Pig magazine 79-febbraio-2010

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Mensile. Numero 79, Febbraio 2010

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Sommario

Interviste:

90: Andreea & Elysa Foto di copertina di Lady Tarin

70: Jack Pe単ate

76: Local Natives

66: Heartbreak

58: Nima

62: Alexis Dos Santos

Interviste:

Moda:

Street Files:

50: Speciale Designer di gioielli

82: Sophie

40: Londra

Servizio di Ilaria Norsa e Fabiana Fierotti

Servizio di Piotr Niepsuj

Foto di Stefano Galli

Regulars 10: Bands Around 14: Fart 16: Shop: Malaya Jewellery 18: Books: Edoardo Bonaspetti 20: Design 22: PIG Files 24: Moda News 36: Photographer of the Month: Michael M. Koehler 106: Musica 112: Cinema 116: Libri 118: Whaleless 120: PIG Waves 122: Videogames

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Bands Around

Foto di Piotr Niepsuj

Dj Sneak Magazzini Generali @ Angels of Love - Milano Nome? Dj Sneak Età? 39 Da dove vieni? Vengo da una galassia chiamata House Music, ma vivo a Toronto. Cosa fai nella vita? Faccio musica, suono e facendo entrambe porto gioia a molte persone. Quale altro lavoro ti sarebbe piaciuto fare? L'insegnante d'arte, un educatore positivo. Cos'hai nelle tasche? Il mio portafogli! Non ho molte carte di credito, ti va male! Mi puoi dire un segreto? Groove Is In The Heart Nel tuo iPod c'è una canzone di cui ti vergogni? Non so, magari qualcosa che è successo mentre non stavo guardando o qualche promo di merda!

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The sTop To my sTarT. The Nomadic + LiTTLe BooTs.

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Bands Around

Foto di Meschina

Kap Bambino Tunnel - Milano Nome? Caroline Età? 12 Da dove vieni? Vengo dalla foresta Cos’hai nelle tasche? Un serpente, un pezzo di pane e un cristallo colombiano Qual è il tuo vizio segreto? I criceti Qual è l’artista-la band più sorprendente d’oggi? The Horrors Di chi sei la reincarnazione? Di Satana Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Nirvana Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? Giorgio Moroder

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Nome? Orion Bouvier Età? 30 Da dove vieni? Dal Périgord nero (nel sudovest della Francia) Cos'hai nelle tasche? Un pacchetto di Camel e 50 cent Qual è il tuo vizio segreto? I miei vizi non sono segreti Qual è l'artista-la band più sorprendente d'oggi? Hello Sunshine Di chi sei la reincarnazione? Di un pitbull su marte Che poster avevi nella tua camera quando eri un teenager? Sepultura, Pestilence e Sodom Ci dici il nome di un artista o di una canzone italiana? N.O.I.A.


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Fart uno spazio dedicato al sacro fuoco dell’arte

Di Giovanni Cervi (verbavolant@pigmag.com)

Marco Mancuso Mi sono sempre chiesto cosa muova le persone che stanno nel mondo dell’arte. Gli artisti è facile, si sa, è il sacro fuoco che li divora. Ma tutti quelli che ci stanno intorno? Galleristi, curatori, critici, agitatori… cosa li spinge? Fart questo mese intervista Marco Mancuso, ideatore di Digicult.

Foto di Piotr Niepsuj.

Come nasce Digicult? Nasce nel 2005 da un’esigenza, professionale e culturale: quella di crare in Italia un progetto che lavorasse con dinamiche di networking all’interno di precise community

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e che agisse da punto di raccolta e di riferimento per tutti i professionisti (curatori, critici, artisti, amatori) che si occupavano di arte e cultura digitale in tutte le sue forme e derivazioni, dal video alla musica, dal

design al teatro, dalla rete ai software, dalla scienza all’audiovisivo. L’intenzione era quella di creare, per una nuova generazione di professionisti, una vetrina in Italia ma anche e soprattutto in campo internazionale, per promuovere un certo tipo di cultura critica d’avanguardia del nostro paese anche al di fuori dei patri confini, convogliando l’esperienza e i contatti di ciascun membro del Network su un progetto centrale, che potesse così sopperire alla mancanza endemica di aiuti, finanziamenti e progetti da parte delle Istituzioni preposte In giro per il mondo, cosa vedi di nuovo? Non si può rispondere a questa domanda in poche righe. Il digitale, le nuove tecnologie, la rete sono di per se stessi strumenti culturali, creativi e sociali quotidianamente proiettati nel domani. Sebbene molte tecnologie e linguaggi artistici o progettuali tendano a divenire vecchi molto in fretta (a causa di una iper-produzione tecnologica da un lato, ma anche di una sovra-stimolazione dall’altro), al contempo molti di essi evolvono e si consolidano col passare degli anni, con la maturazione dei loro stessi protagonisti (critici, curatori, artisti): e questo accade sempre di più in ogni angolo del pianeta, in modo diffuso e rizomatico. In italia la situazione com’è? La situazione è semplice e drammatica, senza troppe ipocrisie e parole non dette. L’Italia è un paese ricco di creatività e buone professionalità, lo dimostrano i tanti artisti e designer riconosciuti per il loro valore a livello internazionale, così come le realtà come Digicult. Tutte, ma proprio tutte, queste realtà lottano però quotidianamente per sopravvivere, per inventarsi sulla propria pelle nuove forme di economia alternativa, dal basso, o per lo meno per cercare un equilibrio tra la loro sopravvivenza economica e una carriera artistica e professionale di alto livello. Questo accade solo ed esclusivamente a causa di una profonda ignoranza, mancanza di progettualità, di investimenti, di visione che si affianca alle tristemente note dinamiche clientelari e cialtronesche da parte di Ministeri, Istituzioni Culturali, Istituzioni Accademiche, Investitori Privati verso i temi della cultura digitale contemporanea e i professionisti che la animano. Che al contrario, in molti paesi della CEE ma anche negli Us o nel Far East, sono ormai da anni i protagonisti di nuove forme di economie, di cultura e di professionalità, aiutati e supportati in questo dalle istituzioni preposte. www.digicult.it


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Shop

Intervista a Sophie Butler di Fabiana Fierotti

Malaya Jewellery Se vi trovate a vagare per il mercatino di Portobello Road, a Londra, non potrete fare a meno di fermarvi allo stand di Malaya Jewellery, linea di gioielli vintage molto romantica che porta con sé storie e ricordi passati. È sempre bello possedere un oggetto che oltre al suo bell’aspetto, abbia anche una valenza sentimentale… Ciao Sophie, come stai? Molto bene, grazie. Quali sono i tuoi programmi per la giornata? Abbiamo appena ampliato il nostro studio, quindi sarò occupata oggi e nei giorni a venire a riorganizzarlo e prepararlo per un anno davvero pieno di impegni. Qual è il tuo ruolo all’interno di Malaya Jewellery? Sono la fondatrice e la designer. Lavori da sola o hai un team di persone che ti seguono? Lavoro con un team senza il quale non potrei vivere! Quando hai aperto il tuo negozio, o

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per meglio dire, il tuo stand? Ho uno stand al Portobello Market ormai da 5 anni. È totalmente diverso da un normale negozio in una normale strada della città, si respira un’atmosfera dinamica e fresca. Qual è stata l’idea che ti ha portato alla creazione del progetto? Volevo lanciare una linea di gioielli che non fosse soltanto decorativa, ma rievocasse qualcosa di sentimentale, legato a ricordi e storie. Qual è il tuo obiettivo in termini estetici? Continuare ad usare oggetti antichi,

per non perderne la valenza simbolica. Potresti definire i tuoi gioielli in tre parole? Antichi, romantici, sentimentali. Che tipo di materiali usi? Vari, per lo più materiali vintage riciclati. Immagino che i prezzi saranno abbordabili… Assolutamente, vanno dai 5£ ai 150£. Hai qualche progetto particolare per il tuo brand/stand? Mi piacerebbe molto poter mettere su una piccola scuola, dove insegnare ai ragazzi come creare gioielli. www.malayajewellery.com



Books

Intervista di Marco Velardi

Edoardo Bonaspetti Non si può ignorare la presenza di “Mousse” all’interno del panorama di riviste Italiane. “Mousse” nasceva un po’ per gioco nel 2006, un po’ per sfida contro il sistema editoriale d’arte italiano che non aveva ancora prodotto niente di significativo, e che rispecchiasse le nuove generazioni. Sono passati tre anni e il fatto che “Mousse” sia sempre qui è a dimostrazione che i progetti interessanti possono e devono sopravvivere. In una mattina d’inverno milanese abbiamo incontrato Edoardo Bonaspetti, uno dei fondatori. Da quanto esiste Mousse? Quali sono state le motivazioni iniziali? Questa è la domanda che mi si rivolge spesso… l’origine di un magazine deve destare davvero molta curiosità…e non c’è nulla di male se a questo punto si creasse un po’ di leggenda e mistero. Mousse è comunque un progetto nato nell’inverno del 2006, all’inizio era solo una sfida milanese. C’era semplicemente la voglia di realizzare un progetto diverso, in linea con i nostri gusti e le nostre idee. Abbiamo fatto uscire due numeri di prova, quasi inventandoci un format - non avevamo alcuna esperienza nel settore, e questa “ricerca di mercato” sul campo si è rivelata fortunata. Oggi Mousse è distribuito in Europa, Nord America e in diversi paesi asiatici. Quanti numeri di Mousse hai pubblicato finora? Il prossimo numero di Mousse è in uscita per metà Gennaio. Sarà il ventiduesimo. Da qui a selezionare gli artisti e collaboratori con cui lavori, qual è il tuo criterio di scelta? Il criterio è composito, c’è una linea editoriale dettata da un certo gusto, sarebbe ipocrita negarlo e te ne accorgi sfogliando una decina di pagine. Poi c’è la volontà di mettere in luce ciò che reputo il meglio in circolazione, di dare spazio a personalità nuove, sia artisti che chi scrive di loro. Se ti chiedo di darmi una definizione di editoria indipendente? A mio parere “indipendente”, per l’editoria d’arte in special modo, significa saper declinare una pubblicazione fatta di carta, pagine e caratteri tipografici a seconda della necessità di ciò che viene chiesto di comunicare e rappresentare, senza imporre formati standard sordi ai bisogni dei singoli progetti. E vuol dire anche pubblicare quello che piace e non solo quello che vende. Ti occupi di altro oltre a Mousse? Ah mi fai venire in mente una variante della risposta alla tua domanda precedente: sicuramente essere editori indipendenti significa anche avere poco tempo libero! Tra il magazine e la casa editrice, Mousse Publishing, lavoriamo senza sosta su cataloghi, pubblicazioni, libri e progetti d’artista… Nel pochissimo tempo che mi avanza collaboro con alcune riviste e per la sezione d’arte di Domus. Poi cerco di vivermi un po’ quello che c’è al di fuori della redazio-

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ne, per non essere costretto a vedere sempre tutto solo dallo schermo del mio computer. Del futuro dell’editoria cosa ne pensi? Spero che ci sia una ripresa, che non passi la voglia di fare, cercare, comprare e leggere belle riviste e libri. E poi penso alla letteratura che mi piace sempre di più: immagini e pensieri,

due cose di cui forse non si potrà mai fare a meno. Un libro che consiglieresti? In questi giorni sto leggendo Roald Dahl: Storie impreviste. www.moussemagazine.it


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Whitefruits Quanto è cool la porcellana. E chi l’avrebbe mai detto! A dimo-

strarlo è un duo di designer praghesi: i Whitefruits, Gabriel Vach e Antonin Tomasek. Con la porcellana ci si diverte un mondo, creando oggetti che non sono quasi mai quello che sembrano. Come il piatto che – rovesciato – diventa una casetta-scultura. Noi abbiamo chiacchierato un po’ con Gabriel… Intervista di Mariacristina Bastante (kikka@pigmag.com)

Ciao Gabriel, raccontami qualcosa di Whitefruits. Chi siete? Quando e dove avete iniziato a lavorare assieme? Whitefruits è un duo: siamo io e Antonin Tomasek. Eravamo in classe assieme all’Università di Arti Applicate, Architettura e Design di Praga. Lavoriamo così dal 2006. Quanti anni avete? 33, tutti e due. E adesso dove vivete? A Praga, entrambi. Mi piace molto il vostro nome. Perchè Whitefruits? E’ collegato al colore della porcellana? Bhe sì, questo ovviamente è il primo significato, ma queste due parole (bianco e frutti) messe assieme hanno iniziato a vivere di una vita loro… Così abbiamo capito che avevano molto più potenziale di quanto avessimo mai immaginato… e ci siamo divertiti parecchio! Mi ricordo perfettamente una volta in cui un tipo mi ha chiesto: “Whi-

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tefruits? E’ un tipo di frutto selvatico?” Io ho riso e gli ho risposto: “Assolutamente sì!”. In breve, che cos’è il design? Un mezzo, direi. Un modo per comunicare con le persone. E pensi che debba essere utile? Per noi, per il nostro tipo di lavoro è necessario, è una premessa… ma è appena l’inizio. Il punto di partenza, ecco. Ma quello che vogliamo è aggiungere qualcosa alla funzionalità. Qualcosa come raccontare una storia. Quando hai deciso che saresti voluto diventare designer? Credo quando ho capito che il design è un modo per entrare nella casa e nella vita delle persone. Qualcosa che ti rende capace di comunicare ogni giorno con le persone. Qualcosa che crea una relazione duratura con la gente. Chi sono i designer o gli artisti che preferisci?

Uhh! E’ una lista lunghissima… Posso iniziare? Una delle ultime cosa che mi ha davvero colpito è un progetto del designer norvegese Daniel Rybaken: Subconscious effect of daylight. Splendido!!! Che cosa ti ispira? Potenzialmente, qualunque cosa: qualche oggetto trovato, fotografie, ricordi, esperienze, parole che ho sentito. Di solito è un processo aperto, inizi in qualche modo, con un’idea e – a un certo punto – sono le cose che iniziano a dirti di che cosa hanno bisogno…. Per esempio il nostro ultimo progetto che si chiama Once Upon the time è ispirato dai ricordi dei miei nonni e della casa dove vivevano. Hai mai pensato a cosa avresti fatto, se non fossi diventato un designer? Forse l’archelogo, o il restauratore… una cosa di questo tipo. Mi piacciono le tecni-


che manuali, quelle che richiedono tanta pazienza! Quali sono i prossimi progetti di Whitefruits? Speriamo proprio di fare, l’anno prossimo, una piccola mostra nell’appartamento di una nostra amica. Lei fa la fotografa e di tanto in tanto trasforma la sua casa in una galleria. Così ha chiesto anche a noi di partecipare e ci è sembrata subito una buona occasione per lavorare in una casa vera e non solo nello spazio “finto” delle fiere… Stiamo davvero aspettando di farla! Dove posso comprare qualcosa delle vostre collezioni? Per adesso solo a Praga. I negozi sono Futurista Universum e Qubus, in caso… E’ interessante che abbiate scelto di lavorare con la porcellana, tra tanti materiali molto più “contemporanei”… Abbiamo studiato entrambi porcellana (e ceramica) all’università di arti applicate. La

porcellana è bellissima, nobile, qualche volta è difficile lavorarci, ma in tutto questo tempo abbiamo talmente… familiarizzato che è davvero difficile abbandonarla… Ma la ragione più importante di questa scelta è che lo sentiamo come il “nostro” materiale… e poi così possiamo lavorare nel nostro studio, siamo indipendenti e possiamo fare le cose che vogliamo. Questo sarebbe molto più complicato se usassimo altri materiali… E l’ironia, che ruolo ha nei progetti di Whitefruits? Cerchiamo sempre di divertirci e di intrattenere il pubblico e di mostrare ogni volta le nostre cose in un modo un po’ diverso. Lo facciamo anche per aiutarci. E forse perché non ci consideriamo dei designer pure, così possiamo anche divertirci un po’ con il design! Mi piace molto un vostro progetto che si chiama Infiltrate… In origine si trattava di un ragalo per alcuni

nostri amici… l’avevamo messo di nascoso nei loro armadi… è per questo che la tazza ha un camouflage bianco sulla sua superficie… per mimetizzarsi in mezzo alle altre porcellane. E dopo abbiamo usato questo oggetto come il pezzo centrale di un altro progetto: abbiamo nascosto questi oggetti camuffati in alcuni grandi negozi di porcellane a Praga, invitando le persone a cercarli e se fossero stati bravi e “coraggiosi” avrebbero potuto tenere il pezzo come una specie di souvenir… Tra tutti i progetti di Whitefruits, qual è quello che preferisci? E’ difficile decidere… Per ogni progetto cerchiamo sempre di fare il massimo. E spesso ci vogliono anni e non mesi e cerchiamo anche sempre di divertirci, mentre lavoriamo. Poi quando alle persone piace quello che facciamo… bhe quella è la cosa migliore che più succedere! www.whitefruits.cz

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PIG files

Di Giovanni Cervi

Get off my cloud Che sensazione deve dare camminare su una nube? E addirittura farci un giro in bici? The Cloud è un innovativo progetto di architettura ambientale pensato per i Giochi Olimipici londinesi del 2012. Ispirato alle piccole goccioline (o cristalli di ghiaccio) che formano cirri, nembi e via dicendo, ma credo anche alle bolle di sapone, speriamo proprio che questo progetto si realizzi, per darci la possibilità di guardare il mondo da un po' più in alto, da una piattaforma di sogni. www.raisethecloud.org

Revolutions start on the road Design Revolution Road Show è un progetto itinerante che girerà scuole di design americane questa primavera, tra lezioni e una mostra dei 100 progetti che faranno fare un upgrade alla vita dell'uomo. Il tutto con una meravigliosa roulotte cromata trainata da un camion che va a biodiesel. Ideato da Project H Design. designrevolutionroadshow.com

Pop up Pop up è un progetto tra arte e critica sociale di Liddy Scheffknecht e Armin B. Wagner. Un ufficio è quanto di più solido dovrebbe esserci, ma le condizioni di lavoro disumane, precarie e poco funzionali l'hanno reso oggi una cosa fragile e che si squaglia alla prima pioggia. Ciò non toglie che io lo userei davvero questo pop up! www.arminbwagner.com www.liddyscheffknecht.net

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Light my beer Mi viene quasi da pensare che tutto possa essere trasformato in luce. Basta un poco di zucchero e una dose di fantasia degna di Mary Poppins. Johannes Vogl con le sue birre, ad esempio. Che sia installazione o design conta poco, l'effetto è straniante, critico, pericoloso e scenografico. Drink it up. www.johannesvogl.com


New Eden Physalia è un vascello completamente autosufficiente destinato ad ospitare un programma di ricerca sulle acque fluviali, per studiarle, per cercare di trovare un modo per purificarle e per spingere a usare di più le naturali autostrade d'acqua di cui l'Europa è ricchissima. L'ambiziosa idea è del Vincent Callebaut Architectures. Tra scienza e romanticismo, vincerà come (quasi) sempre l'ndifferenza? www.vincent.callebaut.org

Photo by Ernie Buts

Spotlight L'amministrazione di Eindhoven ha commissionato al gruppo di designers BYTR dei progetti per rinverdire il centro della città; Greenspotlight è il primo esperimento, altri ne seguiranno. Con la primavera in arrivo ecco un progetto ideale, anche se mi viene il dubbio che in Olanda non abbiano ancora problemi di zanzare tigre...www.bytr.nl

Socks, drugs and drag'n'drop Personality Socks è un'operazione spaesante di una semplicità disarmante: metter calzini alle sedie. Per proteggere il pavimento, certo, ma a un livello più profondo è anche una riflessione sull'uomo e sul suo rapporto con gli altri. Dimmi che calzino metti e ti dirò chi sei. E chissà quante altre chiavi di lettura ci sono. Li trovate in vendita al Guggenheim Museum di Berlino e su designspray.com - www.chris-ruby.de

Green string Il 2009 è stato l'anno dei girdini verticali, del verde ovunque e comunque e del progettiamo sostenibile ma con gusto. Pochi progetti resteranno. E sul filo di lana è arrivato anche questo String Gardens di Fedor Van der Valk. Idea semplice ed efficace. Zac! Come potare una rosa e pungersi. www.stringgardens.com

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Feature on Designer: Federica Moretti www.federicamorettihandmade.com - Intervista di Fabiana Fierotti. Foto di Piotr Niepsuj. Ciao Federica, come stai? Bene Grazie. Cosa stavi facendo? Stavo ultimando la nuova collezione di cappelli Donna. Che programmi hai per la giornata? Lavoro, lavoro e lavoro… poi finalmente a casa! Raccontaci dei tuoi studi. Cosa ti ha portato alla moda dopo la School of Visual Art di New York? Ho frequentato l’istituto d’arte a Modena con indirizzo Grafica poi a Milano e New York Fotografia… Alla Moda ci sono arrivata per passione e amore… al cappello casualmente. Come mai proprio i cappelli? Mi sono sempre piaciuti, prima li indossavo. E’ comunque un accessorio che riesce ad essere personale e credo che riesca a rispecchiare pienamente il carattere di una persona, facendola così distinguere dalle altre. Ora “ne vedo talmente tanti” che non ne uso più. Qual è stato il tuo primo incarico/lavoro importante? Il mio primo lavoro è stata la realizzazione di cappelli per sfilata di Moschino nel 2006. All’uscita di Daria…. WOW! Non ci potevo credere… un’emozio-

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ne unica. Quando hai iniziato a creare una tua linea di cappelli? La mia prima linea di cappelli da donna è nata nel 2006. Mentre la collezione uomo è nata nel 2008. Parlaci della collezione pe10. Com'è strutturata? La linea di cappelli pe10 donna è una serie di copricapi, dalle forme semplici ed essenziali, che man mano si impreziosiscono grazie allo studio del dettaglio e alla cura della manifattura. Il materiale utilizzato è la paglia nel suo colore naturale arricchito in modo semplice da nastri a contrasto. Una collezione disegnata per chi del dettaglio ne fa uno stile e vive il cappello in ogni momento della giornata. La linea di cappelli pe10 uomo è pensata per l’uomo classico e raffinato, ma “ecologically correct”. Utilizzando un materiale eco-compatibile come la carta riciclata, sono stati realizzati tre modelli che offrono lo stesso comfort di un cappello di tessuto, ma con caratteristiche di estrema leggerezza, facilità di lavaggio e “stropicciabilità”. Quest’ultima caratteristica esalta al

massimo la natura del materiale senza per questo perdere la forma. La palette colori è composta dal bianco, nero e avana. Mi hanno detto che hai una bellissima collezione di cappelli. Qual è il più prezioso? I più preziosi sono sicuramente quelli in carta… ci vogliono settimane per realizzarli… E una pazienza infinita. E quello a cui sei più affezionata? È sicuramente il cappello da Postino. E’ stato il mio primo cappello… è realizzato con una cintura in cuoio che funziona da fascia (es. cappello da charleston) e al posto delle piume ha un’applicazione di buste, lettere e cartoline, indirizzate tutte alla stessa donna. Dove possiamo trovare i tuoi cappelli qui a Milano? A Milano presso il mio studio in Via Sciesa, ma solo su appuntamento, perché tutti confezionati ad hoc per il cliente. Hai qualche progetto particolare per il futuro? Mah, progetti particolari no. Diciamo che cerco di andare avanti nel mio lavoro nel miglior modo possibile… poi chissà!


Blog of the Month: My parents were awesome www.myparentswereawesome.tumblr.com - Intervista ad Eliot Glazer di Fabiana Fierotti.

Ciao Eliot, come stai? Benissimo, grazie. Puoi salutare i nostri lettori e spiegare il tuo ruolo all’interno del blog "My parents were awesome"? Ciao! Sono il creatore nonchè editor dietro My Parents Were Awesome. Quanti anni hai e da dove vieni? Ho 26 anni e vengo da New York. Quando hai deciso di aprire questo blog? Scrivo per Urlesque.com, lavorare dentro la blogosfera può anche stancare, considerando tutto il sarcasmo e le malignità, quindi ho deciso di avviare MPWA, un’isola carina nel web e un posto dove la gente possa condividere le proprie immagini. Ho visto che ci vogliono almeno 3 mesi per essere pubblicati. Sei davvero così famoso? Ho così tante richieste (più di 4000 in 3 mesi) che riesco a mala pena a stare al pas-

so! Chiunque può essere pubblicato, visto che le foto, essendo vecchie, hanno un certo fascino vintage in partenza, o selezioni il materiale in base a precise caratteristiche estetiche? Devono avere un certo look o almeno qualcosa che salti all’occhio, che sia romanticismo, moda, stile o mistero. Com’erano i tuoi genitori? Potrebbero essere pubblicati sul tuo blog? I miei genitori sono fantastici! Li ho pubblicati insieme ai miei nonni sul blog. Qualcosa che non gli hai mai detto? Se non l’ho detto a loro, di certo non lo dico a voi :-) Qualcosa che ami di loro? Sono i genitori più comprensivi e incoraggianti che potessi avere. Qualcosa che decisamente non sopporti

di loro? A volte il supporto può trasformarsi in pesante insistenza. Hai qualche altro blog? Si, eliotglazer.com, e sono un editor per Urlesque.com. Cosa fai nella vita reale, a parte il blogger? Faccio l’attore a New York. Ti piace? Lo adoro. Cosa volevi fare da bambino? Il detective. Puoi dire di essere soddisfatto della tua vita? Molte persone mi considerano un viveur, per cui… forse! Vuoi aggiungere altro? Chi mi ospita per un viaggio in Italia? Nessuno? Hello?

