la competitività portati dalla prima fase di Internet, oggi, al giungere della seconda fase, ci poniamo ancora una volta alla guida della transizione con l’obiettivo di creare nuovi modelli di business basati sulla velocità, sulla scalabilità, sulla flessibilità e sulla produttività abilitate dalle tecnologie di rete». Insomma, basta alzare un po’ lo sguardo e la crisi non fa così paura come molti pensano. I


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Villaggio Globale - Monitor Hi-Tech

Italia in ritardo nella banda larga

Cellulari, vendite giù nel 2009 Per la prima volta in otto anni, nel 2009 i big dell’industria dei telefonini dovranno far fronte ad una contrazione delle vendite. E si tratterà anche di una contrazione consistente. Le previsioni stilate dagli esperti del settore indicano per l’anno prossimo una frenata degli apparecchi venduti compresa tra il 4 e il 27 per cento, a seconda dell’entità della recessione. La battuta d’arresto dell’economia mondiale ha già mostrato i suoi effetti negativi sulla domanda di telefonini nei mercati occidentali, fanno notare gli esperti. Nei prossimi mesi a complicare la situazione ci penserà la contrazione della domanda di telefonini dai mercati emergenti. Qui, l’impennata dell’inflazione spingerà i consumatori desiderosi di cambiare apparecchio telefonico o quelli che comprano il cellulare per la prima volta a rimandare l’acquisto. L’ultima volta che il settore ha segnato una contrazione delle vendite risale al 2001: allora la flessione fu del 4 per cento.

Italia indietro nella banda larga. Sono infatti solo 10,7 milioni gli utenti italiani che utilizzano connessioni Adsl, un dato che proietta il nostro paese tra gli ultimi posti in Europa per diffusione di Internet veloce. E' il quadro che emerge dall’ultimo rapporto della Agcom e curato da Between, società di consulenza del settore Ict. I dati presentati dal garante fotografano un paese spaccato in due: da una parte le città medio-grandi, con concorrenza tra diverse offerte e penetrazione dell'Adsl elevata, dall'altra i piccoli comuni, dove la banda larga, laddove arriva, è portata da un singolo operatore. «In futuro potrebbe andare anche peggio - specifica il rapporto - perchè ci sono poche speranze che l'Italia possa fare grossi passi avanti sul fronte della diffusione della banda larga a meno che non ci sia uno sforzo corale del sistema, cioè del governo e dei vari soggetti responsabili delle infrastrutture del paese». Sulla diffusione della banda larga in Italia è di recente intervenuta anche Banca d’Italia che, in uno studio ad hoc, ha sottolineato come il ritardo italiano risulti forte «sia per quanto concerne il tasso di penetrazione sia per l'ampiezza media effettiva della banda erogata». A mettere in risalto la lentezza italiana nella diffusione dell’Adsl non è il numero di utenti: secondo Bankitalia alla fine del 2007 erano 10,1 milioni gli italiani con connessione Adsl, una cifra dunque in linea con quella diffusa da Agcom e che rende l’Italia quarta in Europa dietro a Germania, Regno Unito e Francia. I numeri cambiano drasticamente se si guarda al livello di penetrazione, che nel nostro Paese è al 17,2 per cento, inferiore alla media della Ue27 pari al 20 per cento, e a quello dei principali Paesi, vale a dire Spagna (18 per cento), Germania (23,8 per cento), Francia (24,6 per cento) e Regno Unito (25,8 per cento). Al primo posto della graduatoria figura la Danimarca con il 35,1 per cento, seguita da Olanda (34,8 per cento) e Islanda (32,2 per cento). La situazione del Bel Paese, secondo Bankitalia, è «insoddisfacente anche in termini di dinamica». Tra il secondo trimestre del 2002 e lo stesso periodo del 2007, il tasso di penetrazione è cresciuto di 14,9 punti percentuali, 3,6 punti in meno rispetto a quanto hanno fatto i paesi della Ue15. Tra luglio 2006 e luglio 2007 l'aumento è stato di soli 2,8 punti, contro i 5,8 della Germania e i 4,3 della Francia, allineata alla media della Ue27.

Ferrovie dello Stato sarà anche operatore mobile virtuale Le Ferrovie dello Stato stanno valutando l'ipotesi di entrare nella telefonia mobile per valorizzare la loro attuale rete di trasmissione cellulare e per dare un servizio alla clientela che si lamenta dei buchi nel segnale dei telefonini degli attuali operatori sui treni. Ferrovie dispone già di una rete Gsm per i collegamenti di sicurezza treno-stazione e per le comunicazioni interne all'azienda, con il prefisso 313. Si tratta però di una rete “chiusa” utilizzabile solo dai dipendenti Fs. L'ipotesi al vaglio è quella di diventare un operatore mobile virtuale, come hanno fatto di recente Poste Italiane, e le grandi catene di distribuzione, realizzando un’intesa con uno dei quattro operatori mobili infrastrutturati (Tim, Vodafone, Wind e H3g) per affittare capacità di trasmissione. A questa intesa le Ferrovie potrebbero aggiungere la loro rete Gsm che garantirebbe una copertura delle stazioni e della rete ferroviaria che non avrebbe eguali.

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Google, accordo con gli editori per libri online Una svolta storica nell’editoria online è arrivata da una recente intesa di Google con una serie di autori e case editrici. L’accordo prevede che la società di Mountain View paghi 125 milioni di dollari per creare il cosiddetto Book Rights Registry, in cui autori ed editori potranno registrare le proprie opere e ricevere compensi provenienti da sottoscrizioni istituzionali e dalla vendita dei libri. L'accordo, raggiunto con la Authors Guild e la Association of American Publishers - il sindacato degli scrittori e il cartello degli editori - scrive la parola "fine" a una disputa legale durata due anni sul progetto di Google di mettere a disposizione sul Web molti dei capolavori della letteratura. La causa intentata dalle case editrici McGraw-Hill Cos, da Pearson Education e Penguin Group del gruppo Pearson Plc e da Simon & Schuster e John Wiley & Sons Inc sosteneva che i tentativi di Google di digitalizzare i libri senza permesso violava le norme sul diritto d'autore. Con questa intesa diventa più concreta la possibilità per i lettori di avere a disposizione sul Web milioni di libri protetti dal diritto d'autore, di sfogliarli e di acquistarne copie.

Con Bt DreamCard telefoni in città, parli in tutto il mondo Si avvicina il periodo natalizio e per chi si trova lontano dai propri familiari una telefonata può servire ad accorciare le distanze e a sentirsi più vicini ai propri cari. Per venire incontro a questa esigenza dei numerosi stranieri residenti nel nostro paese o a chi ha un caro all’estero, BT Italia, il principale fornitore nel nostro paese di servizi e soluzioni di comunicazione interamente dedicato alle imprese e alla pubblica amministrazione, propone la BT DreamCard, una carta telefonica internazionale, che offre un servizio di alta qualità a prezzi imbattibili. Qualche esempio: con BT DreamCard, chiamando dal distretto di Roma il numero di accesso 06 89897010, al costo di un’urbana o di una chiamata da mobile secondo il proprio piano tariffario, si hanno a disposizione 5000 minuti di conversazione verso numerazioni di rete fissa della Polonia, dell’Argentina o degli Stati Uniti, 2000 minuti verso il Brasile e 400 verso la Romania. La carta può essere utilizzata in Italia da qualsiasi telefono fisso, pubblico o privato, e dai telefoni mobili, senza scatto alla risposta e con una tariffazione al minuto. BT DreamCard, disponibile nel taglio da 5 Euro (IVA inclusa), è estremamente facile da usare. E’ una carta virtuale, che non va inserita nel telefono. Infatti, acquistandola si riceve un semplice scontrino cartaceo sul quale è riportato un codice PIN e tutte le informazioni per l’utilizzo. A questo punto basta scegliere uno dei numeri geografici disponibili in Italia, dando la preferenza a quello del nostro distretto telefonico o ad uno limitrofo, comporre il numero a cui far seguire il codice PIN seguito da cancelletto e il numero che si desidera chiamare comprensivo di prefisso. BT DreamCard ha una validità di 30 giorni dal primo utilizzo. La carta telefonica virtuale è in distribuzione in tutta Italia presso gli oltre 40.000 punti vendita tra ricevitorie del Lotto e bar collegati alla rete Servizi di Lottomatica, oltre in tutte le migliori edicole e tabaccai. UOMINI&BUSINESS

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Truffatori online cavalcano l’onda della crisi

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Nel in 100 milioni trasferiranno denaro col telefonino Saranno 100 milioni le persone che di qui al 2013 utilizzeranno il telefono cellulare per trasferire somme di denaro da una nazione all'altra. La stima è della società di analisi Juniper Research, secondo cui il mobile money transfert, seppur ancora poco utilizzato, diventerà una pratica diffusa nei prossimi anni specialmente all'interno delle comunità di immigrati mediorientali e sudamericani che lavorano nelle nazioni occidentali. «Trasferire denaro verso i paesi in via di sviluppo può rappresentare un problema perchè molte persone non posseggono un conto corrente bancario - spiega Howard Wilcox, autore del rapporto di Juniper -. Per questo l'utilizzo del cellulare come un vero e proprio borsellino elettronico rappresenta una soluzione che sempre più persone decideranno in futuro di utilizzare».

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Una partnership internazionale contro le frodi via Internet. Con questa iniziativa, Microsoft, Yahoo!, Western Union e African Development Bank (Adb) contano di aumentare la consapevolezza tra i consumatori di tutto il mondo sui rischi delle truffe online, in particolare quelle relative alle lotterie fraudolente, meglio conosciute nel cyberspazio come lottery scam. Attraverso l’intesa, le quattro società si propongono di informare gli utenti di Internet affinché siano maggiormente in grado di difendersi da queste attività illegali. Le truffe legate alle lotterie online sono molto comuni: si tratta di una forma di raggiro in cui alla vittima viene chiesto di effettuare un pagamento anticipato con la promessa di ricevere un regalo o un premio in denaro. E, con l'attuale crisi, queste frodi potrebbero aumentare, sfruttando le categorie più deboli colpite dalla congiuntura economica sfavorevole a livello globale. Secondo Tim Cranton, esperto sicurezza online di Microsoft, sono già evidenti i primi segnali che i criminali online stanno già tentando di trarre profitto da una situazione economica in subbuglio. I malfattori mandano delle spam email ai consumatori chiedendo loro di pagare una quota relativa al collasso di una banca o di un’istituzione finanziaria in cambio di condizioni molto più vantaggiose per un mutuo.

Mobile social networking, gli utenti raddoppieranno nel 2009 Agli europei piace sempre di più il mobile social networking, ovvero l'uso delle reti sociali per comunicare con amici e conoscenti tramite il telefonino. E in futuro questa tendenza pare destinata ad affermarsi sempre di più. In Europa si passerà infatti dai 26,7 milioni di utenti nel 2008 ai 45,2 milioni nel 2009, fino a raggiungere una quota pari a circa 134 milioni di utenti nel 2012, ovvero un possessore di cellulare su cinque utilizzerà questo genere di servizi per comunicare. È quanto emerge da una recente ricerca condotta dalla società Informa per conto di Buongiorno Spa. Queste previsioni di crescita sono supportate da un analogo boom registrato per il social networking effettuato tramite pc. Le ultime ricerche della società ComScore mostrano, infatti, che questa è stata la grande stagione del social networking: a giugno ben 580 milioni di persone nel mondo erano iscritte ad un social network su Internet con un incremento del 25 per cento di iscritti rispetto all'anno scorso e un aumento del 35 per cento nella sola Europa (pari a 165 milioni di persone). Per quanto riguarda il nostro Paese, anche gli italiani amano queste piazze virtuali e sembrano non volersi separare dai loro contatti: quest'estate sono stati ben 293 mila gli italiani che si sono connessi ad un social network da telefonino (fonte: Nielsen Mobile).

Monitor Hi-Tech è realizzato da Uomini&Business in collaborazione con FinecoBank


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Villaggio Globale - Visti da Vicino

A cura di MONICA CIRILLO

Telefonare con un

Touch

È una vera e propria passione. I telefonini touchscreen piacciono, e tanto. I produttori rispondo introducendone per tutti i gusti e per tutte le tasche. La telefonia mobile è a una svolta, gli strumenti sono sempre più intelligenti e sempre più intuitivi nell’utilizzo. La comunicazione globale è sulla punta delle dita. I

Apple iPhone 3G raggiunge nuove frontiere iPhone 3G unisce tutte le rivoluzionarie funzionalità di iPhone alla capacità di connessione in rete 3G, due volte più veloce, alla tecnologia GPS integrata per servizi mobili di localizzazione ottimizzati e al software iPhone 2.0, che include il supporto per ActiveSync di Microsoft Exchange ed è in grado di eseguire le centinaia di applicazioni disponibili tramite il nuovo App Store, applicativo a sua volta integrato su tutti i dispositivi iPhone dotati del software iPhone 2.0. Molte di queste eccezionali nuove applicazioni sfruttano inoltre l'ampiezza dello schermo di iPhone, l'interfaccia utente Multi-Touch, la veloce grafica 3D con accelerazione hardware, l'accelerometro integrato e la tecnologia di localizzazione per offrire delle applicazioni più potenti che mai sul mercato mobile. Le applicazioni vengono quindi sincronizzate su iPhone tramite un cavo USB. Oltre 125 applicazioni sono offerte gratuitamente. iPhone con 8 GB è venduto a 499 euro, la versione da 16 GB a 569 euro, senza piano tariffario (Vodafone o TIM). www.apple.com/it/iphone

Intrattenimento e Internet senza confini con HTC Touch HD HTC Touch HD è la soluzione definitiva per l’entertainment e per l’utilizzo di Internet in mobilità. È dotato di display da 3,8 pollici widescreen VGA. Quadribanda, connettività HDSPA alla massima velocità, camera da 5 megapixel autofocus, e nuova versione dell’interfaccia HTC TouchFLO 3D con risposta istantanea ai comandi impartiti, sono gli elementi distintivi. Il telefono è dotato di Windows Mobile 6.1 Professional comprensivo di pacchetto office mobile, antenna GPS integrata, radio FM, jack audio standard per cuffie ad alta fedeltà e scheda di memoria SD. L’interfaccia TouchFLO 3D fornisce un accesso veloce e intuitivo a contatti, messaggi e alle funzionalità più importanti. La velocità di download è 18 volte più veloce del 3G standard e consente di visualizzare siti Internet velocemente e a piena pagina, garantendo esperienze di navigazione comparabili a quella offerte dalle reti a banda larga domestiche, sia in termini di velocità sia di layout di pagina. Uno strumento concepito dunque per l’utente professionale e per quello più consumer che ricercano stile e performance. HTC Touch HD, che pesa 146,4 grammi batteria inclusa, è venduto al prezzo indicativo di 700 euro Iva inclusa. www.htc.com

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Nokia 5800 XpressMusic il touch screen musicale Sarà uno tra i primi cellulari a supportare Comes With Music, il servizio di Nokia, che offre un anno di accesso illimitato all’intero catalogo del Nokia Music Store. Grazie alla tecnologia touch screen, introduce la Barra Multimediale che consente di accedere direttamente alle funzionalità musicali e di intrattenimento come brani, immagini e video preferiti. La Barra offre anche il collegamento diretto alla rete e quindi alla condivisione online. Questo telefono supporta i contenuti Flash consentendo quindi di navigare nell’intero spazio Web senza esclusione di siti. Offre anche un equalizzatore grafico, 8GB di memoria, supporto per tutti i formati musicali digitali, un jack da 3,5 mm e altoparlanti stereo surround integrati. Con il software Nokia Music PC è possibile trasferire le canzoni e gestire le proprie collezioni musicali utilizzando la semplice funzione drag and drop. Nokia 5800 è dotato di uno schermo widescreen da 3,2”. Il dispositivo è ideale per registrare e rivedere video in qualità VGA. Permette di condividere immagini e video tramite la community online preferita, come Share on Ovi, Flickr o Facebook. Anche i brani della playlist musicale possono essere condivisi tramite Bluetooth, MMS o Internet. Il telefono sarà disponibile dal primo quadrimestre 2009. Il prezzo è da definire. www.nokia.it/5800xpressmusic

Arriva la seconda generazione di Prada by LG Quasi identico al suo predecessore, il nuovo Prada by LG ha la tastiera ultrasottile che esce scivolando da sotto l’apparecchio. L’aspetto elegante e l’interfaccia sofisticata lo rendono irresistibile. L’eccellente intervento di ricerca e sviluppo di Prada nel design, interno ed esterno, e nella funzionalità del telefono e degli accessori è determinante nel suo successo. L’esclusiva tastiera Qwerty è concepita per la massima facilità di utilizzo. La consistenza metallica che lo rende piacevole al tocco, completa l’elegante estetica stilistica. La tastiera argentata con i tasti aggiuntivi di inizio e fine chiamata sullo schermo offre una fresca qualità tattile all’originale concetto minimalista. Altre caratteristiche ulteriormente migliorate sono la compatibilità con la rete 3G, la connessione HSDPA 7,2Mbps, il browser HTML completo, fotocamera da 5 megapixel con obiettivo SchneiderKreuznach e connettività Wi-Fi. Il nuovo cellulare Prada è disponibile ad un prezzo indicativo di 600 euro Iva inclusa. www.pradaphonebylg.com

Sony Ericsson XPERIA X1 per la convergenza mobile Il brand Sony Ericsson XPERIA è dedicato alla convergenza mobile. XPERIA X1 è un cellulare slider ad arco dal design raffinato con un ampio display WVGA da 3 pollici. Integra Windows Mobile e offre un’innovativa miscela per avere il meglio dalla comunicazione Web e dall’entertainment multimediale. Permette una navigazione multipla per interagire con il cellulare con modalità differenti: touch screen a sfioramento, tastiera Qwerty, navigazione attraverso 4 tasti dedicati e joystick ottico. Il design slider ad arco rende l’X1 unico. Si fa scorrere lo schermo e si scopre l’ampia tastiera. I tasti sono grandi e distanti tra loro per rendere la scrittura rapida e senza errori di digitazione. X1 permette anche una nuova esperienza mobile, per una performance on-the-move. L’accesso superveloce a Internet e al trasferimento dati, insieme al sensore satellitare/terrestre A-GPS integrato offrono un nuovo approccio sia al lavoro sia al divertimento. Questo modello è venduto a 649 euro Iva inclusa. www.sonyericsson.com. UOMINI&BUSINESS

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Villaggio Globale - Visti da vicino

Pioggia di cristalli per Pentax K-m Impreziosita da scintillanti cristalli Swarovski, resa ancora più raffinata dal motivo orientale e disponibile in edizione limitata, la reflex ‘entry-level’ K-m cambia faccia e si mostra per la prima volta agli amanti della tecnologia fashion con un look graffiante e sofisticato. Questa fotocamera è anche molto maneggevole, merito di un telaio in acciaio che la rende una tra le più compatte del mercato. L’obiettivo 18-55mm, venduto in kit con la macchina, permette di realizzare istantanee perfette. Disponibile su ordinazione, il nuovo gioiello firmato Pentax dispone inoltre di una custodia glamour e di un’elegante confezione che ne esaltano lo stile luxury. Prezzo al pubblico con kit obiettivo di circa 3.000 euro Iva inclusa. www.pentaxitalia.it

HP Mini 1000 Vivienne Tam

Acer Predator

Special Edition Possiamo definirla una ‘pochette digitale’. HP Mini 1000 Vivienne Tam Special Edition si ispira alla collezione primaverile della stilista Vivienne Tam e vanta una raffinata finitura rossa con un motivo floreale di peonie. E’ il primo computer HP creato da una stilista e offre un’esperienza di stile unica grazie a un packaging e accessori in coordinato. Con un peso di soli 1,1 kg e un display BrightView Infinity da 10,1”, è dotato di Webcam, WLAN, connettività Bluetooth e WWAN opzionale, processore Intel Atom N270 da 1,6 GHz e 60GB HDD. HP Mini 1000 Vivienne Tam Special Edition sarà disponibile da febbraio a un prezzo da definire. www.hp.com

per gaming spinto Il desktop Aspire G7200 Predator è dotato di chassis dall’intenso colore blu elettrico e processore AMD Phenom 4X. È ideale per tutti gli utenti gamer che vogliono affrontare sfide e superare limiti altrimenti invalicabili. I quattro hard disk di cui è dotato sono accessibili attraverso una speciale porta sulla parte frontale bassa dello chassis, pronti ad essere aggiunti e sostituiti in ogni momento, mentre il raffreddamento liquido consente di giocare sempre al massimo delle prestazioni. È disponibile in tre versioni (scalabili). La configurazione più alta (Acer Aspire Predator-Reaper) prevede CPU AMD Phenom 9850 X4, RAM 4*2GB 800MHz RAM, HDD 1*150GB + 2*640GB, DVDRW e BD ROM. Monta scheda grafica 2*ATI HD 4870 1GB DDR5 e sistema operativo Vista Home Premium 64-bit. Il prezzo è di 1.999 euro Iva inclusa. www.acer.it

1Idea lancia la musica al massimo 1Idea Italia, specializzata in accessori per il mercato della telefonia cellulare e dell’elettronica di consumo, lancia una nuova proposta per ascoltare la propria musica preferita a tutto volume. Digital Speaker System IP500, a marchio PURO, è una dock sound digitale dal design minimal, ideata per ascoltare la musica caricata su iPod e iPhone. Il sistema assicura un suono pulito e di alta qualità, grazie agli altoparlanti con potenza in uscita di 30 Watt. Certificato “Made for iPod”, dispone di 5 adattatori che lo rendono compatibile a tutti i modelli Apple di iPod e iPhone. Pesa solo 1,13 kg ed è venduto a 69,99 euro Iva inclusa. www.1ideaitalia.com 84

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Philips Flavors, la TV che cambia abito Grazie alle cornici intercambiabili il televisore Philips Flavors può essere ogni giorno differente. La gamma comprende un impianto home theatre e 3 modelli di TV ultrasottili da 22, 32 e 42”. TV e home theare sono personalizzabili grazie a 12 diverse cornici selezionate tra un campione di 70. Il televisore 22” viene venduto a 549 euro, 799 il modello medio e 1.199 il modello large da 42”. Il prezzo include il TV e due cornici da ritirare direttamente presso il punto vendita. Una terza cornice è possibile sceglierla (sempre compresa nel prezzo) online. È possibile comunque acquistare ulteriori cornici con prezzi compresi (secondo dimensioni e materiali) tra i 50 e i 99 euro. Il sistema home theatre è venduto a 399 euro. L’esperienza Philips può essere provata fino a gennaio nello show room Simlicity Store di via Borgonuovo a Milano. www.philips.it/flavors

Gorillapod Go-Go!, il treppiede trasformista Il kit portatile Gorillapod Go-Go!, prodotto da Joby e distribuito da Mafer, consente di posizionare dispositivi portatili di ogni tipo, pressoché ovunque. Grazie alla possibilità di intercambiare la vite adattabile universale, questo treppiede è l’accessorio perfetto per telefoni cellulari, lettori Mp3, videocamere o Webcam. Disponibile in tre diverse misure, Gorillapod è snodabile e può essere posizionato come si preferisce. Con un peso piuma, può stare tranquillamente in tasca, inoltre è abbastanza robusto da sorreggere gran parte delle fotocamere digitali compatte presenti oggi sul mercato. Gorillapod Go-go! è disponibile in svariati colori al prezzo di 21 euro Iva inclusa.

