Immaginare Leonardo

Page 1



IMMAGINARE

LEONARDO

GLI ARTISTI DELLA NUOVA SCUOLA ROMANA interpretano il Maestro Vinciano. La mostra è a cura della Galleria Vittoria, Roma Presentazioni TIZIANA TODI GIOSUè ALLEGRINI FRANCESCO MALVASI con un post di PHILIPPE DAVERIO

Castel Sonnino 21 settembre 2019



Patrocini

COMUNE DI CECINA (Provincia di Livorno)



Partner



Sponsor



I cinquencento anni dalla morte di Leonardo segnano, nel potente simbolismo di una cifra così tonda da iscriversi in quello stesso cerchio che accoglie l’Uomo Vitruviano, un’occasione unica di riflessione sull’attualità di un lascito ideale e artistico che ancora informa di sé il presente e si riafferma capace di guidare il futuro dell’uomo. E come, ad esempio, nell’ideale urbanistico che ispira il quartiere della Venezia Nuova, a Livorno, non è difficile ritrovare molti dei concetti espressi da Leonardo nell’immaginare la città ideale, e come l’architettura stessa dei palazzi che affacciano sui canali rimanda a quei suoi meravigliosi disegni, così dunque Leonardo è infinito nel senso che la cifra stessa con la quale ha segnato la nascita di un mondo moderno, pensato a misura dell’uomo, continua a riverberarsi nel tempo. In questo tempo, il nostro, e in quello che verrà e che ancora non ci appartiene, come fonte di ispirazione inestinguibile. Simone Lenzi Assessore alla Cultura del Comune di Livorno L’Amministrazione Comunale di Cecina è orgogliosa di offrire il patrocinio alla manifestazione dedicata al Cinquecentesimo anniversario della scomparsa del Maestro Vinciano “Leonardo a Livorno” che si terrà nella splendida location del Castel Sonnino aperta solo per l’occasione dando la possibilità agli invitati di apprezzarne la bellezza e l’esclusività. La qualità dell’organizzazione e la singolarità dell’evento fanno sì che possa essere qualificato come uno degli appuntamenti più prestigiosi del nostro territorio. Lucia Valori Assessore alla Cultura del Comune di Cecina



LEONARDO l’ultimo aristotelico e il primo ingegnere. Philippe Daverio



IL NOSTRO ALIENO. Leonardo è stato il nostro alieno più famoso e ci piace pensare che con la sua navicella spaziale ha aspettato che sul nostro pianeta avesse inizio un periodo rivoluzionario, come il Rinascimento, per atterrare. E così è diventato il più grande protagonista del periodo. Ha realizzato le sue innovazioni in tutti i campi in maniera del tutto unica, coniugando l’umano e il divino, tanto da trascendere ogni tipo di confine ed essere punto di riferimento per il pensiero ed il progresso per l’intera umanità. Indubbiamente un genio senza limiti, con un’irrequieta curiosità che l’ha sempre spinto a sperimentare per cercare delle risposte che la sua intelligenza non gli permetteva di tralasciare. Nel periodo rinascimentale dove la parola scienza era inesistente, Leonardo ha avuto grandi intuizioni sull’uomo, il volo, la cosmologia, la biologia, le realtà zoomorfiche e fitomorfiche, materiali e immateriali, scoprendo, inventando, costruendo ciò che ancora oggi ci stupisce. Il disegno era per lui lo strumento fondamentale per indagare la realtà essendo il mezzo più veloce per esprimere le sue riflessioni. Riusciva, attraverso l’uso delle mani, ad esprimere pensieri e idee, ma l’intelligenza e la curiosità lo portava ad una certa incostanza nelle molteplici attività, per cui a volte le sue stesse mani non riuscivano ad essere al passo con le sue riflessioni. Molti lo credevano capriccioso, ma in realtà era un instancabile sperimentatore, con una miriade di interessi. In ogni sua espressione artistica, attraverso il lato filosofico e scientifico mette a nudo il suo spirito di ricercatore, studioso, poeta e pittore, ma spesso tutto questo rimane senza seguito perché già guarda incuriosito oltre. Da innovatore, nell’Ultima Cena non rappresenta solo la scena, ma descrive gli apostoli attraverso i gesti con i quali ne immortala la personalità. La sua raffinata acutezza ritrae i moti dell’animo che ritiene importanti anche in relazione ai segni zodiacali corrispondenti, frutto di suoi studi precedenti. In molti hanno cercato di interpretarla e di comprenderla, ma non si è ancora riusciti completamente a svelare tutto, probabilmente ci mancano le chiavi d’accesso! La sua opera più conosciuta, concreta e tangibile, ma al tempo stesso poetica e sfuggente, il dipinto della Gioconda, è uno degli esempi più eclatanti di opera che mai finisce di affascinare a distanza di secoli. Prima di Leonardo erano stati realizzati certamente molti ritratti, mediante forme, oggetti simbolici e gesti, ma mancano di una tale personalità, di un’anima tanto presente eppure irraggiungibile, misteriosa ed enigmatica nella sua apparente semplicità.


Forse ci troviamo di fronte ad una rappresentazione della sua memoria, ad una fotografia di ciò che non è fotografabile, per così dire, alla manifestazione del paradigma di un pantheon a noi sconosciuto. Leonardo, quindi, non ha finito di stupirci e ci trasmette l’irrequietezza della sua ricerca, ci interroga e ci spinge a cercare ancora per comprendere tutto quello che finora ci è sfuggito. Certamente Leonardo ha rappresentato i suoi tempi, come ogni artista di qualsiasi epoca, senza però attenersi alle convenzioni, ha guardato oltre, ha messo al primo posto della sua vita il frutto dei suoi studi, che vanno ben oltre il valore estetico. Ci ha consegnato “l’oltre” dell’arte, della cultura, della scienza e della meccanica. Grazie al nostro mantenere vive le tradizioni, frutto della nostra cultura, abbiamo metabolizzato tutto ciò che Leonardo ci ha lasciato, ancora oggi ci basiamo sui suoi insegnamenti, le sue osservazioni e i suoi tentativi di rendere la pittura più veloce, i tentativi di volo, i suoi trattati di pittura. Tutto è storicamente tramandato, ma da lui misticamente anticipato e rappresentato. Tiziana Todi


LEONARDO FRA MARE, SCIENZA E ARTE “Non si volta chi a stella è fiso”: questa è la frase che mi lega indissolubilmente a Leonardo Da Vinci; questo è il motto del sommergibile Da Vinci sul quale imbarcai da giovane Ufficiale di Marina nel lontano 1992, a La Spezia, dopo aver frequentato l’Accademia Navale di Livorno, conseguito la laurea in Ingegneria Navale Meccanica a Genova ed aver svolto il corso d’indottrinamento presso la Scuola Sommergibili di Taranto. Dieci anni d’imbarco, vissuti tutt’ad un fiato, seguiti da un ulteriore decennio di cantiere navale, fra collaudi, direzione lavori e prove in mare, per addivenire al mio attuale impiego nel mondo della Storia e dell’Arte. Tutto ciò senza aver mai scordato, purtuttavia, i miei pregressi trascorsi ingegneristici e quindi quell’approccio razionalista di cui Leonardo fu massima espressione, in ogni epoca, e soprattutto avendo sempre scolpito nella mia memoria quello straordinario aforisma vinciano che lessi poco più che ventenne, a chiare lettere plasmate in bronzo, sulla passerella del sommergibile Da Vinci e che da allora in poi ha istruito e diretto l’intera mia esistenza. Ciò premesso, sarebbe stato un piacere iniziare a parlare, fin da subito, del genio artistico di Leonardo da Vinci: dalla pittura alla scultura, tenuto conto della mia pluridecennale militanza nel settore delle Arti Visive. Cionondimeno, in qualità di Direttore dell’Ufficio Storico della Marina Militare, di ufficiale di Marina e di ingegnere, propongo ai lettori di affrontare, almeno inizialmente, il tema leonardesco da un punto di vista diverso rispetto al tradizionale quadro, ben noto fin dal tempo delle scuole elementari. Definire, semplicemente, Leonardo un genio è, oltre che banale, fuorviante. Nessuno, neppure lui, avrebbe potuto ideare o creare dal nulla le proprie opere nelle loro pressoché infinite applicazioni, spaziando dalla meccanica all’idraulica, dalla nautica all’astronomia, dalla matematica alla geometria, dalla fisica all’ottica, dall’architettura all’urbanistica, dalla botanica alla zoologia, dagli armamenti alla metallurgia, passando per l’anatomia, la fisica, gli studi del volo, quelli sulla circolazione del sangue, le macchine per l’intrattenimento ludico e molto altro ancora. In effetti, inventore eccezionale oltre che artista, questo protagonista, praticamente unico nei secoli nel suo genere, sapeva quel che faceva e pensava perché conosceva perfettamente lo stato della tecnologia del suo tempo. Ed è proprio questo il settore e il panorama che mi propongo di descrivere, sia pure a grandissime linee, in questa fase iniziale di dissertazione perché è solo apprezzando correttamente quella che era la situazione a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento che si può comprendere la vera portata, di per sé straordinaria, del progresso che Leonardo assicurò, nel campo della scienza, a beneficio di tutta l’umanità. Nessun uomo, lo ripeto, neppure lui, si muove né tantomeno si è mai mosso nel vuoto assoluto. In altre parole: tutti noi procediamo lungo un percorso assicurando, nel nostro piccolo, un


