Pensieri e Passioni Che Guevara

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CAP. I

LA FORMAZIONE POLITICO CULTURALE DEL CHE OVVERO LA PRESA DI COSCIENZA DI UNA IDENTITÀ LATINOAMERICANA

“Dal Messico fino allo stretto di Magellano costituiamo una sola razza meticcia”1. In questa frase del Che, pronunciata nel lebbrosario di San Pablo in Perù durante il viaggio in motocicletta con il suo amico Alberto Granado, è forse racchiuso il senso più profondo del pensiero, della formazione, dell’azione e della rivoluzione di Ernesto Guevara. Questa presa di coscienza diventa infatti il presupposto della vita di un uomo che per la forza rivoluzionaria, più culturale che non materiale, delle sue azioni, ha segnato una svolta per tutti gli uomini del continente latinoamericano, tanto da trasformarsi in brevissimo tempo in mito e leggenda. Che Guevara è infatti l’uomo che ha rivoluzionato l’immagine del latinoamericano, conferendogli dignità, identità e cultura, ribaltando

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Guevara Ernesto Che, Notas de viaje, Centro Latinoamericano Che Guevara, Santiago del Cile 1993, tr. It. Latinoamericana: un diario per un viaggio in motocicletta a c. di Pino Cacucci, Gloria Corica, Roberto Massari, Feltrinelli, Milano 1993, p. 111.


-2l’occidentale concezione di “meticcio”, non più simbolo di ibrido, di non definito, di inferiore, ma finalmente sinonimo di definito, di ricchezza spirituale, di apertura mentale. Proprio questo concetto è alla base delle infinite poesie, canzoni, saggi, articoli, libri, racconti tributati in questi anni al Che dai vari intellettuali latinoamericani. Risulta così evidente che questa scoperta giovanile di un “meticciato costitutivo” presente nel popolo latinoamericano diventa l’input iniziale della sua vita rivoluzionaria. E’ questa una presa di coscienza che il Che matura rapidamente e intensamente durante la sua adolescenza, grazie a situazioni familiari ed esperienze di vita che in modo quasi naturale cominciarono a segnare la sua formazione. E’ chiaro che per nessuno esistono date di inizio nella formazione culturale, meno che mai possono esservi nella vita del giovane Ernesto, che però già in seno alla famiglia, nella biblioteca paterna o nell’intenso rapporto spirituale con la madre, inizia sin dall’infanzia a stabilire un proprio personale dialogo con alcuni dei grandi temi della tradizione culturale ispanoamericana. C’è un mondo di sogni, di avventure e di viaggi, incorniciati nella natura selvaggia di Misiones o nell’austero clima della Sierra di Cordoba, suoi luoghi natii, che sedimentano immagini e sensazioni nel piccolo Guevara. In ogni caso è proprio tra gli scrittori, gli amici e gli intellettuali che hanno scritto pagine e pagine sulla vita del Che,


-3che si rintracciano gli elementi e i motivi fondamentali della sua formazione. Proprio riguardo alla scoperta di un meticciato costitutivo le prime riflessioni più significative risultano quelle di Paco Ignacio Taibo II, nella biografia a lui dedicata 2. Taibo infatti evidenzia come la stessa origine meticcia di Guevara, origine paterna irlandese e materna argentina con antenati spagnoli, spiani la strada alla scoperta di questo meticciato verso cui era predisposto e che era tuttavia naturale, in quanto presente nel suo stesso sangue. Ma ancora più originale è la considerazione di Taibo su come questa presa di coscienza sia vissuta e sia il risultato di un conflitto interiore di enorme portata, esploso con la conoscenza dei suoi antenati: nel recente passato dei Guevara c’è stato un vicerè di Nuova España che rapì la sua sposa in Lousiana, degli emigranti irlandesi, uno zio che si dedicò all’allevamento del bestiame. In pratica c’erano ricchi e poveri, europei ed ispanoamericani, sfruttatori e sfruttati, e la sua origine, capisce, è quella di milioni di latinoamericani. Ci troviamo ancora, come in molti hanno messo in evidenza, in una fase teorica, a cui ne seguirà una pratica, scandita dai suoi numerosi viaggi

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Paco Ignacio Taibo II, scrittore e giornalista cubano (1949), grande studioso della figura di Ernesto Guevara, sulla cui vita e storia ha scritto Ernesto Guevara también conocido como el Che, Messico df, Planeta 1996, tr. It. Senza perdere la tenerezza, Milano, Il Saggiatore 1997.


-4attraverso l’America del sud.

1 José Martí e la sua influenza In questa fase della formazione del Che, dunque circa all’età di 20 anni, il momento più importante è sicuramente la scoperta della figura di José Martí. Molti sono i punti in comune tra questi due grandi personaggi, molte sono le analogie ideologiche e rivoluzionarie. Numerosi sono infatti i critici che hanno definito José Martí il padre spirituale del Che e altrettanto numerosi sono coloro che nel Che hanno visto l’incarnazione e il proseguitore del pensiero e dell’azione di José Martí. Di certo i legami maggiori fra queste due figure eroiche dell’America Latina vanno ricercate nello scritto più conosciuto di José Martí, vale a dire Nuestra América, pubblicato nel 1891, e nelle ripercussioni che i contenuti di tale lettura ebbero sul giovane Guevara. In particolare sono alcuni concetti che impressionano il Che, dando inizio alla sua presa di coscienza di una identità latinoamericana. Martí infatti, in Nuestra América, sostiene che per governare bene bisogna rispettare la realtà del luogo dove si governa, e che un buon governatore non è colui che sa come governano i francesi o i tedeschi, bensì colui che sa con quali elementi è composto il suo paese e come si può giungere, attraverso le tradizioni e le istituzioni dello stesso paese, a quella


-5condizione perfetta dove ognuno si attiva e si conosce. Ogni forma di governo deve essere il risultato dello spirito, della costituzione e dell’equilibrio degli elementi naturali del paese. Il problema dell’America Latina, di conseguenza, è che tutti i governanti sono di origine europea e governano secondo modelli e parametri europei, specie inglesi e francesi, anche perché non esiste nessuna università in America dove si insegnino i fondamenti dell’arte di governo, cioè l’analisi degli elementi peculiari dei popoli d’America. Per questo Martí auspica che le università europee cedano di fronte a quelle americane, e che in esse si insegni “la storia dell’America dagli Incas fino ai nostri giorni, a costo di non insegnare quella degli arconti greci” 3. I politici dell’America devono essere nazionali e non esotici. L’anarchia presente in molti paesi d’America secondo Martí non è altro che il risultato dell’inconciliabilità di elementi discordanti ed ostili ereditati dai colonizzatori europei. Ma un passaggio in particolare di Nuestra América, come ricorda il padre Ernesto Guevara Lynch 4, colpì profondamente il Che:

Eravamo delle caricature, con i calzoni inglesi, il gilet di Parigi, il soprabito

3

José Martí, Nuestra América, tr. It. Nostra America, in Rivista Italiana di Letteratura Comparata, Roma, a. IX, n. 12, p. 9. 4 La testimonianza è riportata in Ernesto Guevara Lynch, Mi hijo el Che, Buenos Aires 1987.


-6del Nordamerica e il berretto spagnolo. L’indio, muto, faceva il giro intorno a noi e poi se ne andava in montagna, in cima, per battezzare i suoi figli. Il negro, guardato dall’alto in basso, di notte, tra il chiasso della festa, cantava le melodie del suo cuore, solo e ignorato. Il contadino, il creatore, si sollevava cieco di indignazione contro la città sdegnosa, sua creatura. Geniale era stato liberare dalle privazioni l’indio, accordare un posto al negro capace. Né il libro europeo né quello yankee fornivano però la chiave all’enigma ispanoamericano. 5

E’ evidente quindi come si debba considerare questo passaggio un momento fondamentale nel processo formativo del Che. In questo passo infatti si riscontrano molte analogie con i pensieri e soprattutto con le testimonianze del Che durante il suo viaggio in America Latina, di conseguenza questa lettura è il primo forte momento di consapevolezza di un “meticciato costitutivo”. Lo stretto legame tra José Martí e il Che è stato approfondito da Antonio Moscato, scrittore e giornalista italiano, nel suo libro Che Guevara: storia e leggenda. Moscato, infatti, afferma che già in Messico, prima di incontrare Fidel Castro, Guevara ha cominciato a studiare le matrici ideologiche della rivoluzione cubana: lo si sente dai frequenti accenni a José Martí nelle lettere alla madre. Alcune frasi di Martí saranno da allora ricorrenti negli scritti e nei discorsi del Che, fino al suo stesso “testamento spirituale”, la lettera

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di

congedo

José Martí, op. cit., p. 11.

dai

figli.

Risulta

così

evidente

in


-7Guevara un’intensa assonanza, una profonda analogia di impostazione con Martí. In un discorso del gennaio 1960, ricorda Moscato, un anno dopo la vittoria della rivoluzione, egli critica i giovani presenti perché lo hanno accolto gridando “Viva il Che Guevara!” e non “Viva Martí!”, che definisce “il mentore della nostra rivoluzione, l’uomo alla cui parola e al cui esempio bisogna sempre rifarsi”6. Così dalle parole del Che in quel discorso emergono già con chiarezza i temi centrali di Martí, che ne hanno fatto un punto di riferimento permanente e legittimo per la rivoluzione cubana. A quella stessa platea infatti il Che dice:

Si può e si deve onorare Martí nel modo i cui egli voleva che lo si facesse, quando diceva a gran voce “Il miglior modo di dire, è fare”… Di tutte le frasi di Martí, ce n’è una che credo illustri come nessun altra lo spirito dell’Apostolo. E’ quella che dice: “Ogni vero uomo deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato sulla guancia di un altro uomo”… “Con i poveri della terra voglio giocare la mia sorte” diceva Martí, e così l’abbiamo fatto noi. 7

La rapidità con cui l’argentino Guevara sceglie Martí come punto di riferimento costante si deve probabilmente, secondo lo studioso italiano, a punti di contatto significativi anche nell’approccio alla scelta rivoluzionaria

6 7

Antonio Moscato, Che Guevara: storia e leggenda, Verona, Teti Editrice 1994, p. 47. Ibidem.


-8e internazionalista. Martí è prima di tutto un osservatore attento, un grande giornalista, che si forma politicamente attraverso la sua esperienza negli Stati Uniti, essenziale per la sua radicalizzazione in un antimperialismo tenace e coerente. Così il suo itinerario è molto simile a quello di Guevara, che si forma e diviene un rivoluzionario a partire dal viaggio nell’America Latina, iniziato come studente curioso del mondo in cui vive. Ma le analogie sono ancora più numerose e sostanziali: già nel Martí giovanissimo c’è “un’etica del sacrificio”, considerata la forma più alta di servizio, che ha profonde consonanze con quella che spingerà Guevara alla sua ultima missione. Nel diario di Bolivia infatti il Che sostiene che il primo dovere del talento consiste nell’adoperarlo a beneficio dei derelitti; da questo si misurano gli uomini. Si è padroni esclusivi soltanto di ciò che si crea. Il talento è qualcosa che ci viene dato e comporta l’obbligo di servire con esso il mondo, e non noi che non ce lo siamo dato. Dimodochè , adoperare a nostro esclusivo beneficio ciò che non è nostro, è un furto. Ritroviamo questo concetto più volte, negli scritti e nell’azione dell’uno e dell’altro. Soprattutto in Guevara, secondo Moscato, c’è un’identificazione con la scelta di Martí di destinare la vita al sacrificio. Nel Manifesto di Montecristi scritto nel 1960 il Che afferma:


-9Sapendo che il suo sacrificio era necessario per la realtà futura, per questa realtà rivoluzionaria che voi tutti vivete oggi, Martí ha insegnato anche a noi. Ci ha insegnato che un rivoluzionario e un governante non possono avere né piaceri, né vita privata, che devono consacrare tutto al loro popolo che li ha eletti collocandoli in una posizione di responsabilità e di lotta. E anche quando noi dedichiamo tutte le ore possibili del giorno e della notte a lavorare per il nostro popolo, pensiamo a Martí e sentiamo di star facendo vivere il ricordo dell’Apostolo. 8

D’altra parte Martí, come Guevara, pensava che la rivoluzione significa cambiare non un nome ma l’uomo, e avrebbe voluto essere ricordato per una “collezione” delle sue azioni più che per una raccolta dei suoi versi e dei suoi scritti. E’ certamente il suo esempio la prima ragione della sua influenza sui giovani che si erano raccolti intorno a Fidel Castro per l’impresa della Caserma Moncada 9. Inoltre Martí, come il Che, è uno scrittore generoso e originale, ma senza un’opera organica. Il suo pensiero è contenuto in scritti frammentari, appunti, articoli, pamphlets, discorsi e soprattutto nelle “collezioni di azioni”. Ma il profeta della rivoluzione cubana è stato sempre un convinto internazionalista. La sua visione è sempre latinoamericana e non solo cubana, e l’attenzione è costantemente rivolta alle vicende degli sfruttati di ogni parte del mondo, a partire dagli Stati Uniti, su cui scrive pagine

8

Ivi, p. 48. Nel 1953 Fidel Castro tentò di assaltare con alcuni rivoluzionari la Caserma Moncada; fu arrestato e imprigionato ma quell’avvenimento divenne il simbolo della rivolta contro Batista. 9


-10bellissime dedicate alle vicende degli operai anarchici di Chicago condannati a morte o alle minoranze discriminate. Martí,

conclude

Moscato,

distingue

sempre

tra

la

popolazione

nordamericana e la politica dei gruppi dominanti, di cui denuncia non solo i tentativi di stimolare una corrente annessionista a Cuba, ma anche le più insidiose manovre tendenti ad esercitare sull’intera America Latina una dominazione economica attraverso l’introduzione di una moneta unica. Tutto questo spiega la particolare sintonia con Martí di Guevara, che in ogni momento della sua vita e in ogni suo scritto è stato rigorosamente internazionalista, come testimonia anche la sua scelta di trasformarsi a più riprese in “ambasciatore itinerante” della rivoluzione cubana. Sul significato dei contenuti di Nuestra América e sul rapporto fra Martí e Guevara si è soffermato in particolar modo anche Jaime Labastida, poeta e saggista messicano, le cui maggiori riflessioni sono esposte in un saggio intitolato proprio Identidad de Martí y el Che. In esso afferma che Martí e Guevara sono due latinoamericani genuini, che oltrepassarono le frontiere dei loro paesi d'origine, diventando internazionalisti esemplari; entrambi partirono da una realtà che volevano trasformare, e che per tale motivo studiarono con rigore e conobbero a fondo, raccogliendo validi elementi in modo tale da orientare la pratica e l’azione. Teoria e pratica, pensiero e azione,

sono

infatti

elementi

che

si

combinano

strettamente,


-11completandosi a vicenda, e le azioni di entrambi sono frutto di una creatività naturale, che non si apprende dai libri. Inoltre, fa notare Labastida, Martí e il Che erano uomini fisicamente deboli

10

ma con una

forza morale incredibile, una volontà ferrea, una decisione irremovibile, una coscienza ed una audacia veramente rivoluzionarie; e soprattutto erano entrambi proverbialmente onesti, severi, semplici e modesti. In particolare però, sostiene lo studioso, è un concetto, espresso in Nuestra América, che lega fortemente il Che a Martí:

Para ambos el hombre es el protagonista central de la historia, y sus derechos y libertades son inalienables. Ambos confian en que nuestros pueblos serán capaces de luchar por su liberación, hasta la victoria. Y confian en ellos porque conocen su formación y su historia, y saben que estos consituyen un patrimonio y una fuerza potencial de las que carece el enemigo .11

Per la libertà e per l’indipendenza dei popoli, conclude Labastida entrambi sono pronti a tutto, fino ad offrire la loro vita, dato che tanto Martí che il

10

Il Che fin da piccolo soffrì di una forma particolarmente acuta di asma, i cui attacchi, improvvisi e violenti, lo perseguitarono per l’intera vita, compresa la battaglia decisiva a Vallegrande in Bolivia nel 1967, in cui, già prostrato dall’asma, fu ferito, catturato e assassinato. 11 [Per entrambi l’uomo è il protagonista centrale della storia, e i suoi diritti e libertà sono inalienabili. Entrambi confidano che i nostri popoli saranno capaci di lottare per la loro liberazione, fino alla vittoria. E confidano in essi perché conoscono la loro formazione e la loro storia, e sanno che questi costituiscono un patrimonio e una forza potenziale di quelle che sconfiggono il nemico]. Jaime Labastida, Identidad de Martí y el Che, in Anuario del Centro de estudios martianos, 13/1990, p. 123.


-12Che hanno vissuto con dignità esemplare e sono morti eroicamente. Sullo stretto rapporto tra Martí e il Che si è soffermato anche Alejo Carpentier, una delle figure più rappresentative della cultura cubana e latinoamericana. In un saggio intitolato Heroe de América rileva come da Martí Guevara abbia appreso la concezione di una realtà latinoamericana da pensare in termini collettivi, perché si tratta appunto di una “Nostra America”, di un impasto di popoli che pur ignorando la reciproca esistenza, si conoscono profondamente per la loro naturale somiglianza.

Hablamos de America. La de Martí. La de “amasijo de pueblos”. Aquella que conoce “ el desdén del vecino formidable que no la conoce”, la del la masa que “quiere que la gobiernen bien” y gobierna ella misma, sacudiéndose el mal gobierno si ese gobierno de turno la lastima. Hablamos de América. Amamos esta América. 12

Pertanto il Che è stato un uomo che, sulla base di questo pensiero, ha lottato per tutta l’America, senza tirarsi indietro di fronte alle imprese più difficili e pericolose, un uomo di dimensione universale, di mente attenta, di pensiero chiaro, che ha lottato per le aspettative di migliaia e migliaia di

12

[Parliamo di America. Quella di Martí. Quella dell’ “impasto di popoli”. Quella che conosce “il disprezzo del vicino temibile che la ignora”, quella della massa che “desidera che la governino bene” e governa essa stessa, rovesciando il mal governo se questo governo di turno non la soddisfa. Parliamo di America. Amiamo questa America]. Alejo Carpentier, Heroe de América, in Casa de las Américas, gen./feb. 1968, p. 5.


-13esseri umani, perché, potremmo dire, abitava dentro di loro. Il Che infatti, afferma Carpentier, ha abitato in Argentina, a Cuba, in Guatemala, dentro di noi ed in ogni luogo d’America, per attivare una rivoluzione che oltrepassasse i limiti geografici e si proiettasse verso dimensioni universali. A tal proposito riporta le parole di Fidel Castro, che riguardo al Che ebbe a dire: “No sólo lo temían viviente, pero muerto, inspira un temor mayor…Si los imperialistas saben que un hombre puede ser eliminado físicamente, nada ni nadie puede eliminar un ejemplo semejante”13. Di conseguenza il suo è stato un esempio indistruttibile e niente potrà attenuare la luce che si diffonde per la liberazione dell’America, quella autentica, che veramente i latinoamericani possono chiamare “nostra” nel tempo presente. Il mito, la leggenda, la favola, la tradizione trasmessa di bocca in bocca, conclude Carpentier, levano alto, nelle radure della terra, sui dorsi delle cordigliere, a largo dei fiumi, il nome del Che.

Nombre de un hombre por siempre inscrito en el grande martirologio de América, que caído, habrá de levantar nuevas energías revolucionarias en el camino donde, según últimas páginas de su diario, el paso de sus hombres “había dejado huellas”. Huellas que no se borran. Que jamás habrán de borrarse. Que quedan marcadas en el suelo del continente

13

[ Non solo lo temono da vivo, ma da morto ispira un timore maggiore…Anche se gli imperialisti sanno che un uomo può essere eliminato fisicamente, niente e nessuno può eliminare un esempio simile.] Ibidem.


-14entero. 14

Uno dei contributi critici più approfonditi sulla formazione culturale del Che e sul peso che, a tale proposito, ha avuto la conoscenza di Martí è stato fornito senza dubbio da Roberto Fernández Retamar, nel libro Cuba hasta Fidel y para leer el Che, una raccolta di scritti sul Che; uno di essi è dedicato proprio a tale questione 15. Fernández Retamar analizza infatti le fasi e gli aspetti più significativi della formazione del Che, compreso naturalmente il momento in cui egli conosce la figura di José Martí e approfondisce il suo pensiero, sottolineando come da lui apprese in particolar modo il concetto di profonda unità dei paesi latinoamericani e la capacità di sentirsi cittadino in ogni nazione. Si tratta oltretutto di qualità chiaramente identificabili nelle sue capacità linguistiche e nel suo stesso modo di parlare.

Es probable que entonces tuviera ya la revelación que en su tiempo tuvo Martí la de la profunda, indestructible unidad de nuestros países, más allá de las fronteras artificiales; es probable que entonces aprendiera a sentirse latinoamericano. En Guatemala, en México – y luego y sobre todo en Cuba- iba a verificar lo que aquellos viajes ya le habían echado a la cara:

14

[Nome di un uomo per sempre iscritto nel gran martirologio dell’America, che, caduto, avrà da diffondere nuove energie rivoluzionarie nel cammino in cui, secondo le ultime pagine del suo diario, il passo dei suoi uomini “abbia tracce svogliate”. Quelle che non si cancellano. Quelle che mai potranno cancellarsi. Che restino marcate nel suolo del continente intero] Ivi, p. 6. 15 R. Fernández Retamar, Para leer el Che, in Cuba hasta Fidel y leer el Che, La Habana 1979.


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la miseria., el desamparo, y la identidad última de nuestras tierras mestízas. Si la situación especifica del país en que naciera se le ofrecía confusa, y lo impulsaba a buscar otros aires iban a hacerlo suyo, iban a trasformarlo. Es curioso, al oir su voz, esucharle un acento que no no es ni argentino ni mexicano ni cubano, si ser tampoco, por supuesto, ese español abstracto, exangüe, de algunos profesores de lengua en tierra extraña: es en realidad, con referencia a nuestro Continente, lo que Unamuno proponía para el área del idioma: el sobrecastellano. Cada uno de nosotros lo reconoce como suyo aunque, a la vez, hay en él algo de otra parte. Esa otra parte quizás no es sino la totalidad misma, la América nuestra en su conjunto. No podemos conjeturar que así debió haber sido el español de Martí, un español no tanto acubanado (aunque esto prevaleciera: Urbina ha hablado de su acento costeño) como hispanoamericanizado? Me he detenido en esto porque creo que en su caso es un ejemplo más de que el Che, como Martí, no sólo se pensaba, sino además se sentia latinoamericano, y se expresaba como tal, así como otros se sienten de un país, y hasta de una zona de ese país. No hubo en él ningún orgullo local, sino una especie de responsable amargura continental: todo lo que nos divide le parecía vano frente a problemas reales y comunes que es menester decidirse a afrontar de manera real y común. 16

16

[E’ probabile che già allora abbia avuto la rivelazione che ai suoi tempi aveva avuto Martí: quella della profonda, indistruttibile unità dei nostri paesi, al di là delle frontiere artificiali; è probabile che allora abbia imparato a sentirsi latinoamericano. In Guatemala, in Messico – e dopo soprattutto a Cuba – avrebbe verificato ciò che quei viaggi già gli avevano gettato in faccia: la miseria l’abbandono e l’identità ultima delle nostre terre meticce. Se la situazione specifica del paese in cui era nato gli si presentava confusa, e lo spingeva a cercare altre atmosfere, quelle atmosfere stavano per conquistarlo, stavano per trasformarlo. E’ curioso, udendo la sua voce, ascoltare un accento che non è né argentino né messicano né cubano, senza essere comunque, per esempio, quello spagnolo astratto, esangue, di alcuni professori di lingua stranieri: è in realtà, con riferimento al nostro continente, quello che Unamuno proponeva per l’area dell’idioma: il sovracastigliano. Ognuno di noi lo riconosce come suo anche se , a volte, c’è in esso qualcosa che viene da un’altra parte. Quell’altra parte forse non è che la totalità stessa, la nostra America nel suo insieme. Non possiamo congetturare che così deve essere stato lo spagnolo di Martí, uno spagnolo non tanto “cubanizzato” (sebbene questo prevalesse: Urbina ha parlato del suo accento costiero) quanto ispanoamericanizzato? Mi sono soffermato su questo aspetto perché credo che nella sua specificità è un ulteriore esempio del fatto che il Che, come Martí, non solo si considerava, ma ancor più si sentiva latinoamericano e si esprimeva come tale, così come altri si sentono di un paese o perfino di una zona di questo paese. Non c’era in lui alcun orgoglio locale, ma una specie di responsabile amarezza continentale: tutto ciò che ci divide gli sembrava vano di fronte ai problemi reali e


-16Proprio per rimarcare lo stretto nesso ideologico tra Martí e il Che Fernández Retamar riporta le parole che lo stesso Guevara disse il 28 gennaio del 1960 nel corso di una conferenza sui paesi sottosviluppati:

Martí fue el mentor directo de nuestra revolución, el hombre a cuya palabra había que recurrir siempre para dar la interpretación justa de lo fenómenos históricos que estábamos viviendo […] porque José Martí es mucho más que cubano; es americano: partenece a todos lo veinte países de nuestro continente […] Cúmplenos a nosotros haber tenido el honor de hacer vivas las palabras de José Martí en su patria, en el lugar donde nació. 17

Il Che quindi sa bene che Martí è stato il primo pensatore del continente latinoamericano e che questa sua affermazione è valida anche per una rivoluzione dei paesi sottosviluppati. Tuttavia Fernández Retamar compie anche una analisi critica di queste parole, poiché, afferma, in esse c’è qualcosa di più che richiama l’attenzione: l’uso del passato. Vale a dire che, per rimanere fedeli alla sua parola e al suo spirito, occorre tener presente che lui ci aveva insegnato di fare in ogni momento quello che è necessario. In pratica, nella lotta rivoluzionaria, occorre adattare l’azione

comuni che bisogna decidersi ad affrontare in maniera reale e comune]. Roberto Fernández Retamar, op. cit., p. 79. 17 [ Martí è stato il mentore diretto della nostra rivoluzione, l’uomo alla cui parola bisognava sempre ricorrere per fornire la giusta interpretazione dei fenomeni storici che stavamo vivendo (…) perché José Martí è molto più che cubano: è americano; appartiene a tutti i venti paesi del nostro continente (…) E’ toccato a noi l’onore di rendere vive le parole di José Martí nella sua patria, nel luogo dove è nato]. Ivi , p. 83.


-17alle esigenze della realtà; una lezione questa che il Che apprese chiaramente. Infatti non importa quanto violenta possa essere un’azione, o quanto arido possa essere un pensiero; l’una e l’altro, nel rivoluzionario, sono al servizio dell’uomo. Se questo principio può essere offuscato dai nemici, deve invece essere costantemente ripetuto dai rivoluzionari. Ed è proprio l’essere al servizio dell’uomo che spinse Guevara, dopo lunghi viaggi diplomatici in altri paesi

18

, a riprendere le armi lottando per la

libertà dei popoli, affermando che altre terre reclamavano i suoi “modesti sforzi”. Eloquenti le parole di Fidel Castro, riportate da Fernández Retamar, subito dopo la partenza del Che per la Bolivia:

El compañero Guevara se unió a nosotros cuando estábamos exiliados en México, y siempre, desde el primer día, tuvo la idea, claramente expresada, de que cuando la lucha terminara en Cuba, él tenía otros deberes que cumplir en otra parte, y nosotros siempre le dimos nuestra palabra de que ningún interés nacional, ninguna circustancia nos haría pedirle que se quedara en nuestro país, o de esa vocación. Y nosotros cumplimos cabalmente y fielmente esa promesa que le hicimos al compañero Guevara.19

18

Come ambasciatore della rivoluzione cubana il Che visitò, tra il 1963 e il 1966, i seguenti paesi: Spagna , Egitto, India, Giappone, Indonesia, Ceylon, Corea del Nord, Cecoslovacchia, DDR, Algeria, Mali, Congo, Ghana, Guinea e Tanzania. 19 [ Il compagno Guevara si unì a noi quando eravamo esiliati in Messico, e sempre, fin dal primo giorno, maturò l’idea, chiaramente espressa, che quando la lotta sarebbe terminata a Cuba, egli aveva altri doveri da compiere in altri paesi, e noi sempre gli abbiamo dato la nostra parola che nessun interesse di Stato, nessun interesse nazionale, nessuna circostanza ci avrebbe indotto a chiedergli di restare nel nostro paese, contro quella vocazione. E noi abbiamo interamente e fedelmente onorato quella promessa fatta al Compagno Guevara ]. Op. cit., p. 88.


-18Allo stesso modo emblematiche, anche se pronunciate qualche anno prima ma forse proprio per questo più significative, le parole pronunciate dal Che nel 1964 in risposta ad un funzionario Onu che lo provocava:

He nacido en Argentina; no es un secreto para nadie. Soy cubano y también argentino, y, si no se ofenden las ilustrísimas senoría de latinoamérica, me siento tan patriota de Latinoamérica, de cualquier país de Latinoamérica, como el que más, y en el momento en que fuera de cualquiera de los países de Latinoamérica. 20

Sembra quindi trattarsi, afferma Retamar, più che della sordida realtà, delle vicissitudini mitiche di un eroe leggendario. Un eroe che riuscirebbe ad agitare la Terra. Perfino i nemici, infatti, si inchinarono davanti a tanta grandezza. Perfino i duri di cuore e i tiepidi sentirono rimanere nella loro anima lacrime di uomo. Se alcuni non hanno potuto, neppure allora, vedere e comprendere, allora, sentenzia, non potranno più vedere né comprendere. “Se han convertido ellos mismos en estatuas de sal, y la historia implacable los desmorona como al polvo” 21.

20

[ Sono nato in Argentina; non è un segreto per nessuno. Sono cubano e anche argentino, e, se non si offende l’illustrissima signoria del Latinoamerica, mi sento patriota dell’America Latina, nel modo più assoluto, e qualora fosse necessario, sarei disposto a dare la mia vita per la liberazione di qualsiasi paese latinoamericano]. Ivi, p. 89. 21 [Hanno trasformato se stessi in statue di sale, e la storia implacabile li sgretola come polvere]. Ivi, p. 90.


-19Il Che fu quindi un uomo che, quasi per un’esigenza istintiva, riscontrabile in altri eroi latinoamericani, come il venezuelano Simon Bolivár, l’argentino José de San Martin, il dominicano Maximo Gómez, il martinicano Frantz Fanon, sacrificò la propria esistenza per la libertà degli altri. Ed in questa consapevole scelta il pensiero e l’influenza di José Martí ebbero un ruolo fondamentale. Non a caso Fernández Retamar conclude il capitolo citando la frase forse più conosciuta del Che, parafrasata proprio dal suo maestro Martí: “Sobre todo, sean sampre capaces de sentir en lo más hondo cualquier injusticia cometida contra cualquiera en cualquier parte del mundo. Es la cualidad más linda de un revolucionario” 22.

2 I viaggi del Che e la scoperta dell’America Latina. Quando si parla di una fase pratica nella presa di coscienza del Che di una identità latinoamericana, non si possono tralasciare il luogo e gli ambienti in cui nacque. Roberto Massari 23 nel suo libro Che Guevara: l’uomo dal mito alla storia

22

[Soprattutto, siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. E’ la qualità più bella di un rivoluzionario]. Si tratta di un passo della famosa lettera di commiato del Che ai figli, scritta il 1° aprile 1965 alla vigilia della partenza per il Congo. Ibidem. 23 Roberto Massari è, con Gianni Minà, il maggiore studioso italiano della figura di Ernesto


-20si sofferma in particolare su un elemento che accompagna il Che fin dalla prima infanzia, la piantagione del padre di yerba mate, vicino a cui crebbe i primi anni. Per lo yerba mate, afferma, non possiamo che rimandare direttamente alla pampa argentina: è lì che occorre bere l’infuso, al calore del focolare di un gaucho, assaporando l’essenza ancestrale del mito e “cogliendone il messaggio di solidarietà, di cultura fuori del tempo che esso infonde” 24. Su questo contesto argentino in cui Guevara cresce non mancano le testimonianze. Fondamentale quella del padre, Ernesto Guevara Lynch

25

,

che giustamente mette in risalto l’importanza dell’ambiente naturale, di quei luoghi celebri nella storia della ricerca geografica, botanica, archeologica, naturalistica, per poi sottolineare anche come i molti resoconti di quelle imprese campeggiassero nella biblioteca familiare. Così, fa notare, i suoi studi di archeologia india e precolombiana, attraverso cui ripercorre a ritroso l’itinerario plurisecolare di installazione degli indigeni nel continente (gli Incas, i Maya, gli Aztechi), diventano la causa scatenante della sua voglia di viaggiare. E’ anche, come testimoniano in

Guevara. Sul Che ha scritto vari libri, ne ha tradotto in italiano le opere principali, ne ha curato numerose antologie. E’ anche autore di saggi politici e di studi sull’America Latina. 24 Roberto Massari, Che Guevara. L’uomo dal mito alla storia, Roma, Erre Emme 1997, p. 37. 25 Le maggiori testimonianze di Ernesto Guevara Lynch sul Che sono raccolte nei due libri Aquì va un soldado de América, Buenos Aires 1987 e Mi hijo el Che, Planeta, Barcelona 1981.


-21molti, il primo passo reale verso la scoperta di una identità latinoamericana. In poco meno di cinque anni il Che visitò a più riprese l’intera America Latina 26. Momento cruciale è però il viaggio in moto con l’amico Alberto Granado, viaggio in cui il Che subisce la trasformazione interiore più profonda. Emblematiche in tal senso sono le parole che lui stesso pronuncia nell’introduzione al suo diario di viaggio, e che ci rendono a pieno l’idea di come questo momento sia stato per lui veramente rivoluzionario:

Il personaggio che ha scritto questi appunti è morto quando è tornato a posare i piedi sulla terra d’Argentina, e colui che li riordina e li ripulisce, “io”, non sono più io; per lo meno, non si tratta dello stesso io interiore. Quel vagare senza meta per la “Maiuscola America” mi ha cambiato più di quanto credessi. 27

Roberto Massari, nel già citato Che Guevara: l’uomo dal mito alla storia, dimostra come l’intero viaggio sia scandito dall’elemento indigeno che si propone continuamente ai due amici, impregnandone la coscienza e la sensibilità. La presenza indigena si manifesta in ogni paese, in ogni momento, in ogni situazione che incontrano. E’ in questa fase, sostiene

26

Dopo un primo viaggio fatto da solo nel 1950, su una bicicletta motorizzata, su parte della Cordigliera delle Ande, il Che partì nel 1951 con l’amico Alberto Granado visitando Cile, Bolivia, Perù, Brasile, Colombia e Venezuela. 27 Ernesto Che Guevara, op. cit., pp. 17-18.


-22Massari, che la preistoria e la storia dell’indio appaiono spontaneamente nel presente di Guevara come storia di emarginazione sociale

28

. Il

meticcio, il contadino affamato, l’analfabeta, il bimbo scheletrico o il giovane bracciante con scarse possibilità di diventare vecchio, sono il modo vero e brutale in cui il problema “indio” si presenta a Ernesto. E la scoperta di questa nuova dimensione dell’indio significa in primo luogo “ riappropriazione delle radici di un pensiero popolare vero, profondo, ancestrale in alcune sue proiezioni culturali. Sono le radici dell’anima e del continente latinoamericano”

29

. Di conseguenza, da questa scoperta

“indianistica”, scaturisce anche la consapevolezza di una dimensione necessariamente sovranazionale, continentale, del più antico problema sociale latinoamericano. A supportare queste considerazioni giungono anche le testimonianze di Alberto Granado nel suo libro En viaje con el Che. Granado insiste sulla meraviglia e lo scoramento allo stesso tempo che provoca la constatazione dell’enorme squilibrio tra ricchezza e miseria, potenti e schiavi, benestanti ed emarginati, in ogni luogo visitato. In particolare, mangiando ogni tanto e

28

Delle letture “indigeniste” del Che si è sempre parlato molto: partendo dal poema nazionale argentino del gaucho Martin Fierro di Josè Hernandez, passando per Los comentarios reales del peruviano Inca Garcilaso de la Vega, arrivando al romanzo Huasipungo dell’ecuadoriano Jorge Icaza o El mundo es ancho y ajeno del peruviano Ciro Alegria. 29 Roberto Massari, op. cit., p. 38.