Celestron SkyScout per navigare in cielo È una guida hi-tech per viaggiare nel firmamento. Celestron SkyScout Personal Planetarium, il navigatore GPS del Cielo, è stato eletto “Prodotto Ufficiale” dell’Anno Internazionale dell’Astronomia 2009. SkyScout, dedicato agli astronomi principianti, è un rivoluzionario dispositivo palmare che utilizza le più avanzate tecnologie per puntare e identificare più di 6.000 stelle, pianeti, costellazioni e oggetti celesti. Tramite la navigazione GPS trasforma il cielo in un vero planetario portatile e personale, per la gioia degli appassionati di hi-tech, scienza e per tutti i curiosi. Disponibile con audio e testo in italiano, è distribuito da Auriga e costa 449 euro Iva inclusa. www.myskyscout.it - www.auriga.it

Con NB100 Toshiba entra nel mercato dei netbook Questo netbook da 8,9” è disponibile in tre diversi colori, ma è possibile personalizzarlo grazie alle cover removibili. Toshiba NB100 è dotato di schermo LCD WSVGA 1024x600 retro illuminato, integra la CPU Intel Atom ed è disponibile in due versioni, sia con Ubuntu Netbook Remix 1.0 sia con Windows XP Home. Per il business è disponibile anche la versione con Linux. Questo computer offre funzionalità grafiche 3D entry-level, speaker stereo e ottime modalità di riproduzione video. Grazie all’interfaccia Bluetooth 2.1 con EDR, Wi-Fi (802.11 b/g) e Ethernet 10/100, consente di collegarsi alle periferiche o ai punti di accesso Internet in modo semplice e veloce. NB100 con sistema operativo Linux è disponibile a 299 euro Iva inclusa. Il prezzo per la versione con sistema operativo Windows è 349 euro. www.toshiba.it UOMINI&BUSINESS

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L’Altra Metà del Cielo

Uomini belli e palestrati, ma soprattutto giovani. Sono le prede preferite dalle cougar woman, signore di una certa età, solitamente ricche e famose che preferiscono baby-fidanzati. Qualche esempio? Demi Moore, Madonna, Ivana Trump, Sharon Stone, ecc….

Sharon Stone

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Quelli che le

donne vogliono! DI SONIA OLIVA

Demi Moore e il terzo marito Ashton Kutcher: lei 47 anni, lui 30

Fino a qualche anno fa, attempati signori dai capelli sale e pepe (più sale che pepe) si accompagnavano a bionde mozzafiato che, a malapena, raggiungevano i 25 anni. Adesso i ruoli si sono invertiti e sono le donne un po’ “agè” a “sfoggiare” giovani e palestrati boyfriend. Tant’è che, un’eventuale gaffe del tipo: «…Com’è diventato grande suo figlio!» sarebbe assolutamente giustificata. Questo trend si è talmente radicato nella società che, negli Stati Uniti, è stato necessario coniare il termine cougar (letteralmente significa puma) per indicare una donna, spesso più che quarantenne, in cerca di rapporti con uomini molto più giovani. Le coguar sono donne belle, famose, indipendenti, con carriere favolose e con conti correnti a più zeri. Insomma, sono donne in grado di poter mantenere le loro “prede”. Un fenomeno in costante ascesa che il cinema anticipò nel 1967 con Il Laureato. Dustin Hoffman, nella prima parte importante della sua carriera, è l’amante di una nevrotica signora (interpretata da Anne Bancroft) fino a che non si innamorerà della figlia. Negli anni sessanta l’argomento trattato era trasgressione sessuale allo stato puro. Oggi è normalità e ormai è quasi una moda che ha trovato terreno fertile anche a Hollywood, la città dei vip per eccellenza. Qualche nome?

Brigitte Nielsen e il suo quinto consorte, Mattia Dessi, di 15 anni più giovane di lei UOMINI&BUSINESS

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L’Altra Metà del Cielo

Ivana Trump e il quarto marito, il 35enne Rossano Rubicondi. Lei ne ha 24 in più

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Kim Catrall, Demi Moore, Ivana Trump, Madonna, sono soltanto alcuni esempi del nuovo must americano. Donne famose che vivono o hanno avuto relazioni con uomini decisamente più giovani di loro. Nel 2003 il settimanale People raccontò dell’incontro fatale tra la splendida Demi Moore e Ashton Kutcher durante una cena nella Grande Mela. La relazione tra Demi e Ashton fu vista da qualcuno sia come una sfida alle convenzioni sia come la prova della nuova tendenza del “gentil sesso” ad amare i baby boy. Due anni dopo, infatti, rispettando il rigore del ribaltamento di ruoli, la Moore ha impalmato la sua “giovane preda”. Lei 47 anni, lui 30. Terzo matrimonio per la protagonista di “Ghost”, “Striptease”, “Soldato Jane”, primo matrimonio per Ashton, diventato famoso con la sitcom americana That ‘70s Show. Geloso oltre ogni limite, il baby marito di Demi ha dichiarato su contactmusic.com di aver trovato la soluzione perfetta per arginare la sua folle gelosia: non guardare i film interpretati dalla moglie. Soprattutto, le pellicole ad alto tasso erotico come Rivelazioni e Proposta Indecente. Kutcher, comunque, si è calato perfettamente nel ruolo di marito e patrigno delle 3 figlie che Demi ha avuto dall’ex marito Bruce Willis. E’ lui che alle 7.15 sveglia la famiglia, accompagna e va a prendere le bambine a suola, lavora su nuove sceneggiature nella sua casa di produzione, la Katalyst (aperta poco dopo aver sposato la Moore), ed è sempre lui a mettersi ai fornelli per preparare la cena. Che dire? Proprio un maritino d’oro! Tutto a gonfie vele anche per Halle Berry e il trentatreenne Gabriel Aubry. L’ex Bond girl, splendida 42enne, considerata la Venere nera di Hollywood ha dichiarato di aver finalmente trovato nel bel modello canadese il suo uomo ideale. Tra loro, nove anni di differenza e una splendida bambina, Nahla Ariela, arrivata un anno fa a coronare la loro unione. Per una baby-story che va bene, un’altra fa acqua da tutte le parti. Chi non ricorda la scena di Basic Instinct in cui la Stone accavalla le gambe? Sharon oggi ha 53 anni e lo stesso fisico tonico che continua a suscitare ammirazione in uomini di qualsiasi età. Peccato però che a lei piacciano solo i giovani, anzi i giovanissimi. E lo dimostra facendosi vedere sempre più spesso mano nella mano con Chase Dreyfous, il ragazzino appena venticinquenne, che le fa battere il cuore e le fa gridare al mondo di essere molto coinvolta in questa storia. Anche la super sexy Kim Catrall, una delle protagoniste della fortunata serie tv Sex and The City, ha dichiarato di non andare a caccia di giovani uomini solo per portarli a letto. A convertirla alle relazioni stabili pare sia stato il bellissimo e giovanissimo modello Jerry-Smith Jerrod già entrato a far parte della lista degli ex. Pare che a breve, in black list, potrebbe entrare anche Alan Wyse, il cuoco canadese che frequenta da 4 anni e che ha ben 22 anni meno di lei. Trentadue sono invece gli anni che “separano” Joan Collins, 74 anni, dal marito Percy Gibson, 42, sposato in quinte nozze. E che dire dell’imprenditrice Ivana Trump, regina indiscussa del jet set internazionale? Si è sposata per la quarta volta con Rossano Rubicondi, uno dei naufraghi di Simona Ventura che a 35 anni si dichiara innamoratissimo di sua moglie nonostante i 24 anni di differenza.


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28-11-2008

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Ha spento 62 candeline l’attrice premio Oscar per Dead Man Walking, Susan Abigail Tomalin coniugata Sarandon. Del primo marito ha infatti mantenuto il cognome come pseudonimo. Negli anni 80, dopo il divorzio dall’attore Chris Sarandon ha sollevato rumours a non finire per la relazione con il giovane Sean Penn di 14 anni più giovane di lei. Si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio e, nel 1988, sul set di Bull Durham ha incontrato e sposato, nel giro di pochi mesi, Tim Robbins più giovane di 12 anni. Ben vent’anni di matrimonio, 2 figli e pare che ora, la loro unione vacilli un po’. È invece arrivato al capolinea il matrimonio tra Madonna, 50 anni splendidamente portati e il giovane Guy Ritchie che ha appena varcato la soglia degli anta. L’annuncio ufficiale è stato dato a metà ottobre ma i dettagli di questo divorzio non smettono di interessare. Secondo una stima fatta dal quotidiano britannico The Independent, pare che l’ex Material Girl dovrà versare al bel regista circa 100 milioni di sterline che, tradotte in euro, sono circa 126 milioni di euro, ben 36 milioni di euro in più rispetto a ciò che Paul McCartney ha dovuto versare a Heather Mills. Inoltre, secondo quanto riportato dal Sunday Times, la “liquidazione” di Guy sarebbe così alta perché l’ormai ex coppia avrebbe accumulato in 8 anni di matrimonio 300 milioni di sterline (378 milioni di euro). Certo è che la maggior parte dei soldi sono frutto della carriera della cantante e non certo del regista. I soliti ben informati sostengono che la vera causa della rottura sia stata la relazione extra coniugale che la signora Ciccone avrebbe avuto con la star del baseball americano Alex Rodriguez che, guarda caso, è un po’ più giovane di Guy. Dalla regina del pop alla protagonista della riuscita serie tv Desperate Housewives la musica non cambia poi tanto. Questione di young man. Dana Delany, formidabile cinquantaduenne, ama frequentare uomini più giovani perché «sono più divertenti e hanno un’energia che mi piace e poi» continua l’attrice «prima cercavo solo avventure ora mi sono evoluta e so che potrei essere felice da sposata». Dana ha infatti scherzosamente confessato di aver accettato di unirsi al cast delle “casalinghe disperate” perché molte delle protagoniste (Eva Longoria, Marcia Cross e Nicollette Sheridan) sono convolate a giuste nozze dopo aver preso parte allo show. Dana, da perfetta cougar, sostiene: «Non voglio piante, bambini e animali. Voglio poter chiudere la porta e partire: ho bisogno di qualcuno a cui tutto questo vada bene». Decisa come Dana anche l’attrice danese Brigitte Nielsen, attratta dai “cuccioli”, nel 2006, per la quinta volta, ha detto sì. Il fortunato è Mattia Dessi, un barista di origine sarda di quindici anni più giovane. Sarà possibile che tutto questo sia vero amore? Di sicuro la ricerca dell’uomo più giovane è un fenomeno in costante crescita che non ha più confini. Anche le Vip di “casa nostra” preferiscono i giovani. Qualche esempio? Valeria Golino, invidiata dalle teenager perché ha catturato il bel Riccardo Scamarcio. E ancora, Antonella Clerici, Ornella Muti e l’ex presidente della camera Irene Pivetti. E pensare che Gigliola Cinquetti, poco più di 40 anni fa aveva incantato la platea dell’Ariston di Sanremo cantando una canzone che cominciava così: «Non ho l’età, non ho l’età per amarti, non ho l’età per uscire sola con te»! Sarà meglio che le cougar women di oggi si esercitino con le note delle più dolci ninnananne … da canticchiare ai loro baby fidanzati. I

Madonna, 50 anni portati splendidamente, e l’ex marito Guy Ritchie, di dieci anni più giovane, da cui si è da poco separata

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L’Altra Metà del Cielo

Halle Berry

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la più sexy DI CINZIA ROMANI

Il mensile chic americano Esquire l’ha appena eletta “Donna Vivente più sexy dell’anno”, perché, pur giunta all’età di quarantadue anni e avendo un bambino (il che, di solito, appesantisce la figura), emana fascino e sensualità da ogni poro. Per tutta risposta, Halle Berry, l’unica attrice afroamericana ad essersi aggiudicata l’Oscar (nel 2002, con Monster’s Ball), ha mandato a dire: «Sono ben lieta di questo titolo. Anche se non ho ancora capito bene che cosa significhi». Simpatica davvero, con quell’aria sprezzante, già ben visibile in Catwoman, film-fumetto in cui incarnava una donnagatto elastica, lesta a saltare di tetto in tetto, fasciata nella tutina nera di lastex, che poco lasciava all’immaginazione. Di caratterino, Halle, ne ha da vendere, come si capiva fin dai tempi del college, quando alla Bedford High School s’impose subito come “cheerleader”, ovvero come reginetta del ballo della scuola. Miss Ohio nel 1986, poi Miss Teen Ager, e ancora, in concorso per Miss Usa e Miss Universo, la Berry nel tempo si è affermata, a prescindere dalla propria avvenenza.

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L’Altra Metà del Cielo

È l’unica attrice afroamericana ad aver preso l’Oscar. La recente gravidanza non le ha tolto fascino e la rivista Esquire l’ha consacrata donna più sensuale del mondo

Certo, la star è esplosa rifacendo il verso (lei dice: «doveroso omaggio») alla mitica Ursula Andress in bikini bianco, che in uno 007 dell’età dell’oro (con James Bond nei panni dell’agente segreto, per intenderci) usciva dall’acqua con un pugnale alla coscia e una conchiglia in mano. In Agente 007: la morte può attendere, invece, Halle sfoggiava un micro due pezzi color arancione, stille d’acqua marina sulla pelle di cioccolato e un broncio niente male. «A Hollywood è difficile ottenere parti, soprattutto se sei una donna nera: sono vent’anni che lotto e non credo che raggiungerò più la vetta, scalata con l’Oscar. Tutti pensano che, una volta vinta la statuetta d’oro, il Dio del Cinema venga a casa tua, per proporti le più stupende parti mai immaginate… Sì, i colleghi ti rispettano, ma l’Oscar non cambia la vita delle persone, soprattutto se femmine», ha precisato più volte Halle Berry, personalmente coinvolta nella prevenzione della violenza sulle donne, perché è membro attivo di un’organizzazione che difende le donne e i loro figli, se vittime di mariti e padri maneschi. Negli Usa, durante il periodo della gravidanza, fu ospite del Letterman Show, dove, per scherzo, le fecero vedere l’ecografia d’un pancione non suo, ma lei, in seguito, commentò: «Non mostrerei mai, in televisione, cose così intime e private». Ma il tempo passa, le persone cambiano e così, di recente e abbondantemente post-partum, la

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celebrità ha scandalizzato l’America puritana confessando a un settimanale pettegolo i propri segreti d’alcova. «Sotto le lenzuola comando io! Credo, infatti, che le donne siano responsabili del proprio orgasmo ed è per questo che il mio godimento è migliorato, rispetto a quando avevo vent’anni. Non lascio più che siano gli uomini ad avere il controllo del mio piacere. Insomma, ho i miei trucchi e preferisco un orgasmo intenso a quelli multipli». Alla faccia della riservatezza! Del resto, oggi le “celebrities” sono avvezze a parlare, a ruota libera, di qualsiasi intimo recesso capiti loro in mente: così, grazie (o per colpa?) a battute più o meno “calde”, stanno continuamente sui giornali e in Rete. Halle Berry, di per sé, non è un’attrice straordinaria, nonostante abbia recitato con registi del calibro di Spike Lee (in Jungle fever, dove incarnava una tossicodipendente alle prese con problemi di droga) e abbia vinto l’ambita statuetta di Hollywood. Un po’ fissa, nell’espressione perennemente imbronciata o attonita, l’attrice può solo sperare di avere personaggi forti, per farsi notare. In Monster’s Ball, per esempio, era riuscita a precorrere la moda d’imbruttirsi (nello stesso solco, sarebbe poi andata Charlize Theron, un’altra bellezza, tesa a dimostrare di saper recitare, oltre ad avere un bel “lato B”) al solo fine di rincorrere bravura e talento. Così, nei vestitini stinti della povera donna sola, ai piedi certe ciabatte di pezza da autentica miserabile, sem-


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brava davvero dimessa. Così convincente, come straccioncella, da beccarsi, due anni dopo quel film, che la impose come icona nera, il famigerato Razzie Award, una specie di anti-Oscar, conferito ai divi poco curati, nello scegliersi le parti o nell’abbigliarsi. Una sorta di “Oscar-spazzatura”… Quanto alla vita privata di Halle, facile capire quanto l’abbia segnata, da piccola, il divorzio dei genitori. Nata da Judith Ann, infermiera bianca, e dallo psichiatra Joseph Berry (i due lavoravano nello stesso ospedale), la bambina Halle ricevette lo stesso nome di un grande magazzino di Cleveland, nell’Ohio, dove ebbe i natali: lo Halle’s Department Store. E questo la dice lunga sull’approccio al mondo degli americani, che non impartiscono nomi ai figli, seguendo la costumanza europea (si impongono i nomi di famiglia, da noi), bensì l’estro del momento. Non si chiama “Apple”, cioè “mela” la figlia di Gwyneth Paltrow? Tornando alla private life dell’omonima di un supermarket, ben tre sono le unioni con partner, fin qui note. Divorziata dal giocatore di baseball David Justice («Io sempre in giro sui set, lui sempre in giro sui campi da gioco», ha spiegato la diva) e dal musicista Eric Benét, adesso la Berry convive con il padre della sua bambina, il modello franco-canadese Gabriel Aubry, più giovane di lei di dieci anni. Dovrebbe essere la volta buona. Intanto, i due hanno scelto un nome vagamente più normale, per la propria figlia: Nahla Ariela. I UOMINI&BUSINESS

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L’Altra Metà del Cielo

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Una rock star di nome

DI ELISABETTA PANARESE

“ FUNHOUSE “ è il titolo dell’ ultimo cd di P!NK pubblicato nell’ Ottobre 2008

Lei è P!nk, pseudonimo di Alecia Beth Moore, nata negli Stati Uniti l’8 settembre 1979. Fin da piccola, ostinata nell’idea di diventare una rock star, adora ascoltare il padre suonare la chitarra e cantare canzoni per lei. Ma dopo il divorzio dei genitori, avvenuto quando lei ha sette anni, Alicia non riesce a superare il dolore senza fine della loro separazione e comincia a sperimentare droghe continuando il consumo di stupefacenti fino al 1995. «Sono una persona molto estrema – dice di se stessa –, sono passata attraverso esperienze di vario genere, alcune folli, e le ho vissute tutte in quel modo». Mentre entra ed esce da gruppi e band nati durante gli anni delle superiori viene notata da un talent scout: è a Philadelphia, al Club Fever dove si esibisce con il suo skate-board. Le viene offerto di volare ad Atlanta ed entrare in un trio chiamato Choice. Dopo un’esibizione nel gruppo femminile Choice, la casa discografica, La Face Records, rimane molto colpita dalla sua voce e dal suo irriverente personaggio e le offre di incidere come solista. Inizia così, a soli sedici anni, la sua vera carriera di rock star con il nome di P!nk. UOMINI&BUSINESS

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L’Altra Metà del Cielo

Dopo due anni di matrimonio, P!nk ha divorziato dal marito, il campione di motocross, Corey Hurt e ha spiegato che le ragioni della separazione non sono imputabili ad un tradimento o a liti furibonde. Semplicemente sono entrambi molto impegnati nella propria carriera e non c’è spazio per altro adesso. Tutto qui ?! In breve tempo riesce a rompere tutti gli schemi del pop femminile presentandosi ogni volta con tutta la sua carica provocatoria e la sua grinta anticonvenzionale. Il successo arriva puntuale. Oltre 23 milioni di album venduti in tutto il mondo con soli cinque album. Fra i numerosi riconoscimenti ottenuti anche due prestigiosi Grammy Awards e cinque MTV Video Music Awards P!nk non ha mai paura di dire quello che pensa, di mettere a nudo il proprio cuore e raccontare le proprie emozioni attraverso la musica. «Non ho scelta. Non potrei fare altrimenti», dichiara. Perché P!nk è davvero fatta così! Il suo ultimo album dal titolo Funhouse (etichetta LaFace/SonyBMG) ben rappresenta il suo travagliato percorso espressivo. Viene infatti da lei definito «il mio album emotivamente più vulnerabile». È un disco versatile, che alterna il rock al pop, in una successione di melodie accattivanti e quasi disperate, in cui facilmente, chi la conosce, legge l’epilogo della sua breve storia d’amore con il campione di motocross Carey Hart. La rottura del loro matrimonio risale all’inizio dell’anno e il dolore provocato da questa separazione ha dato voce a brani molto appassionati, a ballate strappalacrime in cui la vocalità roca di P!nk mette i brividi. P!nk riconosce che esplorare nuovi livelli di vulnerabilità è stato tanto “ terribile“ quanto “straordinario”. «È stato come liberarmi della corazza ed ammettere che sono umana. Sono una ragazza. Tutti desideriamo essere amati ed amare. Non desideriamo altro», spiega. Sarà per questo che nel video del singolo, S o What, coinvolge l’ex marito, Carey Hart, dando vita a situazioni divertenti in cui sembrano essere ottimi amici, se non altro. Il disco, che prende il titolo dal brano rock-funky

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omonimo, è stato realizzato fra Londra e Stoccolma. Con lei Max Martin co-autore di Who Knew e Billy Mann che aveva già lavorato a successi come S tupid girls e Dear Mr. President (brano provocatorio dedicato all’uscente Presidente Bush) dal penultimo album I’m not dead del 2006. È con lei anche il padre – James – che ora ascolta la figlia cantare e le fa da manager oltre a guidarla in molte situazioni. È a lui che si deve l’idea di attaccare ad un dente di P!nk un vero diamante, come si vede nel video di Stupid girls? Non che a lei, Alecia Beth Moore, non possano venire in mente stranezze del genere: oltre ad avere due cani, Fucker e Corky, ha due topi che ha chiamato Thelma e Louise. Ha ben undici tatuaggi sparsi in vari punti del corpo e di varia natura e dimensioni. Ama scrivere all’indietro e non si contano le volte che i suoi capelli hanno cambiato tinta fino al rosa che, insieme al verde, sono i suoi colori preferiti. È un vero personaggio dello star system americano questa ragazza di origini irlandesi e tedesche che con il suo stile canzonatorio, un po’ punk a volte, ma sempre pop rock è stata con il suo singolo S o what ancora una volta ai primi posti per settimane nella classifica di Billboard. E non perdetevi il video di questo brano in cui è in mostra quel suo indomabile atteggiamento di sfida che l’ha resa celebre più che le sue sfuriate da McDonald’s dove ha lavorato prima di diventare un’icona del pop femminile. Qui arrivava in ritardo, odiava prendere gli ordini dei clienti e mangiava hamburger mentre serviva. «Signorina, lei è licenziata, si dia al canto!». Alecia non ci ha pensato molto, ma forse P!nk ci pensava da tanto… I


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Discografia P!NK CAN’T TAKE ME HOME 2000 M!SSUNDAZTOOD 2001 TRY THIS 2003 I’M NOT DEAD 2006 FUNHOUSE 2008 UOMINI&BUSINESS

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Meno di tre metri per quattro posti e senza rinunciare al comfort. Un concetto di auto del tutto nuovo per la rivoluzionaria city car della casa giapponese