progresso in quanto uomini di buona volontà. C’è chi compie balzi da gigante (e in questo caso siamo alla presenza di un colosso assoluto quale è il genio vinciano), ma il trampolino, comunque, esiste. Vediamo, dunque, quale fu la base di partenza del nostro straordinario protagonista. La meccanica era, dalla metà del Trecento in poi, una specialità europea intendendo, con questo termine geografico, l’area compresa tra l’Italia, la Francia, il Belgio e la Germania occidentale. I cronisti bizantini, arabi, spagnoli e inglesi ammettevano infatti tutti senza difficoltà, tra il XIV e il XVI secolo, che era impossibile realizzare, da loro, opere - definite incredibili - come gli orologi meccanici e i cannoni. Si tratta di un accostamento apparentemente singolare tra i cannoni e gli enormi orologi pubblici, fiore all’occhiello delle città più moderne del tempo come, dal 1309, Milano, Genova, Bologna, Ferrara e, nel 1350, Pavia. Quest’ultimo era il più avanzato di tutti, un vero e proprio planetario, lodato e studiato da tutti gli astronomi del continente; Parigi seguì non meno di 20 anni dopo e Norimberga alla fine del secolo. La definizione degli orologiai di quel tempo era, peraltro, quella, invariabile e standardizzata, di “magister bombardarum et horologiorum”. Orologi e cannoni erano, infatti, figli della stessa pianta, ovvero il frutto dei progressi della metallurgia conseguiti alla fine del Duecento in quelle stesse regioni dell’Europa continentale studiando, in maniera tutt’altro che empirica, le proprietà dei vari tipi di rame ed acciaio, oltre alla dilatazione termica dei metalli e ai fenomeni di elasticità, resistenza, compressione e strappamento. Ciò aveva permesso di realizzare, a un tempo, sia i nuovi meccanismi, dalle ruote dentate alle catene fino ai ritardatori e alle molle, sia le canne e gli affusti dei primi pezzi d’artiglieria. L’archeologia subacquea ha dimostrato che si trattò, in realtà, di una riscoperta, in quanto l’incredibile macchina di Anticitera, un sofisticato calcolatore meccanico risalente al terzo secolo avanti Cristo e utilizzato dai marinai di quel tempo per la navigazione d’altura, disponeva già delle necessarie ruote dentate realizzate in lega. Si trattava, però, di una tecnologia nota, nell’antichità, a solo poche dozzine di persone per generazione le quali si tramandavano gelosamente i relativi segreti da padre in figlio e scomparsa, nei secoli bui successivi alla caduta di Roma, fino a perderne lo stesso ricordo. Ed è a questo punto della storia che l’uniforme che indosso assume il proprio pieno significato. La nave, qualsiasi nave del proprio tempo, è - da sempre - il più sofisticato, avanzato e diffuso prodotto tecnologico del momento. Anche le odierne imprese spaziali non sono che un sottoprodotto, regolarmente in ritardo, di questa realtà. Analogamente le missioni della Marina non cambiano mai, si tratti della difesa dello Stato e della sua economia (il 90% del valore del traffico italiano e mondiale avviene sui mari) o dell’assistenza umanitaria. Mi permetto infine di citare un nome per tutti: Plinio il Vecchio, l’erudito per eccellenza e ammiraglio di Roma, morto al comando della flotta di Capo Miseno e del Mediterraneo occidentale in occasione del soccorso immediatamente prestato (perché nulla è più rapido, capiente, già organizzato e sempre pronto come le navi di una Squadra) delle popolazioni di Ercolano e Pompei in


occasione dell’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo. Gli orologi nacquero, pertanto, per esigenze navali evolvendo infine, nel Settecento, nei moderni cronometri, indispensabili per il calcolo della longitudine. I primi cannoni furono studiati per essere utilizzati anch’essi a bordo delle navi e vennero impiegati, per la prima volta, a Southampton, nel 1338, quando i genovesi abbatterono, a cannonate, la grande e, apparentemente, impenetrabile porta dal mare in bronzo di quella città, per poi irrompere e conquistarla nel corso della Guerra dei cent’anni. Leonardo, uomo di genio, utilizzò al meglio la tecnologia disponibile al tempo intuendo applicazioni nuove e originali in buona parte indirizzate - non a caso - verso l’ambiente marino e fluviale, si trattasse di sommergibili, draghe, scafandri da palombari, traghetti, imbarcazioni a pale, dei navigli milanesi, di canali e opere idrauliche varie, anche colossali, e dell’architronico, nucleo fondamentale della macchina a vapore che non ebbe il tempo, purtroppo, di sviluppare. Non creò dal nulla ma proseguì a passi da gigante, conviene ripeterlo, l’eterno progresso dell’umanità trovando, nel mondo a cui mi onoro di appartenere da ufficiale, ingegnere e uomo, la creta, la balsa e forse qualcosa di più, con cui realizzare i propri modelli. Ciò premesso, noi sappiamo benissimo che Leonardo si occupò pressoché di tutto, che scoprì o inventò tutto o quasi, ma, diciamolo francamente accettiamo queste cose esattamente come accettiamo che Prometeo rubò il fuoco agli Dei, cioè facendo entrare Leonardo nella categoria dei miti. Ma non solo, questo incredibile scienziato toscano fu anche un immenso pittore. Basti pensare che sia le teorie scientifiche relativiste einsteiniane, come pure il cubismo pittorico picassiano, furono un’ineludibile conseguenza del razionalismo leonardesco, preconizzatore - per dirla alla Alfred Barr - del filone razionalista afferente alla Geometrical Abstract Art. Inoltre nei ritagli di tempo Leonardo dava anche preziosi consigli e insegnamenti di architettura ai vari Le Corbusier e ai Nervi della sua epoca: basti pensare all’uomo vitruviano, alla sezione aurea, passando per lo sviluppo urbanistico della città ideale, le idrovie e le chiuse idrauliche, le fortezze inespugnabili, i ponti girevoli e altro ancora. Tornando all’argomento della sua pittura il profano ha sentito spesso parlare di sfumato, di composizione piramidale, di atmosfera misteriosa e inafferrabile, di compenetrazione tra luce e ombra. Tutte queste cose esistono, è vero, ma costituiscono tutt’al più la superficie o i mezzi tecnici dell’arte leonardesca che esprime qualcosa di altro, di irripetibile, di particolare ed universale al tempo stesso. L’artista Leonardo dice, infatti, a tal proposito che il pittore è “signore d’ogni sorta di gente e di tutte le cose” e che “la deità che ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina”. Ecco, dunque, il vero valore dell’opera vinciana mossa dalla coscienza della mutevolezza della realtà fenomenica, esattamente analoga a quella che lo scienziato ebbe fortissima della mutevolezza della realtà