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Wichy Hassan Wichy Hassan è il direttore creativo nonché co-fondatore del Gruppo Sixty, insieme a Renato Rossi. Durante la nostra chiacchierata ci siamo concentrati sul lato più privato della sua vita: le origini libanesi, gli studi a Milano, l’amore per Roma e l’infinita passione per l’arte. Un personaggio interessante e un’esistenza divisa tra l’attivismo studentesco della gioventù e la passione per la moda che lo ha portato a creare brand come Miss Sixty ed Energie e persino un Hotel… Intervista di Fabiana Fierotti e Giovanni Cervi. Foto di Piotr Niepsuj Ciao Wichy. Ciao. Qual è la prima cosa che hai fatto oggi e cosa farai durante la giornata? Ho una sorta di rituale ormai: caffè e giornale mentre apro gmail. Sei nato a Tripoli, cosa ti lega di più a quella città? Il caldo, gli odori, il disordine, i colori, i profumi ed il mare. Poi, a 11 anni, ti sei trasferito a Roma con la tua famiglia. Cosa ti piace della capitale, visto che l’hai scelta come “seconda casa”? Quello che mi piace di più è che la sento Casa Mia. Hai frequentato l’università a Milano, negli anni ’70. Com’era la città in quel periodo? Che atmosfera si respirava? Ah, in quegli anni ero un vero attivista, leader di tutti i movimenti studenteschi, sempre in prima fila! Quello che mi ricordo sono assemblee, manifestazioni, picchettaggi… e con il senno di poi la consapevolezza di aver perso tanto di quel tempo! Come mai dopo tutto questo fervore hai deciso di tornare a Roma e buttarti nel commercio con l’apertura del tuo primo negozio? Ero a Milano perchè avevo vinto una borsa di studio (la mia famiglia non aveva grandi possibilità economiche), quindi al termine degli studi sono rientrato semplicemente a casa, dove ho iniziato a fare il commesso all’interno di un negozio che si chiama “Energie”. Di cosa si trattava esattamente? Energie non era un semplice negozio d’abbigliamento, ma un luogo di sperimentazione per l’arte e la cultura dell’inizio degli anni ’80. Un richiamo per creativi, musicisti, artisti ed esperti di moda, un posto dove trovare le griffe più trendy del mercato. Quando e perché hai deciso di creare la tua prima collezione di denim? Perchè i jeans che c’erano sul mercato erano troppo puliti e non trovavo quello che mi

piaceva. Così ho creato dei jeans con degli inserti in tessuto messicano… Come hai conosciuto Renato Rossi e come siete arrivati alla creazione del gruppo Sixty? È stata dura agli inizi? Renato ed io ci siamo conosciuti quando lui faceva il rappresentate per una ditta da cui io acquistavo. Lavoriamo insieme da 25 anni ed è una persona che ammiro e di cui ho veramente molta stima. Il gruppo Sixty è una realtà nata da piccoli step, e forse proprio per questo non ha mai rappresentato una fatica, ma sempre una sfida divertente! Poi, nel 1989, è nato Energie… Energie nasce negli anni 80/90 dal desiderio di rompere gli schemi della moda: un vero e proprio Style Clash, concetto che per noi definisce perfettamente l’attitudine sperimentale e controcorrente del marchio. Com’è Miss Sixty oggi? Mi piace definirla così: Miss Sixty è l’espressione più sexy, ironica e seducente dell’impegno creativo di Sixty. Come definiresti la nuova collezione in tre parole? Lucida, rock e sexy. Parlando di altri progetti legati al gruppo Sixty, come ti è venuto in mente di aprire un Hotel a Riccione? Mi hanno parlato di questo palazzo e ho pensato: “che bello sarebbe creare un Hotel d’arte contemporanea”. Perché la scelta di un’atmosfera ‘70s? Perché adoro gli anni ’70. Sono gli anni di tutte le grandi rivoluzioni: la minigonna, la musica, i capelli lunghi, l’esplosione dei colori. Chi sono gli artisti che hanno contribuito alla creazione dell’hotel? Come li hai scelti? Sono per lo più amici o artisti di cui avevo sentito parlare o che mi sono stati consigliati da alcuni galleristi che conosco. A proposito d’arte, so che sei un grande collezionista. Quando hai iniziato ad interessarti a questa attività? Credo sia stato verso la fine degli anni ’70

ho staccato dalla parete della metropolitana di NY un foglio su cui c’era un graffito che mi piaceva moltissimo. Solo diversi anni dopo ho scoperto che era un Keith Haring, originale… Il tuo pezzo preferito? I quadri ad acrilico che dipingevo quando ero ragazzino. Qual è il tuo artista preferito? Jean-Michel Basquiat. Non riesco a immaginare come ci si senta a lavorare con un genio come il fumettista Andrea Pazienza… Come vi siete conosciuti? Vedi, in quegli anni era tutto così normale… Erano gli anni del Popolo della Notte, del gruppo di quelli de “Il Male” (giornale di satira) e “Frigidaire” (rivista degli anni ’80). Eravamo amici. Allo store passavano regolarmente, non per comprare, ma anche solo per ascoltare della buona musica. La tua collezione è tutta esposta sui muri di casa? No, ne ho un po’ ovunque. Anche i nostri HQs a Chieti Scalo sono uno spazio espositivo. Una parte è anche a Milano ora, presso il temporary store Energie di C.so Venezia (tra cui alcuni pezzi di Andrea Pazienza!) Ma i quadri li appendi da solo oppure deleghi la cosa a qualcun altro? Assolutamente no! E’ una cosa mia che voglio fare totalmente da solo. Era proprio la risposta che volevo sentire. Hai mai fatto qualcosa di folle per l’arte? Dipingere. Com’era il mercato artistico quando hai aperto il tuo primo negozio negli anni ’80? Com’è oggi? E nel futuro? L’arte è sempre in grande movimento. Ogni giorno nasce qualcosa di nuovo, sia essa una nuova forma d’espressione o un nuovo modo di interpretarla. Nell’arte quando sembra che nulla stia accadendo, una rivoluzione è già in atto. La mancata rivoluzione, è solo quella che noi non abbiamo saputo vedere o leggere. www.misssixty.com - www.energie.it

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Il Sistema degli Oggetti Caterina Coccioli, Anna Lottersberger e Alessandro Manzi, dopo anni passati tra showroom e uffici stile, hanno deciso di intraprendere l’avventura di un brand tutto loro: Il Sistema degli Oggetti, ispirato all’Ordine, al Museo della Scienza e all’Enciclopedia di Diderot. Appperò! L’estetica è quella tipica delle avanguardie degli anni ’60 e ’70. La collezione pe10 mira a reinventare capi storici come il parka, il chiodo o i semplici pantaloni, in chiave contemporanea, sviluppandone i volumi e le stampe in maniera totalmente personale e utilizzando tessuti naturali e resistenti. Il tutto rigorosamente Made in Italy. www.ilsistemadeglioggetti.it F.F.

The Eco Life of Riley Dopo essere stata nominata “London’s newest one to watch” durante la settimana della moda di Londra, Lu Flux lancia la sua nuova collezione: “The Eco Life of Riley”. Da sempre impegnata a lavorare nel totale rispetto della natura, anche questa volta la designer ha utilizzato tessuti vintage e cotoni organici per la creazione di abiti patchwork e a maglia. Il patchwork, del resto, è un segno caratteristico dell’estetica di Lu, insieme ai motivi floreali e a un’atmosfera decisamente country. L’obiettivo? Creare qualcosa di nuovo da qualcosa di vecchio, per ridurre i consumi e gli stupidi sprechi della moda più consumistica. www.luflux.com F.F.

Terence Koh x Converse 1HUND(RED) Artists Molto interessante la rivisitazione di Terence Koh delle Chuck Taylor All Star, per il progetto Converse 1HUND(RED) Artists. L’artista canadese, famoso nella creazione di libri, stampe, fotografie, perfomance dalle atmosfere punk e soft-porno, ha voluto ridurre le cuciture e le curve e concentrarsi sul concetto di “sottrazione”, donando alla scarpa una forma regolare e pulita. Se ne comprerete un paio, farete anche una buona azione: parte del ricavato andrà infatti alla lotta contro l’AIDS in Africa. www.converse.com F.F.

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Ethernal Child: So deco! Ethernal Child è il frutto della creatività della designer Gül Güldamar, che lo ha fondato nel 2006, dopo aver frequentato (guarda caso) la Central St. Martin’s. Il brand, però, è based nell’esuberante e affascinante Istanbul. La collezione ss10 ha uno stile decisamente deco, con stampe e colori appariscenti, combinati con maglie e ricami color cipria. www.eternal-child.com F.F.

Oh You Pretty Things! Chelsea Rebelle nasce dall’idea della designer neozelandese Sarah Brannon di creare un brand super femminile e molto girly. Il nome le viene suggerito dalla protagonista di una canzone dei These Animal Men, “New Wave Girl”, ma opta per la versione francese “Rebelle”, per non rischiare un suono troppo stridente. La collezione ss10 è ispirata alla musica di David Bowie e dei T Rex (li adoro entrambi, brava Sarah!) e celebra le bellezze anni ’90, alla Courtney Love, vestite da principesse, ma spesso tutt’altro che regali. Potete acquistare i capi di Chelsea Rebelle sul sito www.cococareer.co.uk - www.chelsearebelle.com F.F.

Wing rocking horse La Rocking Horse è uno dei pilastri portanti della storia delle calzature Vivienne Westwood. Melissa, brand famoso per la creazione di scarpe in termoplastica che già da tre stagioni collabora con la designer, gli ha messo le ali, scatenando non solo l’entusiasmo dei fanatici delle scarpe, ma anche l’ammirazione di Vivienne, che ha visto nel nuovo modello un chiaro riferimento a Mercurio, messaggero degli dei. Niente di più azzeccato visto che la nuova scarpa ha fatto il suo debutto durante la sfilata ss10 della linea Red Label, il cui tema era un misto tra stile e tradizione britannica e atmosfere da antica Grecia. L’uso della plastica ha sempre scatenato pareri discordanti e in risposta, il direttore creativo di Melissa, Edson Matsuo, ha precisato che i limiti non stanno affatto nella plastica, ma nella creatività dei designer. E non credo ci siano da aggiungere ovvietà sull’estro creativo di Vivienne… saremmo proprio all’abc… www.melissaplasticdreams.com F.F. 29


Crane Vs Tiger In occasione dell’uscita della collezione ss10 di Alexander McQueen e PUMA, collaborazione più che consolidata da diverse stagioni, sono stati presentati due progetti con il super fotografo Nick Knight e SHOWstudio.com. Knight, famoso per essere stato uno dei primi a credere nella moda presentata con live perfomarces e progetti interattivi sul web, nonché creatore di SHOWstudio.com nell’ormai lontano 1999, vanta la collaborazione con numerosi grandi del mondo creativo: Björk, Boy George, Gisele Bündchen, Kate Moss, Leigh Bowery, Heston Blumenthal e Antony & the Johnsons, giusto per citarne alcuni. La nuova immagine icona del brand, la donna-grù che lotta contro l’uomotigre, è espressione del concetto di “potenza” che sta alla base della collezione. Tradizione e tecnologia si uniscono dando vita a una linea ispirata alle Arti Marziali, con grafiche ‘80s e capi-kimono. Il video espressione di “Crane Vs Tiger” potete andarlo a vedere su showstudio.com o sul nostro sito. www.puma.com F.F.

Amber is for caution È prevista per marzo l’uscita dell’ultimo libro della fotografa Valerie Phillips, “Amber is for caution”. La protagonista è la 19enne Amber; la Phillips la incontra per la prima volta quando aveva soli 15 anni, durante un casting presso il suo studio. La prima cosa che la colpisce è il suo forte accento del Kentucky e l’essere totalmente fuori luogo in una città come Londra. Oggi Amber studia per diventare chirurgo, ha rotto con il mondo della moda, si è tagliata i capelli, li ha tinti di verde, si è fatta due piercing nelle guance, in modo da non poter più essere una modella. Se il 18 Marzo doveste trovarvi a Londra, potrete ammirare un’antemprima del libro alla Lazarides Gallery in Greek Street (Soho). www.valeriephillips.com F.F.

Acrobats of God Non trovate che sia un nome bellissimo? Immagino degli acrobati che fluttuano nell’aria, tra le nuvole… e leggerezza, infinita leggerezza. La nostra cara Nicole Brundage conferma ancora una volta il suo talento, con la creazione di questa nuova linea di accessori che lei stessa definisce “un modo per esprimere lo straordinario nell’ordinario”. Le scarpe uniscono il comfort alla praticità, senza tralasciare la dolce femminilità che da sempre contraddistingue la sua estetica. E poi i colori… perfetti! www.nicolebrundage.com F.F.

Monochromic by Eastpak Si sa, le cose semplici sono sempre le migliori. Eastpak ha puntato sul classico e ha fatto bene. I colori sono il blu, il rosso e il bianco, nei vari modelli che tutti conosciamo benissimo: tracolle, zainetti, borse, trolley. Tutto curato nei minimi dettagli, tanto che anche zip e maniglie sono in tinta con la monocromia assoluta dei pezzi. www.eastpak.com F.F

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Grame Armour Ennesimo talentuoso designer appena sfornato dalla Central Saint Martin’s (sta diventando quasi una noia doverlo specificare…), Grame Armour ha iniziato la sua carriera da pochissimo, tutto grazie alla vittoria del concorso “Scottish Young Designer of the Year”, agli Scottish Fashion Award del 2008. La collezione ss10 parte si sviluppa su un immaginario che va dagli angeli dell’inferno, al fuoco, all’acqua e infine alle meduse. Il risultato è notevole e l’uso della pelle sicuramente originale. www. graemearmour.com F.F.

Made in Heaven MIH Jeans nasce negli anni ’60 a Londra, da un’idea di Tony Lonsdale, soprannominato “Blue Jean King”, e dalla top model Chekkie Maskell, proprietari della famosa catena di negozi Jean Machine, dove tutte le star del periodo – da Jane Birkin a Farrah Fawcett – andavano a far man bassa di quelli che allora erano i jeans dal miglior fitting esistenti sul mercato. Oggi il marchio viene rilanciato dalla figlia Chloe Lonsdale, neomamma dalla personalità forte e decisa che mi ha fatta letteralmente innamorare della sua nuova linea. Il gusto è decisamente retro, dalle silhouettes ‘70s si passa a quelle più skinny degli anni ’80, con tessuti di prima qualità. Sentirete parlare di MIH Jeans, in maniera più approfondita, sulla rubrica “History of Jeans” che verrà lanciata a breve sul nostro sito. Stay tuned. www.mih-jeans.com F.F.

Pointer Davvero carine le scarpe dell’ultima collezione di Pointer, brand londinese che proprio quest’anno compie 10 anni. La ss10 è espressione pura dello spirito primaverile, molto rilassato, dai toni pastello. Fa venir voglia di camminare sulla spiaggia e uscire in barca a vela, con il sole tiepido del mattino. www.pointerfootwear. com F.F.

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Per festeggiare i suoi 25 anni, Gas ha dato vita ad un interessante progetto di comunicazione: ha selezionato dei giovani talenti nel campo della creatività (designer, redattori, fotografi, videomaker) che hanno lavorato fianco a fianco al team aziendale, per 25 giorni. Così il brand ha puntato ancora una volta sui giovani, creando con un dialogo intelligente mirato alla creazione di un vero e proprio manifesto di “creatività”. Le immagini in alto, invece, sono un’anteprima del libro in uscita a Marzo, che documenta visivamente il percorso seguito durante il workshop. Ma è solo un assaggio, nel prossimo numero vedremo più in dettaglio di cosa si tratta. www.gasjeans.it F.F.

Waiting to be kissed Rita Saardi è una designer dalle origini molto particolari. Nata a Beirut, ha radici siriane e turche. Nel 1989 si trasferisce con la famiglia a Stoccolma, a causa della guerra in Libano. Nel 1998 decide di trasferirsi a Parigi per studiare alla Sorbona. Dopo aver scoperto la sua vena artistica inizia il suo percorso all’ Ecole Supérieure des Arts et techniques de la Mode, dove si laurea nel 2003. La sua avventura come designer inizia subito nel 2004 e dopo un po’ di disavventure in Libano, dove ritorna per tentare la fortuna, torna a Parigi dove attualmente lavora part-time per una maison, dedicando tutto il tempo libero a sua disposizione allo sviluppo della propria linea. La sua è un’estetica molto particolare, che evidentemente porta i segni di una cultura mista, esotica, fantastica. “Waiting to be kissed” è una collezione estremamente femminile, da principesse che aspettano il ranocchio da trasformare in principe azzurro. Quali tessuti migliori dell’organza di seta, del taffettà, del pizzo, per rendere il tutto più magico e impalpabile? www.ritasaardi.com F.F.

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Spring Summer 2010

Di Ilaria Norsa

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1.Sergio Zambon 2.Rodarte 3.Ann Demeulemeester 4.Maison Martin Margiela 5.Fendi 6.Celine 7.Fendi 8.Junya Watanabe 9.Fendi 10.Maison Martin Margiela 11.Rick Owens 12.Valentino 13-14.Givenchy 15.Celine 16.Junya Watanabe 17.Akris 18.Ann Demeulemeester 19.Celine 20.Ann Demeulemeester 21.Valentino 22.Miu Miu 23-24-25-26.Givenchy 27.Yves Saint Laurent 28.Givenchy 29.Tao 30.Maison Martin Margiela 31.Gianfranco Ferre

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1.Junya Watanabe 2.Givenchy 3.Rick Owens 4.Rodarte 5.Givenchy 6.Sergio Zambon 7.Miu Miu 8.Givenchy 9.Miu Miu 10.Valentino 11.Givenchy 12.Ann Demeulemeester 13.Celine 14.Givenchy 15.Jil Sander 16.Lanvin 17.Prada 18.Missoni 19.Givenchy 20.Jil Sander 21.Miu Miu 22.Celine 23.Yves Saint Laurent 24-25.Rick Owens 26.Givenchy 27.Tao 28.Valentino 29.Rick Owens 30.Yves Saint Laurent 31.Givenchy 32.Maison Martin Margiela

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Photographer of the Month: Michael M. Koehler www.michaelmkoehler.com - A cura di Sean Michael Beolchini.

Come ormai avrete capito, ogni mese ci piace girovagare alla ricerca di fotografi. Ci perdiamo tra librerie, nelle infinite comunità online e nei fotoblog con temi affascinanti. Dopo ore di belle figliole, paesaggi mozzafiato e tanti maghi di photoshop, ci imbattiamo spesso in piccole gemme di fotografia amatoriale, che non dovreste lasciarvi sfuggire.

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Come ti chiami? Michael M. Koehler Da dove vieni? Philadelphia, Pennsylvania Dove vivi? New York City Che lavoro fai? Il fotografo Ci campi con la fotografia? Si Quanti anni hai? 27 Quanti anni ti senti? Tanti Quando hai iniziato a fotografare e perchè? Ho iniziato a scattare foto quando ero molto piccolo con una macchina fotografica che mi era stata data dai miei genitori. Avevo 12 anni quando incontrai un insegnante che mi ha fatto sentire orgoglioso di quello che vedevo. Volevo catturare la bellezza del mio vicinato e mostrarlo alle persone. Quando iniziai a fotografare, l’esperienza mi ricompensava al punto che diventò un ciclo continuo ispirato dall’esterno – guardare fuori per vedere cosa c’era dentro. La tua fotografia rappresenta diversi momenti della vita, sia positivi che negativi, in diversi luoghi. Come descriveresti il tuo metodo/ricerca? Vivo la vita, girovagando e seguendo degli esempi. Fotografo la mia vita e porto la mia macchina fotografica con me sempre, rendendo omaggio ai momenti che incontro sulla mia strada. Quando lavoro sulle mie fotografie emerge un tema – ricerco ciò che sta dietro il tema e mi faccio molti viaggi per svilupparlo in un progetto. Durante questi viaggi prendo la maggior parte delle informazioni da quello che dicono le persone e dalla consistenza dell’ ambiente. Lascio che siano la visione ed il lavoro a guidare verso la storia. Ho notato un tocco di malinconia in diverse foto, perchè? I momenti che muoiono. Sono sempre un pò triste quando i momenti sono passati; mi ritrovo a cercare qualcosa con cui intrattenermi, in modo da tenermi occupato. Faccio un sacco di foto per trovare l’amore nella tristezza, dando vita al momento, prima che passi per sempre. Fotografare è la mia terapia e il mio modo di rimanere connesso. Qual è la tua “big picture”? L’aggregazione di tutte le “little picture”. Crescendo e migliorando una foto alla volta. Quali sono i tuoi soggetti preferiti? La vita naturale, perchè è vera. Sono interessato alla natura umana e alle relazioni sia tra le persone fra loro sia con i paesaggi che le circondano. Quando siamo autentici, spontaneamente impegnati con un altro essere umano, siamo nel nostro stato più vulnerabile e la fiducia reciproca si evolve. L’esperienza è il vero dono. Per questo cambiamento che si verificherà dobbiamo essere aperti, è un processo delicato che certe volte viene messo in discussione e negato. Quando la serranda si chiude si crea un’unità tra il mondo esterno e me – non siamo niente senza l’altro. Cosa altera le tue percezioni? Storie, passeggiate nella natura e sacrifico. Cerco di essere aperto e di non giudicare quando fotografo; quando sono in questo stato e qualcosa di speciale accade, non mi giro. É un continuo cambiamento di percezione che per me è rappresentato dalla fotografia e dalla scoperta. Qual è il tuo fotografo preferito? Robert Frank Che tipo di macchina fotografica usi? M6 Leica Che macchina vorresti usare? Mi piacerebbe la M7 Cosa non ti piace della fotografia? Finire il rullino Non ci sono troppi fotografi ultimamente? Si. Ma allo stesso tempo, penso che sia un’opportunità unica per ognuno, per imparare ad usare la propria macchina fotografica. Mi ha portato a vedere cosa è veramente importante ed unico nella mia visione e portarlo avanti. Chi dovrebbe essere il nostro prossimo Photographer of the Month? Filippo Chia, Tim Barber, Pete Capano. Quale sarà il tuo prossimo scatto? Non lo saprò fino a quando non lo vedrò. In questo momento sto passando un sacco di tempo con la mia famiglia e sto esplorando la giungla newyorkese per una prossima mostra a Maggio. Sarà sicuramente qualcosa che ho incontarto lungo il mio sentiero o su mio figlio, Charles.

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Nome? Lina Osterman Età? 27 Da dove vieni? Svezia Qual è il tuo lavoro dei sogni? Già l'ho. Qual è il migliore negozio di vintage a Londra? ebay Cos'è più importante del sesso? L'amore Cosa non può mancare nel tuo frigorifero? Il formaggio Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza? Dormire

Street Files. London - Foto di Stefano Galli

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Nome? Andrew Foggin Età? 21 Da dove vieni? Durham, Inghilterra Qual è il tuo lavoro dei sogni? Boxeur Qual è il migliore negozio di vintage a Londra? Best Vintage Cos'è più importante del sesso? L'amore Cosa non può mancare nel tuo frigorifero? Il prosciutto Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza? Una crema per il viso

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Nome? Eta Età? 22 Da dove vieni? Giappone Qual è il tuo lavoro dei sogni? L'artista Cos'è più importante del sesso? La creatività Cosa non può mancare nel tuo frigorifero? Cipolle Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza? E' un segreto.

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Nome? Hollie Straker Età? 25 Da dove vieni? Londra Qual è il tuo lavoro dei sogni? Essere proprietaria di un Cafè Qual è il migliore negozio di vintage a Londra? Beyond Retro Cos'è più importante del sesso? Nulla Cosa non può mancare nel tuo frigorifero? Il cibo Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza? L'amore

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Nome? Fiongal Meenlow Età? 24 Da dove vieni? Londra, ma sono nato a Cambridge Qual è il tuo lavoro dei sogni? Men's wear designer, illustratore, scrittore Qual è il migliore negozio di vintage a Londra? Top Hat Cos'è più importante del sesso? L'orgoglio Cosa non può mancare nel tuo frigorifero? Il formaggio Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza? Avere sempre il senso dell'umorismo e quello dello stile.

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Nome? Bunny Kinney Età? 19 Da dove vieni? Montreal, Canada Qual è il tuo lavoro dei sogni? Porno Star Qual è il migliore negozio di vintage a Londra? Dalston Oxfam Shop Cos'è più importante del sesso? Satana Cosa non può mancare nel tuo frigorifero? Membra umane Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza? La masturbazione

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Nome? James Moruzzi Età? 21 Da dove vieni? South East, Londra Qual è il tuo lavoro dei sogni? Suonare nella mia band (Beaty Heart) Qual è il migliore negozio di vintage a Londra? Ce n'è uno verso la fine di Brick Lane Cos'è più importante del sesso? Le donne Cosa non può mancare nel tuo frigorifero? Latte e ancora latte. Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza? Il sesso e il latte.

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Nome? Josephine Età? 24 Da dove vieni? Australia Qual è il tuo lavoro dei sogni? Non lo vorrei Qual è il migliore negozio di vintage a Londra? Brick Lane il sabato Cos'è più importante del sesso? Il divertimento e gli amici Cosa non può mancare nel tuo frigorifero? Il formaggio, un sacco di formaggio Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza? Il divertimento e gli amici, un sacco di amici.

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Nome? Kate Adams Età? 25 Qual è il tuo lavoro dei sogni? Aprire un pub come si deve nella East End Qual è il migliore negozio di vintage a Londra? Beyond Retro Cos'è più importante del sesso? Nulla Cosa non può mancare nel tuo frigorifero? Succo d'arancia Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza? Ridere

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Nome? Steven Chambers Età? 22 Da dove vieni? Londra Qual è il tuo lavoro dei sogni? Edge Fund Manager Qual è il migliore negozio di vintage a Londra? Portobello Road Cos'è più importante del sesso? Nulla! Ci vuole ancora più sesso Cosa non può mancare nel tuo frigorifero? Il formaggio Qual è il segreto per l'Eterna Giovinezza? Droghe e alcol

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Speciale Designer di gioielli Tre nomi emergenti del panorama del design scelti e intervistati in esclusiva per voi da PIG. Sono tutti italiani: diversissimi per stili e background, vi faranno sbavare con le loro creazioni. Teneteli d'occhio!