-23viaggiando su camion insieme ad indios ed animali, i due amici constatano il razzismo e i maltrattamenti nei confronti degli indigeni 30. Così l’indio precolombiano spesso è ancora lì, vivo, in carne ed ossa a testimoniare con la propria arretratezza ed emarginazione gli effetti della acculturazione forzata. Però, proprio nel Cile indigeno, scoprono qualcosa di completamente diverso dal loro paese e qualcosa di tipicamente americano, impermeabile all’esotismo che ha invaso le loro pampas.

Nelle viuzze strette del villaggio, con la pavimentazione di pietre tipicamente indigena e i bruschi dislivelli, le meticce con i bimbi sulla schiena…insomma, nei tanti aspetti pittoreschi, si respira l’evocazione di tempi anteriori alla conquista spagnola. 31

Ma proprio riguardo alla formazione del Che e al suo viaggiare nell’America Latina trovando e riconoscendo ovunque una parte di se stesso e della sua identità, sembra esemplare una strofa di Alfredo De Robertis 32, poeta e compositore argentino, che nella poesia intitolata

30

Nel suo diario il Che riporta questa testimonianza: “Alla fine del terzo giorno, il quinto di permanenza ad Andahuaylas, abbiamo conseguito quello che cercavamo, cioè un camion diretto ad Ayacucho. Provvidenziale, senza dubbio, perché Alberto aveva reagito violentemente contro uno dei soldati di guardia che aveva insultato una donna india venuta lì a portare da mangiare al marito arrestato, e la sua reazione era sembrata assolutamente inopportuna a quelli che consideravano gli indios come cose degne tutt’al più di essere lasciate vivere, suscitando un certo risentimento nei nostri confronti”. Ernesto Che Guevara, op. cit., p. 92. 31 Ivi, p. 68. 32 Alfredo De Robertis (1924), poeta e compositore argentino, studioso del folclore, soprattutto quello latinoamericano. Risiede a Parigi.


-24Ay, Che Camino, scrive:

Yo soy un hombre nacido allá en la pampa lejana pero mi sueño querido es la patria americana No tengo ni tierra ni casa, no tengo nombre ni edad, soy como el viento que pasa, un viento de libertad. 33

Anche De Robertis, quindi, mette a fuoco questa straordinaria virtù del Che di sentirsi americano in senso lato, di riconoscersi cittadino di ogni paese che incontra, difendendo la nazionalità ma abbattendo i nazionalismi. Una virtù che gli permetteva di comprendere i problemi, gli ideali, i costumi di ogni uomo, e di conseguenza di lottare con piena consapevolezza per la loro legittimazione. Quando si parla del viaggio del Che è però impossibile trascurare la tappa sicuramente più importante: la visita al lebbrosario di San Pablo in Perù 34. Alla base di questo viaggio in particolare un’interpretazione originale ci

33

[ Io sono un uomo nato/ là nella pampa lontana/ ma il mio grande sogno/ è la patria americana/ Non ho terra né casa/ non ho nome né età/ sono come il vento che passa/ un vento di libertà]. Alfredo De Robertis, Ay, Che camino, in Meri Lao, Al Che: poesie e canzoni dal mondo, Roma, Erre Emme 1995, p. 24. 34 Il Che arriva nel lebbrosario di San Pablo nel giugno del 1951, durante il viaggio in moto.


-25viene ancora da Roberto Massari, che vede nel soggiorno al lebbrosario di San Pablo il risultato di una filosofia personale del Che sullo studio dell’uomo. In lui infatti, sostiene, c’è molto di riflessione sull’uomo, sull’uomo che egli è, quindi sull’uomo “se stesso”, ma anche sull’uomo “altro”, sull’uomo che egli incontra, come amico e come nemico. Uno degli aspetti pioneristici nell’umanesimo di Guevara è stato certamente rappresentato dalla determinazione con cui ha intrapreso il processo di trasformazione di se stesso; e “per conoscere se stesso il Che è andato dagli altri”

35

. Ad un certo punto della vita egli ha detto basta al suo contesto

sociale, alle sue abitudini in via di cristallizzazione, fuori dal conformismo, alla ricerca di una strada per uscire da se stesso, dalla famiglia di Buenos Aires e dalla Argentina peronista. Va in giro per il mondo, sostiene Massari, a cercare l’uomo, “l’altro”, quel qualcosa che ovviamente non poteva trovare in se stesso, né nel banale mondo di una tranquilla sopravvivenza piccolo o medio-borghese. Ma cosa cerca veramente il giovane Guevara? Alla ricerca dell’uomo abbrutito e reietto, Ernesto visita come prime tappe del suo lungo e celebre viaggio i luoghi di raccolta dell’estrema povertà della società latinoamericana del tempo: i lebbrosari del continente.

35

Roberto Massari, op. cit., p. 13.


-26-

Non era il suo un interesse professionale di medico

36

che lo spingeva in

quella direzione, ma la percezione trasfigurata, al limite letteraria, del lebbroso come espressione esasperata della sofferenza umana, della miseria, dell’uomo schiacciato dal destino e dalle condizioni sociali. Queste considerazioni, oltretutto, traspaiono chiaramente dalle pagine del suo diario, così come la rivoluzione interiore che provoca in lui il contatto con i lebbrosi.

Il problema è che l’adattarsi alla situazione fa sì che nelle famiglie povere il soggetto inabile a guadagnarsi il sostentamento si veda circondato da un’atmosfera di acredine a malapena dissimulata; da quel momento si cessa di essere padre, madre o fratello per trasformarsi in un fattore negativo nella lotta per la vita e, come tale, bersaglio del rancore della comunità sana che finisce col considerare la sua infermità come un insulto personale verso coloro che devono mantenerlo. Lì, in quegli ultimi istanti per gente il cui orizzonte più lontano è sempre stato arrivare al domani, è dove si coglie la profonda tragedia che condensa la vita del proletariato di tutto il mondo; c’è in quegli occhi moribondi una sommessa richiesta di perdono e anche, molte volte, una disperata richiesta di consolazione che si perde nel vuoto, come presto si perderà il corpo nell’immensità del mistero che ci circonda. Fino a quando continuerà questo ordine delle cose basato su un’assurda suddivisione in caste, è qualcosa cui non sta a me rispondere, però è ora che i governanti dedichino meno tempo alla propaganda delle qualità del loro regime e più denaro, moltissimo in più, per la realizzazione di opere di utilità sociale. 37

36

Ernesto Guevara si laureò in medicina nel 1952 all’università di Buenos Aires e proprio come medico si aggregò inizialmente al gruppo di rivoluzionari cubani guidati da Fidel Castro. 37 Ernesto Guevara, op. cit., p. 49.


-27La sua ricerca dell’uomo quindi non poteva che iniziare dal fondo della disperazione sociale e psicologica e quindi coerentemente dal “fratello di lebbra”: un simbolo, come afferma Massari, per tutto il nostro medioevo, della disperazione umana, affiancato per secoli alla idealizzazione del bacio del lebbroso come prova estrema di coraggio e altruismo. Accade così che proprio nel lebbrosario Ernesto Guevara apprende a fondo i sentimenti della comprensione, della solidarietà, dell’amicizia per il prossimo che, spesso, è strettamente legato a noi solo per il suo modo di essere e venire considerato. E a San Pablo, in particolare nel giorno del commiato, il Che capisce in nome di quali ideali lotterà nella sua vita:

Pur considerandone la semplicità, una delle cose che più ci ha impressionato è stato il commiato dei malati. Hanno messo assieme fra tutti cento sol e mezzo che ci sono stati consegnati con una letterina magniloquente. Alcuni di loro sono venuti a salutarci personalmente e a più d’uno sono scese le lacrime ringraziandoci per quel poco di vita che gli avevamo dato, mentre stringevamo le mani, accettavamo i regali e ci sedevamo in mezzo a loro ad ascoltare la radiocronaca di una partita. Se c’è qualcosa che, un giorno, dovesse convincerci a dedicarci seriamente alla lebbra, sarà questo affetto che ci dimostrano i malati di ogni parte. 38

Dopo il lebbroso, la disperazione dell’uomo si incarna nell’indio, vale a dire il grande esercito operaio del continente, negli emarginati delle Ande,

38

Ivi, p. 103


-28nei peones delle haciendas, nei minatori del salnitro, in quelle grandi masse di popolo che per prime hanno pagato i prezzi del colonialismo e poi dell’imperialismo. Le considerazioni di Massari trovano riscontro nei versi di un famoso poeta argentino, Humberto Costantini

39

, che nella poesia intitolata Che

scrive:

Debiéramos filtrar todas las aguas de los ríos. Lavar todas las caras de los negros. Picar la cordillera de los Andes. Poner a South América en un termo. Dicen que en Venezuela montaba una guitarra. Que en Buenos Aires entraba en bandoneones y discépolos. Que en Uruguay punteaba una milonga con el Diablo. Y en Brasil vestido de caboclo bajaba a los terreiros. 40

In pratica il processo formativo del Che sembra ricalcare le definizione che Nadine Gordimer 41 dà del creolo: colui che non appartiene ad alcun paese,

39

Humberto Costantini (1924), poeta e narratore argentino, a lungo esiliato in Messico, fu tra i primi intellettuali argentini a tributare onori letterari al Che. 40 [ Dovremmo filtrare tutte le acque dei fiumi/ Lavare tutte le facce dei negri/ Macinare la cordigliera delle Ande/ Mettere South America in un termos/ Dicono che in Venezuela cavalcasse una chitarra/ Che a Buenos Aires stesse dentro i bandoneòn e i Discépolo/ Che in Uruguay suonasse una milonga col Diavolo/ E in Brasile vestito da contadino scendesse alle balere]. Humberto Costantini, Che, in Meri Lao, Al Che: poesie e canzoni dal mondo, Roma , Erre Emme 1995, p. 22. 41 Questa definizione di creolo viene esposta da Nadine Gordimer (scrittrice sudafricana, creola bianca, figlia di emigranti europei), in Quell’altro mondo che era il mondo, l’ultima delle Norton Lectures da lei tenute ad Harvard nel 1994, in Scrivere e pensare, Feltrinelli, Milano 1997.


-29colui che non ha impronta nazionale e che per questo deve “costruire se stesso”. In questi termini il Che può essere definito il più grande creolo dell’America Latina.

3 La formazione del Che in Jaime Valdivieso. In ambito strettamente poetico la formazione politico culturale del Che è stata affrontata soprattutto da Jaime Valdivieso

42

, che a tale proposito ha

composto forse i versi più profondi e penetranti. Presencia del Che Guevara, questo il titolo della sua poesia, parte da un presupposto ideologico ormai appurato e riconosciuto, vale a dire l’inscindibilità di politica e cultura, due elementi da sempre uniti da uno stretto legame, specialmente se rapportate alla vita di un rivoluzionario e , in questo caso, di un rivoluzionario come Ernesto Che Guevara. La politica infatti è cultura, è modo di essere, di vivere, di pensare, di esistere e, come tale, naturalmente, è portatrice di etica e morale. Ogni nostra azione quotidiana, anche la più semplice, presuppone una formazione culturale, un pensiero ben precisi e definiti. Di conseguenza anche in ogni elemento materiale o atmosferico

42

toccato o

attraversato

da

uomini

di straordinaria

Jaime Valdivieso (1929), poeta, narratore, critico letterario e docente cileno, grande studioso della figura di Che Guevara, a cui ha dedicato vari saggi e poesie.


-30levatura morale, si può scorgere la loro presenza e il loro messaggio. Questa, dice Valdivieso, è una delle doti immortali del Che, e che immortale lo hanno reso:

Pido la respiración más pura, más entrecortada y honda para hablar del Che Guevara; pido hablar del agua, del aire, de su presencia cotidiana como el aire y como el agua. 43

Chiaramente questa virtù magica del Che è il risultato di un percorso formativo lungo e profondo, di una vita vissuta intensamente, con esperienze toccanti e diretta conseguenza di una sensibilità e di una maturità non comuni. Le tappe fondamentali di questa presa di coscienza culturale vengono ripercorse in brevi ma significativi versi da Valdivieso.

Del hombre que dejó la ciudad olvidó su diploma y salió a pié, en la motocicleta ( y luego una balsa) por los senderos del maíz y la malanga

43

[ Chiedo il respiro più/ puro, spezzato e profondo/ per parlare del Che Guevara/ chiedo di parlare dell’acqua, dell’aria/ della sua presenza quotidiana/ come l’aria e come l’acqua]. Jaime Valdivieso, Presencia del Che Guevara, in Meri Lao, op. cit., p. 110.


-31buscando al hombre en los huecos de la lepra. … Pero en alguna parte había una estrella con un dedo rojo señalando hacia la selva hacia las alturas del Cuzco y Machu Picchu donde se ahoga el aire, o hacia el fondo de la tierra donde aún palpita el pecho de los mayas. 44

E’ proprio grazie a questa maturazione e a queste esperienze che Valdivieso giunge a paragonare il Che, se non ad inserirlo in quella ristretta cerchia come loro ideale continuatore, a vari eroi latinoamericani, come Fra Bartolomeo de las Casas, Tupac Amaru, José Martí e Sandino. In definitiva archeologia, indigenismo, medicina, letteratura e i primi rudimenti del marxismo si mescolano e si fondono in una sintesi culturale nuova, che ancora non è politica, ma che è già radicale: non è più una produzione fantastica, ma non è ancora sistematica. E’ la sintesi di un uomo che in primo luogo si sta formando nella sua proiezione psicologica

44

[ Dell’uomo che lascia la città/ dimentica la sua laurea/ e parte a piedi, in motocicletta/ (e poi in una zattera)/ lungo i sentieri del mais e la malanga/ cercando l’uomo/ nella cavità della lebbra/ …/ Da qualche parte però/ una stella con un dito/ rosso indicava la selva/ le cime/ del Cuzco e Machu Picchu/ dove l’aria soffoca/ o il fondo della terra/ dove ancora palpita/ il petto dei maya]. Ivi, pp. 110-111.


-32esterna e poi nell’incontro con un prossimo sempre più apertamente percepito come insieme e non come semplice serie di individui. E’ un’immagine di uomo che, per spezzare la crosta della concezione idealistica tradizionale, ha ancora bisogno di assumere sembianze e forme di categorie particolari: il lebbroso, l’indio, il meticcio, il marginale, il reietto. Un uomo appunto, quello latinoamericano, caratterizzato da un meticciato costituivo di base, frutto della fusione di elementi storici, genetici, culturali comuni e, pur con le loro sfumature diverse, strettamente connessi tra loro.


-33-

CAP. II

IL MITO DEL CHE: ALCUNE CONSIDERAZIONI E INTERPRETAZIONI

1 Considerazioni generali sul mito Guevara Ernesto Guevara è un mito. I motivi, le spiegazioni, le interpretazioni sono innumerevoli, però, nonostante la sua esistenza sia stata breve, egli ha una fama non comune; pochi altri sono riusciti a lasciare una impronta così forte nella memoria collettiva dei popoli di tutto il mondo. Nella famosa foto di Alberto Díaz Gutiérrez, più conosciuto come Korda, lo si vede col basco con la stella a cinque punte, un giubbotto di pelle, i capelli lunghi e lo sguardo rivolto verso un orizzonte immaginario. Milioni di uomini, in ogni luogo della terra, ancora oggi alzano al cielo i cartelli e le bandiere con la sua immagine, ed amano ricordarlo. In pratica il Che è l’eroe del XX secolo. Se è vero che il suo mito può riflettere lo spirito del suo tempo, non è detto però che l’eroe debba rispondere solo ai bisogni della sua epoca; spesso anzi egli diventa tale proprio perché riesce ad interpretare istanze diverse da quelle della sua civiltà. Ognuno lo vede infatti in modo diverso: come un guerriero, un asceta, un intellettuale, un profeta, un


-34avventuriero, un romantico, un sognatore, un utopista, un rivoluzionario o addirittura come un santo. Le ragioni per cui il Che è un eroe universale sono molteplici, ma quella principale consiste nell’essere un uomo della storia. Il mito, in genere, è una figura atemporale. Gli uomini la fissano nella mente e la tramandano senza pensare se le cose che si riferiscono alla sua esistenza siano vere o false; custodiscono il suo ricordo reinventandolo. In quanto mito, il Che è anch’egli frutto dell’immaginazione, ma nel suo caso abbiamo migliaia di fotografie, di filmati, di pubblicazioni, di testimonianze di ogni genere che ci danno informazioni sulla famiglia, l’infanzia, gli amori, le amicizie, gli stati d’animo, le idee e le scelte di vita. La realtà, a volte, sembra superare la leggenda, la storia il mito. Mythos in greco significa parola, narrazione, ossia forma che diventa racconto. Come ricorda Roland Barthes a proposito dei miti d’oggi, il mito è una parola scelta dalla storia, per cui esso non può sorgere dalla natura delle cose. E’ quindi un racconto che si fissa nel tempo. In ogni caso, colui che aderisce al mito aiuta a rimodellarlo, a tramandarlo diventandone, in qualche modo, parte integrante. I miti contemporanei non servono a spiegare la nascita del fuoco o l’origine dell’universo, come avveniva con i miti greci,

bensì la

nascita del

mondo moderno. Sono

punti di

riferimento che servono a rendere parte del mito “mitico” coloro che si


-35riconoscono in esso. Nel passato gli scrittori, gli intellettuali, rimodellavano e tramandavano i miti, oggi invece sono le masse e i mezzi di comunicazione a farlo. Ma l’universalità del Che è in relazione anche alla complessità delle idee per cui si era battuto. Era un comandante guerrigliero comunista e, in tale veste, divenne famoso tra tutti coloro che nel mondo condividevano le sue idee. Era un marxista libertario, antidogmatico e umano, e ciò lo differenziava da quei comunisti ortodossi che avevano finito per costruire dei regimi autoritari. Era anche un “patriota mondiale” poiché lottava per l’indipendenza di quei popoli del mondo che si trovavano sotto il dominio di altri popoli. Era però prima di tutto un rivoluzionario, cioè un uomo che combatteva ogni forma di autoritarismo, che anteponeva l’azione al pensiero, che imbracciava il fucile contro ogni forma di sfruttamento , che lottava per la creazione di un uomo nuovo. Questa caratterizzazione originale della sua vita e questa multiformità del suo pensiero, lo rendevano degno di ammirazione, anche se per ragioni diverse, in ogni parte della terra. Per un contadino boliviano il Che rappresentava un combattente contro lo sfruttamento, per uno studente francese il simbolo dell’uomo errante, per un operaio cubano un liberatore della patria, per un pastore congolese un soldato che lottava contro il colonialismo, per un piccolo borghese argentino un nemico dell’imperialismo. La fama universale del Che è quindi in relazione al suo


-36essere eroe in terra straniera. Come afferma lo studioso italiano Giovanni Sole, nel suo articolo Considerazioni sul mito guevariano 1, il Che era dell’idea che ci fossero uomini che, per le loro qualità umane, lasciavano un’impronta forte. In quanto comunista e rivoluzionario, aveva però un’idea di eroe intimamente legata al popolo. La grandezza del singolo non aveva senso se non era inserita in un movimento collettivo. Egli non combatteva per la sua patria, ma per tutte le patrie, non combatteva per la sua gente, ma per tutte le genti. La sua terra era il mondo intero e i suoi compagni tutti coloro che lottavano. Il Che, afferma Luce, è un eroe universale anche perché era un uomo errante. L’uomo mitico è spesso colui che è trascinato ai margini del mondo, perennemente in esilio, destinato ad una vita errabonda: il vagare è legato alla sua natura. In lui era il viaggio a creare il mito, a fargli sorgere il desiderio di una meta:

Guevara errava sempre e suscitava grande ammirazione da parte di chi rimaneva fermo, ma anelava al viaggio e alla libertà. Egli appare come il pellegrino per antonomasia, il cavaliere errante che non riposa mai, che non trova pace, sempre alla ricerca di se e dell’altro. 2

1

Questo articolo è stato pubblicato su Latinoamerica, n. 65, dic. 97, pp. 77-88. Giovanni Sole, Considerazioni sul mito guevariano, in Latinoamerica, n. 65, dic. 97, pp. 7788, p. 80.

2


-37Il suo coraggio e il suo rigore morale affascinavano le grandi masse. Molti uomini che si facevano portavoce della povera gente, sempre pronti a criticare i compagni e a richiamarli alla coerenza rivoluzionaria, quando era il momento di scendere in campo, trovavano mille scuse per non agire. Il Che invece era diverso; diceva che bisognava combattere e prendeva il fucile. Impressionò e commosse il mondo intero, ricorda Sole, quando giovane ministro cubano, al culmine del successo e della fama, lasciò tutto e tutti per andare a morire in una sperduta boscaglia della Bolivia. Nessuno lo aveva costretto ad andare, anzi, da molti gli era stato sconsigliato. Ma coloro che soffrono hanno bisogno di uomo giusto che li difenda dalle forze del male, che cerchi di liberarli dalla distruzione e dalla morte, che dia loro la speranza di vivere in un mondo più giusto, che li protegga nel corso della loro esistenza. Il Che permette così agli uomini di andare oltre, tenta di offrire una risposta ai problemi che tormentano l’umanità. Sull’eroico guerrigliero grandi masse proiettano i loro desideri inconsci, le loro speranze e i loro sogni. Oggi, afferma lo studioso, si grida “il Che è vivo”. Il Che è vivo perché da uomo morto diventa immortale, perché, sconfitto da vivo, risorge da morto. Diventando immortale, si sposta però in una dimensione totalmente immaginaria ed egli non è più una figura storica, ma mitica, staccata dal suo contesto sociale, fuori dal tempo e dallo spazio. Il Che, isolato dagli uomini e sottratto alla storia, appare un


-38cavaliere che erra per il mondo rincorrendo i suoi sogni. Come Don Chisciotte, il malinconico gentiluomo spagnolo, tutto chiuso nel suo mondo fantastico, cammina sul suo ronzino malfermo e macilento per difendere la giustizia, raddrizzare torti e punire i colpevoli.

La vita del Che si presenta come un groviglio di realtà e di immaginazione. Agli occhi degli uomini egli appare come un semidio, un eroe che esprime ideali così elevati da non potere trovare spazio in un mondo di lupi rapaci. A causa della sua vita itinerante, della sua purezza e della sua umanità, viene considerato come il portatore di un mistero sacro, come un santo sulla terra al servizio dell’umanità. Diventando un mito il Che diventa altro de sé. La sua immagine si carica anche di valori che non possono essere legati alla sua persona. 3

La vita e gli ideali del Che vengono infatti continuamente riplasmati. Nella prospettiva mitica, il viaggio del Che è visto non come un atto d’amore, ma come un atto di fede, non come un viaggio reale, ma trascendente. La sua vita non viene vista come frutto di un processo storico, sociale e umano, ma religioso, mistico e soprannaturale. Diventando un mito, sostiene Sole, il Che viene posto al di sopra dei conflitti sociali e della storia. La gran parte degli uomini, nonostante vivano una vita contraria ai valori per cui egli si

3

Ivi, p. 85.


-39era battuto, lo amano. La stessa società che il rivoluzionario argentino aveva combattuto, tollera la sua immagine. Il potere sa che individui come lui sono espressione di un malessere causato da una vita ingiusta, da norme e regole che limitano la libertà e i bisogni umani. La società è gelosa di coloro che si tengono lontani da lei, non è immobile e convive perfino con chi la combatte. Il Che per gli uomini rappresenta qualcosa che può dare risposte a problemi irrisolvibili. La sua figura dà sfogo simbolicamente ai conflitti sociali e individuali.

Gli uomini hanno un mondo caotico e magmatico da cui ricavano sicurezza e sapienza. Dietro quella cultura chiara che caratterizza la loro vita, vi è una cultura nascosta, vi sono dei simboli e dei miti da cui ricavano certezze. Dietro la realtà vi sono molti fili che portano in un mondo diverso, di cui la società si nutre. La sfera che trascende la vita quotidiana è sentita come diversa e misteriosa, ma in realtà è parte di essa. Il mondo del Che mette in discussione quello di sempre, ma in un certo senso ne è anche il riflesso. Egli rende visibili idee, valori, sentimenti che spesso non si vedono, ma che sono centrali nella cultura e che contribuiscono alla coesione degli uomini. Egli penetra nella struttura e la ridefinisce in relazione al mito d’origine che la fonda, riafferma le forme simboliche entro cui è costituito il significato dell’esistenza individuale e collettiva. 4

Il Che, quindi, viene ormai accettato in una dimensione mitica. Vi sono

4

Ivi, p. 87.


-40studiosi che lamentano continuamente il fatto che non esista una interpretazione autentica e profonda della sua personalità e del suo pensiero. Tuttavia il mito sceglie le sue vie. Gli uomini non vedono il “guerrigliero eroico” come un prodotto della storia ma del mito, non riflettono sulle cose per cui si era battuto, ma sulla sua figura. Il suo mito diventa soprattutto estetico, da esso sorge un’opera d’arte. A conclusione delle sue riflessioni Giovanni Sole cita il poeta cubano David Fernández, trovando nelle sue parole quasi una legittimazione alle sue affermazioni.

“Riposa in guerra”, scrive David Fernández nel suo epitaffio dedicato al Che. Neanche da morto l’eroico comandante viene lasciato in pace. La maggioranza sottomessa, che sopporta in silenzio le ingiustizie dei suoi simili, ama quell’uomo che ha ingaggiato una lotta solitaria contro avversari invincibili. La purezza dei suoi intenti e la sua condotta colpiscono gli uomini, esercitano su di essi un fascino particolare. Ad un mondo in cui prevale il calcolo egoistico, il rivoluzionario argentino dà un messaggio di speranza. La sua immagine è un incoraggiamento alla lotta e alla resistenza. 5

Vediamo, nello specifico, come Fernández supporti poeticamente le considerazioni di Sole, e come, in pochi lucidissimi versi, proponga anche

5

Ivi, p. 83.


-41egli un’interpretazione della figura mitica di Ernesto Che Guevara. La sua poesia si intitola Epitafio para llevar al hombre.

Que se haga de tu sangre testaruda La conciencia del mundo. Que reciban pedazos de tu muerte en las espaldas Los que quedan atrás. Eres lo que quisiste ser: un hombre muerto, un árbol. Serás la muerte como fuiste la vida. No te vas a perder: descansa en guerra. 6

Questa poesia di Fernández offre lo spunto, a mio avviso, per altre considerazioni. Degne di merito appaiono quelle di Gianni Minà

7

che,

prendendo spunto da alcune riflessioni di Eduardo Galeano e Manuel Vázquez Montalbán, si sofferma anch’egli sulla figura mitica del Che.

6

[ Sia fatta col tuo sangue testardo/ la coscienza del mondo/ Riceva sulla schiena pezzi della tua morte/ che rimane indietro/ Sei ciò che hai voluto essere/ un uomo morto, un albero/ Sarai la morte come sei stato la vita/ Non ti perderai: riposa in guerra]. David Fernández, Epitafio para llevar al hombre, in Meri Lao, Al Che: poesie e canzoni dal mondo, Roma, Erre Emme Edizioni 1995, p. 148. 7 Gianni Minà, è stato anche autore di servizi, interviste, film documentari su Fidel Castro, Che Guevara, il subcomandante Marcos; è inoltre un attento studioso della cultura e della letteratura dell’America Latina.


-42Nell’articolo intitolato Un incubo per il pensiero unico 8 fa notare come in gran parte del mondo si continui comunque a ricordare Ernesto Che Guevara, assassinato oltre trent’anni fa in Bolivia dove inseguiva l’utopia di liberare dall’ingiustizia, dalla miseria e dalla sopraffazione non solo quel paese, ma tutta l’America Latina. Il Che, sostiene Minà , è un caso unico nel nostro secolo che ha divorato i suoi protagonisti e non ha avuto pietà, spesso, neppure dei più meritevoli, condannandoli ad un rapido oblio. Per il medico argentino che insieme a Fidel Castro, in un’esperienza rara nel continente, contribuì a far trionfare una rivoluzione popolare a Cuba e successivamente, prima di cadere in Bolivia, tentò, senza successo, di tenere in vita il movimento di liberazione del Congo dopo l’assassinio di Lumumba, “non è mai arrivato invece il momento dell’oblio e nemmeno il disprezzo delle sue idee e delle sue azioni” 9. Così, ovunque, in occasione degli anniversari della sua morte, e non solo, si moltiplicano in Francia o in Germania, in Messico o in Brasile, in Giappone o in India, in Italia o negli Stati Uniti, seminari, manifestazioni, libri, film, documentari, dibattiti, perfino corsi universitari come nell’Argentina di Menem, accanito

8

L’ articolo di Gianni Minà, “Un incubo per il pensiero unico”, è stato pubblicato sui Quaderni della Fondazione Ernesto Che Guevara, I, (1998), 1, pp. 15-17. 9 Gianni Minà, op. cit., p. 15.


-43anticastrista. Ma perché si è verificato questo fenomeno? Perché il Che ha questa pericolosa abitudine di continuare a nascere? La risposta Minà la dà ricordando la spiegazione che in proposito fornisce lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano:

Quanto più lo insultano, lo manipolano, lo tradiscono, più il Che nasce. Anzi, è quello che nasce più di tutti. Non sarà perché disse ciò che pensava e ha fatto ciò che diceva? Qualcosa di straordinario in un mondo dove le parole e i fatti raramente si incontrano. E se si incontrano non si salutano perché non si conoscono. 10

Un messaggio come quello di Che Guevara, che diventa il simbolo di tutta l’umanità burlata, mortificata, oppressa, nascendo in Argentina e proponendo le sue idee di socialismo non colonizzato e le sue strategie guerrigliere da molti giudicate fuori luogo a Cuba, in Congo e nell’America Latina, è quindi sopravvissuto al suo tempo forse perché rappresenta un bisogno reale, un anelito, una speranza che, malgrado tutto, malgrado le sconfitte della storia, qualcosa cambi per la maggior parte dell’umanità. Per questo Che Guevara probabilmente è ancora attuale. Perché, ricorda Minà, come ha scritto Vázquez Montalbán,

10

Ivi, p. 16.


-44il Che è come un incubo per il pensiero unico, per il mercato unico, per la verità unica, per il gendarme unico. Il Che è come un sistema di segnali di non sottomissione, una provocazione per i semiologi o per la santa inquisizione dell’integralismo neoliberale. E causa questo disagio non come profeta di rivoluzioni inutili, ma come scoraggiante (per il potere) proclama del diritto a rifiutare che, fra il vecchio e il nuovo, si possa scegliere soltanto l’inevitabile, e non il necessario,. Insomma, la libertà fondamentale di rivendicare il necessario. 11

E’ normale quindi, conclude Gianni Minà, che, nonostante i decenni trascorsi dalla sua morte, Guevara metta in crisi tutti coloro che non osano dedicare la loro vita ad una qualunque causa altruista. A conclusione di queste ampie interpretazioni mi sembra che vadano menzionate anche le considerazioni che formula Roberto Massari sul mito Guevara 12. Egli individua fondamentalmente cinque aspetti, o cause, che, consolidandosi nel tempo, hanno originato prepotentemente l’immagine mitica del Che. Dapprincipio, afferma, l’attenzione viene attratta dal mistero della sua scomparsa. Il Che diventa infatti preda ghiotta per i mass media occidentali che si lanciano sull’argomento formulando le ipotesi più varie; il mistero comincia a circolare per il mondo, ad occupare periodicamente spazi sui

11

Ivi, p. 17. Queste considerazioni sono esposte nell’articolo “Il nostro Che Guevara”, pubblicato sui Quaderni della Fondazione Ernesto Che Guevara, , I, (1998), 1, pp. 29-36.

12


-45giornali e, soprattutto, ad alimentare un mito.

Si sussurra tra gli addetti ai lavori che l’irrequieto Comandante sia andato a combattere “in altre terre del mondo” (forse addirittura in Vietnam - è una delle voci più accreditate): ma certamente sta rischiando la vita, vista la caccia spietata che la Cia gli ha scatenato contro. 13

Rileva poi, in secondo luogo, il fascino antiburocratico di un uomo che ha rinunciato al potere e all’alta carica raggiunta in seno all’apparato statale cubano, per tornare a lottare da solo e per i propri ideali più autentici.

Un fenomeno straordinario, di cui non vi erano e non vi potevano essere dei precedenti nei partiti comunisti e socialisti dell’epoca e che accende l’immaginazione dei giovani radicalizzati o già al corrente di queste scelte del Che, gettando semi preziosi che matureranno nella critica alle istituzioni, nel rifiuto delle gerarchie, nella lotta antiautoritaria dei movimenti del ’68. 14

Del messaggio internazionalistico guevariano, sostiene , non vi è bisogno di parlare, visto che da allora il Che si è addirittura trasformato nel simbolo più

compiuto

di

internazionalismo

della

nostra

epoca.

Tuttavia

quell’esempio e quelle teorizzazioni si intrecciavano ad una crescita

13 14

R. Massari, Il nostro…, cit., p. 30. Ibidem.


-46portentosa della mobilitazione per il Vietnam nel mondo e confluivano in una dimensione planetaria dello scontro politico, nella quale i giovani non trovavano punti di riferimento significativi e nitidi per le proprie aspirazioni internazionalistiche. In quarto luogo vi è un messaggio anticonsumistico di Guevara, più difficile secondo Massari da percepire, ma destinato a contare molto nello sviluppo futuro del mito.

Egli appare non solo come un vicecapo di stato che rifiuta gli onori e sa resistere al miraggio del potere istituzionale, ma anche come un anticonformista irriverente che disdegna il denaro e i beni materiali, che denuncia la scandalosa menzogna con cui il neocapitalismo avvolge l’ideologia del mondo dei consumi. 15

In quinto luogo, infine, Massari mette in evidenza come Guevara appaia un uomo votato al sacrificio, un “comunista” nell’antico, paleocristiano, senso del termine: un soldato del grande esercito dei derelitti, dei diseredati, dei dannati della terra, con i quali comincia ad identificarsi il meglio della gioventù mondiale, “mano a mano che in Vietnam procede la spietata escalation degli Usa” 16.

15 16

Ivi, p. 30-31. Ivi, p. 31.


-47Questo aspetto, conclude, già attira simpatie più vaste del semplice mondo marxistoide,

coinvolgendo

i

cristiani

di

varia

provenienza

in

un’ammirazione spontanea ed entusiasta. Del resto, sulle fortissime somiglianze ideologiche, mitiche, carismatiche e visive tra la figura di Cristo e quella del Che, moltissimi si sono già espressi. C’è chi ha definito il Che “un Cristo con il fucile”, sottolineando le comuni idee di fratellanza, di altruismo, di lotta per il prossimo, per il debole, per l’oppresso. Entrambi dedicarono la vita ad aiutare gli altri, anche se chiaramente con metodi diversi. Entrambi furono grandi rivoluzionari, vale a dire che proposero e divulgarono ideali straordinari, che rivoluzionarono le normali correnti di pensiero e le normali istituzioni. Sia Cristo che il Che, inoltre, come in molti hanno rimarcato, pagarono i loro ideali rivoluzionari con la morte. A tal proposito come non ricordare l’identificazione del Guevara morto con il celebre Cristo del Mantegna, proposta da numerosi critici? In effetti, accostando le due immagini, la somiglianza risulta veramente impressionante, soprattutto nella posizione e nelle espressioni. Si comincia così a realizzare il “miracolo”: Guevara accomuna nell’ammirazione per la propria persona

anche correnti

religiose, oltre che ideologie dalla provenienza più disparata. Quest’ultimo punto ci introduce inevitabilmente ad una nuova e originale trattazione del mito di Ernesto Guevara, ovvero il Che proiezione e


-48configurazione di divinità, soprattutto latinoamericane.

