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Lamezia e non solo

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Via del Progresso -

Lamezia Terme

A cura di: Davide e Donatella Galli

Autore: Italo Leone

Autore: Tommaso Cozzitorto

Autore: Elena Pisapia

Autore: Raffaele Gaetano

Autore: Costantino Fittante

Ultimi Libri Pubblicati in ordine di uscita

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Autore: Ciccio Scalise

Autore: Gianni Scardalaglia

NELLE LIBRERIE, NELLE EDICOLE, per info: 333 5300414

Non posso vivere senza libri! recitava così Thomas Jefferson Se anche per te è così,se hai un manoscritto, che sia una raccolta di poesie o di novelle, un romanzo, una biografia, un libro storico, il tuo diario, un libro che parla per immagini o, perchè no, i tuoi ricordi sui Social, e vuoi REALIZZARE IL SOGNO DI VEDERLO STAMPATO, anche con il codice ISBN che ne assicura la presenza nel Catalogo dei Libri in Commercio e cerchi un Editore che ti segua passo dopo passo, che ti aiuti nella stampa cartacea ed in quella digitale, che curi la correzione delle bozze, che ti aiuti nella promozione del libro CONTATTACI: 3335300414

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Lamezia e non solo


Lameziaenonsolo incontra

Maria Scaramuzzino

Nella Fragale

Maria Scaramuzzino, eclettica giornalista, donna intelligente e spiritosa, ospite della nostra copertina questo mese. L’intervista è ... frizzante, lei si è divertita ad essere intervistata, io ad intervistarla. Tra il serio ed il faceto, alternando domande e risposte profonde con qualcuna un po’ più leggera siamo giunte alla fine dell’intervista. A voi il piacere di leggerla!

Ciao Maria, grazie per averci concesso l’intervista innanzitutto e cominciamo con una domanda che ho fatto ad altri tuoi colleghi che ho intervistato: Come ci si sente “da intervistatrice” ad essere “intervistata”? Grazie a Voi che mi dedicate questo spazio sul Vostro seguitissimo giornale. Il ruolo di intervistata mi risulta un po’ strano, di solito sono io quella che ha il registratore o il microfono in mano. Raccontare se stessi è sempre una bella impresa! Vuoi presentarti a chi fra i nostri lettori, (anche se non credo ve ne siano), dovesse non conoscerti? Ho 53 anni, sono sposata con l’imprenditore Franco Colistra ed ho due figlie, Anna di 31 anni che è laureata in filosofia e Rossella di 25 che fa la mediatrice culturale. Sono lametina doc. Fiera ed orgogliosa delle mie origini, del mio essere ‘meridionale e meridionalista’. Sono giornalista pubblicista e faccio questo mestiere ormai da vent’anni. Amo il cinema, il teatro, la buona musica anche se la mia passione più grande rimangono i libri. Se potessi passerei il tempo a leggere e a fare nient’altro. “So di non sapere”, diceva Socrate e questo pensiero mi accompagna sempre. Mai sentirsi arrivati! Mai considerarsi ‘depositari della verità rivelata’. Sono del parere che bisogna sempre avere coscienza dei propri limiti; siamo esseri in continuo divenire che hanno bisogno di conoscere e formarsi, giorno dopo giorno. I libri sono i

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giusti compagni di viaggio sulla via della conoscenza. Oramai sei una giornalista affermata ed al passo con i tempi, tv, carta stampata e rete ma come hai iniziato? Quale è l’iter che hai dovuto seguire per farti spazio in questo settore? Insomma, racconta a chi ci legge i tuoi esordi. Ho iniziato nel 1997 con lo storico periodico Reportage della famiglia Arcuri. Poi ho collaborato per qualche anno con l’ufficio diocesano delle Comunicazioni sociali; ho scritto per il quotidiano nazionale Avvenire e per il sito web Calabria Ecclesia Magazine, il portale che mise in rete tutte le realtà diocesane calabresi. Per l’epoca, una realtà unica nel suo genere. La mia curiosità, la voglia di fare esperienze lavorative sempre nuove, mi ha poi portato a vivere collaborazioni con testate giornalistiche diverse. Sono corrispondente per la Gazzetta del Sud dal 2004, ho collaborato e collaboro con agenzie di informazione nazionale. Sempre dal 2004 ho voluto cimentarmi anche col mezzo televisivo; un’avventura che mi ha portato a lavorare per emittenti locali e regionali: da City One a Calabria Tv a Video Calabria. Attualmente conduco un programma su Zapping Tv dal titolo “Ciascuno a suo modo” che mi sta dando grandi soddisfazioni. E’ una ‘finestra’ sulla realtà quotidiana che viviamo, una voce libera che la gente sta mostrando di seguire con attenzione ed interesse. Naturalmente mi sono misurata anche con l’informazione

che corre veloce sul web, collaborando con diverse testate. Diciamo che il mio è un curriculum ‘eclettico’: non mi sono mai fermata. Mi sono sempre messa in gioco perché fare il giornalista, oggi, vuol dire fare informazione stando al passo con i tempi, vuol dire saper usare tutti i mezzi che la tecnologia mette a disposizione. E’ stato un percorso difficile, molte sgomitate per il fatto di essere donna? Sì. E’ stato e continua ad essere un percorso tortuoso e difficile. Essere donna, ancora oggi, vuol dire conquistarsi con sudore e fatica ogni traguardo prefisso. Ho fatto una scelta ben precisa: non avere né padrini e né padroni e non me ne sono mai pentita. A volere tenere sempre la schiena dritta si prendono tanti calci in faccia ma non si perde la dignità!. Secondo te, per essere buoni giornalisti bisogna frequentare una buona scuola del settore oppure essere “culturalmente” preparati e farsi esperienza sul campo? Frequentare una buona scuola è basilare. La formazione non deve mancare a chi vuole fare bene il proprio lavoro, in qualsiasi ambito e in maniera particolare nel settore dell’informazione. C’è da dire però che quello del giornalista non è un mestiere da scrivania, da ufficio. Questo è un mestiere che si impara sul campo; è una professione affascinante proprio perché ogni giorno non c’è mai una notizia uguale all’altra. Non è un lavoro per chi vive di orari fissi e di solite abitudini!.

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Parole tronche che vengono accentate, accenti sostituiti dagli apostrofi, puntini sospensivi che non si sospendono mai. Ma di un giornalista che non usa queste semplici regole cosa dobbiamo pensare? Dobbiamo pensare che non sa scrivere e che dovrebbe tornare a scuola per imparare la grammatica. Oppure sarebbe meglio se cambiasse mestiere. E per essere un buon giornalista come deve essere data la notizia? Mi spiego, enfatizzare un articolo non è aggiungere una propria opinione personale alla notizia stessa che quindi smette di essere “solo notizia”? La regola che perseguo sempre è quella dei ‘fatti non le opinioni’. Alla gente che legge un articolo o guarda un servizio in televisione, interessa la notizia che deve essere riportata con obiettività e non le personali idee del cronista. C’è un/una giornalista che è stato per te fonte di ispirazione o che ammiri in modo particolare? Ho sempre avuto grande ammirazione per Enzo Biagi e Oriana Fallaci. Due intellettuali con una formazione completamente diversa ma due grandi professionisti che hanno lasciato il segno nel mondo dell’informazione contemporanea. Se la “rete”, internet, per intenderci, ha facilitato la diffusione della notizia, dall’altra parte ti mette continuamente in pericolo per via delle famose “fake news”, visto che anche TV e testate internazionali ne sono vittime ti chiedo: come mai è così difficile individuarle? E’ difficile individuarle perché spesso vengono messi da parte i criteri basilari che sono a fondamento della corretta informazione. Le fake news sono ‘figlie’ della superficialità, del pressapochismo, dell’improvvisazione: emblema di chi ha

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mandato a farsi benedire la deontologia professionale. Carta stampata e web, il linguaggio cambia? Sì, il linguaggio cambia. Cambia lo stile. Sul web hanno sicuramente più ‘appeal’i pezzi brevi. Gli articoli lunghi, i famigerati ‘lenzuoli’ non li legge nessuno perché stancano. Quindi la notizia deve essere concentrata, deve rientrare in uno spazio limitato. Anche gli approfondimenti, vanno ‘scaglionati’ per permettere ai lettori una migliore fruizione. Ma Twitter, FB, i vari bloggers, sono di aiuto alla notizia o sono deleteri? I social sono sicuramente d’aiuto. Spesso una notizia arriva prima su Facebook o su Twitter che in redazione. Tuttavia non va bene l’uso scorretto che si fa dei social che si trasformano spesso in uno ‘sfogatoio’, una bolgia infernale fatta di ‘soloni’ dell’ultima ora che sanno tutto, che sentenziano ma che in realtà sono esperti del nulla. Aveva ragione Umberto Eco, il quale diceva che i social hanno dato voce agli imbecilli. Hai collaborato e collabori con numerose testate, sei stata protagonista, come giornalista, di numerosi eventi di rilievo, un ricordo particolarmente bello? Ed uno che, anche se non brutto, ti ha lasciato l’amaro in bocca? Vent’anni di lavoro sono tanti e sono tanti anche i ricordi, soprattutto quelli amari che hanno lasciato un segno indelebile, ma ricordarli non è proprio il caso. Anche perché l’elenco è lungo e non finiremmo più! Un momento sicuramente significativo del mio percorso professionale è stata la collaborazione con l’ufficio diocesano delle Comunicazioni sociali per la preparazione della visita di Papa Benedetto XVI, nell’ottobre del 2011. Per un anno mi sono occupata della comunicazione dell’evento, lavorando ‘gomito a gomito’ con la sala

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stampa vaticana. Si è trattato di un lavoro certosino e complesso: il Papa non è solo il massimo rappresentante del mondo cattolico ma anche uno dei capi di Stato più importanti e potenti del pianeta. E’ stata un’esperienza faticosissima ma molto appassionante, finita nel migliore dei modi: l’encomio pubblico degli uffici pontifici. Se ti dico “deontologia giornalistica” che mi rispondi? E se ti dico “etica giornalistica”? Etica e deontologia camminano a braccetto indicando al giornalista non solo i suoi diritti ma anche i suoi doveri. Appellarsi al diritto di cronaca non basta, questo mestiere ha delle regole ben precise che vanno rispettate e che vanno applicate per ogni notizia da diffondere. E se ti dico “notizia”? Si riesce ancora oggi a fare lo “scoop” prima che la rete la divulghi? Sì, ancora si riesce a fare lo scoop, anche se effettivamente è guerra aperta con i social che arrivano prima di agenzie e testate blasonate. Ma quanto è difficile fare il giornalista oggi? Tiziano Terzani ha detto: “Il giornalismo è una missione, ma l’Italia ha pochi missionari” io aggiungo che ha pochi missionari ma molti giornalisti, tu cosa ne pensi? Fare il giornalista è difficile ma credo che nessun mestiere sia facile, specialmente al giorno d’oggi, in una ’società liquida’ come l’ha definita Bauman. Concordo con Terzani, fare informazione, essere dei buoni e corretti comunicatori, è una missione. Soltanto credo che lo spirito missionario sia molto raro. Un consiglio ad i giovani che volessero intraprendere il mestiere del giornalista? Ai ragazzi che vogliono fare questo mestiere dico sempre di pensarci bene perché fare il giornalista vuol dire non

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avere orari, lavorare durante le feste, stare poco a casa. Questo mestiere ti ruba il tempo, la famiglia. Il giornalista non deve risparmiarsi. Se non si è pronti a questo sacrificio continuo, è meglio orientarsi su altre professioni. Ora lasciamo da parte il giornalismo e parliamo degli altri tuoi innumerevoli interessi: presentatrice, organizzatrice di spettacoli, cosa ti affascina di questo mondo nel quale sembri essere perfettamente a tuo agio? Cinema, teatro, musica sono il mio diversivo dopo una dura giornata di lavoro. Presentare, condurre, moderare: anche in questo caso ho sempre detto ‘sì’ a tutte le nuove iniziative che mi si sono presentate. Anche questo è un modo per conoscere sempre meglio la realtà in cui si vive, per ampliare la rete delle proprie relazioni. Volontariato, so che è una parola a te cara e che fa parte della tua vita, ce ne vuoi parlare? Il mondo del sociale è uno dei soggetti preferiti dei miei articoli o dei miei servizi televisivi. Conosco tante e bellissime realtà del mondo del volontariato: uomini e donne che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie competenze per sostenere le persone svantaggiate, quelli che sono ‘gli anelli deboli’ della nostra società. Seguo e apprezzo il mondo del volontariato perché riesce a colmare quei vuoti, quelle

