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Università degli studi della Campania ‘‘Luigi Vanvitelli’’ Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale Corso di laurea: Design per la Moda A.A. 2016/2017 Cattedra: Abilità Informatiche Docenti: Alessandra Cirafici, Angelo Esposito Marroccella Candidato: Tina Esposito Matricola A03000737



Università degli studi della Campania ‘‘Luigi Vanvitelli’’ Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale Corso di laurea: Design per la Moda A.A. 2016/2017 Cattedra: Abilità Informatiche Docenti: Alessandra Cirafici, Angelo Esposito Marroccella Candidato: Tina Esposito Matricola A03000737


BIOGRAFIA: Yohji Yamamoto, stilista giapponese, nasce il 3 ottobre a Tokyo, città ancora devastata dalla seconda guerra mondiale. A Tokyo non c’era nulla, se non macerie e sofferenza. Cresce da bambino e anche da adolescente nella più assoluta povertà. Niente elettrodomestici in casa e nessun servizio. Orfano di padre dall’età di due anni e figlio unico, la madre, Sumi, diventa il punto di riferimento della sua vita e l’unica persona che si occupa del sostentamento del figlio. Abitano nel quartiere Shinjuku, un quartiere molto povero, frequentato da donne che si prostituivano per andare avanti. Yamamoto le avrà sicuramente osservate a lungo; e poi avrà osservato allo stesso modo sua madre; una donna che aveva deciso di non sposarsi e di occuparsi solo della crescita del figlio, lavorando sodo. Per questo

apre un negozio di sartoria per le donne del quartiere e lavora per più di sedici ore al giorno. Yamamoto osservava le donne del quartiere e i loro abiti ma non gli provocavano nessuno stimolo perché pensava agli abiti della madre, che lavorava duro, e pensava che

fossero gli abiti più naturali che avesse mai visto. Da lì iniziò la sua passione per la sartoria ma nonostante ciò terminò i suoi studi in legge. Terminati gli studi in legge, non sapeva come dire alla madre di volersi far insegnare il suo mestiere. Alla fine trovò il coraggio e la madre decise di iscriverlo all’università di Moda di Tokyo, Bunkafakuso Mura Gakuin. Nel 1966,anni di rivoluzione, Yamamoto preparò la propria rivoluzione in abito di moda. La prima lezione che apprese all’università fu che era possibile far soldi con gli schizzi degli abiti e per sette\otto volte riuscì anche a guadagnare. Seguire questa strada fu una mossa vincente. Preparando la sfilata finale del corso di studi al Bunka, vinse una borsa di studio che gli diede la possibilità di entrare in contatto con il resto del mondo e di essere consacrato come fashion designer in occidente. Vinse infatti il primo premio e un viaggio intorno al mondo. Il primo posto in cui andò fu Parigi, la casa madre dell’haute couture, che nei primi anni Settanta vedeva l’affermazione del prêt-à-porter. Parigi rappresentò una dimensione diversa e piacevole per Yamamoto: come a casa sua la città si presentava “mascolina”, elegante, al contempo sporca, liberale, con un passato storico e lontana dai suoi studi di alta moda. Provò ad arrangiarsi, cercando di vendere i suoi schizzi, ma a parte la gentilezza di qualcuno, Parigi non era interessata alle sue creazioni. Vi rimase per circa un anno, ma la difficoltà linguistica lo portò all’isolamento. Ritornato a Tokyo, per quasi tre anni continuò a lavorare nell’attività di sua madre, con una consapevolezza in più: voler creare una linea sua. Nel 1972 egli

fonda e lancia la sua prima linea. Per sette anni lavora al progetto: una linea di abiti mascolini che vengono venduti solamente in Giappone. Nel 1977, presenta la sua collezione al Tokyo Collections, per la prima volta, e nel 1981, con la sua fidanzata partecipa alla manifestazione principale della moda parigina. Decidono di abbandonare la capitale giapponese ritenuta “dominata dal senso comune di una borghesia noiosa”. Dopo la seconda guerra mondiale, i giapponesi abbandonarono il tradizionale costume orientale. In questa occasione, Yamamoto e Kawakubo poterono dare spazio alle proprie creazioni. Parigi rimase impressionata dalle loro prime sfilate; la stampa specializzata assistette a qualcosa di molto diverso dallo stile che abitualmente ammiravano e definì le loro collezioni “Post atomiche”. La moda accettò comunque le creazioni di Yamamoto dandogli la possibilità di perfezionare le sue idee, nelle forme e nelle soluzioni visive. Yamamoto si assicurò, grazie al suo lavoro, un’altra buona riuscita: il 26° FEC Award (Fashion Editors Club) nel 1982. Da allora partecipò costantemente alle sfilateparigine spingendo ancora più in avanti il design di avanguardia e usando come marchio indistinguibile il nero. Riuscì quindi a fare conoscere nel mondo della moda occidentale la sua estetica. Nel 1984 fondò Yohji Yamamoto Inc., un ambizioso progetto col quale ha consolidato la sua posizione nel mondo dell’alta moda femminile e che gli ha permesso di aggiungere una linea da uomo. Nell’89, la sua fama raggiunse quasi l’apice e il suo nome diventò conosciuto, come le sue creazioni, al punto che il Centro nazionale d’arte e cultura