2 Il Che configurazione divina nella cultura e nel popolo latinoamericani Come già rilevato, il Che viene considerato espressione di più ideali, di molti valori, di tanti simboli. Una delle tante interpretazioni sembra però la più diffusa e incontestabile, perché presenta un dato di fatto: il Che è il simbolo della rivolta, un grido di guerra contro le ingiustizie. Come tale, si è detto, assume vesti mitiche e naturali. Viene visto come un’araba Fenice, che vola da una parte all’altra del mondo per portare la speranza, come un Prometeo che, col suo coraggio indomito, si batte contro gli stessi dei per dare agli uomini la felicità, come un Robin Hood che colpisce coloro che cercano di sopraffare gli umili. Certamente, come ricorda Giovanni Sole, solo un sognatore può pensare ad un mondo dove prevalga l’amore, solo un santo può amare l’umanità disinteressatamente. Questa è la concezione dominante. Il Che però non era né un sognatore né un santo. Quando un uomo afferma con sensibilità e coerenza l’umano, viene considerato sovrumano: egli appare come un essere divino con sembianze umane. Pensando alla sua figura, gli uomini si sentono liberati dalla propria infelicità, dalle proprie paure, dalla propria incapacità di agire e si sentono pervasi da considerazioni così forti da sembrare quasi sovrumani.


-49Scrive lo studioso Campbell, riferendosi alla concezione eroica dell’uomo in generale:

Con l’estendersi della visione fino ad abbracciare questo super individuo, ciascuno scopre se stesso ingrandito, arricchito, sostenuto ed esaltato. Il suo ruolo, per quanto poco importante possa essere, gli appare intrinseco alla bella immagine gloriosa dell’uomo, l’immagine potenziale, eppur necessariamente inibita dentro se stesso. 17

Così gli uomini, rispecchiandosi nell’immagine del Che, trovano una risposta a problemi irrisolvibili, ma così facendo si sottraggono ai loro obblighi, che sono quelli di percorrere anch’essi la via dell’umano. Quello di Guevara, come sostiene Sole, è un insuccesso dell’umano e un successo del sovrumano. E’ chiaro così che nell’orizzonte culturale dell’uomo moderno, e soprattutto dell’uomo latinoamericano, “c’è posto per esseri semidivini , per simboli che lo proteggano e lo rassicurino” 18. L’uomo di oggi sente anche lui la necessità di evadere dal mondo, di superare l’immediatezza del vivere che altrimenti lo porterebbe alla crisi, alla follia e alla morte. L’uomo d’oggi, come afferma Lévi-Strauss, vuole sapere il perché della propria infelicità, comprendere il senso del proprio limite e il

17 18

Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Milano, Feltrinelli 1958, p. 339. Giovanni Sole, op. cit., p. 86.


-50naufragare della proprie volontà. Pochi sono disposti, però, ad affrontare il cammino pericoloso verso l’umanità. Solo esseri eccezionali possono essere generosi disinteressatamente verso i propri simili. Il Che è uno di questi. La sua azione non è mossa da una logica utilitaristica, il dono della sua vita non ha né un valore d’uso né un valore di scambio. Offrendo la propria vita all’umanità senza chiedere niente in cambio, apprende delle verità ignorate dai profani, viene contrassegnato da un sugello che gli altri non possiedono. Così facendo, ribadisce Sole, “vince sullo spazio e sul tempo, si eleva al di sopra dell’umanità, appartiene alla schiera degli eletti” 19

.

Ora, questa proiezione divina della figura del Che o questa sua potenziale divinità, è stata oggetto di profonda discussione. Un saggio in particolar modo sembra degno di maggiore riflessione, vale a dire quello scritto dal critico Nicola Bottiglieri ed intitolato Il mito Che Guevara

20

, soprattutto

perché introduce un discorso più approfondito su questa sovrumanità del Che, riprendendo anche teorie originali espresse in passato. Che Guevara, afferma Bottiglieri, divenne il mito che rappresentava la gioventù, la lotta per la libertà, la rivolta contro le istituzioni, ma

19 20

Ivi, p. 87. Questo saggio è stato pubblicato sulla rivista Linea d’ombra, XII, (1995), 102, pp. 29-33.


-51soprattutto la vittoria dell’ideale, la supremazia dello spirito sulla materia, della fede contro le tentazioni, la vittoria della vita contro la morte; una vittoria che egli riportò più volte durante la vita, sopravvivendo quasi divinamente a pallottole, bombe, assalti, congiure, fino al 9 ottobre 1967. Oggi è forse l’ultimo brandello di quelle figure barbute quasi eroiche che si addensarono sui Caraibi dal 1500 e che furono celebrate attraverso la letteratura dai vari Salgari, Verne ed Hemingway. A partire dagli anni ’80 poi Che Guevara ha subito un processo di beatificazione “fino ad essere assunto nel cielo dei santi senza religione, degli eroi senza patria, dei valorosi senza esercito, finendo in quello spazio segreto del paradiso, il Walhalla, dove si incontrano i guerrieri di tutto il mondo, i martiri di ogni ideale”

21

. Inoltre, come ogni santo che si rispetti, ebbe in vita il dono

dell’ubiquità (infatti negli ultimi tempi veniva avvistato in tre, quattro posti diversi), mentre, da morto, una vera e propria leggenda metropolitana e rurale è fiorita intorno all’idea che possa ritornare dal luogo misterioso in cui si trova. Vissuto all’interno della cultura cattolica, poi, Guevara è stato visto anche come un martire, perciò viene venerato attraverso le reliquie: intenso è il pellegrinaggio al paesino di Vallegrande in Bolivia, vicino al quale fu ucciso, e soprattutto all’ospedale Señor de Malta, un edificio

21

Nicola Bottilglieri, op. cit., p. 30.


-52ad un solo piano nella cui lavanderia fu deposto. Noto è anche l’aneddoto secondo cui le sue mani furono tagliate e portate a Cuba, come accadde al grande poeta modernista latinoamericano Rubén Darío, a cui la formazione culturale di Guevara deve molto. Bottiglieri rimarca anche come nonostante sia stata più conosciuta l’immagine del Che che non il suo pensiero, egli ebbe la capacità di parlare ai giovani sintetizzando le sue idee in slogan, frasi, motti che facevano capire subito da che parte stare e che oggi sono ancora diffusissimi. Oltre a saper parlare con gli occhi, con la musica e con il cuore, conosceva la forza e l’onore del sangue, ed il sangue, afferma il critico, non è violenza, anzi,

il sangue è capace di sublimare la barbarie della violenza, perché i valori del sangue attingono allo spirito, non al corpo; il sangue è il liquido della vita, l’unica moneta in grado di pagare i valori come l’amicizia, la patria, l’ideale. Inoltre i rapporti cementati dal sangue sono al di sopra di qualsiasi giudizio e hanno validità perenne. 22

Proprio partendo da questo ragionamento Bottiglieri introduce un discorso molto importante e significativo su come e perché Ernesto Guevara è diventato

22

Ivi, p. 31.

una

proiezione

divina,

soprattutto per le popolazioni


-53latinoamericane. Cita infatti un’originale considerazione dello scrittore Gonzalo Bethencourt, che, nel suo saggio Muerte y sepulcro del Che, riflette su una marcata somiglianza, nelle gesta e negli ideali, con altri due personaggi eroici dell’America Latina: il meticcio Emiliano Zapata e l’indigeno Geronimo. Entrambi, sostiene, hanno diverse radici culturali (il primo fu un allevatore di cavalli in Messico, il secondo un indigeno delle riserve negli Stati Uniti), ma come il Che rappresentano una cultura legata alla terra, al passato, una cultura che non sapeva scrivere. Zapata lottò per dare validità all’appartenenza ai contadini della terra usurpata loro dai latifondisti di Porfirio Diaz, mentre Geronimo difese il territorio degli indiani dall’invasione dei bianchi. Zapata e Geronimo sono dunque figure di frontiera, simboli di resistenza che lottano per salvare un mondo assediato: il mondo indio; e proprio indios e indiani furono rispettivamente aiutati. La difesa del territorio diventa così un forte elemento di comunanza tra questi tre uomini. Del resto lo stesso Che disse: “l’unica terra che è tua è quella bagnata dalle gocce del tuo sangue” 23. Inizia proprio da questo punto un particolare profilo divino di Ernesto Guevara. Da molti latinoamericani il Che con il fucile in spalla che si materializzava da una boscaglia con i suoi guerriglieri ed espandendo la

23

Ivi, p.32.


-54guerra rivoluzionaria liberava villaggio dopo villaggio, veniva visto come un liberatore, come un eroe che riconquistava i territori restituendo le terre ai contadini. Come ricorda Rosalba Campra

24

nel suo libro America

Latina: l’identità e la maschera, quattro secoli di immutato sfruttamento subito dall’America Latina insinuavano nella popolazione una prima risposta all’assillante domanda sul proprio essere: si è il risultato di questo sfruttamento; una risposta che si faceva largo tra i lavoratori di caucciù e della yerba mate inghiottititi per sempre dalla selva, tra i neri soffocati dalle piantagioni di cotone e canna da zucchero.

Nella cultura india il possesso della terra acquista un significato particolare: dalla terra deriva l’essere dell’uomo. […] La spoliazione della terra, vista come perdita del proprio passato, può estendere i suoi effetti devastanti su molteplici piani, e così anche la possibilità di esprimere se stessi si frantuma. 25

Già un romanzo molto caro al Che (ed importante come detto per la sua formazione culturale

26

), affrontava e interpretava questo argomento: si

tratta de El mundo es ancho y ajeno di Ciro Alegría, dove il tema

24

Rosalba Campra, docente di Lingua e letteratura Ispanoamericana presso l’università La Sapienza di Roma. 25 Rosalba Campra, America Latina: l’identità e la maschera, Roma, Editori Riuniti 1982, p. 31. 26 Cfr. nota 28, cap. I, p. 22.


-55fondamentale del racconto è la spoliazione di una comunità indigena Rumi, spinta dall’avidità dei latifondisti verso terre deserte e aride. Lo scrittore José Carlos Mariátegui, come ricorda la Campra, già nel 1928 insisteva su questo aspetto:

La repubblica ha significato per l’indio l’ascesa di una nuova classe dominante che si è appropriata sistematicamente delle sue terre. In una razza per abitudine e per spirito legata strettamente alla terra, come l’indigena, questa spoliazione è stata causa di disgregazione materiale e morale. Per l’indio, la terra è sempre stata la felicità. L’indio ha sposato la terra. Sente che “la vita viene dalla terra” e torna alla terra. Pertanto può essere indifferente a tutto, ma non al possesso della terra che il suo respiro e le sue mani lavorano e fecondano religiosamente. 27

Appare dunque chiaro che per l’indio dalla terra deriva l’essere dell’uomo e che la sua privazione è una perdita d’identità. Rivendicarne il possesso significa riprendersi l’essere. Ecco allora evidente come il Che, che libera e restituisce la terra, e che per questo rappresenta la terra stessa, assurge rapidamente nel popolo latinoamericano a divinità eroica di discendenza maya, inca o azteca, che riporta libertà ma soprattutto identità, poiché restituisce ai nativi quella terra che è sinonimo di essere, di pensiero, di

27

Josè Carlos Marietegui, Siete ensayos de interpretación de la realidad peruana, Lima, Biblioteca Amauta, 1928, tr. It., Sette saggi sulla realtà peruviana, Torino, Einaudi 1972, in Rosalba Campra, op. cit., p. 30.


-56esistenza personale. E’ questa una prima concreta dimostrazione del carattere divino del mito di Che Guevara. Una seconda tesi ci viene offerta ancora da Nicola Bottiglieri nel suo già citato saggio. In realtà egli riprende le considerazioni che nel 1968 fece lo studioso cubano Jesus Soto Acosta nel saggio Che, una vida y un ejemplo. Ebbene, all’indomani della sua morte, Acosta evidenziò come il Che, per la vita e gli ideali che ebbe, somigliava molto alla figura mitica di Ariel, spirito che vive nell’aria, perennemente in lotta con Calibano, gnomo mostruoso e maligno, figlio di una strega e di un demone. Entrambi corrispondono agli omonimi personaggi de La tempesta di Shakespeare. Ariel era stato il titolo di una delle opere più importanti della letteratura ispanoamericana, in particolare della corrente del modernismo, appunto l’Ariel scritto nel 1900 da José Enrique Rodó 28. Nel simbolismo dell’opera Ariel rappresentava per Rodó i valori ideali e Calibano gli istinti dell’uomo, in contrasto tra loro. Secondo Rodó così la parte migliore dell’uomo riusciva a superare gli istinti presenti in ciascuno di noi, ed imparava ad agire disinteressatamente, perseguendo i più alti ideali. Egli riteneva infatti che la selezione naturale avrebbe incoraggiato lo sviluppo

28

José Enrique Rodó (1872-1917), poeta uruguayano, grande esponente della poesia modernista nell’America Latina, fu anche membro della Camera dei Deputati.


-57di questo genere superiore di esseri umani, secondo quanto è detto nella sua definizione di Ariel:

Ariel es el imperio de la razón y el sentimiento sobre los bajos estímulos de la irracionalidad; es el entusiasmo generoso, el móvil alto y desinteresado en la acción, la espiritualidad de la cultura, la vivacidad y la gracia de la inteligencia- el término ideal a que asciende la selección humana, rectificando en el hombre superior los tenaces vestigios de Calibán, símbolo de sensualidad y de torpeza, con el cincel perseverante de la vida. 29

Vediamo ora come tali principi vennero applicati in un contesto americano. Ciò che Rodó auspicava era che il continente perseguisse uno scopo più alto che non fosse l’aspirazione puramente egoistica alla prosperità e alla ricchezza. Pur non essendo contrario al benessere materiale, egli riteneva inutile dedicare ad esso tutte le ragioni dell’individuo e additava gli Stati Uniti come esempio di ciò che poteva accadere quando una nazione si propone fini puramente utilitaristici. Malgrado tutta la loro efficienza tecnica, gli Stati Uniti non avevano arricchito il patrimonio della cultura

29

[ Ariel è il dominio della ragione e del sentimento sopra i bassi impulsi della razionalità; è l’entusiasmo generoso, il movente alto e disinteressato dell’azione, la spiritualità della cultura, la vivacità e la grazia dell’intelligenza- il termine ideale cui ascende la selezione umana, rettificando nell’uomo superiore le tenaci orme di Calibano, simbolo della sensualità e del torpore, con il perseverante cesello della vita ]. José Rodó, Ariel, in Jean Franco, Introduzione alla letteratura ispanoamericana, Milano, Mursia 1972, p. 193.


-58mondiale con capolavori artistici o con enunciazioni di leggi scientifiche, dato che vivono per la realtà immediata del presente e perciò subordinano tutta la loro attività all’egoismo del benessere personale e collettivo. L’America Latina invece, secondo Rodó, era destinata a fare qualcosa di meglio, poiché essa affondava le radici nelle grandi civiltà mediterranee da una parte e indigene dall’altra, civiltà che avevano coltivato l’amore per la bellezza. Se questi stati latini, affermava, si basassero ora su principi democratici che dessero a tutti uguali possibilità di istruzione, allora inevitabilmente l’uomo migliore emergerebbe fino a raggiungere il grado più elevato e guiderebbe il continente verso un glorioso futuro. Ecco allora che sulla base di questi concetti Nicola Bottiglieri arriva a definire Che Guevara

un Ariel barbuto della lotta di classe a livello planetario: egli lottò a fianco del terzo mondo, in Africa, in Oriente, in America Latina contro le barbarie dell’imperialismo degli Stati Uniti, che corrispondono alla figura di Calibano. In questa lotta infatti privilegiò sempre i valori dello spirito sul corpo, mentre pensò addirittura che in quell’isola socialista, primo territorio libero d’America, fosse possibile far nascere persino un “uomo nuovo”. Questo uomo nuovo costruito nell’isola di Cuba si proiettava nel futuro, stimolando la nascita di altri uomini nuovi nel mondo, grazie alla “coscienza rivoluzionaria”, la grande scoperta politica e rivoluzionaria di quegli anni. 30

30

Nicola Bottiglieri, op. cit., p. 32.


-59Per la coscienza rivoluzionaria lo spirito è sempre più forte della materia; Ariel, ossia l’arte, la bellezza, l’ideale, potranno sempre sconfiggere Calibano, e il rivoluzionario, il poeta, il guerrigliero antimperialista vinceranno sempre sui bassi istinti capitalistici dell’uomo. E se Rubén Darío aveva teorizzato l’esistenza di una torre d’avorio nella società moderna, nonché della funzione purificatrice della poesia, così il marxista Che Guevara parlava di una società ideale in un‘isola dei Caraibi, dove i rapporti umani sono improntati a generosità e sacrificio, dove il guerrigliero è poeta, soldato e politico. Appare dunque evidente, conclude Bottiglieri, come il Che finisca con l’incarnare naturalmente quei valori e quei concetti espressi da José Rodó nel suo Ariel. In particolare ne sottolinea quattro: l’identificazione degli Stati Uniti con il concetto di utilitarismo e, all’opposto, l’identificazione dell’America Latina con un ideale di continente più nobile; il concetto che le nazioni dell’America Latina formano un’unità culturale profonda; il concetto che il compito dell’intellettuale è quello di porsi come esempio nella sfera morale oltre che in quella culturale; il concetto che l’intellettuale ha il compito non solo di creare una cultura latinoamericana, ma anche di preservare la cultura del passato. Di conseguenza risulta ancora una volta chiara la capacità o il ruolo del Che come portatore di una identità nell’America Latina,

una

prerogativa in parte attribuitagli, in parte vissuta, forse inconsciamente,


-60dallo stesso Guevara. Non mancano tuttavia altre interpretazioni della sua “parvenza” divina. Una, per certi versi ancora più originale, ci viene da un grande scrittore cubano: José Lezama Lima

31

. Oltretutto la sua produzione letteraria è

sempre stata contraddistinta da un grande impiego di miti e tradizioni che a suo avviso rispecchiano la visione metafisica del mondo stesso. Era quindi inevitabile che all’indomani della sua morte, nel 1968, tributasse al Che un articolo intitolato Ernesto Guevara: Comandante nuestro, contribuendo così ad alimentare la sua dimensione mitica. Lezama Lima infatti, in questo articolo, sostiene che il Che aveva tutte le caratteristiche naturali del mito e, come avviene per le figure eroiche, “la morte lo andò a cercare” 32. Nella sua vita guerrigliera saltava dai maggesi all’albero, dall’aquileida, cavallo parlante, all’amaca, dove l’india, con il suo secchio che coagula i sogni, lo dondola, ricordando le imprese di Túpac Amaru e quelle di Simón Bolivár, che risvegliarono in lui le origini, la febbre e i segreti dell’eterno andare.

31

José Lezama Lima (1912-1976), poeta cubano, rappresentante della letteratura fantastica che si sviluppò in America Latina a partire dagli anni ’50. 32 José Lezama Lima, Ernesto Guevara: comandante nuestro, in Casa de las Américas, gennaio-febbraio 1968, p. 77.


-61Volle fare delle Ande disabitate, la casa dei segreti. Il fuso del trascorso, l’olio albeggiante, il carboncino che si trasforma in magico intruglio. Quel che si occultava e si lasciava vedere era niente meno che il sole, circondato da mezzelune incaiche, dalle sirene del seguito di Viracocha, sirene con le loro grandi chitarre. Il mezzalunaro Viracocha che trasforma le pietre in guerrieri ed i guerrieri in pietre. Innalzando attraverso il sogno e le invocazioni la città delle muraglie e delle armature. Novello Viracocha, da lui ci aspettavamo tutte le saette della possibilità ed ora ci aspettiamo tutti i prodigi del sogno. 33

Come si vede, ed è l’aspetto più significativo dell’articolo, Lezama Lima paragona il Che a Viracocha. Si tratta di un paragone particolare, se consideriamo che Viracocha era un dio del pantheon Inca, creatore del cielo, della terra e di tutti gli dei, e che, dopo averli creati, rimase in cielo senza più interferire nelle vicende umane. Nella sua figura sono poi confluiti i tratti di un eroe culturale di origine preinca, proprio di molte genti dell’altopiano del Perù. Anche il poeta cubano di conseguenza insiste su come il Che venga considerato tra la popolazione latinoamericana, soprattutto indigena, un personaggio divino, data la straordinarietà delle sue gesta, un rappresentante della loro origine ed un protettore della loro cultura. E’ nel Che infatti che la popolazione semplice, lavoratrice, povera, rispecchia le proprie sofferenze, ma anche le proprie speranze, ed è in lui,

33

Ibidem.


-62soprattutto, che l’identità india, (elemento principale di quel meticciato costitutivo di cui si è parlato), trova una forte configurazione proprio attraverso la dimensione mitica del personaggio. Del resto, conclude Lezama Lima, questo carattere sovrumano è stato proprio il frutto delle sue imprese, delle sue sofferenze, dei suoi desideri, delle sue terribili prove che ne hanno preparato, con la loro grandezza, la trasfigurazione. Per ultimo, a conclusione di queste numerose interpretazioni, mi sembra legittimo soffermarmi su una poesia particolarmente significativa, in quanto riassume e conclude il discorso intrapreso in questi due paragrafi. Si tratta de El libro de la historia del Che, scritta da Leonel Rugama, giovane poeta latinoamericano la cui tragica vita può offrirci una chiave di lettura più agevole dei suoi versi 34. In questa poesia Rugama ripercorre, attraverso la citazione dei personaggi più importanti ed eroici, la storia dell’America Latina dal 1492, data di avvio del processo di occidentalizzazione del continente, fino ai nostri giorni. Tutti i personaggi citati rappresentano una voce, un elemento, una dimensione , diverse tra loro, ma che hanno contribuito a creare e difendere una identità latinoamericana. Essi sono collegati attraverso una ipotetica

34

discendenza

che li lega l’uno

Leonel Rugama (1950-1970), poeta e seminarista nicaraguense, insegnante di matematica nelle scuole contadine, morì a vent’anni in un’azione di guerriglia contro il dittatore Somoza.


-63all’altro e che trova nel Che l’ultimo anello di una catena interminabile che riassume quelle teorie di identità tracciate da Josè Martí in Nuestra America. Rugama inizia il suo ideale viaggio nel tempo ricordando via via Lautaro, capo indio che sconfisse gli spagnoli, Caupolicán, l’arciere del cielo, Oropello, Túpac Amaru, Adiact, leggendario capo indio, Xochitl Acatl, Moctezuma, Geronimo, Cavallo Pazzo e Toro Seduto, che ha generato Simón Bolivár. A questo punto scrive Rugama:

Bolívar engendró a Sucre; Sucre engendró a José de San Martín; José de San Martín engendró a José Estrada; José Estrada engendró a Josè Martí; José Martí engendró a Joaquín Murieta; Joaquín Murieta engendró a Javier Mina; Javier Mina engendró a Emiliano Zapata; Emiliano Zapata engendró a Guerrero; Guerrero engendró a Ortiz; Ortiz engendró a Sandino Hermano de Juan Gregorio Colindres y de Juan Miguel Angel Ortez y de Juan Umanzor y de Francisco Estrada y de Sócrates Sandino y de Ramón Raudales y de Rufus Marín y cuando hablaba decía: “Nuestra causa triunfará porque es la causa de la justicia, porque es la causa del amor” y otras veces decía : “Yo me haré morir con los pocos que me acompañan


-64porque es preferible hacernos morir como rebeldes y non vivir como esclavos”. Sandino engendró a Bayo el esposo de Adelita del cual nacío el Che que se llama Ernesto. leonel rugama gozó de la tierra prometida en el mes más crudo de la siembra sin más alternativa que la lucha. 35

Come si capisce chiaramente da questi versi tutti i personaggi citati rappresentano, attraverso la loro vita eroica e le loro imprese sovrumane, un elemento diverso di quel meticciato costitutivo inteso come patrimonio e marchio di riconoscimento dell’America Latina, e che trova in Ernesto Guevara il mito principale e simbolico di tutte le varie leggende latinoamericane.

35

[ Bolívar ha generato Sucre/ Sucre ha generato José de San Martín/ José de San Martín ha generato José Estrada/ José Estrada ha generato José Martí/ José Martí ha generato Joaquín Murieta/ Joaquín Murieta ha generato Javier Mina/ Javier Mina ha generato Emiliano Zapata/ Emiliano Zapata ha generato Guerrerro/ Guerrerro ha generato Ortiz/ Ortiz ha generato Sandino/ Augusto Cesar Sandino/ fratello di Juan Gregorio Colindres/ e di Juan Miguel Angel Ortez/ e di Juan Umanzor/ e di Francisco Estrada/ e di Sócrates Sandino/ e di Ramón Raudales/ e di Rufus Marín/ che quando parlava diceva/ “la nostra causa trionferà/ perché è la causa della/ giustizia/ perché è la causa dell’amore”/ e altre volte diceva/ “Mi lascerò morire/ con quei pochi che mi seguono/ perché è preferibile/ lasciarsi morire come ribelli/ che vivere da schiavi”/ Sandino ha generato Bayo/ marito dell’Adelita/ da cui è nato il Che/ che si chiama Ernesto/ leonel rugama/ ha goduto della terra promessa/ nel mese più duro/ della semina/ e come unica alternativa di lotta]. Leonel Rugama, El libro de la historia del Che, in Meri Lao, op. cit., p. 302.


-65-

3 Il Che: uomo straordinario ed eroe tragico In questo capitolo ho parlato finora della dimensione mitica della figura di Ernesto Guevara. Con la parola mito però si tende di solito ad inglobare in un unico significato sfumature o aspetti diversi tra loro, i quali, accomunati comunque da un carattere “non totalmente umano”, rientrano in un più generale contesto o in una più generica definizione mitica. In realtà questi diversi aspetti andrebbero separati e messi in risalto in maniera articolata, perché nascondono significati e interpretazioni sicuramente diversi. Questa premessa, e questo distinguo, vanno sicuramente fatti soprattutto quando si definisce il Che contemporaneamente mito ed eroe, senza nessuna distinzione. A ben guardare sono molti coloro che hanno definito il Che un eroe, e più propriamente un eroe tragico, ma vedremo come la parola “eroe” non sia sinonimo di “mito”, ma un termine specifico che, nell’ambito di un contesto mitico, ne mette in risalto un aspetto particolare. Proprio con questa precisa volontà alcuni interpreti hanno affrontato il discorso dell’ ”eroe” Ernesto Guevara; Secondo Giovanni Sole, nel già citato saggio Considerazioni sul mito guevariano, l’eroe, in genere, è l’espressione di una comunità e in lui si realizzano, nella forma più nobile, le virtù ideali di una intera nazione; concretizza con l’agire ciò che nella

gente è

solo una idea. Il Che, per

ciò

che

lo

riguarda,


-66era coerente con il suo essere rivoluzionario anche nella vita di tutti i giorni.

L’eroe non esita ma, una volta raggiunto lo scopo, come compenso delle imprese, si concede una vita comoda. Guevara invece, non utilizzava il suo prestigio per ottenere privilegi per se, la sua famiglia o i suoi amici. Non voleva tenere un tenore di vita diverso da quello del popolo. 36

Molti infatti si battevano coraggiosamente per cambiare il mondo, ma una volta al potere si dimenticavano degli ideali per cui avevano lottato e vivevano una vita opposta a quella che avevano predicato. Lui era diverso: non solo parlava in modo giusto, ma viveva anche in modo giusto, rifiutando ogni dipendenza nei confronti dell’autorità. Sin da giovane aveva sfidato la società di cui faceva parte rinunciando spontaneamente alle sicurezze della famiglia e ai privilegi della sua classe di appartenenza. Quel giovane argentino, sostiene Sole, non aveva paura di nessuno. La sua immagine si delineava come quella di un eroe che combatte per tutta la vita contro le ingiustizie, lo sfruttamento e ogni forma di sopraffazione; la sua vita era volta al fine di riaffermare l’umano sulla terra e di restituire agli uomini la loro dignità, per creare così

36

Govanni Sole, op. cit., p. 81.

un

uomo nuovo. Infatti


-67è indiscutibile che la sua figura doni agli uomini un’energia vitale, un alimento per la loro stessa esistenza. “L’ammirazione per gli eroi è un rifocillarsi e rinnovarsi, è superare le dissonanze della vita. La purezza e il coraggio del Che danno una sensazione di speranza e di forza ad anime inaridite”

37

. In pratica Giovanni Sole dimostra come ad una immagine

mitica , cioè sovrumana (trattata nella prima parte del suo saggio), se ne affianchi e contrapponga una più eroica che non mitica, cioè umana. Vale a dire che il Che ha avuto la forza, per l’epicità delle sue imprese, di proiettarsi in una dimensione quasi divina, ma al contempo, per la semplicità, l’umanità e la sensibilità delle sue azioni e della sua vita, ha avuto anche la grandezza di apparire un uomo normale, in carne ed ossa, presente nella vita di tutti i giorni, a contatto con la gente e realmente vicino a tutta la popolazione. In questo senso lo si può giustamente definire più eroe che non mito, perché assume una dimensione a più vicina, più visibile, più vera e presente nell’immaginario della gente comune. Non diventa infatti un'immagine astratta e fuggente, come lo possono essere una divinità o una figura mitologica, che spesso sono sinonimi di inavvicinabilità. Del resto sono

37

Ivi, pp. 82-83.

innumerevoli le testimonianze dei


-68compagni di Guevara, o di chi lo ha conosciuto, su questo suo profondo carattere “umano”. Lo studioso cubano Froilán González ha scritto un intero libro a questo proposito, (Entre nosotros), in cui sono appunto raccolte una serie di testimonianze che raccontano gli aspetti più umani di Ernesto Guevara. In particolare è da ricordare la testimonianza di un ex tenente batistiano, Evelio Laferté Pérez, che racconta un episodio oramai divenuto famoso:

Una volta che stavamo andando verso il combattimento di Las Mercedes, arrivammo alla casa di un gallego [a Cuba vengono chiamati così tutti gli spagnoli] che cominciò subito a prepararci da mangiare. Faceva molto freddo, stava piovendo, eravamo inzuppati, molto stanchi e affamati. Il gellego chiamò il Che perché vedesse quello che stava cucinando… Era un pentolone con fricassea di tacchino. Egli chiese se bastava per tutti. La risposta fu: “No, hombre, no, non ce n’è per tutti, questo è solo per lei e per gli ufficiali, per i soldati sto preparando una caldaia di zuppa di riso con le interiora e le zampe del tacchino”. Il Che con due compagni prese la pentola della fricassea e la rovesciò nella caldaia della zuppa dicendo: “Gallego, ora puoi cominciare a servire, cominciando dalla truppa”. 38

A supporto di quanto affermato finora su questa doppia dimensione del Che, credo però che valga la pena citare una delle poesie più famose a lui

38

Froilán González, Entre nosotros, Editorial Abril, La Habana 1992, in Quaderni della Fondazione Ernesto Che Guevara, cit., p. 73.


-69dedicate: Consternados, rabiosos di Mario Benedetti 39. In questa poesia infatti Benedetti mette a fuoco sia il carattere mitico che quello eroico del Che, ricorrendo, per quest’ultimo aspetto, a paragoni, frasi e situazioni strettamente legate alla vita quotidiana. Di conseguenza, la particolarità dei suoi versi sta proprio nell’alternare il contesto mitico con quello umano, riportando la figura del Che, ferme restando l’epica delle parole e la leggendarietà del personaggio, in una dimensione terrena. Così gli esempi creati, i ricordi semplici, legati alla vita di ogni giorno, pur nella sua grandezza mitica, rendono il Che un compagno, una persona umana sempre vicina a noi.

Así estamos consternados rabiosos aunque esta muerte sea uno de los absurdos previsibles de vergüenza mirar los cuadros los sillones las alfombras sacar una botella del refrigerador teclear las tres letras mundiales de tu nombre

39

Mario Benedetti (1920), grande poeta, narratore e critico letterario uruguayano, che ha vissuto a lungo in Spagna, Perù e Cuba.


-70en la rígida máquina que nunca nunca estuvo con la cinta tan pálida verguenza tener frío y arrimarse a la estufa como siempre tener hambre y comer esa cosa tan simple abrir el tocadiscos y escuchar en silencio sobre todo si es un cuarteto de Mozart … estás muerto estás vivo estás cayendo estás nube estás lluvia estás estrella … donde estés si es que estás si estás llegando será una pena que no exista Dios pero habrá otros claro que habrá otros dignos de recibirte comandante. 40

40

[ Così siamo/ costernati/ rabbiosi/ sebbene questa morte sia/ uno degli assurdi prevedibili/ ci si vergogna di guardare/ i quadri/ le poltrone/ i tappeti/ prendere dal frigorifero una bottiglia/ comporre le tre lettere mondiali del tuo nome/ sui tasti della rigida macchina da scrivere/ che mai/ mai ha avuto/ un nastro così pallido/ ci si vergogna di aver freddo/ di avvicinarsi come sempre alla stufa/ di aver fame e di mangiare/ una cosa così semplice/ di accendere il giradischi e ascoltare in silenzio/ soprattutto se è un quartetto di Mozart/ …/ sei morto/ sei vivo/ sei


-71In pratica Mario Benedetti teorizza un grande e veritiero assunto, che risolve in modo naturale l’opposizione tra le due diverse dimensioni della figura di Ernesto Guevara: il mito è stato alimentato proprio dal suo essere per certi versi un uomo comune. Si è accennato prima alla possibile identificazione del Che come un eroe tragico, e questa definizione esula chiaramente dal discorso appena concluso, dato che l’eroe tragico rientra a pieno titolo nel contesto e nei significati della parola mito. Su questa nuova immagine del Che interviene ancora una volta Giovanni Sole, ma occorre dire che le sue riflessioni sono molto simili a quelle esposte da Rodolfo Walsh nel 1968, nell’articolo intitolato Guevara

41

. In questo caso poi i pensieri espressi acquistano

maggiore valenza se consideriamo, come nel caso di Leonel Rugama, i risvolti drammatici della sua vita 42. In pratica entrambi sostengono che il Che è il simbolo della speranza, ma anche della sconfitta. La sua storia è appunto quella degli eroi tragici, i quali, con un gruppo di uomini fidati,

caduto/ sei nuvola/ sei pioggia/ sei stella/ …/ ovunque tu sia/ se ci sei/ se sei in arrivo/ sarà un peccato che non esista Dio/ ma ci saranno altri/ certo che ci saranno altri/ degni di riceverti/ comandante]. Mario Benedetti, Consternados, rabiosos, in Meri Lao, op. cit., pp. 392-394-396. 41 L’articolo Guevara, di Rodolfo Walsh, è stato pubblicato sul Casa de las Américas, gennaiofebbraio, 1968. 42 Rodolfo Walsh, scrittore argentino (1928-?), esponente del cosiddetto “romanzo moderno” diffusosi a partire dagli anni ’60 in America Latina, scomparso misteriosamente nel 1977, dopo aver denunciato, sotto il regime di Peron, la fucilazione di alcuni civili.


-72armati dal coraggio e dall’onestà, lottano e perdono contro forze malvagie e più forti. Lanciandosi nel suo drammatico destino egli sfida il buon senso fino al momento estremo in cui sarà soppresso dall’avversario. Animato dalla passione di lottare contro un ordine ingiusto, cade per mano di chi lo difende. In Bolivia, nella sua ultima impresa, il Che non riesce ad annientare le forze del male e a liberare gli oppressi dalla distruzione e dall’annientamento: così la sua morte per loro rappresenta la sconfitta della causa per cui si era battuto. Sole insiste sempre su questo aspetto:

In quanto eroe tragico, il Che agisce ma viene anche agito; aveva scelto di partire nonostante fosse consapevole del suo destino ineluttabile. Molti pensano che a spingerlo verso il viaggio senza ritorno, oltre al suo temperamento, sia stata anche una forza alla quale non riusciva a sottrarsi. Il suo agire era frutto non solo della sua volontà, ma anche di una potenza superiore che si imponeva a lui e lo governava; a volte sembrava scegliere deliberatamente la sua sorte, altre volte sembrava esserci costretto. Il divino in lui conviveva con l’umano. 43

E’ opinione diffusa che, per quante battaglie poteva combattere e vincere, il Che, non avendo nessuna intenzione di rinunciare ai suoi ideali e lottando contro forze invincibili, era votato ad una inevitabile sconfitta. Molti hanno detto che egli era consapevole della sua disfatta, che si preparava ad una

43

Giovanni Sole, op. cit., p. 83.