fisica. Qui risiede la grandezza assoluta di Leonardo Da Vinci: Homo Novus rinascimentale ad litteram; ossia Uomo Universale che sviluppa pienamente le facoltà dategli da Dio, che conosce a fondo le arti più diverse, le domina e le coltiva scientemente e che si avvicina il più possibile nel soggiogare la terra a sé, lasciandosi alle spalle l’eredità medievale dell’umana sottomissione dell’Immanente al Trascendente e della perenne espiazione terrena della carne, in forza del peccato originale, come preparazione a una vita posteriore alla morte, come mezzo di raggiungimento della salvezza eterna. Con Leonardo, più che ogni altro, si ribalta questa visione del mondo d’impronta medioevale, la Ragione prende il sopravvento sull’Emozione, o quantomeno inizia a competere con Essa ad armi pari, spalancando così le porte a Spinoza, al Razionalismo filosofico e all’Illuminismo, da cui discende la Società Moderna. Si parla, dunque, del pittore e la mente corre insieme al pensatore e ciò è dovuto al fatto che il genio del pittore e quello dello scienziato si sommano senza soluzione di continuità. Se in aggiunta a ciò siamo disposti ad ascoltare le testimonianze storiche di persone degne di fede che ci riferiscono che solo in fisica pura, in meccanica ed idraulica Leonardo è titolare di oltre centocinquanta studi organici che più tardi perfezioneranno Galileo, Huyghens, Pascal, Newton e Coulomb e che avrebbe potuto depositare un centinaio di brevetti; se pensiamo che Egli fu prima di Bacon il vero assertore del metodo sperimentale da cui è nata tutta la nostra civiltà, allora comprenderemmo veramente la grandezza immensa di Leonardo Da Vinci; tornando così a Prometeo e quindi al mito universale. L’universalità rappresentava, del resto, per Leonardo l’ideale di una formazione completa, eclettica, e già formulata nell’ellenismo da Enciclio nella sua Paideia. Un’universalità che si manifesta palesemente non appena si tenta di risalire dai risultati alle premesse e al tipo di rapporto ch’Egli instaura tra Pratica e Teoria, e più largamente tra Arte e Scienza: perché la Scienza vale sì, in primo luogo, a designare il rigore metodologico che lo scienziato Leonardo esige dal Leonardo pittore, ma subito dopo gli pone anche il problema di una nozione scientifica della natura stessa. E questa natura, elevata a scienza e tanto più amata quanto più svela la matematica necessità dei suoi comportamenti, fornisce il fondamento stesso della sua concezione del mondo, diventando altresì il tema primario della sua ricerca e il contenuto stesso della sua visione di pittore e di scienziato. Del resto Leonardo è l’uomo che disse “facil chosa è farsi universale”. Egli possedeva, infatti, una curiosità inestinguibile, che era poi quella del suo stesso secolo, e possedeva il furore di estinguerla. Egli vedeva il nesso fra cose lontane e che al comune distratto mortale appaiono del tutto distinte, autonome. Sotto i suoi occhi il mondo si stendeva in tutta la sua complessità e al contempo la sua mente ne spiegava le ragioni e ne smontava il meccanismo; lo spazio si riempiva così di tutte le relazioni, di tutti i movimenti e delle tracce che lasciavano questi movimenti. Il termine “grossezza dell’aria”, spesso utilizzata


da Leonardo, è da intendersi al contempo come l’atmosfera sia piena di palpiti naturali e sia come la rappresentazione pittorica del mondo non possa avvenire senza un costante incontro-penetrazione con la Natura, correlata allo stupore che si rinnova davanti ad essa: dal macrocosmo celeste al microuniverso dell’intimità. L’artista-scienziato Leonardo diventa così un pioniere dell’ignoto, un’avanguardista del Sapere, in un’epoca costantemente assetata di Assoluto. Venendo, poi, ai secoli più recenti, la sua influenza fu enorme e determinante. La sua concezione della grossezza dell’aria, la sua ombra, il suo sfumato, stanno alla base del colorismo veneto, di Velasquez, di Rembrandt, degli Impressionisti. Giungendo poi al secolo breve, Cubismo, Futurismo, Pittura Astratta, Surrealismo, Suprematismo, e molto altro ancora, non sono che i tentativi per rappresentare quelle intime connessioni dell’essere umano con l’Universo e l’Assoluto che Leonardo, scienziato e pittore, intuì e seppe ricreare nel volto ineffabile della Gioconda, nella Vergine delle Rocce, come pure nell’Annunciazione, nell’Ultima Cena e in molti altri suoi capolavori. Certamente la straordinaria qualità innovatrice di quella concezione e visione, che fece del naturalismo o scientismo leonardesco l’atto di nascita della scienza moderna - non fosse altro per la chiarezza con la quale egli intuì la relazione tra fenomeno, legge e riporto sperimentale - comportò una vera e propria rivoluzione, che si protrae tutt’ora, all’interno dell’eterno problema dei rapporti tra Arte e Realtà. Cita Leonardo a proposito “la pittura rappresenta al senso, con più verità e certezza le opere di natura”. Con questa affermazione il genio vinciano - che perfeziona gli esperimenti Quattrocenteschi sulla prospettiva, mettendone allo studio ulteriori tre: prospettiva delle diminuzioni dei corpi in distanza, dei colori, e prospettiva aerea - pare realizzare il sogno superbo d’un pieno dominio figurativo del reale: ossia risalire dall’esterno d’una natura solo rispecchiata e mimesi del dato reale, verso l’interno di una natura indagata nelle sue cause, attraverso il metodo sperimentale, che traduce i problemi dell’imitazione dell’arte in problemi di conoscenza e di scienza. Ammiriamo, dunque, l’uomo come ammiriamo la sua somma creatura, la Gioconda, con la mente per un attimo tormentata da mille interrogativi, e ce ne discostiamo perché gli interrogativi sono troppo complicati, pur essendone straordinariamente affascinati, dal riflesso dell’idea pura di emozione, di bellezza, in cui tutte le realtà si fondono, si contengono e si sublimano. Del resto “la bellezza ha tanti significati quanti stati d’animo ha l’uomo”, citava Oscar Wilde, e renderli manifesti attraverso la narrazione della propria opera significa esplicitare il resoconto di un’anima. Un’anima che sublima a sé una storia durata più di ventimila anni, completa di esperimenti e provocazioni, suddivisa in atti e scene con ricche caratterizzazioni, ribaltamenti, intuizioni, improvvisazioni, colpi di scena e catartiche riflessioni, quale quella proposta dallo spirito innovatore, unico, assoluto e irripetibile di Leonardo da Vinci. Giosuè Allegrini



LEONARDO A LIVORNO. Quando agli inizi di quest’anno Progetto Editoriale ha deciso di organizzare una manifestazione nazionale a Castel Sonnino dedicata a Leonardo nella ricorrenza del cinquecentenario della sua scomparsa, oltre ad un convegno di alto livello si è pensato fin da subito di allestire in contemporanea nello stesso sito una mostra d’arte che prendesse ispirazione dalla figura, nonché dall’opera del grande Maestro fiorentino. Non potevamo certo sapere allora che si sarebbe trattato, almeno fino ad oggi, dell’unico evento di questo tipo a livello internazionale. Questa consapevolezza se da un lato ci lascia un po’ interdetti per un comprensibile senso di responsabilità, dall’altro ci rende orgogliosi per un’iniziativa di profilo che vede protagonisti i tanti partecipanti insieme agli artisti che hanno dato vita a questa esclusiva rassegna. Saranno presentate infatti più di trenta opere di altrettanti autori, alcuni di loro di notorietà ormai consolidata, altri facenti capo alla Nuova Scuola Romana e alla storica Galleria Vittoria di via Margutta, altri ancora emergenti ma di sorprendente talento. Ritengo che in alcuni casi ci si trovi di fronte a realizzazioni di forte spessore, direi senza remore veri e propri capolavori se questa mia personale convinzione non rischiasse di risultare stonata nella naturale proiezione di contesto del paragone leonardiano. Stili e scuole diversi, particolari inclinazioni nel segno, nella tecnica come pure nell’uso della colorazione, si ritrovano così a confronto in una eccezionale occasione dell’immaginario nell’attualizzazione di un percorso quasi mitologico sulle tracce di un “genio misterioso” eppure tanto familiare nella sua immediatezza. Una sorta di viaggio onirico in cui l’approccio a volte sembra risentire sensibilmente del carico di suggestione che Leonardo sprigiona anche soltanto nell’accostamento di pensiero. Non c’è timidezza ma una evidente emozione, che insieme al proposito convinto di volersi misurare con un tema così complesso, non può non generare curiosità ed interesse in un attento osservatore. Ci auguriamo che altrettanto possa essere per gli ospiti e i visitatori della Mostra “Immaginare Leonardo”, pensata per essere di fatto itinerante dopo l’inaugurazione di Livorno, con una serie di tappe a seguire fra cui Roma ed appunto la Galleria Vittoria. Anche per questo abbiamo voluto realizzare un Catalogo a corredo in elegante veste grafica che riporta tutte le opere in esposizione e la scheda informativa di ogni singolo artista. Il Catalogo che si avvale di prestigiose presentazioni, intende inoltre essere strumento di più larga diffusione di un appuntamento da ricordare sicuramente nel tempo, magari trasformandosi esso stesso in un prezioso reperto da collezione e di memoria. Sullo sfondo dopo la straordinarietà di convergenze di questo evento difficilmente ripetibile, rimarranno imperscrutabili il Castello e Leonardo quali testimoni silenziosi dello scorrere di questo nostro tempo che si interroga con qualche affanno sul futuro, specchiandosi sempre più spesso però nelle vestigia del passato. Francesco Malvasi