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‘voragini’ create da enti e istituzioni non all’altezza del loro compito. Ora andiamo un po’ a scavare nell’intimo della donna e non della professionista, cominciamo con la famiglia, quanto è importante per te la famiglia? La famiglia è il mio rifugio. La famiglia è il gradino più in alto della piramide. La famiglia è la mia priorità. Amo smisuratamente il mio lavoro, i miei tanti interessi, ma prima vengono i miei affetti più cari”. Amore … e l’amore che ruolo gioca nella tua vita? Credi nel “vissero felici e contenti?” L’amore, a mio avviso, deve essere prima di tutto amore per la vita. Se ami la vita, e io la amo visceralmente, tutto viene vissuto con un’ottica particolare, compreso il rapporto con l’altro sesso. Naturalmente non credo alla favola del ‘vissero felici e contenti’. Io e mio marito siamo sposati da 33 anni, un matrimonio lunghissimo in cui la vita non ci ha risparmiato nulla, mettendoci davanti a prove durissime: lutti familiari, malattie gravi, crisi economica e tanto altro ancora. Dopo tanti anni siamo ancora qua perché il sentimento che ci ha uniti da giovanissimi col tempo è maturato, è diventato un sentimento adulto. Il dolore feroce che ha segnato le nostre vite non ci ha allontanato, non ci ha messo l’uno contro l’altro ma ci ha fortificato. Non

siamo stati ‘molto felici e molto contenti’ ma siamo ancora qua, se questo è amore… giudicate Voi! Amici, un amico vale un tesoro, recita una massima, ma esistono ancora gli amici veri a tuo parere? Quelli che ci sono e che hanno il coraggio di dirti in faccia quando sbagli proprio perché ti vogliono bene? Guai se non ci fossero gli amici! Io, mio marito, le mie figlie, non potremmo vivere senza gli amici del cuore! La nostra casa è sempre piena di gente, delle persone che amiamo. Naturalmente il vero amico deve dirti in faccia quello che pensa, altrimenti non è un vero amico. Se stimi una persona devi ‘parlare chiaro’; le pugnalate alle spalle non sono roba da amici sinceri e leali. Per il tuo lavoro hai dovuto sacrificare qualcosa? Beh, diciamo che per me non esiste il tempo libero La religione? La fede? L’essere democratici in questo settore non ci ha penalizzati? Penso a chi ha una fede diversa e viene in Italia e pretende che non si facciano le recite natalizie e che si tolgano le croci dalle scuole e a noi italiani che accettiamo, sia pure fra qualche protesta e, per contro, penso agli italiani che trovandosi in paesi stranieri

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debbono chinare il capo ed adeguarsi senza pretendere nulla. Diciamo che la democrazia spesso è degenerata in permissivismo sconsiderato. Diciamo che la libertà di culto e di pensiero è diventata libertinaggio, senza cognizione di causa. Femminicidio, se ne parla tanto ma mi pare che i provvedimenti tardino ad arrivare, le vittime, per la maggior parte, sono donne che avevano già denunciato ma che non sono state tutelate, è così oppure ho letto male? Sì, molte donne vittime di femminicidio avevano già denunciato il loro aguzzino ma il loro grido d’aiuto è rimasto inascoltato. Spesso i ‘campanelli d’allarme’ non vengono tenuti nella giusta considerazione. Questa società che si dice civile e democratica deve ancora fare tanto cammino per la salvaguardia dei diritti delle donne. Ed a proposito di donne, da donna stento a credere a tutti questi rigurgiti postumi di gente che arrivata all’apice del successo denuncia. Dove era l’orgoglio quando pur di arrivare si sono sottomesse? Denunciare molestie e vessazioni dopo dieci o vent’anni è un fatto che mi lascia perplessa. La violenza va denunciata subito. Tutto il resto è solo polverone alla ricerca di nuove ribalte mediatiche per riconquistare una popolarità perduta. Politica … una tua opinione sulla politica in generale? Politica? Basta guardare le liste per le prossime elezioni politiche e la risposta viene da sé. Non credo che la politica, quella vera, che si occupa di gestire la ‘cosa pubblica’ per fare il bene comune alberghi ancora in questo nostro Paese. Non posso non chiederti un pensiero sulla nostra città, meritavamo quanto ci pag. 6

è successo? Il terzo scioglimento per mafia è stato devastante. La città non è mai stata in queste condizioni, siamo ridotti ai minimi termini. Urge un sussulto, uno scatto d’orgoglio dei lametini che non possono più subire passivamente questa situazione di degrado morale, politico, sociale unitamente ad una crisi economica che ormai da molti anni ha messo in ginocchio il settore produttivo locale. Certo, Lamezia meritava ben altri traguardi e non questo smantellamento continuo e inesorabile. Palazzetti, teatri, luoghi di ritrovo che vengono chiusi da un giorno all’altro, ma dove siamo vissuti fino ad oggi? Dove siamo vissuti? In una città che è stata venduta e nemmeno al miglior offerente. Una ‘svendita’ che si è consumata lentamente in tanti anni e che ha prodotto lo sfascio a cui oggi assistiamo!. Il tuo sogno nel cassetto? Beh, nel mezzo del cammin della mia vita posso dire che ho realizzato tanti sogni della mia gioventù: ho una splendida famiglia e tanti amici che mi ritrovo sempre al mio fianco, ‘nella buona e nella cattiva sorte’. Faccio il lavoro che fin da bambina ho sempre desiderato fare. Quindi il sogno è già uscito dal cassetto e si è già realizzato!

sentimenti. Vuol dire avere quell’affinità elettiva, quell’empatia che rendono più ‘leggera’ la vita e più sopportabili gli affanni quotidiani. Un’altra intervista è giunta al termine, come al solito, mentre rileggo, le domande non fatte mi si accavallano nella mente, non le ho chiesto se ha intenzione di scrivere un libro, non le ho chiesto se ama gli animali e se ha paura di qualcosa, se ... l’elenco potrebbe diventare più lungo della stessa intervista. Al solito! Le mie considerazioni leggendo fra le righe? Che è intelligente e spiritosa, ironica, l’ho già detto, aggiungo che è una donna colta e te ne accorgi parlandole non perchè lei lo ostenti, questo, sicuramente, la aiuta ad essere una buona giornalista. Ho l’impressione che ami l’amore nel termine più puro della parola e per lei un bicchiere non è mezzo vuoto ma mezzo pieno. Un grande dono questo! Condivido parecchie delle risposte che ha dato ed in particolare l’amore verso i libri, verso la lettura! La frase per lei è di Sonne Suavis, spero vi si ritrovi “L’arte del saper vivere?... Avere gli occhi di chi ne ha passate tante e il sorriso di chi le ha superate tutte”

Concludiamo, come sempre, con la domanda alla Marzullo: La domanda che non ti ho fatto e che avresti voluto ti facessi, fatti la domanda, dacci la risposta Non mi ha chiesto se so cucinare! Ebbene sì, nei pochi momenti liberi mi diletto anche ai fornelli! Preparare dei bei pranzetti o delle cenette sfiziose per le persone che amo, per i miei cari amici, è un modo per staccare dal lavoro, dalle preoccupazioni. Ritengo che stare insieme a tavola non voglia dire solo consumare delle pietanze ma condividere emozioni e GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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i lavori di domani

Diventare Wedding Planner si può, anche a Lamezia Terme, grazie a due giovani ed intraprendenti lametini: Giovanni Solla e Debora Matarazzo li abbiamo incontrati per un’intervista lampo che vi incuriosisca e vi lasci il desiderio di saperne di più Cambia il mondo intorno agli eventi. Una passione che diventa professione. Chi di noi non ha mai desiderato organizzare o magari realizzare per se stessi un evento dall’inizio alla fine? Ecco cosa ne pensano Giovanni SOLLA e Debora Matarazzo, gli organizzatori del corso per aspiranti wedding planner a Lamezia Terme.

che un”idea si esprima al meglio. Domanda: quali sono questi elementi?

Giovanni: la passione è sempre e comunque alla base di qualsiasi attività imprenditoriale. Ma può non bastare. Anzi a volte può portarti lontano dall’obiettivo.

Giovanni: uno su tutti è la conoscenza della materia Poi l’esperienza Mi piace ricordare una frase che soleva utilizzare il compianto. chef Gualtiero Marchesi che recitava così: ”l’ improvvisazione presuppone la conoscenza della materia”, Quando passione e conoscenza della materia si uniscono tra di loro non può che nascere un mix quasi perfetto. Uno degli obiettivi del nostro corso per aspiranti wedding planner è quello di trasformare la vostra passione per l’organizzazione di eventi in un vero e proprio lavoro. Il corso è aperto a tutti senza limiti di età.

Servono dunque altri ingredienti oltre alla passione?

Domanda : com’è strutturato il vostro corso?

Debora: la passione è il filo conduttore che anima ogni imprenditore tuttavia è normale che servano altri elementi per far in modo

Debora: intanto è bene sottolineare che il corso è tenuto dalla manager Jessica Pietrantuono, ingegnere gestionale della Wine&White , sommelier nonché affermata wedding planner. Il.corso è articolato in tre giornate full time nelle quali verranno trattati i seguenti argomenti. Nozioni sull’avvio dell’attività. Fidelizzazione Fornitori, Allestimenti floreali, Mise en place. Il tutto avrà luogo nella stupenda location “Le terrazze di Villa Giulia” di Falerna. Qui di seguito riportiamo gli indirizzi mail per aver maggior informazioni e.dettagli sul corso.

Allora, come si fa a diventare buoni organizzatori di eventi?Basta la passione?

Giovannisolla@virgilio.it Debora.matarazzo@libero.it Carpe diem Ad maiora A fhini i l’ottucentu, a SsantaFhemia Marina, fhiciru chilla, “Ormai cuviruta”, banchina, i bastimenti, carrichi i rrobba vinianu, e carrichi i vinu, uagliu e ggranu, sì ndì jianu.

SANTAFHEMIA

I chilli tiampi a Nicastru, di terri luntani, avianu arrivatu i cummircianti, “Amarfitani”, e tuttu chillu chi bastimenti purtavanu, illi ppì llù rivindiri, s’accattavanu.

SAMBIASI

Sambiasi, Ngrazzia i Ddiu, vinu uagliu e granu, pruducia,, è, a cchilli marinari, tuttu vindia, chisti, dopu chi ogni ggrubbu linchjianu, mintianu a puppa allu viantu e ppartianu. SantaFhemia paisi, tandu mancu cc’era, era nnù pantanu, Mussulini, a cchill’era, a mmanu là bbunifhicatu, e llù paisi chi cc’è oji, è nnatu. A storia i stì trì ppaisi, è rrara, ognuna a mmodu sua, ppì Llamezia, è nnà cosa cara, Lamezia e non solo

NICASTRU pirchì chini di luntanu ccà vinia, truvava a cchini accattava e a cchini vindia. Nicastru, ccù llù cummerciu, sà sbiluppatu, Sambiasi, fhatigandu a terra, arriati unn’ha rristatu, SantaFhemia, ccù llù mari e llà fhirruvia, di tuttu stù muvimentu, ndì gudia.