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la più piccola di casa

Toyota DI ANDREA MONTICONE

Quando progettare un’auto non significa solo disegnare un prodotto, ma compiere una “rivoluzione mondiale”. È così che in casa Toyota vedono l’ultima nata, la “iQ”, la compatta con comfort da berlina, dove la “i” sta per innovazione e la “Q” per qualità, in particolare della vita. Hiroki Nakajima, ingegnere capo del progetto “iQ”, non esita a parlare di «concetto del tutto nuovo» per la sua creazione, spiegando di aver voluto creare una vettura che doveva suscitare «una forte impressione nei suoi possessori», portandoli a scoprire «nuovi piaceri e modificare il proprio stile di vita». Una filosofia di vita che diviene strategia costruttiva, ma soprattutto ricerca di innovazione. Innovazione che è l’unica cosa che, dicono dalla Casa, consente di realizzare in appena due metri e 98 centimetri una vettura a quattro posti, che non rinuncia al comfort. Perché è questa la grande

qualità di una vetturetta che nasce pensata per le grandi e convulse città, adatta a coloro che scelgono di muoversi con agilità e velocità, senza per questo rinunciare alla sicurezza e al piacere della guida, del viaggio. Per realizzare il loro sogno, gli ingegneri giapponesi hanno realmente innovato sul piano costruttivo: i sedili sono estremamente sottili, di modo da non occupare troppo spazio, e quando gli schienali posteriori vengono abbattuti la capacità di carico arriva a 238 litri; il serbatoio della benzina è piatto e inserito nel pianale; il cruscotto è realizzato in modo che il passeggero abbia abbondanza di spazio davanti a sé; persino il blocco del climatizzatore è più piccolo di quelli normalmente in commercio; le ruote, infine, sono posizionate agli estremi – secondo uno schema ormai ben chiaro ai costruttori – così da garantire un passo di circa due metri. Le misure ridotte, unite a un raggio di sterzata decisamente ottimo, 3,9 metri, la

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Motori

Per realizzare il loro sogno, gli ingegneri giapponesi hanno realmente innovato sul piano costruttivo: i sedili sono estremamente sottili, di modo da non occupare troppo spazio, e quando gli schienali posteriori vengono abbattuti la capacitĂ di carico arriva a 238 litri

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rendono la vettura ideale per districarsi nel traffico. Ma il suo motore tre cilindri da mille centimetri cubici – abbinato a un cambio rigorosamente automatico multidrive – garantisce un’erogazione di ben 68 cavalli, per una velocità massima dichiarata di 150 all’ora, con regime di coppia di 91 Nm. E i consumi sono stimati in circa 4,3 litri per 100 chilometri, con emissioni inquinanti al di sotto di quelle di una comune city car. Che non si tratti di una semplice city car, però, lo chiariscono ben più delle sue dotazioni, la ricerca e la filosofia costruttiva che hanno accompagnato i cinque anni della progettazione. Nakajima aveva ben parlato di una vettura che garantisse una «forte impressione» e quindi questa impronta non poteva che essere chiara fin dall’aspetto esteriore, dal design. L’ingegnere di Osaka, ma innamorato di New York, sostiene di essere attratto dalla regolarità delle stagioni e dalla capacità della propria gente di porsi in armonia con esse. Ecco allora che la ricerca stilistica diviene soprattutto ricerca dell’armonia: forme ed elementi

apparentemente discordanti devono fondersi in linee nuove, inedite, per formare un’armonia nuova. Missione apparentemente riuscita, a giudicare dai primi entusiastici commenti suscitati dalla vetturetta appena presentata. È un’auto che, quasi certamente, riuscirà a conquistarsi l’appellativo di trendy prima ancora che pratica. Dotata di serie di cerchi in lega da 15 pollici, ABS ed EDB, climatizzatore, volante e pomello cambio in pelle, elementi in cuoio nei sedili, computer di bordo, la “iQ” potrà a breve fregiarsi delle 5 stelle EuroNCAP grazie ai sistemi di controllo dinamico e ben 9 airbag, compreso quello a “tendina” per gli occupanti dei posti posteriori. Disponibile per il momento solo in bianco e nero, offre tra gli optional un pacchetto da 1200 euro che comprende clima automatico, sensori pioggia, fendinebbia, sistema d’avviamento senza chiave, e l’abbinamento del sistema di navigazione e impianto stereo. In attesa dell’arrivo sul mercato, a gennaio, per ora la vettura è in fase di prevendita al prezzo che Toyota definisce “di lancio” di 13.600 euro. I

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Motori

Viva l’auto

low price

Più piccole e più economiche, non solo nei consumi ma anche nel prezzo d’acquisto: queste le auto più richieste dal mercato. Ma, per favore, non chiamatele low cost DI MAURO COPPINI

È sorprendente come in un momento in cui l’attenzione ai prezzi è tale da far passare in secondo piano tutte le altre qualità dell’auto i costruttori più impegnati in questo campo compiano un errore di comunicazione che rischia di vanificare i loro sforzi. Il potenziale cliente, infatti, è ben poco impressionato dall’offerta di un auto low cost, al contrario ritiene che la finalità di questi prodotti sia quella di aumentarne la redditività per il

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costruttore e non di venire incontro alle esigenze di un mercato in difficoltà. È l’auto low price quella cercata con ostinazione dal consumatore. Che fatica a trovare una specifica identità perché manca ormai qualunque riferimento certo capace di definirla. Una vettura low price ha bisogno di un listino dei prezzi certo in grado di offrire un terreno di confronto neutro ed oggettivo. Ma il listino non c’è più, o meglio, è ormai ben poco rappresentativo della realtà. La crisi della domanda ne ha infranto tutte le regole. Promozioni, leasing,

noleggio a lungo termine, rendono quasi impossibile percepire la differenza tra un prodotto e l’altro perché una differenza di prezzo, anche rilevante, può essere affrontata semplicemente moltiplicando le rate del finanziamento. Per questo il mercato sembra ben poco disponibile, anche in tempi di crisi, ad imboccare la strada della rinuncia in cambio di un prezzo che risulta vantaggioso solo se paragonato ad un listino che viene quotidianamente contraddetto dalle offerte della rete di vendita. Specie se la rinuncia


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invade il campo del design, che rappresenta pur sempre la prima motivazione all’acquisto. Il prezzo di sedersi al volante di una vettura low cost la cui semplicità costruttiva trasmette un inevitabile senso di povertà è comunque troppo alto. Da qui deriva in gran parte lo scetticismo che ha accompagnato, e tutt’ora accompagna, la nascita di queste vetture. Perché non bastano i soli processi di semplificazione “selvaggia” a definire un nuovo prodotto capace di soddisfare le esigenze di economicità del prodotto salvaguardandone l’immagine. Senza contare che l’economicità di queste vetture discende in gran parte dall’utilizzo di una forza lavoro a basso costo. Un’opportunità ben lontana dal rappresentare una costante perché legata ad una qualità di vita destinata inevitabilmente a crescere. La soluzione del problema della lievitazione dei prezzi dell’auto, generati essenzialmente sul progressivo arricchimento del prodotto, è molto più complessa e ben più dispendiosa. Dopo oltre un secolo di vita l’auto avrebbe bisogno di una radicale rivisitazione. Il peso della tradizione, infatti, si fa sempre più insostenibile: non tanto e non solo dal punto di vista delle soluzioni tecniche quanto dall’indisponibilità ad accettare e valutare i cambiamenti di scenario che si sono verificati nel tempo e che ne

Le dimensioni non sono più centrali per l'utente. Ma la semplificazione "selvaggia" non basta a definire una nuova auto in grado di imporsi sul mercato hanno radicalmente mutato le condizioni di utilizzo. I prezzi elevati sono così il necessario risultato di un prodotto inadeguato che fatica a trasformare le sue ricercate specificità in controvalore per l’utente. Con il paradosso che veicoli costosi perché costruiti per prestazioni destinate a rimanere ormai confinate nel ruolo di crediti inesigibili nell’esperienza quotidiana, si rivelano inefficienti quando sono chiamati a confrontarsi con le velocità limitate che ne caratterizzano l’impiego quotidiano. La velocità abbandona la strada eppure continua ad occupare l'immaginario dei consumatori influenzandone i parametri di giudizio fino a rimuovere del tutto il conflitto irrisolto tra caratteristiche meccaniche e condizioni di utilizzo.

I costruttori assistono interessati ad un processo mentale che consente loro di sostituire auto che il mondo reale vorrebbe più piccole, economiche, limitate nelle prestazioni ma anche nei consumi, con modelli sempre più grandi, costosi e potenti. Eppure con quasi un miliardo di auto in circolazione sulle strade del mondo e con la previsione di un raddoppio nel 2020 il problema dello spazio occupato diventerà ben presto assolutamente prioritario. E infatti si avvertono i primi segni di un cambiamento che è il mercato stesso a sollecitare con il progressivo scivolamento della domanda dai segmenti alti a quelli più bassi. La rapidità con la quale lo scetticismo sui voli low cost, che sono poi low price, inizialmente dedicati alle fasce più giovani, fortemente attratti dai contenuti economici dell’offerta, si è trasformato nella piena adesione di utenti istituzionali pronti a riconoscerne i valori di efficienza e di razionalità, è la prova dell’indiscutibile consistenza del fenomeno. Per i costruttori l’obbiettivo è quello di riuscire a intraprendere un’opera di miniaturizzazione del prodotto in grado di condensare in veicoli di dimensioni e prezzi contenuti tutta la qualità che caratterizza le vetture più grandi ben consapevoli che la dimensione, di per sé, ha finito da tempo di rappresentare un controvalore per l’utente. I

Per i costruttori l’obbiettivo è quello di riuscire a intraprendere un’opera di miniaturizzazione del prodotto in grado di condensare in veicoli di dimensioni e prezzi contenuti tutta la qualità che caratterizza le vetture più grandi

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Motori

Cinque quadranti che sembrano quelli di una berlina e, sotto il sellino, spunta anche il posto per il notebook. Honda ha pensato alle richieste dei businessmen pi첫 esigenti con il nuovo SW-T400, in uscita a febbraio 2009 104

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Maxiscooter per professionisti DI GIANNI RUSPINO

La business class viaggia in maxiscooter grazie a Honda. Il nuovo SW-T400 firmato dalla casa nipponica è uno scooter che nasce pensato proprio per le esigenze di chi lavora in città e deve giostrarsi nel traffico urbano senza farsi imprigionare nelle strade congestionate delle metropoli, ma anche per chi abita nell’hinterland e tutti i giorni deve fare molti chilometri per recarsi in centro. Il professionista, l’uomo d’affari sempre in corsa contro il tempo necessitano di un mezzo di trasporto agile e veloce, che sia una valida alternativa all’automobile. Ma per esserlo, hanno ragionato in Honda, deve garantire il comfort di un’auto, deve consentire di arrivare sul luogo di lavoro o a un appuntamento in perfette condizioni: ordinati e puliti. E deve consentire di portarsi dietro gli strumenti di lavoro in maniera non faticosa. «È essenziale anche poter trasportare comodamente un passeggero e/o caricare a bordo tutto il necessario. Infine, un'adeguata protezione in caso di maltempo, tanta affidabilità, sicurezza di guida ed un motore brillante e regolare sono altre esigenze primarie. Tutti desiderano questo livello di prestigio, un complemento straordinario per uno stile di vita realmente moderno. Ma pochi possono offrirlo. In altre parole, l’alternativa non deve mai avere il sapore di un compromesso al ribasso!» spiegano dalla Honda. La risposta a queste esigenze, per la casa nipponica, è appunto l’SW-T400. Per il comfort da business class possiamo subito notare un comodo e soffice sellone biposto, una ridotta altezza da terra –appena 74 centimetri – che ben si sposa con il supporto naturale, corollario di una posizione di guida naturale e niente affatto faticosa anche per i viaggi più lunghi. Il sottosella, illuminato all’apertura, può ospitare due caschi, oppure – ed ecco la razionalità della scelta per i professionisti – un notebook, una borsa. A questo si aggiunge un ampio vano anteriore – dotato di serratura, con presa 12V per ricaricare il cellulare – e una profonda tasca portaoggetti per tenere a portata di mano i documenti necessari. Praticità ed eleganza. Come bene ci suggeriscono la carenatura moderna, filante e compatta, finiture impeccabili e un’estrema attenzione ai dettagli, con lo scudo anteriore caratterizzato dal nuovo design del doppio faro e delle grandi frecce multi-reflector con lenti chiare. La palpebra dei fari accompagna il profilo della lente verso l’alto. E bene si integra con un elegante parabrezza, coniugando l’esigenza di protezione con una ricerca aeorodinamica che è la migliore della categoria. La vista laterale è caratterizzata da sinuose curve ben raccordate, che terminano in un codone rastremato, impreziosito dal caratteristico “spoiler”. Infine, il gruppo ottico posteriore sdoppiato con una prestigiosa combinazione di fari ed indicatori di direzione che richiama il look delle luci anteriori. Quando si sale in sella, poi, non è possibile non notare la moderna strumentazione a cinque quadranti, che ricorda la plancia di berline di classe superiore. Giusto per confermare che l’alternativa all’auto non deve essere una scelta al ribasso. Nella strumentazione, si fa apprezzare il display a cristalli liquidi con pratico indicatore del consumo di carburante, spia dell’antifurto HISS e della trasmissione. Completano il pacchetto dei dettagli accattivanti le quattro nuove colorazioni: Sword Silver Metallic, Pearl Cosmic Black Metallic, Candy Graceful Red e Pearl Sunbeam White. Il motore è il potente bicilindrico parallelo – l’unico della sua categoria, tengono a sottolineare con orgoglio da Honda – da 399 centimetri cubici a iniezione, quattro tempi e otto valvole, e raffreddato a liquido, con una potenza analoga ai maxiscooter di cilindrata superiore: 39 cavalli a circa UOMINI&BUSINESS

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Motori 8mila giri. I valori di coppia, accelerazione e velocità massima sono al “top” della categoria, abbinati ovviamente a una erogazione fluida e regolare, che garantisce il brio, ma senza “strappi”. Tutta la ciclistica – il telaio è a trave dorsale centrale con tubo in acciaio – è congeniata per combinare prestazioni, comodità e sicurezza. In particolare nella versione con ABS Combinato vengono assicurate prestazioni impareggiabili in fase di frenata, grazie ad un sistema antibloccaggio di nuova concezione. Per la trasmissione del moto alla ruota posteriore, l'SW-T400 si avvale del sistema V-Matic. Catalizzatore e nuovo sistema HECS3 per "filtrare" le emissioni inquinanti e rispettare la normativa Euro3. Per le prime consegne in concessionaria si parla ormai di febbraio 2009: il prezzo di poco superiore ai 6mila euro. Poco, per un’alternativa all’auto più comoda e meno dispendiosa. I

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Il più potente della sua gamma e il più accessoriato. Il nuovo SW-T400 è la migliore alternativa all’auto per i professionisti che devono fare ogni giorno lunghi spostamenti o muoversi con agilità nel centro della città

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Motori

Creata per essere al centro della scena. E non solo per lo scafo nero opaco con sovrastruttura in bronzo. Le rifiniture ricercate e l’arredamento di design fanno di questa imbarcazione della Fashion Yachts un inconfondibile gioiello dei mari

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Fashion 85’

DI PAOLO SCATTOLINI

Tutte le realizzazioni Fashion Yachts, anche grazie all’intraprendenza del suo fondatore, e attuale amministratore, Fabrizio Politi, interpretano la filosofia delle imbarcazioni High Level e nascono dalla volontà di portare gli elevati standard di prestigio e qualità riservati ai grandi yacths anche alle soluzioni di medie dimensioni. A caratterizzare tutti i modelli della scuderia Fashion Yachts di Pisa sono il Design, il Comfort e l’Innovazione. Vengono utilizzati materiali pregiati e ricercati, non usuali nella nautica (per esempio il pavimento in foglia d’oro nel Fashion 68’, o la pelle di coccodrillo nelle pareti del Fashion 55’). Le barche prodotte sono le maggiori per volumetria nelle loro categorie e sono il frutto di una continua ricerca di estensione e vivibilità degli spazi. Grande impegno anche nella valorizzazione degli

ambienti attraverso l’applicazione di soluzioni tecnologicamente avanzate, come per esempio l’Hard Top in cristallo sostenuto da una sovrastruttura in carbonio che si può oscurare o illuminare grazie a un sistema di cristalli e led adottato nel Fashion 88’. Il cantiere toscano si presenta con la formula ‘Full optional’. L’armatore che decide di scegliere la linea Fashion Yachts (Open con hard Top) sceglie lo stile unico del marchio, lussuoso e inconfondibile, ma sceglie anche di realizzare un’opera unica, una barca che lo rispecchi totalmente. Inoltre la scelta di un materiale, una rifinitura o un particolare oggetto d’arredo non determinano una variazione nel costo dell’imbarcazione. Fashion 85’, l’anima nera del mare, è la nuova creatura creata per stupire, per vivere emozioni, per essere sempre al centro della scena. È un modello unico, che solca i mari con uno scafo color nero opaco con sovrastruttura in bronzo. La grossa UOMINI&BUSINESS

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Motori novità di questo modello di quattro cabine riguarda il prendisole. Si tratta di un’area libera arredata con poltrone Chaise longue e sedute di design per creare una zona living vista, fino ad oggi, soltanto nelle aree esterne delle ville lussuose o dei mega yacht e mai ricreata su imbarcazioni di 85 piedi. Grazie a un particolare sistema di fissaggio e bloccaggio delle sedute è possibile rivoluzionare facilmente la distribuzione degli arredi per creare ogni volta la ‘scena’ adatta al momento. Gli interni del primo esemplare Fashion 85’ prodotto a Pisa, giocano con i toni della pelle bordeaux e del raffinato e caldo acero opaco, per una barca elegante e ricca di stile, che offre eccellenti prestazioni e comfort. Un esemplare unico come solo un Fashion Yachts sa essere. Sul ponte inferiore troviamo le cabine ospiti con rivestimenti e mobili in acero lucido, la cabina VIP in acero opaco e sky, e la cabina armatoriale con rivestimenti e mobili in acero lucido accoppiati a palissandro e pelle di colore bordeaux. Le testiere dei letti sono in pelle bordeaux. I cielini cabine sono in sky avorio e i cielini servizi laccati avorio. I paglioli sono a listoni tanganica frisè bianco per le cabine e corian bianco per i servizi. Nei bagni troviamo top in corian rosso pompeiano. Nel ponte superiore l’arredamento è in acero opaco. I paglioli sono a listoni tanganica frisè bianco. Le finiture del salone e i cielini sono in sky avorio. La timoneria è in pelle stampata coccodrillo di colore bordeaux.

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Anche i più piccoli dettagli non sono lasciati all’improvvisazione. Le finiture della scala equipaggio sono in acero opaco e pelle bordeaux. Le finiture delle scala cabine interamente in pelle bordeaux. I locali equipaggio hanno le stesse finiture delle cabine e la cucina è completa di elettrodomestici, compreso forno ventilato, lavastoviglie e lavatrice. Le cabine sono accessoriate con TV, decoder, radio + lettore dvd, presa Usb esterna, impianto con accessori e cavi professionali. Nel ponte superiore abbiamo un impianto audio Bose 5.1, mentre il prendisole esterno di poppa è equipaggiato con radio e impianto audio 4.1 separato. Ogni particolare è ricercato e curato all’estremo. La forma diventa parte integrante dello stile e l’elemento distintivo, ogni volta scelto con grande approfondimento dei gusti del cliente, contribuisce a caratterizzare e conferire personalità alla barca stessa così fortemente, tanto da poterne riconoscere, quasi al primo sguardo, il suo armatore. Grande attenzione è stata riservata anche alla scelta della propulsione. A bordo sono alloggiati due entrobordo turbodiesel MAN da 1.500 cavalli di potenza massima accoppiati, tramite invertitori ZF, a trasmissioni con eliche di superficie SDS5 per velocità massime a medio carico dell’ordine dei 39 nodi. Ottimo risultato considerando dimensioni e stazza dell’imbarcazione che si presenta con una lunghezza fuori tutto di 22,97 metri e con serbatoi da 5.500 litri per il carburante e 1.500 litri per l’acqua. Il costo della signora del mare è di 4,2 milioni di euro. I


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La novitĂ di questo modello di quattro cabine riguarda il prendisole. Si tratta di una zona living dai dettagli d'arredo finora visti solo nelle aree esterne dei mega yachts e mai ricreata su imbarcazioni di 85 piedi

Foto di Roberto Pistone

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Gli Speciali

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A CURA DI ANNA ZAFFONI

La crisi dell’auto non frena il noleggio ma sul 2009 pesa l’incognita Usato Confermandosi un settore anti-congiunturale il comparto del noleggio veicoli chiuderà il 2008 con fatturato, flotta e immatricolazioni in crescita. Previsioni incerte sulla prima parte del nuovo anno, causa crisi mondiale e “promozioni selvagge”. Le nuove frontiere? Pmi e Green Car Scrollatosi di dosso le incertezze fiscali che gli avevano guastato il 2007, il settore del noleggio veicoli si appresta a chiudere l’esercizio in corso brindando alla propria anti-congiunturalità. Mentre un po’ ovunque si cominciano a contare le numerose, prime vittime dello tsunami economico-finanziario che ha investito il pianeta, e in quasi tutti i settori ci si prepara a chiudere bilanci 2008 che di roseo hanno veramente ben poco (per non parlare di quelli, rosso fuoco, del mercato dell’auto), il comparto in questione prevede di archiviare l’esercizio in corso sotto il segno della crescita, sia in termini di fatturato (+ 5 per cento), che di flotta gestita (+ 5 per cento), che di immatricolazioni (+ 4 per cento). Una fotografia, quella scattata dall’Aniasa (l’Associazione nazionale industria dell’autonoleggio e servizi automobilistici di Confindustria), che mostra un settore in salute. Attenzione, però: non è che anche lì le cose negli ultimi tempi siano state rose e fiori. «Anche noi avvertiamo i contraccolpi della crisi economico-finanziaria in atto – conferma Roberto Lucchini, presidente di Aniasa e amministratore delegato di Avis – Tutto è andato più che bene fino a luglio-agosto, tanto è vero che nel primo semestre il fatturato era cresciuto addirittura del 7 per cento. Poi, a partire da settembre, abbiamo cominciato a risentire del rallentamento delle attività negli altri settori. Ecco perché siamo molto contenti del fatto che riusciremo a chiudere l’anno in corso con una crescita del 5 per cento del fatturato, che ci porterà a superare quota 4,8 miliardi di euro. Allo stesso tempo siamo anche consci del fatto che, nonostante la nostra funzione anti-congiunturale, ci aspetta una prima parte del 2009 piuttosto difficile. Tanto per incominciare...poi vedremo come andranno le cose...». «Quel che è certo – aggiunge Lucchini – è che al di là dell’attuale situazione, dettata da uno scenario congiunturale da cui sarebbe impossibile non risultare toccati, il noleggio è un settore che, sebbene praticamente ignorato sul fronte normativo, in Italia fa segnare indici in crescita da oltre un decennio. A fronte di questo sviluppo, purtroppo mancano ancora da parte delle istituzioni sia un’attenta considerazione delle potenzialità del comparto nell’ambito dell’industria automobilistica sia concrete politiche di mobilità sostenibile». Proprio su quest’ultimo fronte, l’ultimo Rapporto Aniasa sullo stato di salute del settore evidenzia il considerevole aumento registrato nel 2008 dalla richiesta di auto a basso impatto ambientale (+100 per cento sul 2007, anche se con volumi ancora ridotti:

