di questa sindrome demenziale”. A che punto siamo con la ricerca e la terapia? “Molte ricerche sono in corso per meglio conoscerne le cause ed enormi progressi sono stati fatti in campo diagnostico. Accertamenti specifici permettono di intercettarla in fase preclinica, fase in cui non sono ancora presenti i disturbi ma solo alterazioni neurobiologiche caratteristiche di questa sindrome demenziale. Test che valutano le funzioni cognitive consentono altresì di individuarne, con sufficiente accuratezza, i primi sintomi, seguirne la progressione e permettere così una diagnosi tempestiva di demenza. Ciò ci permette di iniziare trattamenti farmacologici e riabilitativi nella fase di esordio con maggiori possibilità di efficacia. I farmaci che disponiamo (inibitori della acetilcolinesterasi e memantina) agiscono sui disturbi cognitivi e produrrebbero anche un miglioramento dei disturbi comportamentali e psichici (in particolare allucinazioni e deliri). Purtroppo però non arrestano il processo degenerativo e perdono efficacia nel tempo. Gli interventi non farmacologici (riabilitativi e psico comportamentali) anch’essi migliorano o mantengono le risorse cognitive e funzionali ancora integre, e sono indicati come prioritari rispetto alla terapia farmacologica per alcuni disturbi comportamentali e psichici. Numerosi lavori scientifici hanno peraltro confermato che l’associazione della terapia farmacologica ad interventi non farmacologici è di efficacia superiore rispetto al solo uso di farmaci”. E’ possibile prevenirla? “In una battuta: la prevenzione deve iniziare presto e proseguire per tutta la vita. E’ stato visto che il processo neurodegenerativo della MA inizia molti anni prima della comparsa delle manifestazioni cliniche. In estrema sintesi si può fare prevenzione primaria per mantenere le condizioni di benessere ed evitare la comparsa della MA con interventi che potenziano fattori utili alla salute e allontanano o correggono fattori di rischio. Anche per la MA si sono identificati fattori che ne aumentano il rischio di insorgenza e tra questi l'ipertensione, il diabete, l'obesità, il fumo, la depressione e ancora una ridotta attività fisica e un basso livello di scolarità. Agire già in età giovanile per ridurli ci dà la possibilità di fare prevenzione primaria. Agendo su fattori di rischio modificabili possiamo ridurre di circa il 30% l’incidenza di questa sindrome demenziale. Si può poi agire in prevenzione secondaria con interventi che mirano alla guarigione o, ad oggi a limitare la progressione di una malattia quando il processo neurodegenerativo è già iniziato, con interventi farmacologici, riabilitativi cognitivi, funzionali e ambientali. Per tale motivo è importante valutare tempestivamente un disturbo cognitivo o comportamentale ed iniziare un percorso terapeutico se emerge un fondato sospetto che possa essere l’esordio di una sindrome demenziale. Ed infine si può ancora intervenire quando ormai la malattia è conclamata, con l’obiettivo di evitare l’insorgenza o di controllare e contenere gli esiti più complessi di una malattia (disturbi psicologici e del comportamento). Si realizza con trattamenti per il reinserimento familiare, sociale e lavorativo, e il miglioramento della qualità della vita (interventi di riabilitazione cognitivo-comportamentale; supporto psicologico; interventi protesici negli ambienti domestici; ecc.). La compromissione cognitiva spesso genera aggressività, agitazione psico-motoria, deliri, allucinazioni; in questi casi, con in-
terventi ambientali e di sostegno al caregiver, si possono attenuare o anche evitare l’insorgenza di questi disturbi; per queste manifestazioni non sempre i farmaci che abbiamo a disposizione sono sufficientemente efficaci”. Quanto conta la qualità della vita per questa malattia? “Obiettivo degli interventi terapeutici farmacologici e non farmacologici (riabilitativi e psicosociali) è migliorare la qualità della vita. In questa sindrome clinica diventa ancor più importante assicurare la migliore qualità della vita possibile perché allo stato di fragilità biologica correlata all’età, spesso avanzata, ed alla vulnerabilità socio-ambientale si somma la specifica condizione di riduzione delle autonomie che rende progressivamente la persona dipendente. Bisogna costruire attorno alla persona un ambiente protesico (protetto). Un ambiente adeguato alle sue risorse per permettergli di continuare ad agire in una autonomia e sicurezza, preservandone così l’autostima”. Ci sono standard di allarmi ed eventualmente quali sono per fare dei controlli? “I dati di letteratura indicano che la MA può iniziare molto prima che si manifesti clinicamente con i disturbi cognitivi e psicologici e comportamentali. E’ stato visto che l’accumulo delle proteine alterate (placche amiloidee, grovigli neurofibrillari) possono ritrovarsi nel cervello fino a 15-20 anni prima che la sindrome demenziale si manifesti. La loro presenza è considerata un fattore di maggior rischio per lo sviluppo della sindrome demenziale. Se i dati epidemiologici ci dicono che più frequentemente la sindrome demenziale si manifesta dopo i 65 anni penso che se si avvertono difficoltà di concentrazione, di memoria, di altre funzioni cognitive o si sviluppano disturbi psicocomportamentali intorno ai 45-50 anni (o anche prima), si debbano riferire al proprio Medico di Medicina generale MMG)”. Un consiglio medico semplice, diretto a tutte le persone che ci può dare? “Non trascurare mai un disturbo di memoria o più in generale disturbo cognitivo o psico-comportamentale, e parlarne con il proprio MMG. Una diagnosi tempestiva della causa che lo provoca è di fondamentale importanza per la riuscita di interventi terapeutici non solo farmacologici, per ridurre le conseguenze di tali disturbi”. Lei è responsabile del centro Alzheimer dentro l' Italian Hospital Group di Guidonia: cosa può dire di questa sua esperienza? “Ho iniziato la mia attività in IHG come Responsabile dell’Unità Valutativa Alzheimer (UVA) nel gennaio del 2002. La nostra UVA era tra le altre 504 aperte in quegli anni sul territorio nazionale, in regime di convenzione con il SSR. Le UVA avevano il compito si svolgere attività di monitoraggio farmacologico (per i farmaci immessi in commercio per questa forma di demenza) e diagnosi dei pazienti inviati dal MMG, o altro specialista, con il sospetto di MA, così come prevedeva il progetto 'Cronos' che ne decretò la nascita. L’attività UVA della IHG, fino alla sua interruzione, avvenuta nel 2019, ha permesso di valutare oltre 21.000 persone e negli ultimi anni è arrivata ad erogare fino a 600 prestazioni al mese (visite specialistiche neurologiche, geriatriche e test neuropsicologici per valutazione delle funzioni cognitive). In questi anni, oltre a svolgere la fun-
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