Di solitu, l’unioni, sempri fhorza ha ffaciutu, mà, stà regula, ccù nnua unn’ha bbalutu, pirchi, chilli pirsuni chi cridiamu ‘ntelliggenti, nua n’hamu fhidatu, mà, Illi unn’hanu fhattu nenti. Cumu eranu belli stì trì cculturi, unifhicati, sì, i pilitici tutti, unesti fhussiru stati, mbeci nò, ccù pprusupupea e ccualli tisi, hanu tinutu i SPALLI izati alli Catanzarisi. Lijiandu, ancunu si nsurfa e ancunu riderà, mà, si ccì pinzati bbuanu, chista è llà virità. 28 0ttobre 2017

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Ciccio Scalise

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Spettacolo VACANTIANDU: SUCCESSO PER LA COMMEDIA IN VERNACOLO PUGLIESE

LA BANDA DEGLI ONESTI

Uno spettacolo esilarante in vernacolo pugliese ha divertito il pubblico del teatro Grandinetti di Lamezia Terme, che ha assistito alla commedia in due atti “La banda degli onesti” di Antonello Avallone, con la regia di Silvano Picerno, nell’ambito della rassegna regionale “Vacantiandu”, organizzata dall’associazione culturale “I Vacantusi”, sotto la direzione artistica di Nicola Morelli e Diego Ruiz, e direzione amministrativa di Walter Vasta. Una rivisitazione del famosissimo film di Totò, offerto però in chiave moderna: la banconota da 200 euro che devono stampare i tre protagonisti sventurati della banda rivela infatti l’attualità dell’ambientazione che, con ritmo elevato, rende lo spettacolo accattivante e ricco di colpi di scena. Una commedia leggera, che ha divertito molto il pubblico, soprattutto quando gli attori si sono lasciati andare al dialetto pugliese e quando hanno inserito nel loro copione passaggi legati alla vita cittadina di Lamezia Terme. Bravi tutti gli attori sul palco, che con la loro verve e la loro mimica perfetta, sono riusciti a tenere sempre alto il ritmo in scena. Tutto ruota intorno al portiere morto di fame di nome Antonio, interpretato da un bravissimo Silvano Picerno, che ha ereditato l’occorrente per fabbricare biglietti da 200 euro da un ex incisore della Zecca. Così, l’uomo convince il tipografo Giuseppe Lo Turco, magistralmente interpretato da Leo Coviello, e il pittore Tommaso Cardoni, interpretato dal bravissimo e promettente Giorgio Zuccaro, ad pag. 8

aiutarlo a fabbricare le banconote. Dopo diversi tentativi di convincimento, soprattutto per necessità impellenti dei tre “amici”, il portiere, il tipografo e il pittore si recano nella bottega del

tipografo e iniziano a stampare le prime banconote da 200 euro. I tre non riescono però subito a “piazzare” i soldi falsi, perchè la loro onestà tenta di prevalere sulla disonestà. Alla fine, è toccato ad Antonio spacciare la prima

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ed unica banconota falsa, utilizzata per acquistare una schiuma da barba in una tabaccheria. Ma appena torna a casa, il portiere scopre che suo figlio Michele (interpretato da Pasquale Ceglie), che è finanziere, è stato trasferito dal Veneto proprio nella sua città e a lui è stato affidato l’incarico di trovare la banda di falsari presente in città. Ecco perchè alla fine, Antonio convince i suoi complici a desistere dall’impresa e non spacciare più banconote false. Anche se in realtà, nessuno dei tre del gruppo era riuscito a mettere a segno questo intento di spacciare soldi falsi, in quanto la loro onestà è prevalsa su tutto. In carcere è invece finita un’altra banda di falsari, che operava prima di loro e in modo più capillare. Il tutto, arricchito dalla superba interpretazione di altri due personaggi, che hanno resto ancora più divertente la commedia: il ragioniere Matera (interpretato da Michele Santomassimo) e Olga (interpretata da Antonella Macella) moglie tedesca del portiere.

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Spettacolo

Due giorni in Pretura”

Risate a gogò per questa simpatica commedia della che sorprende in continuazione per la sua bravura; Lorena Muzzupappa nel doppio ruolo della Mina del stagione teatrale “vacantiandu” 2017/18 Sud e della mamma di Santina, insuperabile nel ruolo A dimostrazione di come a far divertire non servono dell’aspirante diva alle prese con i selfie, e straordinaria grossi nomi ma bravi attori. rel ruolo di mamma bigotta, Gianni Santoro; avvocato Scipione alle prese con la declamazione di dotti detti La mimica, il modo di muoversi di parlare, i loro stessi che spesso poco c’entravano con la difesa: Sandro Fucà improbabili vestiti hanno fatto sì che il suono di risate avvocato Nonloso e… mai nome fu più azzeccato! e poi d puro divertimento riecheggiasse spesso per la sala. ancora Pino Tramonti, Domenico Bottiglieri, Gregorio Collia, Achille Rosarno, Claudia Tagliafierro, Rebecca La storia, anzi, le storie? Quasi inesistenti, solo una Labate, Michele Tagliafierro scusa per fare incontrare sul palco i personaggi, pronti a darsi battaglia, ma non troppo, alle prese più con i loro problemi personali che con la causa di cui erano doppiamente “attori”. Il lieto fine, quasi d’obbligo, non ha sorpreso nessuno. Tutti felici e contenti, tutto risolto con una stretta di mano e … con un matrimonio! Tredici i personaggi in scena: Giuseppe Cannatà: il giudice sull’orlo d un esaurimento di nervi; Marilena Reitano: la cancelliera alla ricerca del vero amore che corteggia il giudice ed alla fine riesce a farlo capitolare; Mimmo Cannizzaro: Calimera arzillo contadino

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Associazionismo

La Via dell’Angelo Interessante incontro presso la sede di Lamezoa Terme dell’UNITER, argomento: gli Angeli, a relazionare Vittoria Butera e Maurizio Carnevali che hanno dialogato sulle immagini di angeli, di vari artisti, che si susseguivano sullo schermo. Riportiamo la relazione di Vittoria Butera La mostra La Via dell’Angelo vede la partecipazione di 20 artisti con opere perlopiù pittoriche ma anche scultoree e fotografiche. Sono artisti di formazione diversa e ognuno, per questa operazione, si è ispirato ad un ambito diverso: storico-antropologico, devozionale, simbolico. Ne risulta una ricchezza di valenze e di stili che scaturisce sia dalla creatività degli artisti, sia dal nutrito mondo del personaggio alato, presente sin dall’antichità come intermediario tra cielo e terra. Il nome angelo, infatti, derivando dal greco anghèllo che vuol dire annunciare, gli attribuisce il ruolo di ambasciatore e apre ad un mondo vasto di percezioni e di riflessioni. La ricchezza dielle connotazioni della figura dell’angelo ha convinto gli artisti di L Via dell’Angelo a farne il manifesto del loro progetto della rifondazione dell’arte figurativa coniugando il recupero delle peculiarità tradizionali con la modernità, lo spirito contemporaneo con il senso percettivo ed estetico dell’arte classica, e nello stesso tempo guarda al futuro. Pur nella varietà delle ambientazioni e degli stili, la mostra contiene un’unità di intenti, comunicata dalla forma: una forma definita, che trasmette con immediatezza l’idea di sé. Si afferma cioè lo stile figurativo tramite un soggetto fortemente evocativo che sollecitando la percezione fa cogliere non solo i messaggi lampanti ma anche quelli dietro l’immagine. Il messaggio è rivolto allo spettatore, ma è specialmente un invito agli artisti affinché ritornino alla pittura formale, un invito forte, amplificato dalla ripetizione dell’immagine. Più che a un ritorno, questi artisti pensano a una rifondazione della pittura sulla forma, recuperando il senso estetico e percettivo, le emozioni, le funzioni dell’arte, tra cui quella sociale di indicazione delle mete da raggiungere. Non si può operare in modo indipendente dalla società, perciò l’arte tornando al figurativo deve relazionarsi con i fenomeni attuali di rivoluzione geo-antropica, con i problemi ecologici, con le innovzioni tecnologiche e le entusiasmanti scoperte scientifiche nell’universo; deve in particolare coniugare la propria cultura con le culture monddiali che si sono aperte nello scenario globale recuperando le civiltà minacciate. pag. 10

L’arte figurativa, inoltre, viene proposta come salvaguardia del patrimonio ideologico e creativo europeo nell’ambito omologante dell’arte contemporanea, come difesa delle peculiarità della nostra cultura e delle emozioni che vi sono connesse. La figura dell’angelo suscita il problema dell’intermediazione tra il mondo del sacro e quello umano, due dimensioni troppo diverse per potersi incontrare secondo l’ideologia del mondo antico, che immagina il cosmo suddiviso nelle varie sfere degli elementi che lo cotituiscono. Cosmos vuol dire ordine, da cui derivano l’armonia e la bellezza. La commistione delle sfere comporterebbe il regresso nel caos, perciò il sacro non può sovrapporsi all’umano. La stessa parola sacro nelle lingue antiche contiene forti ambivalenze: sia il latino sacer che il greco aghios hanno i significati contrastanti di sacro e di terribile, di divino e di impuro. Entrare nello spazio del sacro per l’uomo antico era contaminante, correva il rischio di rimanere intrappolato in un ambito alieno, di essere stravolto dalla diversità. E infatti il loro personaggio alato Hermes (Mercurio) si presenta sotto spoglie umane, perché, dice Hera nell’Iliade, è pericolosissimo per l’uomo vedere in faccia un dio. Gli dei olimpici inviano i loro messaggi tramite segni decodificabili: il tuono, il fulmine, gli uccelli, le voci della natura; tutto comunicava la volontà degli dei, che evitavano il contatto diretto. Soltanto le persone addette al culto potevano entrare nel sacrario dove il dio era vivente nella sua statua. I fedeli restavano nell’area antistante, lo spazio profano (pro phanum cioè davanti al tempio). Il cristianesimo ha mantenuto le distanze. Pur affidandoci la custodia della figura alata, non si può cogliere con i sensi: nessuno vede, tocca o sente il suo angelo custode. Il contatto tra i due mondi rimane problematico anche nello spazio sacro: la chiesa cristiana è separata da un sagrato, da una piazza attraverso cui il fedele si prepara all’ingresso nel sacro, che comunque prevede dei riti: velarsi, segnarsi con l’acqua santa; i musulmani si scalzano. Restando nell’ambito storico della nostra cultura,

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un’altra riflessione deriva dal racconto biblico che fa degli angeli le prime creature paradisiache. Esseri che, essendo stati creati da Dio, immaginiamo costituiti dal bene; ed invece ptoprio loro si ribellano perché vogliono essere ome Dio, vogliono essere Dio. Un peccato di superbia, che costringe il loro creatore a sprofondarli in un baratro infuocato. Il male è un problema dibattuto dalla filosofia, dall’etica, dalle religioni, ma trovarne la scaturigine nella natura degli angeli rende complessa la loro figura. La necessità di rifondare l’arte pittorica deriva dall’allontanamento operato dall’arte contemporanea, che ha reciso le radici culturali, mirando in modo esasperante alle novità. La novità ad ogni costo è una necessità del consumismo; nuovi modelli di vestiti, nuovi oggetti, nuovi stili di mobili sono uno strumento per produrre di più e per vendere, ma l’arte non può seguire questa logica. Non si può negare all’arte contemporanea aspetti importanti: la funzione di stimolo all’innovazione; esprimere le incertezze sociali delle nuove generazioni tramite il carattere minimalista e provvisorio della maggior parte delle opere prodotte. Nella sua frammentarietà e con la precarietà dei materiali usati, l’arte contemporanea evidenzia aspetti concreti della nostra società; anche l’utilizzo di materiali usuali, reperiti persino tra i rifiuti, denunciano aspetti e situazioni delle nostre città, spesso sommerse nella spazzatura. L’arte però ha una dimensione universale, perciò non può contenere soltanto la denuncia dei fenomeni, ma le spetta la funzione costruttiva di guida, deve indicare obiettivi da conseguire, vie da sperimentare. L’artista è da sempre un visionario; è compito suo guidare la società verso soluzioni e nuove mete. All’arte contemporanea manca l’essenza dell’arte, che si nutre di fascino, di emozioni, di estetica; le manca l’anima; le manca specialmente il respiro della durata, anzi di eterno che costituisce il filo conduttore della Storia dell’Arte. Sin dalle sue origini, l’arte è connotazione di durata nel tempo, avendo il ruolo di veicolare la sensibilità estetica dell’individuo e le ideologie delle popolazioni, di collegare le genti nello spazio e nel tempo trasferendo le tecniche e le conquiste realizzate. L’arte esprime l’essenza delle epoche. La sua storia porta fino a noi l’evoluzione culturale, spirituale e sociale dell’uomo: il carattere magico dell’uomo preistorico ci pervenire con le figure rupestri di Altamira, Lascaux, ecc.; la concezione statica dell’uomo arcaico è espressa nei Kouroi dell’antica Grecia; l’acquisita consapevolezza del panta rei che si esprime nel dinamismo scultoreo del’acropoli di Atene; la presa di distanza del divino espressa dall’iconografia bizantina con immagini sacre tanto distanziate dall’umano che sembra annullare l’assioma biblico dell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio; e poi, la centralità dell’umano nell’arte rinascimentale; l’immersione del divino nell’umano nell’arte barocca; la connessione di arte e scienza nell’800, ecc. L’arte cioè è storia, storia dello spirito e della realtà. Tutto questo è possibile tramite la pittura figurativa: da qui la necessità avvertita dai nostri artisti di contrapporsi alla nuova iconoclastia praticata dall’arte contemporanea; da qui il bisogno di rifondare la pittura figurativa come linguaggio, bellezza, rappresentazione concettuale o formale dell’esistenza, sintesi iconica di percezioni sinestetiche, di ripercussione emotiva delle memorie.