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circa 8.000 vetture). «È comunque un importante segnale del sempre maggiore interesse degli operatori e della clientela del noleggio all’ambiente e alla mobilità sostenibile», commenta Lucchini. Il trend di crescita registrato dalla quota di immatricolazioni del noleggio veicoli sull’intero mercato evidenzia inoltre il concreto contributo del settore allo svecchiamento del parco auto circolante, grazie all’elevato turnover dei veicoli (in flotta per 6-8 mesi nel breve termine e per 36 mesi nel lungo termine) e alle continue manutenzioni e ai controlli sulle auto in flotta per il contenimento delle emissioni. Un altro fattore positivo che gioca a favore di una maggiore tutela ambientale. Per quanto riguarda la clientela, le iniziative di quasi tutti gli operatori del noleggio finalizzate alla sensibilizzazione dei propri clienti e alla riduzione della produzione di CO2 sono la migliore testimonianza dell’attenzione del settore alle tematiche green. E se all’inizio si poteva pensare a un interesse circoscritto alle grandi multinazionali, ora invece è evidente l’estendersi di una reale “attenzione ambientale” in merito alle flotte anche alle aziende di minori dimensioni e alle pubbliche amministrazioni. Un altro tema piuttosto importante, quando si parla di noleggio a lungo temine è quello dell’Usato. Nei primi sei mesi del 2008 il business legato alla vendita di veicoli usati (e restituiti a fine noleggio) ha registrato un sensibile incremento (+ 25 per cento). Questa specifica attività aziendale sta diventando un fattore sempre più rilevante nelle strategie imprenditoriali del settore. «Da più parti – sottolineano in Aniasa – è stata rilevata la perdurante, mancata considerazione dell’usato con motorizzazione Euro 4 nell’ambito delle iniziative governative per la rottamazione. L’obiettivo di rottamare le auto pre Euro o Euro 1 e 2 potrebbe essere perseguito in modo più rapido, prevedendo le agevolazioni anche per chi acquista vetture usate Euro 4, come quelle, ad esempio, garantite e certificate dalle aziende di noleggio». Ma non è sempre tutto oro quel che luccica. Il mercato dell’Usato, dove le società di noleggio sono di fatto top player, sta diventando ogni giorno che passa fonte di nuovi grattacapi. «Purtroppo l’attuale andamento fortemente negativo del mercato dell’auto fa sì che, pur di riuscire a vendere, ci siano grandi promozioni sul Nuovo – spiega il presidente di Aniasa Roberto Lucchini – e questo ci costringe ad abbattere il valore finale dei prodotti che noi diamo in noleggio, con innegabili impatti negativi sui margini». Eh sì, il 2009 si preannuncia non proprio un’annata tranquilla... I


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Peugeot: con Mobility alla conquista di Pmi e liberi professionisti

Il vero punto di forza del mercato italiano del noleggio a un Regno Unito al 57 e una Germania che arrivava addirittura al 62 lungo termine? Se qualcuno avanza ancora qualche dubbio, quello per cento». non è certo Andrea Valente, Direttore Vendite Flotte di Peugeot Un altro “freno”, almeno in questo periodo di crisi, pare Automobili Italia (gruppo Psa). Per lui la risposta è una sola: il essere il problema dell’Usato... «Apparentemente il mercato tiene – grande potenziale, ancora inespresso, delle Pmi, delle ditte indivi- commenta Valente – ma in realtà sappiamo che è in leggera flessione, duali e dei liberi professionisti. Non a caso è proprio alla conquista un problema strettamente legato al fatto che in questi momenti di di queste nuove fasce di clientela che la casa del Leone ha dedicato mercato dell’auto in calo, le promozioni sul Nuovo si intensificano. Peugeot Mobility, servizio operativo dall’inizio dello scorso maggio Da parte nostra pensiamo che occorra, oggi più che mai, far fronte diretto a soddisfare le particolari attese del noleggio a lungo termi- al problema con una gestione estremamente attenta dei prezzi ne non soltanto di grandi aziende e di società specializzate, ma anche dell’Usato e una valutazione fatta con estrema prudenza. Come di soggetti come le piccole e medie imprese o i singoli professionisti, Peugeot noi disponiamo di un Centro dell’Usato altamente qualifimettendo in campo proposte fortemente personalizzate. «Siamo cato, che punta a fare di questo mercato un mercato di Serie A come coscienti che ci sono barriere culturali ancora da superare – com- è negli Stati Uniti, dove tutto il business della concessionaria è dato menta Valente – legate soprattutto al fatto che le piccole realtà dall’Usato e dall’assistenza». imprenditoriali e i singoli professionisti stentano a riconoscere i Sappiamo che il problema della mobilità sostenibile coinvolvantaggi derivanti da questa formula finanziaria rispetto all’acqui- ge sempre di più anche le flotte aziendali: avvertite anche voi un sto del veicolo o al leasing. Ma crediamo anche che tutto questo incremento nella domanda di soluzioni a minor impatto ambientale? possa essere superato mettendo al servizio del potenziale cliente una «Di certo la sensibilità verso questi temi è crescente – spiega Valente grande capacità di informazione e di consulenza; e in questo senso – ma non è detto che l’acquisto di vetture ecologiche vada di pari noi abbiamo intenzione di metterci in prima linea offrendo tutto il passo con l’interesse, in quanto in alcuni casi i costi sono ancora nostro know how e la nostra professionalità direttamente sul terri- troppo alti... Quella della mobilità sostenibile è comunque una battorio, sfruttando al meglio la capillarità e la capacità della nostra taglia che ci vede in prima linea da molto tempo, oserei dire che ci rete commerciale». Obiettivi: 1500 contratti Peugeot Mobility tra possiamo considerare quasi dei pionieri in questo campo. Nel 2000 Pmi e liberi professionisti da qui a fine 2009. fummo infatti i primi, con la 607, a introdurre il FAP, il filtro attivo Sul futuro del comparto, sia pur con una certa prudenza, in che arriva ad annullare il particolato emesso allo scarico dell’autocasa Peugeot le previsioni si allineano con quelle di Aniasa e degli vettura, oggi disponibile su tutta la gamma. E in futuro la ricerca altri player: «Nel 2009 – dice Valente – nonostante la crisi in atto, per una mobilità sempre più sostenibile continuerà a essere una prioprevediamo una sostanziale stabilità del settore Società, grazie rità di Peugeot, una volontà confermata nei fatti dai concept presensoprattutto a una maggior crescita del noleggio a lungo termine, a tati in ottobre al Salone di Parigi, esempi di come si possano mantefronte di un calo nel mercato Privati». nere inalterate le prestazioni, e in molti casi Una maggior spinta allo sviluppo del setaccrescerle, riducendo i consumi e abbattentore cosiddetto “aziendale” potrebbe però do le emissioni nocive». A medio termine venire dallo Stato, modificando un trattalavoriamo infatti su un nuovo concetto di mento fiscale che attualmente agisce da ibrido, ove il motore elettrico è abbinato a freno: «La quota di deducibilità dei costi e un motore Hdi con FAP. Un altro esempio di detraibilità IVA – sottolinea Valente – di questi nuovi concept lo vedremo applicarisultano penalizzanti. E il risultato è to alla Peugeot 308 tra poco più di un anno. sotto gli occhi di tutti: a fronte di una Si tratta della modalità “Stop and Start”, penetrazione del mercato italiano dell’auche consente al motore di spegnersi al semato relativo al comparto Società che nel foro quando si disinnesta la marcia e di riac2007 era del 27 per cento, avevamo una cendersi automaticamente quando la si reinAndrea Valente, Direttore Vendite Spagna al 41 per cento, una Francia al 43, nesta, in 480 millesimi di secondo. I UOMINI&BUSINESS

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Etica d’impresa e mobilità sostenibile nel Dna di

per Ghinolfi in particolare non sono solo parole legate ad eventi sporadici, ma parti integranti dei rispettivi Dna. «Siamo partiti quattro anni fa – ricorda Ghinolfi – con il pieno appoggio del Gruppo Bnp Paribas che è da sempre attento a queste tematiche, dando il via a un progetto con i nostri dipendenti sull’etica in azienda, facendo loro formazione su ciò che vuol dire responsabilità sociale d’impresa, ben consci che tutto ciò si fa su base volontaria e che non è gratuito. Ma anche convinti che a lungo andare, lavorare eticamente garantisca In Italia è sbarcata nel 1995, con alle spalle una casa madre dei ritorni adeguati. Dopo i dipendenti abbiamo cominciato a lavorare sui forniche vanta l’appartenenza a un gruppo tra i più conosciuti sullo scacchiere bancario e finanziario europeo (Bnp Paribas) e una posizione tori, per poi arrivare ai clienti con argomentazioni, motivazioni e di leadership nel mercato del noleggio a lungo termine e della proposte concrete sul perché sarebbe stato meglio e più conveniente gestione delle flotte aziendali del Vecchio Continente. Detto questo, orientarsi su scelte eco-sostenibili». Perché, Ghinolfi ne è certo, la la filiale italiana di Arval non si può negare abbia decisamente bru- sola strada per riuscire davvero a cambiare le cose è avviare un circociato le tappe, innescando una crescita rapidissima che in pochi anni lo virtuoso che coinvolga tutti gli stakeholder: aziende, dipendenti, l’ha portata a giocare con i top player, fino a conquistare la maglia fornitori e clienti. Da qui l’idea di creare Ecopolis, un “progettodella Numero Uno: con un parco circolante di oltre 110.000 veicoli contenitore virtuale”che impegna Arval in un percorso di eco-iniziae più di 14.000 aziende clienti, la società ha infatti chiuso il 2007 tive in favore della mobilità sostenibile. Tra le tante vale la pena di con 32.000 nuove immatricolazioni e una quota di mercato del 20,9 segnalare gli Ecopolis Mobility Point, ovvero una rete di officine per cento (fonte Databank), confermandosi al primo posto tra le d’eccellenza convinte ad adottare uno stile di lavoro più etico e società del noleggio a lungo termine operanti in Italia. «Come rispettoso dell’ambiente. «Ultimamente – aggiunge Ghinolfi – le abbiamo fatto a crescere così in fretta? Semplice – spiega con non- stiamo addirittura coinvolgendo nella creazione di un campo fotochalance l’amministratore delegato di Arval Italia, Paolo Ghinolfi voltaico da gestire assieme ai fornitori». Oppure l’accordo con la – abbiamo passato i primi dieci anni ad agire come una società di Provincia di Milano che prevede la piantumazione di 12.000 alberi in quattro aree predefinite, che vadano a consulenza, mandando i nostri uomini in compensare le emissioni di CO2 del parco giro per le aziende dotati di soli fogli bianauto aziendale di Arval: l’operazione è già chi, per chiedere, capire, scoprire i problepartita e verrà certificata da una società mi inespressi dei clienti, in modo da poter indipendente, la Rina. Poi c’é l’Arval Fleet poi offrire loro prodotti ad hoc, veramente Award: nato quest’anno in collaborazione personalizzati. Questo è stato l’elemento con la Uiga (l’Unione italiana dei giornalichiave del nostro sviluppo». Uno sviluppo sti dell’automotive), verrà assegnato annualche dal 2004 ad oggi, e sempre di più in mente al nuovo modello di vettura per il futuro, sarà all’insegna della responsabilità mercato europeo che garantirà una mobilità sociale d’impresa e della mobilità sosteniche minimizza l’impatto ambientale. I Paolo Ghinolfi, amministratore delegato bile. Termini che per Arval in generale, e

Arval

Alphabet Italia scommette su

qualità, flessibilità e risorse umane Puntare più sulla qualità che sui volumi, sull’elevata professionalità delle risorse umane e su un’offerta sempre più flessibile, che risponda al meglio alle singole esigenze di mobilità dei clienti. Soprattutto a quelli appartenenti a quel bacino non ancora conquistato appieno, ma che resta nel mirino: le Pmi. Questi i piani di Alphabet Italia, braccio italiano del gruppo Bmw che opera nel noleggio a lungo termine ed è guidata dal General Manager Maurizio Ceci. Con una quota di mercato che nel 2007 ha raggiunto il 5,5 per cento (fonte Databank), la società, che ha festeggiato quest’anno il suo ottavo compleanno tricolore, si posiziona al sesto posto tra i maggiori top player del comparto, forte di quasi 9.800 immatricolazioni. E se nei primi sei mesi del 2008 il mercato delle

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piccole e medie imprese non ha dato grandi soddisfazioni, quello delle grandi aziende ha fatto segnare sul versante degli ordini un bel + 5 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Mentre sul fronte dell’immatricolato, nello stesso periodo, l’incremento anno su anno è stato del 20 per cento. Certo, anche in casa Alphabet Italia non negano che la crisi in atto abbia già iniziato a farsi sentire attraverso pressione sui margini, deperimento del valore dell’usato e conseguente difficoltà nel fissare i valori residui futuri. Ma quando si parla di grandi aziende, vale a dire del segmento che gli addetti ai lavori chiamano Premium, il mercato tiene ancora. Magari si opta per auto di un segmento più basso, o per contratti di minor durata. Ma al noleggio no, a quello non si rinuncia. Ancora. I


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Crescita “verde”, ma non solo, nel futuro di

LeasePlan Italia

In Italia si classifica al aziende potrebbe scegliere di rinunterzo posto tra i big del noleggio a ciare alla proprietà per passare al lungo termine (fonte Databank, noleggio a lungo termine». Certo, immatricolazioni 2007), con una una certa barriera culturale da quota di mercato pari al 13,2 per superare c’é, Hàjek non lo nega. Ma cento, un fatturato che l’anno scorsi dice fiducioso, come pure sulle so è salito del 5 per cento a 762 potenzialità di sviluppo anche in milioni di euro, una flotta gestita Italia di una mobilità sostenibile. di circa 100.000 veicoli e più di Una tematica, quella 500 addetti sparsi per l’intera ambientale, che il gruppo ha scelto Penisola. Ma LeasePlan Italia è di affrontare a livello globale lo anche l’avamposto tricolore di un scorso anno attraverso il lancio del gruppo presente in 30 paesi (prosprogetto GreenPlan. Nato per sima apertura: Messico) e quattro incentivare le aziende clienti a renFlotta Mercedes diversi continenti, controllato da dere sempre più “verde” il proprio un consorzio formato dal Gruppo Volkswagen (50 per cento), dalla parco auto, grazie a un sofisticato strumento informatico denominaMubadala Development Company (25 per cento) e dal Gruppo to EcoCalculator, GreenPlan consente di determinare l’impatto Olayan (25 per cento), che con un portafoglio noleggio consolidato ambientale di una qualsiasi flotta aziendale e di stabilire gli obiettidi 14,4 miliardi di euro è leader europeo nel mercato della gestione vi di una progressiva riduzione delle emissioni inquinanti di CO2 flotte e uno dei maggiori player globali di questo settore. (ottenibili per esempio con la sensibilizzazione dei conducenti alla «Siamo soddisfatti dei risultati raggiunti fin qui sul mercato scelta di vetture ecocompatibili). Finché non verrà raggiunto italiano – commenta l’amministratore delegato di LeasePlan Italia l’obiettivo di riduzione che l’azienda si è data, il cliente potrà comJaromìr Hàjek – ma è ovvio che guardando all’enorme divario di pensare le maggiori emissioni di CO2 aderendo a vari progetti che si penetrazione che separa ancora il mercato del noleggio a lungo ter- distinguono per sostenibilità ambientale e sociale. La stessa mine del Belpaese da quello di altre nazioni come per esempio LeasePlan ha deciso di compensare totalmente le emissioni di CO2 l’Olanda o il Regno Unito, di lavoro da fare ce n’é ancora tanto. Il della propria flotta interna con la riforestazione di un’area nei prespotenziale è vasto, e con una giusta agevolazione fiscale il comparto si del Parco di Veio a Roma (vicino al quartier generale della sociepotrebbe svilupparsi bene e in fretta. Tutto sta a presentare il noleg- tà). L'iniziativa è partita a metà novembre, prevede la piantumaziogio a lungo termine nella maniera giusta». In che senso? «Il nostro ne di circa mille alberi ed è condotta in collaborazione con Ufficio Studi – spiega Hàjek – ha recentemente pubblicato un’ela- AzzeroCO2, partner di LeasePlan nel progetto GreenPlan. Ma l’imborazione, fatta in base a dati Aci, che mostra come negli ultimi dieci pegno di LeasePlan sul fronte ecologico non si ferma certo qui. La anni il costo di esercizio annuo complessivo di un’auto in Italia sia società ha infatti anche lanciato una proposta d’incentivazione fiscaaumentato del 31 per cento, a fronte di un aumento dell’inflazione le alla mobilità aziendale sostenibile, ipotizzando una possibile nello stesso periodo del 26 per cento e del estensione del bonus di 2.000 euro, già in prezzo su strada di un’auto media del 20 vigore per gli acquisti di vetture con aliper cento. Ricorrendo al noleggio a lungo mentazioni alternative (a metano, Gpl, elettermine, le aziende potrebbero ottenere triche e idrogeno), a tutti i nuovi veicoli l’automobile che desiderano e tutti i beni e aziendali a benzina o gasolio, purché rispetservizi necessari per utilizzarla, dietro il tino una soglia di emissioni CO2 inferiore ai solo pagamento di un canone mensile pre120 g/km, coerentemente con i parametri determinato all’inizio del contratto, menUE fissati per il 2012. «Si tratta di una protre tutti i rischi di futuri aumenti dei costi posta in linea con le esperienze dei maggiodi esercizio se li accollerebbe la società di ri paesi europei – sottolinea Hàjek - in attenoleggio. Ecco perché credo che, se ben sa di un’auspicabile armonizzazione della spiegato, questo concetto possa far sì che in fiscalità delle company car, legata alle emisfuturo un numero sempre crescente di sioni di CO2 all’interno dell’Ue». I Jaromìr Hàjek, amministratore delegato UOMINI&BUSINESS

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Roberto Ferrari (SprintAuto): «Per le Pmi serve un nuovo approccio con i Dealer” «Credo che il primo semestre 2009 evidenzierà una sostan- In che senso? «Il mercato delle piccole e medie imprese – spiega ziale tenuta delle performance conseguite nell’ultimo periodo dal Ferrari – di cui ci tengo a sottolineare la rilevante importanza per comparto Fleet, registrando però una trasformazione delle quote di sostenere il settore Flotte l'anno prossimo, è da considerarsi un busipenetrazione delle case costruttrici in questo canale». È lapidario ness sostanzialmente in mano ai Dealer. In questi anni tutte le granRoberto Ferrari, classe 1973, che essendo cresciuto a pane e conces- di società di noleggio hanno costituito Divisioni, assunto broker, sionario di famiglia (SprintAuto, una delle prime concessionarie in creato sistemi informatici proponendo il proprio modello ai Dealer Italia per l’Alfa Romeo), il mondo del noleggio lo conosce molto più importanti. Questo modello però, nella sostanza, non ha dato i bene, in virtù di una consolidata collaborazione con le società del frutti sperati sulle Pmi, in quanto i concessionari, i quali sono chiasettore e 4000 macchine vendute su noleggio. «È naturale che con la mati ad essere la parte “hardware” del business , hanno necessità di crisi in atto – spiega Ferrari – il fenomeno comunemente conosciu- ragionare con logiche reddituali e pushing commerciale più consoni to come downsizing sarà ancora più spiccato e sostanziale: molte car al tradizionale settore dell'automobile. La trattativa one to one, il policy verranno ridefinite con un occhio di riguardo sempre maggio- trade in, l'assistenza tailor made devono insomma diventare la base re verso ecosostenibilità e risparmio». Secondo Ferrari «il mercato dell'offerta del prodotto di noleggio che il concessionario deve poter delle Flotte subirà contrazioni importanti sul fronte delle multina- proporre alla propria clientela. Purtroppo oggi non è affatto così. zionali, in questo momento impegnate a fronteggiare la crisi finan- La strategia si limita all'utilizzo di un sistema informatico per fare ziaria mondiale, ma allo stesso tempo trarrà beneficio dalla necessi- preventivi e alla possibilità di definire il proprio mark-up in funziotà di ridurre i costi di mobilità e di liberare liquidità da parte di ne del canone accettato dal cliente». In sostanza lei reputa che ad tutte quelle società di media dimensione che affronteranno il tema oggi le società di noleggio abbiano considerato superficialmente la dell'automobile aziendale come un asset su cui basare risparmi e partnership con i Dealer? «A mio parere – dice Ferrari – il futuro cassa». Quindi le Pmi sono il vero nuovo sbocco del noleggio a lungo dovrà passare attraverso una vera e propria integrazione tra case termine? «Sì. Oltre alla flessibilità e alla automobilistiche, società di noleggio e terrivelocità decisionale delle grandi aziende – torio, dove il territorio, comunque la si sottolinea Ferrari – reputo che la vera voglia vedere, è in mano ai concessionari». forza del nostro mercato sia l'enorme Ha un sogno nel cassetto? «Si – confessa – opportunità data dalla frammentazione Diventare concessionario ufficiale non solo delle flotte su di una mole realmente impordelle case automobilistiche, ma anche di tante di Pmi e di partite Iva operanti sul alcune società di noleggio, che pur essendo territorio nazionale. Per poterla cogliere, veramente forti non hanno ancora intravisto però, il comparto dovrà indiscutibilmente in quello che le ho appena espresso la vera tarare la propria azione in maniera più chiave di volta per costruire il mercato di Roberto Ferrari appropriata su tutto il mercato Aziendale». domani». I

GE Capital per la flotta ecologica Obiettivo: offrire un supporto a tutte le aziende che vogliono trasformare il proprio parco auto in una “flotta verde”. Nasce così l’idea di Clear Solutions, il servizio targato Ge Capital Solutions Fleet Services lanciato a livello europeo lo scorso giugno dalla società che fa capo al colosso mondiale operativo nei campi più diversificati, tra cui anche quello della fornitura di leasing, noleggio e servizi accessori per aziende e liberi professionisti. Attivo in quest’ultimo settore nel Belpaese attraverso Ge Capital Solutions Italia, sul mercato nostrano vanta attualmente circa 44.000 clienti e una flotta gestita di oltre 20.000 veicoli. Con 7.600 immatricolazioni nel 2007, in base alla classifica stilata da Databank, si piazza al settimo posto tra i top player del mercato italiano, con una quota pari al 4,3 per cento. «Clear Solutions – commenta Massimiliano Nunziata, amministratore delegato di Ge Capital Solutions Italia – si caratterizza per essere

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uno strumento che, oltre alla consulenza informativa, aiuta concretamente a costruire e implementare una car policy ecologica. Questo servizio fornisce infatti ai responsabili dei parchi auto aziendali, strumenti informativi e pratici per analizzare e ridurre le emissioni di CO2, nonché un pacchetto di consulenza che permette ai nostri clienti di progettare e implementare politiche più ecologiche». Grazie a Clear Solutions è possibile: visualizzare istantaneamente online il livello di emissioni della flotta in noleggio; una volta analizzato lo status quo del proprio parco auto, è poi possibile selezionare alternative eco-compatibili attraverso un configuratore che fornisce una comparazione auto per auto in base a diversi criteri (alimentazione, cilindrata, potenza, consumo, livello di CO2); infine, il servizio effettua quotazione e ordine online dei veicoli scelti e valuta concretamente l’incidenza sui costi delle alternative eco-compatibili identificate. I



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ALD Automotive Italia:

multicanalità e un’offerta flessibile e modulare

«Difficile fare previsioni su come si evolverà la domanda, quello che posso dire sulla base di ciò che vivo ogni giorno all’interno del mio gruppo è che tutto sommato l’Italia non è messa poi così male: sia in termini di mercato del noleggio a lungo termine che di rispondenza del prodotto e di penetrazione si può dire che sia il miglior Paese sotto tutti i punti di vista». E di certo non si può dire che Gianluca Soma, amministratore delegato di ALD International e presidente di ALD Automotive Italia, divisione di Société Générale specializzata nel noleggio a lungo termine e nella gestione di flotte aziendali, non parli con cognizione di causa. Quello di cui è a capo è infatti tra i primi operatori in Italia nel noleggio a lungo termine, il primo operatore mondiale in termini di copertura geografica, secondo in Europa e terzo al mondo in termini di flotta gestita, presente in una quarantina di paesi con 4.000 addetti e una flotta gestita di oltre 765.000 veicoli (a giugno 2008). Certo, anche Soma concorda che esiste il problema dell’Usato, ma nella sua visione “internazionale” sottolinea che di fronte a un’Italia in cui il mercato fino al 2008 «ha sostanzialmente tenuto», ci sono altri paesi messi molto peggio, come per esempio la Spagna. Il futuro? Anche qui Soma non ha dubbi: Pmi e liberi professionisti sono i nuovi mercati di sbocco del settore: «Un trend – aggiunge – che è tra l’altro già in atto sia in Francia che in Spagna». Ma per raggiungere questi nuovi target, avverte il numero uno di ALD Automotive, sarà necessario premere sull’acceleratore della multi-canalità di vendita: «Non basterà più affidarsi solo al telemarketing, ai concessionari o a Internet – avverte - occorrerà affidarsi anche a banche, assicurazioni, broker, promotori.