Nasce a Roma nel 1983 dove vive e lavora. Nel 1999, Lo Specchio Pubblicità utilizza i suoi lavori per i propri calendari promozionali. Nel 2002 consegue la maturità artistica e nel 2008 si laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma nel corso di Costantino Baldino. Che siano paesaggi urbani o figure, le opere di Chiara si rendono evidenti in un progetto in cui il colore gioca un ruolo d’importanza primaria. Il pensiero è manifestato attraverso combinazioni emotive in un’intensità auto-espressiva con riferimento alla forma, dove la linea, il colore e la figura perdono il loro significato, volendo sorprendere, con l’obiettivo di eleggere la materia a ruolo fondamentale, giacché portatrice nell’immagine di una espressione efficace, che rappresenta la comunicazione. ... La raffigurazione della sua pittura è in apparenza casuale senza forme definite. La macchia è espressione evocativa, la scelta dei soggetti d’altra parte, denuncia un’inclinazione al dialogo con se stessi, emanando dalle opere, dopo un’attenta visione, un fascino sottile e inconfondibile che porta una dimensione diversa dove tutto si fonde in un nuovo stato d’essere. ... Materia, segno, gesto esplodono sulla tela con immediata vitalità. ... Da Platone in poi la polarità forma-materia è la dicotomia presente nella nostra cultura, magma informale dell’energia primordiale, proiettandole nello spazio della composizione. (Tiziana Todi)

CHIARA ABBATICCHIO Leda e il Cigno, 2019 Olio su tela, cm 70x100



Xante Battaglia nasce a Gioia Tauro nel 1943. Vive e lavora a Milano. Artista legato prevalentemente al movimento della figurazione concettuale, di rinomanza internazionale. Sviluppa un suo stile personale rifacendosi all’arte arcaica; le sue “velate”, immagini di donne stilizzate, sono l’icona ricorrente delle sue opere e vengono dedicate alla Grande Madre. La ripetizione quasi ossessiva di quest’icona porta l’artista a raffigurarla su ogni immagine o supporto spaziando fra scultura, fotografia e nuove tecniche, ma anche personalizzando a spray una Rolls Royce. Poliedrico ed eccentrico, tanto da demistificare continuamente il potere, è anche un artista critico, che esprime il suo modo di pensare attraverso opere che spesso impiegano personaggi noti del panorama internazionale, rendendoli parimenti oggetto di una negazione assoluta, qual è il gesto dello sfregio pittorico, in modo da demistificarne il mito correlato. Carmelita Brunetti nel suo libro “Dalle Neoavanguardie all’Arte Elettronica” ha scritto: “Basta pensare che dal ‘67 Xante Battaglia incomincia a “sfregiare” i Miti (l’Austriaco Rainer viene dopo) e con gli Oggetti Binari del ‘77 addirittura anticipa Jeff Koons. Il suo sfregio demistificatorio su Papa Montini è del ‘68, solo molti anni più tardi Cattelan lo farà con Giovanni Paolo II. Storicamente la Transavanguardia è stata anticipata da Battaglia e Warhol nel gennaio ‘77 a New York”. Già titolare della prima cattedra di Pittura alle Accademie di Belle Arti di Brera a Milano e di Venezia, ha esposto, alla Bonino Gallery di N.Y., alla Biennale di Venezia, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, al Palazzo della Permanente e a Palazzo Reale a Milano, al Grand Palais di Parigi. Gli sono stati dedicati 15 libri con scritti di: Tapié, Restany, Battcock, Messer, Argan, Buzzati, Zevi, Bossaglia, Zimmer. Storica è la sua mostra di Visual Poetry alla Galleria Apollinaire di Milano nel ‘77 curata da Restany. Nell’ambito dell’arte Metalinguistica ha creato uno stile binario che va oltre Duchamp, la Pop Art, Fluxus e la Poesia Visiva Tradizionale.

XANTE BATTAGLIA Iconocubo, Omaggio a Leonardo, 2019

Applicazione di immagini, realizzate con tecnica tipografica, su cubo in sospensione, cm 50x50x50



Tiziana Befani nasce a Roma, dove vive e lavora. Artista e Art Director esperta in comunicazione, grafica editoriale e web, si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma esercitando fin da subito la sua attività in agenzie pubblicitarie e case editrici. Da sempre nel mondo creativo, conosce importanti illustratori come Maoloni e Caia e artisti quali Gino Marotta, Cesare Tacchi, Franco Piruca e i pittori della “Nuova Maniera Italiana” con i quali collabora ed espone in varie mostre negli anni ‘90. Incontra storici e critici d’arte tra cui Giuseppe Gatt, Domenico Guzzi, Sergio Guarino e successivamente Giorgio Di Genova, Philippe Daverio e Vittorio Sgarbi. Nello stesso periodo conosce Tonino Guerra poeta, scrittore e sceneggiatore di Federico Fellini, partecipando ad una mostra da lui organizzata a Pennabilli: “Il Dopocena dell’Ultima Cena”. Tema riproposto, ma realizzato con nuove tecnologie, anche nell’opera esposta in questa mostra dedicata a Leonardo. Dall’esperienza pittorica e accademica, con realizzazioni a tempera e ad olio seguendo la tecnica del ‘400 “a velature”, passa poi a quella apparentemente contrapposta del computer utilizzando programmi per immagini inizialmente per il ritocco fotografico, l’impaginazione e le lavorazioni grafiche necessarie per editoria e pubblicità, poi applicando questa esperienza alle immagini non solo fotografiche ma anche pittoriche, con un lavoro complesso e di ricerca. Le composizioni vengono quindi “smontate e rimontate” con l’inserimento di oggetti provenienti dall’esperienza personale e dalla storia dell’arte, ricostruendo un bagaglio visivo dell’artista aggiornato e quasi catalogato, che crea una sorta di “linea grafica” della vita. Premio Sulmona 2017. Rospigliosi Art Prize 2019. è presente negli Archivi Storici della Quadriennale, del Macro di Roma e nella Collezione di Arte Contemporanea della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani.

TIZIANA BEFANI Il Dopocena dell’Ultima Cena, 2019 Pastelli ad olio su digitale. Carta montata su pannello, cm 90x110



Sonia Bellezza nasce in Calabria a Lamezia Terme. Da qualche anno ha lasciato la città e ha scelto di vivere in una campagna sul mare alla ricerca di un mondo più silenzioso e di ritmi più lenti e pacati. In questo contesto agreste e a stretto contatto con la natura nascono le sue opere in un gioco di colori e strati di stucco con tecniche perfezionate negli anni che le consentono di ottenere effetti particolari e inusuali. Non c’è ordine e non ci sono regole nei suoi lavori, ogni quadro ha una sua storia improvvisata ed unica, ogni quadro rappresenta l’espressione di un sentire profondo fatto di luci e ombre. Amante della materia dipinge usando le mani, la spatola o accessori di vario tipo ma non usa i pennelli. I suoi soggetti in bassorilievo sono spesso introspettivi dalle tinte sobrie e delicate che prendono forma tra colori e sfumature dettate dallo stato d’animo del momento. Dal 2009 inizia ad esporre i suoi quadri realizzati con lo stucco, tecnica che poi caratterizzerà tutte le opere future ed attuali.

