UN MILIONE DI ANNI FA

Page 1





<<Un

milione di anni fa stavo tornando a casa dal mio

ultimo viaggio sulla Luna e mi capitò di ascoltare una storia, già vecchia come il mondo>>. <<Sentitelo!!

È già duro da grattare. Ahahaha “un milione di anni

fa” ahahaha. Poi se è già vecchia che ce la racconti a fare, ubriacone?>>.

Fu Dio in persona che dalle sue generose mani un giorno

posò in terra una piccola gemma floreale. Era di una bellezza e delicatezza mai viste prima. Il vecchio narratore disse che sicuramente veniva da un altro Pianeta, forse addirittura una Stella. Solo pochi minuti dopo aver toccato il suolo, tuttavia un vento gelido iniziò a soffiare e a travolgere ogni cosa e trasportando lontano, tanto lontano quel tenero tesoro. Quando finalmente si riposò sulla terra, si trovò in un luogo freddo e buio. Passò un intero inverno riparata dentro il riccio di una castagna, ansiosa che arrivasse la sua primavera. Ma a quella latitudine neppure nei tempi più miti il calore e la luce erano sufficienti a scaldare il suo fragile involucro e la gemma rimase chiusa, fino al successivo inverno.

Non sarebbe mai sopravvissuta se non fosse stato per il

vecchio stregone che abitava quelle impervie montagne desolate. Un giorno, mentre cercava le sue erbe portentose, la notò, striminzita e debole, la raccolse e la portò con sé nella sua dimora


in mezzo al fitto bosco. Si prese cura di lei, scaldandola al calore del focolare e lentamente, giorno dopo giorno, la piccola gemma iniziava a crescere. Lo sciamano lavorava giorno e notte per procurarsi tutta la legna necessaria affinché anche nella foresta millenaria, un barlume di luce e calore potesse aiutare la piccola creatura a fiorire.

Passarono mesi e mesi, e la legna non era mai abbastan-

za. Durante la sua assenza lasciava sempre un bel ceppo a scaldare la baracca ma quando, stremato dalla fatica tornava, vedeva che il fuoco era ormai spento e la dimora gelida e buia. Altri mesi passarono finché, non trovando altra soluzione, prese una decisione. Vagò tre interi giorni alla ricerca di erbe da un potere magico, su e giù per la montagna, sotto la neve che era nuovamente iniziata a cadere copiosa. Non era sicuro di trovare quelle particolari erbe; a dire il vero non era neppure sicuro che esistessero veramente ma ne aveva sentito parlare da un suo vecchio maestro e volle tentare. Come si dice, la fortuna aiuta gli audaci e l’uomo tornò di corsa a casa con la sacca piena di Magia. Miscelò con perizia e attenzione i preziosi ingredienti e ottenne un decotto molto speciale. Con le sue grandi mani ruvide prese la piccola gemma e la immerse per qualche minuto nella magica pozione. Ed ecco che proprio mentre pensava di aver fallito, un miracolo apparve infine ai suoi occhi colmi di lacrime: la gemma si trasformò in una splendida bambina. Tuttavia qualcosa andò storto e pur nel corpo e nella mente umana, la piccola rimase per natura una gemma floreale.


L’uomo si disperò e imprecò contro tutti gli dèi e contro se stesso per quel maldestro esperimento. Sì, perché alla fanciulla occorreva ancora tanto calore, altrimenti la sua essenza vitale non sarebbe mai sbocciata. Lei comprese la situazione e la difficoltà dell’uomo e quando questi le propose un patto lo accolse amorevolmente: lui avrebbe tagliato anche fino all’ultimo ramo della montagna ma lei avrebbe dovuto tenere sempre il fuoco vivo, per scaldarsi e continuare a crescere.

Passarono gli anni. L’uno in cerca di buon legname da

ardere e l’altra a carreggiarlo dalla legnaia alla capanna, preoccupandosi gravemente di non fare mai spegnere la fiamma. Più lei cresceva e più legna occorreva. La piccola schiena cominciava a gonfiarsi di dolore, ma non vi era altro modo per sopravvivere.