Gianluca Soma, amministratore delegato

Insomma, trattare il prodotto noleggio a lungo termine come se fosse un qualsiasi prodotto finanziario». Oltre a un necessario, grande sviluppo della multi-canalità, secondo Soma il futuro del settore ruota intorno ad altri tre, importantissimi cardini: l’apertura a target di clientela di sempre minori dimensioni, fino quasi ad arrivare al privato; la capacità di mettere insieme un’offerta modulare e flessibile; il riuscire ad annoverare tra la propria clientela fasce sempre più consistenti di Pmi e ditte individuali. «Un altro grande trend che va assolutamente cavalcato è quello della mobilità sostenibile – aggiunge Soma – Mai come oggi la sensibilità su questo tema è stata così alta; il problema è che sta a noi far sì che il cliente capisca i vantaggi dello scegliere un’auto ecologica piuttosto che una che non lo è. E’nostro il compito di supportarlo, di consigliarlo, di aiutarlo a districarsi nei meandri non sempre facili delle legislazioni in merito, di fargli comprendere come la sua scelta di oggi impatterà sul valore futuro dell’auto». Il trattamento fiscale, che di fatto non estende alle società di noleggio le agevolazioni previste per chi acquista un’auto ecologica, non sarà un freno allo sviluppo di questo trend? «Certo, il fisco ha un suo peso – conferma Soma – ma non più di tanto, in quanto noi come società di noleggio ci siamo fatte carico di premiare le auto più ecologiche, rendendole più interessanti e competitive. Il vero problema è un altro. In Italia il noleggio a lungo termine si è imposto, ma il legislatore ancora non lo riconosce come un vero e proprio istituto. Per la legge esiste la proprietà o il leasing, noi siamo ancora qualcosa di ibrido paragonabile all’affitto... Ecco, questo è per certi versi davvero penalizzante, cosa che per esempio nei paesi anglosassoni non accade».

Leasys punta sui “piccoli” e studia il “privato” «È naturale che anche il nostro settore abbia avvertito in qualche modo i contraccolpi della crisi economico finanziaria in atto, soprattutto negli ultimi quattro mesi. Ma grazie alla sua natura anticongiunturale è prevedibile che nel 2009 riesca a tenere, magari anche a mettere a segno una crescita di qualche punto percentuale. In momenti come questi, infatti, le difficoltà di accesso al credito e la scarsa liquidità aziendale aiutano chi come noi opera nel noleggio a lungo termine». Fabrizio Ruggiero, General Manager di Leasys, società controllata da Fiat Group Automobiles Financial Services (joint-venture paritetica tra Fiat Group Automobiles Spa e Crédit Agricole) attualmente tra i maggiori protagonisti italiani nel settore, è piuttosto ottimista sul futuro del comparto, anche se non nasconde che l’attuale scenario economico porta con sé un paio di problemi che vanno affrontati con grande attenzione. «Il primo – spiega – è quello dell’Usato, un mercato nel quale le società di noleggio sono i più grandi player e che in questo momento mostra grandi segnali di debolezza, con ovvi impatti sul conto economico dei protagonisti del comparto. Il secondo fronte su cui bisogna vigilare è quello del recupero crediti: negli ultimi due mesi abbiamo riscontrato una

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certa difficoltà da parte dei clienti a tener fede ai tempi di pagamento. In entrambi i casi, comunque, un’accorta gestione del rischio può garantire la salvaguardia del conto economico». Per quanto riguarda Leasys, il 2009 sarà comunque l’anno in cui la società, che gestisce oltre 100 mila mezzi commerciali e che nel 2007 ha fatturato 476 milioni di euro, premerà sull’acceleratore per conquistare le Pmi e il Privato. «Il mercato del lungo termine in Italia è relativamente giovane – spiega Ruggiero – ma oggi dove esiste il vero potenziale è il bacino delle Pmi. Ecco perché entro fine 2008 in questo segmento contiamo di mettere a segno una crescita del 50 per cento, a cui prevediamo di aggiungere un altro 20 per cento l’anno prossimo». Una delle strade scelte è quella di replicare in altre Regioni accordi come quello siglato agli inizi di novembre con Confidi Roma Gafiart, che consentirà agli associati romani e laziali di quest’ultimo (Pmi, imprese artigiane e microimprese) di noleggiare auto e veicoli commerciali a condizioni agevolate. Un altro fronte che vedrà Leasys impegnata il prossimo anno sarà l’avvicinamento al mondo del Privato, inaugurato poco meno di un anno e mezzo fa con alcuni clienti come Ibm e Finmeccanica, cui si è recentemente aggiunta anche The Walt Disney.


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Johannes Vermeer, Veduta di Delft, 1660-1661 circa; L’Aja, Koninklijk Kabinet van Schilderijen Mauritshuis

Una mostra all’Aja raccoglie intorno a un capolavoro di Vermeer una prestigiosa serie di vedute di città, un genere che si sviluppa in Olanda nel Seicento, destinato a raccontare le conquiste economiche, sociali e architettoniche della giovane nazione

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Seicento olandese L’orgoglio di una nazione Hendrick Vroom, Veduta di Delft da Sud-ovest, 1615; Delft, Museum Het Prinsenhof

DI GIOIA MORI

Jan van der Heyden, Keizersgracht e la Westerkerk ad Amsterdam, 1667-1670 circa; Collezione privata

Quando si parla del Seicento olandese si usa per indicarlo una definizione riassuntiva, sia in ambito storico-economico che artistico: il Secolo d’Oro. I nomi di Vermeer e Rembrandt sono quelli che immediatamente lo identificano, ma l’importante sviluppo del collezionismo nei Paesi Bassi di quel periodo permise l’affermazione di una sorprendente quantità di artisti e di diversi generi pittorici. Non estranea a questo momento di fioritura artistica, la condizione di eccezionale floridezza economica del giovane paese, nato da anni di lotte contro il dominio spagnolo, culminati nel 1581 con la proclamazione della Repubblica delle sette province unite, guidata da Guglielmo il Taciturno, principe di Orange-Nassau. Terra protestante, tollerante verso le altre comunità religiose, consolidò una forte espansione territoriale ed economica attraverso le attività delle due compagnie mercantili che dominarono tutti i UOMINI&BUSINESS

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Jacob van Ruisdael, Veduta di Amsterdam da Sud, 1680 circa; Cambridge (Massachusetts), Fitzwilliam Museum

mari fino alla fine del Settecento: la prima a nascere, nel 1602, fu la Compagnia delle Indie Orientali, formata da sei città (Amsterdam, Middelburg, Enkhuizen, Delft, Hoorn, Rotterdam), con il monopolio delle attività nelle colonie asiatiche, dove pose il caposaldo a Batavia, nell’isola di Giava. La seconda associazione mercantile, la Compagnia delle Indie Occidentali (formata da Amsterdam, Rotterdam, Hoorn, Middelburg, Groningen), fu fondata nel 1621, e gestiva i traffici di oro, avorio e schiavi dall’Africa alle Americhe, praticava la pirateria e fondò, nel 1624, una piccola città, Nuova Amsterdam, ovvero New York. C’era di che far nascere un forte sentimento di orgoglio nazionale in quella classe dominante che fu la borghesia mercantile, un’imprenditoria solida e sobria, che pure amava impreziosire le case di mobili scuri e stipi intarsiati, di quadri in cui – come in un campionario di merci esotiche – amava veder riprodotti conchiglie e tulipani, contenitori di spezie odorose e porcellane. Una mentalità realistica, alla quale poco si adattavano le favole greche e latine, mentre gradiva veder rappresentata la realtà delle loro città, la concretezza delle architetture, la vivacità dei mercati, le terre strappate al mare, le campagne punteggiate di mulini a vento, il traffico dei porti e dei canali. La forte richiesta di queste vedute dette origine a un particolare genere pittorico, al quale è dedicata una pregevole mostra al Mauritshuis dell’Aja, realizzata con la collaborazione della National Gallery di Washington, che permette di capire come la città diventi da sfondo evocativo – come è rappresentata nei dipinti quattro-cinquecenteschi – un soggetto autonomo.

Hendrick Vroom, Veduta di Hoorn, 1622 circa; Hoorn, Westfries Museum

All’inizio del secolo, le città sono viste da lontano e sempre aldilà di un corso d’acqua o un braccio di mare, e denotano la loro derivazione dalle grandi mappe murali che decoravano gli edifici pubblici, spesso corredate ai margini del profilo della città. Maestro di questa tipologia di veduta fu Hendrick Vroom, originariamente pittore di marine e battaglie navali, prediletto dalla Compagnia delle Indie Orientali, autore di spettacolari vedute delle città di Delft e Hoorn. Nella Veduta di Hoorn, dipinta intorno al 1622, offre una visione quasi topografica del luogo: la città, seppure lontana, mostra un profilo riconoscibile, da cui svetta la torre principale all’entrata del porto, e in primo piano, identificate con miniaturistica precisione, le imbarcazioni, protagoniste dell’attività che rendeva ricca la città di Hoorn, l’importazione di legname dalla Norvegia, Svezia e paesi baltici, impiegato negli operosi cantieri navali. La sua Veduta di Delft da Sud-ovest risale al 1615, ed è una dettagliata visione delle magnificenze architettoniche

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della città, dei campi e dei canali che la circondano, ma anche di minuti e freschi episodi di vita quotidiana. Cinquant’anni dopo Vermeer, con spirito assolutamente diverso, dipinge la sua Veduta di Delft, che è – insieme alla visione ravvicinata di una stradina, conservata al Rijksmuseum di Amsterdam – un’eccezione nell’ambito della sua produzione, tutta incentrata sull’analisi dei gesti umani, sulla poetica rappresentazione di donne coperte di vesti dal blu ineguagliabile, camicie dal giallo solare bordate di pelliccia, sorprese con brocche di latte, a leggere o a scrivere missive, circondate da scrigni e perle, in ricchi interni protetti da finestre con vetri colorati, addobbati di stoffe pregiate, specchi dalle cornici d’ebano, tappeti orientali, carte geografiche, strumenti musicali. Questi che Vermeer getta sui protagonisti di quel secolo d’oro sono sguardi ravvicinati, mentre lo sguardo che riserva alla sua città è più distanziato, ma ugualmente poetico. La sua Veduta di Delft, infatti, non ha finalità di resa topografica, quanto di restituzione di un’atmosfera: tutto è sereno e calmo, la pacatezza dei suoi abitanti sorpresi su una banchina sabbiosa sembra riflettere quella delle acque immobili del canale, la lentezza dei loro gesti è la stessa delle nuvole grigie che passano sulla città senza oscurare completamente il cielo, la solidità dei loro profili è la stessa delle costruzioni in mattoni rossi dai tetti azzurri e rossi. Il tocco più luminoso della veduta è riservato alla Nieuwe Kerk, centro simbolicamente importante per Delft: lì infatti è la tomba del fondatore della nazione, Guglielmo il Taciturno. Quando Vermeer dipinse questa veduta, intorno al 1660-1661, era avvenuto da pochi anni, nel 1654, un disastro che aveva distrutto mezza città, l’esplosione di un magazzino di polvere da sparo. In diverse tele dell’epoca è tramandato il volto della città distrutta, e forse Vermeer volle contrapporre a quelle immagini di rovine la serenità di uno scorcio che ricordava a tutti la grandezza del luogo, scelto come residenza da Guglielmo, “padre della patria”. Quando Vermeer dipinge Delft, era già avvenuto un notevole cambiamento nella pittura di veduta di città, perché dopo la metà del secolo si era affermato il ritratto dettagliato e ravvicinato di scorci, canali, luoghi deputati, in cui assumono maggiore evidenza le attività degli abitanti. Jan van der Heyden, Gerrit Berckheyde, Jacob van Ruisdael, Jan van Goyen, Albert Cuyp sono gli artisti che con insuperabile maestria tramandano i profili di quegli uomini che avevano costruito la grandezza economica di una nazione e l’orgoglio di quelle città. I pittori, intanto, avevano “costruito” un nuovo genere, all’origine in Italia della pittura di Canaletto, Guardi e Bellotto. Il loro secolo d’oro fu il Settecento, quando il dominio dei mari fu di Venezia. I

Adriaen van de Venne, Middelburg con la partenza di un dignitario, 1615; Amsterdam, Rijksmuseum, legaat D. Franken Dzn

La M ostra L’Aja (Den Haag), M auritshuis Korte Vijverberg, 8 Tel.: +31 (0)70 3023435 Orari: Ma-Sa 10,00-17,00; Do e festivi 11,00-17,00; chiuso Lu, 25 dicembre, 1 gennaio Pride of Place. Dutch Cityscapes of the Golden Age Date: 11 ottobre 2008 11 gennaio 2009 Curatore: Ariane van Suchtelen Catalogo: Waanders Publishers, Zwolle; 256 pp., 259 ill.; € 32,90 e 39,90

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Donne che scrivono e leggono lettere, porte aperte su scenari privati: Vermeer guarda dentro le case di Delft e narra i sentimenti più segreti dei suoi abitanti

Fanciulla con orecchino di perla, 1665 circa; L’Aja, Mauritshuis

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La lezione di musica, 1662-1664 circa; Sua Maestà la regina Elisabetta II

V ermeer Interni olandesi DI GIOIA MORI

Sicuramente il dipinto più noto di Vermeer è quella ragazza che con sguardo sorpreso si volge verso l’osservatore, che viene colpito da alcuni raggi di luce: l’orecchino con perla scaramazza, gli occhi liquidi, la bocca rosata e tumida. Una Monna Lisa olandese che non sorride, vestita di abiti esotici, con un turbante blu oltremare cristallino; un volto misterioso, che esce da un fondo scuro, dal mondo notturno dei sogni, così intrigante da ispirare un romanzo a Tracy Chevalier, poi divenuto film con la placida ragazza interpretata da una perfetta Scarlett Johansson. Non sappiamo se il ritratto sia veramente quello di una domestica di casa Vermeer, come immagina la Chevalier, o piuttosto la figlia del pittore Maria. Certo è che quello della ragazza con l’orecchino di perla è uno dei volti di donna più famosi della storia dell’arte ed esce da quelle stanze femminili che Vermeer ha scrutato con delicatezza e attenzione. I suoi interni sono fotogrammi dettagliati di un universo guardato al microscopio, messo a fuoco fino a farne emergere i movimenti più segreti dell’anima. UOMINI&BUSINESS

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Sono solo una trentina i dipinti di Vermeer, artista avvolto da un’aura di grandiosità e fama già in vita; una vita breve, perché morì a soli 43 anni nel 1675. Misterioso come i personaggi da lui ritratti, aveva una profonda cultura classica e letteraria, grande cultura figurativa (un documento dell’epoca lo dice esperto di arte italiana), ma era al corrente anche delle più moderne conquiste dell’ottica, forse attraverso il concittadino e coetaneo Antonie van Leeuwenhoek, che si dedicò allo sviluppo delle applicazioni del microscopio. Certo è che Vermeer usava la camera oscura - che poi diverrà indispensabile per i vedutisti veneziani -, strumento che permetteva di focalizzare le scene, riflettendo immagini nitide e fornendo effetti ottici altrimenti non percepibili, con contrasti di luce e ombra accentuati. Ma non fu l’uso di quello strumento a determinare l’assoluta unicità dei suoi dipinti, in cui sono fissate donne dalla pelle diafana in interni immobili, che pure suggeriscono sentimenti e avvenimenti attraverso i particolari. Signora che scrive una lettera in presenza della domestica, Leggono e scrivono lettere le sue donne, ed è la casa a nar1670 circa; Dublino, National Gallery of Ireland rare partenze e assenze, emozioni e tremori. La donna dalla camicia azzurra non lascia trasparire turbamento, ma le sue mani sono sorrette dall’asta nera che sostiene la carta geografica, e sono i disegni serpeggianti di questa mappa dell’Olanda e della Frisia, a indicare il flusso delle emozioni e a parlare di lontananza della persona amata, così come le perle abbandonate sul tavolo suggeriscono l’impazienza della lettura. E non sono certo i gesti a raccontare cosa sta facendo la donna che scrive nel dipinto di Dublino: tutto è fermo in quella stanza dalle piastrelle bianche e nere, calmo come la luce dorata che entra dai vetri a piombo, bloccato come le pieghe pesanti dell’abito marrone della domestica. Eppure, in primo piano una lettera accartocciata e un La lettera d’amore, sigillo in ceralacca strappato ci racconta che la donna sta rispondendo a una missiva 1669-1670 circa; stracciata, forse con rabbia. E il dipinto appeso alle sue spalle, fornisce Amsterdam, Rijksmuseum altri indizi sulla situazione: il soggetto infatti è il Ritrovamento di Mosè, nel Seicento interpretato come prova della Divina Provvidenza, ma anche come indicazione della capacità di Dio di riconciliare opposte fazioni, e dunque quella lettera in fase di stesura forse parla di riconciliazione. Un’altra scrittrice di lettere, un’altra storia è quella del dipinto La lettera d’amore, conservato al Rijksmuseum di Amsterdam. La scena è concepita teatralmente, con la tenda che introduce in uno spazio intimo, nella riservatezza di una stanza che vediamo attraverso un’indiscreta porta aperta, addobbata con signorilità, un ricco camino, cuoi alle pareti e quadri di marine con cornici nere. Se lo sguardo della donna dalle vesti gialle può sembrare interrogativo, i soggetti dei dipinti appesi alle pareti parlano il sicuro linguaggio degli emblemi: sono marine tranquille, nessuna tempesta turba la navigazione, e secondo l’emblematica olandese del periodo il mare calmo era buon presagio d’amore. Anche quando è d’amore, dunque, il racconto del pittore è pudico e discreto, mormorato, non declamato, privo di erotismo sfrontato. Sono i toni attutiti che hanno le sue stanze, anche laddove c’è uno strumento musicale, per esempio la spinetta, dagli accordi delicati: si disperde il suono nell’elegante stanza in cui avviene La lezione di musica, spiata dall’artista, che rivela la sua presenza attraverso lo specchio che riflette la base del suo cavalletto. Tutto parla di armonia e benessere: le diagonali delle piastrelle bianche e blu si accordano con i disegni geometrici blu,

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Donna in azzurro che legge una lettera, 1663-1664 circa; Amsterdam, Rijksmuseum

Leone e gladiatori, 1927; Detroit, The Detroit Institute of Art.

rossi e gialli delcopritavolo, la ricca spinetta decorata con i cavallucci marini, la brocca in ceramica bianca sul vassoio d’argento, e quel quadro che si intravede a destra, una raffigurazione della Carità romana, con la storia di Cimone e Pero: anche nel quadro di Vermeer si parla di nutrimento, quello che la musica fornisce all’anima e di armonia d’amore, suggerita dalla presenza di un secondo strumento. L’atmosfera è la medesima della Signora alla spinetta di Londra, che guarda l’osservatore in una posa rigida, sottolineata dalle pieghe della gonna di raso rigido. Gli unici movimenti sembrano essere quelli dei merletti che ornano le maniche a sbuffo e dei nastrini rossi del corpetto blu e dell’elegante chignon. Al collo una collana di perle, simbolo di benessere e fedeltà. Una condizione che viene suggerita anche dal Cupido alla parete, che ripete il monito a dedicarsi a un solo amore contenuto in un’immagine degli Amorum Emblemata di Otto van Veen (1608),. Sono dunque storie temperate e castigate, quelle vissute negli interni di Vermeer, che parlano di virtù e indugiano a esporre le ricchezze del tempo. Eppure, qualche tempesta arrivò a scuotere la felice condizione dell’Olanda: avvenne nel 1672, quando Luigi XIV di Francia la invase. Una tremenda crisi economica squassò il paese, Vermeer stesso ne fu vittima, e morì lasciando una moglie con dieci figli minorenni e debiti enormi. I

Signora in piedi alla spinetta, 1672-1673 circa; Londra, National Gallery

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MOSTRE DA NON PERDERE SCELTE DA GIOIA MORI

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Napoli, Madre Via Settembrini 79 - Tel. 081 19313016 Lu-Do 10,00-20,00

ROBERT RAUSCHENBERG, Tr avelling ’70-‘76 22 ottobre 2008 – 19 gennaio 2009 Curatore: Mirta d’Argenzio - Catalogo: Electa, Milano; 304 pp., 130 ill.; € 55,00

Robert Rauschenberg, Sor Aqua (serie Venetians) 1973

Al Museo d’arte contemporanea Donnaregina, a poca distanza dal duomo e dal Museo archeologico nazionale, nell’antico palazzo trasformato in museo dall’architetto portoghese Alvaro Siza, sono presentate opere di Robert Rauschenberg (1925-2008) degli anni 1970-1976, che documentano l’interesse dell’artista per altre culture e i diversi viaggi compiuti in Italia, in Francia, a Gerusalemme e in India, e una sperimentazione continua di materiali e tecniche. I Cardboards sono realizzati solo con pezzi di cartone, con l’accentuazione delle tracce sulle scatole lasciate dall’uso, etichette, parole stampate, impronte. I Venetians, creati dopo un viaggio a Venezia, sono con oggetti di scarto domestico, stoffa, corda, legno, pelle, pietra, fili elettrici, una vecchia vasca da bagno. Nella serie Early Egyptians, le scatole di cartone ricoperte di colla e sabbia o garze ricordano le mummie. Gli Hoarfrosts sono soprattutto in tessuto, così come i Jammers, fatti dopo un soggiorno in un ashram di Ahmedabad, un centro di produzione tessile, e ricordano le vele delle navi, il bucato steso ad asciugare, gli stendardi medievali italiani, le bandiere dei monasteri tibetani.