-73tragica fine da lui deliberatamente scelta. Hanno anche detto che in Bolivia, cosa che emerge dal suo stesso diario, la sua era una colonna di fantasmi, senza possibilità di successo. “Egli è un eroe tragico e l’ultimo atto della biografia di un eroe tragico è quello della partenza e della morte. In questo senso è riassunto tutto il senso della sua vita”

44

. La sua sconfitta così è

quella di chi cerca invano di battersi contro l’egoismo dell’uomo; gli uomini, sostiene Sole, nel fondo del loro animo, sono fortemente pessimisti e nel mondo dimoreranno sempre l’egoismo, la menzogna e le ingiustizie sociali, i forti vinceranno sui deboli, l’inumano sull’umano. L’umano era stato carpito agli uomini dagli dei e portato in cielo, e non appena qualcuno cercava di riportarlo sulla terra, veniva punito. “Il Che, tentando con il suo coraggio di riaffermare sulla terra un ordine umano, si rendeva colpevole di un furto fondatore, di un sacrilegio primordiale e perciò doveva essere punito”

45

. Dopotutto, secondo Sole e Walsh, gli uomini, come lo stesso

Guevara, amano l’umano, si identificano con esso, ma sono tuttavia consapevoli che non possono esserlo fino in fondo. Hanno una predilizione per gli eroi che combattono in nome di un idea nobile e non riescono a realizzare i loro obiettivi. L’eroe tragico, che difende tenacemente una

44 45

Ivi, p. 84. Ibidem.


-74causa giusta che però perde, dà prova della sua onestà morale proprio perché viene sconfitto. Gli uomini riconoscono la grandezza d’animo di coloro che la purezza di intenti ha condannato ad un duro viaggio verso il disastro finale. Come afferma Campbell, “un vero eroe diventerebbe un tiranno se non si crocefigge da se oggi” 46 ed è tale perché cade in battaglia in nome degli ideali per cui si è battuto. Tuttavia, conclude Giovanni Sole, non è la “bella morte” degli antichi eroi.

Il suo corpo non viene adagiato su un letto funebre, ma su una barella, non viene lavato, ma rimane pieno di polvere e di sangue, non viene offerto al compianto dei suoi familiari, ma trattenuto dal nemico, non viene conservato in un urna e sepolto solennemente, ma mutilato e sotterrato in un luogo sconosciuto. 47

Nonostante ciò la sua immagine resiste e la sua figura rimane integra nell’immaginario dei popoli. Le considerazioni di Sole e Walsh non rimangono naturalmente isolate. Al contrario, in ambito strettamente poetico, c’è chi ha approfondito questa visione di eroe tragico del Che. E’ il caso di René Depestre 48 che, nella

46

Joseph Campbell, op. cit., p. 310. Giovanni Sole, op. cit., p. 85. 48 René Depestre (1926), poeta e drammaturgo haitiano. 47


-75Cantata de octubre a la vida y a la muerte del Comandante Ernesto Che Guevara, affronta questo aspetto particolare offrendoci situazioni e paragoni senz’altro originali. La prima parte della cantata ricorda la vita eroica e le azioni valorose del Che, nonché le significative parole di Fidel Castro secondo cui il pensiero politico e rivoluzionario del Che, il valore delle sue idee, le sue pure virtù morali, la sua insuperabile sensibilità umana, avranno sempre un valore universale. Ma sicuramente più interessante è la seconda parte. In essa, infatti, Depestre paragona il Che ad Ulisse, definendolo proprio un Ulisse d’America, che dopo tanto peregrinare e tanto cercare trova finalmente la sua Itaca, vale a dire Cuba, mentre la rivoluzione ha rappresentato la sua Penelope. Come Ulisse egli ha raggiunto la terra cercata su una nave, il Granma

49

, e come Ulisse ha

liberato la sua terra dagli impostori e dai tiranni che se ne erano impadroniti. Ma soprattutto, afferma il poeta cubano, come Ulisse il Che, insoddisfatto della terra agognata, della vita indenne, degli affetti conquistati, sempre alla ricerca di altro e dell’ “altro”, o più semplicemente della verità, ha continuato a viaggiare, finché la volontà divina non ha punito questa presunzione con la morte.

49

Il Granma è il nome della barca con la quale il Che e gli altri rivoluzionari sbarcarono a Cuba il 2 ottobre 1958.


-76Mi sembra opportuno a questo punto riportare un frammento, con le parole più salienti, di questa seconda parte della cantata, intitolata proprio Un Ulises de América, las lineas de su mano!

El recitante El era un corazón en el corazón de América! La recitante Y ese corazón era un navío rápido Nacido para los vientos elementales del continente! El coro El Che era un Ulises de América! El recitante Desde todas partes nuevas tierras Le hacían senas con la mano! La recitante Su fraternidad era sin fronteras! El coro En la Sierra cubana Había encontrado su deslumbrante Itaca! El recitante Había encontrado su raíz mayor! La recitante Había encontrado a su Penelope! El recitante Y era la Revolución! El coro El Che era su propio Ulises A bordo del Granma en ruta


-77Hacia la Itaca de Cuba! El recitante Y Fidel estaba al timón! 50

In questo capitolo è stato analizzato il mito del Che secondo le più approfondite e riconosciute interpretazioni; ugualmente ne sono emersi anche i principali aspetti e le più diverse sfumature. Considerando il mito Che Guevara in generale due mi sembrano gli aspetti più ricorrenti,

ben

delineati oltretutto dai vari intellettuali, critici e poeti citati, e che possono esserne definiti gli aspetti dominanti. Innanzitutto il concetto di una identità latinoamericana impressa in ogni azione del Che, in ogni sua parola, in ogni sua immagine (che finiscono inevitabilmente con il mitizzarsi), identità che assurge in modo naturale ad un suo segno di riconoscimento. In secondo luogo l’aspetto indigeno, inteso come elemento originario e primordiale della cultura latinoamericana (e commisto poi con altre

50

[ Il recitante: Egli era un cuore nel cuore dell’America!/ La recitante: E questo cuore era un vascello rapido/ Spuntato attraverso i venti deboli del continente!/ Il coro: Il Che era un Ulisse d’America!/ Il recitante: Da tutte le parti nuove terre/ Gli facevano segno con la mano!/ La recitante: La sua fratellanza era senza frontiere!/ Il coro: Nella Sierra cubana/ ha incontrato la sua affascinante Itaca!/ Il recitante: Ha incontrato la sua ragione di vita!/ La recitante: Ha incontrato la sua Penelope!/ Il recitante: Ed era la Rivoluzione!/ Il coro: Il Che era proprio come Ulisse/ A bordo del Granma in rotta/ verso l’ Itaca di Cuba!/ Il recitante: E Fidel era al timone!] Renè Depestre, “Cantata de octubre a la vida y a la muerte del Comandante Ernesto Che Guevara ”, in Casa de las Américas, VIII, (1967-68), pp. 63-68, p. 64.


-78culture), che si impone sempre come punto di partenza e come fonte perenne di questa identitĂ . Si tratta dunque di due concetti fondamentali la cui importanza verrĂ dimostrata e analizzata meglio nel successivo capitolo.


-79-

CAP. III

IL CHE SIMBOLO DI IDENTITA’ E UNITA’: IL SUO MITO NELLA LETTERATURA

1 Perché gli intellettuali latinoamericani parlano del Che Si è ormai dimostrato il valore e , per certi versi, la “potenza” del mito di Ernesto Guevara, così come l’enorme importanza che la sua figura ricopre in America Latina, tra le popolazioni e nella cultura. Tuttavia, fermo restando il ruolo dei mass media nell’opera di mitizzazione del Che, è giusto chiedersi come mai gli intellettuali si soffermano con grande attenzione sul suo mito e perché perseverano nel parlarne, oggi più di ieri, soprattutto gli intellettuali latinoamericani. E’ evidente che tanto interesse e tanta attrazione non possono essere casuali. Forse sono proprio la situazione e le condizioni culturali dell’America Latina che spingono i suoi intellettuali ad esaltare il Che, perché continuare a parlare di lui significa dare un seguito alla sua ideologia rivoluzionaria. Ecco dunque che la necessità di Guevara di scoprire e definire l'America Latina torna a farsi preponderante anche tra gli scrittori, e i problemi e la realtà del continente

latinoamericano si

argomento di discussione. Ma cos’è

presentano costantemente come allora

questo “oggetto” che


-80chiamiamo America Latina? Come mai si può unificare una così contraddittoria geografia e un così intricato retaggio storico? Una valida risposta la fornisce Rosalba Campra nel suo già menzionato America Latina: l’identità e la maschera. L’America Latina, afferma, è il mondo nuovo creato dallo sguardo europeo e frutto di un insostenibile paradosso: cancellare ciò che esiste ha prodotto esistenza, ma non di soggetto. Come può, quindi, un latinoamericano, con una disperata volontà di essere, non voler scoprire una identità non imposta? Necessariamente, una prima affermazione di sé si produce come risultato della rottura della realtà di colonizzato. È come risposta a successive volontà di annullamento (la penetrazione economica inglese, poi l’espansionismo nordamericano), che in America Latina si risveglia e si sviluppa questo bisogno di unità. Infatti se la condizione coloniale significa innanzitutto subordinazione politicoeconomica, non meno evidente è l’effetto su altri piani, e cioè sul piano della coscienza dell’essere. Una condizione di sfruttamento e una subalternità alla cultura occidentale e nordamericana che dura in America Latina dal 1492.

La volontà esplicita è di proibire l’immaginazione o, ciò che è lo stesso, di imporre un’immaginazione controllata, e che non venga considerata come imposta, ma come naturale. Il comportamento mimetico viene così percepito come l’unico esistente, la maschera come l’unico volto accettabile. Una letteratura dipendente non può produrre come immagine di


-81sé che il riflesso della metropoli irraggiungibile. Quindi una letteratura indipendente risulta sempre pericolosa per il colonizzatore: diventa coscienza. E’ per questo che ogni conquista è un’imposizione di silenzio. Si nega a se stessi la natura di emittente di un messaggio, perché non esiste un destinatario che voglia accoglierlo. Questa è l’impalcatura sulla quale si andrà innalzando la storia della scrittura in America Latina: una folgorante appropriazione della parola - della capacità di messaggio -; una richiesta all’altro di accettarsi come destinatario di questo messaggio. 1

Secondo la Campra, quindi, l’idea di unità latinoamericana appare legata alla lotta contro la condizione di colonizzato, contro questo essere fatti dall’esterno. Di fronte ad una subalternità di secoli “oggi l’America Latina tende ad affermarsi con lo slancio del relegato che finalmente reclama il diritto di dire io" 2. La letteratura diventa così strumento di ricerca e di definizione dell’essere, e la rivoluzione cubana segna una svolta: finalmente l’intera America Latina diventa, come afferma Octavio Paz, contemporanea del resto del mondo. Scrive ancora la Campra.

Si sviluppa da questo momento una seconda tappa, nella quale il balbettio raggiunge la dignità di parola. Per la prima volta visibile agli occhi dell’Europa, in quanto produttrice di un – invidiabile – fenomeno proprio, l’America Latina risulta visibile anche a se stessa. Gli autori trovano i loro destinatari, i destinatari si riconoscono nei loro autori. Vanno sfumando i parametri valutativi di matrice europea; si cancella l’apparentemente

1 2

Rosalba Campra, op. cit., p. 19. Ivi, p. 20.


-82inesorabile vocazione di letteratura esotica. 3

I tentativi compiuti in questo senso da vari scrittori come Sabato, Cortázar, Roa Bastos, Vargas Llosa, García Márquez, Fuentes, Neruda ecc., confluiscono verso la creazione di una coscienza di sé, della quale la letteratura è voce privilegiata. José Martí, ricorda la Campra, considerava impossibile l’esistenza di una letteratura senza una previa essenza latinoamericana da esprimere: “Non esistono lettere, che sono espressione, finché non c’è un’essenza da esprimere. Né ci sarà una letteratura ispanoamericana finché non ci sarà Ispano-America” 4. La letteratura così si fa carico del pericoloso compito di esprimere l’essere. Sono i libri a fare i popoli, e non viceversa, come insinuava Ezequiel Martínez Estrada. L’appropriazione della parola, conclude la Campra, fa finalmente dell’America Latina un soggetto, una realtà con un proprio “io”, per cui la parola, opposto di maschera, diventa identità. A questo punto, se consideriamo che gli elementi ricorrenti della letteratura latinoamericana sono la lotta dell’uomo contro la natura ostile, la natura vista come spazio incommensurabile, la rivolta contro la sfruttamento,

3 4

Ivi, p. 23. J. Martí, Ensayos sobre arte y literatura, La Habana 1972, in R. Campra, op. cit., p. 23.


-83appare evidente come parlare di Che Guevara significhi per un intellettuale parlare di coscienza, di essere, di identità, e, conseguentemente, trasmetterla e diffonderla. Parlando del Che, si toglie la maschera e si afferma se stessi. Questo compito viene assolto in particolar modo da quella che viene definita “poesia sociale”. La studiosa Graciela Mántaras Loedel, in un articolo intitolato El Che en la poesía y en el cuento, pone in discussione proprio la valenza e il significato di questo genere di poesia. La Loedel, circa la poesia sociale, o politica, o di protesta, o rivoluzionaria a seconda di come la si vuole definire, cita le parole dello scrittore Carlos Altamirano che, a tal proposito, mette in guardia dai pericoli che provoca l’ambiguità dell’espressione poesia sociale, che induce a pensare all’esistenza di una poesia che sia invece pura espressione della soggettività.

Toda poesía es social en la medida en que es social su instrumento (el lenguaje); son sociales sus prácticas (la escritura) y sociales también las remisiones que el mundo intelectual y moral de los testos provoca […] el (los) público(s) a que se dirige el escritor, conscientemente o no y, por supuesto, la(s) recepción(es) de su escritura. No obstante, cuando usamos esa ambigua espresión sabemos que nos estamos refiriendo a una poesía que deliberadamente aborda los temas y conflictos sociales con el propósito de trasmutarlos en material estético. 5

5

[ Tutta la poesia è sociale nella misura in cui è sociale il suo strumento (il linguaggio); sono sociali i suoi mezzi (la scrittura) e sociali inoltre le conseguenze che il mondo intellettuale e


-84Del resto, ricorda la Loedel, è utile ricordare che la critica sociale e la politica hanno avuto un ruolo in tutte le varie forme di letteratura, nelle commedie teatrali in particolare, e che proprio la tradizione letteraria dell’Occidente ha elaborato il concetto di scrittore come guida intellettuale della comunità a cui appartiene. Sono stati i pensatori dell’Enciclopedia francese coloro che proposero di trasmettere non solo delle conoscenze ma anche e soprattutto di cambiare il modo abituale di pensare, come affermò Diderot. La stessa rivoluzione francese, ricorda, è stata ideologicamente una conseguenza delle teorie degli enciclopedisti, che fornirono appunto ai rivoluzionari una ideologia, la quale comportava sia una critica e una negazione del passato, sia un progetto e una prospettiva valida per il futuro. Riferendosi sempre ad Altamirano la Loedel afferma che

tiene razón cuando asevera que las mejores plasmaciones literararias de la poesía social partenecen a nuestro siglo y son el resultado del encuentro de los ideales revolucionarios de este tiempo con la vasta renovación poética producida por las llamadas vanguardias. 6

e morale dei testi provoca (…) lo (gli) spettatore (i) a cui si rivolge lo scrittore, la (le) interpretazione (i) di ciò che scrive. Tuttavia, quando usiamo questa ambigua espressione sappiamo che ci stiamo riferendo ad una poesia che deliberatamente tratta i temi e i conflitti sociali con il proposito di trasformarli in materiale estetico]. Carlos Altamirano, Poesía social del Siglo XX: España e Hispanoamérica, in Cuadernos de Marcha, n. 32, ottobre 1997, p.69. 6 [ha ragione quando sostiene che i migliori prodotti letterari della poesia sociale appartenente al nostro secolo sono il risultato dell’incontro degli ideali rivoluzionari del nostro tempo con il vasto rinnovamento poetico prodotto per quelle che vengono chiamate avanguardie]. G. M. Loedel, El Che en la poesía y en el cuento, in Cuadernos de Marcha, n.32, ottobre 1997, p. 70.


-85E’ giusto allora in questo senso, conclude Loedel, considerare due i grandi momenti che hanno generato la maggiore e la migliore produzione della poesia sociale: la guerra civile spagnola e la rivoluzione cubana. Queste considerazioni mi sembrano idonee a legittimare ancora una volta il motivi per cui Che Guevara è “oggetto” ricorrente nella letteratura e tra gli intellettuali latinoamericani. La sua vita, le sue imprese, la sua morte hanno quasi lasciato una eredità ed una missione agli scrittori. Cosa abbia rappresentato per essi, e quale sia il loro compito, lo spiegano in modo lampante, per la semplicità delle parole, Roque Dalton e Hilda Gadea. Secondo lo scrittore salvadoregno Dalton la morte del Che è stata la notizia che negli ultimi anni più ha colpito i cuori e più ha ferito le menti dei latinoamericani, lasciando un’impronta indelebile.

El Comandante Guevara era la encarnación de lo más puro y lo más hermoso que existe en el seno de esta actividad grandiosa que nos impone nuestra época: la lucha por la liberación de la humanidad; la profunda lección moral y política de su vida y de su muerte forma desde ahora parte inapreciable del patrimonio revolucionario de todos los pueblos del mundo. Y así su desaparición fisica es un hecho irreparable para el cual no debemos escatimar lágrimas de hombres y revolucionarios; la actitud fundamental a que nos obliga su actual immortalidad histórica es la de hacernos verdaderamente dignos de su ejemplar sacrificio. Ser dignos de la vida y de la muerte del gran combatiente revolucionario, Comandante Ernesto Guevara. Esta es la consigna que debe unir a los revolucionarios latinoamericanos en el duro combate contra el enemigo común de la humanidad: el imperialismo nortamericano. 7 7

[ Per noi il Comandante Guevara era l’incarnazione di ciò che di più puro e grandioso esiste


-86I contenuti fondamentali dell’articolo di Dalton vengono ripresi da Hilda Gadea 8 nell’articolo A Ernesto Che Guevara. Anche in lei quei concetti di identità, di lotta e di coscienza già menzionati, sono ben manifesti e ricorrenti. Oltretutto, proprio perché ne fu la moglie, l’articolo assume una forma molto confidenziale, quasi epistolare, dalle cui parole traspaiono una passione ed un coinvolgimento che ne rafforzano il valore delle espressioni.

Al sonar los 21 cañonazos era evidente la despedida y pensé: Ernesto Guevara ya no estás, ya no existes fisicamente, hombre excepcional, revolucionario sin tacha, hijo y padre cariñoso, hombre nuevo que practicaba con todos los actos de su vida los principios morales revolucionarios que preconizaba, camarada fraterno y profundamente humano[…] Ya no estás fisicamente Ernesto Che Guevara, pero está tu ejemplo, está tu obra, están los pueblos irredentos. Otros luchadores tomarán tus armas y liberarán a nuestros pueblos, tu sangre ha abonado los caminos duros y difíciles de nuestra revolución en marcha. Siempre estarás presente en nuestras luchas […] Y a pesar de nuestro dolor y del dolor de todos los revolucionarios, tenemos que decir por conocerte que has enfrentado todos los peligros y has ido al combate, con la alegría, feliz por

nel seno di questa attività grandiosa che ci impone la nostra epoca: la lotta per la liberazione dell’umanità; la profonda lezione morale e politica della sua vita e della sua morte crea da adesso una parte inestimabile del patrimonio rivoluzionario di tutti i popoli del mondo. E così la sua scomparsa fisica è un evento irreparabile per il quale non dobbiamo lesinare lacrime di uomini e rivoluzionari; l’atteggiamento fondamentale a cui ci obbliga la sua attuale immortalità storica è quello di sentirsi veramente degni del suo sacrificio esemplare. Essere degni della vita e della morte del gran combattente rivoluzionario, Comandante Ernesto Guevara. Questa è l’ordine che deve unire i rivoluzionari latinoamericani nella dura lotta contro il nemico comune dell’umanità: l’imperialismo nordamericano]. Roque Dalton, Combatiendo por la libertad de América Latina ha muerto nuestro Comandante Ernesto Guevara, in Casa de las Américas, n. 16, gennaio-febbraio 1968, p. 20. 8 Hilda Gadea, intellettuale peruviana, militante dell’APRA ( Alianza Popular Revolucionaria Americana), conobbe il Che durante la sua partecipazione ai movimenti rivoluzionari in Guatemala nel 1954; nel 1956 in Messico si sposarono per poi abitare a Cuba con i figli.


-87brindarlo lo mejor de ti en la lucha por la justicia, feliz, sufriendo y feliz, muriendo por nuestros ideales, con la alegría de saber que otros hombres seguidrán tu ejemplo. Siempre serás el guía de la revolución latinoamericana, como Bolívar y Martí conducirás a nuestros pueblos hasta el triunfo. Y aunque un “sudario de cubanas lágrimas” y también de todo el continente y del mundo te acompañan en tu “tránsito a la historia americana”, te acompañan, también, la decisión y la inquebrantable resolución de todos los revolucionarios de continuar tu obra en todos los terrenos, en el trabajo, en el estudio y en el combate. 9

E’ proprio l’ultima frase che dimostra chiaramente quale sia il compito degli intellettuali latinoamericani. Gadea afferma infatti che i principi insegnati dal Che devono essere ripresi e trasmessi da ogni uomo, ognuno nelle attività e negli spazi in cui opera. Così agli scrittori non resta che, attraverso la letteratura, continuare a parlare di Ernesto Guevara, per rendere

perenne, in ogni

luogo del

mondo dove

si consumi

un’ingiustizia, la sua lotta rivoluzionaria.

9

[Al suono dei 21 cannoni era evidente l’addio e pensai: Ernesto Che Guevara non ci sei più, non esisti più fisicamente, uomo eccezionale, rivoluzionario senza difetto, figlio e padre affettuoso, uomo nuovo che attuava con tutte le azioni della sua vita i principi morali rivoluzionari che si prefiggeva, compagno fraterno e profondamente umano (…) Non esisti più fisicamente Ernesto Che Guevara, però c’è il tuo esempio, c’è la tua opera, ci sono i popoli irredenti. Altri guerriglieri prenderanno le tue armi e libereranno i nostri popoli, il tuo sangue ha irrigato i cammini duri e difficili della nostra rivoluzione in marcia. Sempre sarai presente nelle nostre lotte (…) E pensando al nostro dolore e al dolore di tutti i rivoluzionari vogliamo dire per onorarti che hai affrontato tutti i pericoli e sei andato in guerra con la allegria di sempre, felice per offrire il meglio di te alla lotta per la giustizia, felice, soffrendo e felice, morendo per i nostri ideali, con la allegria di sapere che altri uomini seguiranno il tuo esempio. Sarai sempre la guida della rivoluzione latinoamericana, come Bolivar e Martí condurrai i nostri popoli al trionfo. E sebbene “un sudario di lacrime cubane” e anche di tutto il continente e del mondo ti accompagnano nel tuo “passaggio nella storia americana”, ti accompagna, inoltre, la decisione e la irremovibile risoluzione di tutti i rivoluzionari di continuare la tua opera in tutti i campi, nel lavoro, nello studio e nella lotta] Hilda Gadea, A Ernesto Che Guevara, in Casa de las Américas, n. 16, gennaio- febbraio 1968, pp. 20-21.


-882 Il Che portatore di una identità Nel primo e secondo capitolo si è visto come il Che abbia maturato la consapevolezza di una identità latinoamericana e come la sua figura, il suo pensiero e le sue azioni siano ormai accettate, oltre che consolidate, nella cultura dell’America Latina. Ora è giusto dimostrare come questa “identità” che Ernesto Guevara ha trasmesso e trasmette tutt’oggi, venga in un certo senso legittimata, e gli sia riconosciuto esplicitamente il ruolo di “portatore” di tale identità; un ruolo riconosciuto da molte persone (e culture) diverse, e che quindi si può definire a pieno titolo universale. La musicologa italiana Meri Lao, che, come abbiamo visto, ha dedicato ad Ernesto Guevara una raccolta di poesie e canzoni tributategli da autori di tutto il mondo, nella prefazione del suo libro fa notare come lo stesso soprannome “Che” sia indicativo di e unifichi contemporaneamente vari aspetti di culture diverse, che con significati differenti si raccolgono poi nello stesso monosillabo.

Forse non appare altrettanto palese il significato della sillaba che ne sta all’origine. Di uso frequente in Argentina, Uruguay e Paraguay come interiezione, vocativo o particella pronominale, essa sostituisce il “tu”, superandolo in familiarità. In guaraní –l’idioma indigeno che in Paraguay è riuscito a tener testa allo spagnolo ufficiale- che viene inteso come prima persona, al nominativo o all’accusativo: chevé –mi, a me; cheyehé o chendié –con me; cheichaguá –uno come me. Sillaba viva che sta in agguato nella lingua (Cortázar), che occorre canCHEllare e scrivere (Toti); sillaba indigena capace di evocare un altro ceppo, l’indomito araucano, il


-89mapu-che o il Che del Mapu (Pérez); interiezione veneta (Toti); Che, appena un pronome personale come asta per issare la parola (Lihn); lo volevano con nome e cognome ma lui è diventato nomignolo (Nogueras). 10

Si può allora affermare che forse era proprio nel destino e nell’indole di Guevara stesso doversi ergere a simbolo di una identità latinoamericana. Un valido riconoscimento per questo suo ruolo gli viene attribuito dal giovane e oggi molto conosciuto scrittore cileno Luis Sepúlveda. In un articolo intitolato Il Che: eroe romantico o terrorista afferma che ci sono uomini che nascono segnati da una morte prematura e tuttavia intraprendono l’avventura del vivere con una intensità ed una allegria che li distingue dai martiri religiosi. Così era il Che, definito da alcuni un bandito, da altri un leader, un avventuriero, un esempio o un santo, e di fronte al cui destino nessuna persona sensata e sensibile può rimanere indifferente. La sua vita ha ispirato dozzine di libri ma pochi autori, sostiene, sono riusciti a cogliere l’essenza del Che: il suo essere profondamente latinoamericano.

Ma in cosa consiste questo essere profondamente latinoamericano? E’ una questione soprattutto culturale e nasce dalla nostra appartenenza a un enorme conglomerato umano che ancora non ha il tempo sufficiente per pensare a se stessa e giungere alla sintesi necessaria della sua identità.

10

Meri Lao, op. cit., p. 8.


-90Riprendendo l’affermazione socratica, il Che ha sempre saputo che non sapevamo quasi niente di noi stessi e che la nostra realtà era dominata da categorie analitiche e di pensiero ben lontane dalla nostra convulsa forma di essere. Il Che si autoimpose una conoscenza precisa e radicale della realtà continentale, della sua storia di eroismi e sconfitte, di imprese segnate dalla fatalità. 11

Secondo Sepúlveda il Che sostenne sempre che la realtà latinoamericana non poteva essere soggetta ad interpretazioni meccanicistiche, perché esse condannano ad una sorta di eclettismo, quindi “ci facevano avanzare in cento direzioni diverse ma ci impedivano di avanzare di cento metri in un’unica direzione”

12

. Nella vita e nell’opera del Che non si avverte mai

un’ossessione per il messaggio marxista, perché per lui era la più grande negazione del pluriculturalismo dell’America Latina, di una realtà sicuramente determinata

dalle imposizioni del Primo Mondo e dalla

necessaria dipendenza. Quando il Che intraprese l’avventura guerrigliera, afferma, sembrava che l’America Latina conoscesse solo due proposte per il futuro: una dettata dal capitalismo brutale, che consiste nel perpetuare la “dipendenza economica, culturale, politica, in definitiva esistenziale” 13; e l’altra, suggerita da una sinistra di stampo autoritario, che propone un

11

Luis Sepulveda, Il Che: eroe romantico o terrorista, in Corriere della Sera, 10 ottobre 1997. Ibidem. 13 Ibidem. 12


-91socialismo simile a quello dei Paesi dell’Est dell’Europa, quindi “unilineare, unidimensionale, di sclerosi sociale, culturale e politica”

14

.

Nonostante i diversi percorsi dei quali più tardi si avvalse la rivoluzione cubana, coloro che intrapresero questa impresa, ed il Che tra essi, lo fecero ponendosi le prime domande che poi saranno il grande motivo di militanza di varie generazioni.

Che cosa ha in comune il lavoratore della lana di Ushuaia con il raccoglitore di caffè in Colombia? Lo studente di medicina dell’università di Cordoba, che cosa ha in comune con lo sciamano dell’Orinoco? La nostalgia dell’emigrante europeo somiglia al ricordo del tempo mitico in cui scompare l’indio delle Ande? Gli operai di Santiago del Cile sfilano con bandiere rosse il primo maggio, e gli indios salasacas si vestono di nero per il lutto interminabile della morte di Atahualpa: che cosa li unisce? Un minatore di Lota non supera mai i cinquant’anni di età, e i vecchi di Vilcabamba conoscono i segreti di longevità che li fanno vivere fino a novant’anni: è possibile mettere un ponte tra loro? La divisione politica del continente ci rappresenta veramente? Dal Messico a Capo Horn sogniamo un presente di giustizia sociale, di pace, di lavoro, di libertà. Ma come coniugare tutto questo con la necessaria allegria che ci è propria? Come fare della malinconia un diritto e del dolore un motore di liberazione? Da queste e altre simili domande è nato il guevarismo. Oggi, a trent’anni dalla morte del Che, si riaccende una polemica che per sfortuna considera soltanto la condotta dell’eroe (e gli eroi sono sempre freddi) e dimentica la dimensione umana del personaggio. 15

Di conseguenza, secondo l’intellettuale cileno, l’umanità del Che è parte

14 15

Ibidem. Ibidem.


-92della storia dell’uomo, che prende talvolta diverse sembianze ma in definitiva continua a far rimanere sempre se stessa l’antica utopia della fratellanza. La sua breve vita ed il suo esempio sono stati la rivendicazione del diritto a dire no e della più civilizzata delle forme sociali, perché la civiltà si capisce solo quando si è in grado di criticarla, di trasformarla, di renderla funzionale alle necessità della maggioranza del genere umano. Ernesto Guevara ha lottato per questo, “affinché i latinoamericani cominciassero a scoprire le domande che non erano mai state formulate prima, e che avevano bisogno di risposte urgenti” 16. In pratica Sepúlveda dimostra come i latinoamericani hanno in comune proprio il fatto di essere tanti e diversi, con pensieri differenti ma con una origine indigena libera sopraffatta e oscurata dal colonialismo. Ed il Che ha avuto il grande merito di riportare alla luce, pagando come prezzo la propria vita, una identità che si basa proprio su questa comune libertà originaria. Questo concetto di popolazione complessa, culturalmente variegata oltre che numericamente estesa, ed incitata alla rivolta contro chi determinava la sua povertà per risvegliare tra gli uomini quel senso di libertà che consente di sconfiggere i padroni che li hanno sottomessi, è ben delineato in una

16

Ibidem.


-93poesia del poeta canadese Joe Rosemblatt, dal titolo The bee hive 17.

I don’t believe in ghosts yet surgeons transplant a living heart into the chest cavity of a dead man a fisty pulping orange … a new ticker! But for a bullet hole in the heart there is no second valentine for a Marxist. The worms have murdered the tiger. Che is dead. And in time, we too shall face the bee keeper for they who move with tender feet through the saw-mills of the hive they shall hear a hymn of Carpenter bees whose furnace song is dum-dum’s liturgy. In secret ground they’ve buried Che’s dust trembling like monks who hide religious radium from the lead eyes of the poor. 18

Secondo Rosemblatt, dunque, il Che ha rappresentato l’eroe temerario che, come una tigre nella foresta al cui passaggio ogni animale si trovi nei paraggi sussulta, ha scosso gli animi della popolazione latinoamericana,

17

L’alveare. [Non credo ai fantasmi/ eppure i chirurghi trapiantano un cuore vivo/ nel torace di un uomo morto/ un pugno di arancia palpitante/ … un nuovo orologetto!/ Ma per un foro di pallottola nel cuore/ un marxista non avrà una seconda occasione/ i vermi hanno assassinato la tigre: Il Che è morto/ E col tempo, anche noi dovremo affrontare il guardiano delle api/ perché coloro che si muovono con passo lieve/ attraverso le segherie dell’alveare/ udranno l’inno delle api falegname/ il cui canto di fornace è liturgia degli spari/In terra segreta hanno seppellito la polvere del Che/ tremando come monaci che nascondono un radium religioso/ agli occhi di piombo dei poveri]. Joe Rosemblatt, The bee hive, in Meri Lao, op. cit., p. 88.

18


-94risvegliando tra gli uomini quel senso di libertà tramite cui si può sconfiggere i padroni che li hanno sottomessi. E come un alveare, in cui regnano compattezza, uguaglianza e operosità, essi, forti di una ritrovata identità collettiva, hanno iniziato la lotta per riconquistare la libertà perduta. Un’altra poesia mette a fuoco con semplicità e trasporto emotivo questa capacità di Guevara di trasmettere identità e senso di appartenenza ad una cultura comune. Si tratta de Las manos, scritta dal poeta cileno Floridor Pérez.

Y ahora con qué los voy a saludar, amigos, y con qué manos acariciar tus muslos o recibir tus hijos, compañera, con qué miéchica voy a escribir mi poema ahora que mutilaron al guerrillero. El era mapuche 19–antillano, “Che del Mapu”: el hombre de la tierra, nuestra tierra, pero yo no soy quién para decir quien era y esto no es un poema, esto no es nada más que un grito de dolor o rabia, qué sé yo, no es que lo llore, no es que le haga tampoco a un immortal mucha falta la vida, pero cómo es posible, los bellacos “Mandáronle cortar ambas las manos”

19

Popolazione india molto combattiva di cui rimangono circa centomila discendenti nel Nequén argentino e nella regione centrale del Cile.


-95Y esto que yo le traigo no es un poema: -Aquí tiene las manos de Galvarino, comandante. 20

La virtù straordinaria del Che, secondo Pérez, è stata dunque quella di lasciare in ogni uomo latinoamericano un’impronta, un messaggio, un senso di comunanza con tutte le persone che, a causa della sua morte leggendaria, sentiamo ora vicine a noi, perché la sua vita è stata sacrificata per ognuno di noi. Il dolore, la rabbia, lo sconforto che la scomparsa di Guevara provocano sulla terra si espandono nell’anima di ogni uomo, originando un legame comune profondo, per cui la “nostra terra” diventa la terra di tutti, e la nostra vita, quella di ognuno. Nell’ambito di questo discorso sull’identità non si può però non parlare di uno dei più importanti poeti cubani e latinoamericani: Nicolás Guillén, soprattutto se si considerano la sua formazione culturale e i contenuti della sua poetica. Forse più di ogni altro egli ha potuto comprendere e celebrare

20

[ E adesso come farò a salutarvi, amici/ e con quali mani accarezzerò le tue cosce/ o riceverò i tuoi figli, compagna/ con che diavolo scriverò la mia poesia/ adesso che hanno mutilato il guerrigliero/ Era indio e antillano, “Mapu-che/ Che del Mapu”: l’uomo della terra, la nostra terra/ ma io chi sono per dire chi era lui/ e questa non è una poesia, è niente/ altro che un grido di dolore o rabbia, che so io/ non può dirsi che lo pianga e nemmeno/ che un immortale abbia molto bisogno di vita/ Ma come è possibile, le canaglie/ “Ordinarono gli fossero tagliate entrambe le mani”/ e questo che vi porto non è una poesia/ -Ecco le mani di Galvarino/ comandante]. Floridor Pérez, Los manos, in Meri Lao, op. cit., p. 106.