Un giorno d’estate, una farfalla bianca si perse tra le fitte

fronde della boscaglia e vedendo la luce del focolare si intrufolò nella casetta. La fanciulla non ne aveva mai vista una prima di allora e quando quella dopo pochi istanti volò via, lei la seguì correndo, in lungo e in largo fino a quando non si ritrovò in un’ampia radura dove, seppur tiepido, il sole pomeridiano graziava ogni creatura. Fu una vera meraviglia. Rimase per ore a guardare il cielo limpido e gli uccelli tracciare traiettorie bizzarre sulle cime degli alberi, poi una scossa di paura le trafisse il tenero cuore. Il fuoco! Quanto tempo era passato? Il fuoco sarebbe stato ancora vivo?


Cercò di tornare più in fretta possibile verso casa ma più di una volta si perse nell’intrico di sentieri a lei sconosciuti. Quando finalmente arrivò, trovò lo sciamano adirato come mai lo aveva visto prima. Non avrebbe dovuto permettere al fuoco di spegnersi; non avrebbe dovuto perdere tutto quel tempo a rincorrere una stupida farfalla. Lei gli parlò del sole, del calore e di tutta quella luce, degli uccelli. Lui seccamente rispose che ci sarebbe stato un tempo in cui sarebbe potuta arrivare in cima al monte, al di sopra della fitta foresta. Ma non era ancora giunto quel momento. Le disse: <<Vuoi davvero andare là fuori? Ebbene allora cresci!>>. <<Ma

tutto quel calore, quel sole...non sarebbe...>>. L’uomo la

zittì con uno sguardo gelido e poi aggiunse farfugliando: <<Non conosci la mia pena. La foresta è il mio rifugio e non posso lasciarti sola nella radura. Verrà il tempo, verrà il tempo>>. E da quel giorno i ceppi di legno divennero ancor più pesanti.

Gli anni passarono ancora e, anche se ligia al suo patto,

la piccola gemma con il corpo di fanciulla sempre più spesso correva alla radura. Sì perché ormai era abbastanza forte e grande da correre più veloce della fiamma che si spegne.

Arrivò infine il tempo in cui lo sciamano chiamo a sé

Gemma e le disse che ora poteva andare. Avrebbe dovuto scalare una, dieci montagne, fino al punto in cui, lui sapeva, sarebbe stata finalmente felice. Sebbene avesse aspettato quel momento per tutta la vita, la fan-


ciulla fu impaurita. <<Sei sicuro che potrò farcela? Non mi serviranno più il fuoco e le tue forti braccia?>>. Lui la tranquillizzò e le disse che avrebbe fatto un altro incantesimo per proteggerla da tutto e da tutti. Allo stesso modo in cui donò alla gemma un corpo esterno e una coscienza umana, pensò a come rendere forte e invincibile la sua amata creatura, dotandola dello spirito di un animale guardiano. Pensò per ore a ogni tipo di bestia che potesse essere di aiuto là, lontano da quel fuoco e da quella legna. Alla fine decise che la virtù più importante sarebbe stata la determinazione e, per antonomasia, l’animale più determinato è lo scorpione. Avrebbe potuto quindi assumerne le sembianze in ogni occasione in cui tale peculiarità si fosse resa necessaria. Lei sorrise, già pronta a conquistare il mondo.

Non fu facile lontano da quel focolare e lo scorpione

punse decine, centinaia di volte per sopravvivere e soprattutto per raggiungere ogni singola meta che Gemma si prefiggeva. Un giorno disse: <<Voglio laurearmi e diventare avvocato e ricca>>. Sapeva bene sulla sua pelle, sulla sua schiena, quanta devozione e tenacia occorrono per tenere accesa una speranza. E lo scorpione l’aiutava molto. Ostacolo dopo ostacolo la strada si stava aprendo innanzi a lei. Ogni ragionato meccanismo riusciva perfettamente ad ingranarsi in quella che era ormai la sua missione. Di tanto in tanto sentiva parlare di qualcosa che le suonava famigliare ma che non comprendeva fino in fondo. Amore, che parola strana! Cercava di trovarlo, pensava a tratti di


conoscerlo, ma nulla. Le capitava di pensare che quel suono… ’amore’, avesse a che fare con la farfalla, il cielo, le nuvole e gli uccelli che poteva vedere nella antica radura. Ma tanta gioia non poteva trovarla in nessuno dei tanti ragazzi che la corteggiavano, né riusciva lei a donare loro. Diceva sempre: <<Nei miei occhi si può naufragare!!>>. E in effetti molti vi affogarono se non prima punti dalla velenosa coda dello scorpione.