Napoli, Museo di Capodimonte Via Miano 2 - Tel.848 800 288 - Gi-Ma 10,00-19,00; chiuso Me

Louise Bour geois per Capodimonte 18 ottobre 2008 – 25 gennaio 2009 Curatori: Studio Bourgeois e Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico, etnoantropologico e per il Polo museale della città di Napoli Catalogo: Electa Napoli, Napoli 2008; 184 pp., 130 ill.; € 50,00 Louise Bourgeois, Nello splendido scenario di Capodimonte, le prestigiose collezioni di arte antica dialoCrouching Spider, 2003 gano con 60 opere di una delle artiste più innovative e provocatorie del XX secolo, Louise Bourgeois, che a 97 anni (è nata a Parigi nel 1911) rivela una creatività ancora molto intensa. La mostra offre una panoramica di tutta la sua attività, che si è sviluppata a New York, dove si è trasferita nel 1938. Sculture realizzate con le tecniche più diverse - marmo, tessuto, bronzo, materiali sintetici - e che declinano in ogni forma possibile una ricerca sempre tesa a indagare traumi, paure, sofferenze. Il percorso si annuncia nel cortile centrale, con la grande Maman (1999) alta nove metri, per proseguire con le sculture sospese della Sala Causa, il Crouching Spider nella Sala degli arazzi D’Avalos; intensa la suggestione provocata dalla collocazione delle opere più drammatiche in alcune sale che ospitano il Seicento napoletano, con opere di Ribera e Giordano, e la sistemazione dei lavori di piccola dimensione nella Wunderkammer farnesiana.

Napoli, Museo archeologico nazionale Piazza Museo 19 - Tel. 848 800 288 - 081 4422149 Me-Lu 9,00-19,30; chiuso Ma

ERCOLANO. Tre secoli di scoperte 16 ottobre 2008 – 13 aprile 2009 Curatore: Piero Guzzo e Maria Paola Guidobaldi - Catalogo: Electa, Milano; 296 pp., 197 ill.; € 50,00

Peplophorai in bronzo dalla Villa dei Papiri

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Oltre 150 opere - sculture, affreschi, iscrizioni - documentano le scoperte fatte ad Ercolano in 1 quasi tre secoli di scavi, materiali che costituiscono la testimonianza più ricca e “viva” dell’antico mondo romano. La mostra presenta per la prima volta ricongiunte quasi tutte le opere della grande statuaria restituite dalla città in diverse campagne di scavi, da quelli settecenteschi fino ai più recenti, che hanno riportato alla luce la statua loricata di Nono Balbo, i rilievi arcaistici e la peplophoros e l’Amazzone dalla Villa dei Papiri. Figure di dei, eroi, delle dinastie imperiali, le liste dei cittadini incise su marmo, gli scheletri dei fuggiaschi raccontano di quella notte del 79 a. C. in cui l’eruzione del Vesuvio mise fine alla vita della città, in un allestimento di grande suggestione, incentrato su avvolgenti giochi di luce.



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folie calassienne

L'ultima

Ingres e Delacroix, Degas e Manet, Valéry e Rimbaud, Chopin e Gorge Sand rivivono tutti insieme nella Parigi dell’800 e nell’ultimo romanzo di Roberto Calasso La Folie Baudelaire. E fino all’ultimo non sai se a muovere la scena sia lo scrittore o Baudelaire DI CINZIA ROMANI

È raro trovare un libro che faccia venir voglia di non finirlo tutto d’un fiato (sebbene tale tentazione irrompa già alle prime pagine), pena il ritrovarsi a bocca asciutta dopo averne gustato il sapore troppo in fretta. Così occorre delibare con calma l’ultimo, corposo “pannello” (il sesto) dell’opera in corso di Roberto Calasso, scrittore che ormai si diverte a presentare, ogni volta, una tappa diversa del proprio esclusivo percorso iniziatico, offrendone stazioni sulle quali, volendo, incamminarsi con lui, presi per mano come bambini in corsa verso l’albero della cuccagna. La Folie Baudelaire (Adelphi, 342 pp.,36 euro) già dal titolo lascia intuire che qualcosa di piacevolmente folle intravedremo e, infatti, man mano, si viene addentrati nella visione, anche fisica (il libro è completato da 52 preziose immagini, molto belle da vedere, pure a prescindere dal testo) di avvenimenti storico-letterari il cui perno è la città di Parigi. Dove, nel corso dello “stupido Ottocento”, si aggirano, attivissimi e trasudanti ingegno, Ingres e Delacroix, Degas e Manet, Valéry e Rimbaud, Chopin e Gorge Sand, fatti rivivere nelle più minute cose (dunque, le più rivelatrici) e tutti insieme, ma come in un doppio racconto dove, fino all’ultimo, non sai se a muovere la scena sia Calasso o Baudelaire. Ma basta leggere una frase di Degas, riassuntiva delle idee di Mallarmé (i “grandi nomi” non intimidiscano,

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perché mai, come qui, possiamo vederli uomini tra gli uomini e quanto contemporanei!), per capire come, trattandosi di Letteratura, si tratti, in verità, della nostra vita. «Le parole possono e devono bastare a se stesse. Hanno la loro potenza personale, la loro forza, la loro individualità, la loro esistenza propria. Hanno abbastanza forza per resistere all’aggressione delle idee». L’aggressione delle idee è concetto fondamentale per chi voglia comprendere la letteratura del Novecento e, più in generale, per chi voglia resistere alle pressioni del mondo esterno, oggi tanto più pesanti per via dei media. «Avvicinandosi la fine del secolo, Degas osservava con sempre maggiore insofferenza l’estetizzazione progressiva del tutto. Sentiva che il mondo stava per cadere in mano a una truppa di decoratori d’interni....Il punto che lo angustiava era questo: quanto più l’estetico guadagnava in estensione, tanto più perdeva in intensità. Davanti agli occhi di Degas si stava spalancando il secolo successivo. Dove tutto, anche i massacri, sarebbe stato sottoposto all’arbitrio di qualche art director, mentre l’arte – e in particolare l’antica arte della pittura, quella che gli premeva – sarebbe diventata sempre più inconsistente o si sarebbe dissolta», scrive Calasso con mirabile sintesi, non soltanto stilistica. Ma che cos’è, esattamente, la folie Baudelaire, che dà il titolo a questa lettura così sorprendente da potersi apparentare a una pietra di grande valore, ritrovata – per caso, acquistando una merce via l’altra – nel carrello del Kulturmarket italiano, solitamente sguarnito? Ce lo spiega il temuto critico letterario Charles-Augustin Sainte-Beuve («“lo zio Beuve” per Baudelaire e alcuni altri»), che «aleg-

giava sulla vita letteraria parigina come uno zio autorevole e malevolo», scrive l’autore. E va notato che il personaggio, descritto con l’acutezza carnale di chi sa esattamente di cosa stia parlando, è un tipino veramente maligno. Uno capace di stroncare Stendhal, Balzac, Baudelaire, Flaubert se poco poco «li sospettava di eccellenza assoluta». Sentiamo che cosa pensa Sainte-Beuve dell’autore delle Fleurs du mal, davanti al quale un po’ si confonde, abbagliato da un indiscutibile talento: «M.Baudelaire ha trovato modo di costruirsi, all’estremità di una lingua di terra reputata inabitabile e al di là dei confini del romanticismo conosciuto, un chiosco bizzarro, assai ornato, assai tormentato, ma civettuolo e misterioso, dove si leggono libri di Edgar Allan Poe, dove si recitano sonetti squisiti, dove ci si inebria con hashish per ragionarci poi sopra, dove si prendono oppio e mille droghe abominevoli in tazze di porcellana finissima. Questo singolare chiosco, lavorato a tarsie, di una originalità concertata e composita, che da qualche tempo attira gli sguardi verso la punta estrema della Kamcatka romantica, io la chiamo la folie Baudelaire. L’autore è contento di aver fatto qualcosa di impossibile, là dove si credeva che nessuno potesse andare». Ecco posato il primo mattone sul quale fondare l’intera, ardita costruzione che Roberto Calasso apparentemente dedica a Baudelaire e all’amata Parigi, nella quale il poeta francese si sperdeva con pura voluttà, lanciandosi in passeggiate senza una meta precisa. Di fatto, potremmo sentirci autorizzati a credere che l’autore parli piuttosto di sé e della propria opera letteraria, un’autentica folie calassienne della quale già aspettiamo la prossima apparizione, subito letta La Folie Baudelaire. I

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Il giro nel mondo nel 1936 di Alain Daniélou CasadeiLibri Editore pp. 136, euro 30 Alain Daniélou (Neuilly-sur-Seine, 4 ottobre 1907 - Lonay, 27 gennaio 1994) è senz’altro uno dei più sorprendenti personaggi che ha attraversato il ‘900 on the road. All’inizio degli anni Trenta compì un’esplorazione nel Pamir afgano in automobile, fu espulso dall'Algeria per le sue simpatie verso gli "indigeni" e soprattutto a coronamento di un lungo raid automobilistico Parigi-Calcutta si fermò a Shantiniketan dove fece amicizia con Tagore nel ’34. Certo, il giovane Daniélou protagonista de Il giro nel mondo nel 1936 non è ancora il grande conoscitore dell’Oriente che è possibile scoprire leggendo la sua bellissima autobiografia (La Via del Labirinto. Ricordi d'Oriente e d'Occidente) tuttavia, il suo tour du monde, compiuto con l’inseparabile Raymond Bournier (bello e giovane rampollo della famiglia proprietaria della Nestlé) ha una freschezza ed uno humor davvero speciale che non mancherà di appassionare il lettore. Politicamente scorretto, frizzante, a tratti sorprendente, l’occhio di Alain si dimostra capace di guardare senza pregiudizi uomini e genti e di fare dei ritratti dei luoghi sintetici ed espressivi come gli schizzi che li accompagnano.

Uomo nel buio di Paul Auster Einaudi pp. 152, euro 17 Uomo nel buio è dedicato allo scrittore israeliano David Grossman e alla memoria di suo figlio Uri. E’ la storia di August Brill, 72 anni, costretto a letto da un incidente, che per tenere a bada i suoi fantasmi immagina una storia in cui l'America è in piena guerra di secessione, dopo che alcuni stati sono usciti dall'Unione in seguito alla contestata elezione di George W. Bush del 2000. L'11 settembre non è accaduto, ma la guerra infiamma gli Stati Uniti e l'unico modo per risolverla è uccidere chi l’ha immaginata, August Brill. Una storia lunga una notte in cui il protagonista si distrae dalla storia che sta inventando per immergersi nei suoi ricordi: la morte della moglie Sonia, l’incidente che lo ha costretto sulla sedia a rotelle, e poi il trasloco a casa della figlia Miriam reduce da un divorzio, le lacrime di Sonya, la nipote ventenne che piange il fidanzato morto in Iraq. Un romanzo che, ancora una volta, offre un saggio della profondità di Paul Auster, capace di indagare in ogni piega dell’esistenza, di leggerne i segnali più nascosti e restituirceli nella loro cristallina limpidezza.

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A un cerbiatto somiglia il mio amore di David Grossman, Mondadori pp. 781, euro 22 Un romanzo epico per l’autore israeliano, che nel titolo originale suona più o meno come “una donna in fuga dalla notizia”, o meglio dell’”annuncio”. E' la storia di Orah, che vuole proteggere il figlio in missione in Cisgiordania da un terribile presentimento che si agita dentro di lei. Il romanzo ruota attorno alla sua vita: l’incontro con gli amici Ilan e Avram in un ospedale all’età di sedici anni, il matrimonio con il primo, la perdita del secondo dopo la cattura sul fronte egiziano, fino al divorzio e al pellegrinaggio in Galilea, Insomma, qui è rappresentata tutta la diaspora del popolo di Israele, l’eterno conflitto. Ma è anche la voce interiore dello stesso Grossman, che durante la stesura del romanzo, nel 2006, ha perso suo figlio Uri in una battaglia in Libano. È un libro che conserva tra le righe la paura dell’uomo di fronte alla morte, ma anche l’estrema speranza di una vita che eternamente ritorna e si rigenera.

Il gioco dell’angelo di Carlos Ruiz Zafon, Mondadori 2008 pp 678 euro 22 Dopo il grande successo de L’ombra del vento, torna Carlos Ruiz Zafon con il nuovo libro Il gioco dell’angelo. Per quanto autonomo dal romanzo di esordio, il lettore si ritroverà nei medesimi luoghi e talora con i medesimi personaggi. Nella tumultuosa Barcellona degli anni Venti, il giovane David Martín cova il sogno di diventare scrittore. Quando la sorte gli offre l'occasione di pubblicare un racconto, il successo comincia ad arridergli. È proprio da quel momento tuttavia che la sua vita inizierà a porgli interrogativi senza risposta, esponendolo come mai prima di allora a imprevedibili azzardi e travolgenti passioni, crimini efferati e sentimenti assoluti, lungo le strade di Barcellona. Quando David si deciderà ad accettare la proposta di un misterioso editore di scrivere un'opera immane e rivoluzionaria, non si renderà conto che non ci saranno soltanto onore e gloria ad attenderlo.


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D IVINA

www.visconti.it


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Estroso ma severo, con la sua cucina moderna e creativa si è guadagnato una doppia stella Michelin. Claudio Sadler è uno dei pochi chef/imprenditori italiani. Ha pubblicato ricettari di successo, ha da poco inaugurato Sadler in fiera a Rho ed è pronto a sbarcare a Pechino

LE QUATTRO STA

La sala Don Pedro

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Claudio sadler

A GIONI DI

L’uovo quadrato

DI ROBERTA SCHIRA

Se cercate un luogo a Milano che non vi deluda mai, se desiderate una solida cucina che sappia coniugare un pizzico di tecnologia alla lezione del passato, riletto con sapienza e armonia, questo è il ristorante per voi. Da poco trasferitosi in via Ascanio Sforza, Claudio Sadler è uno dei trenta migliori cuochi nazionali, estroso ma severo, grande esperto d'arte moderna e di vini, rappresenta una categoria di chef/imprenditori che all'estero è assai più diffusa e compresa che in Italia. La sua è sempre stata una cucina moderna pur mantenendo una matrice italiana e su questa base introduce la sua creatività e la sua ricerca della perfezione che coincide con il concetto di buono e leggero. Indifferente all'ondata

spagnola e al manierismo creato da Ferran Adria con la cucina molecolare Sadler, pur non criticando chi la condivide, non si è mai buttato in quella direzione. «Non riesco – afferma – a fare a meno di associare alcune invenzioni di quella cucina a furbi espedienti che mirano alla spettacolarità e non alla sostanza. Preferisco mantenere un taglio classico, anche se meno scoppiettante». Nel 2003 apre due ristoranti a Tokio: Estasi e Sadler. E questo lo porta a viaggiare molto, a riguardo afferma: «Devo dire che anche i cuochi giapponesi si sono lasciati condizionare dalla tecnologia spagnola in cucina, ma io, nei miei ristoranti, ho cercato di andare incontro al gusto dei clienti giapponesi e questo gusto ha un sapore tutto italiano. UOMINI&BUSINESS

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RISTORANTE SADLER:2 colonne

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Società Il Giappone mi ha insegnato trice con crema di riso allo zafferanuovi ingredienti e rispetto per l'arno e gremolata di tartufo nero. monia di forme e colori nel piatto». Sadler è uno dei pochi Per lui la coerenza è una scelta vinristoranti stellati nei quali i dolci cente. Nel 2003 è arrivata la seconsono all'altezza delle altre portate, da stella Michelin e questo lo ha ed ecco quindi il Cioccolato di alta responsabilizzato maggiormente, qualità di Cuba, Santo Domingo, imponendogli ancora più rigore, Tanzania e Madagascar in varie studio e approfondimento. forme, sapori e temperature oppure Accanto al ristorante princila Tarte tatin di albicocche, crocpale è nato Chic'n Quick, un locale cante di cioccolato, sorbetto di aperto anche a mezzogiorno, che melone, pere e prugne rosse. pur mantenendo lo stile-Sadler è Il menù, che cambia ogni più informale, con una cucina libemese, è assolutamente incentrato Pedellata di crostacei con crema di broccora dagli schemi, un luogo che va al sulla stagionalità degli ingredienti, letti e croquettes di patate al limone e di là del ristorante e diventa anche oltre alla carta, che offre ampia direttore di sala uno spazio eventi. Accanto a scelta di piatti, è possibile optare Maurizio Di Prima e Paola Grattapaglia, rispettivamente per il Menù del mercato: quattro portate costruite secondo i primo chef e maitre direttrice e a una quarantina di collabo- prodotti migliori che si trovano facendo la spesa ogni giorratori questo cuoco riesce nei suoi locali a farti sentire real- no. La scelta di inserire in carta questo menù è estremamenmente accudito e non solo gastronomicamente. te significativa della filosofia di Sadler: prima ancora di deciAll'interno della Fiera a Rho, ha aperto un altro risto- dere cosa cucinare, prima di affidarsi a dei buoni fornitori è rante che si chiama Sadler in fiera, e poi ricordiamo il ban- necessario valutare la stagione e i migliori prodotti che offre queting, uno dei più rinomati e richiesti di Milano. Inoltre, il mercato. Due fattori questi, determinanti per la buona riuClaudio Sadler aprirà un nuovo ristorante a Pechino, si chia- scita di un piatto, soprattutto per chi non possiede un ristomerà Andiamo. rante e vuole semplicemente preparare una buona cena. Un uomo infaticabile che ama appassionatamente il Molto nuova e corretta l'idea di riportare accanto a suo lavoro, e che ha trovato il tempo di pubblicare ben 5 ogni piatto l'anno di creazione. Questa peculiarità fa passare ricettari, tra i quali il primo, Sadler: menù per quattro stagio- il concetto che i piatti in quanto creazioni artistiche sono ni (Giunti - 1998) è arrivato alla seconda ristampa dopo aver legate al preciso momento storico ed esistenziale in cui sono venduto migliaia di copie. La collana è diventata un punto di stati concepiti. riferimento editorial-gastronomico di appassionati e profesLa cantina è molto ricca e gli abbinamenti sono prosionisti della cucina. Un esempio dei suoi piatti: Code di posti dal giovanissimo sommelier Alberto Piras e da poco è scampi di Mazara del Vallo in padella con crema di patate e stata introdotta una piccola carta della birra che comprende scalogno glassato al mosto d'uva, oppure Ossobuco di pesca- birre belghe e americane. I

SADLER Via Ascanio Sforza, 77 20141 Milano tel. 02/58104451 fax 02/58112343 Chiuso a pranzo e domenica tutto il giorno www.sadler.it

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Diamo spazio alla nuova

comunicazione

La Tv della metropolitana e degli aeroporti.

La Tv al servizio di chi si muove. GRUPPO

www.telesia.it


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Società

Punta del È tra le località più di tendenza del Sudamerica: 70 chilometri di spiagge sull’Atlantico, ideale per chi cerca una vacanza rilassante tutta sport e natura. Ma che non delude i fanatici della vita notturna a caccia di mondanità

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Este

la Saint Tropez dell’Uruguay DI CAMILLA GOLZI SAPORITI

In bilico tra le acque dell’Atlantico e del Rio de la Plata, incastonato tra Brasile e Argentina, l’Uruguay è noto a tutto il Sudamerica per avere una punta di diamante: Punta del Este. Considerata la Saint Tropez d’oltreoceano, rientra a pieno titolo nell’elenco internazionale delle mete per vip e nababbi. E sul litoral uruguayano non ha eguali: è la prima a dettar mode e tendenze al jet set latino americano, la sola a regalare il “buen retiro” alle élite, l’unica a far sognare le vacanze a yankee ed europei. Oggi. Ma all’inizio del Novecento Punta del Este era un villaggio di pescatori, conosciuto giusto alle diecimila anime che vi abitavano. Poi la scoperta. E da quel momento artisti, intellettuali e grandi imprenditori l’hanno scelta come rifugio al termine della professione o per una pausa di relax all’apice della carriera. Certi di trovare, in quel piccolo porto senza alcuna pretesa, silenzio e natura, ristoro e concentrazione.