SONIA BELLEZZA Leonardo da Vinci, 2019

Tecnica mista a bassorilievo su base di stucco, cm 100x89



Daniella Castellani ha una lunga esperienza lavorativa nel campo della moda e del disegno tessile. Negli ultimi anni le sue opere sono state esposte presso musei e sedi istituzionali di Roma tra cui il Macro ed il Teatro dell’Opera (2013-2014) in occasione dello spettacolo “Il lago dei cigni”. Nel 2015 la sua opera RED realizzata con oltre 700 rose rosse di organza di seta lavorate a mano, è stata protagonista di una campagna social “Di che colore è oggi il tuo cuore?” supportata dalla famosa cartoleria Vertecchi, in via della Croce a Roma durante la settimana di San Valentino. Nel 2016 inaugura la prima mostra personale “Il mio tempo” presso l’Accademia di Costume e Moda a Roma. In questo progetto voluto a scopo didattico dall’Accademia, l’artista racconta, attraverso tele di grande formato, installazioni e tracce sonore il proprio percorso creativo caratterizzato da un uso raffinato ed elegante del tessuto, testimonianza della sua esperienza pluriennale nella moda. Nel 2018 la Galleria Vittoria di Roma le dedica la mostra personale “Orbs” dove Daniella presenta le sue opere più recenti che vedono la combinazione di figure antropomorfiche e rigori geometrici che si incontrano armonicamente creando illusioni ottiche che incantano il fruitore in un mondo sospeso fra bellezza e mistero. Nell’estate 2018 espone l’installazione dei bastoni “Passaggi” nella mostra organizzata dal Comune di Monte Argentario presso Forte Stella di Porto Ercole. In quest’opera l’artista indaga un nuovo concetto di sostegno e trasformazione interiore lavorando il legno con motivi geometrici, figure anatomiche e simmetrie. Attualmente Daniella Castellani sta lavorando al nuovo progetto artistico Trame.

DANIELLA CASTELLANI Orbs blu, 2017

Acrilico su tela e inserti tubolari in seta, cm 120x120



Stefania Catenacci, in arte Cate, nasce a Roma nel 1971 da una antica famiglia abruzzese, stanziata nella capitale da tempo. Le sue tele sono percepite come degne di nota per l’espressività immediata e l’originalità delle composizioni a olio che provengono per impostazione dalla cultura acquisita nel campo fotografico. La sua pittura è un vortice di figure femminili. Nell’ideazione di un quadro medita quello che è il suo approccio tra il reale e l’onirico, affinché alcuni suoi visi siano come distratti, altri come sognanti, altri ancora come tormentati, e spesso le sue figure si presentano di schiena quasi a voler nascondere una leggibilità fisica totale. Quindi mostrano il viso voltandosi o di sottecchi. Un modo tutto suo per esprimersi poi con grande cura nella definizione dei particolari. Proprio quei particolari che danno un significato di leggibilità alla sua arte. “La pittura di Cate ha uno stile del tutto personale, le pennellate veloci e sicure sono come in movimento, la sua forza è nell’idea surreale, ma giovane e fresca, i colori che usa sono quelli primari, vivi, luminosi e chi osserva le sue opere ne è inevitabilmente attratto”. (Annamaria Polidori) “L’artista si cela e al tempo stesso si identifica con ciò che ritrae, come gli emanuensi che inserivano la propria immagine nei codici miniati, imprimendola nella tela e così svelandosi a noi. Sentimento, carattere, personalità si trasformano in pennellate creatrici. In questo modo l’artista dialoga con l’osservatore fino a suscitarne grande coinvolgimento ed entusiasmo, senza sottrarsi al gioco segreto della vita attraverso una sorta di specchio interiore. Ogni sua opera indica il suo stato emotivo. Ogni quadro ci parla, ci prende per mano e, attraverso il suo sentiero interiore, ci conduce con fermezza, ma con garbo, nel suo mondo nascosto”. (Tiziana Todi)

STEFANIA CATENACCI Lei, 2019 Olio su tela, cm 60x80



Amalia Cavallaro nasce a Melito di Porto Salvo nel 1973. Dopo aver conseguito il diploma di Liceo Artistico nel 1995 frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma specializzandosi in scenografia. Nel corso della sua formazione consegue l’abilitazione all’insegnamento delle discipline di Educazione Artistica e di Disegno e Storia dell’Arte. In seguito approfondisce i suoi studi frequentando diversi master relativi all’insegnamento: Elementi di Didattica, Strategie e Tecniche della Didattica, Insegnamento della Storia Dell’Arte e Didattica Teatrale. Nel 2010 partecipa al gruppo di stesura del volume intitolato “Dallo Scarabocchio alla Biografia” in collaborazione con la professoressa Bruna Baldassarre, edito da Natura e Cultura Editrice. Il testo, rivolto agli insegnanti, ai genitori, agli adolescenti, affronta il tema della conoscenza di sé attraverso un originale percorso grafico figurativo basato sul metodo steineriano. Attualmente titolare di cattedra, organizza laboratori didattici inclusivi finalizzati alla sperimentazione creativa mediante la manipolazione di materiali naturali. Negli ultimi tempi la sua ricerca si è estesa allo sviluppo di un lavoro personale incentrato sull’impiego della carta. In particolare la sua attitudine alle creazioni multimateriche è imperniata sulla frammentazione di particolari di riviste e giornali d’epoca, riadattati su dei supporti di legno e combinati mediante l’utilizzo dei colori acrilici. La sua storia personale divenuta il fulcro della sua indagine, offre un inedito punto di osservazione favorendo la “narrazione fragile” e frammentaria di inconsueti accaduti.

AMALIA CAVALLARO Il Messere in Epoca di Tempo, 2019 Tecnica mista su tavola, cm 60x80



Francesca Cervelli nasce a Roma dove risiede e lavora. Inizia a lavorare appena finiti gli studi all’Istituto Europeo di Design di Roma, come libero professionista, con Agenzie Pubblicitarie per importanti committenti come il Messaggero, Agip e Erg Petroli, Guess, Emmezeta ed altri. Oltre al lavoro di illustratrice affianca quello di grafica e di impaginatrice per Case Editrici ed Agenzie Pubblicitarie. Lavorando a stretto contatto con alcune di esse, negli anni si allontana per un po’ dal disegno per occuparsi di tutto il processo di lavorazione, a partire dai materiali, al costo, alla produzione, sino ad arrivare al prodotto finito. Ma la passione per il disegno e la pittura riemerge dando vita alla creazione di opere ad acquarello e ad olio, continuando a lavorare come artista indipendente.

FRANCESCA CERVELLI Dama con Ermellino, 2019

Acquarello su carta, cm 35,5x50



Claudio Cignatta nasce nel 1954 a Travasò Siccomario, borgo tra le rive del Po e del Ticino. Vive e lavora a Voghera, dove svolge l’attività di medico di base; la sua formazione artistica avviene “a bottega“, una passione coltivata dagli anni del liceo e poi, stimolata dall’apprezzamento di critici e artisti già affermati come Lusardi, Grassi, Gasparini, Mainoli, Novaresio che frequenta e con i quali collabora negli anni ‘80 e ‘90 a quella fucina artistica che è stato il laboratorio del litografo Miles Fiori per la realizzazione di numerose cartelle litografiche tirate al torchio dal maestro. Nel corso degli anni ha esposto in numerose gallerie, sia con mostre personali che collettive, sviluppando un suo personalissimo linguaggio espressivo fatto di ricerca tecnica e di contenuti che si palesano in quel “transrealismo animistico” da lui stesso definito quale “reinterpretazione del dato oggettivo attraverso le suggestioni del vissuto”. Nel 2014 progetta il monumento ai caduti sul lavoro posto in Piazza Meardi a Voghera. Nel 2017 partecipa alla mostra “Pro Biennale” a Venezia, presentata da Vittorio Sgarbi, qui è fra i cinque vincitori della manifestazione e una sua opera viene poi esposta alla Cript Gallery di Londra; ancora nel 2017 a Palazzo Leti Sansi di Spoleto riceve il premio speciale “Arte Contemporanea“ dalla giuria del premio “Spoleto Arte”. Attento e interessato a tutto ciò che è cultura è socio fondatore di “CulturAma“ associazione che da anni organizza eventi socioculturali nella città di Voghera. Socio anche del Lion Club Voghera Host di cui è stato più di una volta presidente, Claudio Cignatta, in veste di scrittore, ha pubblicato, insieme ad altri amici di penna, una raccolta di racconti dal titolo “Il gusto di scrivere”.