La meta, la laurea, il suo sogno erano ormai vicini, quan-

do per caso incontrò un vagabondo, un giramondo di quelli che spesso e forse troppo in fretta si dice senza arte né parte. Si incrociarono in una stretta via del centro storico. Era sera e al lume delle lanterne quegli occhi profondi come un abisso attirarono l’attenzione del girovago. Lei lo notò e dapprima ebbe un po’ paura e lo scorpione stava per mostrarsi, ma poi qualche cosa la tranquillizzò e fu lei a rivolgergli la parola. <<Ciao

vagabondo, dove te ne vai?>>.

<<Quegli

occhi>>, disse l’uomo, <<quegli occhi>>.

<<Attento

a non fissarli troppo, in questi occhi potresti naufraga-

re>>, rispose lei. <<Il

perché lo sai?>> chiese lui.

La gemma fanciulla tentò di trovare una risposta, una contro battuta, ma non seppe dare nessuna spiegazione. <<Io

conosco il segreto di quegli occhi e per qualche moneta po-

trei rivelartelo>>. Disse misterioso il vagabondo. <<Ah <<Ti

si?!!>> impettita. <<Sentiamo allora!>>.

farà male>>.


<<Figurati!

Male. Tu non sai neppure che significhi male, il dolo-

re!>>. <<Come

vuoi. Però io ti ho avvisato>>.

<<Avanti. Sentiamo l’oracolo dei poveretti. Se sai tante cose come

mai della tua vita non hai saputo fare di meglio che fartela sfuggire. Guarda come sei ridotto. Un povero barbone e non avrai neppure cinquant’anni ma ne dimostri settanta>>. Il viandante non diede importanza a quelle parole e penetrò in quel preciso istante lo sguardo della ragazza. Come aveva immaginato, quei magnifici orifizi non lo condussero al cuore ma venne subito intrappolato dalla mente, rivoltato, schiacciato, sbeffeggiato e, quando stava per soccombere, solo con un grande sforzo riuscì a divincolarsi da quella stretta mortale e in un silenzio irreale piombò inerme fin nel profondo delle viscere e cadde pesantemente su un enorme macigno. <<Tutto

qui?>> disse la ragazza quando il giramondo ri-

prese i sensi. <<Un macigno? E pensi che dovessi arrivare tu per dirmi del macigno? Per tutta la mia vita l’ho portato in grembo. Ogni singolo ceppo di quella legna che mi ha scaldato è finito laggiù. Perché, al contrario tuo, che la vita te la stai giocando, io me la sono pagata con lo sforzo di queste mani e di questa schiena>>. <<Non

è del macigno che voglio parlarti. So bene che ne eri a

conoscenza. Ti stai adagiando su di esso, è la tua scusa>>. <<Quale <<Di

scusa? Io non ho niente di cui scusarmi>>.

certo non hai mai fatto nulla di male. Ma io sto parlando di


come quell’enorme ammasso ti sia comodo per nascondere sotto di esso ciò che vi si è intaccato da troppo tempo. Sai, mentre ero laggiù non sono riuscito a rimuovere quell’immenso peso, ma mi è stato sufficiente ascoltare>>. <<Ascoltare?>>.

In quel preciso istante lo sciamano apparve alla loro vista e la ragazza si trasformò in un gigantesco scorpione nero. <<Uomo,

che vuoi dalla mia gemma!? Quali perfidi stratagemmi

stai usando, qual’è la tua malvagia magia?>>. <<Lo

sai bene altrimenti non saresti qui>>.