Emanuele Bicocchi Intervista a Emanuele Bicocchi e Giulia Diamanti di Ilaria Norsa. Foto di Sean Michael Beolchini

La storia certo è romantica e se non li conoscessi direi che è una cosa d’altri tempi. Quando si sono incontrati Giulia era poco più che una bambina, Emanuele un ventenne di belle speranze. Correva il 2005: fu allora che la temeraria ragazza, travolta dalla forza creativa del suo incontenibile “romeo”, decise - in uno slancio quasi eroico - di credere in lui. E così i due si imbarcarono in un’avventura che si sarebbe rivelata la più grande: quella della loro vita. Sono passati cinque anni, anni crescita e condivisione, di viaggi, feste, risate, rock’n’roll (e anche qualche vaso rotto), ma soprattutto anni di duro lavoro e lezioni imparate sul campo. E come Giulia, Emanuele col suo talento ha saputo convincere tutti, anche me. 50 PIG MAGAZINE


Raccontatemi la vostra storia: E: Premetto: io non sono un gioielliere puro, nel senso che non ho studiato per diventarlo e non provengo da una famiglia di gioiellieri. Tutto è nato con la conoscenza tra me e Giulia ed è cresciuto insieme a noi e alla nostra relazione, coi vantaggi e gli svantaggi che lavorare insieme al proprio compagno può comportare. I primi, fortunatamente, dal nostro punto di vista prevalgono sui secondi. Non si tratta solo di lavoro ma della nostra vita. Naturalmente ognuno ricopre il suo ruolo e gestisce il proprio spazio autonomamente: io curo la parte creativa e la produzione, Giulia si occupa del rapporto con i clienti e della contabilità. Siamo io e lei, nati da zero. L’azienda è nostra, ma ovviamente abbiamo goduto dell'appoggio e della fiducia di molte persone. Lo trovo molto romantico: siete fortunati oltre che bravi! Quando vi siete incontrati? G: Circa cinque anni fa. Io avevo 15 anni... Com'è cominciato tutto? E: Io avevo lavorato per un po' con mia madre nel suo piccolo laboratorio di oreficeria, ma trovavo quella produzione obsoleta e

azienda curando i passaggi dalla A alla Z! La prima collezione cui lavorai per Fendi fu quella 2000-01 per la quale realizzai tutti i pezzi in argento. Da allora mi sono esercitato e giorno dopo giorno ho cominciato a creare qualcosa di via via più elaborato. Va detto che per me e Giulia negli ultimi anni non sono esistiti né sabati né domeniche. L'esperienza d'altra parte accresce le capacità: all'inizio ero lento, poi le conoscenze sono andate accumulandosi e l'abilità accrescendosi. Gran parte della collezione di oggi è frutto delle esperienze acquisite sul campo nonchè degli insegnamenti del padre di Giulia, che è un artista. Quando inizi da zero inizi davvero da zero, sei lento, sbagli tante cose, non sai l'inglese… Lei ha imparato le sue cose io le mie. G: Figurati che inizialmente io non volevo assolutamente fare quello che sto facendo adesso: i miei percorsi scolastici erano diversi, ho fatto il liceo classico... poi piano piano ho imparato. Naturalmente ci sono cose più divertenti e altre più noiose... L'esperienza in quest'ottica gioca un ruolo fondamentale: anche nel processo creativo l'approccio è di stampo sperimentale?

e non vedo l'ora che sia mattina per concretizzarlo. Non si tratta di pura ambizione o voglia di sfondare: certo, il lato economico è rilevante e non certo secondario, ma la mia è più una questione di "forza interiore", una spinta che è mi è congenita. Osservando la moda degli ultimi 5 anni, ho trovato che quella maschile soprattutto, fosse un po’ stantia e mi è venuto spontaneo dare un accento alla mia persona creando qualche pezzo ad hoc visto che avevo la possibilità di farlo; le persone hanno reagito chiedendomi dove avessi preso questi pezzi, poi da cosa nasce cosa... La musica gioca un ruolo fondamentale tanto nella tua vita quanto nella concezione estetica dei tuoi gioielli, non è così? E: Sì! Ascolto musica dalla mattina alla sera. G: Infatti abbiamo gli uffici divisi perché ascoltiamo musica diversa... E poi perchè io devo rispondere al telefono! Da un punto di vista estetico esiste un universo di riferimento a cui si rifanno le tue creazioni? E: Il processo creativo è per me molto istintivo: riesco a capire subito cosa sia in grado di trasmettere un oggetto, so coglierne il

desideravo invece abbracciare il sistema moda. A 18 anni ebbi la fortuna di incontrare Eric Wright, l'allora braccio destro di Lagerfeld da Fendi, che mi prese sotto la sua ala e mi insegnò le arti del mestiere... fu un apprendistato fondamentale considerando che oggi produciamo tutto nella nostra

E: In effetti io sono di una filosofia di pensiero un po’ particolare: quando mi chiedono a cosa mi ispiro, rispondo che io non mi ispiro e non disegno. Io mi metto lì. Ho una forza dentro, un impulso creativo automatico che non riesco a reprimere: anche alle 2 di notte quando sono a letto mi viene fuori

potenziale senza magari ragionare sul significato. Ovviamente anche io ho un immaginario di riferimento, che per lo più ha a che fare con la musica anni '70 e '80, ma si tratta di un mix di riferimenti piuttosto eclettici. Non sono il tipo di persona che afferma di amare la musica anni '70 e ascolta solo

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quella. No! Gli anni '70 sono passati, non ci vivo, forse mi sarebbe piaciuto viverci ma non ci vorrei vivere ora. Il futuro è adesso, ci siamo ora per quanto lento ci appaia. Trovo inutile essere nostalgici: il nostro è un periodo di grandi cambiamenti e i cambiamenti non possono far altro che giovare! Hai un approccio molto attivo alle vita e creativamente parlando sembri piuttosto impulsivo. La sperimentazione vince sulla progettazione... E: Sì, è vero. Io mi metto lì, provo. Negli anni ho imparato ad usare i macchinari e questo mi permette di sperimentare. G: Emanuele ricerca e sperimenta tecniche e materiali: visita le ditte e ogni volta torna con qualche particolare pezzettino, si mette lì e da esso scaturisce una nuova passione, un nuovo procedimento... Perchè hai scelto l'argento? Ho provato diversi materiali ma l'argento mi piace perché è caldo e sensibile al colore. L'ottone e gli altri metalli che vengono realizzati con colorazioni artificiali non mi piacciono. Dò molta importanza al colore dell'argento e ne studio tutte le variazioni: le sue sfumature possono variare dai toni

del bianco a quelli del nero. I gioielli sono unisex? E: In linea di massima sì, per il 70%, poi chiaramente ci sono pezzi più femminili. Personalmente tendo a portare accessori femminili perché mi piace il contrasto. Creare gioielli da uomo in Italia è molto difficile: lo faccio, mi va anche abbastanza bene, ma è un mercato difficile e per il quale devo creare pezzi molto lineari e semplici... G: La maggior parte degli uomini preferisce portare cose semplici, sobrie.. E: Posso creare pezzi più stravaganti, nessuno mi limita nella mia creatività, ma è ragionevole tenere conto dei meccanismi del marketing per sopravvivere: ogni collezione va studiata in modo da proporre una parte che sia d'impatto dal punto di vista dell'immagine e una parte più adatta alla vendita. G: Normalmente si parte dal concettuale e da esso si estrapolano una serie di variazioni più facili da proporre: il braccialetto più fine, l'orecchino più lineare La vostra sede è in Toscana ma vi state espandendo rapidamente... E: Abbiamo uno showroom a Milano e ne abbiamo aperto uno a New York a Set-

tembre. Siamo entrati nei migliori negozi di tutto il mondo (da Harvey Nichols a 10 Corso Como N.d.R) e questo anche grazie al lavoro dei buyer e dei responsabili dei negozi. Non sono uno stilista puro, sono un imprenditore di me stesso e la forza del giovane imprenditore sta nel far credere gli altri nel suo progetto. Sarei bugiardo se ti dicessi che la persona singola non è fondamentale. G: E poi noi siamo molto presenti: dove ci sono i nostri gioielli ci siamo noi! Per concludere diteci qualcosa della fortunata collaborazione con Borsalino: E: Borsalino ci ha contattati dopo appena una stagione chiedendoci di personalizzare un loro cappello. G: Era il periodo del boom di Pete Doherty... da allora creiamo insieme a loro modelli con applicazioni in argento. E: Il sodalizio si è rivelato vincente: doveva essere solo una stagione e siamo già alla quinta! Noi ci mettiamo il gioiello, loro il cappello: ci danno carta bianca perchè credono in noi. www.emanuelebicocchi.com

Emiliano Maggi Intervista di Fabiana Fierotti. Foto di Yara De Nicola.

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Il mondo di Emiliano Maggi è senz’altro enigmatico e affascinante. Dalle sue parole capirete come il designer, musicista e pittore romano provi quasi gusto nel dipingere un’immagine di sé completamente ambigua, dalle tinte sbiadite. Un punto fermo è sicuramente la passione per l’occultismo e la magia Voodoo, che lo porta in universi paralleli, molto distanti da ciò che comunemente possiamo immaginare. Inizialmente è stato difficile e spiazzante comprendere le sue parole – che forse tuttora rimangono un interrogativo – ma basta guardare i suoi gioielli e i suoi quadri per capire come dietro questo sembiante, si nasconda una grande sensibilità e un modo tutto personale di guardare al mondo.

Ciao Emiliano, da dove vieni, quanti anni hai? Sono nato a Roma e ho 32 anni. Dove ti trovi attualmente? Perchè? A Roma in questo momento. Sono sicuro che c'è un motivo… ho vissuto in altre città come New York e Londra e lì c'ero per un motivo... ci sono sempre per qualche motivo. Viaggi molto? Viaggio quando posso, quando cerco ispirazione, quando lavoro... sono tornato a novembre da New Orleans, dove ho fatto un’installazione al Voodoo Festival. Qual è l'elemento del tuo passato che credi abbia influenzato maggiormente il

tuo modo di essere e di vedere il mondo oggi? Osservare... lo facevo da bambino e lo faccio ancora adesso. Da cosa dipende maggiormente la tua estetica? Poche persone oggi hanno un piacevole e intrigante senso estetico… o comunque non ci tentano nemmeno... non amano cercare dentro di loro. Bisognerebbe guardare il passato, la flora e la fauna. Il mio deriva dal dovere di raccontare ciò che vedo, ciò che sento. Produrre suoni, luci… molto viene dalle tradizioni, dai rituali, dai miti e dalle leggende… terrore e inquietudine, ma anche protezione e salvezza.

Da dove l'idea di creare gioielli? E' stato un processo naturale? Tutto naturale… ho iniziato ad unire oggetti e scolpire la cera e da lì è nata l'idea da cui poi ho sviluppato tutto. Descrivi la collezione che hai recentemente presentato a Roma. Prima di tutto vorrei dire quanto è stato importante esporre questa collezione a Roma. È stato veramente una bomba. Il luogo è magico... è stato capito il vero senso del mio lavoro... non si tratta solo di gioielli. Ci sono due elementi molto importanti in questa collezione: il primo è quello di mantenere in vita e riutilizzare stoffe, merletti e oggetti antichi appartenuti ad altri luoghi

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e altri tempi; il secondo è la creazione di figure legate al mondo animale e fantastico, produrre delle fusioni in diversi metalli e in plastica, con lo scopo di ottenere alla fine un oggetto unico e sacro. Ho visto che oltre a creare gioielli, dipingi delle bellissime tele. I tuoi soggetti sono coperti da maschere e copricapi, l'unica cosa che rimane scoperta sono dei profondi occhi bianchi. Ha un particolare significato? E cosa pensi dell'esoterismo? Sono affascinato da tutto ciò che è mistero, pagano, orfico, romano, dionisiaco o alieno. Dietro l'esoterismo c'è un mondo infinito, c'è l'iniziazione e la liberazione del corpo, l'essere divino che scende ed entra in diverse vite cogliendo il male e il bene, per poi risalire nel mondo degli dei. Una mia grande passione è lo sciamanesimo, che indica il modo di vivere e vedere il mondo in modo animista, più legato alla natura e non alfabetizzato. Sei tenuto in vita dalla particolare figura dello sciamano, il guaritore-saggio. 54 PIG MAGAZINE

Ci sono costumi e maschere dello sciamano legate a rituali che hanno cambiato totalmente il mio senso estetico e il mio modo di vivere. Lo sciamanesimo è parte di credenze e tradizioni, vi è un forte uso del canto, di amuleti, e di profumi ed essenze che servono allo scopo di attrarre o respingere. In questo senso torna anche il gioiello come oggetto sacro, unico e protettore: il talismano. Lo sciamano può curare malattie, procurare il cibo e sconfiggere il nemico; tutto questo accade nel viaggio in stato di trance, durante il quale attraversa il mondo degli spiriti. Ogni luogo, ogni popolo ha la sua figura protettrice, i suoi talismani... sono infiniti e per questo continua ispirazione per me. Il fascino che provo per tutte le figure legate a questo mondo mi ha portato ad essere quello che sono e quello che riesco a creare: i volti coperti da maschere e veli, i costumi cerimoniali, gli occhi bianchi, la trance, i denti di orso, gli occhi di volpe. Hai mai fatto qualcosa che la società comune avrebbe difficoltà a capire e defini-

rebbe "strana" o "malata"? La concezione di strano o malato oggi è poco chiara. È tutto abbastanza brutto, ma quando riuscirò a trasformarmi in gorgone con zanne di cinghiale e serpenti al posto di capelli potrò finalmente pietrificare tutte quelle persone che non dicono niente o lo dicono male… e poi far esplodere la televisione. La cosa più bella che ti sia mai capitata. Trovarmi faccia a faccia con una volpe argentata. La più brutta? Il coma Quella che ti ha segnato per sempre. Il coma Quella che vorresti arrivasse al più presto. Il teletrasporto. In quale posizione dormi? Appeso a testa in giù, nel buio totale. La canzone che ascolti di più ultimamente. Harvest Moon di Neil Young. Ti vedremo mai a Milano? Molto presto. http://magikzaplakala.blogspot.com


El Rana Toscano di Arezzo, un passato da tatuatore, una passione per la simbologia massonica e quella religiosa e una curiosa ossessione per le rane che gli è valsa il soprannome attribuitogli dai colleghi spagnoli. Artista, artigiano e orafo autodidatta, collezionista di ex voto e incisioni sacre, El Rana (a.k.a. Simone D’Alessio) si è fatto un nome fabbricando oggetti e monili di culto. Oggi customizza chitarre e tavole da skate facendone vere e proprie opere d’arte e firma una collezione di gioielli che sono il risultato di un mix equilibrato tra l’iconografia del tatuaggio e la tradizione artigianale dell’oreficeria. Intervista di Ilaria Norsa. Foto Piotr Niepsuj

Intervista di Ilaria Norsa. Foto Piotr Niepsuj.

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Perché "La rana"? Perché è un animale straordinario e puoi disegnarlo in 10.000 modi differenti... Lo trovo molto affascinante: era il simbolo del demonio nel medioevo, vive dappertutto, anche nel deserto... Ne ho circa 17-18 tatuate... Un corpo "affollato"! Non fai mistero della tua passione per i tatuaggi, hai praticato anche il mestiere vero? Sì, ho lavorato per un po' nello studio fiorentino di Maurizio Fiorino ma dopo un mese ho capito che non era la mia strada, così ho preferito dedicarmi a ciò che sapevo fare meglio: l'orafo. Poi non ho fatto altro che coniugare questa mia abilità con la passione per il mondo dei tatuaggi: ho cominciato vendendo piccole produzioni artigianali all'interno delle convention di tatuaggi e continuo a farlo tuttora (amo viaggiare!) Il repertorio iconografico cui attingi non è legato però solo a questa dimensione... No, non solo. Sono affascinato dall'iconografia delle religioni, e non solo quella cristiana: colleziono ex voto e immagini sacre che utilizzo anche nella creazione delle mie opere d'arte. Inoltre sono un appassionato di immagini massoniche e medievali alchemiche. La passione per questi temi ha radici prettamente estetiche o assume un peso anche a livello culturale? Dipende... diciamo che per quanto riguarda la massoneria non ne condivido gli ideali ma trovo che le immagini siano di grande impatto. A quali immagini fai riferimento? A molte: dalla squadra e compasso (spesso uniti come simbolo di geometria), alla cazzuola (simbolo di costruzione insieme al mattone), fino all'ape (simbolo di operosità). C'è da dire che la simbologia massonica, con le sue piramidi e i suoi occhi onniveggenti, ben si presta all'universo dei tatuaggi, imprescindibile riferimento per la tua arte. La tua collezione è però soprattutto ricca di richiami all'iconografia old-school, che sempre nel medesimo mondo ha vissuto un incredibile boom ultimamente. Tra le ancore e i cuori c'è anche qualche gioiello "massonico"? Sì ho realizzato anche delle cose con immagini massoniche - negli anni ho creato un archivio composto da più di 150 modelli - ma per la collezione attuale sono stati scelti i pezzi più adatti al mercato perché di più facile comprensione. E' naturale che si crei un ragionevole "compromesso" quando si ha a che fare con il pubblico... Esatto... io ad esempio sono un amante della svastica e mi piacerebbe realizzare gioielli utilizzando questo simbolo, ma non è possibile.. intanto mi batto perché il suo significato corretto venga compreso visto che la

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gente le conferisce unicamente una valenza negativa... In generale le tue creazioni rispecchiano la tendenza, diffusa anche tra i tatuatori, di attingere a piene mani all'iconografia religiosa che diciamolo, è straordinaria. Io non sono credente ma sono affascinato dalle icone religiose e dalle immagini sacre, inoltre mi piacciono i tatuaggi in generale e mi diverto a giocare esplorando la simbologia: l'ancora ed il cuore ad esempio sono un simbolo religioso di fedeltà e speranza. In collezione c'è un pezzo in cui la parte superiore di un'ancora combinata ad un cuore, è una croce: questa rappresentazione è tipica dei tatuaggi! Non guardo però solo al repertorio iconografico cristiano, realizzo anche pezzi ispirati alle usanze popolari, cornetti per esempio! Pensa che anch'io come te ho sviluppato una passione per gli ex voto... Sono incredibili e così diversi, che siano in argento, in gesso o dipinti... Francia e Spagna hanno una forte tradizione e in questo senso è così anche i paesi del Sud America, per il loro legame con la Spagna (gli ex voto messicani poi sono straordinari!). Quando vado in Germania invece fatico a fargli capire quello che cerco: tutti conoscono il sacro cuore perché è presente in tantissime immagini ma a molti sfugge l'idea di un oggetto creato in segno di gratitudine per una grazia ricevuta in seguito a un voto; ancora più difficile è spiegare che esso possa avere una forma variabile a seconda della grazia e del voto: non è necessariamente un cuore (nei santuari si trovano occhiali, ciocche di capelli, sedie a rotelle e oggetti di tutti i tipi...). Non si tratta di un articolo che puoi acquistare e depositare! Io cerco di usare ex voto antichi e difficili da trovare...sono stato anche a Fatima e ne ho visti di bellissimi. Spesso in giro si trovano delle bufale, ma io che li colleziono da circa 15 anni so dove guardare... Chissà che bella collezione... li hai tutti appesi in casa? Paradossalmente ne ho moltissimi chiusi in un cassa: mi piace tenerli lì e ogni tanto sceglierne qualcuno per realizzare qualche lavoro. Quanto conta per te il lavoro artigianale? E' fondamentale. Molto spesso la gente se ne dimentica e compra gioielli realizzati in 10 milioni di esemplari... non c'è niente di male, certo, ma io ci tengo a sottolineare il valore aggiunto dalla lavorazione artigianale (la mia fede nuziale è stata disegnata dal mio testimone e realizzata, sempre a mano, da un altro amico!). Questa componente per per me è importantissima e trovo che emerga anche a livello energetico: le cose fatte con il cuore sono anche più curate e, col rischio di peccare di modestia, sono anche meno banali.

L'imperfezione per me è affascinante! Sei solito lavorare l'argento, ma hai realizzato l'ultima collezione in bronzo. Come mai hai scelto di cimentarti con questo materiale? E’ un'idea che è nata insieme ai ragazzi di 247 (lo showroom milanese che ha scoperto Simone e che ne distribuisce le creazioni N.d.R). Pur essendo abituato a lavorare l'argento - materiale in cui sono realizzate tutte le mie collezioni - tempo fa mi sono trovato a creare dei gioielli in bronzo perché mi piaceva il materiale: mi dava l'idea di essere vissuto, "sporco" non essendo un metallo nobile (le fusioni del rame creano pezzi sempre diversi tra loro). Ho regalato uno di questi pezzi ad un'amica che conosceva Giacomo (Piazza, General Manager di 247 N.d.R), lui vedendolo se n'è innamorato e mi ha contattato: così è nata l'idea. Per il momento abbiamo scelto di presentare solo una parte dei miei pezzi, e abbiamo voluto farlo nella versione in bronzo. Se la gente recepisce bene il prodotto, l'idea è di presentare ogni anno una collezione diversa attingendo al mio archivio; in futuro inoltre vorrei collaborare con artisti contemporanei e del mondo del tatuaggio, per realizzare pezzi in edizione limitatissima. Oltre ai tuoi gioielli realizzi anche vere e proprie opere d'arte. Parlacene: Customizzo tavole da skate attingendo al mio repertorio, utilizzando ad esempio gli ex voto... Io sono una fan delle tue chitarre customizzate... Grazie... mi piace unire il sacro al profano, utilizzare oggetti di uso comune e attingere al repertorio sacro... Non mi ritengo un esperto di arte ma secondo me la pop art deve essere davvero "arte popolare", deve servirsi di oggetti comuni... Gli oggetti che customizzi continuano ad esistere anche da un punto di vista funzionale? Cioè, si può skateare sulle tavole da te modificate? Si può suonare una delle tue chitarre una volta che vi hai messo mano? Sarebbero la gioia di molti musicisti... Le cose che ho fatto fino ad ora sono inutilizzabili e sinceramente da un punto di vista tecnico non so se sia fattibile, perché io traforo le chitarre e creo delle scatole al loro interno. In una chitarra ad esempio ho inserito una scatola con un'immagine di inizio '900 realizzata da suore di clausura... Mi sembra improbabile che si possa utilizzare! Però tutto si può fare e se i fori non disturbano il suono e qualcuno lo richiede... Partecipi a qualche mostra? Attualmente le mie opere sono presenti in due mostre, una a Milano e una a New York. Ad Aprile parteciperò a una piccola collettiva alla galleria Area B di Milano insieme ad altri straordinari artisti. www.el-rana.com


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Nima Intervista di Marco Lombardo. Foto di Paul Herbst.

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Nima Nourizadeh da adolescente era fan degli Slayer e dei Morbid Angel. Oggi, dopo aver lavorato con adidas, Hot Chip, Lily Allen e Santigold, vorrebbe dirigere un video per un gruppo death metal. Incuriosito da ciò che potrebbe venirne fuori. E’ un talento trasversale che ama le sfide e si muove abilmente tra video e pubblicità. L’abbiamo raggiunto via telefono in quel di Londra, il primo giorno libero dopo due mesi passati a girare il nuovo segretissimo spot del colosso di origine tedesca.

Ciao Nima dove sei? Come stai? Ciao sono a casa, a Londra, esausto. E’ un periodo molto impegnativo. Stiamo girando una nuova pubblicità, vengo da una settimana di riprese non stop. Ho due giorni liberi e poi andrò a Montreal per l’editing. Di cosa si tratta? E’ il nuovo spot dell’adidas, una produzione imponente. Hai in cantiere anche delle nuove sorprese in ambito musicale? Non lavoro a un video da qualche mese ormai. Ricevo proposte in continuazione, ma non sono in grado di fare più cose contemporaneamente. Appena avrò terminato questo spot tornerò a concentrarmi sulla musica. Qual è l’ultimo video che hai diretto? Pearl’s Dream di Bat For Lashes, lo abbiamo girato a maggio. E’ ispirato a uno dei numeri più famosi del mago David Copperfield, quello del volo. Ho immaginato Natasha interpretarlo, immersa in un’atmosfera magica e misteriosa, un po’ cheesy. Ci abbiamo lavorato per circa un mese. Durante le riprese l’idea di partenza si è evoluta molto, grazie anche alla sua creatività vulcanica. Esteticamente l’effetto che volevamo ottenere era quello di una performance televisiva a cavallo tra gli anni ottanta e i primi anni novanta. Un periodo storico a cui Bat For Lashes fa spesso riferimento nella sua musica. Abbiamo mischiato spunti molto diversi e ci siamo influenzati a vicenda. In Pearl’s Dream sono presenti i vari alter-ego di Natasha, quelli che mette in scena nelle canzoni. Abbiamo giocato con un’atmosfera vagamente alla Lynch, pur mantenendo un approccio da studio televisivo low budget, con effetti speciali di serie b. Ti piace lavorare a stretto contatto con i musicisti quando sei sul set? In genere direi di sì, è molto stimolante. Non sempre però le loro intenzioni combaciano con le mie. Ecco perché cerco di collaborare il più possibile con persone che stimo o conosco direttamente. In questo modo è più facile interagire e fidarsi a vicenda l’uno dell’altro. In genere lascio spazio alla visione di un artista solo se siamo

in confidenza. Penso sia importante stabilire un contatto intimo e personale: si ottiene un risultato migliore, ed è più divertente. Come è stato lavorare con Santigold nel video di L.E.S. Artistes? Abbiamo instaurato un ottimo rapporto, rilassato e creativo. Siamo subito stati d’accordo d’intraprendere una direzione molto teatrale. Lei adora andare a cavallo: questa sua passione è stata il nostro punto di partenza. Ero sorpreso ed eccitato perché di solito gli artisti non amano mettersi in gioco in situazioni bizzarre. Così ho concepito questo set teatrale, come cristallizzato nel tempo, dove lei doma un cavallo imponente, in un ambiente drammatico ed autunnale. Due ballerine ballano al suo fianco, compiendo passi di danza minimali appena accennati. Nella seconda parte del video Santi esce da questa sorta d’irrealtà immobile e inizia a girovagare nel mondo reale. Incontra però una realtà ancora più spettacolare e imprevedibile. Mi sono ispirato a The Holy Mountain, il film di Jodorowsky, e l’ho catapultata in mezzo a un’esplosione di colori e goffe finzioni sceniche. Tendi quindi a mescolare diversi riferimenti all’interno dello stesso video? Sì, ma ciò avviene in relazione all’artista con cui lavoro. Scegliere la citazione adatta alla canzone e all’immaginario che essa evoca è di per sé un talento. La magia non sempre funziona. Quali sono gli artisti che ti hanno influenzato maggiormente? Mi piacciono generi e realtà diverse tra loro. Un giorno sono attratto da ciò che è divertente e leggero, quello seguente da atmosfere cupe e introspettive. Mi muovo attraverso uno spettro stilistico estremamente vario. Ho studiato in una scuola d’arte e sono entrato in contatto con correnti espressive differenti. Tutte hanno contribuito alla formazione di una mia estetica che è la somma di suggestioni contrapposte, dalle avanguardie teatrali alle serie televisive degli anni ottanta. Quanto della tua personalità finisce nei video che dirigi per altre persone? C’è una parte di me in tutti i lavori che

faccio. Alcuni clip sono più personali, altri sono il risultato di una maggiore mediazione con il cliente. Quello più personale che hai girato? Sono molto legato a Over and Over degli Hot Chip e Ladies of the world dei Flight Of The Conchords. Lavorare sullo humor è una delle cose che mi dà maggiore soddisfazione. Ogni video però ha una sua storia particolare. Spesso mi capita di ricordare con affetto un’esperienza lavorativa il cui risultato finale non è stato così soddisfacente, ma che mi ha segnato positivamente dal punto di vista umano. Come è stato lavorare con i Flight Of The Conchords? Splendido. Ladies of the world è il video che mi sono divertito di più a girare. Sono ragazzi adorabili. Non abbiamo mai smesso di ridere durante le riprese. E’ stata una sfida nuova e interessante anche dal punto di vista stilistico. Abbiamo ricreato le atmosfere e le tinte di un telefilm anni settanta. Brett e Jamaine si sono messi a mia completa disposizione, pronti a lanciarsi in qualunque amenità gli chiedessi di fare. Siamo diventati davvero buoni amici. Un altro video molto divertente è Bonafied Lovin dei Chromeo. E’ ispirato a Money for Nothing dei Dire Straits. Non dirmi che ti piacciono i Dire Straits? No, non proprio (esplode a ridere). Ho incontrato per la prima volta Patrick e David dei Chromeo in una stanza d’albergo durante un tour in Inghilterra. Abbiamo parlato di musica, dei loro clip preferiti. E’ subito venuta fuori quella canzone. Gli ho fatto notare quanto assomigliassero ai due protagonisti del video ed è nata l’idea, quasi per gioco, di ricostruire quell’ambientazione. Si adattava perfettamente al loro suono così immerso negli anni ottanta. Avevamo un budget ridotto. Lavorare con l’animazione e la computer graphic ci è sembrata la soluzione migliore dal punto di vista economico, anche se abbiamo impiegato due mesi a concludere il tutto. Le tecniche usate in quel video sono molto complesse pur sembrando semplici. E’ stata una sfida