CLAUDIO CIGNATTA Signo Genius, 2019

Olio e pastelli su tela, olio su tavoletta. Collage - frottage - grattage, cm 90x60



Alessandro Cignetti nasce a Roma, nel 1943. Sin dall’età di 15 anni si interessa di arte e disegno in maniera del tutto autonoma. Negli anni sessanta frequenta il Caffè Greco assistendo agli incontri culturali di artisti famosi fra cui Giorgio De Chirico. Coltivando ed approfondendo questa innata passione artistica. Prosegue questo destino favorevole al Bar Rosati di Piazza del Popolo dove usa riunirsi la Scuola Romana. Quindi decide di sperimentare l’arte attivamente, essendo già un professionista in un altro settore. Cignetti è un Medico, e decide di prendere lezioni da artisti e docenti nel proprio studio, i quali lo instradano sulla via artistica già intrapresa. Dal 1980 realizza le sue opere sia su tela che su carta e nel 2009 pubblica con la casa editrice Bora, il volume Astratto Concreto con il critico d’Arte Luigi Tallarico. Nel 2016 con Gangemi Editore invece pubblica il volume Alessandro Cignetti opere dal 2000 al 2015 con il critico d’Arte Mariano Apa. Cignetti prosegue il suo lavoro artistico presso il proprio studio di Roma, producendo lavori astratti o figurativi, incisioni e sculture.

ALESSANDRO CIGNETTI Omaggio al Genio, 2019

Tecnica mista su tela, cm 100x100



Daniele D’Amico è nato a Roma dove vive e lavora. Si forma all’Accademia di Belle Arti di Roma seguendo i corsi di Sandro Trotti e Sergio Lombardo. Nell’ambiente romano ha modo di conoscere e frequentare Ugo Attardi, che non poco influenza le sue ricerche pittoriche. Dal 1996 ha iniziato ad esporre presso l’Associazione Culturale “La Guida” di Roma e successivamente ha allestito mostre personali in Italia e partecipato a selezionate rassegne collettive all’estero. Segnalazioni e recensioni critiche sono apparse su: City, Il Corriere Adriatico, Il Corriere Laziale, Il Giornale, Il Messaggero, Il Tempo, Image, La Repubblica, La Sponda, Latina Oggi, Leggo, Metro, Paese Sera, Roma C’è, Segni d’arte, ed altri. Della sua pittura hanno scritto e parlato: Mario Ursino, Sibilla Panerai, Miriam Castelnuovo, Mauro De Giosa, Nicolina Bianchi, Marzia Allegrini, Caterina Manca di Villahermosa, Tiziana Todi, Sandro Trotti, Ugo Attardi, ed altri. Per i suoi quadri Daniele D’Amico usa prevalentemente acrilico o olio su tela. Non sono solo le ambientazioni ben precise a catturare l’osservatore, bensì pochi singoli elementi. Il linguaggio è semplice ed essenziale. Un sottile smalto di forme, linee geometriche, rigorosamente in grigio e nero fa da contrappunto alle superfici colorate. Ogni tela rappresenta uno spazio ben identificabile ma dal carattere delicatamente onirico. Come da un sogno infatti, emerge l’immagine archetipo della nostra fantasia metropolitana pulsante di vita. Daniele D’Amico attua inconsapevolmente la corrispondenza tra i sette colori primari e le note musicali già teorizzata da Newton e storicamente consolidata nel rapporto di amicizia tra il musicista Schönberg e Kandinsky. Sono proprio i colori, distribuiti con parsimonia, le note che compongono la musicalità dei quadri di Daniele D’Amico.

DANIELE D’AMICO Riflessi, 2019

Tecnica mista su tela, cm 60x80



Sonia De Rossi è nata a Roma. Dopo aver conseguito la maturità artistica si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Roma, nel corso di pittura tenuto dal Maestro Gino Marotta. Vive ad Anguillara Sabazia e lavora a Bracciano dove insegna Arte e Immagine. Nel corso degli anni ha partecipato a numerose mostre collettive, premi e mostre personali. Il vero compagno di strada di Sonia De Rossi, Max Ernst, diceva: il ruolo dell’artista si riduce al potenziamento delle immaginazioni della mente ed egli è semplicemente lo spettatore, colui che contempla il farsi stesso della propria opera. Sonia De Rossi risponde a Max Ernst usando l’unica tecnica possibile, non pensare all’arte e giocare questo appassionante mito di Sisifo: fare e disfare sempre la stessa cosa che è poi un discorso logico matematico sul caso. Nel cerchio magico che torna a rinnovarsi in ogni foglio, l’artista si lascia vivere senza ritenersi il demiurgo e neanche il grande stregone ma semplicemente la rotella “trasgressiva” del sistema così perfetto del nostro secolo. Sonia De Rossi è il medium di uno psicodramma (transfert) automatico, di una psicologia del profondo. Il mondo onirico come aspetto di una realtà globale, contatti con la chimera dell’occulto, rapporti con la matematica dell’erotismo. La tecnica vuole fissare oggettivamente quel mondo frenetico di adolescente sdoppiata, quella frenesia malinconica. è una tecnica che tende sempre a sdoppiare (l’arte et son double, direi con Artaud). Non si tratta mai di sovrapposizioni critiche o di brillanti paradossi adatti a qualsiasi pittore fantastico. I fogli di Sonia sono un semplice collage delle idee scritte o traslate nei titoli dei suoi quadri. Possiamo così osservare l’andirivieni incessante d’un visibilio attraverso incontri e scontri con quelle voluttuose apparizioni vaganti nella fatalità casuale degli attimi. (Carlo Cattaneo)

SONIA DE ROSSI Gea, 2019

Disegno su carta con pastelli cretosi, cm 50x65



Roberta Di Sarra è nata a Roma nel 1960. Vive a Colleferro (RM) e insegna Arte e Immagine nella vicina Valmontone. Dopo aver conseguito la maturità artistica, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove si diploma nel corso di pittura tenuto dal Maestro Gino Marotta. Ha partecipato, nel corso degli anni, a varie mostre collettive. Di Sarra ha lavorato molto in passato con la tecnica ad olio con velature su tela, realizzando dipinti dedicati a particolari oggetti e a giocattoli antichi. Molte sue opere sono invece disegni a pastello su carta, con colori delicati e grande precisione e oggettività nell’immagine. Esiste un forte pensiero in Roberta Di Sarra: leggere le sensazioni e portarle nella sua pittura e nella sua grafica. ... Riesce in questo intento perché la realtà non la conforta ed ha la necessità di approdare in un’arte che le possa dare sempre di più la certezza della libertà di espressione. Una libertà che si respira nelle sue opere e che è nutrimento e stimolo per una ricerca sempre più aperta e attenta. (Pasquale Palma)

ROBERTA DI SARRA Immedesimazione. Dedicato a mio padre, 2019 Disegno su carta, cm 29,5x39,5



L’attenzione alla storia dell’arte, e il recupero di materiali esistenti, costituiscono il filo conduttore

del lavoro dell’Architetto Daniela Faggi di Livorno, che con le sue creazioni figurative pone una proposta provocatoria, nella costruzione di un immaginario generato da materiali riciclati, sovrapponendo il presente a tracce preesistenti, generando con leggerezza e ironia un innesto tra passato e futuro. Con i mezzi tecnici attuali la potenzialità progettuale e figurativa di rielaborare immagini e produzioni grafiche, pittoriche e fotografiche, trasformandole in altro, si è ampliata notevolmente, e lo stesso lavoro sulla tecnica del collage e del montaggio scenico, per inedite composizioni, si è arricchito di nuove straordinarie possibilità. Difficile in tempi moderni, nell’epoca dell’economia globale, dell’infinita reiterazione e riproduzione, non evocare il già detto o già fatto, e le molteplici grammatiche e sintassi stilistiche che sono a disposizione degli autori moderni, predispongono a reinventare opere già viste, anche all’insaputa del neo compositore. Dunque, sembra di leggere nella serie di rappresentazioni della Faggi, un’intenzione di elencazione per un catalogo personale e aggiornato della storia delle arti figurative, redigendo fascicoli tematici storicizzati, consapevolmente. Le immagini di Daria balenano improvvise e si impongono con urgenza, nuove ma già viste. Sintesi di una storia di passati capolavori ognuno in precisa rappresentanza della sua epoca ... questa epoca con un presente incerto e senza un futuro definito non può che essere sintetica.

