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Essere se stessi

A cura di Pier Paolo Pedrini www.pierpaolopedrini.ch

Be yourself; everyone else is already taken Sii te stesso; chiunque altro è già preso (Oscar Wilde)

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Anche nel canton Ticino si diffondono i coach, persone che dopo aver seguito un corso di tre o quattro settimane (spalmate in uno o due anni) hanno l’orgogliosa certezza di conoscere la soluzione al disagio e al malessere della gente. Senza mai andare in profondità alla scoperta delle motivazioni inconsce, altrimenti contrasterebbero con gli psicoterapeuti, le loro ricette per motivare a qualsiasi risultato si riducono a ben poco: inneggiano al cambiamento personale, condendolo di chiari e precisi obiettivi, raccomandando di valersi delle proprie risorse (“sono tutte dentro di te, tirale fuori!”), come se tutti ne avessimo, e altri mantra superficiali quali “dai che ce la fai”, ”pensa positivo”, “sii te stesso”...

Dicono tutti le solite cose per invitare a essere autentici, come se ciò fosse la fonte del benessere universale. Già lo psicologo svizzero C. G. Jung diceva che l’individuo deve avere l’aspirazione a sviluppare il proprio vero io.

Un’ambizione che è confermata da un recente libro dell’infermiera australiana Bronnie Ware in cui racconta le cinque cose che tutti i suoi pazienti avevano detto di rimpiangere una volta giunti alla fine della propria vita.

In ordine di priorità avrebbero voluto: • avere il coraggio di vivere restando fedeli a sé stessi e non vivendo come gli altri si aspettavano da loro; • lavorare meno duramente; • avere il coraggio di esprimere i propri sentimenti; • rimanere in contatto con i propri amici; • concedersi di essere più felici.

Ma nella nostra società l’autenticità è (ancora) possibile? Crediamo che essa, senza alcun compromesso, sia un ostacolo al buon funzionamento di qualsiasi rapporto.

Abbiamo tutti, più o meno, la sensazione di essere autentici (nonostante qualche puntuale ritocco estetico, anche solo alle foto), coerenti con i nostri principi, ma chi riesce a rompere con gli obblighi sociali e a vivere fedele al proprio io? Quante volte per il quieto vivere non replichiamo ai colleghi di lavoro, ai capi e soprattutto ai clienti?

Circola un’istruttiva vignetta che dice: “Un uomo saggio disse un giorno a sua moglie... nulla, perché era un uomo saggio”.

Spesso dispensiamo complimenti e fingiamo interesse per cose o persone che non ci importano affatto, ma solo per compiacere un’etichetta. Come testimoniò il giovane Holden di J.D. Salinger: “Continuo a dire “piacere di averla conosciuta” a persone che non ho affatto avuto il piacere di conoscere”. Eppure si vive. Il galateo suggerisce di non dire “piacere di conoscerla” a una persona che si vede per la prima volta, poiché sarebbe un piacere falso.

In sostanza abbiamo una limitata capacità di conoscere noi stessi, chi siamo e cosa vogliamo, perché sono molti i condizionamenti che ci vengono dall’educazione, dalla famiglia di provenienza, dall’ambiente che frequentiamo.

Tutto ciò può contrastare con i bisogni radicati nel nostro temperamento a favore dell’adattamento e dell’armonia sociale. Insomma, se vogliamo sopravvivere dobbiamo saperci adattare alle situazioni ed essere all’altezza delle aspettative altrui, a prescindere dal nostro vero io.

Un’autenticità in senso assoluto non può esistere.

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