Lo scorpione guardava la scena da distante, pronto comunque ad arpionare con il suo pungiglione velenoso quel lurido pezzente se solo avesse mosso un dito contro il suo salvatore. Vi fu un lunghissimo istante di silenzio in cui due uomini si fissarono intensamente. Poi il vecchio disse: <<La mia magia tutto può. Esprimi un desiderio e io lo esaudirò. Poi però sparisci per sempre>>. Niente di meglio gli sarebbe potuto accadere in una notte umida d’autunno e il barbone iniziò a pensare e ripensare a quale desidero esprimere. Soldi? No, la sua vita di randagio non era poi così costosa. Salute? Certo tutti quegli anni all’addiaccio lo avevano segnato. Amore? Sì, amore era il suo desiderio, ma poi ripensò a qualcosa è una smorfia di dolore apparve sul suo volto già solcato dal vento. <<Vecchio, <<Certo <<Si

puoi farmi tornare indietro nel tempo?>>.

che posso! Tutto qui quel che vuoi?>>.

è poi ti prometto che sparirò per sempre>>.


In un istante il vagabondo si ritrovò ancora giovanotto, in

un campo dove un tempo aveva abitato. Teneva legato con una corda un vecchio segugio. Stette molto tempo ad accarezzarlo e abbracciarlo, poi gli tolse il laccio e lo lasciò libero, gettando a terra la sua calibro nove. Il cane lo fissò con quei soliti occhi che non ricordava più. Il giovane cominciò a piangere e non riusciva più a smettere e allora non trattenne più il dolore e pianse più forte, sempre più forte fino a che ogni muscolo del corpo non cedette dal dolore. Infine si sentì meglio, qualcosa di nero e inquietante usciva dal suo corpo, trascinato via da quel pianto liberatorio. Il cane gli si avvicinò, gli leccò la fronte e quando fu sicuro di poter essere seguito cominciò a correre. <<Tobia, Tobia,

aspettami non andare aspettami>>.

Il giovane cominciò a correre e sentire le gambe forti come non le aveva mai conosciute. Non si fermarono per giorni, attraverso campi, boschi, saltarono in un sol balzo fiumi e laghi. Poi la stanchezza prese il sopravvento ed entrambi caddero a terra stremati dalla fatica. Si svegliarono in un bosco che non aveva mai visto prima. Ebbe paura di essersi perso, poi la presenza di Tobia il quale era un segugio eccezionale, lo rasserenò. <<Andiamo a casa Tobi. Riportami a casa>>. Lentamente ripresero

il cammino e dopo qualche ora capitarono nei pressi di una casa. Sembrava disabitata, ma dalla finestra luccicava la luce di un focolare. Si affacciò timido all’apertura e vide una piccola fanciulla che con grande fatica alimentava il fuoco del camino. Riconobbe


subito quella bambina, sfondo la porta la prese in braccio. Poi disse a Tobia: <<Vai fallo. Ora!>>. Il cane corse fuori dalla casa e cominciò un ululato profondo e cupo. La fanciulla non era affatto impaurita, sentiva nelle braccia del ragazzo un calore maggiore di quello provato davanti il focolare. In pochi minuti, mentre ancora Tobia chiamava, migliaia e migliaia e migliaia di farfalle si radunarono intorno alla casetta. Il nostro vagabondo allora uscì, guardò quella splendida manifestazione che si stava spiegando davanti i suoi occhi e con un ultimo e potente sforzo lanciò la fanciulla in aria. Prima ancora che la gravità cominciasse a farla ricadere, tutte le farfalle si unirono all’unisono e con le loro delicate alette crearono un movimento d’aria che tenne sospesa la bambina e facendola volare sopra il bosco, sopra la cima dei monti, la portarono via dal freddo e dal buio di quella montagna. Mentre si allontanava, spaventose grida di rabbia, di dolore, di rimorso e pianti ancor più profondi di ribellione, di pietà, di rinuncia, colmarono l’aria tutt’intorno, la terra tremò e una pioggia di lacrime amare precipitò dalle altezze del cielo e gli alberi si spezzarono. E la fanciulla divenne sempre più leggera, fin quasi volar da sola. Lo sciamano in quel momento era molto lontano ma capì perfettamente cosa stava accadendo. Raccolse allora tutte le forze e con un estremo gesto disperato fece il suo ultimo incantesimo.