DARIA FAGGI Natività, 2019

Digitale su tela, cm 100x100



Daniela Foschi, nasce a Roma dove vive e lavora. Consegue il diploma di Maturità Artistica al 2° Liceo Artistico di Roma, e si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma nella sezione Pittura. Tra i maestri che hanno curato la sua formazione artistica ricordiamo Giuseppe Niglia e Gastone Biggi, Alberto Ziveri, Nato Frascà, Giuseppe Gatt e Gino Marotta con il quale ha concluso il suo percorso artistico all’Accademia. Insegna Arte. Nella sua pittura Daniela Foschi mette in moto un meccanismo di luce e colore che fraziona e distribuisce la superficie pittorica entro il tracciato di linee di movimento, in un addensarsi di geometrie e direzioni, fino in una tessitura cromatica, fitta di segni e di settrici, che diventa vera e propria atmosfera, invasione totalizzante del sensibile. La realtà è allora questa suggestione luminosa, ai cui ritmi si muovono anche le storie, gli incontri, i momenti e le situazioni concrete, ma soprattutto fluiscono le sensazioni e la percezione stessa della vita. (F. G. Faraghi). La Foschi è membro di selezione della Biennale d’Arte di Firenze. Ha al suo attivo numerose mostre collettive e personali tenute in sedi istituzionali, gallerie d’arte in Italia e all’estero. Tra gli altri hanno scritto di lei: Alessandro Trotti, Libero Bigiaretti, Attilio Freschi, Fanor Hernandez, Michele Sangiorgi, Giuliano Pastori, Giuseppe Selvaggi, Francesco Giulio Faraghi, Stefano Iatosti, Luciano Costantini.

DANIELA FOSCHI Leonardo ... sempre! - 2019

Base fotografica con elaborazione digitale. Stampa su pannello piuma, cm 80x60



Giuseppe Frascaroli nasce a Bastida de’ Dossi (PV) nel 1953. Vive ed opera tuttora in questo piccolo comune dell’Oltrepò Pavese che, dalla fusione con il Comune limitrofo nel 2014, ha preso il nome di “Cornale e Bastida”. La pittura di Giuseppe Frascaroli trova la sua genesi artistica nel particolare clima postmodernista che si afferma in Italia tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, allorquando, all’interno delle estetiche concettuali, si manifestano i nuovi linguaggi di un deciso ritorno alla pittura e alla figurazione, in movimenti quali la Pittura Colta, l’Ipermanierismo e l’Anacronismo, sostenuti rispettivamente dai critici Italo Mussa, Italo Tomassoni e Maurizio Calvesi. Non si può, dunque, considerare l’esperienza pittorica di Frascaroli, senza partire dalla coscienza culturale della crisi della modernità, sancita dal postmoderno, che spinge gli artisti a cercare nuove vie per affrontare il dialogo con il proprio tempo, guardando indietro senza nostalgie e andando oltre, senza superarlo. Laureato in medicina con specializzazione in neurologia, Frascaroli si inserisce a pieno titolo fra i più importanti pittori figurativi classici che il nostro paese possa ad oggi vantare, ed è considerato il pittore neoclassicista italiano di maggior rilievo a livello istituzionale, oltre che valente studioso di Arte Pittorica. Allievo in giovane età di Ambrogio Casati, pittore e scultore vogherese, da cui riceve la passione per il disegno e la pittura, Frascaroli, dopo aver orientato la propria ricerca espressiva verso ambiti neoclassicisti per i quali ha conseguito numerosi Premi da importanti Istituzioni, si è dapprima avvicinato alla pittura di matrice religiosa, quindi alla “Pittura Colta”, a seguito di contatti avuti con Carlo Maria Mariani e Alberto Abate. Frascaroli, ormai noto come il “Pittore dei Papi”, vede le proprie opere esposte in importanti e storiche Sedi Istituzionali italiane ed estere, sia dello Stato sia della Santa Sede. Numerose le mostre personali e collettive tra cui la sua partecipazione alla 55esima Esposizione Internazionale d’Arte alla Biennale di Venezia del 2013.

GIUSEPPE FRASCAROLI Autoritratto, 2013

Olio e acrilico su tela, cm 70x95



Paolo Gallinaro nasce a Napoli nel giugno del 1986. Sin da bambino si appassiona all’arte e sogna di diventare un artista, così, dopo il diploma, si dedica all’Archeologia e alla Storia dell’arte, presso l’Università degli studi di Salerno e poi presso l’Università Federico II di Napoli, capendo prematuramente l’importanza di un approccio critico nel campo dell’arte contemporanea. Durante gli studi inizia anche a scrivere per un giornale locale, curandone la rubrica di arte. Dal 2014 diventa giornalista pubblicista. Oggi Gallinaro è un operatore didattico presso i Musei Vaticani, l’artista partenopeo ha maturato, col tempo e attraverso lo studio anche diretto di alcune delle più grandi opere della storia dell’arte, uno stile particolare, innovativo e tradizionale allo stesso tempo, che lo ha condotto alla sua prima mostra personale dal titolo Catholicism Wow, che si propone di essere la prima tappa di una sua rivoluzione artistica che porti i fumetti e i cartoni animati a essere considerati, finalmente, lo stile artistico dei nostri tempi. L’opera di Paolo Gallinaro non è una semplice rielaborazione del celeberrimo capolavoro leonardesco, ma è un’occasione che l’artista coglie per scrutare il passo evangelico da cui lo stesso Leonardo fu ispirato. A più di cinquecento anni di distanza, ancora una volta, un artista è chiamato a indagare il mistero della Passione di Cristo, che inizia proprio con l’Ultima Cena. ... L’iscrizione color oro in basso è un crittogramma che il Gallinaro inserisce come omaggio al Maestro, ancora oggi tra i più enigmatici artisti della storia. Agli spettatori il piacere di decodificarlo.

PAOLO GALLINARO Ultima Cena, 2019

Olio e stampa su tela, cm 40x30



Nicoletta Gatti nasce nel 1959 dal pittore tortonese Umberto dal quale eredita la passione per la pittura e per l’arte in generale. Nel 1998 frequenta a Milano l’Accademia delle Arti Applicate dell’Architetto Skoff diplomandosi poi con formazione architettonica. La necessità, da sempre latente, di sporcarsi le mani con il colore ad olio si manifesta solo nel 2008. Frequenta quindi un corso di pittura alla scuola d’arte Ar.vi.ma di Pavia, dove accanto alla pittrice Monica Anselmi mette a punto gli insegnamenti tecnici già respirati in passato presso lo studio del padre. Inizia a studiare attraverso i testi di Itten il comportamento del colore, ad osservarne accuratamente le sue singole modalità di espressione, a cogliere le corrispondenze tra colori primari e secondari, tra toni caldi e freddi, per poter sviluppare autonomamente un suo percorso. Si iscrive quindi al corso di Cromatologia tenuto dall’artista Marco Casentini all’Accademia di Brera di Milano dove presenta le sue prime opere. La ricerca dell’equilibrio cromatico diventa l’elemento fondamentale e, facendo un percorso inverso, il disegno è dettato dai colori che creano la vera struttura del dipinto. Gli anni dal 2000 al 2015 sono anni di sperimentazione, il suo modus operandi è in continua trasformazione, alla ricerca di una espressione personale. Nel 2016 inaugura presso I Chiostri dell’Umanitaria a Milano la sua prima esposizione. Da lì si susseguono mostre personali a Courmayeur, a Madrid e a Milano presso lo Spazio Scoglio di Quarto e collettive a Berlino, Madrid e Milano. Nel 2018 partecipa all’esposizione collettiva presso il Museo Tecnico Navale della Spezia, in occasione del centenario della Grande Guerra. Entra poi in contatto con alcuni artisti contemporanei, come Enrico della Torre e Sergio Dangelo. Sempre nel 2019 quattro suoi lavori dialogano con quelli di artisti storicizzati, come Turcato, Dorazio, Scanavino, Adami all’interno di una chiesa sconsacrata di Lecce. La sua pittura negli ultimi anni si snoda tra tre differenti momenti: “i tracciati”, “le macchie” e “le luci”.