-96questa identità collettiva e fondamentalmente meticcia che Che Guevara ha trasmesso all’America Latina. Guillén infatti è il maggior esponente della poesia afro-cubana, e nelle sue poesie il tema del nero giunge ad essere qualcosa di più che una sfida localistica ai valori europei. Il suo afrocubanismo è l’affermazione dell’orgoglio del proprio passato nero e delle sofferenze dei suoi antenati. La cultura africana, rimasta fino agli anni venti sotterranea in America, i culti magici, per mezzo dei quali erano stati trasmessi di generazione in generazione il folklore africano ed addirittura lingue come lo yoruba, rimanevano al di fuori delle possibilità di comprensione dei cubani bianchi. Il movimento afro-cubano significò prendere coscienza della ricchezza e dell’importanza della cultura nera nella vita dell’isola, e a un mulatto come Guillén fornì la voce alla parte rimossa della propria coscienza. Per questo egli comprese intensamente il messaggio del Che, perché l’alienazione della sua razza era ed è l’alienazione di tutta la popolazione latinoamericana, di cui è parte integrante e, di conseguenza, parlare di identità significa inglobare ed accomunare in un’unica realtà tutti gli uomini del Sud America. L’unire tanti aspetti diversi crea questa identità. In questo ambito, la poesia più significativa di Guillén dedicata al Che è senz’altro Che Comandante, i cui versi delineano in modo esemplare tale concetto.


-97No porque hayas caído tu luz es meno alta. Un caballo de fuego sostiene tu escultura guerrillera entre el viento y las nubes de la Sierra. … Estás en todas partes. En el indio hecho de sueño y cobre. Y en el negro revuelto en espumosa muchedumbre, y en el ser petrolero y salitrero, y en el terrible desamparo de la banana, y en la gran pampa de las pieles, y en el azúcar y en la sal en los cafetos, tú, móvil estatua de tu sangre cómo te derribaron, vivo, como no te querían, Che Comandante, amigo. … Pasas en tu descolorido, roto, agujereado traje de campaña. El de la selva, como antes fue el de la Sierra. Semidesnudo el poderoso pecho de fusil y palabra, de ardiente vendaval y lenta rosa. No hay descanso. Salud, Guevara! O mejor todavía, desde el hondón americano: Espéranos. Partiremos contigo. Queremos morir para vivir como tú vives, Che Comandante, amigo. 21

21

[Non perché tu sia caduto/ è meno alta la tua luce/ Un cavallo di fuoco/ sostiene la tua


-98Appare quindi evidente come anche Nicolás Guillén ribadisca il contenuto meticcio dell’identità latinoamericana, insistendo su un meticciato costitutivo che d’altronde già nella poesia La muerte del Neque riconosceva chiaramente:

Estamos juntos desde muy lejos jóvenes, viejos, negros y blancos, todo mezclado. 22

3 La questione meticcia Ernesto Sábato

23

, nel suo libro La cultura en la encrucijada nacional ,

afferma:

Dato il carattere di fusione della cultura latinoamericana, nel caso specifico di quella argentina, “ibrida”, - è appunto questo carattere meticcio a dover

scultura guerrigliera/ tra il vento e le nuvole della Sierra/ …/ Sei in ogni dove. Nell’indio/ fatto di sogno e rame. E nel negro/ agitato da schiumanti moltitudini/ e in ciò che è petrolio e salnitro/ e nel terribile abbandono/ dei bananeti e nella grande pampa delle pelli/ e nello zucchero e nel sale/ e nelle piantagioni di caffè/ tu, abbattuta statua del tuo sangue/ vivo, come non ti volevano/ Che Comandante/ amico/ …/ Passi col tuo scolorito, liso, bucato vestito da campagna/ quello della selva, come prima/ quello che indossavi nella Sierra. Seminudo/ il potente petto di fucile e parola/ di ardente impetuoso vento e di lenta rosa/ Non c’è riposo/ salve, Guevara!/ O sarebbe meglio dirti dalla nostra profondità americana/ Aspettaci. Partiremo con te. Vogliamo/ morire per vivere come tu sei morto/ per vivere come tu vivi/ Che Comandante/ amico]. N. Guillén, Che Comandante, in Meri Lao, op. cit., pp. 152-154-156. 22 [ E stiamo insieme da molto tempo/ giovani, vecchi/ negri e bianchi, tutto mischiato] N. Guillén, La muerte del Neque, in J. Franco, op. cit., p. 329. 23 Ernesto Sábato (1911), scrittore argentino, esponente del cosiddetto “romanzo moderno”.


-99essere rivendicato. E meticcio vuol dire, in questa prospettiva, l’eredità di due mondi. 24

Se riflettiamo su quella che è stata la formazione di Ernesto Guevara, sulla sua scoperta di un meticciato costitutivo maturata completamente nel lebbrosario di S. Pablo e sui versi appena citati di Nicolás Guillén ed Ernesto Sábato, si può trarre una valida interpretazione di fondo: l’idea di meticcio non si riduce ad una semplice fusione, ad un ibrido di due elementi qualsiasi, ma comporta un’azione più completa e profonda. Meticcio, infatti, nella cultura latinoamericana,

non significa solo una

commistione di sangue, e quindi di razze, originariamente diverse; non è solo una questione chimica e genetica, ma vuol dire soprattutto incontro di elementi culturali differenti. Tali elementi possono essere svariati: il paese, la città, la nazione, i genitori, le origini, la formazione, la condizione sociale, il ceto, l’intelligenza ecc. Essere meticci comporta quindi non solo fondere aspetti diversi, ma saperli affrontare, sapersi aprire ad essi e alla diversità in generale, a tutto ciò che è lontano da noi ma ci circonda e dunque, anche se inconsapevolmente, ci comprende. La condizione meticcia, di conseguenza, è quella di colui che conosce sé e l’altro

24

E. Sabato, La cultura en la encrucijada nacional, in R. Campra, op. cit., p. 26.


-100da sé, che sa accogliere e interpretare tutto ciò che non è proprio, ma è appunto “altro”. In questo senso più generale e profondo il Che si può definire, e forse va considerato, meticcio, perché ha saputo fare proprie le istanze e i pensieri di milioni di uomini, acquisendone i bisogni, le sofferenze e le speranze. Questo suo essere profondamente meticcio nell’anima gli ha permesso di fondersi con le culture di persone sconosciute, dando vita ad una solo cultura, quella latinoamericana, che ha valorizzato, esaltato e difeso fino alla morte. In questo senso, ed interpretandone questo significato, molti poeti gli hanno dedicato versi, dimostrando che essere meticci significa per prima cosa possedere una straordinaria apertura mentale. Tra le tante che gli sono state tributate, tre poesie in particolare ritengo siano le più significative riguardo alla questione meticcia. La prima è El hombre del siglo XXI, scritta da Jaime Galarza Zavala. 25

Adiós y nos veremos en la victoria siempre. Voluntario del hombre. …

25

Jaime Galarza Zavala, poeta e giornalista ecuadoriano (1928).


-101Cuidado con el Che! rugía el amo. Cuidado con el Che! aullaba el oro. Cuidado con el Che! rogaban los vasallos. Y los hombres clamaban silenciosos: Cuídale, tierra, mira a quíen te llevas, cuídale, bosque, cuídale, montaña. Hazle una fortaleza, esclavo, con tus grillos, escóndelo, minero, al fondo de la mina, disfrázalo de trigo, indio sin trigo, amor, salid en su defensa, caminos, llevadle hasta el refugio, ríos lluvia rocío: haced que el agua no le falte! … Y a pecho descubierto, se lanzó a conquistar la flor con la metralla desde los desfiladeros de Nanahuazú hasta el barranco en donde vivo le capturó la muerte asalariada para irlo matando por pedazos gota a gota segundo tras segundo ráfaga tras ráfaga, en un rincón andino, donde el viento aún lo anda llamando. Pero la muerte llegó tarde. Ya él había ganado la batalla porque ya preso y derrotado y muerto desde ese instante en todas las montañas se oye cantar la fuerza de su paso, en toda América madruga su palabra. 26

26

[Addio e ci vedremo/ nella vittoria, sempre/ Volontario dell’uomo/…/ Attenzione al Che! ruggiva il padrone/ Attenzione al Che! ululava l’oro/ Attenzione al Che! pregavano i vassalli/ E


-102I versi più salienti di Zavala appaiono senza dubbio quelli in cui fa riferimento allo schiavo, al minatore, all’indio che diventano motivo di lotta per il Che e parte integrante del suo stesso cammino leggendario. Ritorna così evidente il significato preponderante del concetto meticcio, e del “meticcio” Che Guevara, vale a dire saper accogliere e saper unificare realtà diverse tra loro e da se stessi. La seconda poesia da ricordare è Les guérilleros di Jean Ferrat. 27

Avec leurs barbes noires, leurs fusils démodés, leurs treillis délavés comme drapeau d’espoir, ils ont pris le parti de vivre pour demain ils ont pris le parti des armes à la main. S’ils sont une poignèe ceux qui suivent leur chemin, avant qu’il soit demain,

gli uomini clamavano in silenzio/ Abbi cura di lui, terra, guarda chi porti via/ curalo, bosco, curalo, montagna/ Fagli una fortezza, schiavo, con le tue catene/ nascondilo, minatore, in fondo alla miniera/ mascheralo di grano/ indio senza grano/ amore, parti in sua difesa/ strade, portatelo sino al rifugio/ fiumi/ pioggia/ rugiada/ fate in modo che non gli manchi l’acqua/ …/ E a petto scoperto/ si lanciò a conquistare il fiore/ con le armi da fuoco/ dalle gole di Nancahuazú/ fino al precipizio dove vivo/ lo catturò la morte stipendiata/ per ucciderlo a pezzi/ a gocce/ un secondo dopo l’altro/ una raffica dopo l’altra/ in un cantone andino/ dove ancora lo chiama il vento/ Ma la morte giunse tardi/ Lui ormai aveva vinto la battaglia/ perché prigioniero e sconfitto e morto/ sin da quell’istante in tutte le montagne/ si sente cantare la forza del suo passo/ nelle Americhe la sua parola fa l’alba]. J. G. Zavala, El hombre del siglo XXI, in Meri Lao, op. cit., pp. 196-198. 27 Jean Ferrat, poeta e cantautore francese con una grande fede comunista; dal 1970 rifiuta di esibirsi in pubblico.


-103ils seront des milliers. Il y a peu de temps que le monde est sierra, que tout un continent rime avec Guevara. Ce qu’ils ont dans le coeur s’exprime simplement: des mots pleins de doucer, des mots rouges de sang. Cent millions de métis savent de quel côté se trouve la justice comme la dignité. De petis mots bien lisses qui valent une armée et toutes vos polices ne pourront rien changer. Mes frères qui savez que les plus belles fleurs poussent sur le fumier, voici que sonne l’heure. Les guérilleros, les guérilleros. 28

In questo caso appare legittimo l’intento di Ferrat di sottolineare come il

28

[ Con le loro barbe nere/ i loro fucili sorpassati/ le loro divise consumate/ come la bandiera della speranza/ hanno scelto la strada/ di vivere per il domani/ hanno scelto la strada/ di impugnare le armi/ Se quelli che li seguono/ sono ancora un pugno/ prima di domani/ saranno migliaia/ Solo da poco tempo/ il mondo è Sierra/ e tutto un continente/ rima con Guevara/ Ciò che hanno nel cuore/ si esprime con semplicità/ parole piene di dolcezza/ parole rosse di sangue/ Cento milioni di meticci/ sanno da che parte/ si trova la giustizia/ e insieme la dignità/ Brevi e schiette parole/ che valgono un esercito/ e che nessuna polizia/ potrà mai cambiare/ Fratelli miei che sapete/ che i più bei fiori/ nascono dal letame/ ecco sta suonando l’ora/ I guerriglieri, i guerriglieri]. J. Ferrat, Les guérilleros, in Meri Lao, op. cit., pp. 212-214.


-104Che abbia saputo trasmettere i suoi grandi valori morali e culturali agli uomini che lottavano con lui, e che non si riducevano solo ad un manipolo di guerriglieri, ma ad un vero esercito che non faceva solo delle armi, ma anche e soprattutto degli ideali e della propensione al sacrificio per gli oppressi, la vera forza della lotta intrapresa. Erano dunque come il Che guerriglieri di rivolta, ma anche di cultura. La terza poesia, infine, è Monumento de sangre al guerrillero di Mahfud Massis. 29

Oh, Capitán, gallo vulnerable para nuestro ánimo de inveteradas meretrices, garrapatas del orden, del buen sentido, de la cama cuajada de libélulas, en tanto el negro, el indio, o el esclavo blanco de Latinoamérica echan humo de costillar rojo, olvidados, como bastón de ciego en la posada del asesino, con grandes piedras de pus en las mandíbulas, con bragueros de sangre, con esputos de sangre, con meollos de sangre; millones de cristos crucificados te aguardan en el estercolero, miríadas de niños, diurnos, heridos, extrangulados pájaros, niños parados a la puerta del horno. …

29

Mahfud Massis (1917), poeta, saggista e narratore cileno.


-105Yo, poeta de esta tierra miserable y enorme, vendedor de huevos funerarios, también estoy herido. Miro el costado izquierdo de mi corazón, cae sangre, congoja sobre mi mano sin gatillo que oprimir, sin noche que desollar, sin una muerte que justificar, sin un día para morir… Yo te saludo esta madrugada, decapitado Capitán. De tus entrañas rotas, de tus manos cortadas bajará el último rayo: el águila precederá a los guerrilleros, pálidos y seguros junto al tigre escarlata de la noche, … y una VOZ, una sola, como golondrina de sangre que atraviesa el firmamento de hielo, estremecerá el tuétano de la eternida y los siglos errabundos: HASTA LA VICTORIA SIEMPRE ! 30

Anche in Massis ricorre il tema del sacrificio, della predisposizione di Guevara a capire e conoscere “l’altro”, così come la capacità di unire in un

30

[Oh, Capitano/ gallo invulnerabile al nostro animo di inveterate meretrici/ zecche/ dell’ordine, del buon senso, del letto/ gremito di libellule, mentre il negro, l’indio, o lo schiavo bianco/ dell’America Latina mandano fumo di costata rossa, dimenticati/ come bastone/ di cieco in casa dell’assassino/ con grandi pietre di pus nelle mascelle/ con lacci di sangue, con sputi di sangue, con midolli/ di sangue/ milioni/ di cristi crocifissi ti aspettano nello sterco, miriade/ di bambini/ diurni/ feriti, strozzati uccelli/ bambini fermi sulla porta del forno/ …/ Anch’io, poeta/ di questa terra miserabile e enorme, venditore/ di uova funerarie, sono ferito. Guardo/ il lato sinistro del mio cuore/ cade il sangue, soffre sulla/ mia mano/ senza un grilletto da premere, senza una notte da scorticare, senza/ una morte/ da giustificare/ senza un giorno per morire…/ Io ti saluto in quest’alba, decapitato Capitano. Dalle tue viscere/ rotte/ dalle tue mani tagliate/ scenderà l’ultimo fulmine: l’aquila precederà i guerriglieri/ pallidi e sicuri insieme alla tigre scarlatta della notte/ e una/ VOCE, solo una/ come rondine di sangue che attraversa il firmamento di ghiaccio/ scuoterà la polpa dell’eternità e i secoli errabondi/ HASTA LA VICTORIA SIEMPRE ]. Mahfud Massis, Monumento de sangre al guerrillero, in Meri Lao, op. cit., pp. 102-104-106.


-106ideale ed in una cultura persone diverse tra loro come il negro, l’indio, lo schiavo; un aspetto già rilevato da Zavala e comunque ricorrente nelle varie poesie dedicate al Che. Alla luce di quanto detto circa l’identità meticcia di Ernesto Guevara, intesa soprattutto come condizione culturale, la considerazione da trarne è che il meticcio non è quella persona non definibile, non apprezzata, incolta, emarginata e da sempre considerata inferiore dalla cultura occidentale e nell’immaginario comune degli europei, ma un uomo caratterizzato da una enorme ricchezza spirituale e per natura predisposto alla conoscenza dell’altro e del diverso; il suo essere ibrido gli permette così di elevarsi al di sopra degli altri uomini in quanto dotato di una predisposizione alla comparazione della diversità, che è sinonimo di ricchezza. In questo modo il meticcio, proprio perché formato e arricchito non da una ma da molte culture, è da considerarsi non inferiore bensì superiore.

4 Il Che simbolo di unità La esemplare virtù del Che di far proprie istanze diverse e di volersi sacrificare per la vita di qualsiasi uomo oppresso da un’ingiustizia, ha creato un secondo mito sul grande sentimento di fratellanza, nel senso quasi cristiano del termine, che Ernesto Guevara riuscì a diffondere. Lo spirito di sacrificio, infatti, accomuna e lega intensamente gli uomini tra


-107loro, e questa fratellanza ha abbracciato, congiungendoli, uomini, città, nazioni, diverse e lontane tra loro, tramutandosi in un forte sentimento di unità. L’immagine del Che diventa simbolo della comunanza tra gli oppressi e la sua fratellanza si trasforma in unità ed unione tra i popoli. Così ogni uomo vittima di un ingiustizia e pronto alla rivolta in nome degli ideali di Ernesto Guevara si unisce profondamente ad ogni persona nel mondo nella sua medesima condizione. Questa grande fratellanza, sinonimo poi di unità, è stata oggetto di studio di un grande scrittore: l’uruguayano Eduardo Galeano. In un articolo dal titolo Una vida magica egli ricorda come in Guatemala, un paese conosciuto partecipando per la prima volta ad una azione di guerriglia ( contro il regime di Arbenz), il Che inizia a costruire questo sentimento di fratellanza. E’ il 1954, e Guevara non ha ancora raggiunto una maturazione ed un convincimento politici ben definiti, ma il fatto che in quel paese migliaia di uomini siano vittime del potere autoritario di Arbenz, lo spinge senza esito ad imbracciare il fucile. Così, sulla base di questa fratellanza, ha iniziato ad unire uomini e a costruire la rivoluzione.

El Che era el ejemplo vivo de que la revolución es la forma más pura de fraternidad, pero también la más dura, la más difícil. No un desahogo patológico, en este caso, de un señorito de familia bien en la ruina, sino un acto continuo de amor y generosidad y desprendimiento: muy pocos hombres en la historia de nuestro tiempo han renunciado a tanto y tan


-108reiteradamente, a cambio de una o dos esperanzas y sin pedir nada para sí. Sin pedir, para sí, otra cosa que el primer puesto a la hora del sacrificio y el peligro y el último a la hora de las recompensas y la seguridad. 31

Sulla scia del pensiero trotskista, afferma Galeano, il Che, da vero rivoluzionario, scelse la rivoluzione al posto di qualsiasi altra cosa, stringendo un forte vincolo con altri uomini che cancellava qualsiasi sentimento di estraneità e di solitudine, ed alimentando al contrario una necessità di totalità e purezza.

Esa necesidad de totalidad y pureza se tradujo, entonces, en una insuperable capacidad de sacrificio personal; era intransigente consigo mismo hasta el extremo de no permitirse una sola debilidad, una sola transacción, para poder apoyar sobre bases sólidas su alto nivel de exigencia ante los demás. 32

Questo rigore morale spinse Guevara a vivere in funzione del “o tutto o niente”, perché solo così si potevano ottenere risultati, solo con la

31

[Il Che era l’esempio vivo del fatto che la rivoluzione è la forma più pura di fraternità, ma tuttavia la più dura, la più difficile. Non un cruccio patologico, in questo caso di un signorotto di famiglia agiata in rovina, ma un atto perpetuo di amore, generosità e abnegazione. Pochi uomini nella storia del nostro tempo hanno rinunciato a tanto e in modo così reiterato, in cambio di una o due speranze, e senza chiedere niente per sé. Senza chiedere, per sé, altra cosa che il primo posto all’ora del sacrificio e del pericolo e l’ultimo all’ora delle ricompense e della sicurezza]. Eduardo Galeano, Una vida magíca, in Cuadernos de Marcha, 1987. 32 [Questa necessità di totalità e purezza si traduce, allora, in una insuperabile capacità di sacrificio personale; era intransigente con se stesso fino all’estremo di non permettersi una sola debolezza, un solo compromesso, per poter poggiare su basi solide il suo alto livello di esigenza davanti ad ogni cosa]. Ibidem.


-109ostinazione e la pervicacia la rivoluzione poteva trionfare, dato che, come lui stesso disse, “il compromesso è l’anticamera del tradimento”. E questa convinzione alimentò il suo spirito di sacrificio, rafforzando a sua volta la determinazione di migliaia di rivoluzionari in tutto il mondo. Galeano riporta la testimonianza del sacerdote Hernán Benítez, il confessore di Evita Perón, il quale definì la figura del Che in questi termini:

como los judíos del Viejo Testamento creían siempre vivo al profeta Elías, es posible también que, en los años venideros, los soldados del Tercer Mundo crean sentir la presencia alucinante del Che Guevara en el fragor de las luchas guerrilleras. 33

Conclude Galeano,

la vida del Che Guevara, tan perfectamente confirmada por su muerte es, como toda gran obra, una acusación, formulada esta vez a balazos contra un mundo, el nuestro, que convierte a la mayoría de los hombres en bestias de carga de la minoría de los hombres y condena a la mayoría de los países a la servidumbre y la miseria en beneficio de la minoría de los países; es también, una acusación contra los egoístas, los cobardes y los conformistas que no se lanzan a la aventura de cambiarlo. 34

33

[Come i giudei del Vecchio Testamento credevano sempre vivo il profeta Elia, così è possibile che, negli anni venturi, i soldati del terzo mondo credano di sentire la presenza immaginaria del Che Guevara nel fragore delle lotte guerrigliere]. Ibidem. 34 [ La vita del Che Guevara, tanto perfettamente confermata dalla sua morte, è, come una intera grande opera, una accusa, formulata a turno per lottare contro un mondo, il nostro, che trasforma la maggior parte degli uomini in bestie da carico della minoranza degli uomini e condanna la maggior parte dei paesi alla servitù e alla miseria a beneficio della minoranza dei


-110Avendo sottolineato questa capacità del Che di unire gli uomini trasmettendo agli stessi rivoluzionari lo spirito di lotta e di sacrificio per gli altri, mi sembra opportuno riportare la testimonianza di un guerrigliero, nell’occasione prestato alla poesia, che combatté a fianco di Guevara, acquisendone i profondi valori spirituali. Si tratta di Coco Peredo, uno dei più prestigiosi combattenti boliviani, che cadde come il Che nella boscaglia di Vallegrande, nel 1967. La sua poesia si intitola La Felipe Varela.

Ernesto Guevara viene del monte pa’ la ciudad. El publo lo aclama y tiene un corazón y un fusil. Ya tienen lo guerrilleros un jefe a quien seguir. Se lo verá en la frontera juntando pueblos para vencer. Y hoy vemos al Che Guevara que contra los yanquis va. Lo sigue un pueblo oprimido hasta vencer o morir. Ya pasa por las montañas y en las selvas se la ve porque Ernesto Guevara luchando viene y se va.

paesi; è, inoltre, una accusa contro gli egoisti, i codardi e i conformisti che non si lanciano nell’avventura di cambiarlo]. Ibidem.


-111Ayer fue Simón Bolívar que junto con San Martín liberaron nuestros pueblos mas no pudieron volver. Y hoy vemos… 35

La semplicità delle parole di Peredo è forse emblematica della trasparenza di ideale e della forte consapevolezza di valori acquisiti che animava i guerriglieri del Che, così come rende l’idea di quanto potente fu l’ideologica fratellanza che egli seppe trasmettere ai suoi uomini. Del resto non si spiega come un manipolo di venti uomini riuscì a resistere un anno intero nella foresta boliviana, braccato da centinaia di rangers. Evidentemente doveva esserci una forza morale tra i rivoluzionari per cui, come affermava il Che, un suo uomo valeva dieci soldati nemici. Così questo concetto di fratellanza viene evidenziato da vari autori e l’idea di popoli e paesi lontani tra loro ma uniti idealmente nella lotta dal mito del Che ormai imperante in ogni angolo del mondo, inizia ad essere ricorrente nei versi di molte poesie. A tal proposito credo siano da ricordare i

35

[ Ernesto Guevara scende/ dalla montagna verso la città/ Col cuore e il fucile/ il popolo lo acclama/ Ormai i guerriglieri hanno/ un capo da seguire/ Lo si vedrà alla frontiera/ unire i popoli per vincere/ E oggi vediamo Che Guevara/ che va contro gli yankees/ Lo segue per vincere o morire/ un popolo oppresso/ Ormai ha passato le montagne/ e lo si vede nelle selve/ perché, lottando, Ernesto Guevara/ arriva e va via/ Ieri è stato Simón Bolívar/ che insieme a San Martín/ hanno liberato i nostri popoli/ ma senza più ritorno/ E oggi…]. Coco Peredo, La Felipe Varela, in Meri Lao, op. cit., p. 60.


-112frammenti di due poesie scritte rispettivamente da José Martínez Matos 36 e Auguste Macouba 37 . Nella poesia intitolata Che Martínez Matos scrive.

Te vieron cruzando los ríos del Congo, te mataron en Viet Nam, organizaste una reunión secreta en Venezuela, anduviste por Perú, Brasil, Guatemala y China al mismo tiempo, te volvieron a matar en Santo Domingo. Dondequiera que sonaran tiros, rebeldía estaba tu nombre. 38

Analoga l’idea di fratellanza propagata dal Che nei versi tratti da La parole est à l’espoir di Macouba.

Vous tous opprimés plein vent monde accroupi et humilé frères de la faim offensés sans force je dis qu’on ne verra plus de nègre lacunaire, d’hindou famélique ni de jaune qui soit un péril l’homme ne verra plus napalm

36

José Martínez Matos (1930), poeta cubano. Auguste Macouba (1936), poeta martinicano. 38 [Ti hanno visto attraversare i fiumi del Congo/ ti uccidevano nel Vietnam/ organizzavi una riunione segreta/ in Venezuela, eri/ in Perù, Brasile, Guatemala e in Cina/ allo stesso tempo/ ancora una volta ti uccidevano a Santo Domingo/ Ovunque risuonassero gli spari/ la ribellione, c’era il tuo nome]. J. M. Matos, Che, in Meri Lao, op. cit., p.164. 37


-113pour le Viet-Nam et pour le Chine. Il n’y aura plus de chiens en Alabama et pas plus à Salisbury ou Johannesbourg ni Baie des Cochons ni marines à Saint Domingue et ailleurs. Je dis qu’ll n’y aura plus de poussières qui ne puissent totalement exister. Camadares opprimés a la tyrannie des faucons en puissance nos mains à d’autres mains par delà les océans triomphera un bouquet fraternel. Aujourd’hui, la parole est à l’Espoir. 39

Il significato dei versi di queste due poesie combaciano poi con quella visione internazionalista che Ernesto Guevara aveva della rivoluzione, un internazionalismo che non era solo militare ( e quindi non si trattava solo di rispondere col fuoco al fuoco dell’imperialismo), ma anche e soprattutto morale. Ciò perché la solidarietà tra i popoli e quel senso di unione e partecipazione collettiva tra chi si batte per la libertà, rappresenta spesso un’arma pacifica e vincente. Eloquenti risultano in tal senso le parole del Che nel suo saggio Tattica e strategia della rivoluzione latinoamericana:

39

[Voi tutti oppressi privi del vento/ mondo piegato e umiliato/ fratelli della fame offesi senza forza/ io dico che non vedremo più i neri lacustri/ gli indiani famelici/ i gialli giudicati un pericolo/ l’uomo non vedrà più il napalm/ nel Vietnam o nella Cina/ non ci saranno più cani in Alabama/ e neanche a Salisbury o a Johannesburg/ né Baia dei Porci/ né marines a Santo Domingo o altrove/ Io dico che non ci sarà polvere/ che possa esistere totalmente/ compagni oppressi/ sulla tirannide dei falchi in potenza/ le nostre mani insieme ad altre mani al di là degli oceani/ trionferanno come ramo fraterno/ oggi, la Speranza ha la parola]. Auguste Macouba, La parole est à l’espoir, in Meri Lao, op. cit., pp. 266-268.


-114In questa lotta di portata mondiale, la posizione geografica ha una grande importanza. A volte è determinante. Cuba, per esempio, è una collina che funge da avamposto, che guarda al campo vastissimo del mondo economicamente deforme dell’America Latina, che lancia il proprio messaggio e con l’esempio rappresenta un faro per tutti i popoli d’America. Diverso sarebbe il suo valore se fosse collocata in un’altra situazione geografica o sociale. Diverso era il suo valore quando rappresentava solo un elemento tattico del mondo imperialistico prima della rivoluzione. Non è aumentato ora solo per il fatto di essere una porta aperta verso l’America. Alla forza della propria posizione strategica , militare e politica, essa unisce la potenza della propria influenza morale; i proiettili morali sono un’arma di efficacia così distruttiva, che tale elemento diventa più importante nella determinazione del valore di Cuba. 40

Questa originale dimensione sovranazionale del suo pensiero e della sua formazione culturale dimostra la capacità di Guevara di andare oltre le semplificazioni

dogmatiche,

gli

schematismi

e

le

degenerazioni

militaristiche che in molte parti del mondo sono sfociate poi in regimi autoritari e repressivi. Questa indubbiamente è una delle sue eredità ideologiche più apprezzate e di cui se ne lamenta, dalla sua morte ad oggi, la pesante mancanza in molti uomini di stato. La nostalgia e il vuoto che la scomparsa del Che ha lasciato nel mondo sono il tema dominante di un saggio scritto nel 1997 da Jorge Enrique Adoum 41 intitolato Fugacità della sua morte. Adoum si interroga su come

40

E. Guevara, Tattica e strategia della rivoluzione … , in R. Massari, op. cit., p. 88. Jorge Enrique Adoum (1926), scrittore ecuadoregno; costretto all’esilio dal golpe del 1963, ha viaggiato in Egitto, India e Giappone. Nel 1987 è rientrato nel suo paese. 41


-115abbiamo potuto continuare a vivere trent’anni in un mondo in cui lui non c’era e su come una generazione ha potuto nascere, crescere e procreare in un mondo in cui da trent’anni manca il Che. “Come immaginare il mondo per trent’anni senza di lui? (se gli europei dicevano perfino che doveva essere triste non essere latinoamericano)”

42

. Secondo Adoum, infatti,

Guevara ha rappresentato il primo esemplare di quell’uomo futuro che l’America avrebbe un giorno partorito, generando ammirazione e affetto nell’umanità ogni qual volta si parla di una qualunque delle sue imprese o delle sue difficili virtù di cui, in un certo modo, ognuno in cuor suo ha avuto la pretesa che ce ne toccasse una parte.

lui era quell’essere di carne che era già leggenda o al contrario quell’eroe da epopea con il quale fino a poco tempo prima prendevamo il caffè lui ha fatto sentire nobile la nostra america l’ha fatta sentire degna quando a cuba era più america che mai e andavamo in giro orgogliosi di esser nati nel suo stesso continente nello stesso tempo 43

Tuttavia egli mette in evidenza la paura e lo sbalordimento che inizialmente le sue imprese crearono, tanto da sconcertare e intimidire anche chi lo doveva sostenere. Non a caso la sua sconfitta in Bolivia fu il risultato di un

42 43

J. E. Adoum, Fugacità della sua morte, in Latinoamerica, n. 65, settembre 1997, p.73. Ibidem.


-116isolamento totale e del mancato appoggio militare che in definitiva nessuno, in quel momento, si sentì di offrirgli. Ed allora viene naturale riflettere se la sua condizione di solitudine nell’atto finale della vita sia da considerarsi un emblema fallimentare della sua rivoluzione. La risposta è un’altra.

qualcuno disse quel giorno che il gran barbudo dell’isola del caribe era rimasto solo no cazzo ho detto lui è lì con dieci milioni di compagni che lo amano e con i rivoluzionari del mondo che l’ammirano quelli che son rimasti soli e senza scuse siamo noi noi che siamo stati sempre soli perché abbiamo voluto star soli viziosamente soli occupati dalla nostra quotidianità dal nostro blablabla sulla rivoluzione prima di andare a bere o a dormire e noi che ormai neanche parliamo di rivoluzione e non si trattava più di morire al suo posto ma di unire le nostre solitudini e le nostre piccolezze per rimpiazzarlo fra tutti noi non più di stare al posto suo ma di andare al suo posto perlomeno quelli di noi che non si erano imputriditi… e molto tempo dopo perfino nei villaggi remoti dell’asia e dell’africa abbiamo visto contadini discutere di problemi agrari intorno a un tavolo sulla terra sotto la bandiera del loro paese e uno stendardo con l’immagine dell’uomo dalla stella in fronte e sui muri delle nostre città dipinta, l’immagine successiva dell’uomo dalla stella in fronte e le adolescenti che non l’hanno conosciuto portare nel seno sui seni l’immagine dell’uomo dalla stella in fronte… 44

44

Ivi, p. 75.


-117In questo modo, afferma Adoum, si è potuta ribaltare la convinzione secondo cui, uccidendolo e credendolo morto, il mondo imperialista e neoliberista ha potuto annunciare “la fine della storia”. La storia infatti, conclude, non potrà terminare prima del ritorno dell’uomo nuovo che lui ha annunciato portandolo con sé come la più bella utopia d’America.

e per questo lo aspetto per poter continuare a essere vivo e poter continuare ad aspettare ciò che arriva allora che hasta la victoria siempre? 45

A conclusione di questo paragrafo mi sembra opportuno riportare alcune strofe, le più significative, di una poesia composta da Thiago de Melho 46, dal titolo Sangue e orvalho 47, in quanto riassumono in modo esemplare un po’ tutte le considerazioni finora esposte.

Porque tu, comandante de esperança, irmäo és dos homens dêste mundo, irmäo és dos que querem compartir, irmäo dos que cairam contigo, antes e depois de ti, na construçäo da vida verdadeira.

45

Ibidem. Thiago de Melho (1926), poeta brasiliano con una lunga permanenza in Portogallo. 47 Sangue e rugiada. 46


-118Irmäo de um menino que acaba de nascer no châo sofrido de minha infância. Sobretudo irmäo do homem que está nascendo, agora, dentro do homem. E’ só por isso, comandante Che Guevara que hoje te quero escrever, enquanto navego pelo río Amazonas, debaixo da claridâo do meio-día. Estou, neste instante do mundo e dos homems, navegando diante do Leprosário San Pablo, onde começaste a tua larga e luminosa caminhada. E entâo te ecrevo. Só para te contar que cresce, que cada día mais cresce a mäo do homem, a mäo do homem bom oprimido, êsse teu irmäo, por quem viveste e em cujo peito permaneces vivo, essa mäo miserável, mas tâo linda, que recolhe do chäo americano o canto que plantaste, amor e dádiva, o caminho que abriste, estrêla e chäo, que para todos nós è como um sol -um sol úmido de sangue e orvalho. 48

48

[ Perché tu, comandante della speranza/ fratello degli uomini di questo mondo/ fratello di coloro che vogliono condividere/ fratello di coloro che sono caduti insieme a te/ o prima o dopo di te/ nella costruzione della vita vera/ Fratello di un bambino appena nato/ nel suolo sofferto della mia infanzia/ Soprattutto fratello dell’uomo/ che sta per nascere, ora/ dentro all’uomo/ Per questo soltanto, comandante Che Guevara/ voglio scriverti oggi/ mentre navigo sul fiume delle Amazzoni/ sotto i bagliori del mezzogiorno/ in questo istante del mondo e degli uomini/ sto navigando davanti al Lebbrosario San Paolo/ dove hai cominciato il tuo lungo/ e luminoso percorso/ E allora ti scrivo/ Solo per raccontarti che cresce/ che ogni giorno cresce/ la mano dell’uomo/ la mano dell’uomo buono e oppresso/ il fratello per il quale hai vissuto/ e nel cui petto rimani vivo/ quella mano misera, ma così bella/ che raccoglie dal suolo americano/ il canto che hai seminato, amore e dono/ la strada che hai aperto, stella e polvere/ che per noi tutti è come un sole/ -un sole umido di sangue e di rugiada]. Thiago de Melho, Sangue e orvalho, in Meri Lao, op. cit., pp. 76-78-80.