Passò un’eternità ma in un solo istante. Il giramondo si

ritrovò in quella stretta via del centro, però non era più notte,


c’era un sole caldo e abbagliante. Gli ci volle un po’ per tornare in sé, poi le cose furono chiare alla mente. Cercò con lo sguardo la ragazza, poi ripensò anche allo scorpione e fece attenzione che non sbucasse dalle spalle. Niente. Una strana disperazione si impossessò del suo animo, un senso di angoscia. Stette alcuni minuti a cercare una risposta, un segno. Poi si rassegnò e riprese la sua via errante pensando al suo caro Tobia, ormai salvato. Fece poche decine di metri e il suo sguardo, addestrato a cercare in ogni angolo qualche cosa di utile, si posò su uno strano sasso; nero come catrame. Si abbassò per raccoglierlo e notò sotto di esso un piccolo biglietto. Lo lesse con molta calma e una lacrima bagnò i suoi occhi limpidi. Prese la pietra grezza e, in disparte dagli occhi curiosi, cominciò delicatamente a strofinarlo con uno straccetto umido. Lentamente, passata dopo passata, quel nero rimaneva attaccato allo straccio e un pianto soffocato e sommesso proveniente da spazi misteriosi accompagnava l’opera di pulizia. Finalmente qualcosa di molto brillante cominciò a luccicare, là dove il nero era stato ben rimosso e quel pianto, quel lamento, ora era ben distinguibile: era la voce commossa dello sciamano. Il randagio cominciò allora a sfregare con impeto frenetico e più sfregava, più il luccichio emergeva, più il nero si staccava dalla pietra e più forti erano i lamenti dello sciamano. Ciò che infine vide tra le sue mani era quanto di più puro e prezioso l’umanità avesse mai conosciuto. Un diamante perfetto, limpido. Diede nuovamente una sbirciata al biglietto e poi corse in un punto dove il sole era più intenso che altrove. La luce, il calore e tutto l’amore del mondo penetrarono allora nella preziosa


gemma, e mentre ciò accadeva, lei, seppur congelata in quella forma minerale statica, riconobbe la voce della sciamano. <<Mia

piccola creatura, credimi, ho sempre voluto il meglio per

te. Perdonami se puoi per averti voluto tenere vicina a me nella fitta foresta, invece di consegnarti subito al calore del sole; il mio ego, il mio tormento...o se solo potessi.... Dunque, con le mie ultime forze ti ho donato questa forma meravigliosa e lascio a te ora decidere quale tra le tue nature vorrai assecondare>>. Mentre queste dolci parole ridondavano all’interno del diamante, irradiandosi ovunque, il calore del sole divenne ancor più penetrante e in un solo istante il cuore di pietra della ragazza divenne trasparente come la materia che la ricopriva e pure la piccola gemma floreale cominciò a svilupparsi, velocemente, fino a sbocciare in un magnifico fiore cremisi e nel medesimo instante la bellissima fanciulla apparve nel suo delicato vestito bianco.

La ragazza-gemma-scorpione-diamante, scelse di rima-

nere donna per sempre e quegli occhi profondi dentro i quali un tempo si poteva naufragare, divennero l’accesso ad un oceano di luce e amore, e per la prima volta ella comprese il significato e il valore di quella parola. Ciò che fino ad allora pensava essere amore era solo un esercizio mentale. Aprì quindi per sempre il suo cuore al mondo; perché forse si può amare con la mente, ma per essere amati bisogna donare il cuore, e per far ciò esso deve essere libero da ogni scoria che non ne ostruisca l’accesso.

Tutto ciò accadde talmente in fretta e quando lei ne prese


effettiva coscienza, il vagabondo era già sparito, nel nulla. In fondo l’aveva promesso. Ormai lontano dagli occhi della nuova splendida ragazza, prese dalla tasca il biglietto trovato sotto la pietra. Lo sciamano lo aveva lasciato per lui, per dargli le istruzioni e gli aveva anche chiesto di dire qualcosa alla sua adorata Gemma. Qualcosa che lui non era in grado di dire, che non avrebbe avuto la forza di fare. Il passeggero era però solo un pover’uomo e pensò che non avrebbe reso grazia a quanto l’uomo voleva manifestare alla sua dolce creatura. Decise quindi di non rivelarle null’altro e che semmai, un giorno, tra un milione di anni, avrebbe potuto dirgliele lui stesso di persona o chissà, magari qualcuno venuto da molto, molto più lontano. Fine.



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.