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contro il tempo. Hai lavorato più volte con Lily Allen. Che tipo di relazione avete? Ci conosciamo da tempo. E’ una ragazza divertente e senza peli sulla lingua. Mi sono sempre trovato bene con lei perché si fida ciecamente di me. Nell’ultimo disco non siamo riusciti a collaborare per via di impegni reciproci ma ci siamo ripromessi di ritagliare un po’ di spazio quando pubblicherà un nuovo album. Ready for the floor degli Hot Chip è uno dei tuoi video di maggior successo, oltre ad essere un piccolo capolavoro. In quattro minuti si rincorrono citazioni cinematografiche, visual art, performance, installazioni. Hai fatto tutto da solo? E’ stato Joe degli Hot Chip a voler prendere spunto dal video Batdance di Prince. Già nel testo della canzone c’era una frase tratta dal film di Tim Burton:“You’re my number one guy”. Tutto il clip ruota intorno alla figura del Joker e di Two Face. L’atmosfera però è infantile e spensierata, nonostante la complessità dei personaggi. In Ready for the floor ho concentrato quattro mesi di idee, in una sorta di eccesso ipertrofico d’ispirazione. Le avrei potute centellinare per girare altri tre video (ride). Lo spot House Party per adidas ha rappresentato l’apice della tua carriera. Lavorare per un’azienda così importante ti ha fatto sentire sotto pressione? E’ stato il mio primo passo ufficiale nel mondo della pubblicità che conta anche se non mi sono allontanato molto da ciò che avevo già sperimentato in precedenza. House Party è uno spot molto musicale che riprende il linguaggio del videoclip. Ha rappresentato una naturale evoluzione nel mio percorso creativo... L’atmosfera è stata quella di un party casalingo, informale, solo affollato di celebrità. Il set, nonostante la complessità della produzione, si è presto trasformato in una vera e propria festa che è durata un giorno intero. La gente ha iniziato a divertirsi sul serio. Run Dmc si è messo dietro la consolle e non l’ha più abbandonata. Missy Elliott ha aperto le danze, trascinando tutti a ballare. Come è stato incontrare così tante celebrità, da David Beckham a Katy Perry, tutte in un colpo solo? Una piccolo shock. Ho incontrato persone che non avrei mai pensato di conoscere nella mia vita. Ovviamente non ho avuto modo di legare con tutte. Per alcune di loro si è trattato solo di lavoro per altre un vero e proprio divertimento. Beckham, ad esempio, è rimasto sul set soltanto un’ora, il tempo di girare la sua parte e sparire, 60 PIG MAGAZINE

mentre Red Man e Method Man hanno assistito a tutte le riprese animando la serata come due teenager, insieme a quella leggenda vivente di Run Dmc. Anche Kevin Garnett, il cestista, è stato adorabile. Cosa mi puoi dire del nuovo spot della adidas che stai filmando in questi giorni? Poco o nulla, se no mi licenziano. Non scherzano su queste cose. Sarà di nuovo pieno di celebrità? Puoi dirmi chi? Ci saranno alcuni personaggi famosi ma non posso fare nomi. Appariranno anche nuovi talenti molto interessanti, sia in ambito musicale che in quello sportivo. Sarà però un qualcosa di più intimo rispetto ad House Party. Manterremo l’energia e lo stile informale ma verranno sviluppati nuovi contesti. Il tutto avrà un taglio più individuale. Qual è secondo te la parte più difficile del lavoro di regista? Interagire con le persone che sono sul set. Riuscire a comunicare esattamente la tua visione agli altri, coordinare i vari dipartimenti, in modo che essa si concretizzi al meglio. Il tuo video preferito di tutti i tempi? All is full of love di Bjork. E’ perfetto in ogni dettaglio, niente potrebbe migliorarlo. C’è qualche artista con cui ti piacerebbe lavorare ma non hai ancora avuto la possibilità? Bjork, senza dubbio, e Michael Jackson, anche se non accadrà mai. Ti ricordi dov’eri e cosa stavi facendo il giorno in cui Michael Jackson è morto? Ero a casa, a Londra, insieme alla mia ragazza. Lei ha ricevuto da un’amica un messaggio sul cellulare con la frase sibillina: accendi la tv. E’ stato uno shock. Ho preso la macchina fotografica e ho iniziato a scattare fotografie delle immagini che scorrevano al telegiornale. In quale film ti sarebbe piaciuto recitare? Once upon a time in America di Sergio Leone, uno dei miei film preferiti, Rocky e Ritorno al futuro. Hai mai lavorato come attore? No, non credo di esserne capace (esplode a ridere). Non a caso ho scelto di stare dietro la macchina da presa. Ti piacerebbe? Forse. Perché no… Ci proverei giusto per il gusto della sfida. Qualche nome in particolare che vorresti dirigere? John Candy, anche se ormai è troppo tardi, Leonardo Di Caprio per la sua versatilità, Jack Nicholson, adoro tutti i suoi film,

Robert De Niro. Vorrei lavorare con un attore fuori dal giro, un po’ dimenticato, per farlo tornare alla ribalta. Stai già pensando al tuo esordio nel cinema? E’ un passo che ti interessa fare? Assolutamente si. Ho un agente che si occupa solo di quello. Ci sono vari progetti in cantiere al momento, sto leggendo diverse sceneggiature, scrivendo qualche bozza. In un paio di anni sarò pronto ad intraprendere questa strada. Purtroppo quando si parla di film i tempi si dilatano vertiginosamente. Che tipo di film di piacerebbe fare? Adoro le commedie, sono forse il mio genere preferito. Vorrei però affrontare un film drammatico e inserire elementi umoristici all’interno di una storia complessa in grado di attraversare stili diversi, avvicinandosi anche all’horror. Oggi le serie tv sembrano avere soppiantato i lungometraggi in termini di sperimentazione. Hai mai pensato di confrontarti con questo tipo di format? Sarebbe interessante. Anche se la vera ricerca la fanno gli sceneggiatori più che i registi. Questi ultimi spesso si limitano a una mera esecuzione tecnica. Non hanno alcun controllo sulla storia e i personaggi. La prima stagione di Lost è senza dubbio uno degli apici del genere, come anche la serie 24. Con che tipo di musica sei cresciuto? I Depeche Mode, i Cure, i Ride, molto indie rock. Durante l’adolescenza ho avuto un periodo in cui ascoltavo solo death metal. Band come Deicide, Morbid Angel e gli Slayer. Tuttora sono uno dei mie gruppi preferiti. Stai scherzando? Giuro. E’ impossibile incasellarmi in una sola categoria, mi piacciono cose del tutto diverse. Ognuna di esse riflette una parte importante della mia personalità. Non ascolto più death metal da tempo ma tutto ciò che mi ha emozionato negli anni è rimasto in qualche modo dentro di me, influenzando chi sono. E’ un mio piccolo sogno dirigere un video degli Slayer. Se non fossi un regista che lavoro ti piacerebbe fare? Da bambino, dopo aver visto per la prima volta Top Gun volevo diventare un pilota (ride). Inoltre mi piace il mare quindi avrei potuto inseguire la carriera di pescatore... Forse sceglierei una vita più tranquilla, con un impiego normale e un orario regolare 9-17. Poi tutti a casa a staccare il cervello. Non credo sarei stato soddisfatto come lo sono ora però…


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Alexis Dos Santos Intervista di Valentina Barzaghi. Foto di Piotr Niepsuj.

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Ormai è passato qualche mese da quando abbiamo incontrato Alexis Dos Santos al Milano Film Festival. Alexis è il regista di “Unmade Beds” pellicola indipendente ambientata nella Londra underground degli squat, storia di un imberbe latino e di una introversa francese che ci si trovano nella città, il primo per cercare il padre mai conosciuto, la seconda per ricucire le ferite del suo cuore spezzato. Si scontrano a volte, ma non si incontrano, nonostante vivano sotto lo stesso tetto due esistenze parallele, immerse nel fervente clima che la città offre loro, dove non conta chi sei, cosa fai, da dove vieni, che musica ascolti o con chi decidi di andare a letto. Nato a Buenos Aires, Alexis è cresciuto in un piccolo villaggio della Patagonia. “Unmade Beds” è il suo secondo film. Il nostro incontro è stato bizzarro, lui ancora in hangover per il festino della sera prima, io con le pile di un registratore che ha smesso di funzionare proprio quando si era un po’ ripigliato dopo un caffè, su una panchina davanti al Piccolo Teatro di Milano in una giornata di vento, prima dello scoppio di un temporale. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta...

Ciao Alexis! Come va? Molto bene grazie, anche se sono ancora un po' provato dalla festa di ieri sera. Ok, allora facciamo che lascio a te la scelta. Preferisci iniziare a parlare di te o del tuo film? In verità di nessuno dei due (ride). Va beh... allora proviamo con altro... Tu sei qui in città per il Milano Film Festival e il tuo ultimo film Unmade Beds è in concorso, ma tra i lavori degli altri "tuoi sfidanti", hai visto qualcosa che ti è piaciuto? Per il momento diciamo che ho visto solo un film. Sono sincero... Quando vado ai festival solitamente non vado mai a vedere film perché sono sempre stracciato dai parties serali. Comunque ho visto Crack Willow (Martin Radich, ndr.), una pellicola davvero forte, dark e complessa. In generale un film davvero difficile. Allora... di te so che sei nato a Buenos Aires per poi trasferirti in Patagonia con la tua famiglia... Sì certo, mi sono trasferito in Patagonia quando avevo nove anni e lì ci sono rimasto per molti anni. E poi? Poi sono tornato a Buenos Aires, dove ho iniziato a studiare architettura e recitazione, che poi ho abbandonato per studiare regia. Ho frequentato per un anno una scuola di cinema lì, ma poi ho abbandonato e me ne sono andato a Barcellona. Qui ci sono rimasto per due anni, per poi provare un'altra scuola di cinema a Londra. Fondamentalmente ho vissuto gli ultimi vent'anni lontano dall'Argentina. Ma ti è servito frequentare tutte queste scuole? Credi che sia uno step obbligatorio per chi vuole fare il regista? Secondo me dipende tutto dalla scuola, non saprei... L'anno che ho fatto presso la scuola in Argentina non mi ha entusiasmato granché e quindi, anche perché avevo voglia di andare a vivere in un'altra città, sono andato a Barcellona, ma anche qui la scuola non era buona. E' stato durante un mio giro a Parigi che sono venuto a conoscenza di quella di Londra, la National Film School, che si è rivelata la migliore. E' stata davvero dura riuscire ad entrarci, perché prendevano solo sei persone all'anno per ogni specialità. E come sai, in tutto questo ser-

ve anche una indispensabile dose di culo... Ma poi, quando ci sei dentro è incredibile perché è davvero piccola, ma hanno una cifra di denaro, così... diciamo che non era proprio quello che mi aspettavo all'inizio, ma il dato di fatto è che ho potuto sperimentare e girare film per tre anni. Dovevo anche scrivere, arrivare con l'idea pronta, produrla e realizzarla: tutto questo mi è servito un sacco per quello che è venuto dopo, perché se non avessi fatto questa scuola probabilmente... boh, destino... Posso capire, io ho fatto fatto la stessa cosa con la sceneggiatura, ma non l'ho trovata così utile... Quella è la cosa più difficile cara mia... Ti giuro che non ho mai fatto un corso di scrittura dove alla fine qualcuno mi dicesse "che figo, bello, bel lavoro". Anche parlando con altra gente ti assicuro che non ho mai sentito nessuno che avesse fatto un corso di sceneggiatura uscirne soddisfatto e non so darti la soluzione del caso, ma credo che il motivo principale sia che nessuno possa insegnare a scrivere. E' così, al massimo meglio andare a fare un corso di scrittura creativa... ahahah... vero... Infatti per aggirare il problema della scrittura ho letto che hai provato a girare solo con della sana improvvisazione in loco. Vero, ma... Ma per ora ho fatto solo due film. Questo è successo soprattutto con Glue, per cui mi sono presentato sul set con un trattamento di sole dieci pagine e ho deciso di iniziare comunque le riprese. Abbiamo improvvisato quasi tutto ed è stato molto divertente, ha alleggerito un po' le fasi. Con Unmade Beds invece la cosa è andata diversamente: ho lavorato sei anni alla storia, realizzandone venticinque versioni, venticinque diversi adattamenti della storia. Infatti ho letto che l'idea ti era già venuta ai tempi della scuola... In verità proprio sul finire della scuola. E che tipo di regista sei tu sul set? Che tipo? Ovviamente il migliore... Non saprei... Ma amo tutte le persone che sanno divertirsi ed essere felici. Cos'è? Una sorta di party? Diciamo che è una sorta di party... Per Unmade Beds abbiamo fatto un sacco di feste nella

casa in cui stavamo girando, la location. L'art director ne era davvero entusiasta perché dopo tutte queste feste lasciavamo la casa piena di sporcizia e bottiglie vuote, che era come doveva risultare l'ambiente in cui vivevano i protagonisti. Il prossimo film chiama pure che vengo anch'io a lavorare per te... quindi fammi capire... nella scena in cui nella casa viene girato un videoclip con party annesso, stavate facendo tutto quel bagordo davvero? ahahahah.... ci conto... Comunque non quel giorno c'era un party, ma probabilmente quello prima... Il problema di quel giorno è che quando abbiamo iniziato a riprendere abbiamo dovuto concretizzare alla svelta. Le persone dentro i pupazzi erano miei amici e mi stavano già facendo un favore... capisci? Molti dei tuoi "colleghi" che ho intervistato e le cui produzioni erano tutte low budget, hanno però aggiunto che spesso lavorare con pochi liquidi a disposizione è anche un buon espediente per aguzzare l'ingegno e la creatività. Cosa mi puoi dire a proposito tu? La vedi così? In un certo senso è vero: più soldi riesci ad avere e più ne vorresti per fare il tuo film. Puoi capire che se ti danno una buona cifra, allora vorresti che sia "davvero buona" per rendere il tuo film più "commerciabile", prendi con le pinze questo termine. Classica equazione: più soldi spendi e più hai bisogno che ti ritornino. Solo così puoi girare film che avranno un circuito di distribuzione allargato. Ma poi entri anche in un circolo vizioso, nel senso che devi accettare un compromesso (non sempre succede però): se ti danno tanti finanziamenti, magari ti chiedono di fare un tipo di film diverso da quello che hai in mente. Pensa, se fai un film low budget invece nessuno ti presserà perché vuole che gli tornino indietro i soldi che ti ha dato se non di più: semplicemente, non ce ne sono (ride). Mi hai confuso Alexis, ma ci rifletterò... Quanto hai messo della tua "esperienza londinese" in Unmade Beds? Molte cose. Avevo deciso di girare un film su uno squat, o meglio in uno squat, e lo feci perché ci ho vissuto tutto il tempo che sono stato a Londra e perché, nello stesso posto

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(quello che vedi nel film) ci ho anche girato due videoclip musicali (è per quello che nel film ho deciso di far vedere che si sta girando un video). Sempre nello stesso posto mi è venuta anche l'idea delle foto che la protagonista scatta ai letti in cui è stata e come poi si crea la situazione di non ricordo tra i due protagonisti. Una volta a me è successo: mi sono svegliato un sacco di mattine quando stavo a Londra senza sapere dove mi trovassi e come ci ero finito. Londra è una città dove i giovani bevono davvero un sacco d'alcol anzi, direi la peggiore da questo punto di vista e ho voluto inserire questo aspetto nel film. Ok per l'alcol, ma il tuo film ha anche un notevole risvolto romantico... Diciamo che quella è la parte di cui mi vergogno di più... Riguardandolo a volte mi sembra un po' troppo romantico. Quello che voglio dire è che è un aspetto del film tradizionale, sai "come in ogni grande storia d'amore che si rispetti i due vissero felici e contenti". Non so, la mia unica preoccupazione è che non vorrei risultasse banale. Io penso che a volte è meglio essere banali con stile, che tentare di sorprendere e poi sorprendersi perché ti lanciano i pomodori perché non ci sei riuscito. La storia dei due protagonisti secondo me è molto bella (al di fuori delle due separate che vivono per tutta la durata del film), il fatto che non si incontrino, che vivano due destini paralleli, sempre con la domanda che magari sarebbero stati perfetti l'uno per l'altra, ti fa pensare che sia nel mondo che nel tuo palazzo possa vivere la persona perfetta per te e magari non lo saprai mai. Ineluttabilità... Esagero? No no, questo tipo di romanticismo è quello che mi piace. Non mi piace quello "sbrodoloso" e avevo paura che in alcune parti il mio lo potesse essere... Come è ricaduta la scelta musicale su un brano come Ti Amo di Umberto Tozzi? (ride) Non trovi che sia perfetta? Lo penso ogni volta che mi capita di rivedere il film... Non è che questa scelta sia da sempre stata nella mia testa. Diciamo che io volevo una canzone molto "burrosa", anni '70-'80, preferibilmente italiana, ma non so dirti perché, era una sensazione. Non sapevo in che direzione muovermi, ma poi Valentina (la ragazza - mia amica che ha lavorato alla colonna sonora) che è italiana ha fatto una scelta e mi ha portato una selezione di quattro canzoni per questa scena. Come prima ho sentito questa e non ci sarebbe stato bisogno di andare avanti, era perfetta. E' particolare, ti porta un sacco di emozioni diverse, ti mette allegria, ma allo stesso modo ti crea una voragine allo stomaco come se fossi digiuno da giorni. Non ero presente alla proiezione tenuta qui a Milano, ma mi hanno riferito che la gente è impazzita, che hanno applaudito, che qui è super famosa, non lo sapevo (inizia a canticchiare). Il tuo film è stato definito, come d'altronde tutte le altre pellicole indipendenti, low bud-

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get, che hanno spesso protagonisti ragazzi... Indie movie. Non credi che stia diventando un po' riduttiva come definizione? Riduttiva... non ci ho mai pensato, ma credo che più che riduttiva sia "abusata". Diciamo che sono d'accordo con il mio produttore che sostiene che il mio film sia una sorta di collante tra un film indipendente e una pellicola di genere (non categorizzabile come indie), ma voglio aggiungere che non mi interessa molto come viene etichettato, ma piuttosto da come viene vissuto. A proposito di indie... che musica ti piace ascoltare solitamente? Ascolto un sacco di musica diversa, che è anche nel film. Al momento mi piace un sacco una band che si chiama Lacrosse: li ho scoperti di recente e mi piacciono davvero un sacco. Inoltre sto ascoltando anche Juan Son, che è un ragazzo messicano che mi piace molto. Davvero bravo... Se dovessi rappresentare la "castità" usando solo un'immagine-frame, quale useresti? Probabilmente farei un cartello con scritto "Io non credo nella castità" e poi lo fotograferei. In Unmade Beds c'è una scena di sesso a tre. Solitamente quando al cinema vedo scene di sesso molto esplicito la prima cosa che mi viene da pensare è al regista che sta dietro la macchina da presa e che deve anche dire agli attori cosa fare, come porsi... Hai avuto problemi a riguardo? Beh sai, è sempre molto difficile rendere il fatto che stiano facendo sesso quando invece non lo stanno facendo... Sai perfettamente che quando giri un film vorresti che le situazioni risultassero allo spettatore il più reali possibili, ma forse già il fatto stesso che stiano succedendo di fronte a una telecamera le rende di per sé vere. D'altra parte secondo me bisogna tener conto che il "sesso che si fa al cinema" non è quello che si fa nella realtà, nel senso che richiedi all'attore un'immedesimazione specifica, per esempio quella che io amo definire "da persona innamorata" che al cinema deve risultare in un modo, che però è diverso da quello reale, capisci? Ahahaha I tuoi ragionamenti mi faranno impazzire, ma ho capito quello che vuoi dire... Eh lo so... Comunque, io non credo ci sia un limite tra quello che fai vedere e quello che invece tieni nascosto, così come credo che se sei davvero bravo a far capire allo spettatore la tua linea narrativa, cosa e come stai raccontando una determinata cosa, allora questi non avrà problemi a immergersi nella situazione e a interpretarla come reale. Non ti posso negare che comunque sia stato abbastanza difficile perché esponi gli attori ad un atto davvero intimo e privato, inoltre per renderlo nel migliore dei modi hai da rifare le scene più e più volte. Devi concentrarti, per capire quale energia vuoi che traspaia, prendendo spunto anche dalle reciproche esperienze di vita... è complesso... capisci quello che voglio dire? Ci sei completamente dentro e quindi è ovvio che devi continuare a girare, cercare la tua "perfezione",

vorresti essere lì con loro, a volte al posto loro perché spesso è anche difficile comunicare il come lo vorresti quando si parla della trasposizione di certe situazioni, deve essere molto più che emozionale e "d'eccitamento sessuale" a livello cinematografico. Per un regista è indubbiamente molto interessante. C'è una domanda che non ti hanno mai fatto, ma a cui ti piacerebbe rispondere? Mmmmhhh... difficile... C'è solo una cosa che mi hanno chiesto una volta e che mi è piaciuta, anche perché la risposta che avevo dato mi aveva convinto (ride), quindi riciclerei quella: "Se il tuo film fosse un oggetto, quale oggetto sarebbe?". E la risposta è...


Per Unmade Beds la risposta è che se il film fosse un oggetto potrebbe essere come due piccole scatole trovate in un magazzino vuoto. Una volta trovate e aperte, all'interno puoi scoprirci un sacco di piccole e diverse cose appartenute a qualcuno e che ben ne rappresentano la vita vissuta. In questo caso una scatola apparterrebbe a Vera e una ad Alex (i due protagonisti del film, ndr). In entrambe troverai la loro fotografia più rappresentativa, un diario e le cose - i pensieri che hanno appuntato nel tempo, biglietti di concerti... Insomma, un sacco di cose con cui ti sarà possibile ricostruire le loro storie e imparare a conoscerli. E se tu fossi un oggetto, quale oggetto saresti? Un profumo (si spancia dalle risate). Stai già lavorando a qualche altro progetto?

Ci puoi anticipare qualcosa? Sì, certo. Proprio in questo periodo sto lavorando allo script di un mio amico che voglio far diventare il mio prossimo film e che probabilmente girerò tra Berlino e il Messico, ma non so ancora quando. Siamo ancora ad uno stadio davvero iniziale del progetto, ma al momento è l'unica proposta che mi ha entusiasmato e su cui mi andava di lavorare. Qual è la cosa più bella che hai sentito su di te? E la peggiore? Non saprei... ti dirò la cosa più divertente visto che l'ho pure letta ultimamente e quindi me la ricordo abbastanza. Una rivista ha definito la mia pellicola "underfilm hips the trash" (film underground che va oltre il trash, ndr), che già fa ridere, ma aspetta che ti dica il sottotitolo che più o meno diceva "un film che parla di

capelli con tagli notevoli e teste vuote". Non lo trovi anche tu divertente? Non è che sia stato l'unico insulto che ho letto, ne ho collezionati anche altri dalla critica, ma non mi importa, anzi mi diverto a leggere certe cose, sono davvero fantasiose. Ovviamente mi piace molto di più leggere le critiche positive, sono cinque minuti di comfort, poi però non è che ti monti la testa e ti fossilizzi autoesaltandoti, vai avanti con la tua vita e col tuo lavoro cercando di migliorarti. Non saprei però dirti quale sia stata la migliore in assoluto che ho letto, è difficile, come ti dicevo mi gongolo per qualche minuto, ma poi me ne dimentico. Allora non mi rimane che augurarti in bocca al lupo per il tuo prossimo lavoro. E' stato un piacere. Piacere mio, a presto.

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Heartbreak Intervista di Marco Lombardo. Foto di Nacho Alegre.

Un attore sud americano e un tecnico di produzione anglo-francese s’ incontrano per caso in Argentina, sul set di una soap-opera controversa. Sebastian Muravchix, il primo, e Ali Renault, il secondo, condividono una passione viscerale per la musica disco degli anni ottanta, in particolare per la deriva nata nel bel paese, passata alla storia come Italo-Disco. Stanchi dell’ambiente televisivo abbandonano Buenos Aires e si trasferiscono a Londra, dove danno vita agli Heartbreak, una sensuale synth-band accolta con clamore dalla stampa d’oltremanica. Nel giro di pochi mesi attirano l’attenzione delle riviste patinate e di illustri colleghi, da Richard X a Little Boots, passando per la splendida Annie, rendendosi protagonisti di un’ascesa fulminante. Li abbiamo intervistati per voi. 66 PIG MAGAZINE


Cosa vi ha spinto a dare vita agli Heartbreak? Ali: La curiosità di assistere al risultato della fusione di due personalità molto diverse tra loro, accomunate da una passione viscerale per i sintetizzatori e la disco-music. Volevamo infiltrare la scena mainstream del pop con la nostra formula magica. Come e dove vi siete incontrati? Ali: Ci siamo incontrati in Argentina lavorando sul set di una soap-opera. Ali, ti ricordi cosa hai pensato la prima volta che hai incontrato Sebastian? Ali: L’ho conosciuto subito dopo averlo visto recitare. Impersonava uno degli attori principali di quella soap-opera. Ricordo che rimasi piacevolmente sorpreso di scoprire che era molto diverso dal personaggio sullo schermo. Il suo alter-ego televisivo era insopportabile. Il vostro album d’esordio è uscito circa un anno e mezzo fa. Cosa ne pensate di Lies dopo tutto questo tempo? Ali: E’ un’ottima rappresentazione di ciò che eravamo, artisticamente e umanamente, nel momento in cui l’abbiamo registrato. E’ un disco crudo, essenziale. Ci siamo evoluti parecchio in questi mesi, rifinendo il suono degli Heartbreak in maniera nuova. Qual è la vostra canzone preferita del disco? Perché? Ali: Regret. E’ il brano che ci ha fatto capire quanto potevamo essere epici. E’ stata la prima traccia in cui abbiamo raggiunto la completa fusione tra le nostre personalità. Con quel pezzo è nato un nuovo equilibrio. Come vi guadagnavate da vivere prima degli Heartbreak? Ali: Io lavoravo in televisione come tecnico di registrazione. Sebastian: Io facevo l’attore e per un breve periodo sono stato nell’industria del vino. Perché avete scelto il nome Heartbreak? Sebastian: E’ una parola che esprime bene la dualità e il mood del nostro progetto. Raccontatemi del vostro modo di lavorare. E’ complicato essere un duo? Sebastian: Non è sempre facilissimo… Ma questa è la natura di tutte le collaborazioni creative. Ci deve essere della tensione ad un certo punto. E’ un segno di vitalità. Riguardo al processo di scrittura, di solito ci sediamo di fronte alle macchine insieme e iniziamo a improvvisare, lasciando che l’ispirazione ci travolga e ci porti da qualche parte. A volte completiamo una canzone in un paio di ore, altre ci vogliono dei mesi. In entrambi i casi la soddisfazione che proviamo è totalizzante. Quante copie di Lies avete venduto sinora? Sebastian: Domanda misteriosa, dovresti farla alla Lex Records, la nostra etichetta. Siete già impegnati nella scrittura del nuovo disco? Cosa dobbiamo aspettarci? Ali: Abbiamo raccolto numerose bozze ma allo stato attuale non esiste ancora nulla di defi-

nitivo. Il prossimo album non suonerà come Lies. Sarà molto diverso. Questo è certo. Non abbiamo un’idea precisa di quando verrà pubblicato. Siamo ancora in una fase embrionale. Qual è stato sinora il momento più importante della vostra carriera? Ali: Suonare al Sonar. Per un appassionato di musica elettronica è sicuramente il festival più importante. Parteciparvi da protagonisti è stato un sogno diventato realtà. Perché avete chiamato il vostro esordio Lies? Sebastian: E’ il migliore antidoto contro tutte le verità che conosciamo. Cosa significa per voi un genere come la Italo-Disco? Ali: Fantasia, dramma, ipnosi. Qual è stato il primo brano Italo-Disco che avete ascoltato? Ali: Self Control di Raf. Sebastian: Visitors di Koto. Vi sentite revivalisti? Ali: Assolutamente no. Avete citato la musica metal come una delle vostre influenze principali. In che modo questo genere è entrato a fare parte delle vostre canzoni? Sebastian: Credo che la nostra passione giovanile per il metal sia riscontrabile nella qualità abrasiva del suono dei sintetizzatori e negli assoli di tastiera che spesso senti nei brani di Lies. L’attitudine dal vivo degli Heartbreak deve molto agli show delle band metal, soprattutto in termini di teatralità. Sebastian tu sei argentino. Perché ti sei trasferito a Londra? Sebastian: Speravo di trovare me stesso. Non ci sono ancora riuscito. Raccontami della tua vita in Argentina. Sebastian: Ero molto sotto i riflettori da quelle parti. Mi hanno incolpato di aver scritto la sceneggiatura di una controversa serie televisiva della quale in realtà ero solo un attore… Eri famoso? Sebastian: Si. Come è stato lavorare in una soap-opera? Sebastian: All’inizio interessante. Per un po’ mi sono sentito un eroe minore. Poi la pressione è cresciuta e ho avuto paura. Ero invincibile solo nella finzione. Ho abbandonato tutto. Temevo quel genere di celebrità. Che tipo di soap-opera era? Sebastian: Facevo sesso con una suora e la sua diabolica sorella. Non allo stesso tempo. La storia ha dato fastidio alla comunità cattolica, che in Argentina è particolarmente potente. Continui a lavorare come attore? Sebastian: In un certo senso sì. In modo meno evidente: suono in una band. Mi limito a recitare la mia parte nel mondo dell’industria discografica. Ali, tu invece sei anglo-francese. Da quanto tempo vivi a Londra?