-1195 La “negritudine” e il rapporto con l’Africa Nel discorso del 24 febbraio 1964, pronunciato ad Algeri al II Seminario economico afro-asiatico, Ernesto Guevara disse:

Il socialismo non può esistere se, nelle coscienze, non si opera una trasformazione che determini un nuovo atteggiamento di fratellanza nei confronti dell’umanità: atteggiamento sia di carattere individuale, nella società in cui si costruisce o si è costruito il socialismo, sia di carattere mondiale, nei confronti di tutti i popoli che subiscono l’oppressione imperialista. Pensiamo che la responsabilità di aiutare i paesi dipendenti debba essere affrontata con questo spirito. 49

Coerentemente con quanto affermava, e quindi non limitandosi a pronunciare proteste ufficiali o a proclamare atti di solidarietà, egli è intervenuto in Africa mettendo le sue esperienze di guerrigliero al servizio di una causa nella quale vedeva ancora annodati, in modo inscindibile, interessi nazionali e multinazionali. Il momento topico di questo intervento è rappresentato senza dubbio dalla sua attiva partecipazione, sempre con un nutrito gruppo di rivoluzionari cubani, al Movimento Nazionale di Liberazione in Congo che si batteva per riportare libertà e democrazia in quel paese dopo l’assassinio del presidente Lumumba. Ma cosa spinse il

49

A. Moscato, op. cit., p. 81.


-120Che ad intervenire in Congo e quindi in una realtà per certi versi così lontana da quella latinoamericana? Noi sappiamo, e forse lui lo presagiva, che l’episodio africano avrebbe costituito il diretto antefatto di quel dramma simbolico in cui è culminata e si è conclusa la sua parabola politica. Come afferma la studiosa Paola Belpassi, in un articolo dal titolo Il Che e l’Africa, tale parabola si è sviluppata all’insegna di una grande coerenza.

Essa esordisce con la presa di coscienza del carattere multinazionale delle contraddizioni politico-sociali del suo tempo e culmina in azioni che rimangono fedeli ai lineamenti fondamentali di questa concezione e alle scelte morali che essa via via gli ha dettato: fedele all’idea che la liberazione dei popoli dominati sarà un evento dai contorni internazionali e mondiali o non sarà affatto. 50

In base a tale analisi occorreva alimentare una guerra di movimento e non una guerra di posizione tra il blocco dei paesi dominati e la vasta geografia del sottosviluppo. La scoperta di conflitti sociali come conflitti multinazionali è dunque il terreno entro cui fatalmente doveva avvenire l’incontro del Che con l’Africa. E’ chiaro però che alle spalle di questo pensiero ci sono un percorso ed una formazione culturale ben delineati:

50

Paola Belpassi, Il Che e l’Africa, in Latinoamerica, nn. 33-34, gen.-feb. 1989, p.118.


-121secondo la Belpassi sono i viaggi della gioventù che faranno scoprire a Guevara, uomo dotato di grande sensibilità, di grande vivacità intellettuale e di una cultura non convenzionale, la mappa delle lacerazioni sociali e dei conflitti che accomunano i popoli dell’America Latina. E’ così inevitabile che gli schiavi neri e i meticci del continente latinoamericano appaiano subito al Che come riflesso di una condizione di sfruttamento e sottomissione presente in tutto il mondo. E la sua grande sensibilità riuscì ad accogliere nel proprio animo quella cultura nera e africana che già a Cuba lo circondava, facendo esplodere un sentimento di partecipazione e solidarietà internazionale che sfocerà appunto nella spedizione in Congo. Roberto Massari ricorda come negli ultimi anni di vita di Guevara si ritrova un’imprevedibile ed entusiastica riscoperta del negrismo, “non tanto afrocubano quanto africano autentico” 51 . Proprio riguardo alla negritudine e all’eredità della tradizione afrocubana, al ritorno da un suo viaggio in Africa nel 1965, Ernesto Guevara disse:

La cultura cubana, il modo di sentire cubano, riuniscono in modo veramente vistoso le antiche culture negre…Oggi Cuba ha un venti-trenta per cento di sangue negro, tra negri puri e le varie gradazioni. Per questo si dice che “chi non ha qualcosa di congo ha qualcosa di carabalí…

51

R. Massari, op. cit., p.53.


-122Anche la musica naturalmente. Il fatto curioso è che la musica africana è arrivata a Cuba molti anni fa e, in parte, si è trasformata nella maniera di sentire della nazione cubana. Poi, negli ultimi anni, è tornata laggiù, come espressione nuova, e ha influenzato profondamente tutti i paesi dell’Africa nera… Questo dimostra come l’integrazione culturale, alle sue origini naturalmente, tra Africa e Cuba sia notevole, e l’influenza africana nella nostra cultura sia veramente profonda. 52

Da queste parole emerge

chiaro il forte contatto che legava Guevara

all’Africa e come già prima del suo intervento in Congo egli avesse maturato l’idea di un ruolo cruciale di quel paese nella lotta antimperialista, non solo africana ma mondiale, mentre cercava di comporre in una sintesi, in una visione unitaria e di insieme, gli elementi di cui disponeva per comprendere la situazione del continente africano. Paola Belpassi riporta questa testimonianza del Che.

Noi rivoluzionari americani abbiamo constatato in tutta umiltà che conosciamo molto poco di questo continente. Di fatto, non conosciamo le forze attuali dell’Africa (…) L’imperialismo ha diviso gravemente l’Africa, più di quanto si possa immaginare. Per noi è un insegnamento, ed è per questo che dobbiamo visitare l’Africa con grande modestia. 53

Secondo la studiosa, quindi, per Guevara l’Africa si trovava ad un crocevia:

52 53

Ivi, p. 82. Paola Belpassi, op. cit., p. 119.


-123imboccare quella via di sviluppo che avevano già perduto le borghesie nazionali latinoamericane in qualsiasi progetto nazionale, verso una latinoamericanizzazione dell’Africa, o, viceversa, “conquistarsi sempre più ampi margini di indipendenza autentica, o per usare una terminologia non guevariana, di una indipendenza nazionale che sia una rivoluzione sociale”54. Chiaramente questo intenso legame del Che con l’Africa è stato avvertito, e poeticamente approfondito, da vari poeti

che non hanno

mancato, con i loro versi, di onorare la comunanza ideologica e le esperienze personali che lo avvicinarono ai popoli africani. Ma è interessante rilevare come nelle parole di questi poeti, soprattutto africani, oltre all’orgoglio per l’attenzione e l’ammirazione che Guevara ebbe per l’Africa, traspare ancor di più il fascino di un uomo che seppe soffrire e lottare per tutti i popoli oppressi del mondo. Così anche nelle loro poesie si palesa quel grande insegnamento del Che di saper capire e interpretare realtà ed esigenze diverse dalle nostre, cosa che rappresenta il primo passo per capire a fondo se stessi. Scrive Masa Mbatha Opasha

55

in una poesia dal titolo To Che Guevara

with love:

54 55

Ibidem. Masa Mbatha Opasha (1961), poeta sudafricano, pacifista militante.


-124Dear brother, warrior and possible friend, A distante echo brings me these sad notes; a low slow cry, a deaf pain and five billion scarlet illusios. It was for you, brother Che, that many of us cried at great length for your early death, that you died that violent, merciless death. Life was truly unjust to you and perhaps you to life! … Mankind is still bewildered by your courage, still stunned by your sacrifice. You have been crowned a hero, a legend and a myth. You have been elevated to the holy seat of saints, prophets and gods. Was this really your dream? There is no pace yet here-only war! Guns thunder across the scared skies of Europe, Africa, Asia and Americas. Helpless, hungry children run amok In search of land, life and love. The grown-ups mourn and curse in their graves. Senseless violence reigns like a king. “Bloodbaths of peace” flood the earth as darkness fills the emptiness of our dreams. 56

56

[Caro fratello, guerriero e possibile amico/ Un’eco lontana mi porta queste tristi note/ un grave lento lamento, un dolore sordo/ e cinque miliardi di rosse illusioni/ E’ stato per te, fratello Che, che molti di noi hanno pianto a lungo/ per la tua morte prematura/ E’ stato per molti di noi, Guevara/ che sei morto di quella morte violenta e spietata/ La vita è stata davvero ingiusta con te/ come forse lo sei stato tu con la vita!/ …/ L’umanità è ancora sconcertata per il tuo coraggio/ ancora sbalordita per il tuo sacrificio/ Sei stato coronato eroe, una leggenda e un mito/ Ti hanno innalzato al sacro luogo dei santi, dei profeti e degli dei/ Era davvero questo il tuo sogno?/ Non c’è ancora pace qui, solo guerra!/ Tuonano i fucili attraverso i cieli impauriti/ di Europa, Africa, Asia e le Americhe/ Bambini derelitti e affamati sfuggono alla follia omicida/ cercando terra, vita e amore/ Gli adulti piangono e bestemmiano dentro la loro tomba/ un’insensata violenza governa da despota/ “Bagni di sangue per la pace” inondano la terra/ come l’oscurità colma il


-125L’asprezza delle parole e la durezza dei contenuti sono inevitabilmente il frutto di una situazione che, per quanto concerne in special modo l’Africa, allo stato attuale presenta ancora motivi di angoscia e scoramento, data la triste realtà di molti paesi africani. Se infatti attualmente in America Latina il periodo delle grandi dittature sembra essersi arrestato, fermi restando i grandi problemi politici ed economici che attanagliano molti paesi, ed almeno istituzionalmente, pur tra grandissime difficoltà, sembra essersi finalmente avviato un percorso democratico, la realtà odierna dell’Africa dimostra ancora il contrario. Dittature, regimi, repressioni e retaggi colonialisti sono ancora presenti e vivi. E ciò aumenta la rabbia di molti scrittori, che solo con le loro opere e le loro inesorabili parole possono provare a rompere il muro di dolore che sembra isolarli dal mondo. In questo modo gli ideali del Che ne esaltano ancor di più il mito leggendario, e continuano a simboleggiare un incitamento alla lotta e alla speranza. In questo contesto si inserisce la poesia di Joe A. A.

57

In tribute to Ernesto

Che Guevara.

Che, now our fingers are propellors

vuoto dei nostri sogni]. M. M. Opasha, To Che Guevara with love, in Meri Lao, op. cit., pp. 384-386. 57 Joe A. A. [Anti Apartheid], poeta popolare sudafricano.


-126cities burn where our minds were numb our arms are the barrels of mortars our heads are fused like a bomb. You have turned our tribus to brigades we flow remorseless where rivers ran our loins are the seed of grenades our ribs are the armoury of man. After you, we will never yeild we have one thing to give you, a life and the bullet shall break on our shield and the vulture shall fall on our knife. The baas fears when it comes we’ll wash our spears in blood of bones But Che knows it comes soon… the white night grows… See the black moon! 58

Anche in Joe A. A. è prepotente il tema dei popoli sottomessi alla volontà dei padroni, che con la repressione paralizzano qualsiasi tentativo di far riemergere una cultura ed una identità offuscate dall’imperialismo.

58

[ Che, ora le nostre dita sono propellenti/ bruciano le città dove le nostre menti erano paralizzate/ le nostre braccia sono i fusti dei mortai/ le nostre teste sono fuse come una bomba/ Hai trasformato le nostre tribù in brigate/ scorriamo senza rimorsi là dove passavano i fiumi/ i nostri fianchi sono i semi delle granate/ le nostre costole sono l’armatura dell’uomo/ Dopo di te non ci arrenderemo mai/ abbiamo una cosa da darti, una vita/ e la pallottola si romperà sul nostro suolo/ e l’avvoltoio cadrà sul nostro coltello/ Il padrone ha paura/ quando viene/ laveremo le nostre lance/ in sangue di ossa/ Ma il Che sa/ arriva presto…/ la notte bianca cresce…/ Guarda la luna nera!]. Joe A. A., In tribute to Ernesto Che Guevara, in Meri Lao, op. cit., pp. 382-384.


-127Per questo Ernesto Guevara appasiona i cuori ed infiamma le menti, perché ridesta negli uomini, in nome dell’identità negata, di qualsiasi identità, il diritto ad affermare il proprio io, cioè la propria libertà. Così l’ultima poesia meritevole di attenzione, tra quelle dedicate al Che da poeti africani, è proprio quella di un poeta egiziano, Ahmed Fouad Negm, che, a causa dei suoi testi, in cui rivendica i diritti degli affamati e degli oppressi, ha conosciuto il carcere. La poesia si intitola Guevara è morto.

Guevara è morto. L’ultima notizia alla radio, nelle chiese e nelle moschee, nei vicoli e nelle strade, nei caffè e nei bar: Guevara è morto. morto. Si sentono le chiacchiere e i commenti. Guevara è morto. E’ morto il combattente esemplare, che terribile perdita per gli uomini! … Il suo lamento sale nello spazio, grida E non c’è nessuno che lo senta. Che pena l’ora del destino! Forse ha gridato per il dolore del morso del fucile tra le viscere; forse ha riso o ha sorriso o ha tremato o si è sentito soddisfatto; forse ha emesso il suo ultimo respiro, una parola di addio.


-128Per gli affamati, la sua testimonianza rafforza coloro che promuovono la causa e la lotta. Molte immagini piene di fantasia, mille milioni di possibilità. Ma è certo, è certo, e non ci può essere dubbio: Guevara è morto lottando, Guevara è morto. Operai e diseredati, incatenati correte alla lotta! Liberazione, liberazione, non c’è liberazione per voi, se non con le bombe e le pallottole. Questo è il discorso dell’era felice, l’era dei negri e degli americani. La parola spetta al fuoco e all’acciaio quando la giustizia è muta o vigliacca. Il grido di Guevara è: avanti, schiavi! In qualsiasi condizione o luogo non c’è alternativa, non c’è scampo: o preparate l’esercito della liberazione o mentite al mondo della liberazione. Liberazione! 59

6 Cortázar e il Che Questa lunga trattazione del mito del Che nella letteratura non può che concludersi con una riflessione sulla figura di uno dei più rappresentativi scrittori latinoamericani, l’argentino Julio Cortázar e sul suo rapporto con Ernesto Guevara. Cortázar è un esponente del romanzo moderno e nelle

59

Ahmed Fouad Negm, Guevara è morto, in Meri Lao, op. cit., pp. 202-204.


-129sue opere il problema dell’alienazione e della solitudine assume una notevole importanza, cosicchè l’invenzione e la fantasia costituiscono due fondamentali elementi per superare questa condizioni e restaurare la libertà creativa. E’ evidente, quindi, che per lo stile e i temi della sua poetica la figura del Che non poteva restargli indifferente. La studiosa Alessandra Riccio, in suo articolo intitolato proprio Cortázar e il Che, sostiene come pur fra i mille mestieri in cui Guevara si distinse (medico, avventuriero, fotografo, infermiere), egli privilegiava quello di scrittore e di poeta. Ce ne rende persuasi la sua precoce e instancabile fede nella scrittura: articoli di medicina, negli anni universitari e post-laurea, relazioni e commenti durante i suoi lunghi viaggi per le terre dell’America Latina, saggi economici e politici. Il Che credeva, come è noto, nella pienezza dell’individuo e, uomo impegnato strenuamente nella prassi e nell’esempio concreto, non disdegnava affatto la componente intellettuale.

Accanito lettore, sapeva apprezzare il piacere della conoscenza ma anche abbandonarsi all’impatto immediato e commovente della poesia, per cui ben meritò il titolo di poeta della rivoluzione che qualcuno ha voluto attribuirgli. Scrittore stringato e preciso, oratore persuasivo, il Che lasciava spazio anche alla tenerezza, anche alla metafora, anche alla frase elegante, purchè la verità fosse rispettata. Non solo testimone dunque, ma sensibile creatore di immagini. 60

60

Alessandra Riccio, Cortázar e il Che, in Latinoamerica, nn. 27-28, lug.-dic. 1987, p. 65.


-130Queste ultime parole mettono a fuoco il presupposto del forte legame che inizia ad avvicinare Cortázar alla figura eroica del Che, che però non rappresenta ancora un mito per lui, dal momento che inizia a conoscerlo e a dedicargli opere quando il rivoluzionario è ancora in vita. Anzi, sono proprio le parole di Guevara, nel libro Pasajes de la guerra revolucionaria, che destano in Cortázar interesse e ammirazione. In un breve prologo, infatti, il Che spiega l’esigenza di dare avvio ad una collana di memorie della guerra, perché, afferma, “passano gli anni e il ricordo della lotta insurrezionale si va dissolvenso nel passato senza che vengano fissati con chiarezza fatti che ormai appartengono alla storia d’America” 61. Per questo incita i compagni superstiti di quell’avventura a fare questo sforzo di memoria. Quando Cortázar, afferma Alessandra Riccio, nel 1964 pubblica sulla Revista de la Universidad de México il racconto Reunión, doveva essere ancora impressionato dalla lettura del libro di Guevara. Cortázar era già uno scrittore assai noto nel continente, il suo romanzo Rayuela aveva suscitato l’interesse del mondo letterario ed era stato segnalato come uno degli atti di nascita del nuovo romanzo latinoamericano. Reunión racconta l’episodio dello sbarco, con il Granma, del Che e dei suoi guerriglieri

61

Ivi, p. 66.


-131nella Playa de las Coloradas, il 2 dicembre 1956; quell’evento rappresentò il primo scontro a fuoco del rivoluzionario sull’isola di Cuba, destinato a concludersi, anni dopo, con la trionfale conquista di L’Avana. Nel racconto, di notevole importanza perché costituisce una delle pochissime opere conosciute scritte sul Che quando era ancora in vita, Cortázar maschera con nomi inventati personaggi comunque fin troppo celebri (Guevara, Fidel e Raúl Castro, Camilo Cienfuegos ecc.).

Scrittore di racconti, secondo la migliore tradizione argentina, ne ha elaborato una teoria secondo la quale non è lo scrittore a scegliere il tema della sua narrazione, ma esattamente il contrario. Afferrato dunque per i capelli dal prepotente fascino della testimonianza di Guevara, Cortázar affronta l’arduo compito di fare letteratura da un oggetto che è già di per sé letterario: la testimonianza scritta del Che; una vistosa citazione che non impedisce allo scrittore argentino di ricostruire – con quell’amore per il vero che il Che pretendeva – l’episodio del tragico sbarco, della prima sconfitta e del battesimo di fuoco del guerrigliero. 62

Reunión quindi non è solo una riunione di quei personaggi concretamente asimbolici, ma la congiunzione dei desideri di lotta per la liberazione dell’uomo. Il racconto non è, ovviamente, il racconto del Che. Eppure lo scrittore argentino non si ispira alla lotta della rivoluzione cubana, ma

62

Ibidem.


-132al racconto di uno di quegli episodi che ne faceva un protagonista. Il tema scelto da Cortázar è un tema già elaborato letterariamente da Guevara. Su quella base, afferma la Riccio, lavora lo scrittore, quelle allusioni riprende, mentre altre abbandona, (come quella così significativa del Che che, costretto a scegliere fra la sua borsa da medico e una cassa di munizioni, sceglie le armi), ed altre ancora aggiunge, come il reincontro con Luis/Fidel. Proprio questa riunione, che dà il titolo al racconto, secondo la Riccio costituisce il centro attorno al quale si articola la finzione di Cortázar.

Fame, freddo, sangue, morte, paura, coraggio acquistano senso solo nella prospettiva di vedersi di nuovo riuniti attorno alla figura di Luis che simboleggia il futuro, il mondo nuovo. Un abuso di Cortázar? Una sua forzatura? Non credo. Poche pagine più avanti, nell’episodio intitolato Alla deriva, il Che racconta dell’avvenuta riunione e della rabbia di Fidel per alcune ingenuità commesse dai combattenti. 63

Su questo testo Cortázar ha lasciato abbondanti testimonianze. In particolare è da ricordare una fitta corrispondenza con Fernández Retamar. In una lettera a lui indirizzata il 29 ottobre 1965, a proposito del ruolo e dell’importanza della poesia, scrive:

63

Ivi, p. 67.


.-133-

Quiero decirte esto: no sé escribir cuando algo me duele tanto, no soy, ni seré nunca el escritor profesional listo a producir lo que se espera de él, lo que le piden o le que él mismo se pide desesperadamente. La verdad es que la escritura, hoy y frente a esto, me parece la más banal de las artes, una especie de refugio, de disimulo casi, la sostitución de lo insustituible. El Che ha muerto y a mí no me queda más que silencio. 64

Tuttavia, in un passaggio di un articolo intitolato Mensaje al hermano (sempre dedicato al Che), Cortázar si esprime in questo modo:

Ahora serán las palabras, las más inútiles o las más elocuentes, las que brotan de las lágrimas o de la cólera; ahora leeremos bellas imágines sobre el fénix que renace de las cenizas, en poemas y discursos se irá fijando para siempre la imagen del Che…Pido lo imposible, lo más inmerecido, lo que me atreví a hacer una vez, cuando él vivía: pido que sea su voz la que se asome aquí, que sea su mano la que escriba estas líneas…Sólo así tendrá sentido seguir viviendo. 65

A proposito del racconto Reunión, in un’altra lettera a Fernández

64

[Desidero dirti questo: non riesco a scrivere quando qualcosa mi addolora tanto, non sono, non sarò mai uno scrittore professionale rapido a produrre ciò che si attende da lui, ciò che gli chiedono o ciò che lui stesso vuole disperatamente. La verità è che la scrittura, oggi e di fronte a questo, mi sembra la più banale delle arti, una specie di rifugio, quasi di dissimulazione, la sostituzione dell’insostituibile. Il Che è morto e a me non resta altro che il silenzio]. J. Cortázar, in G. M. Loedel, El Che en la poesía …, op. cit., p. 73. 65 [Allora saranno le parole, le più inutili o le più eloquenti, quelle che scaturiscono dalle lacrime o dalla collera; allora leggeremo belle immagini sopra alla fenice che rinasce dalle ceneri, nei poemi e nei discorsi si andrà fissando per sempre l’immagine del Che…Chiedo l’impossibile, la cosa più immeritata, quella che mi spinse a produrre una voce, quando lui viveva: chiedo che sia la sua voce quella che si manifesti qui, che sia la sua mano quella che scriva queste righe... Solo così avrà un senso continuare a vivere]. Ibidem.


-134Retamar datata 24 dicembre 1965, Cortázar afferma: “en cuanto al Che, comprendo de sobra que su destino se sigue cumpliendo como debe ser, como él quiere que sea” 66. La rivoluzione cubana gli mostrò in maniera sia crudele che dolorosa, il gran vuoto politico che c’era in lui, e da quel giorno decise di documentarsi, leggere e capire. Così i temi in cui erano presenti

implicazioni

politiche

o

ideologiche

andarono

via

via

introducendosi nella sua letteratura. Reunión è un racconto che non avrebbe mai potuto scrivere nei primi anni della sua produzione letteraria, ma in cambio “en ese momento, el tema de ese relato me resulta absolutamente apasionante, porque yo traté de meter ahí, en esas 20 páginas, toda la esencia, todo el motor, todo el impulso revolucionario que llevó a los barbudos al triunfo”

67

. Lui stesso definisce Reunión come il primo

racconto che segna il contatto della sua poetica con il campo ideologico e, pertanto, una sua forte partecipazione. Infatti, afferma sempre nella stessa lettera Cortázar, “la toma de conciencia que me da la revolución cubana no se limitó solamente a las ideas. La revolución debe triunfar y se debe hacer la revolución porque sus protagonistas son las hombres, lo que

66

[ In quanto al Che, comprendo del resto che il suo destino si segue portandolo a termine come deve essere, come lui vuole che sia]. Ivi, p. 75. 67 [In questo momento, il tema di questo racconto mi risulta completamente appassionante, perché sono riuscito a mettere qui, in queste 20 pagine, tutta l’essenza, tutto il motore, tutto l’impulso rivoluzionario che portò i barbudos al trionfo]. Ibidem.


-135cuenta son las hombres” 68. Per ultimo va citato un post-scriptum di un’altra lettera inviata da Cortázar sempre a Fernández Retamar il 3 luglio 1965, perché ribadisce in maniera esaustiva e lineare la concezione che egli aveva riguardo al significato della poesia e al ruolo, e ai compiti, dell’intellettuale.

Me divirtió mucho la historia de tu conversación con el Che en el avión. (Me divierten mucho menos los persistentes rumores que circulan en Europa a propósito del Che; espero que sean eso, rumores). Es natural que al Che mi cuento le resulte poco interesante (no lo dices tú, pero yo había recibido otras noticias que me lo hacen suponer). Una sola cosa cuenta, y es que en ese relato no hay nada “personal”. ¿Qué puedo saber yo del Che, y de lo que sentía o pensaba mientras se abría paso hacia la Sierra Maestra? La verdad es que en ese cuento él es un poco (mutatis mutandis, naturalmente) lo que fue Charlie Parker en “El perseguidor”. Catalizadores, símbolos de grandes fuerzas, de meravillosos momentos del hombre. El poeta, el cuentista, los elige sin pedirles permiso; ellos son ya de todos, porque por un momento han superado la mera condición del individuo. 69

68

[La presa di coscienza che mi ha dato la rivoluzione cubana non si è limitata solo alle idee. La rivoluzione deve trionfare e si deve aiutare la rivoluzione perché i suoi protagonisti sono gli uomini, quello che conta sono gli uomini]. Ivi, p. 76. 69 [Mi ha divertito molto la storia della tua conversazione con il Che in aereo. (Mi divertono molto meno le persistenti chiacchiere che circolano in Europa a proposito del Che; spero che non siano altro che questo: chiacchiere). E’ naturale che al Che il mio racconto sia parso poco interessante (tu non me lo dici, ma io ho avuto altre notizie che me lo lasciano supporre). Una sola cosa conta, e cioè che in questo racconto non c’è niente di “personale”. Che ne posso sapere io del Che e di quello che sentiva o pensava mentre si faceva strada sulla Sierra Maestra? La verità è che in questo racconto lui rappresenta un poco (mutatis mutandis, naturalmente) quello che rappresenta Charlie Parker in “Il persecutore”. Catalizzatori, simboli di grandi forze, di meravigliosi momenti dell’uomo. Il poeta, il narratore li sceglie senza chiedere loro permesso; loro ormai sono di tutti, perché per un momento hanno superato le mera condizione di individuo]. Ibidem.


-136Infine mi sembra opportuno concludere il paragrafo, e simbolicamente anche questo capitolo dedicato al mito del Che nella letteratura, con due poesie di Julio Cortázar, scritte in onore di Ernesto Guevara, sicuramente tra le più profonde e significative. Si tratta di Sílaba viva e Yo tuve un hermano.

Sílaba viva Qué vachaché, está ahí aunque no lo quieran, está en la noche, está en la leche, en cada coche y cada bache y cada boche está, le largarán los perros y lo mismo estará aunque lo acechen, lo buscarán a troche y moche y el estará con el que luche y el que espiche y en todo el que se agrande y se repeche él estará, me cachendió. 70

Yo tuve un hermano Yo tuve un hermano. No nos vimos nunca pero no importaba. Yo tuve un hermano que iba por los montes mientras yo dormía.

70

[ Cosa c’è che c’è, e lì anche non ce lo vogliono/ è nel lucernario, è nella cena/ nell’automotrice, nell’acceleratore, nei crocevia/ gli lanceranno i cani ma lui c’è lo stesso/ anche se non gli danno pace, se lo cercano a casaccio/ lui è con l’audace e con chi ci rimette la pelle, c’è/ è con chi risale la china invece di cedere/ lui è lì, c’è, poss’accecarmi se non c’è]. J. Cortázar, Sílaba viva, in Meri Lao, op. cit., p. 20.


-137Lo quise a mi modo, le tomé su voz libre como agua, caminé de a ratos cerca de su sombra. No nos vimos nunca pero no importaba; mi hermano despierto mientras yo dormía. Mi hermano mostrándome detrás de la noche su estrella elegida. 71

71

[ Ho avuto un fratello/ Non ci siamo mai visti/ ma non importava/ Ho avuto un fratello/ che andava per i boschi/mentre io dormivo/ Gli ho voluto bene a modo mio/ gli ho preso la voce/ libera come l’acqua/ a volte ho camminato/ accanto alla sua ombra/ Non ci siamo mai visti/ ma non importava/ mio fratello vegliava/ mentre io dormivo/ Mio fratello mostrandomi/ al di là della notte/ la stella che aveva scelto]. J. Cortázar, Yo tuve un hermano, in Meri Lao, op. cit., pp. 20-21.


-138-

CAP. IV

IL MITO DEL CHE NELLA MUSICA 1 La musica latinoamericana: strumento di identità Il mito di Ernesto Guevara ha col tempo investito un po’ tutti i campi culturali e le diverse forme di espressione artistica. Troppo forte è infatti il suo fascino nei confronti di ogni artista sempre alla ricerca di nuovi mezzi e temi per esprimere la propria arte e comunicare messaggi, pensieri e sensazioni. Così, se la letteratura ha celebrato il mito-Guevara nei modi e nelle forme più svariate, non da meno è stata in questi anni l’attenzione della musica, quindi di cantanti, compositori e cantautori, nei confronti del Che; e, come accaduto per la letteratura, anche per la musica è stata la produzione latinoamericana quella che ha dato vita alle opere più significative e ai risultati più interessanti. Due, sotto tale aspetto, sono fondamentalmente le cause che originano questa maggiore e migliore produzione: il fatto che Ernesto Guevara stesso era, come lui amava definirsi, “profondamente latinoamericano, di ogni paese dell’America Latina”, quindi diretta espressione, per formazione, carattere e cultura, di questo continente; il fatto che la musica latinoamericana per sua natura ha sempre rappresentato,

in ogni sua forma, un forte


-139strumento di identità di ogni paese e di ogni popolazione dell’America del Sud. La storia della musica latinoamericana corrisponde alla storia politica e sociale del continente stesso, dalla precolonizzazione alla colonizzazione, fino alla fase coloniale e, come dimostrato nei precedenti capitoli, ai tentativi di decolonizzazione della sua gente. Le radici culturali fondate sull’origine indigena ed il glorioso passato maya, inca e azteco, pur commiste con elementi europei, sono patrimonio e componente dominante di ogni forma musicale latinoamericana, così come molti degli strumenti usati sono originari della realtà e della cultura precoloniali. Alle tradizioni millenarie delle popolazioni autoctone si sono sovrapposte poi le musiche di origine europea e, in seguito, per il tramite degli schiavi neri, quelle di origine africana. Dall’incontro di queste culture in epoca coloniale è nato l’ibridismo stilistico che impronta la maggior parte delle musiche latinoamericane, anche se poi queste presentano in ogni regione una propria originalità ed un proprio svolgimento. Per questi motivi, oltre alla semplicità ed alla naturalezza che la caratterizza, la musica è la forma culturale più diffusa e radicata nell’America Latina, è l’espressione più viva di questo continente, dato che ne riflette il modo di pensare, di vivere e di emozionarsi. La musica è da molti considerata parte integrante dell’esistenza di ogni latinoamericano e


-140dalle fattorie dei gauchos in Argentina, ai villaggi andini in Perù, passando per le favelas brasiliane fino ai vicoli delle periferie cubane, ne scandisce ininterrottamente i ritmi della vita quotidiana. Così utilizzare la musica per parlare della figura mitica di Ernesto Guevara significa rivolgersi ancora più direttamente a questa popolazione, raggiungendola totalmente, e coinvolgerla in modo maggiore, dal momento che la poesia, per quanto semplice e popolare, è comunque indirizzata sempre ad una ristretta elite, mentre la musica è fruibile indistintamente da ogni persona. Il concetto di musica latinoamericana intesa come forte strumento di identità è stato approfondito da Alejo Carpentier in un saggio intitolato América latina en su música. Egli afferma che, per quanto riguarda la storia della musica europea, il suo sviluppo risulta logico, presentandosi come una successione di tecniche, di tendenze e di scuole diffusesi attraverso le opere e le attività di grandi autori; a tale sviluppo si accompagna poi un’ampia letteratura teorica (testi e trattati) corrispondente ad ogni epoca.

El origen y crecimiento de la polifonía, la estructuración de formas, la afirmación de los estilos y géneros, la biografía particular de los instrumentos, la formación y desarrollo de la orquesta sinfónica, de la ópera, del drama lírico, se integran en un encadenamiento de hechos perfectamente coherente y claro. 1

1

[ L’origine e lo sviluppo della polifonia, la strutturazione delle forme, la affermazione degli


-141Al contrario, la musica latinoamericana non si è sviluppata in funzione degli stessi valori ed elementi culturali europei, ma ha obbedito a fenomeni, apporti, impulsi, fattori di crescita, strati razziali, innesti e trapianti che risultano insoliti per chi vuole applicare determinati metodi all’analisi di un’arte rigida e riluttante a confrontare ciò che è proprio con ciò che è diverso, ciò che è autoctono con ciò che è importato. La caratteristica di questa musica è stata sempre quella di svilupparsi fuori da schemi e canoni troppo rigidi, seguendo al contrario, lontana da ogni imposizione, una certa naturalezza e una forte istintività. Non a caso la musica pop di origine anche folklorica, diffusasi enormemente in tutto il mondo a partire dal 1920, ha trovato proprio in America Latina la sua migliore espressione.

La “onda folklórica” dejando, como creaciones válidas, duraderas, conservadas (y ejecutadas, que es lo más importante) aquellas que mejor expresaron la verdad profunda del compositor, de modo a menudo metafórico, exento de todo “tipicismo”, sin que esto excluyera un sustrato racial –significado nacido entre fronteras pero fijado en un significante de alcance universal. Y ese desprenderse del folklore, salvaguardando sin embargo las pulsiones auténticas del ente creador, es tendencia que observa, actualmente, en los mejores músicos de las nuevas generaciones latinoamericanas. 2

stili e dei generi, la biografia particolare degli strumenti, la formazione e lo sviluppo della orchestra sinfonica, dell’opera, del dramma lirico, si integrano in un incatenamento di fatti perfettamente coerente e chiaro]. A. Carpentier, América Latina en su música, Mexico, Siglo XXI, 1977, p. 7. 2 [La “onda folklorica” ha lasciato come creazioni valide, durature, conservate (e eseguite, che è


-142Infatti Carpentier afferma che l’interesse dei giovani musicisti per le tecniche nuove, soprattutto verso la musica elettronica, raramente comporta una distruzione dell’ acento racial, ma al contrario nelle loro opere si riscontra sempre un accento nazionale più o meno marcato, oltre ai nuovi mezzi di espressione.

En partituras al parecer “cosmopolitas” por el aspecto exterior, corre sangre de tal o cual país de nuestro continente. Es, aquí, un modo de usar la percusión; es, allá, el impulso rítmico; es, más allá, el asomo de una escala, de una cadencia caracteristíca, de una sonoridad peculiar; o bien, el collage revelador, la índole del trazo, el humorismo del decir, la melancolía de un clima. 3

Questo carattere popolare della musica latinoamericana ha tuttavia generato, perlomeno agli inizi, una certa sottovalutazione, se non incomprensione, dei critici nei suoi confronti. Secondo Carpentier ciò è dovuto a quella gerarchizzazione della musica iniziata in Europa nella

la cosa più importante), quelle che maggiormente esprimono la verità profonde del compositore, in modo poco metaforico, esente totalmente dal “tipicismo”, senza che questo escluda un sostrato razziale – significato nato tra le frontiere però fissato in un significante di portata universale. E questo separarsi del folklore, salvaguardando senza importazioni le pulsioni autentiche di colui che crea, è la tendenza che si osserva attualmente nelle migliori musiche delle nuove generazioni latinoamericane]. Ivi, p. 9. 3 [ Nelle partiture all’apparenza “cosmopolite” per l’aspetto esteriore, scorre il sangue di questo o quel paese del nostro continente. C’è, qui, in modo di usare le percussioni; là, un impulso ritmico; più in là il segnale di una scala, di una cadenza caratteristica, di una sonorità peculiare; o meglio, il collage rivelatore, l’indole del tratto, l’umorismo del dire, la malinconia di un clima]. Ibidem.