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50 ANNI LAMEZIA TERME

Le ”celebrazioni” per il 50mo anno della creazione di Lamezia Terme. Alcune brevi considerazioni. COSA C’ERA DA CELEBRARE? Si sono conclusi da qualche giorno le “celebrazioni” per il 50mo anniversario della creazione di Lamezia Terme. Già il sostantivo “celebrazioni” per indicare le manifestazioni, che sono consistite, per lo più, nella presentazione e nella premiazione al Teatro Grandinetti tra il pomeriggio e la sera del 4 gennaio scorso di alcune iniziative realizzate da scuole e associazioni per questa ricorrenza, la dice lunga sulla divaricazione che c’è stata tra ciò che è andato in scena al teatro comunale e le condizioni attuali della città, da una parte, e il totale disinteresse della popolazione lametina per la manifestazione nel suo complesso, dall’altra. Mi chiedo, infatti, e penso che se lo chiedano parecchi altri nostri cittadini (se lo è chiesto, per primo, Fabrizio Falvo, che si è dimesso dal comitato di cui faceva parte...) cosa ci sia stato da celebrare o, addirittura da festeggiare (come inopportunamente hanno scritto nei loro articoli di cronaca alcuni corrispondenti dei quotidiani locali cartacei ed on-line...) in una città nella quale, in soli 50 anni di esistenza e sul totale di dieci consiliature, il massimo organo rappresentativo della volontà popolare, il consiglio comunale, è stato sciolto per ben sette volte; in tre delle quali (in soli 26 anni) lo scioglimento è stato causato da infiltrazioni ’ndranghetistiche. “Lamezia non è una città mafiosa, ma laboriosa e formata in maggioranza da gente per bene”. Lo sappiamo bene noi, che ci viviamo, ininterrottamente, fin dalla nascita. Non c’era bisogno che ce lo proclamassero dal palco del Teatro Grandinetti. Siamo però anche convinti che la città è caratterizzata da una diffusa cultura dell’illegalità che si traduce in una propensione continuata ad infrangere le regole della convivenza civile e sociale; da qui, da questa cultura diffusa tra la gente, si generano e vengono adottati comportamenti, piccoli e meno piccoli, che si situano al di fuori delle norme di una consapevole, sana liceità dei propri atti. Se è vero che essi non sono da catalogare e confondere né con la mentalità né con i comportamenti malavitosi, certamente costituiscono il brodo di coltura, l’humus, cioè, entro cui la malavita organizzata prospera con maggiore facilità. Lo abbiamo scritto anche di recente, in un commento sullo scioglimento dell’organismo consiliare. Non si possono né si debbono chiudere gli occhi di fronte a questa realtà perché negarla o nasconderla, come si fa con la polvere sotto il tappeto, costituirebbe il peggiore servizio che possiamo rendere alla città stessa ed alla sua popolazione. E significherebbe, inoltre, creare le premesse affinchè tra qualche anno si verifichino ulteriori scioglimenti causate da rinnovate infiltrazioni mafiose. Per riprendere la domanda con cui ho iniziato e cercare di dare una risposta, penso che ci sia stato poco o nulla da celebrare e gongolare per il cinquantesimo anniversario della creazione di Lamezia Terme. C’è, invece, e molto, da riflettere e da meditare... CHE COSA RIMARRA’ NELLA MEMORIA COLLETTIVA? Di tutto quanto è andato in scena il 4 gennaio al teatro Grandinetti temo che nulla rimarrà nella memoria collettiva del popolo lametino e nulla ci sarà da ricordare e da tramandare.

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Innanzitutto, per i modesti risultati della maggior parte delle iniziative, inadeguate a rappresentare e “far rivivere” oggi, soprattutto nell’ambito delle generazioni più giovani, che Lamezia se la sono ritrovata bell’e confezionata, un evento epocale e storicamente tanto significativo; soprattutto se si pone mente e si ci rifà al periodo storico ed alla temperie politica e culturale in cui l’avvenimento avvenne. Anche l’organizzazione complessiva e delle singole parti delle “celebrazioni” ha brillato per la mancanza di una organica visione d’insieme . In secondo luogo perché la popolazione non è stata coinvolta; è rimasta assente, lontana, del tutto ignara di quanto è avvenuto nel chiuso del ridotto del teatro comunale. C’erano sì le autorità comunali e provinciali, quelle militari; c’era il vescovo della diocesi; erano presenti da 300/400 persone per lo più, nel pomeriggio, alunni delle scuole premiate; ma la restante parte di una popolazione di oltre 70mila abitanti dev’era? Dove se ne stava? E’ rimasta non solo fisicamente fuori dal luogo delle celebrazioni, ma è stata estranea mentalmente ed inconsapevole rispetto a quanto vi si stava celebrando... e del perché qualcosa vi si stesse celebrando; Il terzo motivo, il più rilevante, è consistito nell’avere sprecato un’occasione preziosa per dare vita ad un paio di iniziative significative che inducessero tutti noi cittadini lametini non a riempirci la bocca con il ritornello che il senatore Perugini sia stato il “fondatore” della città e bla…bla…bla…..e a

piangerci addosso perchè il consiglio comunale è stato sciolto e a cercare giustificazioni dicendo che, però, tutto sommato, “Lamezia è formata da gente onesta”, e bla…bla…bla…..L’occasione era propizia per scendere in profondità nella storia di Lamezia Terme, ragionare sul suo mancato sviluppo, sulla diffusione, nell’ambito del territorio, di una malavita pervasiva e feroce. Per riflettere con intensità sulle infiltrazioni e contiguità mafiose che sono state la causa inquietante dello scioglimento, per ben tre volte, della massima assise comunale. Scioglimento che ne è solamente l’effetto manifesto e più evidente. Penso perciò che invece delle tante minute rappresentazioni, sarebbe stata più proficua la realizzazione di un grande Convegno-Dibattito in cui alcuni specialisti di discipline diverse, storici, sociologi, economisti, urbanisti, scelti dalle nostre tre università o anche da altre, avrebbero potuto fornirci un esame critico, rigoroso, attendibile almeno su due quesiti di fondo: a) del perché, in mezzo secolo di vita, la città non sia riuscita a svilupparsi nonostante possegga tutte le condizioni materiali, infrastrutturali ed umane per poterlo fare;

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b) a cosa attribuire la presenza delle cosche ‘ndranghetistiche (ben quattro, secondo la relazione del ministro Marco Minniti al Presidente della Repubblica...) nella città, del loro sviluppo progressivo, del notevole grado di pervasività che hanno assunto nella società lametina. Io credo che loro, gli esperti in queste materie, avrebbero potuto dare delle risposte, se non complete ed esaustive, certamente soddisfacenti e comunque utili a fornire gli strumenti culturali e politici alla comunità sociale lametina per capire ed acquisire consapevolezza del perché in 50 anni in Lamezia i due fenomeni, lo sviluppo economico/sociale, e la crescita delle cosche ‘ndranghetistiche, si siano intrecciati procedendo insieme, ma con andamento inversamente proporzionale: mentre lo sviluppo ha arrancato e mai è diventato crescita sociale, morale, civile, economica, le cosche siano cresciute arrivando a dominare il territorio e condizionare l’apparato politico e pubblico/amministrativo. CHE COSA SARA’ TRAMANDATO ALLE GENERAZIONI FUTURE? Dal 26 al 28 maggio dello scorso anno, ho partecipato al convegno organizzato dal Polo Museale Regionale della Sicilia indetto per ricordare e celebrare i 2750 anni dalla fondazione di Siracusa. Nei tre giorni e nelle sei sessioni in cui esso si è sviluppato, ben 50 tra docenti universitari e specialisti in vari settori di conoscenza e studio provenienti da tutta l’Italia, e alcuni anche da paesi europei, hanno dato vita ad un intenso dibattito, attraverso cui è venuto fuori un grande affresco storico degli avvenimenti politici, economico/commerciali, sociali, culturali, monetali e delle imprese, civili e militari, dei famosi Monarchi e Tiranni della grande città della Ninfa Aretusa. Per cui tutti i partecipanti - e nelle diverse sessioni si sono alternate centinaia e centinaia di cittadini per essere presenti ed assistere alle varie relazioni nella splendida location del Museo Paolo Orsi - hanno potuto conoscere e capire la storia autentica della splendida città di quel grande genio che fu Archimede. Gli atti del convegno saranno stampati e pubblicati - ecco il punto cui sono voluto pervenire con la premessa sopra tracciata e che mi preme sottolineare - per cui tra un anno, o tra 50 anni o tra altri 2750 anni chi lo vorrà potrà leggere ed apprendere ciò che a Siracusa si è detto in relazione alla celebrazione dei 2750 dalla fondazione della città nei giorni dal 26 al 28 di maggio del 2017. In questo modo si progettano le cose. Ed in tale maniera si sarebbero dovute organizzare anche nel cinquantesimo anniversario di Lamezia Terme. Possibile che nessuno dei componenti del “comitato 4 gennaio” avesse colto l’importanza di procedere in simile modo e lo avesse proposto agli altri? Solo di ciò su cui si riflette e si scrive si conserva memoria. Noi conosciamo, per fare un esempio, la storia della Guerra del Peloponneso, scoppiata tra Atene e Sparta 2500 anni fa perché una persona di quel tempo, di nome Tucidide, che sarebbe poi passato alla storia come uno dei più grandi storici, si prese la “briga” di scriverne gli episodi e di far si che i posteri li potessero leggere e conoscere a distanza di secoli, di millenni. Come a noi è possibile fare oggi e restare incantati e stupiti dal discorso pronunciato da Pericle agli Ateniesi al compimento del primo

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anno di guerra. Anche in occasione della ricorrenza dei 30 anni dalla morte del noto e famoso poeta lametino, nato a Platania, Felice Mastroianni, il 21 aprile 2012, l’Associazione che ne porta il nome, ne ricordò la ricorrenza. Per farlo in modo adeguato, la presidente della medesima associazione, la intelligente, colta, capace organizzatrice e mai abbastanza compianta prof.ssa Serenella Mastroianni, organizzò un convegno di una giornata. Coordinati da Pasquale Tuscano, professore ordinario di letteratura italiana presso l’Università di Perugia, furono invitati a esaminare la poesia del Mastroianni ed a illustrare i vari aspetti della sua poetica altri quattro docenti universitari ordinari: Vito Teti, dell’Università della Calabria; Renata Lavagnini, dell’Università di Roma “La Sapienza”; Sebastiano Martelli, dell’Università di Salerno; Giovanna De Sensi, lametina, dell’Università della Calabria. Ad essi fu affiancato anche il Maestro Maurizio Carnevali, nostro conterraneo, autore della relazione: “L’evocazione dell’immagine nella poesia di Felice Mastroianni”. Un altro convegno per “Felice Matroianni, poeta mediterraneo” era stato realizzato nel 1985, a cura dell’Amministrazione Provinciale di Catanzaro. Per esaminarne i vari aspetti della poesia e della poetica del Poeta erano stati chiamati ben 12 personalità, tra docenti universitari ed esperti nel campo della letteratura. Tra di essi anche il compianto Preside, filosofo Oreste Borrello che costituisce gloria e vanto della comunità sociale e culturale lametina. Gli atti dei due citati convegni, del 1985 e del 2012, sono stati stampati e pubblicati e distribuiti a tutte le biblioteche. Ignoro se, ancora oggi, se ne possa trovare copia nelle nostre librerie. Certamente copia dei due citati convegni si può trovare in tutte le biblioteche a cui si è fatta pervenire. Pertanto, tra 30 anni, 50, 100 anni... per sempre... chi lo vorrà potrà trovare traccia e memoria di quanto fu detto a proposito dell’opera di Felice Mastroianni nei convegni dei lontani anni 1985 e 2012. In più, altra intelligente intuizione, l’Associazione ha incentivato la conoscenza del poeta presso le generazioni più giovani e gli studenti e fino ad ora sono già sei le tesi di laurea che giovani laureati hanno compilato su Felice Mastroianni ed il suo mondo poetico. Cosa ricorderanno i lametini delle “celebrazioni” per i 50 anni di Lamezia Terme? Cosa troveranno conservato nelle biblioteche e negli archivi i cittadini che fra 50 anni, nell’approssimarsi del 100mo anniversario della città se volessero conoscere ciò che fu detto e fatto per ricordare le nozze d’oro della loro città? A quali documenti attingeranno per documentarsi su quali fossero le condizioni strutturali e dei servizi, quelle sociali, civili, politiche, culturali? Attingeranno forse ai temini svolti dagli alunni delle classi di scuola media? Oppure, sarà tramandato ai posteri, per ricordare il cammino della città in questi travagliati 50 anni di vita città il Logo scelto per l’occasione e che, alla fine, risulterebbe essere stato clonato, copiato? Non sarebbe stato un ottimo (dal mio punto di vista, s’intende….) istituire una o più borse di studio da assegnare agli studenti delle università italiane che scelgono di svolgere tesi di laurea aventi come argomento la storia di Lamezia Terme? E’ così che se ne diffonde la conoscenza e se ne tramandano la storia e la memoria delle personalità e degli avvenimenti. Quanti tra i nostri concittadini conoscono, per esempio, alcuni dati fondanti della città. Quali sono i motivi –storici– per esempio, per cui Lamezia Terme è indicata come la città della Ninfa Terina e della Sirena Ligea? Perché la città si chiama