di Parigi decise di far raccontare il mondo di Yamamoto alla telecamera del regista tedesco Wim Wenders. Nasce così il film documentario ‘’Appunti sulle città e gli abiti’’. Il clima degli anni Ottanta ha contribuito molto all’affermazione di Yamamoto come stilista, proprio per l’atmosfera che si respirava, per le trasformazioni in corso nella società e per la voglia di novità. Il quadro generale della moda non è più visto solo come un insieme di vestiti e di accessori, ma viene data importanza alla credibilità di un’etichetta o di un marchio, intesi come garanti della forma, del contenuto e della qualità dei prodotti. Si ritorna alla professionalità, emerge il culto per i vip e le celebrità. Ma negli anni Ottanta c’è anche chi si oppone a questa visione della moda e lo manifesta, anche culturalmente, nella scelta del modo di vestire e di apparire. Lo scenario della moda, quindi, comprende in sé questo doppio movimento: c’è un desiderio diffuso di “belle cose”, ma c’è un altrettanto bisogno di oggetti e di rappresentazioni che esprimano un messaggio, che siano originali. Durante gli anni ’

90, Yamamoto non limita la sua professione al campo della moda, ma con le sue creazioni entra nelle gallerie d’arte, nei teatri e collabora con altri registi cinematografici. Yamamoto si riappropria del titolo di “maestro” con la sfilata della primavera/estate 1997, ispirata alla moda degli anni ’50, in perfetto stile Chanel turbando nuovamente la stampa, perché sembrava un esplicito rifiuto alle sue creazioni passate. Ma Yamamoto stava giocando con l’idea di haute couture, dimostrando che non era difficile creare prodotti d’alta moda, in quanto bastava riprendere linee, tagli e tessuti già utilizzati Nell’autunno/inverno ’98, la sua carriera raggiunge l’apice con la collezione “Matrimonio”. Sposato per due volte, Yamamoto prende in considerazione l’idea del matrimonio e lo concretizza nella sua duplicità dell’evento: come momento unico e come momento diffuso nella storia di tutte le culture. Traduce il matrimonio come una rivisitazione di quell’abito del diciottesimo secolo. Un abito che viene indossato una sola volta nella vita e che quindi deve soddisfare le fantasie magiche e romantiche di chi

vive la consacrazione dell’unione uomo-donna. Queste caratteristiche rappresentano anche l’abito della vedovanza. Sono stati molti i riconoscimenti che Yamamoto ha ricevuto nell’arco della sua carriera, come il premio internazionale del CDFA a New York, inoltre è l’unico stilista giapponese a cui è stato assegnato il premio ‘’de l’Ordre des art et lettres’’ dal ministro della cultura francese. Oltre alle proprie linee, lo stilist a ha disegnato per il teatro varie opere e ha partecipato a mostre come New Persona/New Universe. Yamamoto riesce, attraverso venti anni di ricerca a far accettare e far indossare una moda che vuole essere vissuta, non immaginata o desiderata, una moda che sia coinvolta nella vita delle persone. L’abito è indispensabile nella nostra vita: risponde la funzione di coprirsi e di proteggersi, ma è anche legato alla posizione sociale. Per questo l’abito rappresenta una duplice funzione. Lo stilista è ancora attivo cercando di immergere se stesso nel modo di vivere delle perso ne.



STILE E MOOD L’idea principale di Yamamoto era proprio di concretizzare la femminilità in panni maschili, far indossare liberamente alle donne ciò che è tipico dell’abbigliamento maschile. Lo stimolo a tutto questo furono gli abiti portati dalle attrici nei film francesi di guerra: uniformi militari. Li trovava sexy e intriganti; il corpo, coperto e protetto, in modo così “compatto” faceva scaturire in lui la curiosità e la voglia di scoprirle, di sapere cosa c’era sotto quegli indumenti, com’era la pelle sotto il tessuto, che colore aveva. Coprire l’esteriorità, per far emergere una sensualità più forte, profonda e innata. Nel 1972 egli fonda e lancia la sua prima linea. Il colore nero e i toni monocromatici