Ali: Ho vissuto a Londra da bambino, tra i cinque e gli otto anni. Mi sono trasferito di nuovo qua da adulto, circa nove anni fa. E’ vero che hai vissuto anche in Italia nel corso della tua infanzia? Ali: Verissimo. Dopo Londra la mia famiglia si è spostata a Torino, per via di mio padre. Lavorava per la Olivetti ad Ivrea. Io e mio fratello abbiamo frequentato la scuola americana di Moncalieri per quattro anni. Cosa ricordi di quei giorni? Ali: Ho degli ottimi ricordi di quel periodo. Ero un bambino molto felice, avevo tanti amici. Con il passare del tempo però ho perso ogni contatto. E’ stato in quegli anni che hai sentito parlare per la prima volta di Italo-Disco? Ali: Si ma non avevo idea di cosa fosse. All’epoca pensavo si trattasse semplicemente di pop music e che ogni bambino del mondo stesse ascoltando quelle melodie alla radio, proprio come me. Sempre in quel periodo mi sono avvicinato al metal, che ben presto è diventato la priorità dei miei ascolti. L’Italo-Disco intanto continuava a sedimentarsi nel mio inconscio, per poi emergere parecchi anni più tardi. Ho il vivido ricordo di me e mia madre cantare il ritornello di Visitors di Koto mentre andavamo in piscina. E’ forse l’immagine più chiara che ho della mia infanzia. Per descrivere la musica degli Heartbreak una testata internazionale si è espressa nel seguente modo: “come suonerebbero gli anni ottanta se non ci fossero stati i novanta di mezzo”. E qualcun altro ha coniato l’etichetta “metallo”. Cosa ne pensate di queste definizioni? Ali: L’etichetta “metallo” è stata concepita da Casionova, un esegeta visionario del mondo Italo, un caro amico, che ha colto prima di chiunque altro il profondo legame emozionale tra l’Italo-Disco e il Metal. E’ un gioco di parole che ben delinea le diverse anime della band. Come descrivereste la vostra musica a chi non l’ha mai ascoltata? Sebastian: Powerpop. Come avete incontrato Little Boots? Sebastian: L’abbiamo conosciuta perché ci ha chiesto di produrre una traccia sul suo disco d’esordio e in seguito siamo andati in tour con lei in Inghilterra. Ci siamo divertiti parecchio. Cosa ne pensate della cover che ha realizzato per Youtube del vostro singolo We’re back? Siete stati coinvolti nell’idea? Sebastian: Ha fatto tutto a nostra insaputa. Ovviamente la cosa ci ha fatto molto piacere. E’ stata davvero una gran bella sorpresa. Di recente siete stati in studio con Annie. Cosa avete in cantiere? Sebastian: Niente di legato agli Heartbreak. In realtà in studio c’ero soltanto io come cantante. E’ stata un’idea di Richard X, il produttore. Un grandissimo professionista. E’ stato un

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onore lavorare con lui. Ho incontrato Annie un paio di volte fuori dalla sala di registrazione. Lei è molto affascinante e simpatica, ma non siamo mai stati in studio nello stesso momento. Tutto è avvenuto attraverso Richard. Sebastian, hai scritto un brano intitolato Annie sotto il moniker Anthonio che, a sua volta, è il titolo di una canzone del nuovo album della cantante norvegese. Uno dei brani più controversi del disco, dove lei parla del padre di suo figlio. Perché questa sorta di botta e risposta? Sebastian: Sai, sebbene fossi già in prigione, sentivo il bisogno di fare ammenda per il mio comportamento scorretto. Così ho deciso di cantare questa canzone per chiedere scusa pubblicamente (????? Non ho idea di cosa stia parlando. Parole sibilline che infittiscono il mistero. Cosa ci sarà sotto?). Si dice in giro che tu stia lavorando ad un album con il nome Anthonio. Ci sono novità? Quando pubblicherai qualcosa? Cosa dobbiamo aspettarci? Annie sarà coinvolta? Sebastian: Non credo uscirà con il moniker Anthonio. Ho cambiato idea dopo essere stato rincorso da un fan di Annie in Kingsland Road, che mi ha aggredito e accusato di essere un uomo marcio. Probabilmente aveva ragione ma essere inseguito per Kingsland Road non è esattamente nelle mie corde. Così ho deciso di lavorare ad un nuovo progetto chiamato “Sensation” (Onestamente non penso di aver afferrato appieno tutta la faccenda…) Ali, anche tu stai lavorando a qualche progetto parallelo? Ali: Si, ho due progetti solisti al momento. Li ho messo in piedi già da parecchi anni. Di recente ho pubblicato un Ep come “Ali Renault” su Moustache Records chiamato Running on Vapours e sono in procinto di realizzare il mio primo album, all’inizio del 2010. In quel disco ci sarà un brano con le splendide vocals di Fred Ventura. Al momento sono parecchio impegnato nel portare in giro il mio nuovo live set come dj e nel gestire le mie due etichette discografiche, la Cyber Dance e la Human Shield, entrambe con due uscite imminenti e uno showcase al Bloc Party Festival di quest’anno. Poi c’è il mio secondo progetto, quello più oscuro, “Cestrian”. Sto pianificando numerose pubblicazioni nel corso del 2010, possibilmente anche un vero e proprio Lp. Staremo a vedere. Le vostre tre tracce Italo-Disco preferite? Heartbreak: Time Out di Florio Time Dj, Runaway di Gary’s Gang e Dancing In The Dark di Mike Mareen. Tre canzoni metal? Heartbreak: Sweet Leaf dei Black Sabbath, Masters of Puppets dei Metallica e Hell Waits degli Slayer. Cosa ne pensate del nostro paese? Ali: Adoriamo l’Italia. Qual è stata la prima canzone che avete

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scritto insieme ? Heartbreak: Si chiamava Antartica, ma non eravamo ancora una band vera e propria. Poi come Heartbreak abbiamo registrato Soul Transplant, che è diventata la prima traccia ufficiale del nuovo progetto. Da dove vengono le vostre canzoni? Qual è lo stato d’animo dal quale traete maggiore ispirazione? Ali: C’è un preciso momento in cui stai finendo le energie ma non hai ancora gettato del tutto la spugna. Una sorta di zona d’ombra emozionale tra la resa e la lotta. La maggior parte delle nostre tracce vengono fuori da quel mood. A volte credo si avverta nel disco questo senso di disperazione. Cosa vi spaventa di più come band? Sebastian: Essere mal etichettati o mal interpretati. E come persone? Sebastian: Le vespe! Se non foste dei musicisti cosa vorreste essere? Heartbreak: Non vogliamo neanche pensarci. Quali sono gli artisti che vi hanno influenzato maggiormente? Ali: I maestri Italo degli anni ottanta. La musica proveniente da città come La Hague, Rotterdam, Detroit, Chicago. L’electro classica di New York, LA e Miami. Cosa vi manca di più di Londra quando siete in viaggio? Ali: I nostri amici. Cosa vi piace di meno di una città come Londra? Sebastian: I trasporti pubblici e il clima. Qual è il vostro posto preferito nel mondo? Sebastian: Jard Sur Mer! Avete mai avuto un “Italian Affair”? Heartbreak: Purtroppo no! L’ultimo disco che avete comprato? Ali: Dj Overdose - 2012 Ep Sebastian: Stranger Station- Echoes of Infinity Il vostro album hip-hop preferito? Ali: Non mi sono mai appassionato al genere. Sebastian: Questa domanda mi ha fatto tornare in mente License to Ill dei Beastie Boys. E’ da un sacco di tempo che non lo ascolto. Il vostro album metal preferito di tutti i tempi? Heartbreak: Sabbath Bloody Sabbath dei Black Sabbath. Siete religiosi? Heartbreak: No. Ali, ti ricordi ancora la tua prima fidanzata? Ali: Davvero mi vuoi portare in questi territori? Ok, se è così… Il suo nome è Janet. Ci vediamo occasionalmente a Natale quando torniamo a casa per le feste. Il vostro film preferito? Heartbreak: Forse e’ una scelta scontata ma diciamo The Thing di Carpenter. Con che musica siete cresciuti? C’è qualche artista in particolare che vi ha cambiato la

vita? Ali: Sono cresciuto ascoltando metal. Non so se hanno cambiato la mia vita ma di sicuro gli Iron Maiden hanno aperto una nuova fase nel modo in cui percepivo la musica. Sono loro che mi hanno trasformato per la prima volta in un fan. Che musica state ascoltando in questo momento? Ali: Disco. Sebastian: Alcuni vecchi album dei Beastie Boys e in genere robe synthwave o minimal synth. L’ultimo film che avete visto. Al cinema, in Dvd o l’avete scaricato? Ali: Requiem for a dream di Aronofsky, scaricato. Sebastian: Stone’s Wall Street di Oliver Stone. In Dvd. E’ un film che è invecchiato molto bene. Video musicale preferito di tutti i tempi? Heartbreak: Losing you di Jan Terri. Avete una macchina? Quale? Heartbreak: A Londra non ce n’è bisogno. In quale film vi piacerebbe recitare? Ali: Perish The Thought. Sebastian: Erice’s El Espiritu de la comena (Spirit of the Beehive). Mi piacerebbe avere il ruolo di Ana. Se poteste rinascere qualcun altro, chi vorreste essere? Heartbreak: Salvatore Cusato (Casco). Avete una serie tv preferita? Ali: Prima era The Wire adesso sono presissimo da Generation Kill. Sebastian: In questo momento The Treatment. Cosa fate di solito prima di andare a dormire? Ali: Leggo. Qual è stata la prima cosa che avete pensato questa mattina una volta svegli? Ali: “Devo cambiare la sabbia del gatto”. Sebastian: “Cosa diavolo ho fatto della mia vita negli ultimi dieci anni? Ah, no, è tutto a posto. Era solo un brutto sogno… Torno a dormire.” Qualche minuto dopo mi sono alzato e sono andato a fare una passeggiata. Consigliatemi tre nuove band. Heartbreak: Gold Blood, Azari&III, i The Hasbeens. Tre band del passato? Heartbreak: Wolf, The Future e Ich. Ali, quanto è grande il tuo appartamento? La tua stanza preferita? Quanto paghi d’affitto? Ali: E’ abbastanza piccolo. Due stanze, una cucina, un bagno. La stanza che prediligo è la seconda camera da letto che ho trasformato nel mio studio. L’affitto è troppo caro. Cosa farete questa notte? Heartbreak: Scriveremo qualche brano nuovo…


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Jack Peñate Intervista di Depolique. Foto di Sean Michael Beolchini. Assistant phtgrphr: Pablo Limon Miguez

Anello debole di un improbabile trio proposto per l’occasione dalla stampa britannica - sorta di baby wave made in England post Lily Allen - composto da lui, Jamie T e Kate Nash, Jack Peñate, al tempo ventitreenne londinese di belle speranze, salta fuori dal nulla sul finire del 2007 e finisce dritto sulla copertina del NME prima ancora di debuttare. Nonostante il vento in poppa viene affondato da gran parte della critica al momento del primo compito in classe. Raramente così spietati, pure noi ci siamo accaniti su “Matinèe”, anonimo mostriciattolo tra folk e pop per minori, indispettiti anche dal fatto che con buone probabilità aveva fregato il posto a dischi più meritevoli in casa XL, etichetta che raramente sbaglia mira così tanto. E’ proprio nel cuore della label londinese che incontriamo Jack in un freddo pomeriggio di fine novembre. Dal suo sfortunato esordio sono passati poco più di due anni e un abbondante dose di ascolti del suo nuovo lp, lavoro deputato a rilanciare o ad affossare il cantastorie. Fortunatamente per noi, ma soprattutto per lui “Everything Is New”, disco prodotto in compagnia di Paul Epworth e uscito nel bel mezzo dell’estate, ha contagiato un po’ tutti con la sua febbre tropicale e le sue vibrazioni nere, come fosse il canto malinconico di un brasiliano in esilio a Londra malato di saudade. 70 PIG MAGAZINE


Come mai questo cognome? Suona decisamente esotico... Mio nonno era di origine spagnola, emigrato in Gran Bretagna. Di dove? Delle Canarie. Un isolano... E' arrivato qui è ha sposato una ragazza inglese da cui ha avuto mio padre. Ci sei mai stato? Si, da piccolo, ma è molto tempo che non ci torno Hai sempre vissuto a Londra? Si, sempre. Quando hai iniziato a fare musica? Più o meno a tredici anni. Ho iniziato a suonare la chitarra a dodici anni, ma l'idea e la voglia di scrivere qualcosa è arrivata circa un anno dopo. Soltanto quando ne avevo diciassette ho preso coscienza, se così si può dire, del fatto che si trattava di quello che volevo veramente fare nella vita. A che età hai scritto la tua prima vera canzone? A sedici anni. Dopo aver smanettato a lungo con il mio registratore quattro tracce, ho inciso qualcosa di mio e fatto sentire il risultato a un gruppo di amici. Gli è sinceramente piaciuto e per me è stata una grande soddisfazione, anche perché non ero proprio uno studente modello e ricevere questo tipo di apprezzamento in un periodo così cruciale, mi ha fatto pensare che quella poteva davvero essere la mia strada. La suoni ancora? No, ora non più. Era una canzonetta folk in falsetto in stile Nick Drake, Jack Of All Trades, è finita su qualche b-side… E' vero che Nick Drake è uno dei tuoi preferiti? Assolutamente. Ho comprato Pink Moon quando ero un teenager. Non lo conoscevo, lo presi perché mi piaceva la copertina. Quando mi trovavo in un negozio di dischi e non sapevo cosa comprare sceglievo in base alla cover. E' una cosa che faccio ancora tra l'altro… Sicuramente il migliore acquisto casuale che abbia mai fatto. Ero molto attirato dal fatto che nessuno dei miei amici lo conoscesse e la cosa non faceva che accrescere la mia passione e il mio entusiasmo. Ho anche letto diversi libri su Drake: la tragicità della sua storia mi ha colpito. Tra l'altro ho scoperto che mia madre era amica del fotografo che ha scattato le sue copertine; è stato un bel punto di contatto tra me e lei. Che cosa hai studiato?

Ho fatto studi normali e poi mi sono iscritto all'Università per un anno: Latino e Lettere Classiche. Mi piaceva anche… Ma non potevo accettare il fatto di non provare a fare il musicista. Ricordi qualche parola latina? Rosa rosae rosae rosam… Ricordo qualche declinazione, nulla più. E' sparito quasi tutto. E' incredibile come questo tipo di materia, di lingua sia così difficile da imparare e così facile da dimenticare. A chi lo dici... Ho passato un anno studiando tutti i giorni, concentrandomi al massimo, sforzandomi di imparare a memoria certe cose… E dopo appena una settimana che avevo smesso se n'è andato tutto! Invece oggi quanto tempo dedichi al giorno a suonare? Quando non sono in tour sono praticamente sempre in studio. Ne ho uno piccolo a casa. Se non suono, comunque passo gran parte del tempo ad ascoltare musica. Oggi per esempio ho altro da fare: ora sono qui con te, poi ho un concerto; ma da qui a Natale passerò molto tempo in studio. Stai registrando qualcosa di nuovo? Si, ho voglia di ricominciare a scrivere e registrare. Se tutto va bene e avrò in mano qualcosa di buono mi piacerebbe pubblicarlo per gennaio/febbraio. Non voglio fare uscire del materiale tanto per… Ma solo se si tratta di qualcosa che mi piace veramente. Lavorerai ancora con Paul (Epworth)? Si, credo, spero di si. Probabilmente metterò insieme qualche demo e poi lo porterò a lui. Cosa stai ascoltando ultimamente? Sto ascoltando tantissimo il disco di Edward Sharpe & The Magnetic Zeros. Conosci? Si, è stato uno dei nostri preferiti del 2009… E gli altri quali sono stati? The xx, Fever Ray, Phoenix… Il tuo… Hey, grazie! Prego.. Edward Sharpe l'ho scoperto un po' in ritardo, circa un mese fa, me l'ero perso. Fantastico. Hai visto il nuovo video? Kisses Over Babylon, malatissimo! Cos'altro ho comprato? Un bel po' di roba dei Fleetwood Mac. Tra l'altro ho appena visto un bel documentario su di loro... I Fleetwood targati Buckingham e Knicks immagino… Si, adoro Stevie. Ho ascoltato Sara un'infinità di volte. Ultimamente ho ricominiciato a scrivere vere e proprie canzoni.

Mentre lavoravo a Everything Is New ho dedicato parecchio tempo alla musica strumentale, adesso sto cercando di tornare a concentrarmi sulla forma canzone classica. Mi stai dando un indizio su come potrebbe suonare il prossimo album..? Forse. Non ne sono sicuro ma mi piacerebbe che fosse così. O meglio: questa volta vorrei cercare di arrivare da Paul con delle canzoni vere e proprie. Anche perché se entri in studio e non hai delle canzoni fatte e finite puoi andare avanti per una vita. Considera che in questo modo a EIN abbiamo lavorato praticamente un anno … Per il prossimo non ho intenzione di metterci tanto. I classici tre, quattro mesi mi sembrano più che sufficienti. Detto questo, quello che ho in testa non è un disco di "semplici" canzoni però, vorrei comunque cercare di mantenere, il flow e i ritmi dell'ultimo… Mi basterebbe semplicemente arrivare in studio con dei brani pronti. Cosa fai quando non suoni? Guardo molti film, vado in giro. Frequento spesso mostre e gallerie: Londra è una città perfetta per questo genere di attività. Ovviamente non perdo l'occasione per divertirmi e fare festa… C'è qualche posto particolare dove vai a far baldoria? Diciamo che facciamo molte feste a casa. Vivo insieme al ragazzo che si occupa della Merok Records, metà dei Big Pink (Milo ndr)… Quindi tendenzialmente siamo noi ad organizzare e ad invitare gente… Ultimamente però mi sto concentrando più sul lavoro… Sei emerso insieme ad altri giovani talenti britannici come Jamie T, Kate Nash… Cosa hai pensato al tempo di quell'accostamento e come lo vedi ora a distanza di due/tre anni? L'ho trovato un paragone molto pigro e svogliato. D'altra parte però non poteva che essere così. E' quello che la stampa fa di solito. Giovani songwriter londinesi che escono più o meno nello stesso periodo… Tutti nella stessa barca! E' stato uno dei motivi che mi ha spinto ad evolvermi, a differenziarmi, a cercare di fare qualcosa di diverso. A nessuno piace essere messo in un gruppo, categorizzato; sicuramente non è piaciuto nemmeno a loro: siamo tutti degli individui, a prescindere da quanto possiamo avere in comune. Per di più siamo tutti solisti, e questo dovrebbe significare che abbiamo una certa personalità. Forse però questo accostamento è anche

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dovuto alle caratteristiche del tuo primo album, no? Si, assolutamente. Quel disco mi ha rappresentato fino al momento della sua uscita, forse neanche. Racconta la mia storia di teenager. La maggior parte delle canzoni che lo compongono sono state scritte tra i miei diciassette e i diciannove anni. Ho sempre sostenuto che si trattava di un punto di partenza, non di un traguardo, di quello che avevo fatto fino a quel momento. Questo spiega anche il titolo del disco, Matinée; è la prima performance della sera, quella per i bambini… Nonostante sappia che non tornerò mai a quel punto è qualcosa di cui vado ancora fiero, rappresenta un punto di contatto con la gente. Che poi è l'obiettivo di chi fa musica. Cosa provi riascoltandolo? E' un po' come sfogliare un vecchio album di fotografie di te da piccolo in cui indossi dei vestiti orribili… (ride di gusto). E' un album "carino"; ma non ho nessuna intenzione di fare altri album "carini". No, a parte gli scherzi, ci sono dei momenti che riascoltandolo mi piace… Provo un sentimento di affetto, lo trovo davvero naif… D'altra parte sono io, non è che possa rinnegare il passato. E se non fossi passato per quel periodo non sarei quello che sono oggi. Anzi sicuramente è merito anche di quell'esperienza. Tra l'altro nonostante il gran parlare che si fece di te prima dell'uscita del tuo esordio, la stampa poi non fu certo tenera con il disco. Ho preso delle belle batoste a quel tempo dalla stampa. Mi ci sono abituato. Probabilmente è stato uno di quegli input che mi ha svegliato, che mi ha spinto ad andare avanti, a cercare qualcosa di diverso. Comunque ho imparato a non farmi troppo influenzare da quello che scrivono sul mio conto. I dischi che faccio devono piacere a me, mica ai giornalisti. Così ho detto: "che vadano a fare in c**o"… Ma la cosa divertente è che quando ho fatto il disco che volevo veramente fare… Alla stampa è piaciuto! Pensa in che situazione mi sarei trovato se avessero parlato così bene del primo… Forse mi sarei posto il problema di come comportarmi. C'è stato un momento particolare, una causa, una scintilla che ha trasformato il Jack di Matinèe in quello di Everything Is New? Ci sono stati una serie di eventi. Ho cominciato a frequentare persone nuove, ma

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soprattutto ho cambiato casa; ho lasciato quella dei miei e sono andato a vivere da solo. Non avere i miei genitori così vicini ha cambiato completamente la mia vita. Senza dimenticare l'esperienza del tour - è qualcosa che ti cresce, che ti mette di fronte a situazioni che non conoscevo - e del rapporto con una casa discografica: in pochi giorni sono passato dall'essere un ragazzino che strimpellava la chitarra a musicista. La musica è diventata il mio mestiere e la mia vita. E' stato determinante anche il fatto di ricevere attenzioni che non avevo mai avuto. Così come l'idea di essere riconosciuto e considerato per qualcosa che non mi rappresentava più non mi piaceva. Volevo che la gente mi valutasse per quello che ero veramente. E poi, cosa importantissima, mi sono innamorato… Un evento che ti cambia la vita. Quando è nata questa passione per i suoni del mondo? Penso alle sonorità nere, baleariche e tropicali presenti in Everything Is New… Sono sonorità che conosco bene da tempo: mio fratello è un grande appassionato di musica reggae, bashement, dub e di qualsiasi tipo di musica caraibica. E' un fan di Sizzla, Buju Banton, Capleton e cose del genere… Mio padre invece adora la musica africana, l'analog e il free jazz… Sono cresciuto con questa musica, sono sonorità che mi ricordano casa, la mia famiglia Quando ho incontrato Paul Epworth gli ho detto del mio desiderio di fare un disco che fosse influenzato da questi stili ma mantenesse il suo spirito britannico e pop. Lui è riuscito a farmi abbracciare queste sonorità completamente, a farmi sentire finalmente a mio agio con questi suoni. Qualche anno fa non avrei mai osato scrivere qualcosa che prevedesse un beat bashment o un ritmo in quattro quarti alla Fela Kuti. Lui è stato capace di farmi passare queste paranoie e di tirare fuori quello che avevo dentro e che continuavo a nascondere. Come vi siete incontrati? E' stato tramite il mio manager. Paul aveva prodotto Kate Nash e io probabilmente per via di ciò all'inizio ero un po' dubbioso; ma mi sono detto: "proviamo". Ci siamo incontrati per un drink e ci siamo trovati subito. Siamo andati in studio e abbiamo registrato Tonight's Today in un giorno, il primo, in sole sette ore. Il giorno dopo siamo venuti qui, alla XL, e l'abbiamo ascoltato tutti insieme. Le reazioni sono state ottime, abbiamo capito che la strada era quella giusta e ci siamo rimessi a lavorare.

In passato avevo provato a lavorare con altri produttori ma non mi ero mai trovato così bene come con Paul, non è semplice trovare un feeling del genere, ci siamo capiti immediatamente, come se fossimo amici di vecchia data. Credo che diventerà un grandissimo produttore, più di quanto già non lo sia: ha davvero talento. E come hanno reagito tuo padre e tuo fratello quando gli hai portato il nuovo album? Lo amano. A mio fratello il primo non era piaciuto, questo invece si. Per me è stato importantissimo, anche perché lui non è un tipo da "guitar music", fatta eccezione per gli Smiths e alcuni altri grandissimi. Mio padre invece ha cominciato a considerarmi come un vero musicista. Prima per lui ero semplicemente un ragazzino che strimpellava con la chitarra. Cosa per altro vera. Adesso parliamo di musica: mi chiede cosa ascolto, mi da suggerimenti su cosa comprare… E' bello vedere come un disco possa persino cambiare dei rapporti familiari. Ora però devo stare attento a non rovinare tutto sbagliando il prossimo. L'idea che il tuo disco sia stato paragonato - con le debite proporzioni - a capolavori di crossover tra mondi musicali diversi (come ad esempio Graceland di Paul Simon) cosa ti fa pensare? Beh, la trovo una cosa fantastica. Mentre registravo il disco non pensavo a cosa la gente avrebbe potuto dire o a cosa il disco sarebbe stato paragonato. Volevo semplicemente fare qualcosa che potessi amare. Questo era il mio primo pensiero. Sicuramente EIN è un album particolare, che trova un senso nel suo insieme, che ha un'identità e un'atmosfera ben definite e un'idea alla sua base; non è una semplice raccolta di canzoni. Detto questo non penso assolutamente che l'album sia vicino a dischi che hanno fatto la storia. Credo di avere fatto un buon lavoro ma penso di essere solo all'inizio; ora come ora posso solo sperare di fare un disco di quel tipo in futuro. Ho letto che avete registrato oltre venti brani per EIN, cosa farai degli outtakes? Si, abbiamo scritto e registrato tantissimo. Alla fine però ho deciso di tenere l'album il più snello ed essenziale possibile, come del resto sono buona parte dei miei dischi pop preferiti. Volevo che ogni canzone avesse un forte significato, niente riempitivi. Specialmente in un periodo come questo,


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dove la gente tende ad esagerare. Così ho deciso per nove brani, nonostante iTunes richiedesse un minimo dieci brani per album. Di quello che è rimasto fuori qualcosa è finito nella colonna sonora di un piccolo filmino che abbiamo realizzato e che si trova appunto su iTunes, brani strumentali per lo più. Poi ci sono altre due o tre canzoni che sento potrebbero servirmi prima o poi. C'è la possibilità che finiscano in un EP che se tutto va bene uscirà attorno a febbraio. Ho letto che Teardrop di Womack & Womack è un brano che per te ha significato molto… E' vero, è uno degli esempi che ho portato a Paul quando abbiamo cominciato. Volevo ricreare quell'atmosfera malinconica, uno stato che però ti fa venire voglia di ballare. Come se volessi ballare e piangere allo stesso tempo. Ti consideri una persona allegra? Più o meno. No, non proprio. Penso che nessuno lo sia veramente. Sicuramente aspiro ad essere felice, ma non è sempre così. Non saprei... Torniamo a qualcosa di più allegro: con un album così estivo… Dove sei stato in vacanza? In Costa Rica, l'anno scorso di questi tempi, per l'ultimo dell'anno. Mi sono fermato lì un mese prendendomi una pausa dalle registrazioni, eravamo arrivati più o meno a metà dell'opera. E' stato un modo anche per staccarmi da quello che stavo facendo e vederlo tutto in maniera più oggettiva; per testare la mia musica, per vedere come suonava, in un posto tra l'altro la cui musica mi aveva influenzato direttamente: i Caraibi. Riascoltarla in quello scenario tropicale mi ha fatto capire che il lavoro stava dando i suoi frutti. Il testo della title track l'ho scritto proprio mentre ero in Costa Rica. A proposito di spiagge, chi ha fatto il From The Beach Remix di Pull My Heart Away? E' il mio preferito. E' di Paul. L'ha fatto mentre si trovava in Nigeria per registrare non so cosa. Avevamo bisogno di un remix… E lui se n’è uscito con quello. E il tuo preferito invece tra i remix fatti per i brani di Everyting Is New qual è? Quello che ho ascoltato di più è sicuramente il remi di Jamie xx di Pull My Heart Away. In rete poi c'è questo bootleg di Theopilus London, un rapper inglese, che l'ha remixato a sua volta. Quella versione è la mia preferita: riesce a far convivere ottimamente tre persone con stili totalmente diversi in un'unica canzone.