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Lamezia? A quale “tradizione storica” si rifece l’avvocato Salvatore Renda nel 1927 allorchè per la prima volta fece approvare il decreto règio che unificava Nicastro e Sambiase, creando una nuova città a cui dette proprio il nome di Lamezia? Qual è stato e come si è evoluto il contesto territoriale lametino nel corso di quasi tre millenni di esistenza e di quale identità culturale è depositario? Le risposte a queste ed a tante altre simili domande possono essere trovate solo nella storia del territorio lametino solo incentivando la ricerca e promuovendo una riflessione specifica. Ecco perché sarebbe stato importante lanciare, almeno, l’idea e proporre l’istituzione di borse di studio di cui sopra ho detto. SI PUO’ CELEBRARE L’ANNIVERSARIO DELLA CREAZIONE DI UNA CITTA’ SENZA COINVOLGERE I SINDACI CHE L’HANNO AMMINISTRATA NEI DECENNI PRECEDENTI? Ignoro se siano stati invitati all’adunata del pomeriggio del 4 gennaio i sindaci, tuttora vivi e vegeti, che nei decenni scorsi hanno amministrato la città. E se lo sono stati, ignoro se sia stato chiesto loro di essere presenti come semplici spettatori o per affidare loro un qualche compito. A me riesce difficile immaginare di voler “celebrare” il cinquantesimo anniversario della propria città escludendo dalla manifestazione i sindaci che negli scorsi decenni ne sono stati i primi cittadini per parecchi anni. Penso invece che, invitarli tutti, nessuno escluso, dall’avv. Francesco Sirianni, il più anziano vivente, all’avv. Paolo Mascaro, l’ultimo in carica, sarebbe dovuto essere il primo pensiero del “comitato 4 gennaio”. Un atto più che opportuno, doveroso! Non perchè facessero semplice atto di presenza e stare in prima fila al teatro insieme alle autorità, né per rendere loro un omaggio che non è per nulla dovuto; ma, più semplicemente, per dar vita, insieme, ad una sessione dell’ipotetico convegno di cui io ho fantasticato. Con essi, con tutti o solo con quanti di loro avessero dato l’adesione e si fossero dichiarati disponibili - al di fuori e al di sopra di ogni appartenenza partitica o ideologica o

di schieramento politico, ma unicamente al fine di pervenire ad una riflessione meditata, approfondita - si sarebbe potuto dare vita ad una tavola rotonda, ad un dibattito a più voci, per rispondere alle domande che quotidianamente i cittadini lametini si pongono e che mi sembrano ineludibili e vitali per la costruzione della città a cui tutti, a parole, aspiriamo . Se il quesito di fondo è: “Perché nonostante le tante favorevoli premesse e le condizioni ottimali del suo territorio, il decollo di Lamezia non è mai avvenuto ed invece la presenza della ‘ndrangheta si è fatta sempre più feroce e violenta tanto da entrare nelle pieghe profonde della società lametina e perfino delle istituzioni?” ci sono anche tante altre domande che dobbiamo porci ed alle quali tentare di dare risposta. 1-Perché in 50 anni di esistenza non sia stato possibile risolvere i problemi strutturali della

città, a cominciare dal Piano regolatore generale? Strumento da cui non è possibile prescindere per cercare di raccordare i tre centri urbani non solo dal punto di vista materiale ed urbanistico, ma per rendere più solido e profondo l’ethos comune, il senso di appartenenza ad una medesima comunità di tutti i cittadini senza che nessuno degli abitanti di nessuno dei tre centri si debba sentire trattato peggio o discriminato rispetto a quelli degli altri? 2-Perché in 35 anni non è stato possibile dare soluzione al problema della sistemazione definitiva dei Rom in un luogo, più decente ed umano, diverso da quello attuale, con il susseguente sgombero dei suoi abitanti da Scordovillo? 3-Perché, se tra i cittadini l’evasione dal pagamento dei tributi, a detta dell’ex sindaco Mascaro, raggiunge l’iperbolica percentuale del 70 %, non sia stato possibile fare in modo che i tributi vengano pagati da tutti i lametini nel modo più equo possibile? 4-Perché lo stato dei servizi pubblici è così insufficiente, scadente, mediocre? 5-Perché il Corso Numistrano, il Monumento più prezioso, il Bene Culturale più bello che i nostri Padri hanno costruito ed hanno lasciato in eredità ai posteri affinchè lo custodissero e lo valorizzassero e ne potessero godere pienamente, è stato abbandonato al progressivo degrado fino a essere trasformato in un luogo degradato e impraticabile, dove non è per nulla gradevole intrattenersi e passeggiare come si è fatto fino a pochi decenni fa? Perché lo si è lasciato diventare un luogo di parcheggio , in ogni ora del giorno e della notte? E, per tutto il suo lungo dispiegamento, da Piazza F.sco Stocco a Piazza Pietro Ardito, lo si è lascito diventare una strada per il transito veicolare, selvaggio ed ininterrotto? 6-Perché, il Consorzio industriale, che avrebbe dovuto gestire il polo di industrializzazione creato dalla legislazione varata alla fine degli anni ’50 non ha prodotto nessuna industrializzazione? E perché nonostante questo lo si mantiene in vita quale carrozzone/simbolo del fallimento delle politiche industriali della piana lametina?>> Una serie di “PERCHE’? ” lunga, che potrebbe continuare all’ infinito, che attiene a tutti gli appuntamenti mancati per costruire nei trascorsi 50 anni una città dolce, vivibile, sviluppata, edificata gradualmente, giorno dopo giorno, a misura dei suoi cittadini. Nessuna messa in stato di accusa, intendiamoci bene, nei riguardi di nessuno; nessun pollice verso nei confronti di chicchessia per ciò che in 50 anni non è stato realizzato, o meglio non siamo stati capaci di realizzare. Ma per conoscere, capire, comprendere, questo si, quali siano stati gli ostacoli, le difficoltà, che hanno impedito ai sindaci ed alle loro amministrazioni di risolvere i problemi strutturali della città, che si trascinano da quando essa è nata (o addirittura da prima che essa nascesse) e che oramai sono diventati cronici. E, dopo aver conosciuto e compreso, tentare di ripartire con un animus nuovo e la voglia di costruirla veramente Lamezia. L’impostazione qui delineata della “celebrazione” del cinquantesimo anniversario di Lamezia Terme, la Città, ripeto, della Ninfa Terina e della Sirena Ligea, avrebbe avuto un senso anche in questo momento oscuro e di grande difficoltà. Anzi, forse, lo avrebbe avuto di più proprio in questo momento di desolazione e smarrimento. Per riprendere coraggio e cominciare il cammino. Una simile impostazione, però, avrebbe richiesto ben altre capacità di progettazione, organizzazione, gestione di cui, in tutto ciò che è stato fatto e mostrato al teatro Grandinetti, non si è riscontrata alcuna traccia.

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Istruzione

l’Istituto Tecnico Tecnologico-ITG e la strategia Zero Waste, Dopo la sperimentazione sulla raccolta differenziata realizzata nell’ultima fase dello scorso anno scolastico, sono ripartiti venerdì 9 febbraio all’Istituto Tecnico Tecnologico-ITG di Lamezia Terme le attività di educazione ambientale che si svolgeranno in collaborazione con l’associazione Lamezia Rifiuti Zero. I ragazzi saranno accompagnati in un percorso di educazione e sensibilizzazione sulla problematica ambientale ed economica dei rifiuti e sulle prospettive offerte dalla strategia Zero Waste, basata sui concetti di riduzione, riuso, riciclo, riprogettazione, responsabilità e sul tema di rifiuto come risorsa. Sarà sviluppato anche il tema dell’inquinamento da plastiche negli oceani e nei mari, e a conclusione del progetto i ragazzi saranno coinvolti in un’azione di pulizia da svolgere su una spiaggia del comune di Lamezia. La dirigente Patrizia Costanzo ha rinnovato la sua fiducia all’associazione lametina, che opera in modo del tutto gratuito, perché ritiene indispensabile da parte della scuola investire sul futuro dei giovani attraverso la loro corretta educazione al rispetto dell’ambiente. Ciò attraverso un approccio molto concreto, che passa anche

attraverso la corretta raccolta differenziata da svolgere a scuola, con il coinvolgimento non solo dei ragazzi, ma anche dei docenti e di tutti i collaboratori che nella scuola operano. L’Istituto Tecnico Tecnologico-ITG aspira ad essere un buon modello di corretta gestione dei rifiuti e di sensibilità ambientale, che si auspica seguito da tutte le altre scuole della città.

Satirellando

Ascoltando, giorni fa, il racconto di un’amica, che descriveva un tipino, biondino, compito e perfettino (mah!), appassionato di infantilismi amorosi, e poi altre narrazioni di rimando, pensando a qualche travicello pusillanime, anche da me incontrato e RIFUGGITO, non poteva che… finire in satira! E qui ci vorrebbero le faccine che ridono sarcasticamente… AH, AH, AH!

NASCONDINO L’uomo che gioca a nascondino, senz’altro è un bel tipo di cretino. Crede di porsi su strada sicura, ma, invece, è… Paladino di Paura! Tu vuoi smascherarlo? Gioca da par suo: sai che tarlo! Appari, scompari, fai come Merlino: lo spiazzi e provi quant’è bambino; scompari, appari: ti presenti dal niente: crederà tu sia come Albus Silente pag. 14

e allor vedrai che smetterà di sfuggirti, di qua e di là! E, prima o poi, troverà riparo, ma si fingerà indifeso e ignaro, dunque ti conviene girare alla larga, ma, sulla sua porta, scrivi ‘sta targa: “Qui soggiorna un vero eroe: si crede il Robinson di Daniel Defoe; ma, invece, è, invero, un pidocchio: non sarà mai Principe, resterà Ranocchio!

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Istruzione

Open day liceo Campanella Liceo linguistico tra i migliori in Calabria secondo la fondazione Agnelli. Cinque indirizzi liceali: liceo linguistico, liceo economico - sociale, liceo delle scienze umane, liceo musicale e liceo coreutico. Una formazione a trecentosessanta gradi, che dà la possibilità agli studenti al termine dei cinque anni di iscriversi a qualsiasi facoltà universitaria ma che, a differenza di altri licei, è anche immediatamente spendibile nel mercato del lavoro. Tra le novità del prossimo anno scolastico, l’attivazione del liceo coreutico, primo nella provincia di Catanzaro, e un’altra classe del liceo linguistico per lo studio della lingua spagnola oltre all’inglese e al francese. Questi alcuni dei punti centrali dell’offerta formativa del Liceo Campanella di Lamezia Terme presentata nei giorni scorsi nell’ambito dell’Open Day promosso per le famiglie che dovranno iscriverei i propri figli al primo anno di scuola superiore. A presentare la scuola alle famiglie e ai futuri studenti, il dirigente Giovanni Martello e le docenti Lina Serra e Licia Di Salvo “Per quanto riguarda gli indirizzi i licei linguistico, scienze umane ed economicosociale – ha spiegato la Serra – prosegue il percorso di questi anni con alcune novità. Vista l’ampia richiesta da parte degli studenti, dal prossimo anno sarà previsto molto probabilmente l’insegnamento della lingua spagnola in un’altra sezione del liceo linguistico: oltre ad inglese, tedesco e spagnolo, come da alcuni anni, si potranno studiare inglese, francese e spagnolo. Nella sezione A del liceo linguistico, gli studenti potranno conseguire due diplomi con un unico esame: il diploma di liceo linguistico italiano e il baccalaureato francese, con il quale i ragazzi potranno studiare nelle università francesi o inserirsi nel mercato del lavoro francese. L’investimento della nostra scuola nell’apprendimento delle lingue straniere,