rappresentarono una rottura con l’estetica del fashion system. Riuscì quindi a fare conoscere nel mondo della moda occidentale la sua estetica, che per alcuni aspetti è giapponese (nei tagli perpendicolari) per altri è occidentale (per il pastiche che mette in atto con tessuti, stili e costumi d’epoca sia europei che orientali). Per Yamamoto, moderno, significa tirare fuori l’anima di tutte le cose e lo fa attraverso il volume dell’abito, animare le linee e dare luminosità alle diverse gradazioni del nero.L’anima, come l’esperienza umana, si traduce negli abiti di Yamamoto negli orli imprecisi, nei tessuti tagliati in modo netto, nel colore nero, nella voglia di afferrare sempre qualche sfumatura in più,

nella contaminazione della moda con la vita, inclusi gli aspetti meno piacevoli quali il senso di solitudine, la fatica del lavoro, la coscienza della morte, a volte anche l’insostenibilità dell’essere, che risiede nelle continue domande che ci poniamo. Yamamoto lavora sul tessuto costruendo abiti privi di cuciture, che si adattano al corpo, alla sua perenne modificazione. I suoi abiti sembrano suggerirci che non esiste una continuità della storia. Yamamoto non pensa tanto a ciò che dovrà essere cool la prossima stagione, quanto a una traccia che dimostri la sfuggevolezza e la transitorietà. Gli imperativi dominanti sono la velocità, la perfezione, l’eleganza, le vendite e il produrre. Prolifera


la pluralità di stili che, diffusi a livello internazionale, privano l’haute couture francese del ruolo di protagonista di scena nella moda. La moda si rende autonoma e ne esalta la dimensione più giocosa, il travestimento. Si viene a creare una varietà di stili e di informazioni. La caratteristica che prima vediamo è il modo in cui il tessuto è stato trattato: i lembi non sono rifiniti e sembrano essere stati strappati dal pezzo di stoffa. Gli abiti presentati da Yamamoto nelle sue prime collezioni parigine portano nel tagliuzzamento della materia, nell’intolleranza per la simmetria, nell’adeguamento di capi maschili/militari al corpo femminile, i segni visibili della frammentarietà del postmoderno. L’originalità sta nel confezionare artigianalmente

capi i cui stimoli creativi provengono da diverse fonti: dalle sottoculture; dall’eleganza sobria e funzionale delle giacche classiche, da giochi di linee e di volumi insoliti generati sovrapponendo asimmetricamente più tessuti o lo stesso tessuto più volte. Questo processo non consente più una categorizzazione definitiva del genere e dello status sociale di chi indossa questi capi. Non si capisce come possano essere beni di lusso. E’ un abbigliamento che deve essere messo a fuoco attentamente: per godersi l’originalità degli indumenti bisogna girargli intorno: è necessario cercare con l’occhio i particolari significativi messi in evidenza da chi indossa tali abiti. L’utilizzo di tessuti vintage coincide con il bisogno di rinnegare la perfezione estetica

delle superfici tessili per cercare una forma di bellezza diversa, che sembra rifarsi alla cultura del wabi-sabi che è l’arte del trovare bellezza nell’imperfezione. Per Yamamoto il guardaroba femminile funziona come quello maschile, arricchibile di nuovi pezzi, capaci di essere di moda senza passare di moda. Nei capi realizzati durante gli anni Ottanta sembra essere predominante la scelta di riprendere elementi dall’abbigliamento maschile: un modo per trasferire i simboli del potere maschile nella moda femminile. Nelle collezioni degli anni Novanta e quelle del Duemila però , Yamamoto si sposta verso un look, da uomo e da donna, che non facesse più leva sul genere di appartenenza e sul potere economico, realizzando un abbigliamento unisex,


fatto degli stessi capi (jeans, pantalone, camicia, giacca) e più vicino agli stili di strada. Quindi superata la netta differenza tra capi da donna e da uomo, egli ha portato il guardaroba femminile e maschile a essere apparentemente uniforme e a poter accostare più pezzi d’abbigliamento, secondo il proprio gusto. Ha creato capi che superano le divisioni della giornata, che oppone mattino a mezza sera, lavoro a tempo libero. Alcuni dei pezzi chiave delle sue collezioni sono il cappotto, la giacca, la mantella, la camicia, la tuta da lavoro, il pantalone largo, la salopette, il blazer, il tailleur (da donna e da uomo). Questi capi sono tutti caratterizzati dall’essere over-size. L’abito non deve essere indossato aderente, ma è una copertura

che prende il proprio spazio, che si adagia sul corpo. Si accentua così l’asimmetria. Successivamente dopo aver parlato dello stile, e della storia di Yamamoto parliamo degli abiti della collezione che ho scelto come modello per il mio progetto. Anche in questa sfilata il colore dominante è il nero e lo stile si può definire quasi unisex che punta all’anima e allo spirito di chi lo indossa. ‘’Sottrazione’’ è la parola chiave di questa sfilata. Si hanno anche delle modelle quasi asimmetriche. Gli abiti sono midi ovvero di media lunghezza, i colori usati oltra al nero sono il vermiglio, bianco e cemento. I materiali utilizzati sono la seta, panno, chiffon, pelle, maglia e feltro. Le forme come già detto nella sua storia sono over-size e asimmetriche. Gli accessori

infine sono guanti di pelle e stringate maschili.