Ti piacciono gli xx? Li adoro. Sono stati in tour con me per un certo periodo dopo l'uscita dell'album. Sono anche dei ragazzi adorabili. Siamo cresciuti più o meno nella stessa parte di Londra. Andavano a scuola a due minuti dalla mia. Considerando che molto probabilmente lavorerai ancora con Paul Epworth per il prossimo disco, potendo fantasticare dove ti piacerebbe registrarlo e con chi? Con David Byrne. E' un modello, un artista che stimo tantissimo, che ha fatto una carriera che chiunque aspirerebbe a ripercorrere. Uno che ha fatto delle cose talmente particolari e al tempo stesso è riuscito a farsi apprezzare da tantissime persone. Dev'essere anche uno con cui ci si diverte non poco. Con David Byrne in … Mi piacerebbe registrare in un posto sperduto… Tipo... Sono stato in Giordania poco tempo fa, nel deserto, un posto assurdo… Si, mi piacerebbe farlo in un paese del Medio Oriente… A Tel Aviv, in Israele… Non ci sono mai stato, ma ho un cugino che ha vissuto a Gerusalemme e mi ha detto che si tratta di un posto incredibile, magico, così carico di storia… Con David Byrne in Israele… Sarebbe un "viaggio" mica male… Senti ma nel deserto in Giordania come ci sei finito? Ci sono andato in vacanza, poco tempo fa, con la mia fidanzata, un amico e una ragazza che lavora qui alla XL. Abbiamo comprato dei voli su internet a duecento sterline e siamo partiti la mattina dopo. Ci siamo fermati quattro giorni, siamo stati nel deserto, al tempio di Petra… Uno dei posti più belli che abbia mai visto in vita mia. Abbiamo guidato per ore in mezzo al deserto senza incontrare nessuno. Nel bel mezzo del nulla. Ogni tanto dei cartelli che indicavano Iraq a destra, Israele a sinistra… E aerei che ti sfrecciavano sopra la testa. Ci rendevamo conto di quello che stava succedendo nei paesi lì attorno, ma eravamo al sicuro. A un certo punto abbiamo visto un convoglio di camion americani che si dirigevano in Iraq, poi una specie di pick up con dei ragazzi a bordo che inseguivano un cammello sparandogli con un mitragliatore. E noi: "cosa diavolo sta succedendo??!!" Come artista come vivi il rapporto con i nuovi media? Myspace, Facebook, Twitter… Sono cose che in verità non mi divertano un granché. Però ne riconosco l'importanza, specialmente oggigiorno, così mi sono sforzato un po' di abbracciarle.

Ho in mente la figura del musicista, del cantautore, come qualcosa di più ideale, romantico… Certo è che le cose sono cambiate, anche solo rispetto a dieci anni fa. Oggi i fan, il pubblico vuole sapere tutto di te: dove sei, con chi sei, cosa fai… Oramai per un artista è difficile sopravvivere con i guadagni provenienti dalla vendita dei dischi; prevalentemente sono i live che danno da mangiare… ...Vero… …Preferiresti prestare la tua musica ad uno spot, fare una collaborazione con un brand o suonare durante un evento commerciale (una sfilata, l'apertura di un negozio)? Non saprei proprio. Mi sono state fatte diverse proposte di questo tipo e ho sempre rifiutato. In alcuni casi anche da parte di grandi corporation… Alla fine credo che l’unica cosa che conta sia che si tratti di qualcosa che rispetti e che ti piaccia, non il denaro. Non faccio quello che faccio per i soldi, non che mi dispiacciano, ma vorrei guadagnarli vendendo i dischi. C'è ancora qualcuno che ci riesce. Credo che gli artisti più grandi siano anche i più veri, quelli che hanno sempre evitato di scendere a compromessi. Quelli sono il mio modello. Cosa direbbero i miei fans se dovessero sentire una mia canzone come colonna sonora di uno spot della Pepsi?? Non vorrei mai perdere per strada qualcuno per una cosa del genere. Sei mai venuto a suonare in Italia? No, avrei dovuto venirci in questo periodo ma sto registrando. Però voglio venire assolutamente, anche perché mio cugino vive a Roma. Fa l'artista, vive lì da più di un anno ormai, ha ricevuto una specie di borsa di studio dall'Università. Per conto mio sono stato a Firenze due volte, una a Venezia… L'estate scorsa ho portato la mia ragazza in vacanza sulla Costiera Amalfitana. Mi sembrava di essere negli anni '50: ombrelloni, occhiali scuri, gentiluomini con il sigaro… Sembrava un film di Fellini. Poi dopo siamo stati a Pompei. Fantastico. Va bene, per me è tutto. Hai qualche messaggio per il tuo collega Dev (Lightspeed Champion)? Sto andando a intervistare anche lui... Oh Wow! E' a Londra? Salutamelo e digli che non vedo l'ora di sentire il suo nuovo disco. E' una persona bellissima Dev, una di quelle che ti fa sempre piacere incrociare… E a Londra, ti assicuro, ce ne sono un sacco che preferiresti evitare...

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Local Natives Intervista di Marco Lombardo. Foto di Paul Herbst.

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I Local Natives sono originari di Orange County ma vivono a Los Angeles. Cinque ventenni che, una volta terminato il college, decidono di tentare il tutto per tutto e realizzare il sogno di una vita: registrare un disco. Vanno a vivere insieme e per un paio di mesi si dedicano soltanto alla musica. Scrivono undici canzoni, coverizzano i Talking Heads e partecipano al South By Southwest, il più importante festival di musica indipendente del mondo. E’ la svolta. Il pubblico li adora, la stampa inglese li nota e dopo qualche settimana firmano un contratto con la Infectious di Korda Marshall, discografico d’esperienza in libera uscita dal cartello delle multinazionali. Lo scorso novembre pubblicano per l’ etichetta indie britannica “Gorilla Manor”,, l’ album d’esordio, e attirano così l’attenzione della Frenchkiss, label che a Febbraio li distribuirà negli States. Proprio in quei i giorni i Local Natives saranno a Milano per la loro prima, imperdibile, data italiana. Come ingannare meglio l’attesa se non con un’intervista a Taylor Rice, uno dei fondatori della band californiana?

Ciao Taylor, dove ti trovi al momento? Portland in Oregon. Siamo alla fine del tour americano, manca solo la data di questa sera. Ieri abbiamo festeggiato con le band che erano in tournée con noi, tutte di Los Angeles: gli Edward Sharpe and The Magnetic Zeros e i Fool’s Gold. Siamo andati avanti sino all’alba. Più tardi, dopo il concerto, partiranno per l’Inghilterra. Era l’ultima notte disponibile per sbronzarci tutti insieme. (Ride) Da quanto tempo esistono i Local Natives? Abbiamo deciso di chiamarci così circa un anno e mezzo fa ma suoniamo insieme da molto più tempo. Kelcey, Ryan ed io ci siamo conosciuti al college. All’inizio, nove anni fa, eravamo solo io e Ryan poi si è aggiunto Kelcey. Matt, il batterista, e Andy, il bassista, sono nel gruppo da tre anni, li abbiamo incontrati nel sud della California. Siamo una band rodata anche se i primi

Io, Kelcey e Ryan siamo originari di Orange County, che dista circa un’ora e mezza di macchina da L.A. Matt viene da una piccola città del nord della California e Andy è del Colorado, ma si è trasferito ad Orange per il college. La casa dove abbiamo vissuto tutti insieme e registrato il disco è ad Orange County, poi ci siamo spostati a Los Angeles, dove viviamo da un anno. Perché avete deciso di trasferirvi a Los Angeles? Prima di tutto è la metropoli geograficamente più vicina a noi. La conoscevamo già, ci andavamo spesso, alcuni di noi ci lavoravano. Terminate le registrazioni del disco, avvenute in completo isolamento dal mondo esterno, era giunto il momento di promuoverlo. Quale posto migliore per farlo se non Los Angeles? In quale parte di L.A vivete? Viviamo a Silverlake. E’ un quartiere a est

Quanto pagate di affitto? Per gli standard di Los Angeles è molto economico: 2400 dollari. Alcuni nostri amici pagano anche 1000 dollari al mese per condividere una stanza. E’ la soluzione ideale per noi, considerando che siamo quasi sempre in tour. Come vi guadagnavate da vivere prima di lanciarvi nell’avventura Local Natives? Io ero uno studente ma per un breve periodo ho fatto un lavoro assurdo: vendevo costosi elettrodomestici per casalinghe benestanti. Fare il rappresentate era la cosa più lontana da me che potessi immaginare però le commissioni sulle vendite erano altissime e non avevo orari fissi, proprio quello che stavo cercando. Con un paio di vendite sopravvivevo un mese intero. Mi restava un sacco di tempo per suonare. Anche gli altri ragazzi studiavano e si arrangiavano facendo qualche lavoretto qua e là. Quanti anni avete?

passi ufficiali risalgono soltanto alla fine del 2008. Prima di Local Natives vi chiamavate Cavil At Rest, confermi? Vero. Tutto è cambiato una volta presa la decisione di registrare un album. E’ stato un momento di svolta. Prima eravamo presi dagli studi o dal lavoro poi abbiamo deciso di fare sul serio. Ci siamo trasferiti in una casa tutti insieme - che abbiamo soprannominato Gorilla Manor, da qui il titolo del disco- e per mesi abbiamo pensato solo a suonare. A quel punto la band è diventata la priorità nelle nostre vite e abbiamo sentito l’esigenza di cambiare nome, per sottolineare il passaggio ad una nuova fase. Dove siete cresciuti? Non siete di Los Angeles…

del centro. E’ il luogo perfetto per noi. Tutto il vicinato è composto principalmente di artisti e creativi. Si respira una splendida atmosfera, molto diversa dalla Los Angeles più tradizionale, quella di Hollywood per intenderci, nella parte a ovest della città. Quanto è grande la casa in cui vivete? E’ una villa abbastanza spaziosa ma soprattutto molto economica. Abbiamo quattro stanze da letto, due bagni, un ingresso e una cucina. La proprietaria è convinta che ci vivano solo quattro persone (risate)… Ma non è così: siamo in sei. Noi cinque più la fidanzata di Andy. Io e Kelcey dividiamo una camera. Niente di lussuoso, anzi stiamo abbastanza stretti, ma ti assicuro che ci divertiamo un casino. Siamo stati fortunati a trovare quel posto.

Io e Matt abbiamo ventiquattro anni, Kelcey e Ryan ventitrè, Matt ventisette. Siete una delle band più chiacchierate del momento, la classica “Next Big Thing”. Cosa avete fatto per arrivare a questo punto? In realtà ci siamo limitati a registrare il nostro album. Mi piace pensare che la musica parli da sola e che questa sia bastata a far girare il nostro nome. Un punto di svolta è stato il South By Southwest, grazie al quale abbiamo capito che le cose stavano davvero ingranando. Allora non avevamo ne un manager ne un’agenzia di booking, e nessuna etichetta si era ancora fatta avanti. Durante quel festival abbiamo suonato nove show. Pian piano la gente si faceva più numerosa. Alla fine siamo stati costretti ad aggiungere

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voriamo tutti insieme alla stesura dei brani. Ogni canzone è il frutto di cinque menti diverse che si influenzano a vicenda. Questo processo ha reso il disco un calderone di punti di vista e prospettive. Nello specifico ti posso parlare di una delle canzoni più significative che ho scritto: Camera Talk. Wow. Certo! E’ la mia preferita del disco… Davvero? Sono contento… L’ho scritta durante il viaggio in Europa, subito dopo il college. Può sembrare un po’ cheesy ma quel brano non è altro che una dichiarazione di felicità. Ero in un continente nuovo, avevo incontrato la mia sorellastra per la prima volta, viaggiavo tra la Spagna e Parigi. I miei occhi erano bombardati di bellezza e novità. Mi sentivo finalmente in pace con me stesso. Quali sono gli artisti che vi hanno maggiormente influenzato?

un concerto non in programma. Risultato? Folla entusiasta. Tutto grazie al passaparola. Siamo tornati dal South By Southwest con un’ottima stampa da parte dei giornali britannici e nel giro di qualche giorno abbiamo pianificato un tour esplorativo in Europa, grazie al quale abbiamo poi firmato un contratto con la nostra attuale etichetta inglese. I Local Native sono soprattutto una band live. Suonare in giro per il mondo è il nostro obiettivo. Non vedo l’ora di vedervi dal vivo qui a Milano l’8 Febbraio… Anche noi siamo impazienti di venire di nuovo in Europa… Subito dopo aver finito il college ho fatto un viaggio con mia nonna qualche anno fa. Lei vive in Spagna e abbiamo girato l’Italia per circa un mese. Un’ esperienza fantastica. E’ stato stupendo: i

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posti, il mare, l’architettura, il cibo, le donne ovviamente (ride). Abbiamo visitato Roma, Firenze, Venezia , Napoli. Purtroppo non sono passato da Milano. Mi rifarò questa volta. Durante quella vacanza hai avuto qualche “Italian Affair”? No (ride di gusto). Tornando al gruppo, qual è lo stato d’animo che vi rende più creativi? Le sonorità dell’album sono molto eterogenee, come avrai avuto modo di ascoltare. Passiamo attraverso mood e stati d’animo differenti. E’ importante per i Local Natives riuscire a coprire una palette emozionale più ampia possibile, in modo da riflettere la complessità dei vari componenti. Senza focalizzarsi univocamente su un tipo di sfumatura. La-

Anche in questo caso le risposte sono molteplici. Siamo in cinque, ognuno con una sua storia musicale alle spalle. Dovresti parlare con tutti singolarmente... E’ una questione che ci siamo posti prima di registrare il disco. La principale passione che abbiamo in comune sono le armonie vocali di gruppi come Crosby, Still e Nash e gli Zombies. In secondo luogo l’interesse verso una forma ritmica inusuale, molto percussiva, che richiama i Talking Heads e, più di recente, gli Animal Collective. Il nostro tastierista è anche un ottimo batterista: era inevitabile che i Local Natives avessero un’importante anima ritmica... Personalmente adoro le orchestrazioni, le melodie maestose e di conseguenza amo artisti come Andrew Bird e Sufjan Stevens. Siete stati paragonati ai Fleet Foxes e ai Grizzly Bear. Trovo che ci sia anche qualcosa dei Radiohead nella vostra musica. Sei d’accordo? E’ un onore essere paragonati a queste band. Siamo grandi fan dei Radiohead. E’ uno dei nomi che mette d’accordo tutti all’interno del gruppo. Soprattutto quando siamo sul tour bus, in viaggio tra una città e l’altra. Di solito chi guida, a rotazione, sceglie la musica. Con i Radiohead si va sempre sul sicuro. Per Fleet Foxes e Grizzly Bear la questione è diversa. Ci piacciono e riconosciamo di avere molti punti in comune ma non sono mai stati un’influenza diretta, a dispetto di ciò che può sembrare. Abbiamo scritto i nostri brani prima di averli scoperti. Le similitudini vengono probabilmente da ascolti e sensibilità molto simili. Per quale canzone vorresti essere ricor-


dato? Difficile rispondere. Non siamo una band prolifica. Non abbiamo molte b-side da parte. Ogni canzone finita sull’album è il frutto di mesi di lavoro. Ogni brano viene sviscerato finché non è considerato perfetto. E’ un processo lungo e puntiglioso. Sono ugualmente soddisfatto di ognuno di essi. Perché avete deciso di pubblicare Gorilla Manor, il vostro album d’esordio, in Inghilterra ben quattro mesi prima rispetto alla data di uscita negli Stati Uniti, fissata il 16 Febbraio? I responsi in Inghilterra sono stati sorprendenti, a partire dal South By Southwest. La Infectious si è offerta di promuovere subito il nostro album nel Regno Unito, mentre negli States non avevamo ancora un contratto. Non ci siamo fatti sfuggire l’occasione. La scena musicale inglese è molto più compatta, agile, anche geograficamente. Pubblicare in Uk è stato troppo allettante . Eravamo consapevoli che ci avrebbe aiutato, di riflesso, a trovare una label anche negli Usa. Infatti poche settimane dopo abbiamo firmato un contratto con la Frenchkiss. Qual è la tua band preferita su Frenchkiss? Se la giocano Dodos e The Antlers. Cosa stai ascoltando al momento? Ho appena scoperto un ragazzo fenomenale che viene dal Canada, il suo nome è Patrick Watson: voce conturbante, ottimo musicista, oscuro, profondo. Un talento insomma. Stiamo anche consumando il nuovo disco dei Beach House, strepitoso. I tuoi tre dischi preferiti del 2009? Noble Beast di Andrew Bird, che è in assoluto uno dei miei artisti preferiti. Actor di St. Vincent, adoro le sue canzoni, il tono della sua voce, e Veckatimest dei Grizzly Bear, un classico dei nostri giorni. Cosa pensano i tuoi genitori della musica dei Local Natives? Mio padre e mia madre sono nostri grandi fan. Mi hanno sempre appoggiato, lasciandomi la tranquillità di sbagliare. Non mi hanno mai ostacolato. La stessa cosa vale per gli altri componenti della band. Siamo stati fortunati. I genitori non sempre sono comprensivi nei confronti dei figli che sognano di diventare musicisti. Questo primo scampolo di successo è un modo per ripagarli della fiducia e del supporto che ci hanno dimostrato. Quando è stata l’ultima volta che li hai sentiti al telefono? Di cosa avete parlato? Ieri sera, prima del concerto. La mia è la più

classica delle madri: mi chiede sempre se ho mangiato, se ho l’assicurazione sanitaria scaduta, mi dice di non bere troppo, di dormire. C’è qualche band che ha cambiato la tua vita? I Radiohead di sicuro sono una di queste, Ok Computer in particolare. Mi ha fatto capire quanto la musica possa essere profonda e complessa. Ascoltare quel disco è stato uno shock emozionale. Di quale gruppo di musica elettronica ti piacerebbe fare parte? (Ride divertito). Non seguo molto quella scena. Anzi devo ammettere di essere piuttosto ignorante. Fra tutti direi gli Air. Hanno composto la musica di un balletto avantgarde per la scuola che frequentavo. Ne rimasi davvero affascinato. Una performance

magnifica. Se fossi un animale, quale sceglieresti? Il teridactor. Vale? Che cos’è? E’ l’animale perfetto. Metà dinosauro, metà uccello. Ovviamente vorrei essere in grado di volare ma anche di andarmene in giro sulla terra con la mia stazza imponente. La persona che più ti piacerebbe intervistare, non necessariamente appartenente al music business? Andrew Bird. Vorrei scoprire che tipo di persona è. Se è un genio solitario e stravagante oppure affabile e socievole. Non l’ho mai incontrato e spero di farlo presto. Sarei curioso di capire quale mente geniale è in grado di scrivere canzoni così straordinarie. Cosa vi spaventa di più come gruppo? Venire etichettati come “hype band” per

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poi essere gettati nel dimenticatoio un secondo dopo. Allo stesso tempo temiamo che i paragoni con Fleet Foxes e Grizzly Bear, ripeto comprensibili, ci danneggino, facendoci erroneamente passare agli occhi del pubblico come dei cloni. Mi spaventa

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l’idea che la gente non arrivi neanche ad ascoltare il disco per via di eventuali pregiudizi, che ci giudichi solo per ciò che ha letto, senza aver mai sentito una nostra canzone. Cosa ti spaventa di piĂš come persona? Non poter fare musica, qualunque siano le

ragioni. Sarebbe una cosa orrenda, molto deprimente. Sei religioso? Non credo sia la parola giusta. Mi definirei una persona spirituale. Se potessi rinascere donna chi ti piacereb-


be essere? Sicuramente Bjork. E’ una delle mie artiste preferite di sempre. Amo la sua voce, il suo modo di parlare e di stare sul palco, quella teatralità unica e irripetibile. Sarebbe una rivelazione poter vivere quel tipo di geniali-

tà per qualche ora. Se potessi viaggiare indietro nel tempo, in quale periodo storico ti piacerebbe vivere? Perché indietro? Io vorrei viaggiare avanti nel tempo! Se però devo proprio scegliere allora preferire vivere nel periodo Cretaceo, per sfruttare davvero le mie ali da teridactor (ride divertito). Cosa fai di solito prima di andare a dormire? Telefono alla mia ragazza, altrimenti mi bevo una bottiglia di birra e poi collasso. Dipende dal tipo di serata, se suoniamo o meno, dove mi trovo. In questo periodo l’ultima cosa che ricordo è l’arrivo in un nuovo albergo, completamente esausto, il desiderio irrefrenabile di appoggiare la testa sul materasso e chiudere gli occhi. Qual è stata la prima cosa che hai pensato questa mattina quando ti sei svegliato?

Grazie a dio no! (Esplode a ridere). Non abbiamo mai condiviso interessi comuni quando si tratta di ragazze… Credo sia tra le cose peggiori che possa capitare ad un gruppo di amici. Siamo quasi tutti fidanzati. Per ora questo problema non esiste. Su quale pianeta del sistema solare ti piacerebbe vivere? Non ne ho la più pallida idea (ride)… Dico Giove. E’ il nome dell’Hotel dove dormiremo stanotte. Nella vostra lista dei “Top friends” di Myspace, tranne i Wild Beasts, ci sono solo band che vengono da Los Angeles: The Union Line, The Outline, Voxhaul Broadcast, Aushua, Pepper Rabbit. Esiste una nuova scena musicale tutta losangelina? Non credo si tratti di una vera e propria scena. Più che altro siamo tutti amici. Ci frequentiamo. E’ un momento magico in effetti per L.A. L’atmosfera è davvero elet-

“Tra due giorni rivedrò la mia fidanzata”… Troppo romantica come risposta? Farò brutta figura? Però è la verità! Voi italiani capite questo genere di cose… No? Non siete molto passionali? Qual è la tua serie tv preferita? Odio la televisione, il più delle volte si tratta solo di spazzatura commerciale. Ultimamente però il livello delle serie si è alzato vertiginosamente. Sono un vero tocca sana per i musicisti impegnati in lunghi tour. Ti tengono compagnia come niente altro. Nella band siamo tutti grandissimi fan di Lost. Non appena esce un nuovo episodio ci troviamo e lo guardiamo insieme. Io poi adoro 30 Rock. Come ti immagini tra dieci anni? In tour con i Local Natives. Questa band è veramente la cosa a cui teniamo di più in assoluto. Suonare è la nostra vita. In tre parole, descrivimi come ti senti in questo momento. Fortunato, affamato (stiamo per andare a pranzo), e un po’ sofferente per la sbornia di ieri sera. Ci abbiamo dato dentro parecchio per festeggiare la fine del tour. Conosci qualche artista o regista italiano? Qui ci vorrebbe Kelcey, è lui l’esperto di cinema tra di noi. Sono sicuro che saprebbe risponderti. Io invece sono pessimo. Onestamente? Mi sa che non conosco nessuno a parte i Blonde Redhead, ma loro sono americani ormai. Mi spiace davvero. Non mi viene in mente nulla. Il tuo regista preferito? Tutti adoriamo i Coen, Fargo in particolare, e siamo grandi fan di Tarantino. Avete mai litigato per una ragazza?

trica, la creatività si respira nell’aria. Anche se musicalmente poi ogni gruppo ha le sue specificità. Prima di trasferirci temevamo di rimanere esclusi, di non riuscire ad integraci. Invece siamo subito stati accolti benissimo. Sia dal pubblico che dalle altre band. Abbiamo già suonato parecchi show in città, erano tutti affollatissimi. Adoriamo Los Angeles, ci sentiamo a casa nostra ormai. In quale band del passato ti piacerebbe suonare? I Beach Boys. Senza ombra di dubbio. La loro musica per me evoca splendidi ricordi legati all’infanzia. Sono probabilmente il primo gruppo che ho amato in maniera consapevole da bambino. I miei genitori li ascoltavano sempre in macchina. Adoravo quei viaggi… Ovviamente poi vorrei far parte dei Beatles. Quando siamo stati in Inghilterra non sono riuscito a trattenermi: una delle prime cose che ho fatto è visitare il loro museo. Ero felicissimo, anche se mi sono sentito il turista medio americano. Il tuo disco hip-hop preferito? Come per l’elettronica anche nel campo dell’hip-hop mi trovi del tutto impreparato. Ryan è l’unico di noi che a volte ascolta quel genere di cose. Ne capisco poco, ma quando passa Jay-Z alla radio lo ascolto volentieri. Grazie mille Taylor, ti lascio andare a mangiare. Grazie a te Marco, mi sono divertito. Spero di vederti a Milano l’8 Febbraio… Puoi contarci. Come potrei perdermi il primo concerto italiano di uno dei miei gruppi preferiti del momento?