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che prevede tra le altre opportunità anche la presenza di esperti madrelingua e viaggi internazionali con stage linguistici nei diversi Paesi europei, ha permesso al nostro istituto di rientrare tra i licei linguistici classificati tra i migliori in Calabria dalla Fondazione Agnelli”. Sul piano del rapporto tra scuola e lavoro, la Serra ha sottolineato come “al termine dei cinque anni i nostri studenti hanno le competenze adeguate per intraprendere tutti i corsi universitari, momento al quale li prepariamo già dal quarto anno attraverso delle simulazioni dei testi universitari. Tanti riescono ad inserirsi subito dopo il diploma nel mondo del lavoro: dal mondo del turismo e del trasporto aereo, per gli studenti del linguistico, agli assistenti sociali, alle banche, alle aziende del settore import/export per gli studenti degli altri indirizzi”. Si è soffermata sui licei musicali e coreutico, la docente Di Salvo sottolineando “la soddisfazione della nostra scuola che, in virtù delle sue caratteristiche strutturali e della strumentazione musicale già a disposizione, ha ottenuto la convenzione con l’Accademia Nazionale di Danza ed è stata scelta per l’attivazione del liceo coreutico, il primo liceo coreutico statale della provincia di Catanzaro e uno dei pochi in tutta Italia. E’ il percorso liceale per lo studio della danza, del movimento e della gestualità corporea, che sarà seguito da docenti provenienti direttamente dall’ Accademia Nazionale di Danza. Gli studenti svolgeranno venti ore di indirizzo liceale comune e dodici ore di indirizzo coreutico, con lo studio di materie specifiche. Dal terzo anno potranno scegliere tra due percorsi alternativi, danza classica e danza moderna”. Un nuovo indirizzo, quello del coreutico, che va ad arricchire l’offerta del liceo musicale, attivo al Campanella ormai da sei anni, primo liceo musicale statale

della provincia di Catanzaro, al termine del quale gli studenti conseguono un diploma liceale musicale per poi accedere ai corsi di alta formazione musicale o a qualsiasi altra facoltà universitaria. Completano le attività proposte dall’istituto, i corsi per conseguire le certificazioni linguistiche internazionali nelle lingue inglese, francese, tedesco e spagnolo grazie alla collaborazione con gli istituti linguistici europei University of Cambridge, Alliance française, Goethe Institut e Dele. Il Campanella è inoltre ente certificatore per conto dell’AICA (Associazione per l’informatica e il calcolo automatico), dando agli studenti la possibilità di conseguire l’Ecdl e i diversi livelli di certificazione informatica. Per il dirigente Giovanni Martello “la nostra scuola, che negli anni scorsi ha fatto registrare il maggior numero di iscritti in città, ha delle caratteristiche specifiche che portano tanti giovani a scegliere di intraprendere in questo istituto un momento fondamentale del loro percorso formativo. Puntiamo sul valore del rapporto umano tra docenti e studenti, sulla trasmissione di un sapere che non sia solo teorico ma offra ai nostri ragazzi quelle competenze chiave che il mondo europeo del lavoro di oggi ci richiede”. Riguardo ai lavori di ammodernamento che riguarderanno l’istituto, il dirigente ha specificato che “la nostra scuola è stata inserita dalla Regione nel programma “Scuole sicure 500” ed è destinataria di un importante finanziamento per renderla strutturalmente sempre più sicura, moderna ed europea. Sarà necessario dunque effettuare dei lavori. La Provincia metterà a disposizione dei locali perché, nel corso dei lavori, l’attività formativa e la vita scolastica possano proseguire normalmente”.

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Cari concittadini, Lamezia è di nuovo invasa dai rifiuti: in periferia e in centro sono disseminate discariche a cielo aperto. Quando i giorni di emergenza saranno superati, vi invitiamo a non dimenticarela questione dei rifiuti:vi offriamo queste poche righe per ragionare insieme sul problema. Siamo dei cittadini come voi, diversi per età e interessi, riuniti in associazione perché condividiamo una forte sensibilità verso il tema dei “rifiuti”, una questione cruciale non solo per la salvaguardia del nostro territorio e della nostra salute, ma in una visione più ampia, per la cura del pianeta e la giustizia sociale. Ci impegniamo per sensibilizzare i cittadini e leistituzioni verso una corretta gestione degli scarti, secondo le buone pratiche della “Strategia Rifiuti Zero” di Paul Connett e Rossano Ercolini, fondata sull’idea che i rifiuti, per il loro valore intrinseco, costituiscono ricchezza se ben gestiti, ma scellerato spreco e inquinamento se bruciati o sepolti in discarica. La raccolta differenziata è una delle buone pratiche necessarie alla corretta gestione degli scarti attraverso il riciclo, ma prioritaria è la riduzione dei rifiuti (evitando l’usa e getta) e quindi il riuso degli oggetti e degli imballaggi. Ma a Lamezia come funziona la gestione dei rifiuti? Il gestore della raccolta dei rifiuti urbani è la Lamezia Multiservizi S.p.a., società a totale capitale pubblico a cui il Comune di Lamezia Terme delega i principali servizi urbani. La raccolta differenziata porta a porta

carenza di impianti pubblici per il riciclo e la valorizzazione degli scarti, che rendano più efficace e conveniente il sistema della raccolta differenziata, problema annoso che si lega inscindibilmente con la cattiva e spesso corrotta gestione del sistema dei rifiuti, che frena il progresso in senso virtuoso. La città ha finalmente aperto da pochi mesi l’isola ecologica, che permette di intercettare una vasta gamma di rifiuti che non devono essere conferiti nel normale sistema di raccolta, permettendo di realizzare delle economie di gestione, oltre a ridurre l’impatto ambientale di particolari tipi di scarti. Tuttavia i fenomeni di abbandono di rifiuti ingombranti ed apparecchiature elettroniche sono ancora frequentissimi su tutto il territorio cittadino. Nel complesso una situazione molto critica quella della nostra città, sporca e degradata,con un costo annuo delservizio di circa 10 milioni e mezzo di euro, e che raggiunge solo circa il 32% di raccolta differenziata. A Lamezia sembra difficile credere in una organizzazione virtuosa, che preservi il territorio e distribuisca ai cittadini i benefici economici di una accorta gestione dei rifiuti, anche attraverso l’introduzione di una tariffazione puntuale, in cui chi produce meno rifiuti paga una TARI ridotta: recuperando inoltre tutti i crediti non riscossi, ciò può diventare realizzabile. Non abbiamo certo bisogno di nuove o più grandi discariche per raggiungere questi obbiettivi! Per affrontare in modo costruttivo la questione, Lamezia Rifiuti Zero aveva proposto alla decaduta amministrazione la collaborazione con l’espertoRossano Ercolini(Nobel per l’Ambiente 2013) e con i migliori esperti della rete Zero Waste, per condividere gli strumenti utili ad accrescere la capacità locale di gestire i processi relativi ai rifiuti a

Lettera aperta ai cittadini di Lamezia Terme copre meno della metà della popolazione: solo il 46% degli abitanti è attualmente raggiunto dal servizio. La raccolta differenziata stradale è un servizio in stato di quasi totale abbandono; la sussistenza dei cassonetti stradali limita e vizia anche l’efficacia della raccolta porta a porta, che denota purtroppo elevate criticità non governate anche nelle zone da poco raggiunte.

beneficio della collettività. Guardando alle realtà più virtuose d’Italia, come ad esempio il comune di Capannori, 46.000 abitanti o il consorzio pubblico Contarina di Treviso rivolto a oltre 500.000 abitanti, che realizzano eccellenti vantaggi economici per la collettività, si sarebbe intrapreso un percorso volto agli stessi obbiettivi. Purtroppo in concreto nulla si è realizzato.

Cosa accade ai rifiuti differenziati dai cittadini?

Tuttavia, la buona notizia è che Lamezia Multiservizi ha ottenuto il finanziamento regionale del progetto per il miglioramento della raccolta differenziata. A giorni saranno nelle casse della società una parte dei 2.473.205 euro di fondi europei finalizzati al miglioramento della raccolta differenziata. Lamezia sarà a breve quasi del tutto coperta dalla raccolta porta a porta, se - come speriamo - la Multiservizi riuscirà celermente ed efficacemente ad effettuare tutti i passaggi necessari, nonostante le difficoltà che attraversa. Le risorse disponibili dovranno essere utilizzate senza sprechi e inefficienze; i cittadini, bene informati e sensibilizzati, nonché sottoposti ai controlli necessari, dovranno essere protagonisti responsabili e attivi della gestione dei rifiuti, che comincia nelle loro mani. Tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, nessuno escluso.

La plastica, i metalli e il vetro vengono portati presso gli impianti gestiti dalla società Ecologia Oggi, che li seleziona -a fronte degli emolumenti concordati - e li convoglia ai consorzi di filiera, i quali restituiscono denaro alla Multiservizi in rapporto a caratteristiche e quantità del rifiuto. Ma quanto valgono i rifiuti separati dai cittadini? Ogni materiale post-consumo proveniente da raccolta differenziata, che verrà acquistato poi dalle industrie per realizzare nuovi manufatti, ha un valore di mercato differente, che varia dai 97 euro a tonnellata per il cartone, ai 253 euro per la plastica, fino ai 500 euro per l’alluminio. Dai rifiuti differenziati la società pubblica ricava soldi, che servono a finanziare lo svolgimento del servizio, assieme a quelli che i cittadini pagano con la TARI, la tassa sui rifiuti. Il 54% della popolazione lametina, che non gode ancora della differenziata porta a porta, alimenta il cumulo dei rifiuti indifferenziati che la città manda in discarica: 23.400 tonnellate nel 2016. Indirizzare i rifiuti in discaricao ad incenerimento è una pratica inquinante e molto costosa: ben 147 euro a tonnellata è il prezzo che si paga a Lamezia. Il costo totale per il conferimento di rifiuti in discarica per l’anno 2016 è stato di circa 3.500.000 euro. L’impianto che riceve i rifiuti indifferenziati, ed effettua il trattamento meccanico-biologico obbligatorio prima di mandarli a discarica o ad incenerimento, è un obsoleto complesso industriale di proprietà regionale, in gestione alla Daneco, società privata in stato di liquidazione volontaria, che chiuderà a fine giugno prossimo. La città, che produce ad oggi così tanti rifiuti indifferenziati, dipende fortemente da questo impianto: ogni volta che si blocca per guasti i rifiuti restano per strada e vengono con fatica convogliati verso altre discariche in tutta la regione, con costi extra elevatissimi.

Come cittadini, incoraggiamo chi guiderà l’esecuzione del progetto a lavorare con entusiasmo e passione, sia perché sulla raccolta differenziata si gioca una grossa partita di civiltà, sia perché l’esecuzione meccanica del lavoro, senza intervenire sulle criticità e puntare alla qualità dei risultati, non porta a concreti successi. Suggeriamo poi di iniziare immediatamente la raccolta differenziata nelle scuole e in tutti gli ambiti educativi, finora per assurdo tralasciati; si raggiungano al più presto anche gli uffici del palazzo comunale, dove di raccolta differenziata non ci sono tracce: sarà un segnale concreto di legalità praticata dalle istituzioni e nelle istituzioni, di cui si sente molto il bisogno. La nostra associazione invita i cittadini e le altre associazioni sensibili al tema a collaborare alla corretta gestione dei rifiuti, adottando comportamenti corretti e virtuosi, e al tempo stesso vigilando e segnalando prontamente ogni problema, in un’ottica costruttiva e di utile partecipazione alle esigenze della comunità. Trasformiamo il nostro sconforto di oggi in azione congiunta, per il progresso civile della nostra città ed il futuro dei nostri figli.

Un grave oggettivo problema di Lamezia e di tutta la Calabria è la Lamezia e non solo

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Sport

Stretching! Esercizi moderni per una perfetta forma fisica e per la pratica di tutti gli sport

Lo stretching è la più attuale e moderna espressione dell’esercizio fisico, nata in America e in rapida diffusione in tutto il mondo. Esso aiuta a migliorare la flessibilità dei muscoli, tenendoli sempre pronti per il movimento e l’attività fisica, migliora le prestazioni sportive e previene il verificarsi di danni all’organismo. Indipendentemente dalla pratica attiva dello sport, lo stretching apporta un rilassamento muscolare completo e pone in grado di conseguire una salute perfetta e una straordinaria capacità di affrontare gli impegni e le fatiche della vita quotidiana. Gli esercizi di stretching sono movimenti molto semplici, che possono essere praticati in casa, o in palestra, o all’aperto, con un

minimo impegno di tempo e di energia. Essi hanno come effetto l’allungamento muscolare, che raramente viene considerato nella preparazione e nella pratica dello sport. L’allungamento conferisce maggior resistenza alla fatica, aumenta la flessibilità dei muscoli,. mentre ne evita i traumi, l’indurimento e la rigidità. Inoltre, ha notevoli effetti anche sul piano psicologico, quali la distensione, la serenità, un completo benessere e il «sentirsi» armoniosamente inseriti e partecipi nel mondo in cui viviamo. Gli esercizi di stretching di tipo generale sono adatti per il miglioramento della salute e specificatamente per la pratica di tutti gli sport.