Casa Pueblo a Punta Ballena, poco distante da Punta del Este, dove il pittore Carlos Páez Vilaró ha creato sul mare uno straordianrio complesso che è allo stesso tempo casa, museo e hotel UOMINI&BUSINESS

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Società Senza interferire con le squadra nazionale di maestri d’alabitudini locali, nasceva così un legria, pronti a dare lezioni di nuovo punto di ritrovo - una sorta divertimento. di crocevia di cenacoli letterari, A Punta del Este la vita è circoli musicali e salotti culturali una festa che cresce piano piano che, appena nato, già contava prima di Natale, poi aumenta ospiti importanti come lo scrittore esponenzialmente ed esplode a Jorge Luis Borges o i cantautori San Silvestro con il boom di mezbrasiliani Vinicius de Moraes e zanotte: auguri e brindisi, tuffi in Toquinho. mare, spettacoli pirotecnici tra Il tempo non ha portato via stelle e cielo. quell’aria discreta e ricca di fasciAd accogliere i vacanno che ancora oggi avvolge la baia zieri possono essere due tipi di Leoni marini nel parco naturalistico che circonda Isla de Lobos, di fronte a Punta del Este di Punta del Este e soffia forte sistemazioni: hotel e case in affitsoprattutto a José Ignacio, Punta to. Per quanto riguarda le strutture Balena e Maldonado, luoghi ideali per chi cerca pause alberghiere, sono numerosissime e vanno dal rilassanti e scorci immacolati, da ammirare magari dalla bed&breakfast alle più note catene internazionali, mentre terrazza di un ristorantino tipico. per le residenze in affitto la scelta spazia tra condomini, Il panorama all’orizzonte propone un Atlantico villette e simil-regge. impetuoso, poi le spiagge, lunghe e bianche, seguite a ruota Fino a non molto tempo fa quest’ultima soluzione da una striscia di prati e palme e, all’interno, scopre borghi era nelle corde soprattutto dei turisti americani, ora anche tranquilli, puliti e verdi. degli europei. Qui le abitazioni sono molto più che ospitaLontano appena una manciata di chilometri, lo sce- li, sembrano un’appendice dei quartieri alti di Buenos nario cambia radicalmente. Girando infatti per il centro, Aires, e probabilmente lo sono visto che buona parte delle lungo l’Avenida Gorlero, in plaza de Los Artesanos e sulla case è proprietà degli argentini più facoltosi della capitale. Rambla Costanera, si presenta un’altra - come la chiamano Qui hanno dimore principesche molti imprenditori e gli habitué - “Punta”. È quella cool, rinomata e molto ambi- uomini d’affari, ma anche - per esempio - la top model ta nel periodo che da Natale arriva a Pasqua e che ogni anno Valeria Mazza e la cantante Shakera. Punta del Este piace attrae i turisti, il cui numero ben presto porta ad annuncia- anche agli italiani. Per anni è stato il rifugio dell’imprendire il tutto esaurito. tore Raul Gardini, mentre oggi sono di casa Giuseppe A trascinarli a Punta del Este è il clima estivo - 28 Cipriani e Paola Marzotto, per citarne solo alcuni. gradi di media -, ma ancor di più la ventata d’intrattenimenPur non potendo magari affittare una di queste fiati che da quelle parti prende il nome di “movida”. Sfilate e besche magioni, è bene sapere che anche le villette di più passerelle di moda, inaugurazioni di locali e discoteche modeste dimensioni hanno in dotazione veranda, patio e super-fashion e un’altra infinità di eventi sono all’ordine prato all’inglese con vialetto annesso, pratico svincolo per del giorno. Contribuiscono allo svago anche i club sportivi raggiungere la piscina e, dalla parte opposta, il barbecue per che di giorno organizzano corsi di vela, golf o tennis e l’asado, ovvero la grigliata di carne. verso sera - all’ora dell’aperitivo - mettono in campo una Per l’asado, però, è bene farsi “passare” la ricetta da un uruguayano doc che conosca i segreti tramandati dagli immigrati spagnoli, portoghesi, inglesi, francesi ed irlandePorto di Punta del Est si. Solo così la carne verrà abbinata a mais, verdure (tra tutte, dominano le patate, presenti addirittura in tre qualità diverse), spezie e frutta (molto usata la banana) e, nel piatto, avrà un sapore indescrivibile. Il risultato, oltre che buonissimo, esprime l’eterogeneità di un popolo che ha radici disseminate un po’ in tutt’Europa e che, nel tempo, ha saputo unire le culture di provenienza e “condirle” insieme, amalgamandole in un menù gustoso, unico, non solo a livello alimentare. Sul fronte delle bevande, immancabile è il mate, un infuso ricavato dall’omonima erba. Viene servito caldo, in una tazza di legno dalla forma tondeggiante, divisa in due parti (una per l’acqua, l’altra per l’infuso), chiusa all’estremità, aperta solo per far fuoriuscire la cannuccia metallica

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da cui bere. A Punta del Este come in tutto l’Uruguay e in gran parte dell’America meridionale, il mate ha lo stesso significato del tè per gli inglesi. Riposo, mondanità, hotel e cucina, ma il motivo vero che porta a Punta del Este è il desiderio di tuffarsi in mare, di stendersi sulla sabbia e sotto il sole nel bel mezzo - per chi come noi italiani viene dall’altra parta del pianeta della stagione invernale. Il piacere e la sorpresa di ribaltare la visione del Natale freddo e con la neve è qualcosa da sperimentare. Un’esperienza ancora più affascinante se si ha la possibilità di approdare in una località alla moda che offre ben 70 chilometri di spiagge e una miriade di attività: dalle classiche passeggiate fino all’ultima frontiera della boxe su ring di sabbia. Molte le spiagge tra cui scegliere sui due versanti: la Brava, più ventilata, e la Mansa, più riparata. Le più amate sono la Montoya, Manatiales, Solana. Punta de la Barra è la preferita dai ragazzi, ma colpisce tutti con “Los dedos”, una scultura a forma di mano gigantesca che sbuca dalla sabbia. Diverso, molto più defilato, è lo stile balneare a José Ignacio che, non di rado, sfodera arenili solitari. Di fronte alla costa sorgono l’Isla Gorriti, con altre magnifiche rive e i resti di una fortezza settecentesca, e l’Isla de Lobos, una riserva naturalistica che ospita una colonia di leoni marini. Tra le isole al largo e la costa si dipana l’Atlantico. Tanto grande quanto freddo, ma al quale non ci si può tirare indietro: meglio allora lanciarsi in un tuffo da brivido, cimentarsi in una regata in vela o avventurarsi in surf alla ricerca dell’onda perfetta. Che sia per la prima, la seconda o l’ennesima visita, è difficile ripartire senza provare invidia verso gli argentini

che a Punta del Este sono di casa, per le feste come per un normale weekend. D’altronde a separarli è una distanza talmente limitata che per una “capatina” riescono sempre a trovare il tempo. Ben diverso per chi si muove dall’Italia: il viaggio dura 13 ore e implica almeno uno scalo (a Montevideo, la capitale, o nelle principali città del Sud America). Il fuso è di 3 ore indietro rispetto al meridiano di Greenwich, la stagione è esattamente opposta a quella lasciata a casa, non servono particolari precauzioni mediche. Ma la fatica del viaggio trova ricompensa nella bellezza dei luoghi. Perché a Punta del Este la vita sorride. Di giorno e di notte, tra vizi e divertimenti, silenzi e tramonti, lungo distese di sabbia e di mare, di albe e di stelle. I

"Los Dedos" una scultura a forma di mano gigantesca che sbuca dalla sabbia accoglie chi sbarca a Punta de la Barra, tra le spiagge più amate e famose di Punta del Este UOMINI&BUSINESS

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SocietĂ

In primo piano il ponte Carlo sul fiume Moldava e in lontanaza gli altri ponti che uniscono la cittĂ vecchia alla nuova

Famosa nel Medioevo perchĂŠ vi si riunivano gli alchimisti di tutta Europa, ancora oggi conserva qualcosa di magico, che la rende unica e ammaliante, sicuramente da visitare 142

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Un alchimista fece d’oro la città di

PRAGA DI CAROLINA PARIS

Siamo al centro dell’Europa, al centro del tempo. Praga è una delle città più belle del mondo, dove gli stili architettonici si incontrano e si fondono adagiandosi sulle rive del fiume Moldava. All’alba e al tramonto, quando i raggi del sole hanno un’inclinazione particolare, la città scintilla letteralmente grazie anche alle torri del Castello che Carlo IV fece dorare. Ma c’è anche chi sostiene che lo scintillio sia un’eredità degli alchimisti che nel Medioevo si riunivano qui per sperimentare le formule per ottenere il metallo giallo da sintesi chimica… Il nucleo storico della città comprende l’area Hradčany con il Castello di Praga, il quartiere Malá Strana, la Città Vecchia incluso il ponte Carlo, il quartiere di Josefov, la Città Nuova e Vyšehrad. Tutta questa zona, poco più di 800 metri quadrati, è inserita nel patrimonio mondiale culturale e naturale dell’Unesco.

La torre Malà Strana e il ponte Carlo UOMINI&BUSINESS

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Società La città è divisa in due dal fiume. Sulla sponda sinistra si trovano il borgo del Castello e la Parte piccola. Sulla sponda destra si trovano invece la Città Vecchia, il Quartiere Ebraico e la Città Nuova. Il ponte Carlo, uno dei 16 della città, passando sopra la Moldava congiunge la Città Vecchia e la Parte piccola. Cominciamo la nostra visita dal cuore del centro storico, la Piazza della Città Vecchia, che è stata magnificamente restaurata. Qui troviamo le guglie gotiche della Chiesa del Týn che si ergono sopra la piazza, la statua del riformatore Jan Hus e, sul lato opposto, l’orologio astronomico che troneggia sul Municipio della Città Vecchia. Il Palazzo Municipale è uno splendido testimone dell’architettura Liberty della città. La Praga liberty ha il suo massimo splendore dopo il 1900, coincidente con lo sviluppo della società stessa di cui divenne presto la sua espressione più caratteristica. La Casa Municipale, che si trova vicino alla Torre delle Polveri, all’intersezione della Via Na Prikope e Piazza della Repubblica, è talmente bella che da sola varrebbe una visita a Praga. In tutta la Città Vecchia lo splendore dei palazzi ci fa battere il cuore. Gli edifici sono dei capolavori architettonici che racchiudono stili diversi: Rococò, Barocco, Gotico, Neoclassico e Art Nouveau, tutti ricchi di ornamenti, fregi, statue, stucchi, graffiti, finestre bifore e decorazioni varie. Anche i colori pastello aggiungono bellezza alla bellezza. Ci incamminiamo intorno alla Piazza della Città Vecchia lungo le strade che escono dalla piazza, la grande Pařížská, l’affascinante Týnská che conduce ad Ungelt, la sempre trafficata Melantrichova che ci porta a piazza Venceslao. Quest’ultima, in realtà, più che ad una piazza sembra assomigliare ad un viale, lungo 683 metri e largo 60, costellato da negozi ed alberghi. In questo luogo, origina-

Il vecchio cimitero ebraico

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L’orologio astronomico sulla facciata del Municipio

riamente, cioè nel XIV secolo, c’era un mercato dei cavalli che vi restò sino al 1848. Ora, nella parte alta della piazza, sotto il Museo (luogo dove un tempo vi era una delle più importanti porte medioevali della città), c’è la Statua equestre di San Venceslao circondato dai quattro patroni cechi. Praga è scampata ai feroci bombardamenti dell’ultima guerra e quindi si è conservata intatta in tutto il suo splendore. Certo di lacerazioni ne ha comunque vissute, come la famosa Primavera di Praga durante la quale tutta la nazione (l’allora Cecoslovacchia) tentava di sottrarsi all’orbita sovietica. A Piazza San Venceslao, proprio ai piedi del museo Nazionale, è possibile fermarsi ad osservare la lapide dedicata a Jan Palach, il primo degli studenti suicidatosi appiccandosi il fuoco in segno di protesta. Anche il Quartiere Ebraico non è lontano dalla Piazza della Città Vecchia e qui troviamo il Museo ebraico, la sinagoga (la più vecchia d’Europa) e il vecchio cimitero ebraico. Per passare sull’altra sponda, prendiamo il ponte Carlo, un vero spettacolo da visitare soprattutto all’imbrunire, quando le luci lo rendono un percorso magico verso il Castello che, anch’esso illuminato, ci fa fare un balzo nel


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tempo, in un panorama dove, scomparse (o quasi) le auto, ci pare di sentire solo lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli di cavalieri e maghi. Il ponte Carlo il più antico ponte di Praga, fu costruito in sostituzione del ponte Giuditta, parzialmente distrutto da un’inondazione nel 1342. Lungo ben 520 metri, è ‘difeso’ dalle splendide torri di Starè Město e Malá Strana, una romanica, l’altra in tardo gotico. Il ponte è sempre pieno di turisti, di artisti, musicisti che giungono da tutto il mondo, attratti dalla magica atmosfera della città. Qui davvero si ha una sensazione tangibile di come culture e stili diversi si possono armoniosamente incontrare. Il mezzo chilometro del ponte su entrambi i lati è ornato da ben 75 sculture oramai annerite dal tempo, anche se in realtà si tratta di copie degli originali custodite in luoghi più sicuri. Ci rechiamo verso il borgo del Castello (Hradčany) per continuare poi per il Quartiere piccolo (Malá Strana). Prendiamo il tram 22 da Malostranské náměstí e scendiamo a Pohořelec. Ci troviamo al di sopra del Castello e da lì poi scenderemo verso il Quartiere piccolo. Prima di varcare l’entrata del Castello, ci godiamo la bella vista di Praga dall’alto. La Chiesa di San Nicola

Il Castello

Il Castello di Praga, costruito a partire dall’880 dalla dinastia dei Premislidi, è un complesso davvero imponente. All’interno dell’area troviamo anche la Chiesa della Vergine Maria, la Basilica di San Giorgio, il primo convento ceco, il convento di San Giorgio che ora ospita una galleria d’arte. A partire dal X secolo, il Castello di Praga divenne la sede dei principi di Boemia. A proposito, non dimenticate di comprare i famosi cristalli prodotti in loco (i cristalli di Boemia). Li troverete ancora per poco, dato che a causa della recessione economica, la storica fabbrica chiude i battenti. Non manchiamo una visita ai giardini reali, uno spettacolo in ogni stagione e con qualunque condizione climatica. Dopo aver visitato l’area del castello, scendiamo nel Quartiere piccolo. Trascorriamo un po’ di tempo sull’Isola di Kampa che si trova proprio a lato del ponte Carlo. L’isoletta di Kampa, con i suoi canali è anche detta la “Venezia di Praga”. Qui ci sono ettari di verdi boschetti e nella bella stagione è una delizia passarvi i pomeriggi al sole. A Natale, invece, tutta la città, e in particolar modo lungo il ponte Carlo, impazzano i mercatini, con il brulicare di curiosi che si accalcano attorno alle bancarelle. Su tutte aleggia, invitante, un buon odore di biscotti allo zenzero. Se abbiamo la fortuna di essere in città proprio durante le feste natalizie, cerchiamo di non perderci il concerto di Natale nella chiesa di S. Nicola. Un’emozione davvero unica. Lasciamo la città immaginandoci Franz Kafka che a mento basso nel bavero del suo pastrano scuro si infila veloce in uno dei tanti cafè della città. Davvero qui il tempo si ferma e tutto sembra possibile. Una vera magia e non solo a Natale. I UOMINI&BUSINESS

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SocietĂ

Il ponte delle Catene sul Danubio e in lontananza il Parlamento

Solo per inguaribili romantici. Solo per amanti del bello. La signora adagiata sul Danubio, tanto amata dalla principessa Sissi, accompagna per mano chi la visita con il cuore, per un tuffo nella storia, in un passato fatto di sfarzo, ma anche di profondo gusto della vita 146

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L’anima romantica di

Budapest DI LORENZA GRASSI

Se non ci si va almeno una volta non si può capire la sua atmosfera speciale e leggerne pagine esplicative, seppure scritte con amore, non ne rende palpabile il gusto un po’ sognante del liberty che caratterizza palazzi e strade, il fasto asburgico che ancora si nota imperioso in alcuni palazzi e la passione per il cioccolato che la principessa Sissi soddisfaceva nella raffinata pasticceria Gerbaud. Stiamo parlando di Budapest. Una città bella come Parigi, che conserva ancora la dignità di una signora di classe che in epoche passate poteva incantare nobili, artisti o semplici romantici. Per la sua posizione, adagiata sull’ansa del Danubio, è una delle città con i più bei panorami al mondo. Dall’Italia ci arriviamo in circa 1 ora e quindici minuti (da Milano). Giunti in città, il grande fiume ci accoglie a braccia aperte. E guardando il Danubio, cominciamo la visita dal ponte Margherita o più precisamente da Jaszai Mari ter, la piazza di Pest che si apre in corrispondenza del ponte sulla riva sinistra del fiume. Caratteristica peculiare del ponte Margherita è il fatto che sia diviso in due tratti che formano un angolo di 150° all’altezza dell’isola omonima (Margitsziget), che costituisce uno dei polmoni verdi della città e dove durante l’estate è bello prendere il sole in uno straordinario ambiente naturalistico. L’itinerario lungo il fiume può essere percorso a piedi, ma se non si ha voglia di faticare si può prendere il tram numero 2, che fa capolinea in Jaszai Mari ter e corre lungo tutto il Danubio.

Monumento a Imre Nagy, importante uomo politico ungherese

Il ponte Margherita UOMINI&BUSINESS

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1-12-2008

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Società Ci incamminiamo per il Szechenyi rakpart. Dopo un breve tragitto arriviamo in Kossuth Lajos ter. Su questa piazza sorge l’imponente edificio neogotico del Parlamento. Nella piazza si trova anche il Museo Etnografico, che merita senz’altro una visita. Proseguiamo sul lungofiume e raggiungiamo piazza Roosevelt dove troviamo l’Accademia Ungherese delle Scienze e il Palazzo Gresham. Da Roosevelt ter parte il Ponte delle Catene (Szechenyi), il primo ponte di pietra permanente che la città abbia mai avuto. Il ponte offre uno spettacolo particolarmente suggestivo di sera, quando è illuminato, così come il Parlamento e il quartiere della Fortezza, dall’altra parte del Danubio. Lasciando sulla sinistra i moderni alberghi, proseguiamo per il Dunakorzò, la zona pedonale tipica per il passeggio serale. Proseguiamo verso Màrcius 15 ter (con i resti della fortezza romana di Contra-Aquincum e la Chiesa Parrocchiale di Belvaros, la più antica di Pest) e costeggiamo la Chiesa Ortodossa. Sempre nella parte di Pest, sulla riva sinistra del Danubio, c’è Viale Andrassy, che parte dalla centralissima piazza Deak e arriva fino alla Piazza degli Eroi, dove con statue imponenti si rivive tutta la storia di Budapest, a partire dalla conquista dei Mongoli. Viale Andrassy è caratterizzato da palazzi eclettici in stile neorinascimentale nella parte più vicina al centro, mentre verso Piazza degli Eroi sorgono palazzi con piccoli giardini o grandi ville in mezzo a parchi. Oltre alla Basilica di Santo Stefano, al Teatro dell’Opera, il Palazzo Dreschler e l’Accademia della Musica, nelle vicinanze c’è anche la Prima Metropolitana dell’Europa continentale. Inaugurata nel 1896, già all’epoca era capace di trasportare i passeggeri in meno di dieci minuti da un capolinea all’altro su un tratto di 4 chilometri. Chiesa Mattia Bem rkp, Danubio

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Da Deak ter (la piazza), deviando a sinistra in Deak utca (via) si raggiunge Piazza Vorosmarty, punto nevralgico della capitale e luogo prediletto dai budapestini per appuntamenti golosi presso la pasticceria Gerbaud. Da Vorosmarty ter si imbocca via Vaci (pedonale), luogo deputato allo shopping di lusso. Ci riposiamo concedendoci, in uno dei locali della zona, un buon bicchiere di Tokay, che viene prodotto in Ungheria e che solo qui può usare questa denominazione. Ripartiamo poi diretti alla parte destra del Danubio, dove sulle colline sorge la parte di Buda. Per salire nella parte alta possiamo utilizzare la funicolare (siklo), costruita nel 1870 e rimessa in funzione nel 1986. Il suo percorso ha una pendenza del 48 per cento ed è lungo 95 metri. La prendiamo in Clark Adam ter, oltre il Ponte delle Catene, e saliamo verso la Fortezza e il Castello. Scendiamo dalla funicolare in Szent Gyorgy ter. Di qui giriamo a destra e costeggiamo il teatro del Palazzo Reale. Un poco oltre ci sono i resti della Porta Fehervari, dove in passato c’era un fossato con un ponte levatoio. Proseguiamo nella visita e giungiamo in Disz ter, l’antica piazza del mercato. Negli anni quaranta il mercato si teneva tre volte alla settimana: un giorno per i tedeschi, uno per gli ungheresi e uno per gli ebrei. Entriamo finalmente nel Quartiere della Fortezza vero e proprio, lungo 1,5 km e largo al massimo 500 metri. L’aspetto attuale della Fortezza risale prevalentemente al XVIII secolo, quando, cessata la dominazione turca, venne realizzata una vasta ristrutturazione a opera di architetti austriaci. All’epoca dell’unificazione di Buda, Obuda e Pest (1873) questa zona acquisì un rinnovato splendore con la ricostruzione della Chiesa di Mattia e l’edificazione del Bastione dei Pescatori, dal quale si può godere di una splendida vista su Pest.


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1-12-2008

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piazza Vörösmarty (Vörösmarty tér): qui si trova la famosa Pasticceria Gerbaud, arredata con i mobili originali ottocenteschi. É una delle pasticcerie piú antiche e piú famose della cittá. Si possono assaggiare i dolci diventati famosi nell’Ottocento.

Terme Gellert, piscina coperta

Palazzo dell’Opera

Dalla piazza si imbocca Uri utca, che secondo noi è la via più bella dell’intera città, con i suoi splendidi palazzi barocchi impreziositi da graziosissime finestre, tutti dichiarati monumenti nazionali. Nella zona è stato scoperto anche un ingegnoso sistema di ‘doppie cantine’ ricavate nelle cavità delle rocce, che venivano usate come passaggi sotterranei, quindi, se abbiamo tempo, non dimentichiamo di visitare il Labirinto del Castello, la rete di grotte e cunicoli sotterranei, a circa 16 metri di profondità. Tornando verso Disz ter raggiungiamo il Palazzo reale. Nel cortile dell’edificio, che oggi ospita la Galleria Nazionale Ungherese, il Museo Storico di Budapest e la Biblioteca Nazionale Szechenyi, si può ammirare anche la fontana di re Mattia Corvino. Non possiamo lasciare questa splendida città senza concederci un ristoratore bagno termale. Budapest infatti è anche conosciuta come città delle acque per le sue numerose sorgenti termali. Una delle più note si trova presso l’hotel Gellert, sul monte omonimo. Queste terme, in sfarzoso stile liberty, sono le più eleganti della capitale. Sul monte, se viaggiamo di fantasia, possiamo anche rischiare incontri a sorpresa….Sulla sommità del Gellert infatti, secondo la leggenda, si davano convegno le streghe. Ma fattucchiere a parte, Budapest val sempre una visita, in qualunque stagione, e a dicembre un motivo in più è il bellissimo e romantico mercatino di Natale, che si tiene proprio in piazza Vorosmarty fino al 24 sera. L’atmosfera è davvero particolare. Un tuffo nel passato, con un ricco calendario di eventi a corredo e tra budapestini romantici e turisti sognanti, se si ascolta bene, pare di sentire il rumore della crinolina delle gonne della principessa Sissi che corre alla sua pasticeria preferita. I

www.turismoungherese.it UOMINI&BUSINESS

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Le Mode & lo Stile

Quello che sanno lo devono in gran parte al nonno, che ai primi del Novecento aveva fondato una sartoria artigianale a Gambara, nel bresciano. Ma i tre nipoti Mario, Pierluigi e Stefano sono andati oltre. E hanno portato in tutto il mondo l’inconfondibile stile Boglioli 150

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eleganza coraggiosa DI CAMILLA GOLZI SAPORITI

La passione è quella di sempre; l’indole ambiziosa e il gusto ricercato pure. Si vede che certe caratteristiche fanno parte del dna di una famiglia, si trasmettono di padre in figlio e, a distanza di generazioni, non vanno perse, ma si ritrovano inalterate. Si vede che nelle vene di Mario, Pierluigi e Stefano Boglioli scorre lo stesso sangue del nonno, un uomo vecchio stampo, abituato a lavorare sodo e convinto che per un certo tipo di abito servano estro e mani esperte. A loro nonno, a quell’uomo, sono legati da un affetto forte e intenso ancora oggi. Un affetto che vive nel ricordo di quando da bambini, insieme a lui, imparavano a distinguere una stoffa da una fodera, giocando coi colori e dando vita a tagli strani. Un sentimento che si rinnova pensando a quanto erano belle le giornate passate a Gambara, saltando da una parte all’altra dell’azienda di famiglia, una sartoria artigianale del bresciano avviata ai primi del Novecento, che già allora, per quanto piccola di dimensione, si capiva che prometteva bene.