-143seconda metà dell’ottocento che portò appunto a distinguere, marcandone differenze di valore, tra musica colta (musica da salone, quindi di teatro e chiesa), semicolta e popolare. Di conseguenza, in quello stesso periodo, le strade latinoamericane che risuonavano di tanghi, rumbe, boleri, non potevano che generare l’ostilità dei compositori “seri”, dei maestri sinfonici, dei professori di conservatorio che iniziarono a giudicare queste musiche con toni quasi inquisitoriali. Gli stessi ministri del clero classificavano spesso come “non musica” i suoni prodotti, con strumenti tipici, dai gruppi musicali dei vari villaggi sparsi nel continente. L’eccessivo legame o la mal celata discendenza di queste musiche da riti e danze non cristiane era l’accusa che veniva più frequentemente formulata. In realtà, afferma lo scrittore cubano, è proprio questa discendenza e questo carattere autoctono l’aspetto peculiare della attuale musica latinoamericana. “La música fue música antes de ser música… Fue plegaria, acción de gracia, encantación, ensalmo, magia, narración escandida, liturgia, poesía, poesía-danza, psicodrama, antes de cobrar una categoría artistica” 4. Il “folklore allo stato puro”, come lo definisce Carpentier, tipico della

4

[ La musica fu musica prima di diventare musica…Fu preghiera, azione di grazia, incanto, salmo, magia, narrazione scandita, liturgia, poesia, poesia-danza, psicodramma, prima di trasformarsi in una categoria artistica ]. Ivi, p. 13.


-144musica latinoamericana, ha invece avuto scarsa diffusione in Europa, suscitando l’interesse di pochi autori, dato che la maggioranza era attratta dalla musica colta. Ma questa situazione, unitamente all’atteggiamento che anche i compositori “colti” della stessa America del Sud avevano nei confronti della musica popolare, non ha fatto altro che diffondere la musica folklorica; questa, propagata dalle voci di villaggi lontani, introdottasi nelle città, radicatasi nei sobborghi delle capitali e mischiatasi con balli, ritmi vivi, inventivi, ogni giorno rinnovati, si andava via via strutturando e, tracciando i suoi profili, invadeva e conquistava il pubblico. Per questo col tempo ha iniziato a vacillare la convinzione che si tratti di una musica propria di ignoranti e incolti, specialmente nel momento in cui, grazie alla sua irresistibile energia ritmica, ha iniziato a diffondersi negli stessi “saloni”. Secondo Carpentier il grande sviluppo e la notevole diffusione che la musica folklorica latinoamericana ha avuto negli anni è dovuto in particolare al suo carattere fondamentalmente meticcio, e quindi alla capacità di inglobare e fondere elementi e suoni di culture diverse che via via si sono diffuse nel continente; questo fatto le ha così permesso di ampliarsi e rinnovarsi continuamente.

Así, los instrumentos de Europa, de Africa y de América, se habían encontrado, mezclado, concertado, en ese prodigioso crisol de


-145civilizaciones, encrujada plenetaria, lugar de sincretismos, transculturaciones, simbiosis de músicas aún muy primigenias o ya muy elaboradas, que era el Nuevo Mundo. El ya viejo romance hispánico se mezclaba con las percusiones africanas, y con elementos de expresión sonora debidas al indio. 5

In questo processo di fusione culturale che ha investito l’America Latina sotto ogni aspetto, un ruolo fondamentale è stato ricoperto, secondo Carpentier, da una figura particolare di tale meticciato: il criollo, vale a dire colui che è nato nel continente latinoamericano da genitori spagnoli o comunque europei. Il criollo, come il meticcio, è un altro di quei personaggi che viene considerato dalla cultura occidentale difficilmente definibile socialmente e culturalmente, e in ogni caso inferiore. In realtà proprio la maggiore apertura mentale e la più profonda sensibilità hanno permesso al criollo di recitare un ruolo di primo piano nella storia culturale dell’America Latina, in ogni settore, musica compresa. Come ricorda Carpentier le testimonianze e i giudizi positivi su questa figura risalgono già ai primi anni del 1600. Nel 1608 infatti lo studioso

5

[ Così gli strumenti di Europa, Africa e America, si sono incontrati, mischiati, armonizzati, in questo prodigioso crogiolo di civilizzazioni, incroci planetari, luoghi di sincretismi, transculturazioni, simbiosi di musiche ancora molto primigenie o già molto elaborate, che era il Nuovo Mondo. Il già vecchio romanzo spagnolo si mischiava con le percussioni africane e con elementi di espressione sonora propri dell’indio]. Ivi, p. 17.


-146Juan José Arrom, in alcuni documenti commerciali, sosteneva che bisognava elogiare la valenza e l’intelligenza del criollo, sia bianco che negro, in quanto rappresentava un vero modello di “paciencia”. Garcilaso de la Vega invece, nei suoi celebri Comentarios reales, afferma che il criollo, sia di padre europeo che africano, esiste come tale, in quanto possiede un modo di sentire e pensare tali da farlo definire veramente un hombre nuevo. Come non ricordare poi Sor Juana Inés de la Cruz, “humanista, latinista, espíritu universal, portentosa criolla” 6, che scrisse deliziosi versi in lingua indigena e nel gergo dei negri, assimilando il modo di parlare di due razze che hanno contribuito profondamente alla formazione della cultura latinoamericana. In questo senso, scrive Carpentier:

En el criollo americano se manifiesta, desde muy temprano, una doble preocupación: la de definirse a sí mismo, la de afirmar su carácter en realizaciones que reflejen su particular idiosincrasia, y la demostrarse a sí y a los demás que no por ser criollo ignora lo que ocurre en el resto del mundo, ni que por vivir lejos de grandes centros intelectuales y artísticos carece de información o es incapaz de entender y utilizar las técnicas que en otros lugares están dando excelentes frutos. 7

6

[ Umanista, latinista, di spirito universale, straordinaria criolla]. Ivi, p. 21. [ Nel criollo americano si manifesta, molto precocemente, una doppia preoccupazione: quella di definire se stesso, di affermare il proprio carattere nelle realizzazioni che riflettono la propria

7


-147Proprio una delle prime información e técnicas importate dall’Europa e, attraverso la cultura indigena, meticcia e criolla, rianalizzate e riprodotte, è stata la musica. L’arte sonora infatti, adattando elementi e suoni popolari alle tecniche occidentali iniziò, cominciando dalle isole, a svilupparsi via via in tutto il continente. In Messico, a Cuba, in Venezuela iniziarono a proliferare opere molto nazionaliste sia per argomento che per esecuzione. Così in pochi decenni habanera, tango, rumba, guaracha, bolero e samba hanno invaso il mondo con i loro ritmi, i loro strumenti tipici, i loro ricchi arsenali di percussioni. La musica latinoamericana dunque va accettata in blocco così come è, ammettendo che le sue originali espressioni possono provenire sia dalla strada che dalle accademie. Forse è proprio questa la differenza essenziale tra la storia musicale d’Europa e quella dell’America Latina dove, in epoca recente, una semplice canzone locale o popolare può risultare di maggiore ricchezza estetica rispetto ad una sinfonia uguale a tante altre prodotte nel corso del tempo. Con ciò, afferma Carpentier, non si vuole disconoscere il valore e i risultati conseguiti in America Latina da direttori di orchestra, da società filarmoniche, da cori, da conservatori, in

particolare idiosincrasia, e quella di mostrarsi a se stesso e mostrare agli altri che non perché è un criollo ignora ciò che accade nel resto del mondo, né che per il fatto di vivere lontano dai grandi centri intellettuali e artistici manca di informazioni o è incapace di comprendere e utilizzare le tecniche che in altri luoghi stanno dando eccellenti risultati]. Ivi, p. 23.


-148pratica da quella che si definisce musica colta, la quale anche in questo continente ha prodotto grandi opere.

Pero obsérvese que cuando un músico nuestro alcanzó niveles cimeros, ayer como hoy, fue siempre en perfecta armonía –valga el términoentendimiento y conviviencia cordial con el autor de músicas menos ambiciosas, destinadas al baile, al teatro sin pretensiones, o el mero holgorio de cada dia. Y es que este último fue siempre, desde los días de la Conquista, el inventor primero de nuestros estilos musicales. Estilos debidos –lo dijimos ya- a modos de cantar, de tañer los instrumentos, de manejar la percusión, de acompañar las voces; estilos debidos, más que nada, a la inflexión peculiar, al acento, al giro, el lirismo, venidos de adentro –factore estos mucho más importantes que el material melódico en sí. Porque el error de muchos compositores “nacionalistas” nuestros consistió en creer que el tema, el material melódico, hallados en campos o en arrabales, bastaban para comunicar un carácter peculiar a sus obras, dejando de lado los contextos de ejecución que eran, en realidad, lo verdaderamente importante… 8

Oltre alla diversa formazione e al diverso sviluppo rispetto alla musica europea, come dimostra Carpentier, c’è un altro aspetto che contribuisce a

8

[Però occorre osservare che quando un nostro musicista raggiunse livelli elevati, ieri come oggi, fu sempre in perfetta armonia, -valga il termine- intesa e convivenza cordiale con l’autore di musiche meno ambiziose, destinate al ballo, al teatro senza pretese o alla pura semplicità di ogni giorno. E proprio quest’ultimo aspetto, dai giorni della Conquista, fu sempre l’invenzione principale dei nostri stili musicali. Stili legati al modo di cantare, di tenere gli strumenti, di maneggiare le percussioni, di accompagnare le voci, stili legati, soprattutto, alla inflessione peculiare, all’accento, al giro, al lirismo che provengono da dentro, fattori questi molto più importanti rispetto al materiale melodico in sé. Perché l’errore di molti compositori nazionalisti nostri è consistito nel credere che il tema, il materiale melodico, trovato nelle campagne o nei sobborghi, bastava per conferire un carattere peculiare alle loro opere, trascurando da un lato i contesti di esecuzione che erano, in realtà, la cosa veramente più importante…] Ivi, p. 25.


-149rendere particolare la musica latinoamericana: le tante sfumature e le numerose impronte nazionali che ogni paese, con la sua storia e la sua origine precoloniale, le conferiscono distintamente. Questa caratteristica, messa in evidenza da un altro scrittore peruviano, Eugenio Chang Rodriguez, nel libro Latinoamerica: su civilización y su cultura, verrà tuttavia riscontrata meglio più avanti, analizzando le canzoni dedicate al Che. In ogni caso si può brevemente dire che esiste, come dimostra Chang Rodriguez,

una

precisa

geografia

dei

suoni

e

degli

strumenti

latinoamericani, per cui ogni paese si caratterizza per qualche particolarità. In generale la musica latinoamericana risente notevolmente l'influenza di quella che fu la musica precolombiana, quindi maya, inca e azteca, dove non figuravano strumenti a corda ma solo a fiato o a percussione, come flauti e tamburi che sono ancora oggi gli strumenti fondamentali. La tradizione europea ha invece introdotto altri strumenti, anch’essi ormai tipici, come la chitarra e la tromba, che vennero diffusi inizialmente dai gesuiti con lo scopo di favorire l’apprendimento, tra gli indigeni, dei canti religiosi. Retaggi precoloniali e influenza europea sono dunque commisti con diverse gradazioni in ogni musica nazionale che si distingue dalle altre per un diverso carattere specifico. In pratica la musica di ogni paese dell’America Latina ha una sua particolare impronta culturale che contribuisce a determinare più in generale l’identità della musica


-150latinoamericana.

2 Il rapporto musica/letteratura Una volta dimostrato come anche la musica costituisca in America Latina un forte elemento di identità, è giusto riflettere sul significato che, in questo contesto, assumono le canzoni dedicate ad Ernesto Guevara e sui motivi che spingono e hanno indotto in questi anni diversi cantautori e compositori a scriverle. Tutto ciò alla luce del fatto che la maggior parte delle canzoni dedicate al Che presentano come testo dei versi poetici, quindi sono a tutti gli effetti poesie musicate, fondendo in un'unica espressione artistica due diverse forme d’arte, appunto la musica e la letteratura. Ma nell’ambito delle celebrazioni, del ricordo e della mitizzazione della figura eroica di Ernesto Guevara, qual è il significato della fusione tra musica e letteratura? Perché si realizza questo fenomeno? La risposta si trova in una particolare concatenazione logica: si utilizza la musica, che è uno strumento di identità, per celebrare, attraverso delle poesie che parlano di identità, un eroe come Ernesto Guevara che trasmette identità. Questo processo, chiaramente voluto, di conseguenza non fa altro che definire e rafforzare una forte presa di coscienza di valori e sentimenti nella popolazione latinoamericana. A questo punto però è bene definire i contesti e le circostanze del rapporto


-151tra la musica e la letteratura. Nel complesso processo di relazioni tra arti diverse, quelle che nel corso del tempo hanno intessuto più strettamente ed organicamente rapporti tra loro sono sicuramente la letteratura e la musica. Nella storia della cultura è capitato spesso che poeta e compositore fossero una sola persona: nella Grecia classica, ad esempio, i lirici ed i tragediografi musicavano sempre le loro creazioni (lo sappiamo dalle testimonianze dei loro contemporanei, dato che quelle musiche sono andate perdute), mentre nella Francia e nella Germania del XII e XIII secolo erano molto attivi i trovatori e i menestrelli. Si è pure verificato che si sia costituita una pratica ad hoc per la musica: è accaduto con quei testi scritti con l’esclusivo scopo di essere musicati, come i libretti d’opera. In quest’ultimo caso, in genere, si è trattato di comune artigianato letterario, ma ci sono state pure eccezioni vistose dato che vi si sono cimentati anche poeti insigni come Pietro Metastasio, i cui libretti toccano i vertici del genere. In ogni caso, come afferma Emilia Pantini nel saggio La letteratura e le altre arti,

la musica può rifarsi direttamente alla letteratura, nel senso e nel modo che un compositore può appropiarsi di un testo poetico compiuto, preesistente, e “rivestirlo” di note. In questo caso piuttosto che di traduzione tout-court si può parlare di sovrapposizione e di interazione di due forme e strutture, quella letteraria e quella musicale… si pensi alle numerosissime poesie di Goethe musicate da autori come Mozart, Beethoven, Schubert, Liszt…


-152Esistono però casi, più rari a dire il vero, in cui la musica espunge da sé i versi e li colloca prima, come una sorta di “testo a (o in) fronte”, quasi volesse coscientemente presentare se stessa come traduzione, ma successiva, se non delle parole almeno delle “atmosfere” del testo. Accade nei Tre sonetti del Petrarca di Liszt. 9

Chi ha analizzato più di ogni altro il rapporto tra la musica e la letteratura è stato però senza dubbio lo studioso statunitense Calvin Brown che, con il libro Music and Litarature – A comparison of the Arts pubblicato nel 1948 e aggiornato dallo stesso autore nel 1987, ha fornito un testo di riferimento fondamentale nell’ambito di questo tipo di studi. Brown esamina attentamente le caratteristiche di queste due arti, mettendone a fuoco gli aspetti comuni, i punti di convergenza ed i contesti in cui esse entrano a stretto contatto. La prima analogia che egli rileva è la comune appartenenza alla categoria delle “belle arti”, la quale, oltre alla musica e alla letteratura comprende la pittura, la scultura e l’architettura e, contrapponendosi alle “arti pratiche” come l’artigianato, che hanno come fine la funzionalità, hanno il proprio fine in se stesse, hanno solo interesse estetico, dunque sono arti “di per sé”. Ma soprattutto, mentre scultura pittura e architettura sono arti che si

9

Emilia Pantini, La letteratura e le altre arti, in Armando Gnisci, Introduzione alla letteratura comparata, Milano, Mondadori 1999, p. 101.


-153rivolgono alla vista, e quindi spaziali, musica e letteratura si rivolgono a e vengono percepite attraverso l’udito, dunque sono arti temporali. Molti sostengono che la letteratura debba riguardare la vista, in realtà, afferma Brown, ci sono diversi elementi che dimostrano il suo collegamento con l’udito e quindi la compatibilità con la musica: le rime per esempio vengono percepite con l’udito e non con la vista; quando leggiamo riproduciamo mentalmente i suoni, così come la durezza o la dolcezza delle parole; spesso accompagniamo le lettura con piccoli movimenti delle labbra che ci aiutano a raffigurare mentalmente i suoni. Inoltre è il timbro, cioè la qualità del suono, che ci rende comprensibili sia la musica che la letteratura, dato che provvede ad esplicarne i significati. L’analisi che svolge Calvin Brown, dopo questa prima argomentazione generica si sviluppa

seguendo

due

direttrici:

una

trattazione

del

rapporto

musica/letteratura, cogliendone analogie e differenze, a livello generale, sotto un aspetto teorico, ed un’altra invece a livello tecnico, analizzandone gli elementi specifici, in particolare quelli che più concordano tra di loro. Per quanto riguarda il primo punto, Brown sostiene che il principio fondamentale del rapporto tra musica e letteratura dovrebbe essere quello della complementarietà, vale a dire che queste due arti, anche per alcune differenze sostanziali che in ogni caso si rilevano, dovrebbero completarsi vicendevolmente ed adattarsi l’una all’altra. Chiaramente, afferma, la


-154musica che va presa in considerazione nell’ambito del rapporto con la letteratura è solo quella vocale e non quella strumentale.

Le parole di un brano musicale stabiliscono e mantengono un nesso intimo e inscindibile con la musica stessa nello spazio e nel tempo, qualunque cosa possiamo pensare circa i loro rapporti nei termini di considerazioni estetiche… Benché i brani di musica vocale possano talvolta essere trascritti per una esecuzione puramente strumentale, in occasione sia del primo che degli ascolti successivi di un qualche brano di musica vocale noi lo ascolteremo come canto, cioè ascolteremo musica e testo insieme. Si stabilisce così un’associazione assai efficace grazie alla quale esse sembrano ben presto avere profondi legami tra loro. La difficoltà di operare una netta separazione mentale tra testo e musica è una chiara prova della forza di una simile associazione. 10

Di conseguenza nell’ambito del trattamento letterale della musica vocale, il metodo migliore consiste nel permettere alla musica di “aggrapparsi” al testo, sfruttandone ogni parola in cui sia possibile scovare un’analogia musicale. Il problema che a tal proposito pose il critico Charles Avison è se nel musicare un testo, il fine sia quello di dare espressione alle idee di un testo poetico, oppure, creare una imitazione delle parole in esse contenute. Tuttavia questa seconda ipotesi rischia di stravolgere il significato

10

C. Brown, Music and Literature – A comparison of the Arts, University Press of New England, Hanover and London 1987, tr. it. Musica e letteratura: una comparazione delle arti, Roma, Lithos 1996, p. 90.


-155di entrambe le arti, producendo un “non suono”. Pertanto il criterio migliore da seguire è quello di imitare le idee contenute nelle parole (e non le parole stesse); questo perché le idee, e non le cose o gli oggetti, sono per natura formate da suono e movimento, cioè gli elementi portanti della musica. Inoltre,

la musica può essere utile in particolar modo per aiutare a nascondere la natura antimusicale delle “parole sgradevoli e spoglie che rappresentano il punto debole e meno piacevole del linguaggio verbale” non imitandone gli effetti, ma rendendole musicali proprio dove laddove il testo poetico non lo è. 11

Lo stesso principio si segue nel trattamento drammatico della musica vocale, anche se le parole vengono prese in considerazione del loro stesso contesto, mirando a mettere in evidenza o a rafforzare gli elementi drammatici che ne fanno parte integrante. E’ evidente quindi che i motivi più ricorrenti nel trattamento drammatico sono l’allegria, il dolore, la felicità, il terrore, i quali, rappresentando degli stati d’animo, si adattano naturalmente all’espressione musicale. Infatti la musica è di per sé in grado di suggerire stati d’animo: il processo attraverso cui ciò avviene si basa

11

Ivi, p. 88.


-156fondamentalmente sull’imitazione e sull’associazione di idee e sensazioni. Esistono infatti molte forme caratteristiche di movimento che sono tipiche di stati fisici e mentali, e dalla cui associazione nasce appunto la musica. La cosa che la lingua fa meglio, dal canto suo, è di indicare quelle particolarità che sono fuori dal raggio d’azione della musica.

Il linguaggio verbale non è capace di darci un senso di pace con la stessa intensità con cui riesce a darcelo un eccellente brano di musica “pacifica”, ma può dirci con esattezza chi è pacifico, dove, quando, perché e in quale ambiente. Se ne ricava che il miglior comportamento per un poeta e un compositore sia quello di collaborare tra loro come si collabora in una squadra: il poeta comunicando quelle particolarità che un compositore non è in grado di indicare e il compositore ricreando e suggerendo quegli stati d’animo che un poeta non è in grado di comunicare con tanta efficacia e in modo così diretto. Qualunque brano di musica vocale che sia incontestabilmente migliore sia del suo solo testo verbale che della sua sola musica sarà probabilmente la prova concreta di una simile divisione del lavoro. 12

Il presupposto secondo cui il testo viene prima e la musica si aggiunge in un secondo momento si rivela quindi più che una semplice ipotesi; nella musica leggera è ormai una pratica consolidata. La prassi comune è quella di avere davanti a sé le parole nella loro forma definitiva, prima di iniziare

12

Ivi, p. 114.


-157a lavorare sul trattamento musicale. L’importante, afferma Brown, è tenere presente che occorre rispettare le pause tra i versi della poesia e tra le strofe, cercando di concatenarli musicalmente senza spezzare la musica con continue pause, ma dandole un significato complessivo. Infatti il principio portante del rapporto musica/letteratura è quello secondo cui la velocità d’esecuzione determina la natura dell’idea, per cui è necessario mantenere ininterrotta la pulsazione ritmica. Dopo questa trattazione a carattere generale Brown opera, come detto, una seconda analisi più specifica, di carattere tecnico. Egli individua e approfondisce tre aspetti in particolare che diventano poi i principi e gli assi portanti, a livello pratico, del rapporto tra queste due arti. Il primo aspetto analizzato è una caratteristica comune sia alla musica che alla letteratura, vale a dire il ritmo. Esso può essere definito come il rapporto di movimento sia dei suoni che dei corpi fisici, ordinati secondo l’accento e la durata; nella musica il ritmo può essere indicato con la battuta, nella letteratura con il metro.

I metri sia musicali che poetici si basano sullo stesso principio generale: uno schema di tempo e d’accento breve e facilmente riconoscibile viene scelto come unità di base e viene poi costantemente ripetuto con varianti sufficienti a prevenirne la monotonia, ma con sufficiente uniformità da essere chiaramente percepibile. La poesia classica greca e quella latina utilizzavano un schema di tempo basato sulla vocale di una sillaba, che poteva essere lunga o breve. Poiché una vocale lunga occupava il doppio


-158del tempo rispetto ad una breve, è possibile rappresentare tutti i metri classici con schemi formate da semiminime e crome, e il principale metodo di variazione è la sostituzione di due note brevi con una lunga e viceversa. 13

In realtà, afferma Brown, non è possibile accostare automaticamente i piedi e la scala di valori delle note, perché in poesia i piedi possono iniziare sia con una sillaba lunga che breve, mentre in musica l’accento è posto sempre sul primo tempo della battuta; inoltre la musica presenta più possibilità di modificare e variare il ritmo, dato che il suo valore più basso (semibiscroma) è 1/8 di quello più alto (breve), e non ½ (lunga o breve) come nella poesia. Tuttavia, anche considerando un’altra valida analogia rappresentata dall’identificazione delle cesure metriche con le pause degli spartiti, a livello generale, nell’ambito del rapporto musica/letteratura, si può affermare che quando si verifica una certa corrispondenza o somiglianza ritmica tra metro e battuta, si crea una evidente concordanza ed una valida fusione tra queste due arti. Il secondo punto riguarda sempre la comunanza tra alcuni aspetti tecnici. Scrive Calvin Brown:

13

Ivi, p. 41.


-159L’esempio più generale di conciliazione tra opposte qualità che riguarda davvero senza alcuna differenza tutte le arti è però quello che unisce “l’identità con la differenza”. Nessuna opera d’arte, dall’epigramma all’epica, dal cammeo alla sfinge, dalla bagatella alla sinfonia, può esistere se non combinando queste due caratteristiche opposte. Perché un’opera d’arte deve essere dotata di identità se vuole essere un’opera invece di un miscuglio casuale; e deve essere dotata di differenza al fine di evitare una completa monotonia o, per fare un esempio estremo, per esser qualcosa di più che non la ripetizione meccanica della prima parola, della prima nota, della prima pennellata. 14

Partendo da questo presupposto i principi di ripetizione/variazione da una parte, ad equilibrio/contrasto dall’altra, diventano fondamentali nel determinare il valore artistico di un’opera sia letteraria che musicale. Ripetizione e variazione comportano sia la ripetizione esatta che con qualche differenza, ponendo in questo modo l’accento sull’identità del materiale, pur permettendo nello stesso tempo qualche mutamento nel modo di presentarlo. Equilibrio e contrasto, considerati insieme, formano invece un principio che pone l’accento sulla differenza, pur tenendo conto dell’identità strutturale o proporzionale presente nel concetto stesso di equilibrio. Ripetizione e variazione si possono individuare nelle più piccole unità strutturali effettive sia della letteratura che della musica. Nel ritmo,

14

Ivi, p. 162.


-160per esempio, lo schema base della battuta o del verso può essere ripetuto indefinitivamente, ma sarà sempre abbastanza variato nelle successive ripetizioni. La poesia poi ha una particolare tipo di ripetizione da cui dipende la struttura di molte forme diverse: la rima, l’allitterazione, l’assonanza richiedono tutte sia la ripetizione che la variazione per esistere in quanto tali. Nella musica e nella letteratura equilibrio e contrasto tra suoni accentati e non accentati sono invece elementi di base del piede e della battuta, fino ad estendersi alle parti più grandi come frase e sezione, libro e movimento ecc. In pratica la fusione tra equilibrio e contrasto si basa sulla suddivisione in sezioni contrastanti tra loro (spesso per il contenuto) ma che si equilibrano per la loro disposizione, quindi per la forma. In conclusione anche in questo caso una giusta corrispondenza ed armonia tra ripetizione/variazione ed equilibrio/contrasto in musica e letteratura possono incidere su una valida fusione tra queste due arti. Il terzo punto che Brown pone in evidenza, legato poi al secondo appena trattato, riguarda il cosiddetto sviluppo musicale dei simboli. Vari critici hanno avuto modo di dimostrare le difficoltà che incontrano in letteratura i principi della ripetizione e della variazione applicati su larga scala, trasformandosi quasi in un impedimento, da superare con delle forzature stilistiche, al buon esito di un’opera letteraria.


-161La migliore soluzione che sia mai stata trovata per tali problemi è un simbolismo di larga portata: e per un poeta non è infrequente parlare tramite simboli proprio per avvicinarsi il più possibile ai metodi e agli effetti della musica. Tuttavia non sempre in casi simili possiamo presumere l’influenza della musica, a meno che non sia chiaramente evidente: i normali metodi poetici di utilizzo dei simboli assomigliano ad uno sviluppo musicale, e dunque persino poeti privi di una specifica conoscenza della musica hanno potuto talvolta riprodurre analogie musicali assai fedeli proprio tramite l’uso intensivo di questi procedimenti letterari. 15

Del resto, come la musica, la poesia di per sé tende a suggerire stati d’animo ed emozioni, utilizzando spesso parole astratte, concetti e riferimenti simbolici che non riproducono immediatamente immagini ma le suggeriscono in modo quasi fantastico al lettore. Le stesse metafore, figure portanti di ogni poesia, non sono altro che il ricorso del poeta alla simbologia e il risultato che l’utilizzo dei simboli poetici produce nella mente del lettore. In ogni poesia idee, pensieri e sensazioni vengono, attraverso i simboli, costantemente variati e combinati l’uno con l’altro. La musica, dal canto suo, proprio perché caratterizzata dal suono che è un qualcosa di per sé simbolico, fa della capacità di suscitare stati d’animo e far immaginare situazioni la sua caratteristica dominante. Attraverso le battute, la tonalità, gli strumenti, le sincopi ecc, crea una continua

15

Ivi, p. 269.


-162simbologia. Di conseguenza musica e letteratura sono spesso collegate tra loro da questa comune caratteristica. Proprio sulla base di quanto teorizzato da Calvin Brown e di questi tre principi fondamentali, si può tentare ora un’analisi tecnica delle canzoni dedicate ad Ernesto Guevara.

3 I principi di Calvin Brown e le canzoni dedicate al Che Inutile dire che sono innumerevoli le canzoni scritte in onore del Che in tutto il mondo, dagli autori più diversi e con le musiche e gli stili più disparati. Come detto la particolarità di molte canzoni è determinata dal fatto di presentare come testo vere e proprie poesie, spesso composte anche da poeti celebri. Sono state infatti musicate poesie di Julio Cortázar, Omar Lara, Nicolas Guillén, Mario Benedetti, José Carlos Capinam ecc. Numerosi sono anche i compositori, di fama mondiale, che hanno direttamente composto la musica e le parole, spesso anche in questo caso versi poetici, di canzoni dedicate a Guevara. Naturalmente la maggior parte di questi poeti, musicisti e cantautori sono latinoamericani. Così l’aspetto più interessante di queste canzoni risulta l’arrangiamento musicale che, con lo stile, gli strumenti e la musica tipica del paese d’origine dell’autore rende omaggio, con una impronta nazionale diversa volta per volta, alla figura mitica del Che. Ogni musicista interpreta infatti la vita e la


-163azione di Ernesto Guevara con una propria identità nazionale e tante diverse identità musicali, attraverso un meticciato di suoni e parole, contribuiscono a comunicare e delineare l’identità latinoamericana trasmessa dal Che. Dovendo in questo paragrafo fare una cernita tra molte canzoni è mia intenzione prenderne in esame cinque tra quelle che, in base ai principi di Calvin Brown, da una parte meglio si conformano a ed esprimono il rapporto musica/letteratura, dall’altra meglio affrontano e comunicano il concetto di identità latinoamericana. Le prime due canzoni da esaminare sono state entrambe composte da Alfredo De Robertis

16

, autore sia del testo che della musica. La prima

canzone si intitola Zamba al Comandante. Già il titolo è significativo, dal momento che la zamba è una tipica danza mestiza

17

argentina, che fonde

elementi precoloniali ed europei. La sua origine infatti è da ricercarsi in una danza precoloniale peruviana del 1800, nota come zambacueca; si tratta di una danza tipica di corteggiamento o di amoreggiamento con il farsi avanti dell’uomo e il ritrarsi della donna. La zamba ha un ritmo caratteristico a 6/8, come in questo caso, ma non è raro trovare un

16 17

Cfr. nota 32 p. 23. Meticcia.


-164accompagnamento in ritmo di ž , che crea effetti biritmici. Gli strumenti qui utilizzati, essendo una musica mestiza, sono il flauto e le percussioni, tipici dell’epoca preconiale, e la chitarra, caratteristica invece della tradizione europea. Come tutte le zambe, Zamba al Comandante, inizia con un preludio strumentale, eseguito dal solo flauto, che introduce il testo: si tratta di cinque quartine di ottonari. La prima quartina presenta due rime alterne (ABAB), con l’accento metrico che cade sulla terza e sulla settima sillaba.

Siempre al frente, comandante, dĂĄndole el pecho a las balas, patria o muerte y adelante por las buenas o las malas. 18

La seconda, la quarta e la quinta quartina non hanno invece alcuna rima ma solamente delle assonanze.

Y la gloria, comandante, y la fama despreciada, tu nombre es un estandarte,

18

[ Sempre al fronte, comandante/ mostrando il petto alle pallottole/ patria o morte e avanti/ volenti o nolenti]. Alfredo De Robertis, Zamba al Comandante, in Meri Lao, op. cit., p. 28.


-165comandante Che Guevara. … No te vayas, comandante, la traición te está esperando para regar con tu sangre la tierra que amaste tanto. Y si vuelves, comandante, al frente de la guerrilla, más vale morir delante que atrás vivir de rodillas. 19

La terza quartina invece, che funge anche da ritornello, presenta due rime baciate (AABB) ed i primi due versi anziché essere due ottonari sono rispettivamente un settenario ed un endecasillabo tronchi.

Te vas y volverás, al pie del Ande presente estarás cuando en América entera tu nombre sea la bandera. 20

Appare dunque evidente, tornando ai principi formulati da Calvin Brown,

19

[E la gloria, comandante/ e gli onori disprezzati/ il tuo nome è uno stendardo/ comandante Che Guevara/ …/ Non te ne andare, comandante/ ti attende il tradimento/ per innaffiare col tuo sangue/ la terra che hai tanto amato/ E se tornerai, comandante/ sul fronte della guerriglia/ vale di più morire in prima linea/ che vivere in ginocchio nelle retrovie]. Ibidem. 20 [Te ne vai e tornerai/ ai piedi delle Ande presente sarai/ quando nella America intera/ il tuo nome sia la bandiera]. Ibidem.


-166come il tempo in 6/8 di questa canzone si adatti comodamente alla struttura ritmica degli ottonari che compongono il testo, dal momento che richiede un tempo di esecuzione (oltre ad un numero di note per battuta mediamente elevato) abbastanza prolungato. Così in Zamba al Comandante musica e letteratura si fondono ottimamente, anche perché la musica, secondo il principio di abbellire e migliorare il testo esprimendo meglio ciò che le parole suggeriscono, rende pienamente l’idea di movimento, cammino, passaggio espresso dai versi; pertanto, non essendoci sincopi, conferisce un senso di continuità alle quartine grazie soprattutto al suono costante ed incalzante delle percussioni. Inoltre, essendo la tonalità in Sol maggiore, l’esecuzione si presenta vivace ed animata. Viene dunque rispettato anche l’altro principio proposto da Brown di mantenere ininterrotta la pulsazione ritmica, ed in questo caso la velocità d’esecuzione rende ottimamente l’idea di movimento espresso dal testo. La seconda canzone di De Robertis si intitola invece Ay, Che camino 21 e la musica che accompagna il testo è in questo caso una guajira. La guajira è una tipica musica cubana, legata alla sua cultura, all’origine spagnola e agli influssi delle immigrazioni consolidatesi negli anni, specie quelle africane.

21

Del testo di questa canzone si è già parlato nel cap. I. Cfr. pp. 23-24.


-167In questa canzone, che come detto in precedenza trasmette dalle parole un forte senso di identità latinoamericana, soprattutto di quella identità che Ernesto Guevara sentiva di possedere, si realizza, grazie alla musica guajira ed agli strumenti che la caratterizzano, un efficace meticciato musicale tra culture diverse. Sono infatti presenti gli influssi spagnoli con la chitarra, quelli africani con le claves

22

e quelli afrocubani con il tres 23.

Per ciò che concerne il testo esso è formato da due ottave di ottonari, con accento metrico sulla quarta e sulla settima sillaba, inframmezzati da una strofa di due versi, un quinario ed un ottonario, posta anche all’inizio ed alla fine della canzone, che funge da ritornello.

Ay, Che camino patria o muerte es mi destino. 24

Il tempo, tipico di ogni guajira, è in ¾ e la tonalità in Sol minore, con un andamento lento ma non troppo, ben si accorda con il tono grave, importante e a tratti struggente delle parole, disegnandone perfettamente la

22

Strumento a percussione formato da due bastoni di legno duro. Chitarra a tre corde. 24 [Ahi, Che-cammino/ patria o morte è il mio destino] A. De Robertis, Ay, Che camino, in Meri Lao, op. cit., p. 24. 23


-168atmosfera che esse suggeriscono. Anche in questo caso poi non sono presenti sincopi e viene dunque mantenuta ininterrotta la pulsazione ritmica, fondamentale nel collegare il testo alla musica. A tal proposito è da rilevare il fischio che collega le due ottave dopo il secondo ritornello. Tuttavia, sempre sotto l’aspetto tecnico, la peculiarità più rilevante di Ay, Che camino è l’esemplare rispetto dei principi di ripetizione/variazione ed equilibrio/contrasto. Infatti, tenendo a mente la prima strofa

25

, prendiamo

in esame la seconda.