ESERCIZI DI ALLUNGAMENTO PER LO SPORT: CALCIO, PRIMA E DOPO IL CALCIO PER CIRCA 10 MINUTI

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Sport

NUOTO MASTER: OTTIMI RISULTATI PER ARVALIA AL 1° TROFEO AB TEAM DI VITERBO La stagione di Nuoto Master per l’Arvalia Nuoto Lamezia, iniziata già positivamente con il terzo posto al 1° trofeo “Città tra i due mari” del 3 dicembre, prosegue senza soste con la partecipazione della squadra alla prima attesissima trasferta presso la Piscina comunale di Viterbo organizzata dalla AB Team e valida per il circuito Supermaster FIN. Gli atleti della rappresentativa calabrese sono scesi in acqua vincendo quattro medaglie d’oro e una d’argento e classificandosi al 24° posto su 68 società iscritte con 13327,72 punti. Le medaglie della Arvalia Nuoto Lamezia a Viterbo: Rita Comei categoria M70 medaglie d’oro nei 100 e 50 stile libero; Pietro Borello categoria M40 medaglia d’oro nei 400 misti, Francesco Strangis categoria M30 medaglia d’argento nei 50 rana, Claudia Torcasio categoria M30 medaglia d’oro nei 200 misti . Nel week-end precedente altri risultati positivi sono stati ottenuti dagli atleti della Arvalia, Antonio Gigliotti e Salvatore Cortese, con il miglioramento dei propri tempi personali, al 16° Trofeo Città di Ravenna presso la Piscina G. Gambi in vasca coperta da 50 mt.

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Prossimo appuntamento il 25 Febbraio alla piscina comunale di Cosenza, per il Campionato Regionale, dove è attesa una partecipazione al gran completo della squadra. Dopo la crescita esponenziale del movimento master lametino avvenuta nell’ultima stagione, la Società punta ad essere presente con i suoi atleti migliori ai Campionati Europei Master che si terranno a Kranj dal 2 al 7 settembre 2018.

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Fermenti Filosofici

La testimonianza come cultura etica per la crescita della coscienza umana Padre Paolino Tomaino e la sua Africa Paolino Tomaino, missionario comboniano calabrese, è stato ospite al Cenacolo Filosofico, insieme a Donatella Villella che ha introdotto l’incontro, con interventi nel dibattito di tanti “Amici di padre Paolino”, ed all’Istituto Tecnico Industriale di Lamezia Terme, lasciando quel profumo di umanità e verità che tanto ha bisogno la società attuale. Nel Cenacolo la sua testimonianza è stata la sua conferenza filosofica, suscitando un dialogo che ha coniugato cultura e vita con interventi dello psichiatra Cesare Perri, il neurologo Giovanni Caruso, il presidente dell’associazione “Amici di padre Paolino”, giornalisti e giovani. Padre Paolino Tomaino è da oltre mezzo secolo in Uganda con lo scopo di annunciare il Vangelo come riscatto e speranza. Egli è nato a San Pietro Apostolo il 1937 e da giovane dalle idee rivoluzionare marxiste viene affascinato dalla figura di Gesù di Nazareth, e si accende la vocazione sacerdotale. In un’intervista rilasciata per il quotidiano “La stampa” dice: “Mi sono reso conto che i desideri di rivoluzionario erano programmi illusori, senza soluzione. Tutti i miei sogni di aiutare gli altri si potevano realizzare se fossi diventato sacerdote”. La vocazione è iniziata a visitarlo dopo aver incontrato un giovane prete, che gli ha comunicato la possibilità di una vita diversa tutta spesa per gli altri. E’ entrato nel seminario san Pio X di Catanzaro e nel 1956 è entrato nell’Istituto dei Comboniani, dopo averne incontrato uno.

faccia i loro problemi. Bo vissuto la stessa vita degli africani, perché il mio atteggiamento non è stato quello del turista o del missionario che va ad aiutare per un p di tempo e poi torna a casa. Sin dal primo giorno ho capito che tutta là, in mezzo a quella gente, era la mia vita, e incontrando situazione i di povertà molto forti ho cercato di dare una mano per i tre bisogni fondamentale: l’istruzione, con la realizzazione di scuole di prima alfabetizzazione, l’igiene sociale, con la costruzione di ospedali, e la vita materiale della gente, incominciando con l’istituzione di piccole cooperative e di banche popolari. E’ vero che l’Africa è sempre in subbuglio politico. Io ho vissuto tutta la storia dell’Uganda, perché l’Uganda ha avuto l’indipendenza nel 1962. Il Paese ha avuto una storia tragica con le diverse dittature. Ma finalmente in questo ultimo tempi c’è un po’ di pace, anche se la situazione rimane difficile”. In Uganda padre Paolino ha partecipato a diversi progetti, per una decina d’anni ciascuno. Con altri missionari e gli amici italiani. In Uganda vi sono tante tribù ed una immensa necessità di rispondere a bisogni primari. E qui, inserisco il mio libro “Centopoesie. Filosofia e spiritualità”, i cui proventi andranno all’opera di Padre Paolino. Gli Amici di padre Paolino sono presenti numerosi in Italia, e ve ne parlerà uno dei responsabili presenti stasera. Padre Paolino insieme a tanti collaboratori ha costruito scuole, ospedali numerosi. Una parola sulla religiosità degli ugandesi. E’ “primitiva, popolare e naturale”.

Il 28 giugno 1964 è ordinato sacerdote, e dopo pochissimi mesi parte per l’Uganda.

I problemi della gente sono di vivere, mangiare, vestire.

“Sono stato conquistato dalla vita della gente d’Africa” dice al giornalista de La Stampa.

Afferma padre Paolino che la Chiesa italiana ha da imparare da quella africana soprattutto la gioia della fede. Gli italiani vedendo gli ugandesi si stupiscono della loro gioia. Mentre in Italiana c’è “una specie di stanchezza e di noia nel vivere la fede”.

C’è stato un innamoramento progressivo, continuo e, anno dopo anno, gli africani mi hanno conquistato e trasformato sia come uomo che come sacerdote, Mi hanno mostrato quello che è essenziale nella vita di una persona e quello che è essenziale nella vita di un missionario. Bo vissuto faccia a pag. 20

La fede cristiana africana invita la fede cristiana europea a risvegliare entusiasmo, speranza, vitalità spirituale. GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

Sul piano teologico è nata negli anni ’70 la teologia cosiddetta “nera”. E’ una teologia che parte “dalla pancia vuota”. Il vero problema in Uganda ed in Africa è l’ingiustizia, di cui è fautore il mondo occidentale. E affonda il Missionario: “l’Occidente invece di aiutare in modo sensibile e intelligente l’Africa, la aiuta soltanto a fare guerre e dare armi. E contro ciò la Chiesa istituzionale non grida abbastanza”. Afferma padre Paolino, sempre nella stessa intervista: “E’ per davvero una lieta notizia”, “una speranza di vita migliore. Insegna il senso della famiglia. Il Vangelo ha già insegnato e insegna che nei momenti di pericolo le persone debbono stare insieme, debbono aiutarsi a vicenda. E la gente, quando segue il Vangelo, vede un cambiamento materiale, non soltanto spirituale, nella sua vita concreta. Grazie ai missionari i bambini vanno a scuola e ci sono le cure mediche. Insomma, il progresso si nota. E naturalmente la popolazione guarda ai missionari come ai frutti del Vangelo che è arrivato in Africa”. “Ognuno ha una sua vocazione speciale. Io ho fatto tutto ciò che volevo fare. Grazie a Dio ho avuto la forza e gli amici per farlo. Certamente avrei potuto fare di più, ma bisogna essere consapevoli dei proprio limiti. I doni che il Signore mi ha dato li ho messi a frutto. Ho imparato che non si va in Africa per portare le proprie idee. Ma solo per mettersi in collaborazione con altri. Il colonialismo, per fortuna, è ormai finito. Di civiltà ne hanno più loro, gli africani, che noi occidentali”. Le parole di padre Paolino Tomaino sono forti, nette, suscitano desiderio di approfondimento, una maggiore e seria consapevolezza del mondo africano. Un missionario che fa del bene non solo di concreta solidarietà, ma anche spinge a cambiare il modo di pensare l’Africa degli Europei, per poter costruire un mondo più umano e giusto.

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Emanuela

l’angolo di tommaso Sto guardando il film su Emanuela Loi, la poliziotta della scorta del giudice Borsellino, uccisa nell’attentato insieme al magistrato e a tutti gli altri agenti facenti parte della scorta stessa. Mi colpisce un dettaglio, una lettura tra le righe, vale a dire un aspetto che sembra quasi un contrasto: la ragazza e i suoi colleghi, pur essendo calati pienamente in una realtà drammatica, nello stesso tempo mi è parso vivessero in un mondo dalle atmosfere avulse dalla realtà stessa, una vita parallela ove il sentimento della paura si trasferisce da una dimensione all’altra attraverso una impronta eroica che viene fuori proprio nella immagine di normalità e fragilità che tutti emanano. Bravi gli attori, i quali hanno rivelato tutto questo attraverso le espressioni degli occhi. Emanuela è una figura femminile tra le più incisive dei nostri tempi, un esempio, una colonna forte e colma di umanità. Coraggio e dolore, coraggio e paura, coraggio e ideale alto, perenne.

La Giornata della Memoria La Giornata della Memoria rappresenta ogni anno un momento di riflessione profonda, una prova emotiva per tutti quelli che non riusciamo ad affrontare psicologicamente un orrore di tale dimensione. Personalmente non riesco a pensare all’Olocausto in termini di numeri, di milioni di vittime ma penso ad ogni singolo dolore, ad ogni singola tragedia sovrastata da un male che ti fa pensare dove possono arrivare gli uomini quando sono mossi dall’odio cieco, dallo abbandono dell’umanità e dell’intelligenza. Resto sempre ammirato dalla Arendt per il suo riuscire ad essere distaccata quando scrive di banalità del male in relazione a questa tragica vicenda. Immagino il lavoro su se stessa per poter raggiungere tale risultato. Mentre scrivo guardo una foto che ritrae anziani e bambini... i loro sguardi... la distruzione della loro dignità... e mi viene in mente Primo Levi e il macigno dei ricordi che ad un certo punto non è riuscito più a sostenere

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L’angolo di Ines

Ritratto di famiglia Mancava poco alla mezzanotte quando sentimmo dei passi sulla scala di legno che portava al secondo piano della nostra abitazione in viale stazione allora Nicastro. La mamma spaventata andò a mettere il chiavestello alla porta e ci guardò come per dire: Silenzio! Io e mia sorella piccolissime trattenemmo il respiro, ad un tratto qualcuno bussò alla porta, in modo lieve per la verità, ma noi pensammo che qualcuno ci voleva ammazzare. In quel tempo, di notte, giravano per le strade soldati tedeschi, eravamo in guerra, spesso si ubriacavano e si infilavano in qualsiasi portone che trovavano aperto in cerca di un’ora..di felicità. Nessuno di noi ebbe il coraggio di dire: “Chi è?” Anzi mamma spense la luce e ci intimò di tornare sotto le coperte. Il silenzio diventava sempre più insopportabile, all’improvviso con dolcezza una voce maschile: “Apri, ADELE, sono io, ALDO.!” Ancora oggi il cuore mi si ferma in gola ricordando quelle parole, la gioia fu così grande che quando voglio pensare qualcosa di bello torno indietro nel

tempo e mi ritrovo lì in quella piccola casa piena d’amore. Era una notte invernale quella notte, il vento sibilava fra i platani lungo il viale stazione e dagli infissi un po’ malandati entravano molti spifferi. Era piacevole stare sotto le coperte anche perchè allora non esistevano i termosifoni ed era un miracolo trovare il carbone per accendere il braciere, ma mia madre in un baleno saltò dal letto e andò ad aprire. SI, era lui, proprio lui, il mio bello e giovane padre soldato, tornato dall’isola di Creta per una breve licenza. Non ho chiari ricordi di come trascorremmo la notte però un quadro ho davanti agli occhi. Un uomo alto e biondo vestito di grigio verde che stringeva in un unico abbraccio la sua famiglia. Rimanemmo abbracciati per tanto tempo, forse lui presagiva che una volta in guerra non sarebbe più ritornato. Ora, sono qui a raccontarvi questa storia non so perchè, sarà il grigiore della sera o la solitudine che ha riportato alla mia mente l’unico ed ultimo momento bello trascorso con mio padre.

Poesie

Come piante avvizzite. Ho visto la vita spegnersi in sguardi persi nel vuoto sedute su sedie a rotelle con le mani abbandonate sul ventre distaccate dal mondo come barche alla deriva. In un istante ho colto la caducità della vita. Ieri la bionda signora svettava altera sul cosrso di Lamezia ora come candela si spegne in un vaso di cristallo.