Boglioli è una cultura del vestire che si sviluppa con la stoffa di tre generazioni, con espressioni di antica tessitura e termini artigianali; mischiando stili e ispirazioni, sperimentando e cucendo formule collaudate con fantasie mai viste

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Le Mode & lo Stile

Protagonista assoluto della stagione invernale di Boglioli è il tartan scozzese, declinato in tutte le versioni, dal completo alla giacca

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Momenti semplici, attimi indimenticabili, immagini preziose incorniciate nell’album dei Boglioli. Aprendolo, sfogliandolo pagina per pagina, è come immergersi in un romanzo senza tempo, sempre attuale, coinvolgente; impossibile annoiarsi o rimanere indifferenti a un racconto esistito veramente. All’interno, nella trama, figure e personaggi, esperienze e tradizioni, tanti spunti e idee interessanti che, intrecciandosi, spiegano cosa significa Boglioli. Boglioli è un nome, un’azienda, una cultura del vestire che si esprime alla perfezione nel capospalla da signore, ma parla bene tutto il linguaggio dell’abbigliamento maschile. Per riassumersi usa un’etichetta, una sorta di abc dell’abito che produce, nella quale sono contenute le sue parole d’ordine: metodo di confezione rigoroso, selezione attenta del materiale, eleganza coraggiosa. Attorno a questi termini, si apre un discorso che ruota su diverse prospettive di tessuto, volando su lane, cachemire e tartan, lini e cotoni, e sale su scale di colori. All’inizio il bianco e il nero, poi aggiunge qualche tono e, alla fine, dialoga con una ricca gamma di tinture, sia lucide che opache, con le righe, gli spigati, gli scozzesi o senza niente. Sviluppa tutto con il talento e con la stoffa di tre generazioni, con espressioni di antica tessitura e termini artigianali; e si diverte molto a mischiare stili e ispirazioni, sperimentando e cucendo formule collaudate con fantasie mai viste. Oggi, alla guida dell’azienda ci sono tre fratelli, i tre nipoti, i discendenti di questa lingua sartoriale, gli eredi di una storia di famiglia che conoscono da sempre e che s’intitola con il loro nome. A questo nome hanno dato importanza, affermandolo sul palco della moda maschile come un interprete del made in Italy, un attore del vestire internazionale, l’artista per eccellenza della giacca. Quest’anno il colpo di scena. Alzandosi il sipario, di fronte a una platea d’élite, Boglioli cosa fa? Prende tutto e se ne va…. Dice d’avere un progetto, un investimento importante, e ci pensa proprio in un 2008 così instabile e tremolante, costante solo nel colpire con scosse forti, crolli improvvisi. Con una crisi globale. Impassibile e controtendenza, Boglioli segue il suo istinto, segnando una svolta decisiva per l’azienda di Gambara: si sposta a Milano e si dedica per un po’ a arredi e architetture. Sembra una follia, l’ennesima bolla d’inconsistenza destinata a svanire, a fallire. Invece no, e la ragione si trova all’angolo tra via Tirabaschi e Pierlombardo, dove ha sede il suo nuovo showroom. Uno spazio di 500 mq, a pianta rettangolare, su tre livelli, con tredici vetrine al livello della strada, punto di contatto tra l’interno e l’esterno, il negozio e la città, ma soprattutto tra l’etichetta bresciana e le persone. Visibilità e trasparenza sono le chiavi per leggere l’intero progetto che desidera valorizzare l’immagine del marchio e rinnovare il concetto di showroom. Quest’ultimo è un luogo in comunicazione con il contesto, non più chiuso e riservato, appartato nel


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voler mantenere discreto il rito della compravendita e, soprattutto, nascondere la collezione. Un luogo che all’interno si mostra accogliente, grazie al gusto sobrio e raffinato che sceglie il bianco per le pareti, il legno per arredo e appenderia. Tavoli, sedie e lampadari sono produzioni di grandi architetti scandinavi, mentre i complementi sono frutto di ricerca e selezione nel campo della decorazione. Nello spazio meneghino il protagonista assoluto è il nome di Boglioli che si respira nell’atmosfera generale e vede in ogni singolo capo, abito e collezione, incluso, ovviamente, il must della stagione, perfetto per questo Natale: il tartan scozzese, declinato in tutte le versioni, dal completo alla giacca, come rivestimento e da mettere in bella vista. Se oggi il nonno di Mario, Pierluigi e Stefano Boglioli potesse entrare in questo showroom, di sicuro sarebbe molto fiero dei suoi nipoti. I

Visibilità e trasparenza per il nuovo showroom Boglioli, tra via Tirabaschi e Pierlombardo, uno spazio di 500 mq, a pianta rettangolare, su tre livelli, tredici vetrine al livello della strada

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Le Mode & lo Stile

DI CARLOTTA CLERICI

Trovare una fragranza che in pochi attimi riveli la personalità e sappia descrivere il carattere di chi la indossa è il sogno di ogni uomo. Ogni profumo, infatti, è un universo olfattivo e sensoriale capace di ispirare e rimandare al differente stile di vita dell’uomo che lo sceglie. Alcuni uomini sanno osare e riescono a sfoggiare con disinvoltura fragranze inedite e personalizzate; altri si affidano, con sicurezza, e senza guardarsi troppo attorno, ai grandi classici come l’intramontabile acqua di Colonia; oppure c’è chi, per non esagerare, si limita ad un piacevole e rilassante massaggio profumato col dopobarba. Del resto, anche se orientarsi e destreggiarsi nella vastissima offerta di profumeria maschile può risultare un’impresa difficile, la cosa più importante è riuscire a trovare in una fragranza quella parte di se stessi che si ha intenzione di valorizzare. A seconda della sua composizione, ogni profumo ha una propria intensità ed è importante tenere presente che gli effetti possono variare a seconda della pelle. Inoltre, anche la scelta delle materie odorose e della loro concentrazione influenza notevolmente sia l’aroma, sia il risulta-

Alviero Martini

1a Classe

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I suoi toni agrumati e freschi di limetta tropicale sono ravvivati dagli accenti aromatici delle foglie di tè di Anhui e dal Rhum Giamaicano. Il suo cuore è reso originale da un accordo speziato di cumino e cannella e completato da una nuance floreale agreste di lavanda francese. Il fondo ricco di note legnose ed evocative delle terre lontane è valorizzato dal legno prezioso del palissandro e mascolinizzato dal legno di teak UOMINI&BUSINESS

to finale, e per questo il mercato offre, per soddisfare le più svariate esigenze, un profumatissimo ventaglio di nomi, tipologie e composizioni. Ci sono quelli fruttati, freschi e rigeneranti, perfetti nelle stagioni calde o dopo una giornata di sole e relax, che sottolineano un fascino fresco e sbarazzino. Si può spaziare dalle note dei fiori come il geranio africano, il gelsomino, la lavanda e il mughetto fino al profumo pungente e agrumato del bergamotto, del pompelmo, dell’arancia e della limetta. Quelli muschiati e con note animali sono i più adatti per trasmettere un carattere forte e sensuale, mentre quelli ricavati dai resinoidi come l’incenso e la mirra riescono ad emanare, oltre a uno stile raffinato, un fascino magico e suggestivo. Molto alla moda anche quelli legnosi, sempre circondati da un alone di fascino e mistero: dalle cortecce tradizionali del sandalo, del cedro e del vetiver ai più originali legni di rosa, di quercia e laudano. Per chi è, invece, alla ricerca del proprio lato seduttivo, sono ottime le fragranze ricavate dalle spezie come il peperoncino o la cannella ma anche il coriandolo, l’anice, lo zenzero e il cardamomo. I

John Varvatos Classic Dalle note di testa alle note di fondo questo profumo è un’affascinante miscela di legni orientali e di ingredienti tipici della profumeria d’avanguardia. La fragranza si apre con l’aroma deciso di foglie di tamarindo dell’India dell’ovest e dei datteri di Medjool. Le note di fondo rivelano, infine, il lato più sensuale della fragranza mischiando ricchi legni balsamici, ambra e sfumature di cuoio per accentuarne l’alone di mistero


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L’Homme

London for Men

Yves Saint Laurent

Limited Edition Burberry

La scorza del cedro e del bergamotto, unite alla luminosità dello zenzero cinese offrono, infatti, un preludio frizzante e fresco alla fragranza. La freschezza è contrastata dalle note fiorite e speziate delle foglie di violetta e dei fiori di basilico che unendosi nel cuore esprimono l’eleganza sofisticata di una mascolinità contemporanea

Una fragranza che racchiude in sé tutti i tradizionali sapori del “british Xmas”: dal pungente aroma del bergamotto e del pepe nero, alla dolcezza della mela croccante e della cannella. La fragranza è arricchita dalle intramontabili essenze della lavanda e del rosmarino e da un sorprendente incontro nato dalle foglie di violetta e di fresia

LBF for Men Art

Z Zegna

of Fragrance

Il bergamotto di Sicilia, il rosmarino e il frutto di Casoar stimolano l’olfatto, mente la freschezza dell’iris, la noce moscata e il pepe bianco lo seducono, e i legni di cachemire e di patchouli lo avvincono. Carnale e atipica, questa fragranza dallo spiccato carattere si rivela presto irresistibilmente seducente

In vetro dai toni blu con ghiera metallica, questa boccetta protegge note verdi di testa come il Tè verde e foglie di pero. Nel cuore l’aroma si tinge di estremi fioriti grazie alla violetta e freschi con il rosmarino e il galbanum. La scia finale, poi, è un potente colpo di coda che emana la forza energetica del sandalo e le vibrazioni dell’insostituibile vetyver fusi in un accordo di Fava Tonka

Soprani Uomo La fragranza è caratterizzata dalla vivacità delle note verdi, del cardamomo e dell’anice stellato che unendosi alla profondità del legno di cedro e di sandalo, si rivelano nei toni frizzanti e agrumati del bergamotto, pompelmo e mandarino. L’avvolgente tocco speziato del vetiver e del patchouli e delle nobili note fiorite di fresia, gelsomino e lavanda si uniscono, sul fondo, ad un intenso accordo di legni bianchi, ambra chiara e sensualissimo musk

Replay for him Il profumo inebriante del cardamomo irrompe in uno stimolante cocktail di note agrumate. Il calore e la forza della noce moscata conferiscono al cuore della fragranza energia e carattere, esaltando un mix di note intensamente aromatiche. Sul fondo l’aroma morbido del legno di Gaiac, caratterizzato da un leggero sentore di fumo UOMINI&BUSINESS

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SPA BORMIO:2 colonne

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Le Mode & lo Stile

Una palestra modernissima e una spa avvolgente attendono gli ospiti di Younique. Che possono anche tuffarsi in una piscina di 18 metri di acqua azzurrissima

Nell’Alta Valtellina un’oasi rigenerante, già nota agli antichi romani, e ancora più suggestiva quando la temperatura scende sotto lo zero e la neve imbianca il paesaggio 156

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SPA BORMIO:2 colonne

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Un tuffo tra le nevi AI Bagni di Bormio DI SABRINA SANTORO

Al centro ci sono le sue acque, le cui proprietà benefiche erano note già agli antichi romani. Al loro biglietto da visita si aggiunge un panorama mozzafiato e due strutture alberghiere dallo stile architettonico suggestivo. Nell’Alta Valtellina, per la precisione a Valdidendro (Sondrio), i Bagni di Bormio Spa Resort restano senza dubbio un luogo privilegiato per chi ricerca una pausa dallo stress cittadino e per gli amanti dello sport, che dopo un’attività motoria nei numerosi impianti o percorsi sportivi della zona vogliono recuperare il benessere fisico.

Stanze dell’acqua

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SPA BORMIO:2 colonne

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Le Mode & lo Stile

Terme Bagni Vecchi - Sentiero di Mercurio, percorso Kneipp: riflessologia plantare in vasca su un pavimento ricoperto da ciottoli, alternando un percorso in acqua calda con uno in acqua fredda

Terme Bagni Vecchi - La Grotta Sudatoria di San Martino è un percorso disintossicante che si sviluppa lungo due gallerie scavate nella roccia per oltre 50 metri e conduce a una delle sorgenti di acqua termale per un affascinante viaggio nel tempo

La struttura si sviluppa intorno ai due Hotel, ciascuno collegato al rispettivo centro SPA&benessere. Arrampicati sulle pendici della Reit, ci sono il Grand Hotel Bagni Nuovi (aperto nel 1845), una elegante struttura in stile liberty, e i Bagni Vecchi (utilizzati sin dal I secolo A.C), un complesso storico con grotte naturali e vasche, che propongono diversi itinerari disintossicanti, rilassanti e rigeneranti. I centri benessere nel loro complesso offrono oltre sessanta differenti tipi di pratiche termali, comprese vasche e piscine all’aperto a picco sulla conca di Bormio accessibili tutto l’anno anche sotto un’abbondante nevicata per vivere l’emozione di una calda immersione circondata da una soffice neve fresca. I due centri sono suddivisi in vari settori con differenti percorsi termali tutti orientati al benessere e alla remise en forme. Idromassaggi, fanghi, docce di Vichy, vasche relax, percorsi di riflessologia plantare, cascate a intensità differenziata, idrogetti, cascate di ghiaccio, vasche prendisole, tinozze in legno, vasche in marmo rosa, saune, bagno

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SPA BORMIO:2 colonne

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Terme Bagni Vecchi, piscina panoramica all’aperto

turco, stanze a vapore, sale relax e con cromoterapia, sono solo alcune delle pratiche offerte. Accessibili anche a chi non è ospite degli hotel, i due centri termali sono alimentati da acque naturalmente calde (la temperatura varia tra i 37° e i 43° C) che sgorgano da 9 sorgenti situate all’interno del Parco Monumentale che si estende intorno alle due strutture, ad un’altitudine variabile dai 1280 ai 1420 metri. Il Grand Hotel Bagni Nuovi, inaugurato nel 1845, ha rappresentato sin da metà ‘800 il punto di riferimento per lo sviluppo del turismo a Bormio ed in Alta Valtellina. La struttura ripercorre i modelli architettonici propri dei Grand Hotel Termali dell’800 che, nel lusso delle ampie sale del pianterreno, offrivano i momenti di aggregazione e di incontro ricercati dalle classi più abbienti del tempo. Il Grand Hotel raggiunse il massimo splendore nella prima metà del secolo scorso; chiuso nel 1976, è stato completamente ristrutturato, con un lungo e paziente intervento durato 11 anni, mantenendo l’architettura originaria, recuperando i numerosi affreschi, stucchi e arredi antichi e, soprattutto, conservando i sapori antichi e la tradizione di un tempo passato. Gli ospiti trovano alloggio in 74 camere la maggior parte dotate di vasca idromassaggio Jacuzzi alimentata da acqua termale, di cui una Suite Reale (realizzata per ospitare Vittorio Emanuele III), 5 suite, 18 Junior suite, tutte arredate con i mobili originali.

Per informazioni Bagni di Bormio Spa Resort***** Via Bagni Nuovi, 7 20138 Valdidentro (So) Tel +39 0342 910131 www.bagnidibormio.it

Altrettanto suggestiva la location dell’Hotel Bagni Vecchi, la cui struttura sorge sulla rupe dell’antico Castello che da un’altitudine di 1400 metri domina la Magnifica Terra e l’ampia conca di Bormio, spaziando dal Vallecetta ai ghiacciai perenni della Cima Piazzi. L’edificio, nella romanità “Hospitium balneorum”, quindi nel medioevo “Xenodochio”, ospizio per viandanti gestito da monaci, è stato trasformato in albergo nel 1826 all’indomani della apertura della strada carrozzabile dello Stelvio, il passo più alto d’Europa, diventando il luogo delle vacanze della Corte Imperiale d’Austria. Ristrutturato nel 2000, l’Hotel Bagni Vecchi, ha 12 camere arredate con mobili originali, di cui 2 suite gioielli della struttura. I UOMINI&BUSINESS

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VETRINA:2 colonne

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Le Mode & lo Stile - Vetrina

Vertu presenta il nuovo Signature In occasione del suo decimo anniversario, Vertu, marchio leader nella produzione di telefoni artigianali destinati al mercato del lusso, presenta la nuova collezione Signature. Disponibile nelle versioni in oro bianco, giallo e acciaio inossidabile, il modello sarà in vendita presso le boutique Vertu e nelle migliori orologerie e gioiellerie di lusso in tutto il mondo. Quasi impossibile da rigare, questo cellulare ha caratteristiche di durezza tali da richiedere l’utilizzo di strumenti dotati di punta di diamante per tagliarlo, lavorarlo o graffiarlo. Ogni tasto è adagiato su una fila di cuscinetti di rubini, tagliati e incastonati come in un vero gioiello. Realizzato a mano nei laboratori del marchio in Inghilterra, Signature è il primo telefono ad essere interamente assemblato da un unico artigiano.

Nava Design lancia Treck Treck è la linea di prodotti in pelle destrutturati, morbidi al tatto e leggeri firmata Nava Design. Ogni modello, caratterizzato dalla soluzione bicromatica che rimanda alla memoria di borse culto, è ultra accessoriato per ogni funzione del lavoro e del viaggio. Le cartelle sono dotate di porta pc imbottito e rivestito con fodera jacquard rigata. Agende, porta blocchi, astucci, portabiglietti da visita e portafogli completano la linea Treck disponibile nei classici toni del nero e testa di moro. Nella foto, Travel Bag. Prezzo al pubblico 320 euro

Una polo in edizione limitata Disponibile in solo 250 pezzi per ogni colore proposto, la Polo Special Limited Edition della U.S. Polo Assn è realizzata in morbido e confortevole cotone per assicurare una vestibilità ideale. Declinata nelle calde e profonde tonalità del verde, blu e bordeaux, questa polo in edizione limitata è caratterizzata da loghi ricamati in oro, etichette interne termosaldate per personalizzare con il proprio nome il capo e piccoli dettagli in ottone invecchiato, simbolo del patrimonio storico del marchio.

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Per i centauri

fashion-victim Dedicato ai motociclisti con il pallino della moda, Zip è il nuovo casco della Newmax firmato da Moschino. Venduto senza visiera, il casco è comunque predisposto per la visiera in policarbonato a 4 bottoni, mentre il cinturino a sgancio rapido è realizzato con la chiusura in fibra micrometrica. Zip è disponibile in versione calotta oro con logo nero e calotta nera con logo dorato. Gli interni, invece, sono realizzati con colori ad hoc e tessuti tecnologici Dupont®, anallergici e antistatici, per favorire la traspirazione. Zip è solo una delle proposte della Moschino Helmets, linea di caschi comodi e stilosi frutto della recente collaborazione tra la casa piemontese produttrice di caschi e la maison della moda che fa capo al gruppo Aeffe. Il prezzo al pubblico è di 270 euro.


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Daniele Alessandrini

rispolvera il panciotto

La classica fascia, il panciotto anni 50, rivive nella collezione Autunno/Inverno di Daniele Alessandrini. Gilet in lana, panno o tweed ornati dai classici bottoni in madreperla e chiusi dal raso assumono nuove forme per adattarsi in vita e diventare contemporanee fasce da usare sotto le giacche e cappotti. Un pezzo classico del guardaroba maschile rivisitato seguendo i codici di praticità dei nostri giorni senza dimenticare l’heritage del brand fra sartorialità e artigianalità.

Scocca l’ora della Ducati Ducati, azienda leader nella costruzione di moto sportive, ha presentato la sua prima collezione di orologi a marchio Ducati One e Ducati Corse. Si tratta di prodotti che coniugano lo spirito sportivo di Ducati con le peculiarità degli orologi di alta gamma: movimento swiss made, vetro zaffiro e una particolare cura ai dettagli. Nei materiali utilizzati spicca un forte richiamano al mondo dei motori a cui vengono accostati componenti dell’orologeria più evoluta. Prodotti e distribuiti da Binda Group, sono disponibili nelle gioiellerie e orologerie più prestigiose.

Dutti

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Bicolor in pelle. I guanti di Massimo

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Accessorio indispensabile quando il clima si fa rigido, quest’anno i guanti sono più glamour nella versione in pelle. Come quelli che propone Massimo Dutti nella versione bicolor al prezzo di 49 euro. L’attenzione della catena di abbigliamento spagnola, che fa capo ad Inditex, è sempre più rivolta al mondo degli accessori con proposte di total look che si rinnovano nelle boutique ogni due settimane.

L’ultimo nato di casa

Kickers

Si chiama Original Raw la nuova proposta Kickers uomo/donna per questa stagione invernale. Con un sapore dichiaratamente informale, questo polacchino, fedele alle caratteristiche che contraddistinguono il marchio, è realizzato in morbido suede, caratterizzato da cuciture a vista e a contrasto. Il recupero della forma più grintosa ed originale degli anni ‘70 assicura una calzata ampia e confortevole. Grazie allo speciale programma “shoes configurator”, Kickers rende Original Raw personalizzabile: sul sito Web www.kickers.it e presso il flagship store di Milano, utilizzando fino a tre diversi colori è possibile creare oltre 200.000 combinazioni diverse per rendere unica la propria Original Raw.

Una carta di credito pensata per i golfisti BankAmericard, divisione di Deutsche Bank specializzata nei sistemi di pagamento, lancia Golf Fee Card, la carta di credito dedicata agli appassionati del golf. Tra i vantaggi, oltre ad un limite di spesa mensile di 3 mila euro elevabile in base alle esigenze del titolare, sconti fino al 50 per cento sui green fee di oltre 2 mila campi da golf in tutto il mondo. Le spese effettuate con Golf Fee Card possono essere addebitate sul conto corrente di qualsiasi banca italiana, incluso Banco Posta. UOMINI&BUSINESS

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VETRINA:2 colonne

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Le Mode & lo Stile - Vetrina

Le calosce diventano Funny per Pirelli P Zero Dopo l’edizione limitata proposta a gennaio (solo 1500 esemplari), i nuovi stivali di gomma della Pirelli P Zero si ispirano al nuovo pneumatico cinturato e la suola avvolgente si sviluppa in altezza, fino al polpaccio, disegnando l'inconfondibile impronta radiale. Autentici oggetti del desiderio, sono disponibili in fucsia, arancio fluorescente e in nero nella versione maschile e per le donne che prediligono un look più formale. Prezzo 120 euro.

Uomini Business Direttore responsabile e Amministratore unico

GIUSEPPE TURANI Redazione Daniela Braidi - d.braidi@uominiebusiness.it Mariangela Tessa - m.tessa@uominiebusiness.it Corso Venezia, 8 - 20121 Milano Tel. +39 02 7641 561 - Fax +39 02 7600 9716 redazione@uomini&business.it www.uominiebusiness.it Amministrazione uominib@libero.it Realizzazione grafica e impaginazione Jolanda Lanero - Milano Tel. +39 02 8918 1023 jolanda.lanero@fastwebnet.it Hanno collaborato Desideria Cavina, Monica Cirillo, Carlotta Clerici, Mauro Coppini, Amanda del Coro, Caterina Dosi, Paolo Filo della Torre, Elisa Giulietti, Camilla Golzi Saporiti, Lorenza Grassi, Antonio Martelli, Andrea Monticone, Gioia Mori, Elisabetta Panarese, Carolina Paris, Antonia Pietrino, Cinzia Romani, Gianni Ruspino, Sabrina Santoro, Paolo Scattolini, Roberta Schira, Giovanni Tamburi, Laura Wildermuth Fotografie Grazia Neri

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Via Agostino Bertani, 6 - 20154 Milano Proprietà Uomini e Business srl Corso Venezia, 8 - 20121 Milano Coordinamento Editoriale Patrizia Grosso - Tel. +39 02 582 051 patrizia.grosso@media-v.it Uomini & Business Registrazione presso il Tribunale di Milano N. 28 del 9/1/1989 Fotolito Color Sistem srl - Via Natale Battaglia, 12 - Milano Stampa Pozzo Gros Monti Editore srl - Moncalieri (TO) Distribuzione Mepe Spa - Via G. Carcano, 32 - 20141 Milano Concessionaria Esclusiva di Pubblicità Publimaster srl - Via Winckelmann, 2 - 20121 Milano Tel. +39 02 42419.1 - Fax +39 02 4895 1758 www.publimaster.it publimaster@publimaster.it Amministratore delegato: Alessandro Zonca

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© 2008 GVE Guido Veneziani Editore. Tutti i diritti riservati. Testi, fotografie o disegni contenuti in questo numero non possono essere riprodotti neppure parzialmente senza l’autorizzazione dell’editore.


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