GOSSIP Yamamoto & Yohji: un libro celebra il più eclettico degli stilisti: ROMA - A partire dagli anni ‘80, le sagome innovative e il design estetico rivoluzionario di Yohji Yamamoto lo hanno spinto nei più alti ranghi dell’avanguardia internazionale. Distinguen dosi per il suo approccio anti-moda,

lo stilista ha cambiato il volto del fashion contemporaneo, trasformandolo radicalmente con disegni asimmetrici e altamente concettuali in parte ispirati alla tecniche di produzione tradizionali del kimono giappone

se. Il libro «Yamamoto & Yohji» (Rizzoli Usa) esplora tutti i temi principali dei suoi quarant’anni di progettazione anti-moda. mostrando per la prima volta il suo lavoro non solo per il marchio Yamamoto, ma anche per


la sua etichetta Y e per varie collaborazioni nei campi dell’architettura, del cinema, dei videogiochi, della letteratura. Tra gli autori del volume, infatti, ci sono anche personaggi celebri come Wim Wenders regista, drammaturgo, autore e fotografo, Jean Nouvel, architetto francese, Charlotte

Rampling, attrice inglese e Takeshi Kitano, regista, cantante, attore, sceneggiatore, autore e poeta. Corredato dalle fotografie di Craig McDean, Inez & Vinoodh, Max Va dukul e Nick Knight, il libro è diviso in capitoli che elaborano ognuno un tema particolare: la sua filosofia sartoriale, le

estensioni influenti nel settore della scenografia, le sfilate, le mostre monografiche e il design di Yohji Yamamoto, uno degli stilisti piĂš enigmatici e iconoclastici del nostro tempo.


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Questo lato oscuro della vita è attraenteper me dall’inizio e lo sarà per sempre. Sono uno stilista pigro quando si tratta di colori.’’ -YAMAMOTO



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IL BRAND OGGI:

Yohji Yamamoto è nato a Tokyo, Giappone nel 1943. Dopo la laurea presso la Keio University con una laurea in legge nel 1966, è entrato Bunkafukuso Gakuin Design School e si è laureato nel 1969, in cui ha iniziato è brillante carriera come uno dei migliori designer di moda. Yohji iniziato Y di, la sua prima collezione femminile, nel 1972. Nel 1977 è stato conducendo sfilate a Tokyo. Collezione uomo di Y ha fatto il suo debutto nel 1979 – oltre alle donne di. Il designer ha continuato la sua carriera con la creazione della sua linea firma, Yohji Yamamoto, è stato creato nel 1981 che inizia con l’usura delle donne. Egli ha dimostrato che nello stesso anno per la prima volta a Parigi Fashion Week. New York Fashion Week ha seguito nel 1982 la prima collezione Uomo – Yohji Yamamoto Pour Homme – ha fatto il suo debutto

durante la settimana della moda di Parigi nel 1984. In aggiunta alle sue molteplici responsabilità linee di moda, Yohji ancora una volta ha rotto fuori area progettazione di costumi per opere come Madama Butterfly, Tristano e Isotta e Susanoo Opere 1990-1994. Il 1995 ha portato al rilascio di Yohji Yamamoto + Noir: una collezione che si basa su classici, sagome e pezzi senza tempo degli uomini dalla firma linea di Yohji Yamamoto. 1996, presentato il collezione Femme di Yohji Yamamoto a New York. Ottobre 2002 ha visto la nascita della cooperazione più influenti nello sport e della moda fino ad oggi con il lancio del / estate Y-3 uomini e femminile collezione primavera 2003. La “Y” sta per Yohji Yamamoto, il “3” rappresenta tre strisce adidas firma “e il” – “indica il legame tra i due. La collabo-

razione tra rinomato stilista giapponese Yohji Yamamoto e il marchio Adidas autentici ha rivoluzionato l’industria, la creazione di una nuova categoria di moda. Y-3 rappresenta il design, la vera arte, e il futuro in abbigliamento sportivo. La fusione di design innovativo, funzionalità sport, eleganza e artigianalità immacolato tutto accumulano al successo di Y-3 sin dal suo inizio oltre cinque anni fa. Oggi, Yohji Yamamoto continua a sconfiggere il normale con la sua creatività senza fine. Egli continua a mostrare durante la New York e Parigi Fashion Week con couture e le collaborazioni con i designer.




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