Mañana cuando yo muera, oigan, queridos hermanos, quiero una América entera con el fusil en la mano. No quiero estatuas ni honores, no quiero versos ni llantos. Echen al viento las flores y patria o muerte es mi canto. 26

Si nota chiaramente come venga rispettato il numero dei versi (essendo entrambe le strofe ottave) che dunque si ripetono numericamente, ma vari

25

Cfr. p. 24. [ Domani quando morirò/ sentite, cari fratelli/ voglio un’intera America/ con il fucile in mano/ Non voglio statue né onori/ non voglio poesie né pianti/ Gettate al vento i fiori/ patria o morte è il mio canto]. A. De Robertis, Ay, Che camino, in Meri Lao, op. cit., p.24.

26


-169radicalmente la disposizione e la collocazione delle rime. La prima strofa infatti è composta dalla seguente struttura: ABABCDCD; la seconda invece presenta una successione di sillabe del tipo ABACDEDF. Analizzando invece il significato lessicale delle strofe notiamo come ci sia un equilibrio nel contenuto delle parole, dato che trattano entrambe la figura e la vita del Che, ma in palese contrasto, dal momento che nella prima strofa si fa riferimento a fatti e momenti del passato e del presente, nella seconda invece a situazioni e sentimenti futuri. Si tratta di un contrasto evidenziato anche, musicalmente parlando, dalla maggiore intensità del suono prodotto dalla chitarra nella seconda parte della canzone. In definitiva, si può affermare che i due brani composti da Alfredo De Robertis, oltre che per il valore dei contenuti e per i sentimenti che esprimono, si distinguono per la capacità di armonizzare mirabilmente tra loro musica e letteratura. La terza canzone da trattare è Soy loco por ti, América

27

, il cui testo,

portoghese misto a spagnolo, è stato scritto dal poeta brasiliano José Carlos Capinam, mentre la musica, un baio, è stata composta dal noto musicista, sempre brasiliano, Gilberto Gil. La prima considerazione da fare è proprio sul paese d’origine degli autori, la cui cultura conferisce un carattere

27

Son pazzo di te, America. Questa canzone, nella sua versione di maggior successo, è stata interpretata da Caetano Veloso, uno dei cantanti più noti ed apprezzati in Brasile.


-170particolare alla canzone. Il Brasile è infatti il paese in cui più di ogni altro luogo si sono mischiati elementi pagani e cristiani, conferendo una fisionomia artistica moderna ad elementi ancestrali. L’apporto negro e quello portoghese hanno tuttavia la maggiore importanza; gli schiavi negri hanno infatti conferito alla musica brasiliana la sua affascinante potenza ritmica, basata sull’uso di strumenti a percussione di origine africana

28

.I

portoghesi hanno invece introdotto la loro cultura e quel tipo di carattere che viene definito con il termine saudade. Grande ritmica e trasporto emotivo sono dunque gli aspetti peculiari della musica brasiliana e di questa canzone in particolare, anche perché il baio fonde proprio ritmica latinoamericana e nostalgia portoghese, tipica del fado

29

. Gli stessi

strumenti che accompagnano Caetano Veloso sono basso, percussioni (marimba e reco-reco), organo e flauto, tipici di queste due grandi culture. L’intera esecuzione si presenta comunque vivace e scorrevole, come denotano del resto la stessa tonalità in Re maggiore ed il tempo in 2/4. Tuttavia anche il testo ed il suo contenuto richiamano l’attenzione dell’ascoltatore. La canzone infatti racconta e fa immaginare il profondo e

28

Gli strumenti a percussione più diffusi sono gli atabaque, la cuíca, la marimba, la matraca, il ganza ed il reco-reco. 29 Il fado è la cosiddetta “musica triste” tipica del Portogallo.


-171orgoglioso senso di appartenenza di Ernesto Guevara al continente latinoamericano e alla sua cultura meticcia; le parole suggeriscono quasi una fusione fisica tra il Che ed i paesaggi dell’America Latina, una contaminazione tra i sensi e i movimenti di Guevara da una parte, gli odori e i colori delle terre dall’altra.

Soy loco por ti, América! Yo voy traer una mujer playera que su nombre sea Martí. Soy loco por ti de amores! Tenga como colores la espuma blanca de Latinoamérica y el cielo como bandera. Soy loco por ti, América, soy loco por ti de amores! Sorriso de quasi nuvem os rios cançöes, o medo, o corpo cheio de estrelas. Como se chiama a amante desse país sem nome? Esse tango, êsse rancho, êsse fogo de semear, o fogo de conhêce-la. … El nombre del hombre muerto ya nâo se puede decirlo, quién sabe, antes que o día arrebente. El nombre del hombre muerto antes que a definitiva noite


-172se espalhe en Latinoamérica, el nombre del hombre es Pueblo. 30

Il testo è composto da sei strofe con un numero di versi che varia da sette a nove; gli stessi versi variano nel numero delle sillabe, dato che sono presenti senari, settenari, ottonari ed endecasillabi. Il ritornello, che separa le strofe tra loro, è invece formato da due ottonari, caratterizzati dalla presenza di due parole-rima (América, amores), prese dalla prima strofa. La variabilità strutturale delle strofe intervallate da un ritornello invece costante nelle parole e nella musica, crea un suggestivo effetto di ripetizione/variazione. Al contrario l’introduzione della canzone e il collegamento musicale tra le strofe caratterizzati dal suono allegro delle percussioni, si oppongono al tono più nostalgico dell’organo che prevale nell’accompagnamento delle strofe, adattandosi così al principio di equilibrio/contrasto. Tuttavia in Soy loco por ti, América, un altro principio elaborato da Calvin Brown trova valida espressione: il ricorso alla

30

[ Son pazzo di te, America!/ Avrò una donna della costa/ il cui nome sia Martí/ Son pazzo d’amore per te!/ Che abbia come colore/ la schiuma bianca dell’America Latina/ e il cielo come bandiera/ Son pazzo di te, America/ son pazzo d’amore per te!/ Sorriso di quasi nuvola/ fiumi, canzoni, paura/ il corpo pieno di stelle/ Come si chiama l’amante/ di quel paese senza nome?/ Quel tango, quel rancho/ quell’ardore di seminare/ quell’ardore di conoscerla/…/ Oggi non si può dire/ il nome dell’uomo morto, ma forse/ prima che il giorno esploda/ Il nome dell’uomo morto/ prima che la definitiva notte/ si sparga per l’America Latina/ il nome dell’uomo è Popolo]. J. C. Capinam, Soy loco por ti, América, in Meri Lao, op. cit., pp. 62-64.


-173simbologia. In particolare va considerata la quinta strofa.

Estou aqui de passagem, sei que adiante um día vou morrer de susto, de bala ou vicio nem precipicio de luzes, entre saudades soluços, eu vou morrer de bruos nos braos, nos olhos, nos braos de uma mulher. 31

Come si nota questa strofa è ricca di parole astratte che simboleggiano sensazioni, stati d’animo e movimenti, attraverso un’azione narrativa che procede proprio per simboli; la stessa musica anziché cercare di descrivere o imitare il significato delle parole, ne suggerisce i contenuti. Questa simbologia è indicata in particolare da parole come passagem, día, morrer, susto, luzes, saudades, soluços, olhos, che si succedono rapidamente. Oltretutto anche nella seconda strofa figurano parole fortemente simboliche come nuvem, medo ed estrelas. Di conseguenza si verifica anche in questo caso un valido connubio tra musica e letteratura.

31

[Sono qui di passaggio/ so che un giorno morirò/ di spavento, pallottola o vizio/ in un precipizio di luci/ fra nostalgie, singhiozzi/ morirò/ stretto nelle braccia, negli occhi/ nelle braccia di una donna]. Ibidem.


-174La quarta canzone su Ernesto Guevara è El aparecido di Víctor Jara

32

,

autore di testo e musica, che in questo caso è una galopa. La galopa è un riadattamento, naturalmente con suoni e strumenti latinoamericani, della più nota galop, danza in tondo in 2/4 di andamento vivace di origine ungherese, e molto diffusa nei salotti europei dell’ottocento. Anche nella galopa (e nella canzone di Víctor Jara) si armonizzano dunque strumenti di origine occidentale, come l’organo e la chitarra, con altri più tipicamente latinoamericani, come le percussioni (i bonghi) ed il flauto. Il flauto in particolare è uno degli strumenti più significativi dell’America Latina, ed il più diffuso soprattutto nei paesi andini, in quanto discendente e diretta espressione della musica e della cultura dell’incanato. Il testo è composto da cinque quartine di ottonari senza rime ma con sole assonanze. La terza quartina, che funge da ritornello, si ripete alla fine della canzone. Equilibrio e contrasto si registrano di conseguenza nella stabilità numerica dei versi e delle sillabe da una parte, nella variabilità delle assonanze dall’altra. Tuttavia El aparecido è sicuramente la canzone, tra quelle prese in esame, in cui meglio si esprime la dominanza della simbologia. Lo stesso titolo di

32

Víctor Jara (1938-1973), attore di teatro, regista, docente, ricercatore del folklore, compositore e cantante cileno, creatore del gruppo musicale quilapayún nel 1967, ucciso nei camerini dello stadio di Santiago del Cile dai militari di Pinochet nei primi giorni del golpe contro il governo di Salvador Allende.


-175per sé è eloquente

33

. Il testo fa riferimento a quella virtù di ubiquità del

Che di cui già si è parlato nei precedenti capitoli, ed alla sua instancabile forza di sopravvivenza e reazione contro ogni elemento ostile, umano o naturale. Così i versi della canzone ricordano la figura di Ernesto Guevara che si aggira nelle foreste, tra i fiumi, sui monti, lasciando negli elementi naturali come l’acqua e il vento l’impronta del suo passaggio. E la sua presenza costante ma invisibile agli occhi dei nemici rende la sua immagine inquietante, simile appunto a quella di uno spettro.

Abre sendas por los cerros, deja su huella en el viento; el águila le da el vuelo y lo cobija el silencio. Nunca se quejó del frío, nunca se quejó del sueño; el pobre siente su paso y lo sigue como ciego. 34

Anche in questo caso parole astratte come viento, silencio, frío e sueño suggeriscono efficacemente gli ambienti e le atmosfere delle situazioni

33

Lo spettro. [ Apre sentieri sui monti/ lascia l’impronta nel vento/ l’aquila gli dà le ali/ e lo protegge il silenzio/ Mai si è lagnato del freddo/ mai si è lagnato del sonno/ e dietro a lui vanno i poveri/ che come ciechi lo seguono]. Víctor Jara, El aparecido, in Meri Lao, op. cit., p. 92.

34


-176narrate, così come la musica che accompagna le parole, soprattutto attraverso il suono del flauto e dell’organo, aumenta nella nostra immaginazione il senso di movimento, di cammino e di intemperie. Il forte senso di inquietudine della canzone è reso poi perfettamente dal suono dei bonghi che introducono il testo e collegano le strofe l’una con l’altra. La stessa tonalità in Mi minore contribuisce ad intensificare l’atmosfera grave e ansiosa della canzone. Quest’ultima trova la massima esplicazione nelle parole e nelle note del ritornello.

Córrele, córrele, córrela, por aquí, por allí, por allá. Córrele, córrele, córrela, córrele que te van a matar. 35

In questa quartina il principio della simbologia si esprime al meglio, grazie ad un climax assai efficace che palesa l’idea di fuga improvvisa e disperata per sfuggire ad un destino che per il Che era comunque inesorabile. La musica dal canto suo, grazie all’accavallarsi contemporaneo di tutti gli strumenti e ad una successione di scale, accresce il senso di concitazione.

35

[ Corri, corri, corri/ di là, di qui, di giù/ Corri, corri, corri/ corri se no ti uccidono]. Ibidem.


-177E proprio in riferimento al destino che attendeva Guevara nella boscaglia di Vallegrande, una brusca interruzione conclude la canzone lasciando immaginare la morte a cui egli andò incontro ma che lo ha consacrato nella leggenda. L’ultima canzone da trattare è Fusil contra fusil del compositore Silvio Rodríguez, dato che non si poteva non concludere con un autore cubano. Anche la musica che accompagna il testo è tipicamente cubana, dal momento che si tratta di una rumba. Questa particolare forma di musica rientra nella più generica e cosiddetta música criolla, cioè la musica popolare di derivazione afro-ispanica. Nella sua forma classica che, come la zamba, accompagna una danza di corteggiamento con giochi di ripulsa e attrazione tra il maschio e la femmina, la rumba è caratterizzata da un cantante solista maschile, un coro misto ed un grande utilizzo di percussioni

36

. Nella sua versione urbanizzata, come quella che viene

proposta da Rodríguez, le percussioni diminuiscono di importanza ed intensità a favore di più elaborati interventi di una sezione di ottoni; Rodríguez inoltre, e qui sta la maggior peculiarità di questa canzone, utilizza anche il trio chitarra-basso-batteria tipico della musica rock. Gli

36

Le percussioni più usate sono quinto, tumbadora, claves e palitos.


-178strumenti presenti in Fusil contra fusil sono così il flauto, i palitos, la tromba, il basso la batteria e la chitarra, in una fusione di sonorità tradizionali e moderne sicuramente originale; ciò anche perché il ritmo fortemente sincopato dei palitos conferisce una forte impronta di africanità alla musica. Così questa canzone si distingue per essere il miglior esempio di fusione non solo tra culture ma anche tra tecniche e generi musicali. Il titolo e le parole di Fusil contra fusil sembrano trarre ispirazione da un’altra celebre frase del Che.

In qualunque luogo ci sorprenda la morte, che sia la benvenuta, purché il nostro grido di guerra giunga ad un orecchio che lo raccolga, e purché un’altra mano si tenda per impugnare le nostre armi e altri uomini si apprestino ad intonare canti funebri con il rumore delle mitragliatrici e nuove grida di guerra e di vittoria. 37

Nella canzone si esprime infatti il senso di rabbia che ha pervaso milioni di uomini dopo la morte del Che, ma anche la pronta ed orgogliosa reazione di molti guerriglieri che hanno continuato ad impugnare le armi e, come più volte auspicato e comandato dallo stesso Guevara durante la vita, hanno

37

E. Guevara, Crear dos, tres, muchos Vietnam: ésa es la consigna, tr. It., Creare due, tre, molti Vietnam: questa è la parola d’ordine, in E. Guevara, La guerra di guerriglia, Milano, Feltrinelli 1967, p. 214.


-179proseguito la rivoluzione con lui intrapresa, dando un seguito ed un significato alla lotta guerrigliera. Il testo è caratterizzato da quattro strofe; le prime tre sono quartine, la quarta è un ottava. Come nella canzone precedente non ci sono rime ma assonanze.

El silencio del monte va preparando un adiós. La palabra que se dirá in memoriam será la explosión. Se perdió el hombre de este siglo allí, su nombre y apellido son: fusil contra fusil. Se quebró la cáscara del viento al sur y sobre la primera cruz despierta la verdad. Todo el mundo tercero va a enterrar su dolor. Con granizo de plomo hará su agujero de honor, su canción. 38

Come si può notare, osservando le prime tre strofe, la prima e la terza presentano una struttura identica, essendo entrambe formate, in successione, da un novenario tronco, un settenario tronco, un novenario

38

[ Il silenzio del bosco sta/ preparando un addio/ La parola che si dirà/ in memoria sarà l’esplosione/ Lì si è perso l’uomo del secolo/ il suo nome e cognome è: fucile contro fucile/ Al sud si è spezzata la crosta del vento/ e sulla prima croce si desta la verità/ Tutto il terzo mondo va/ a sotterrare il suo dolore/ Con grandine di piombo farà/ la sua fossa d’onore, la sua canzone]. Silvio Rodríguez, Fusil contra fusil, in Meri Lao, op. cit., pp. 180-182.


-180tronco ed un decasillabo tronco. La frapposizione della seconda strofa, piuttosto eterogenea nella struttura, così come la quarta il cui numero di sillabe

varia

da

sei

a

quattordici,

crea

un

valido

effetto

di

equilibrio/contrasto da una parte e ripetizione/variazione dall’altra. Inoltre l’elevato numero di sillabe in alcuni versi ben si concilia con il tempo di 4/4 che, essendo l’andamento ritmico piuttosto vivace, richiede un prolungato tempo di esecuzione. La stessa pulsazione ritmica, grazie al suono costante del flauto, non viene mai interrotta, armonizzando ottimamente musica e parole. Va rilevato poi, come altra particolarità, la mancanza di un vero ritornello, sostituito in pratica dalle parole fusil contra fusil che, in particolare poi nell’ultima strofa, si ripetono due volte.

Dejarán el cuerpo de la vida allí, su nombre y apellido son: fusil contra fusil. Cantarán su luto de hombre y animal y en vez de lágrimas echar, con plomo llorarán. Alzarán al hombre de la tumba al sol y el nombre se repartirán: fusil contra fusil, fusil contra fusil. 39

39

[Lì lasceranno il corpo della vita/ il suo nome e cognome è: fucile contro fucile/ Canteranno il suo lutto di uomo e di animale/ e invece di versar lacrime, piangeranno piombo/ Alzeranno l’uomo dalla tomba al sole/ e si divideranno il nome/ fucile contro fucile/ fucile contro fucile]. Ibidem.


-181L’effetto singolare di questa canzone rimane così la fusione, sia testuale che musicale, tra il senso di nostalgia e distacco dal Che a causa della sua morte (rafforzato dalla tonalità in Mi minore), e la concitazione ed il senso di rivalsa che si manifesta nella corsa alle armi per vendicare ed onorare la memoria di Ernesto Guevara. In conclusione si può affermare che, pur se involontariamente, il mitoGuevara è riuscito nella difficile impresa di conciliare due arti complesse e a tratti comunque molto differenti tecnicamente come la musica e la letteratura.Il risultato finale di questa celebrazione di Ernesto Guevara, attraverso una combinazione armoniosa tra tecniche, arti, strumenti e culture diverse è ancora una volta una straordinaria e ben definita espressione dell’identità latinoamericana.


-182-

CAP. V

BREVE ANTOLOGIA SUL CHE

1 Tre poesie/canzoni più rappresentative In quest’ultimo capitolo è mia intenzione soffermarmi su quelle che, personalmente,

ritengo

le

poesie

più

fortemente

simboliche

e

rappresentative del mito di Ernesto Guevara. Si tratta di tre poesie scelte non in base ad un criterio particolare ma per il fatto che si distinguono per diversi motivi: per la loro celebrità, il loro contenuto, il loro valore tecnico, la loro bellezza tecnica e formale. Per cui, essendo queste tre poesie già di per sé molto indicative, mi sembra opportuno riportarle integralmente con delle brevi introduzioni esplicative ma senza alcun commento. Credo infatti che, come accade per molte opere d’arte, esistono poesie che vanno solamente lette, “gustate” mentalmente e personalmente, lasciando nel lettore, senza alcun supporto intellettuale esterno, il fascino e la possibilità di interpretarne ed apprezzarne da solo i profondi significati. Oltretutto queste tre poesie sono state anche musicate e proprio grazie alla loro versione cantata hanno ricevuto maggiori notorietà e apprezzamento. Su tutte vale il caso della prima poesia: Hasta siempre, scritta dal compositore cubano Carlos Puebla. Hasta siempre nasce infatti proprio come canzone e rappresenta il brano musicale dedicato al Che (e allo stesso tempo la


-183poesia) più noto nel mondo. E’ infatti l’unica canzone composta quando Guevara era ancora in vita 1 ed a Cuba è considerata la canzone nazionale per eccellenza. Non c’è infatti complesso musicale cubano o caraibico che non abbia un suo modo specifico di interpretare la canzone, che comunque, nella sua versione originale, viene eseguita al tempo di una guajira. Vale la pena ricordare, come unico commento ed introduzione ad Hasta siempre, le parole che scrisse riguardo questa canzone lo scrittore cileno Manuel Rojas l’indomani della morte del Che.

En ningún otro país podía haberse escrito ni cantado esa cuarteta, más que en Cuba, en donde aquella presencia, de entrañable transparencia, vive con mucha fuerza. Eso era en marzo. Estamos en octubre. Y ya no sólo en Cuba. Esa presencia, esa claridad y esa transparencia que alaba el poeta cubano se han extendido a toda América. La impura mano militar que mató, asesinó a ese hombre en Vallegrande, no supo hasta que punto hacía crecer esa presencia, esa claridad y esa transparencia… Ernesto Che Guevara, “aguerrido y guerrillero”, como lo llamó su hermano Fidel, permanecerá cada día más claro, más transparente y más entrañable, en nuestros corazones y en la tierra de América. 2

1

Hasta siempre è stata composta nel 1965, all’indomani della partenza del Che per il Congo, quando di lui sembrava essersi persa ogni traccia. 2 [ In nessun altro paese poteva essere scritta o cantata questa quartina (si riferisce al ritornello, ndt.), più che a Cuba, dove quella presenza, quella appassionata trasparenza, vive con molta forza. Questo accadeva a marzo. Ora siamo ad ottobre. E già non solo a Cuba. Questa presenza, questa fama e questa trasparenza che esaltava il poeta cubano si sono estese in tutta l’America. L’impura mano militare che uccise, assassinò quest’uomo a Vallegrende, non sa fino a che punto è potuta crescere questa presenza, questa fama, questa trasparenza…


-184Hasta siempre

Aprendimos a quererte desde la histórica altura donde el sol de tu bravura le puso cerco a la muerte. 3 Aquí se queda la clara, la entrañable transparencia de tu querida presencia, comandante Che Guevara. Tu mano gloriosa y fuerte sobre la historia dispara cuando todo Santa Clara se despierta para verte. Aquí se queda… Vienes quemando la brisa con soles de primavera para plantar la bandera con la luz de tu sonrisa. Aquí se queda… Tu amor revolucionario te conduce a nueva empresa donde esperan la firmeza de tu brazo libertario.

Ernesto Che Guevara, “agguerrito e guerrigliero”, come lo chiamò suo fratello Fidel, sopravviverà ogni giorno più chiaro, più trasparente, più appassionato, nei nostri cuori e nella terra d'’America]. Manuel Rojas, Comandante Che Guevara, in Casa de las Américas, gennaiofebbraio 1968, p. 15. 3 Come si nota il testo è composto da quartine di ottonari.


-185Aquí se queda… Seguiremos adelante como junto a ti seguimos y con Fidel te decimos: ¡ Hasta siempre, comandante! 4

La seconda poesia è Si el poeta eres tú, del poeta-cantautore Pablo Milanés, autore di musica 5 e parole. Si el poeta eres tú può essere considerato forse il brano più emotivamente toccante tra tutti quelli presi in considerazione.

Si el poeta eres tú

Si el poeta eres tú, como dijo el poeta, y el que ha tumbado estrellas en mil noches de lluvias coloridas eres tú, ¿ qué tengo yo que hablarte, Comandante? Si el que asomó al futuro su perfil

4

[ Apprendemmo ad amarti/ da quella storica altezza/ in cui il sole del tuo coraggio/ pose l’assedio alla morte/ Qui rimane la chiara/ appassionata trasparenza/ della tua cara presenza/ comandante Che Guevara/ La tua mano gloriosa e forte/ è sulla storia che spara/ quando tutta Santa Clara/ si ridesta per vederti/ Qui rimane…/ Arrivi infiammando la brezza/ con soli di primavera/ per piantare la bandiera/ con la luce del tuo sorriso/ Qui rimane…/ Il tuo amore rivoluzionario/ ti conduce a nuova impresa/ dove aspettano la fermezza/ del tuo braccio libertario/ Qui rimane…/ Proseguiremo in avanti/ mentre ti restiamo accanto/ e con Fidel ti diciamo/ Hasta siempre, Comandante! ]. Carlos Puebla, Hasta Siempre, in Meri Lao, op. cit., pp. 174-176. 5 Si tratta anche in questo caso di una guajira.


-186y lo estrenó con voces de fusil fuiste tú, guerrero para siempre, tiempo eterno ¿ qué puedo yo cantarte, Comandante? En vano busco en mi guitarra tu dolor, y en mi jardín ya todo es bello: no hay temor. ¿ Qué puedo yo dejarte, Comandante, que no sea cambiar mi guitarra por tu suerte? o negarle una canción al sol o morir sin amor. ¿Qué tengo yo que hablarte, Comandante? Si el poeta eres tú…6

La terza poesia è Guitarra en duelo mayor scritta da Nicolás Guillén, meglio nota come Soldadito boliviano nella versione ed interpretazione vocale di Paco Ibañez 7 . L’immagine del “soldatino boliviano” è ripresa dal Diario del Che in Bolivia , (il 3 giugno 1967), in cui egli così definisce i militari boliviani al servizio dei rangers statunitensi, che da mesi davano la caccia al Che e al suo piccolo gruppo di guerriglieri. Questa definizione

6

[ Se il poeta sei tu/ come disse il poeta/ e chi ha scagliato stelle/ in mille notti di piogge colorate/ sei tu/ cosa dovrei dirti, Comandante?/ Se chi ha mostrato il profilo dell’avvenire/ e lo ha espresso con voci di fucile/ sei stato tu/ guerriero per sempre, tempo eterno/ cosa potrei cantarti Comandante?/ Invano cerco nella mia chitarra il tuo dolore/ e nel mio giardino già tutto è bello/ senza timore/ Cosa potrei lasciarti, Comandante/ che non sia cambiare la mia chitarra con la tua sorte? O negare una canzone al sole/ o morir senza amore/ Cosa dovrei dirti, Comandante?/ Se il poeta sei tu…]. Pablo Milanés, Si el poeta eres tú, in Meri Lao, op. cit., pp. 164-166. 7 Questa poesia, e quindi la sua versione musicata, è divenuta famosa dopo l’interpretazione di Paco Ibañez, cantante cubano, all’Olimpia di Parigi nel dicembre del 1969. La musica è del


-187appare a metà strada tra l’accusa e la compassione verso quei latinoamericani incapaci di o impossibilitati a comprendere l’ideologia e la lotta rivoluzionaria di Guevara, e sottomessi agli ordini della Cia e dei militari statunitensi, i veri responsabili della povertà dell’America Latina. La stessa definizione appare tragicamente premonitrice del destino beffardo e crudele che attendeva il Che: poiché nessun ufficiale boliviano e statunitense aveva il coraggio di eseguire la condanna, l’esecuzione fu ordinata proprio ad un soldato semplice boliviano. Vale così la pena, prima di riportare la poesia, ricordare rapidamente quella breve pagina del diario.

Alle 14,30 è transitato un camion con dei maiali che abbiamo lasciato passare, alle 16,20 una camionetta con bottiglie vuote e alle 17 un camion dell’esercito, lo stesso di ieri; nel cassone due soldatini avvolti in una coperta. Non ho avuto il coraggio di sparargli e nemmeno i riflessi abbastanza pronti per bloccarlo; così lo abbiamo lasciato passare. 8

Guitarra en duelo mayor 9

Soldadito de Bolivia, soldadito boliviano,

compositore cubano Harold Gramatges. 8 Ernesto Guevara, Diario del Che en Bolivia, La Habana, Istituto del Libro 1968, tr. It. Diario del Che in Bolivia, Feltrinelli, Milano 1997, p. 127. 9 Chitarra in lutto maggiore.


-188armado vas de tu rifle, que es un rifle americano, que es un rifle americano, soldadito de Bolivia, que es un rifle americano. Te lo dio el señor Barrientos, soldadito boliviano, regalo de míster Johnson para matar a tu hermano, para matar a tu hermano, soldadito de Bolivia, para matar a tu hermano. ¿ No sabes quién es el muerto, soldadito boliviano? El muerto es el Che Guevara, y era argentino y cubano, y era argentino y cubano, soldadito de Bolivia, y era argentino y cubano. El fue tu mejor amigo, soldadito boliviano; él fue tu amigo de a pobre del Oriente al altiplano, del Oriente al altiplano, soldadito de Bolivia, del Oriente al altiplano. Está mi guitarra entera, soldadito boliviano, de luto, pero no llora, aunque llorar es humano, aunque llorar es humano, soldadito de Bolivia, aunque llorar es humano. No llora porque la hora, soldadito boliviano, no es de lágrima y pañuelo,


-189sino de machete en mano, sino de machete en mano, soldadito de Bolivia, sino de machete en mano. Con el cobre que te paga, soldadito boliviano, que te vendes, que te compra, es lo que piensa el tirano, es lo que piensa el tirano, soldadito de Bolivia, es lo que piensa el tirano. Despierta, que ya es de día, soldadito boliviano, está en pie ya todo el mundo porque el sol salió temprano, porque el sol salió temprano, soldadito de Bolivia, porque el sol salió temprano. Coge el camino derecho, soldadito boliviano; no es siempre camino fácil, no es fácil siempre ni llano, no es fácil siempre ni llano, soldadito de Bolivia, no es fácil siempre ni llano. Per aprenderás seguro, soldadito boliviano, que a un hermano no se mata, que no se mata un hermano, que no se mata un hermano, soldadito de Bolivia, que no se mata un hermano. 10

10

[ Soldatino di Bolivia/ soldatino boliviano/ vai armato del tuo fucile/ che è un fucile


-190-

americano/ che è un fucile americano/ soldatino di Bolivia/ che è un fucile americano/ Te l’ha dato il signor Barrientos/ soldatino boliviano/ regalo di mister Johnson/ per uccidere tuo fratello/ per uccidere tuo fratello/ soldatino di Bolivia/ per uccidere tuo fratello/ Non sai chi è il morto/ soldatino boliviano?/ Il morto è Che Guevara/ che era argentino e cubano/ che era argentino e cubano/ soldatino di Bolivia/ che era argentino e cubano/ E’ stato il tuo miglior amico/ soldatino boliviano/ è stato il tuo amico di povertà/ dall’Oriente all’altipiano/ dall’Oriente all’altipiano/ soldatino di Bolivia/ dall’Oriente all’altipiano/ Tutta la mia chitarra/ soldatino boliviano/ è in lutto, ma non piange/ anche se piangere è umano/ anche se piangere è umano/ soldatino di Bolivia/ anche se piangere è umano/ Non piange perché il momento/ soldatino boliviano/ non è da lacrima né fazzoletto/ ma da machete in mano/ ma da machete in mano/ soldatino di Bolivia/ ma da machete in mano/ Col rame con cui ti paga/ soldatino boliviano/ che ti vendi e che ti compra/ pensa il tiranno/ pensa il tiranno/ soldatino di Bolivia/ pensa il tiranno/ Svegliati, che ormai è giorno/ soldatino boliviano/ tutto il mondo è in piedi/ perché il sole è sorto presto/ perché il sole è sorto presto/ soldatino di Bolivia/ perché il sole è sorto presto/ Prendi la strada dritta/ soldatino boliviano/ non è sempre una strada facile/ non è sempre facile né semplice/ non è sempre facile né semplice/ soldatino di Bolivia/ non è sempre facile né semplice/ Ma imparerai certamente/ soldatino boliviano/ che un fratello non lo si uccide/ che non si uccide un fratello/ che non si uccide un fratello/ soldatino di Bolivia/ che non si uccide un fratello]. Nicolás Guillén, Guitarra en duelo mayor, in Meri Lao, op. cit., pp. 158-160-162.


-191-

CONCLUSIONE

E’ difficile trarre una considerazione conclusiva riguardo al mito letterario di Che Guevara; anche perché non esistono criteri fissi di analisi ed interpretazione di una ideologia, di un modo di vivere e di pensare come quelli che hanno contraddistinto Ernesto Guevara. Nel caso poi di un personaggio così “umanista” come il Che, nell’accezione storica del termine, i messaggi e i significati che ognuno coglie nella sua leggenda non possono che essere soggettivi. Si può forse pretendere un giusto approccio intellettuale e morale, e dunque il meno possibile consumistico e folcloristico, all’interpretazione della vita del Che. In questo senso credo sia più utile e semplice riportare le riflessioni che fece sul Che Italo Calvino subito dopo la morte del rivoluzionario cubano.

Io sono qui, seduto nel mio studio, tra i miei libri, nella finta pace e nella finta prosperità dell’Europa, dedico un breve intervallo del mio tranquillo lavoro a scrivere, senza alcun rischio, d’un uomo che ha voluto assumersi tutti i rischi, che non ha accettato la finzione d’una pace provvisoria, un uomo che chiedeva a sé e agli altri il massimo spirito di sacrificio, convinto che ogni risparmio di sacrifici oggi si pagherà domani con una somma di sacrifici ancora maggiori. Guevara è per noi questo richiamo alla gravità assoluta di tutto ciò che riguarda la rivoluzione e l’avvenire del mondo, questa critica radicale a ogni gesto che serva soltanto a mettere a posto le nostre coscienze.


-192In questo senso egli resta al centro delle nostre discussioni e dei nostri pensieri, così ieri da vivo come oggi da morto. E’ una presenza che non chiede da noi né consensi superficiali né atti di omaggio formali; essi equivarrebbero a misconoscere, a minimizzare l’estremo rigore della sua lezione. La “linea del Che” esige molto dagli uomini; esige molto sia come metodo di lotta sia come prospettiva della società che deve nascere dalla lotta. Di fronte a tanta coerenza e coraggio nel portare alle ultime conseguenze un pensiero e una vita, mostriamoci innanzitutto modesti e sinceri, coscienti di quello che la “linea del Che” vuol dire – una trasformazione radicale non solo della società ma della “natura umana”, a cominciare da noi stessi – e coscienti di che cosa ci separa dal metterla in pratica. 1

Calvino coglie in pieno una grande verità: “la finta pace e prosperità dell’Europa”, la convinzione occidentale di essere, in quanto figli della cultura greco-romana e in quanto creatori del cattolicesimo, gli unici destinatari della verità e del potere decisionale nel mondo, appaiono legittimare in noi europei il diritto di giudicare qualunque realtà diversa dalla nostra, qualunque mondo differente, cioè “altro”, dunque inferiore. Anche la cultura degli Stati Uniti, del resto figlia della “grande Europa”, è molto occidentale, nel senso non geografico ma intellettuale della parola. Questo preteso diritto giudicante senza la necessità di conoscere e

1

Pubblicato su un giornale italiano pochi giorni dopo la morte del Che, questo breve testo di Calvino è rimasto praticamente inedito. A Cuba, invece, il testo integrale ( Todo lo que trate de escribir ) fu tradotto e pubblicato alle pp. 9-10 del numero 46 di Casa de las Américas, genn.febbr. 1968. In questo caso invece la citazione è tratta dai Quaderni della Fondazione Ernesto Che Guevara, I, (1998), 1, p. 199.


-193comparare ha prodotto in America Latina una sottomissione politica, economica e culturale enormemente distruttiva per l’intero continente. Di conseguenza non c’è mai stato alcun bisogno di parlare dell’America Latina, della sua storia, delle sue popolazioni, delle sue origini, della sua cultura, perché ha sempre significato essere costretti allo stesso tempo a dover parlare delle colonie, degli schiavi, dei negri, degli indios, della Chiesa, degli indiani, dei meticci, dei creoli, di Arbenz, di Perón, di Somoza, di Pinochet, di Collor de Melo, della Cia ecc. Ernesto Che Guevara con il suo pensiero, la sua parola e la sua azione, che raramente concordano nella vita di un uomo, ha ridato vita, forza e dignità all’America Latina, quella “meticcia”, quella “altra” che noi conosciamo poco; e la paura che anima gli Stati Uniti e l’Europa di fronte a questa evidenza e alla impossibilità di non riconoscere che esiste un’ “altra” America Latina, migliore e più intelligente, ne è la più eloquente conferma. Così si può discutere all’infinito se sia fallita la lotta armata di Ernesto Guevara, la sua guerra di guerriglia, la sua spedizione in Congo e poi in Bolivia, l’idea quasi utopistica di espandere la rivoluzione in tutti i paesi sottosviluppati. Si può sicuramente pensare che la rivoluzione armata del Che è stata un fallimento; ma di certo, nel senso gramsciano del termine, non ha fallito bensì ha trionfato la sua rivoluzione culturale.


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