Per Emilia Solitaria vagavi intorno alle mura del cimitero le luci del Natale confondendosi con le piccole fiammelle delle lapidi pag. 22

sembravano angeli palpitanti. Cercavi la tua stessa anima rapita un dì da gelide mani.

Raffiche di vento ti strappavano le vesti, non si rendevano conto del tuo dolore. Il ramo di un albero impietosito s’è chinato ed ha accarezzato i tuoi capelli..

Auswizt 1941 L’inverno è arrivato anche quest’anno come sempre forse con un po’ di gelo in più. Sconvolgimenti politici ed economici ci mettono in ansia un’ ombra nera s’addensa su di noi. Nel silenzio della notte GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

tristi reminiscenze affiorano: “I cadaveri giacevano uno addosso all’altro vicini alla porta, alle colonne. Sono lattanti, bimbi malati sopra le donne sopra ancora gli uomini più forti. Il gas da principio si sviluppava con maggior forza a fior di terra...... ...Avevano le unghie confitte interamente nei corpi, la pelle dilaniata i visi erano gonfi e maculati” Intanto un brivido gelido attraversa la schiena e mille e mille mani si levano al cielo gridando: LIBERTA’ Lamezia e non solo


il parere del pedagogista

Ascoltare il figlio adolescente La signora Antonella venne a parlarmi di sua figlia Vivì di 14 anni, perché non riusciva più a “comprenderla”, la trovava nervosa, irritabile e poco disponibile al colloquio, sempre sul “sentiero di guerra”, pronta a “polemizzare ed attaccare”. Dopo qualche incontro, chiesi alla madre di poter incontrare sua figlia. Vivì, ai primi incontri manifestava chiusura netta e diffidenza. Ascoltando le sue lunghe pause di silenzio, riuscii a far breccia ed a comprendere che la sua difficoltà maggiore era quella di non riuscire a parlare di sé ( “anche perché nessuno era disposta ad ascoltarla!”). Seconda di due figli, era l’unica rimasta a casa con i genitori. La madre aveva una sola preoccupazione: il suo rendimento scolastico. Il padre, tra impegni ed interessi vari, risultava essere distante, se non addirittura assente, e non voleva “scocciature”, le sue risposte, ai tanti interrogativi di Vivì, si limitavano a “si”, “va bene..”, “forse”. Una situazione che acuiva il senso di solitudine nella ragazza ed inaspriva i rapporti, gli atteggiamenti di collera e chiusura verso se stessa e tutti. Tant’è che la giovane usciva di rado ed altrettanto poco si incontrava con i coetanei anche perché, a suo dire, riteneva che non avesse nulla di dire e da raccontare. Ma, il problema di fondo era la difficoltà ad esprimere con il linguaggio le sue emozioni, paure, sentimenti, per comprendersi e per essere capita. Ed ogni volta che incontrava e si “scontrava” con la contrarietà, con il non ascolto, con la non considerazione ed accettazione si chiudeva in se stessa o urlava per dar sfogo a uno stato d’animo da interpretare come richiesta d’aiuto. Dopo diversi incontri, iniziò insieme a me ad analizzare i suoi vari comportamenti, l’ambiente familiare e le relazioni che desiderava intessere con gli altri. Rimaneva, il suo cruccio maggiore, il fatto di non essere compresa dai genitori e di non Lamezia e non solo

riuscire a farsi capire, ma si tranquillizzava quando appieno comprendeva che il suo “sentiero di guerra”, il suo “polemizzare ed attaccare” erano reazioni, atteggiamenti legati all’età della ricerca di una identità, dello sviluppo di una personalità, del distacco e non certamente di eventi a carattere patologici… Diversi i genitori incontrati e da continuare ad incontrare. In tanti evidenziano il trovare strano e non comprensibile alcuni comportamenti del figlio: la scuola lo ha annoiato, non ha voglia di studiare, non parla, è continuamente nervoso, desidera solo uscire oppure rimanere chiuso nella sua stanza con gli occhi rivolti al soffitto, frequenta amicizie e coetanei che a noi (sottolineo “a noi”) non vanno giù, ecc. Altri, non sono pochi, con scarse o sommarie conoscenze su quanto lo sviluppo adolescenziale coincida con il momento di mutazioni profonde di molteplici aspetti (fisici, psicologici, cognitivi, ecc.), non riconoscendo più dal punto di vista affettivo il loro “eterno bambino/a”, diventano ansiosi nel pensare che questi cambiamenti possano essere il segnale di qualche patologia e, il più delle volte, trasmettono tale stato ansioso ai propri figli che, inevitabilmente, alimenta in loro il dubbio di una anormalità che li porta, spesso, a chiudersi in sé e, di tanto in tanto, ad esplodere e manifestare la propria rabbia verso tutti e tutto. In ogni caso l’adolescente ha un grande bisogno di essere ascoltato, considerato ed accettato. I giovani sono gli “esperti del proprio vissuto” e devono essere al centro dello svolgimento del dialogo; un dialogo nel quale i genitori devono poter aiutare il proprio figlio a riflettere sui molteplici aspetti delle situazioni, a saper valutare i significati dei suoi comportamenti, ad assumersi responsabilità. Una relazione educativa dialogante che faccia emergere un’accettazione della persona cosi come è, che permetta di immergersi nel mondo interiore e soggettivo del giovane,che faccia comprendere appieno che si è lì, a loro vicini, senza passività ed eccessivo interventismo, per ascoltare e ristabilire una comunicazione interrotta.

quella soluzione, se deviamo discorsi che ci annoiano o disturbano, se vogliamo imporre il nostro pensiero, proibire ed esortare; se vogliamo, attraverso un monologo, rivelare tutto il nostro egocentrismo, il nostro essere al centro dei pensieri, delle emozioni, sentimenti dell’altro senza mai pensare a metterci dal punto di vista dei figli; se alimentiamo una sterilità dialogica che denota scarso interesse per il giovane, che non favorisce l’indispensabile presa di coscienza dell’adolescente di cosa sta succedendo, di essere responsabile del proprio dire e fare e di quelle convinzioni, giuste o sbagliate, utili ad iniziare un cammino di crescita; se continuiamo a giudicare, a classificare in categorie dei “bravi” e “cattivi” ragazzi a seconda del comportamento, senza soffermarci per un momento sulla completa accettazione del personale mondo interiore dell’adolescente che sicuramente produrrebbe fiducia, distacco da quelle difese e timori che bloccano la comunicazione; se pensiamo che la relazione educativa non si configura come Io-Tu, dove il Tu soggetto, figlio, persona deve significare che “Tu esisti”, “Tu sei importante”, “Tu sei Tu”, allora il tutto diventerà “una cosa difficile da concepire” da parte di chi “non ha mai ascoltato, parlato ed agito partendo da uno schema di riferimento diverso dal suo” (C.Rogers, G.Kinget, 1970). C’è bisogno dell’attuazione di piani educativi necessari a stabilire rapporti meno conflittuali nel “contesto famiglia” e con i propri figli; una conflittualità, è bene ricordarlo, che è insita nella dinamica relazionale e psicoaffettiva dell’adolescente, per cui “(…) è normale per un adolescente avere per un tempo piuttosto lungo un comportamento incoerente ed imprevedibile (…), di amare i suoi genitori e di odiarli, di rivoltarsi contro di essi e di dipendere da essi (…); è necessario lasciargli il tempo e la libertà di trovare da sé la propria strada. Piuttosto sono i genitori ad avere bisogno d’aiuto e di consigli” (A. Freud, 1976).

Raffaele Crescenzo Pedagogista -Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza – Distretto Sanitario Esaro – Pollino (CS)

Ma, se continuiamo a ritenerci gli unici esperti nel comprendere e dare questa o GrafichÉditore di A. Perri - & 0968.21844

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La parola alla Psicologa

LA MASCHERA: quale comunicazione si nasconde dietro? “Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero” (Oscar Wilde) L’etimologia della parola “maschera” non è certa, sembrerebbe derivi dal latino Masca che significa “strega”. La maschera non è solo quella che s’indossa a carnevale, per rappresentare un personaggio regionale o fiabesco o teatrale. In passato sciamani e sacerdoti indossavano la maschera per esprimere i loro presunti poteri di guarigione o di potere sacro. Oggi, la parola “maschera” viene associata alla menzogna o al mistero, fino ad arrivare a pensare ad un oggetto che camuffa il volto. Non sempre si ha necessità di indossare fisicamente un maschera per nascondere l’animo delle persone. Ogni individuo, che asseconda le più intime inclinazioni della natura umana, sembrerebbe nascondere la vera identità sotto una maschera celata. Nel corso dell’ultimo secolo, attraverso studi di psicologia, psicanalisi e psicopatologia, si è riscontrata una tipologia di mascheramenti in cui l’oggetto in sé non ha più una forma fisica, ma esiste nella mente del paziente come metafora della propria condizione; in questo caso infatti, chi è affetto da una patologia nervosa, spesso, non ha altro modo di comunicare con il mondo che lo circonda se non attraverso delle simbologie che gli permettano di tradurre il proprio caos interiore (cfr. Callieri-Faranda 2001). Ognuno di noi indossa una maschera che gli permette di rapportarsi con gli altri a secondo dei contesti in cui si trova; tutto ciò diventa disfunzionale, quando per nascondere se stessi agli altri non si riesce più a riconoscersi e a saper distinguere

la verità dalla menzogna, a distinguere ciò che ci piace da ciò che dobbiamo far piacere agli altri di noi, si fa confusione tra l’apparenza e la realtà delle cose. Di fronte a tutto ciò, sembrerebbe che il mascherarsi nasconda tante fragilità emotive, paure e non accettazione di Sé. Indossare ogni giorno la maschera, significa comunicare diversi disagi, uno tra cui che l’identità, per essere tale e cioè genuina, deve rifuggire drasticamente ogni forma di occultamento. Sin da bambini, si inizia con i travestimenti e l’interpretazione delle parti, come quello di mamma e papà o della maestra/o. Gli adolescenti di solito amano vestirsi seguendo delle piccole mode o culture del momento (in passato c’erano i “paninari” oggi gli “emo”, ecc.) volendo esprimere se stessi oppure per avere un senso di appartenenza, tutto questo accade fino a quando crescendo non si riesca a strutturare la propria personalità ed identità. Tutto questo però, non si conclude con il raggiungimento dell’età adulta, perché anche in una

Dott.ssa Maria Mirabelli psicologa clinica e forense Contatti: mariamirabelli@libero.it 339.5919310

Testata Giornalistica - anno 26°- n. 39 - febbraio 2018 Iscrizione al Tribunale di Lamezia Terme n. 609/09 Rug. - 4/09 Reg. Stampa del Direttore Responsabile: Antonio Perri Edito da: GRAFICHÈditore Perri Lamezia Terme - Via del Progresso, 200 Tel. 0968.21844 - e.mail. perri16@gmail.com Stampa: Michele Domenicano Allestimento: Peppino Serratore Redazione: Giuseppe Perri - Nella Fragale - Antonio Perri Progetto grafico&impaginazione: Grafiché Perri-0968.21844

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identità adulta persistono degli aspetti celati consapevolmente o meno (inconscio rimosso e non rimosso) che suggeriscono di considerare la «maschera» non tanto come un elemento di inautenticità quanto piuttosto come una funzione intrapsichica necessaria all’adattamento. Ma quando il ciclo evolutivo si conclude e l’individuo persiste nella paura di esprimere se stesso per quello che realmente a livello emotivo sente e percepisce o per i traumi vissuti e non elaborati, allora tutto viene filtrato e soppresso nell’inconscio, creando delle ferite, principalmente quella di sentirsi rifiutati, poi umiliati, abbandonati e traditi, manifestandosi con bassa autostima, difficoltà relazionale e stabilità affettiva. Tuttavia, a volte, indossare la maschera interpretando qualcun’altro o qualcos’altro, è un meccanismo di difesa; è importante capire da cosa ci si vuole difendere e cosa si vuole esprimere, perché spesso dietro c’è un vissuto doloroso. La maschera consente di contattare parti di noi che fanno parte del nostro “dentro” e attraverso di essa consentiamo loro di mostrarsi al di “fuori”. Allora è importante fermarsi e fare una riflessione da soli o con il supporto di un esperto, che aiuti a portare a galla quanto più di recondito si nasconde dentro di noi. In realtà, la maschera da un lato cela e dall’altro rivela e può essere, in tal senso, un’ottima metafora per stimolare l’autoosservazione e l’introspezione.

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