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Sophie

Camicietta vintage, gonna SEE BY CHLOE, cintura FORNARINA

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Photographer: PIOTR NIEPSUJ Styling: ILARIA NORSA Assnt Styling: FABIANA FIEROTTI Hair & Make Up: SARA at orea malia’ Photo crew: LUCA CAMPRI Model: SOPHIE CHABOT at Fashion Special thanks: Trattoria ARLATI via Alberto Nota 47, Milano


Vestito STINE GOYA, foulard e collana vintage, occhiali DIESEL

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Vestito MODERN AMUSEMENT, foulard KRIZIA vintage, guanti MISSONI

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Gilet vintage ROMEO GIGLI, camicia SURFACE TO AIR, jeans LEVI’S

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Pochette YVES SAINT LAURENT, occhiali DIESEL, cappello BORSALINO

Vestito vintage CHLOE, foulard SESSUN

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Camicia SESSUN, gonna SEE BY CHLOE

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Camicia vintage YVES SAINT LAURENT, pochette YVES SAINT LAURENT, pantaloni DIESEL

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Tailleur SEE BY CHLOE, camicia vintage, foulard vintage KRIZIA, cappello BORSALINO, borsa YVES SAINT LAURENT, scarpe SALVATORE FERRAGAMO

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Camicia vintage GIANNI VERSACE, Gonna SERGIO ZAMBON


Andreea & Elysa Photographer: LADY TARIN Styling: ILARIA NORSA Assnt Styling: FABIANA FIEROTTI Hair & Make Up: EZIO DIAFERIA @ Victoria’s Models: ELYSA SYS at Beatrice Models ANDREEA STANCU at Women

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Body LA PERLA, pantaloni PLEASE PLEASE

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Maglione SURFACE TO AIR

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Giacca Stine Goya, tutina (sotto) Miss Sixty, cintura stylists own

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Intimo la perla, occhiali SUPER

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Culottes M MISSONI, bracciale VALENTINO GARAVANI

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Cardigan M MISSONI, top VALENTINO, pantaloni ANDREA SAGRINI, cinturta vintage VERSACE, occhiali vintage CHRISTIAN DIOR

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Foulard Yves Saint Laurent

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Mutande INTIMISSIMI, collana stylist own

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Vestito M MISSONI, collana VALENTINO GARAVANI, scarpe CHRISTIAN LOUBOUTIN

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Maglione M MISSONI

102 PIG MAGAZINE


Body AMERICAN APPAREL, pantaloni SANDRINA FASOLI, cintura stylists own

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Pantaloni NORMALUISA

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Camicietta SANDRINA FASOLI, pantaloni STINE GOYA, cintura stylists own

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Piglist:

Extralarge questo mese ad opera di John Talabot, produttore e DJ di Barcellona, già apprezzato per i suoi due EP e remix tra cui quello per Zwicker. In tiepida attesa di quello per gli xx e del suo nuovo 12” ecco alcuni suggerimenti.

Neon - Skydiver Un incrocio tra italo disco e surf. In alcuni paesi è uscito come Ben Richardson - Skydiver. Pional - In Another Room (Reduxed Version) L'ultima uscita della Hivern: stupefacente. Tenete d'occhio questo ragazzo, pubblicherà cose davvero interessanti quest'anno. Burial & FourTet - Moth Uno dei pezzi dell'anno. Pelle d'oca. Iz&Diz - Mouth (Brad Peep's Remix For Friends) Prodotto da Pepe Bradock, mi piace questo lato freak della house. E questo remix è amabile. Aphex Twin - Ageispolis Da Selected Ambient Works. Ero solito andare a letto con questo disco, ma è talmente incredibile che non riuscivo ad addormentarmi pensando ai suoni. E' lì che ho deciso di dormire senza musica. Nolan Porter - If I Could Only Be Sure La mia anima suol. Questa l'ho scoperta durante un viaggio in van con i Delorean. Vainica Doble - Eso No Lo Manda Nadie Una delle migliori band spagnole degli anni '70, composta da due ragazze. Amo così tanto questo brano che ne ho fatto un edit da suonare alle feste. Non è che per caso DJ Shadow ha usato un sample dell'inizio? Kenny Dixon Jr. - Beautiful Sky Questo è stato pubblicato come black label senza menzionare il fatto che fosse di Moodymann, anche io l'ho scoperto dopo. Amo la cassa fatta con i passi. Sapore vagamente R&B. Floating Points - Vaccum Boogie La nuova era della house. Noel Williams - Music Street Misconosciuto hit dell'84 firmato dal boss della Tashamba & Konduko. Più tardi avrebbe prodotto Milli Vanilli. Plastikman - Ethnik Techno? Percussioni e bassline acida: è tutto quello di cui ho bisogno. Washed Out - Hold Out Questo ragazzo è la scoperta dell'anno. Di lui conosco sola la musica, ma non ho bisogno di altro. La adoro.

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Musica Album del mese

Di Depolique e Marco Lombardo.

Holly Miranda - The Magician’s Private Library (XL) Vista in tour con The xx Holly Miranda, giovane cantautrice di Detroit, non ci aveva convinto del tutto, coraggiosa e nuda al tempo stesso, in versione voce e chitarra, con solo l’amico Tim a supporto. Raramente però la XL sbaglia un disco e TMPL, prodotto da David Sitek - tra i migliori in circolazione (YYY’s, Liars, Foals e Telepathe e i suoi Tv On The Radio) - ne è la conferma. Con un manipolo di uomini scelti (spiccano l’immancabile sax di Stuart Bogie degli Antibalas e Tunde Adebimpe, richiestissima voce dei TVOTR, protagonista di un meraviglioso duetto con la nostra in Slow Burn Treason, vera perla dell’LP) Sitek sciacqua i brani di Holly in un liquido elettrico e li lascia lì ad asciugare. La reazione è frizzante e luminosa e da’ ai pezzi un sapore etereo, un mood retrofuturista, trasformandolI in soffici ballate, leggere come bolle di sapone pronte a librarsi nell’aria: la morte della Miranda. E se dal vivo sembrava miagolare à la Feist qui sboccia, come una Cat Power alticcia persa in una giungla di xilofoni o una Fiona Apple meno rabbiosa a spasso al chiaro di luna (Waves). Quali migliori compagne per una passeggiata nella notte? D.

Yeasayer - Odd Blood (Mute) Tornano gli Yeasayer, l’imprevedibile gruppo di Williamsburg (NY) che ci ha sorpreso nel 2007 con All Hour Cymbals, miracoloso pastiche pop in salsa world-progaor. In Odd Blood queste strane creature onnivore si presentano ancora una volta in stato di grazia, rimescolando però le carte come croupier impazziti. Il tavolo da gioco è infatti un bazar colorato di mazzi di ogni genere. Il disco si apre con un numero che ricorda Kid A e le escursioni vocali di Karin Dreijer (The Children). Prosegue in totale “Peter Gabriel mood” con il singolo Ambling Alp, per poi incantarci con Madder Red, splendida ballata alla Toto. Non mancano le pause in cui i nostri eroi danno libero sfogo agli impulsi più sperimentali (I Remember, Love me Girl), ed ecco che si lanciano di nuovo in perle apocalittiche, dove immaginano Prince a braccetto con gli Animal Collective (One) o gli Outkast alle prese con un funk millenarista e retrofuturibile (Mondegreen, Rome). Irriverenti e geniali. E’ arrivata la fine del mondo? M.L.

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Musica Album del mese

Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa.

These New Puritans - Hidden (Domino)

Vampire Weekend - Contra(XL Recordings)

Hot Chip - One Life Stand (Parlophone)

Tra le novità Made In England più attese di

Meglio dirlo subito: i Vampire Weekend ci sono

Abbiamo solo una vita a disposizione. E’ que-

questo 2010, il ritorno dei TNPS non delude

riusciti. Non hanno deluso le attese, confer-

sto il concetto, semplice ed efficace, che il

le aspettative.Si riparte dai momenti più elet-

mando le intuizioni del fulminante disco d’esor-

titolo del quarto disco degli Hot Chip sembra

tronici di Beat Pyramid per arrivare a un sound

dio. In Contra allargano addirittura la palette

volerci suggerire. Troppo breve per sprecarla

tetro, solenne e nervoso. Le chitarre sono quasi

espressiva, mostrandosi un gruppo maturo,

a scrivere dischi interlocutori. One Life Stand è

un ricordo lontano, sostituite da synth, organi,

grazie agli inserti elettronici figli di Discovery, il

l’ennesimo gioiello nella luccicante discografia

archi e fiati, a contorno di una sezione ritmica

piacevole divertissement, datato estate 2009,

del gruppo inglese. Il diamante dalla caratura

protagonista, prepotente, ossessiva e tribale.

del tastierista Rostam Batmanglij. Le ritmiche

più alta, se possible, in una collezione dal va-

I quattro di Southend-on-Sea, guidati dalla

caraibiche sono trascinanti come sempre ma

lore quasi inestimabile. Perfettamente in bilico

mente illuminata di Jack Barnett si rimettono in

s’innestano su brani con strutture più ricercate,

tra pulsioni dancefloor e rifiniture melodiche

marcia, avanti a passo d’oca come robot senza

senza perdere d’immediatezza. Dove la fa da

d’autore. Immediato, appiccicoso, il più elet-

anima alle prese con i canti propiziatori e le

padrone Ezra Koening, giovane Paul Simon

tronico della loro carriera. Bollente! Maneggia-

preghiere, a chissà quale divinità, che prece-

scalzo e in efedrina. M.L.

re con cura. M.L.

Lightspeed Champion - Life Is Sweet! Nice To

Danton Eeprom - Yes Is More (InFiné)

Toro Y Moi - Causers of this (Carpark)

Meet You (Rough Trade)

Julian Brambilla è un esuberante londoner

Dopo Washed Out, Memory Tapes e Neon In-

Icona indie, fumettista, scrittore, tenutario di

francese che ha remixato Simian Mobile Disco,

dian, si chiude il poker d’assi di un nuovo sotto

un blog con i peggiori film secondo IMDB e di

Little Boots, Lykke Li, Royksopp. Accostato a

genere tutto Made In USA, ancora da definire:

un sito personale che tiene testa a tutto, a soli

Tiga per lo stile eclettico e sexy con cui muove

l’Hypnagogic pop/Glo-fi/Chillwave. Melodie

24 anni Dev è principalmente un talentuoso

i suoni, questo electro-dandy ama sia il croo-

sfocate, rigorosamente appoggiate su un mor-

songwriter. Partito come Test Icicles con un

ning glam (Thanks For Nothing) sia la techno

bido divano elettronico, ripreso in super 8. So-

piede nel metal, si ritrova oggi con lo stesso

minimale (Confessions Of An English Opium

spiri lo-fi che sanno d’estate e adolescenze in-

nella classica e l’altro che segue gli umori della

Eater) con cui inumidisce la parte centrale di

trappolate in polaroid d’annata. Vecchi nastroni

sua iperattività. Il nuovo lp è lo specchio di

YIM, velato invece da atmosfere più fragili ne-

di musica New Wave, compact disc dei Boards

entrambe: chitarre e tastiere, archi, timpani,

gli ultimi tre pezzi. Tra le curiosità, un’ambigua

of Canada e della Warp, mp3 di Panda Bear e

fiati e ukulele; dal folk a là Johnny Cash ad

traccia scritta con Chloe e una rivisitazione pop

Animal Collective. Il tutto suonato indossando

ampie movenze teatrali. Alla lunga potrebbe

dei Sister Sledge con l’aiuto vocale di Erika Fo-

uno paio di spessi occhialoni da nerd. Voglio

stancare, ma il tris iniziale è di quelli che non si

ster delle Au Revoir Simone. Tanto basta, forse

Chaz Bundick come migliore amico. M.L.

scordano. D.

troppo. G.S.

dono la battaglia. Dritti per la loro strada come kamikaze lanciati verso un apocalittico suicidio commerciale. D.

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Lindstrøm & Christabelle - Real Life Is no

Tricky - Tricky Meets South Rakkas

Cool (Smalltown Records)

Crew (Domino)

DJ /rupture & Matt Shadetek - Solar Life Raft (The Agriculture)

Dopo le sperimentazioni monolitiche dal

Forse neanche lui era soddisfatto sino in fondo

Pur offrendo momenti imprevedibili come nel

vago sapore prog dell’ ultimo album solista e

del suo ultimo Knowle West Boy del 2008. E

precedente Uproot, SLR suona meno spigoloso

il nuovo capitolo, tutto sommato deludente,

così Tricky ha deciso di portare quel disco in

e con una fluidità di fondo che lo rende dav-

della collaborazione con il fido Prins Thomas,

Florida per un restyling esplosivo ad opera del

vero godibile dall’inizio alla fine. Da leggersi

torna a brillare la stella di Hans Peter Lindtrøm.

South Rakkas Crew, duo già abituato a simili

in chiave più dub che step, il mix parte subito

Il norvegese fa comunella con la sensuale

prodezze urbane e ibridazioni world-dance,

bene con le oscillazioni di Timeblind e quando

Christabelle e sforna il suo lavoro più pop.

per lo più dub e dancehall. Il risultato in questo

entriamo nel trip di Bebey, Despertar – remix

Elegante, sofisticato, inevitabilmente cosmico.

caso è davvero sorprendente e, un po’ come

bomba di Gang Gang Dance e Cauto – non

Troviamo Moroder (Let’s Practise) ma anche

successo con Buraka Som Sistema e Major

ne usciamo più fino al finale targato Telepathe.

Quincy Jones (Baby Can’t Stop) e qualche

Lazer, la danza incontenibile. Già si vedono

Nel mezzo, come sempre, gusto e spessore tra

inattesa spruzzata di sonorità 4AD, mescolata

litri di sudore versati su Bacative, C’mon Baby

momenti percussivi, altri più eterei (Blue Night/

al languore british dei Beloved (Let It Happen).

e Baligaga, il sangue sui bassi gommosi di

Mr. Money Man) e la musica concreta di Luc

Consacrazione? M.L.

Slow e Faraway, le lacrime francesi su Joseph e

Ferrari. Sembra impossibile far di meglio. G.S.

Numb. G.S.

Lonelady - Nerve Up (Warp)

Ben Sharpa - B. Sharpa (Jarring Effects)

Massive Attack - Heligoland (EMI)

A sentire che si tratta dell’ennesima ragazza

Nato in un sobborgo di Soweto, “Kap” Semela

Giocatosi il jolly servendosi della cortina fu-

britannica innamorata degli anni ottanta si po-

ha vissuto l’Apartheid sulla propria pelle. Fug-

mogena seguente all’esplosione di Mezzanine

trebbe errare e pensare a La Roux o magari a

gito col padre a Chicago e tornato in patria

per costruire l’etereo 100th Window, a 3D non

Little Boots. L’androgina Julie Campbell però,

nel 1993, si è fatto portavoce degli oppressi

è bastato riportare a casa Daddy G e il solito

nata e cresciuta a Manchester, invece ha stu-

nell’underground sudafricano ed è diventato

cast di stelle e stelline per riaccendere un

diato a scuola da Joy Division e Fall e ai synth

un MC abile e ispirato. Il suo album di debutto,

fuoco evidentemente spento. Forse invece è

predilige le chitarre, tenendosi a debita di-

crossover tra hip hop old skool e grime UK,

solo questione di scelte. Avventurarsi lungo un

stanza da pop ed elettronica in favore del post

racchiude testi al vetriolo sui soprusi politici

sentiero sinistro e allucinato come hanno fatto

punk, una delle specialità cittadine.

(il manifesto Hegemony) fino all’industria mu-

i Portishead o abbracciare la confusione metro-

Non fosse per l’infelice copertina Nerve Up,

sicale (l’ironica Calling Quits), sostenuti dai

politana del camaleontico Tricky non interessa-

veloce, pulito ed elegante, registrato in uno

beats altrettanto pesanti di Milanese, Sibot e

va. Meglio Heligoland, un raffinato disco pop,

scantinato con Guy Fixsen (My Bloody Valenti-

D-Planet. Siete pronti a prendere il suo treno

solo apparentemente moderno, ma è anche

ne, the Breeders, Stereolab) non sfigurerebbe

notturno diretto in Pakistan? G.S.

leggero e prevedibile, proprio quello che ti

nel catalogo Factory. D.

aspetti dopo le parole Massive e Attack. D. 109


Musica

Di Depolique, Marco Lombardo e Gaetano Scippa.

Animal Collective - Fall Be Kind (Domino) EP

In Flagranti - Ex Ex Ex (Codek) 2 X 12”

Edan - Echo Party (Five Day Weekend) Lp/

Con i bagliori di MPP che ancora risplendono

Solita pupa desnuda in copertina per il nuovo In

Mixtape Ltd

ecco un’altra cascata di pop elettrico.

Flagranti. L’original marcia su un basso che pulsa

Edan pesca dal catalogo Traffic i beat hip hop,

FBK, liquido minisequel, mette in vetrina al-

come una vena che pompa a mille mentre la chi-

punk-funk e dance, integrandoli con strumenti

tarra sferraglia dietro alla vocalist. 6 remix divisi tra

analogici per mezz’ora monolitica di groove

l’evoluzione continua. D.

Andy (H&LA), Headman, Riton e Golden Bug che

mantrico e festaiolo. G.S.

Fan Death - A Coin For The Well (Nettwerk)

Small Black - Washed Out 7 Inch (Lovepump

Primal Scream/RTX - I Want You / Natures Way

EP

United)

(White Noise) 12”

Primo EP in attesa dell'album. Una notte di

Ernest Greene, una delle rivelazioni del 2009,

Introvabile split con artwork firmato Bobby Gille-

luna piena nella casa dei fantasmi, nel lettone

trova nel quartetto di Brooklyn un probabile

spie con i PS che rifanno un pezzo dei Troggs e il

con Dandi e Marta stretti in un amplesso a

successore nel 2010. Magiche rivisitazioni d’au-

nuovo progetto di Jennifer Herrema alle prese con

base di disco gotica, teschi e violini. D.

tore. M.L.

una cover degli Spirit. Tra (ex?)rnr junkies l’intesa è

Mike Slott - Lucky 9teen (LuckyMe) 12”

Pearl Harbor - Something About the Chap-

Pangaea - Pangaea Ep (Hessle Audio) 2x12”

Il futuro dell’hip hop passa anche da L9, perfetto

parals EP(Mexican Summer)

Kevin McAuley conduce il dubstep in territori

equilibrio stilistico di sci-fi ambient, idm-boogie,

Cocteau Twins e Lush rivivono nei corpi eterei

soul e funky house. 6 tracce che giocano sì con

wonky esotico, synth pop a 8 bit, breaks vecchia

di Piper e Sky, due sorelle teenager di Los An-

ritmi spezzati e bassi rotolanti, ma legate da voci

scuola, dubstep-jazz, o l’insieme di tutti questi (40

geles. Beach pop in bassa fedeltà. M.L.

calde e profonde, echi di rave nemmeno troppo

meno tre gemme luminose. Il dado è tratto:

Winx). G.S. 110 PIG MAGAZINE

vince di una lunghezza su Bottin e DJ Wool. D.

perfetta. Da collezione. D.

lontani. G.S.


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Film del mese

Di Valentina Barzaghi

Adam Di Max Mayer. Visto che siamo prossimi al San Valentino ho un motivo in più per consigliarvi questa piccola e commovente pellicola: quelli che ci credono consumeranno fazzoletti con le loro lacrime, gli altri vedranno davvero un buon film. In concorso nell'edizione 2009 del Sundance FF, Adam è stato più volte paragonato a (500) Days of Summer, ma tranne la produzione made in Fox Searchlight e il fatto che entrambe i film raccontino una storia d'amore atipica nella sua totalità di una coppia giovane, hanno ben poco a che spartire. Adam soffre della Sindrome di Asperger, una forma di autismo che lo porta a essere schivo nei confronti di qualsiasi rapporto umano, non capisce gli scherzi e le metafore, estremizza qualsiasi stato emotivo in cui si trova e per questo preferisce evitare di mettere alla prova il suo ego rifuggendo tutte quelle situazioni che lo metterebbero in crisi: mangia sempre le stesse cose, frequenta solo un amico di vecchia data, vive solo nella sua routine ufficiocasa. Ha una grande passione che assorbe il suo tempo e ogni suo discorso: l'astronomia. Tutto questo sembra poter durare all'infinito, fino a quando un giorno, nella lavanderia della palazzina di New York in cui abita, incontra Beth, una giovane e intraprendente maestra, con un sacco di casini familiari da risolvere, che pian piano avrà il coraggio e la grazia di entrare nella sua vita.Il film ha un attacco per-

112 PIG MAGAZINE

fetto: sull'immagine della Galassia costellata, la voce off di Beth ci racconta "Il mio libro preferito di quando ero piccola, racconta la storia di un Piccolo Principe che arrivò sulla Terra da un asteroide lontano e conobbe un pilota che aveva fatto un incidente nel deserto. Il Piccolo Principe insegnò al pilota molte cose, ma soprattutto ad amare. Mio padre mi aveva sempre detto che io ero il Piccolo Principe, ma dopo aver conosciuto Adam, ho capito che ero soltanto il pilota" (non so se in italiano sarà così la traduzione, ma spero che ne tengano il significato dell'originale). Adam a tutti gli effetti rimane il Piccolo Principe nella narrazione, quella figura fanciullesca che senza filtri e con mille paranoie a cui tutti siamo spesso costretti a far fronte, o forse solo a far finta di sopportare, affronta la sua vita ai giorni nostri. Adam è un puro, che afferra l'amore quando arriva e lo vive in maniera totale, senza ipocrisie o falsità, per cui è anche disposto a far fronte alle proprie paure perché capisce che ne vale la pena. Beth è il suo tramite, a tutti gli effetti il pilota, ma forse anche un po' la volpe (non posso svelare altrimenti vi rivelo la trama, ma ricordiamo che la volpe nel romanzo è quella che farà capire al Piccolo Principe che la sua rosa, nonostante sulla Terra ne trovi molte altre, è la più speciale perché è quella che lui ama), della celebre favola di Antoine de Saint-Exupery, il tramite che lo fa uscire "dall'universo in una

stanza" in cui si è rinchiuso e che gli fa conoscere la vita, quella che c'è fuori dalla porta di casa. Ma lo scambio è reciproco? Amare e vivere possono essere eque merci di scambio? Adam è molto di più che un film romantico: è una pellicola commovente e poetica come non se ne vedeva da tempo. E' un film che fa riflettere: sulla realtà dell'amore, sul significato che può avere per ciascuno. Ci porta a pensare che forse amare qualcuno vuol dire scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa che ci aiuta però ad andare avanti comunque come singoli. Il Piccolo Principe ha una rosa ed è a quella che comunque rimarrà legato indissolubilmente (una delle frasi del libro che più amo "E' il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante") nonostante tutti quelli che incontrerà sul suo percorso. Max Mayer, alla sceneggiatura e dietro alla macchina da presa, al suo secondo lavoro per il grande schermo fa scintille e se mi capitasse tra le mani penso che lo abbraccerei, talmente sono entusiasta di Adam. Sicuramente questa pellicola è una delle più originali e riuscite trasposizioni (non fedeli ovviamente) cinematografiche da romanzo viste negli ultimi tempi... e ragazzi, parliamoci chiaro, tentare di lavorare sul Piccolo Principe è un'impresa che richiede non poco coraggio... Correte a vederlo e portatevi fidanzata, amici, parenti... Uscirete con gli occhi che brillano e il cuore gonfio.


An Education Di Lone Scherfig. Probabilmente i più accaniti fra di voi avranno già sentito parlare a lungo di questo film, adorato dalla critica americana e spesso posto nelle classiche di fine anno come uno tra i migliori (se non addirittura il migliore) film dell'anno. An Education piace fondamentalmente perché è un film classico - prendete tutto ciò che vi viene in mente associato a questo termine, lo troverete - e di classe: ce n'è nella storia, nella regia delicata e aderente alla perfezione sulla narrazione, nell'interpretazione dei personaggi da parte degli attori (non mi stupirei se Carey Mulligan ricevesse una nomination prossimamente). Jenny ha sedici anni, è molto intelligente, ha mille interessi di carattere intellettuale ed è una studentessa modello, tutta concentrata nel suo obiettivo di andare a studiare a Oxford. Tutto sembra andare per il meglio fino a quando, un giorno di pioggia appena uscita da scuola, accetta un passaggio da un affascinante trentenne, David, che con i suoi modi galanti le farà perdere la testa, iniziando a trascinarla da un'asta a una cena, da una gita fuori porta a sfarzosi cocktail con amici dalla vita ricca, ma sinistra. Jenny si scopre innamorata (più della vita che David le può offrire che da lui in verità) e questo le farà dubitare se quella perseguita fino a quel momento sia stata davvero la strada che l'avrebbe portata

alla felicità. Il famoso scrittore e sceneggiatore Nick Hornby, adatta un piccolo scritto del giornalista Lynn Barber, rendendolo una storia complessa e ricca di spunti riflessivi da cui ogni spettatore (soprattutto spettatrice) viene completamente catturato perché rivede inevitabilmente qualcosa di sé, che gli è accaduto a livello emotivo. La Scherfig costruisce un ottimo film sull'iniziazione sentimentale e sull'entrata in società di una futura grande donna, ribaltandone continuamente la posizione sociale: da ragazza all'avanguardia, dotata di una buona dose di femminismo e di un intelletto che le garantisce un futuro diverso da quello ad esempio della madre (che comunque sembra felice della sua condizione, forse perché accettata passivamente e ormai assorbita, e che viene pressoché sempre mostrata col marito), a giovane donna che è pronta a lasciare tutto per seguire l'amore, quasi dimentica di propri ideali e sogni. Ah l'amore! Un film ancora una volta su effetti e conseguenze del sentimento più celebrato del mondo, ma questa volta siamo di fronte a una storia che ne parla in modo romantico, ma mostrandone le conseguenze negative. "L'Educazione" che Jenny riceve arriva da più parti e la farà crescere molto più rapidamente di quello che forse lei avrebbe voluto, facendole però capire che è sbagliato

far dipendere la propria vita dagli altri, soprattutto se ancora molto giovani. David la educa ad amare e ad accettare se stessa, mentre lei fa di tutto per stare comoda nei panni della donna sofisticata. La scuola le mostrerà che avere un'istruzione le servirà ad affrontare la vita molto di più che un paio di orecchini o una macchina nuova: sono gli anni '60 e siamo a Londra, nonostante Jenny frequenti una scuola femminile (e le immagini sui titoli di testa farebbero supporre il contrario, nel loro tripudio di giovani donne che imparano a cucinare, ricamare e tutto ciò che servirà loro per essere delle ottime donne di casa), sono le stesse insegnanti che per prime insegnano alle ragazze che essere dipendenti da un uomo non farà la loro felicità, che è fatua e momentanea, ma poi genera frustrazione. La famiglia (Alfred Molina nei panni del padre è superlativo) ha un ruolo secondario, ma costante e rilevante nel percorso: è quella che la accompagna nella sua evoluzione, tenendola per mano, appoggiandola e cercando a volte di non farla inciampare... insomma, i genitori sono genitori, nella loro veste più istituzionale, ma rappresentata magnificamente. Un film che racchiude amore, emozione, arte, bellezza, poesia, romanticismo, intelligenza, profondità. Assolutamente da vedere (se ce la fate, cercatelo in lingua originale).

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Cinema

Di Valentina Barzaghi

Invictus Di Clint Eastwood. Penso che a tutti sia successo di provare quel nodo di commozione in gola al suono dell'inno nazionale durante una finale sportiva mondiale, quel senso di appartenenza che anche se solo per una giornata ci fa dimenticare tutto e ci fa sentire vicini, amici, perché uniti sotto una stessa bandiera. Quel motore alcuni lo chiamano patriottismo e la cosa più affascinante è che solo lo sport è la benzina che lo fa funzionare. Siamo in Sud Africa, è il 1990: nonostante l'elezione a Presidente di Mandela siano vicine, il paese è dilaniato dall'odio razziale causato dall'apartheid. Rivestito il nuovo ruolo Mandela, come una sorta di "Imperatore Romano" che per ingraziarsi i favori delle masse dà loro di cui divertirsi, capisce appunto che non servono le parole per lenire le vecchie ferite, ma deve agire su un campo da gioco che possa accomunare tutti, bianchi e neri, uomini e donne, vecchi e bambini... il rugby. Aiutato dalla star locale del rugby Francois Pienaar si pone un obiettivo che possa avere anche ottimi risvolti politici: vincere i Campionati Mondiali del 1995 che si svolgono proprio in Sud Africa. Con Invictus Eastwood si lancia nella difficile realizzazione di un film con tematica sportiva (è incredibile... continua a passare da un genere all'altro e la sensazione è che segua ogni filone da anni talmente è bravo), ma riesce anche in questo caso a non essere ordinario. In Invictus il climax narrativo è ben tracciato e approfondito in ogni sua parte: dalla scena iniziale nei due campi di rugby distinti e distanti in cui giocano da una parte ragazzini bianchi inamidati con un allenatore che sputa veleno razzista e dall'altra i neri immersi nella povertà, all'elezione di Mandela; dalle prime diffidenze-intolleranze verso un presidente che si crede favorirà solo una parte di popolazione, all'intelligenza di un uomo che diventa una vera guida per il proprio paese perché lui per primo non crede nel pregiudizio e quindi lo sa anche trasmettere e nella maniera più umana possibile. La regia asciutta, la narrazione emozionale (a volte fin troppa enfasi viene data ai dialoghi, ma fate i bravi, siamo al cinema e finché non si cade nel melodrammatico va ancora bene, anche se forse meno discorsi "da bandiera issata" gli avrebbero tolto quella patina hollywoodiana un po' fuori luogo), l'ottima interpretazione di Morgan Freeman (banale come scelta, ma d'altronde chi meglio di lui avrebbe potuto) e Matt Damon (quanta palestra avrà fatto per calarsi nei panni di Pienaar? Dovete vedere come diavolo è grosso, finalmente non lo trovo più viscido), fanno di Invictus un buon film, che però a differenza delle precedenti e più autorali pellicole del regista piacerà molto alle masse, ma forse perché proprio ad esse è dedicate. Ci metto la mano sul fuoco che molti storceranno il naso, ma la bellezza di questa pellicola sta proprio nella sua semplicità, nell'immediatezza di intenti e nel suo facile assorbimento. Il regista fa sua la morale della storia e propone dunque un film in grado di entrare, emozionando e divertendo perché gli stati d'animo della situazione narrata sono noti ad ognuno, nelle case di tutti. E il groppo nel finale arriva cavolo... Non pensate di andare al cinema a vedervi un biopic su Mandela, non pensate assolutamente di sorbirvi una di quelle pacchianate made in U.S.A. che hanno sfondo sportivo e che mi provocano conati per la loro totale inutilità: Invictus è una pellicola su una strategia politica e uno degli unici (oltre a Looking for Eric di Loach) film intelligenti sullo sport visti negli ultimi anni.

Bright Star Di Jane Campion. Dai che già lo sapevate che mettevo il mio caramellone in costume... Non fate i prevenuti... Bright Star è una pellicola complessa e completa, nonostante già vi dico che vi tirerete indietro per lunghezza (2 ore) e sì... un po' di sbrodolature su luoghi comuni ce ne sono... La pellicola racconta la passionale storia d'amore tra il poeta romantico John Keats (Ben Wishaw, che alle signore non passerà inosservato) e la sua vicina di casa Fanny Brawne (la bellissima Abbie Cornish): per lei lui scrisse incredibili lettere d'amore e sempre per lei compose la celebre poesia dal titolo omonimo a quello del film. La Campion sceglie, forse per affinità di vedute, il punto di vista della ragazza per raccontare la tormentata relazione tra i due (come la storia insegna, Keats si ammalò molto giovane di tubercolosi e si dovette trasferire a Roma dove morì a soli 25 anni). Ovvio, è un film che vi consiglio di vedere solo se vi piace il genere storico-letterario in costume che in questo caso si tinge anche di una marcata veste romantica, altrimenti vi suicidate in sala. Per chi rientra nel gruppo di quelli a cui prudono le mani dalla voglia di vederlo, farei notare come la regista sia stata davvero brava a mostrare come il romanticismo dell'artista, quello per cui poi diverrà celebre sulla carta, gli sia stato dedotto dalle esperienze di vita, in un'altalena che ci sposta di continuo dalla letteratura alle situazioni narrate.

Un Prophete Di Jacques Audiard. Malik ha solo 19 anni quando viene condannato a sei anni di prigionia. Entrato in carcere soltanto con una banconota accartocciata, ne uscirà come un padrino. Sebbene di film sulla crescita di ruolo di un criminale in carcere se ne siano visti molti, il film di Audiard (presentato alla scorsa edizione del Festival di Cannes) ha il pregio di dare una visione molto reale della vicenda raccontata. Senza falsi moralismi, ma senza nemmeno eroicizzare la figura del protagonista, il regista si limita a descriverne la storia, ripercorrendo ogni singolo passaggio per accentuarne l'incredibile ascesa: dalla protezione offertagli da un mafioso all'omicidio come iniziazione, dall'inizio dei traffici ai permessi di uscita dal carcere che gli aprono velocemente strade inaspettate all'interno della malavita locale. Una bella sorpresa questo film. Audiard è bravo dietro la macchina da presa e riesce a costruire un personaggio difficile da trattare rapportato al contesto in cui viene calato, non avendo legami né di razza né di clan all'interno della prigione, ma che non cade nel "manuale di sopravvivenza".

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News

International Filmfestspiele Berlin (11 - 21 Febbraio) Lo scorso 7 Gennaio si è festeggiata la data ufficiale del 60° anniversario della fondazione del festival e Berlino ha cominciato a entrare in clima festivaliero con videoinstallazioni e proiezioni pubbliche presso la Porta di Brandeburgo, mentre il resto della città si colorava con ritratti di artisti sparsi un po' ovunque nelle strade. Non è difficile capire quindi che questa edizione della kermesse (probabilmente la mia preferita su suolo europeo) farà davvero i fuochi d'artificio. Al momento della stesura dell'articolo sono già resi noti alcuni titoli delle pellicole in gara, tra cui imperdibili sono le preview di Shutter Island di Martin Scorsese (fuori concorso) e The Ghost Writer di Roman Polanski. Ma la Berlinale è sempre stata famosa per il suo essere all'avanguardia, lontano dai red carpet in pompa magna di altre kermesse, più attenta all'originalità dell'opera, scopritrice di molti talenti alla loro prima opera lunga. Inoltre quest'anno vanta una presidenza di giuria molto interessante che siamo curiosi di vedere cosa estrarrà dal cappello a cilindro: Werner Herzog. I film presentati saranno divisi in sette sezioni: Competition, Panorama, Forum, Generation, Perspektive Deutsches Kino, Berlinale Shorts e Retrospective. Tanta carne al fuoco gente, che sarebbe inutile tentare di accennare approssimativamente in queste pagine. Nella speranza di riuscire a farci un giro vi rimando al dettagliatissimo sito dove potrete trovare tutte le informazioni del caso www.berlinale.de

The Road Bandito perché troppo drammatico. Quando leggerete questo articolo, probabilmente il film sarà in sala in mezza Europa, mentre qui da noi sembra che nessuno si sia ancora preso la briga di volerlo distribuire. Motivo: troppo drammatico. Mah... Un grande punto di domanda si disegna nella mia testa. La pellicola di John Hillcoat è tratta dal romanzo omonimo e premio Pulitzer di Corman McCarthy (un autore che personalmente amo molto) ed è stato presentato allo scorso Festival di Venezia per poi finire, evidentemente, nel dimenticatoio. The Road è un horror-thriller malinconico che ha come protagonisti Viggo Mortensen e Charlize Theron, racconto di una Terra che ci sta lasciando e dell'affetto smodato di un genitore verso il proprio figlio. Non ci rimane a questo punto (se nel frattempo qualcuno non avrà il buon senso di prendere la distribuzione) che da recuperarlo in dvd dall'estero.

The Runaways E' stato proiettato in anteprima mondiale al Sundance FF di quest'anno (21-31 Gennaio scorsi) il primo lungometraggio scritto e diretto da una delle migliori registe di videoclip contemporanee: l'italocanadese Floria Sigismondi. Come lo dice il titolo stesso, la pellicola è un biopic delle band femminile, alla ribalta nello scenario musicale di Los Angeles alla fine degli anni '70 ed è tratta in gran parte da Neon Angel: The Cherrie Currie Story, in cui la vocalist racconta la sua dipendenza da alcol e doghe, e che nel film viene interpretata da una irriconoscibile Dakota Fanning. La storia si focalizza soprattutto sul rapporto tra quest'ultima e la chitarrista-cantante Joan Jett, nel film interpretata da una delle mini dive che più adoro, Kirsten Stewart. La curiosità mi sta dilaniando...

Dvd

Sunshine Cleaning Di Christine Jeffs. Non ancora approdato nelle nostre sale (e non vi posso garantire che mai ci arriverà, ma potete già acquistarlo in dvd dall'estero), Sunshine Cleaning viene posto nella categoria Indipendent, anche se non so con quale coraggio, visto che non credo sia costata una bazzecola. Nel cast abbiamo infatti tre pezzi grossi come Amy Adams, Emily Blunt e Alan Arkin... solo questi che budget avranno ciucciato? Va beh... a parte mie riflessioni che lasciano il tempo che trovano. Sunshine Cleaning è una commedia davvero originale. Racconta la storia di due sorelle: Rose è una madre single che si impegola in relazioni amorose sbagliate e madre di un bambino particolarmente originale che è costretto a cambiare di scuola in scuola, mentre Norah vive ancora con loro padre Joe, è una scansafatiche, che ancora soffre per non aver conosciuto bene la madre perché morta quando lei era troppo piccola. Bisognose di denaro per dare una svolta alla propria vita, le due si inventano un nuovo e particolare business che si rivela molto fruttuoso: puliscono gli scenari in cui si è svolto un crimine, soprattutto con copioso spargimento di sangue. Un film divertente e che ha anche inaspettati risvolti drammatici; una storia semplice, ma splendidamente realizzata e interpretata, originale nella forma di divertimento che propone. 115


Libri

Di Marco Velardi

Within Arm’s Reach Ari Marcopoulos è un personaggio che ancora non riesco a comprendere a fondo, pur avendo avuto il piacere di lavorarci insieme più di una volta. Quando esce un nuovo catalogo, come l’ultimo di JRP, Within Arm’s Reach, pubblicato per il Berkeley Art Museum e Pacific Film Archive, mi chiedo se ci sia davvero bisogno di dedicargli così tanto spazio su carta, senza dimenticarsi delle miriadi di fanzine che pubblica tra un libro

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e l’altro. Ebbene, ammetto che questo volume mi ha fatto un po’ ricredere, nella sua semplicità d’impaginazione, l’equilibrio tra immagini e atmosfere che ripercorrono 30 anni di scatti, ci si rende conto di quanto abbia davvero visto scorrere davanti al proprio obbiettivo. Dopotutto, con questa mole di lavoro, probabilmente disposta in ordine su scaffali, dentro cassetti, sopra armadi, chi non sentirebbe il bisogno di farla rivivere il

più possibile. Non sarà sicuramente l’ultima pubblicazione e l’unica monografia che vedremo ma certamente la più completa finora. www.jrp-ringier.com Titolo: Within Arm's Reach Autore: Stephanie Cannizzo Casa editrice: JRP-Ringier Anno: 2009 Dimensioni: 21,5 x 28 cm Prezzo: 30 €


Sol & Luna Sol & Luna è l’ultimo sforzo del trio di Libraryman, la piccola casa editrice svedese capitanata da Tony Cederteg. Un volume nato da una collaborazione con il marchio di abbigliamento di Stoccolma Our Legacy, per esplorare la bellezza di un corpo androgino, i riflessi e le sfumature di una giornata passata tra campi, boschi, biciclette, attraverso lo sguardo deciso ma allo stesso

tempo delicato di Viviane Sassen. La bravura di Sassen sta nell’equilibrare la selezione d’immagini, rendendo ciò che potrebbe facilmente diventare un puro look book di moda commerciale, in una piccola opera d’arte dove gli abiti si indossano, ma spesso si tolgono, diventando un tutt’uno con la modella e gli spazi. Un libro che ci fa sognare e, ormai che il grosso dell’inverno è alle

spalle, ci anima con la stessa spensieratezza delle prime giornate calde di primavera. www.libraryman.se

processo creativo, fatto di dichiarazioni d’intenti, odi appassionate alla grafica, alla cultura di progetto e alla creatività. Leggendo questi tredici manifesti si ha l’impressione di trovarsi immersi in mondi unici, a tête-à-tête con alcuni tra i migliori designer di grafica del mondo, quasi fossimo andati in viaggio a trovarli uno per uno nel loro studio per carpirne il segreto. Le copie sono poche, e anche se non siete appassionati di grafica,

Manifesto non dovrebbe mancare nella vostra collezione. Affrettatevi. www.spazioxyz.org

Titolo: Sol & Luna Autore: Viviane Sassen Casa editrice: Libraryman/Our Legacy Anno: 2009 Dimensioni: 20,5 x 30,5 cm Prezzo: 32 €

Manifesto Che cosa avranno mai in comune Daniel Eatock, Edenspiekermann, Ken Garland, Bob Gill, KesselsKramer, Ellen Lupton, Enzo Mari, Bruce Mau, Mike Mills, Bob Noorda, Bre Pettis & Kio Stark, Stefan Sagmeister e Vignelli Associates? Manifesto, un progetto nato dagli agguerritissimi Tankboys e Cosimo Bizzarri per la galleria XYZ, diventato immediatamente mini catalogo di culto. Tredici nomi importanti, legati insieme da un

Titolo: Manifesto Autore: Tankboys e Cosimo Bizzarri Casa editrice: XYZ Anno: 2009 Dimensioni: 15 x 21 cm Prezzo: 5 €

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Whaleless

A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com

Un mondo senza balene. Inquinamento e pratiche di pesca insostenibili stanno mettendo a serio rischio la sopravvivenza dei grandi cetacei. Questo è uno spazio dedicato a chiunque voglia esprimere la propria indignazione, rabbia, vergogna, incredulità, preoccupazione… con ogni mezzo espressivo, dall’illustrazione alla canzone, dall’animazione alla fotografia e oltre. Visitate i siti internet www.whaleless.com e www.myspace.com/whaleless per ulteriori

Opera di Alessia Cocca

informazioni e per visionare la gallery dei lavori giunti fino ad ora. Be creative, save a whale.

Lo spirito di Giorgia Hai mai visto una balena? No. Che rapporto hai col mare? Lo chiuderei volentieri nella mia vasca da bagno. Ore ed ore di poesia a disposizione. Con variazione della marea a determinati orari. Se tu potessi scegliere di trasformarti in un abitante marino, quale sceglieresti? E perché? Medusa. Senza un perché. Forse per l’estetica non usuale. Si difendono bene; e non sempre è facile. Qual è il tuo elemento preferito tra aria, acqua, terra e fuoco? Perché?

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Acqua. Questione di segni zodiacali. Pensi che l'arte sia fine a se stessa o che debba avere un messaggio o un riflesso su chi guarda? L’arte dovrebbe sempre contenere un messaggio, per emozionare. Anche quando è un messaggio che l’artista manda a se stesso. Come descriveresti il mondo nel quale viviamo? Spaventato. E come lo immagini tra 20 anni? Come 20 anni fa. Lo stesso di sempre. Con leggere variazioni. Ci dici qualche parola da associare al tuo

modo di fare arte? Una frase: “ti ricordi quando……?”. Oppure: “Un tentativo inutile di mettere sotto vuoto le nostalgie”. Come hai realizzato questa balena? Raccogliendo tutte le tazzine che erano in casa. Cercando i ricordi con l’orecchio sul tavolo. Sentendo la voce del Cervi che mi diceva “Cocca… ma la sua balena?” A cosa stai lavorando ora? Sto sviluppando una forma di curiosità per il rapporto tra sentimento e rabbia. Hai un sogno/incubo ricorrente? Un mercato. E poi l’acqua. www.myspace.com/alessiacocca


C.so di Porta Ticinese 80 - Milano - 02 89056350- WWW.THESPECIAL.IT


PIG Waves

A Cura di Giovanni Cervi. Contatti e info: verbavolant@pigmag.com

Pig Waves è un flusso di immagini e parole che segue una parola chiave: Love. Tra adolescenza, cuori spezzati e lingue lunghe.

“I was made for lovin’ your love gun in Detroit rock city”. 120 PIG MAGAZINE


www.summeroflove.org - “L’amore libero va protetto. Capito?”.

lovearthurlee.com - “Ogni storia prima o poi finisce”.

www.logodesignlove.com - “La passione è vettoriale”

it.wikipedia.org/wiki/Shojo - “Ti ricordi tutti i primi baci mai dati?”

www.wkw-inthemoodforlove.com - “La Solitudine non è perché Marco se n’è andato...” 121


Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

PIG’s Most Played. Pretty Games. How much for the entire night? Bayonetta _ Playstation3 E’ il picchia-spacca più assurdo e veloce del mondo. Tutto si muove, salta, spara, pesta, vola e urla alla velocità della luce. Qualunque cosa pensiate, l’importante è continuare a schiacciare tutti i bottoni insieme, muovere il pad e sudare. Se poi per miracolo mantenete un certo controllo, escono delle combo gustosissime. Quattro volte il pugno, otto volte il calcio e poi metti in giù solo per avvicinarci all’estetica di un post Tarantino girato da Siffredi. Protagonista la già ribattezzata “strega zoccola coi revolver al posto dei tacchi” pronta a rivoluzionare le passerelle della Milano bene.

The Legend of Zelda: Spirit Tracks – Nintendo DS Lei è stata rapita per l’ennesima volta e bisogna subito correre a salvarla. Ma con questa grafica e un treno a disposizione io quasi quasi la lascerei a marcire nelle fogne del castello. Il gioco potrebbe sembrare il solito sequel, ma già dall’impatto iniziale si capisce che qui dento c’è ben altro. C’è lo spessore di gioco, l’ambientazione e i personaggi giusti. L’idea del treno per andare a spasso è geniale, potrei passare ore e ore solo spostandomi da una stazione all’altra mentre cannoneggio i conigli della prateria.

Tomena Sanner _ Wii Ware 122 PIG MAGAZINE

La grafica mi ricorda il primo Prince of Persia. Colori piatti, forme semplici e scrolling orizzontale con un parallasse che non si vedeva dai tempi del Commodore. Qui è l’idea che conta, un gioco demenziale di riflessi e abilità che ci ha tenuti incollati alla TV fino al completamento dell’ultimo assurdo livello. Saltate il T-Rex, un calcio nelle palle al Rockabilly e via verso le tette della studentessa! Vai col ritmo!

Alien Breed Evolution _ Xbox 360 Quello su Amiga del 1991 era poesia in pixel. Se il vostro film preferito è Aliens (meglio se il 2), il vostro regista preferito è Cameron (quello degli anni ’80) e vi piace giocare al buio, l’evoluzione su Xbox o PS3 è la risposta alle vostre preghiere. In isometrica come l’originale, ci propone le stesse claustrofobiche atmosfere del primo capitolo. Rivisitato e corretto, da giocare in due per dare un senso alla morte. Nostalgia canaglia…

New Super Mario Bros _ Wii Si lo stiamo ancora giocando. Si è lunghissimo. Si è bellissimo e divertentissimo. In redazione si finisce la pausa caffè senza voce e- senza aver bevuto il caffè-. C’è gente che litiga per il controller e quelli che fanno a pugni per le vite sprecate. Si lo scriviamo di nuovo: uno dei migliori Mario di sempre.


© 2009 Nintendo. TM, ® and the Wii logo are trademarks of Nintendo.

Con la nuova avventura di Mario, il divertimento è per tutti… contemporaneamente! Mario è tornato per dare il meglio di sé! Con una nuova avventura nel Regno dei Funghi e la possibilità per ben quattro giocatori di farsi avanti! All’inizio sarà facile, ma le tante sfide e livelli renderanno presto l’impresa titanica! Per fortuna non rimarrai mai bloccato: se le cose si mettono male lasciati guidare dal gioco, o chiedi aiuto ai tuoi amici!

Modalità libera

Caccia alle monete

Divertiti un mondo con i tuoi amici! Collabora con loro per aumentare il punteggio, oppure ostacolatevi a vicenda!

Non si risparmia nessuno! Preparati a raccogliere più monete possibili: una sfida all’ultima moneta fino a un massimo di quattro giocatori!

Nuovi costumi Mario e i suoi amici hanno nuovi e incredibili accessori! Vola in alto con la Tuta Elica, oppure indossa la Tuta Pinguino e scivola via alla massima velocità!

Nuovi controlli

Nuova modalità aiuto

Tante nuove mosse per Mario grazie a Wii! Inclina il telecomando per cambiare l’angolazione di piattaforme speciali, o scuotilo per fare una piroetta!

Non riesci a superare un livello difficile? Chiedi aiuto con la nuova modalità Super Guida. Luigi apparirà sullo schermo e ti guiderà fino alla fine del livello!

www.newsupermariobroswii.it


Videogames

Di Janusz Daga (jan@pigmag.com)

Big in Japan Un impiegato masochista, un Nintendo DS e tanto sakè. Retro Game Challenge è già nel PIG-Olimpo! Questa qui è una vera storia video-nippo ma non parla di tute aderenti o di raggio mortale sulle mutande. Parla di molti anni fa, dei pomeriggi a giocare al Nintendo e di grossi Gameboy portati alla zuava. Parla della merenda con Girella e della mamma che si lamenta per la musica ripetitiva dei livelli di Kid Icarus. Inizia con un –vero- show televisivo giapponese: Retro Game Master; il conduttore è una specie di paffuto impiegato delle poste con tanto di divisa e cartellino. Lo scopo del programma è semplice,

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Arino –così si chiama il diligente impiegatosi chiude in una stanza con una TV, una vecchia console e un gioco molto difficile. Non ne uscirà fino a quando non avrà superato una missione che si è autoinflitto: raggiungere il millesimo livello di Space Invaders, superare i 2.000.000 di punti con Super Mario, vincere 50 vite con Ghost’n Goblins. Naturalmente le missioni sono masochistiche e Arino è particolarmente impedito nel maneggiare i controlli. La trasmissione TV riassume in pochi minuti intere giornate passate

a giocare chiuso nello sgabuzzino: i tentativi falliti, le imprecazioni, il cibo in scatola e naturalmente il momento clou del superamento della prova. Potrà sembrare strampalato, ma dopo poco la cosa inizia a girare e tutto ha un nippo-senso. Lo show è molto seguito in Giappone e nelle ultime stagioni è persino comparso il pubblico in sala che sprona Arino durante le difficilissime prove. Il successo ha portato come logica conseguenza numerosi nippo-gadget e subito dopo al meraviglioso videogame per Nintendo DS.


Retro Game Challenge, questo è il titolo, è un insieme di tante cose. Sono per lo più cose che non si possono spiegare con la solita recensione. Non voglio essere tragico ma se siete nati dopo il 1990 probabilmente non riuscirete ad apprezzare al 100% questo gioiello. Il gioco inizia con la sfida di un antipatico Arino digitale trasformato in un mago con manie di grandezza. La sfida vi porterà nel passato, ai primi anni ’80 nella cameretta del giovane Arino. Tatami per terra, scaffale colmo di giochi impilati con cura, riviste di videogames in ordine di uscita, una piccola TV a colori e un bel Famicom (NES) in mezzo alla stanza. Il giovane Arino sarà al vostro fianco, seduto davanti alla TV pronto a sostenervi in tutte le faccende che di volta in volta verranno presentate dal crudele Arino digitale. Ci sono un paio di cose da dire prima di parlare del gameplay vero e proprio. Il solo fatto di essere comodamente seduti davanti alla TV con un amichetto vicino mette una certa serenità. Non so come funzionano queste cose psicologiche, ma la sensazione di tornare a quei pomeriggi

passati in compagnia affrontando i livelli di Zelda è fortissima. Persino i rimproveri della mamma di Arino che ci prega di smettere di giocare sono deliziosi. Il sistema è poi semplicissimo: il Mago digitale lancia una sfida su un determinato gioco, noi lo carichiamo prendendo la cartuccia dallo scaffale e dobbiamo cercare di superarla. Non si passa alla sfida successiva se non si supera la prima e non si passa al gioco successivo se non si superano tutte e quattro le sfide poste per ogni gioco. Man mano che ci districhiamo nei meccanismi e nei punteggi, Arino jr porta a casa le riviste fresche di stampa che parlano del gioco che stiamo affrontando, danno consigli e aggiungono trucchi. E’ gustosissimo leggersi la rivista con le recensioni, le nuove uscite e i trucchi per superare tal mostro o per avere la super bomba H. “A+A+B + metto in giù” aprirà le porte per vite infinite o lo sparo super. Tips and tricks in puro stile Zapp stampato in 2 colori. I giochi sono tanti e fatti bene. Non sono veri titoli usciti sul NES, sono finte riproduzioni di giochi famosi. C’è la corsa di

macchine, il gioco di Ninja, un platform stile Mario, le astronavi con i power up e persino il gioco di ruolo/avventura. Le sfide sono limitate, per cui durante la prima parte di Game Center dovrete sottostare alla legge di Arino, una volta completate però, il gioco sarà disponibile in maniera completa, e non basteranno poche ore di gioco per ogni singolo titolo! Da soli o in coppia con Arino jr che avrà la sua dose di gloria nei mille livelli spaziali. Per uscire di casa c’è anche la sala giochi dove provare alcuni titoli in anteprima o -nel caso del secondo episodio della serie- ritrovare tutti i giochi del capitolo precedente. Condensando il tutto in una storia zen direi: Un monaco cade da un dirupo ma viene salvato da un ramo sporgente. Dopo poco, vede impigliato ad un altro ramo una cartuccia per DS. E’ Retro Game Challenge. Il monaco sa perfettamente che il ramo che lo sorregge non potrebbe sopportare anche il peso della cartuccia. Il sant’uomo però, sporgendosi, afferra la cartuccia e la mette in tasca. Il ramo che lo sorreggeva si spezza e lui precipita nel vuoto. Sayonara Arino!

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Agent Provocateur

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Lanvin

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Skechers

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Emiliano Maggi

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normaluisa

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Akris

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La Perla

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Stine Goya

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Energie

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Krizia

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American Apparel

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Lee

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Stussy

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Eternal Child

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Paul Frank

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Ann Demeulemeester

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Levi’s

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SUPER

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Federica Moretti

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Pointer

Borsalino

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Lu Flux

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Fendi

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Prada

Surface To Air

Carhartt

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Maison Martin Margiela

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FILA

www.maisonmartinmargiela.com PUMA

Celine

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Fornarina

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Chelsea Rebelle

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MIH Jeans

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Versace

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Miss Sixty

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Fred Perry

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Rita Saardi

Vivienne Westwood

Christian Dior

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M Missoni

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Gas

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Rodarte

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Converse

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Missoni

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Volta

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Gianfranco Ferré

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Romeo Gigli

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Diesel

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Miu Miu

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Givenchy

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Sandrina Fasoli

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