NICOLETTA GATTI Reticolo della Mente, 2019 Olio su tela, cm 140x90



Micaela Giuseppone nasce a Roma nel 1976, città dove vive e lavora. L’energia ed il movimento rappresentano il suo tratto distintivo, espone le sue opere in Italia e all’Estero in mostre personali e collettive. ... Osservando le opere di Micaela Giuseppone ci si rende conto che la sua attività primaria è quella di colorare la sua vita, come ama dire. Nel rendere un’emozione colorata, atta a comunicare le esigenze, sensazioni, sentimenti, esprime il suo animo ... ... Ascoltando la propria guida interiore, un atto di profonda introspezione e di attenzione verso i bisogni di chi è dinanzi ad un’opera ludica, pescando nel proprio inconscio esperienze difficilmente catalogabili chiamate sogni, che non hanno una consistenza materiale, ma utilizzano frammenti del nostro vissuto, tanto da essere sogni in presenza di ragione ... (Tiziana Todi)

MICAELA GIUSEPPONE Leonardo, onore al Genio! - 2019 Acrilico su tela, cm 100x100



Maria Rita Gravina nasce a Roma nel 1955 dove trascorre la sua infanzia. Benché laureata in Biologia ha sempre coltivato una grande passione per ogni forma d’arte e un “amore” fin da piccola per “i colori e il disegno” che non ha mai abbandonato nonostante l’impostazione culturale di tipo scientifico. BIOS è vita, natura, colore, movimento, luce ed azione dell’uomo, il tutto si coniuga nelle sue tele con un notevole impatto cromatico e di forme. Il suo lavoro, prevalentemente ad olio e a spatola con tecniche miste, è incentrato sulla ricerca cromatica all’interno di architetture essenziali, dove fluiscono forme e strutture poco definite come temporalità, città fluttuanti, oscillanti tra passato e futuro, testimoni di una transizione esistenziale che rappresenta il passaggio umano (Osmosi Urbana). La spatola è il mezzo che le permette di realizzare le sue opere, ama la gestualità e la corposità della materia che spesso si esprime con una ricerca ed un uso di materiali vari quali polvere di marmo, sabbie, malte ecc. che creano effetti particolari. L’acquarello è un altro mezzo, privato, quasi intimo, che non appare nelle sue mostre, con cui la pittrice si esprime. Con la delicatezza con cui una goccia d’acqua colorata si muove su un foglio, ritrae tutto ciò che colpisce la sua fantasia, sono i suoi appunti di viaggio le sue piccole miniature che esegue direttamente sul posto ed è il suo modo di “fotografare” la realtà attraverso i filtri dell’immaginazione. Una sua opera è entrata a far parte della collezione del Museo d’Arte Moderna Contemporanea di Anticoli Corrado (RM) ed è presente nel catalogo della mostra “La Provincia delle Meraviglie. Alla scoperta dei Tesori nascosti” nel 2009 al Vittoriano di Roma.

MARIA RITA GRAVINA Il mio Cenacolo, 2019

Tecnica mista su tela, cm 80x60



Angela Palese classe 1964, Liceo classico, laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Risiede a Lucca. Impegnata nel volontariato. Nel 2014 inizia la sua attività artistica, dopo aver coltivato la passione per la fotografia sin da piccola. Numerose le esposizioni, collettive e personali e le pubblicazioni su libri e cataloghi d’arte. Tra i riconoscimenti si ricordano i più recenti: Premio Combat 2018 (segnalata dalla giuria) e Premio Rospigliosi 2018/2019 (finalista). ... La capacità della Palese, attraverso la fotografia, è quella di inserire tematiche di carattere concettuale, passando dall’immagine reale all’interpretazione personale attraverso il simbolismo effettivo nascosto nella realtà. Attraverso il linguaggio espressivo fotografico, grazie all’obiettivo, sembra abbia una strategia dello sguardo, privilegiando un’analisi realistica del contesto che la circonda, amplificando e isolando ogni aspetto che possa evocare percezioni ed emozioni del presente e dal passato. L’identità dell’immagine rimane sospesa tra natura ed artificio, in una interpretazione metafisica descritta in una dimensione presente, ma che vive nell’immaginario, permettendole di focalizzare l’attenzione sul contenuto reale dell’immagine stessa, pur suggerendo un allontanamento, un viaggio, un volo fantastico. (Tiziana Todi)

ANGELA PALESE Grazie, Thank you, 2019

Fotografia digitale. Stampa Fine Art su carta cotone, cm 60x40



Tommaso Pensa nasce a Roma nel 1970, dove vive e lavora. Da anni espone in Italia e all’estero. Alcune sue opere sono state esposte al Museo di Arte Contemporanea di Roma MACRO Testaccio e al MACRO La Pelanda fra il 2012 e il 2014, e al Museo Civico Mastroianni di Marino (RM) nel 2014. Nel 2011 collabora come artista e co-organizzatore ad un progetto artistico promosso da EmergencyUK esponendo in 5 diverse location di Londra. Nel 2013 partecipa come curatore al progetto artistico “Niente mi pettina meglio del vento”, mostra itinerante che ha toccato le città di Cagliari, Roma, Firenze e Pineto (TE). Nel luglio sempre del 2013 collabora di nuovo con Emergency-UK unendosi al progetto In Your Shoes, presentando a Londra, insieme ad altri artisti, una installazione contenete un paio di scarpe donate dal premio Oscar Giuseppe Tornatore. Agli eventi ha preso parte il fondatore di Emergency Gino Strada. Nel 2014 è vincitore del premio ADRENALINA 3.0. Nel 2015 fonda insieme ad altri artisti il gruppo Artisti di Via Giulia. Ma dopo un anno lascia il gruppo per seguire nuovi progetti artistici. Suoi lavori sono presenti in collezioni private in tutto il mondo. Una sua opera è stata acquistata e donata dal compratore a Michelle Obama e fa ora parte della sua collezione privata (USA).

TOMMASO PENSA Madonna con Bambino, 2019

Tecnica mista, acrilico, carboncino e bitume su tavola stuccata a gesso, cm 60x80



Eleonora Pepe è una giovane artista romana nata nel 1998. Inizia la sua formazione con il maestro Francesco Sgarano, acquisendo le basi della tecnica ad olio. Nel settembre 2017 nasce su Instagram la pagina “pepis.art”, dedicata alla sua produzione. Riscontrato il successo, l’artista realizza alcune campagne pubblicitarie per l’azienda Uniplaces di Lisbona. Nel 2018 lavora come illustratrice per la testata giornalistica “Exitwell”. Nel medesimo anno, collabora con la startup Artwave. Partecipa alla “Klimt night” e vince il primo premio con una riproduzione de “Il bacio” di Gustave Klimt. Partecipa poi al Connect festival a Roma, e alla serata “Reinassance”, nel settembre 2018. Nello stesso anno al Wave Market, per Artwave, ed espone ad un open-house per l’azienda Engel & Völkers. è tra i finalisti di macroarea Lazio presso il festival nazionale MArteLive. Dal 2019 inizia la sua collaborazione con la Galleria Vittoria in via Margutta, con Tiziana Todi e Tiziano M. Todi. Sempre nel 2019 inizia, dopo ave vinto una borsa di studio, il percorso di formazione con Andrea Concas “Professione artista”. Ha collaborato con l’universitá “La Sapienza” in occasione di “Porte aperte”. In onore di Leonardo Da Vinci, l’opera raffigura un particolare estratto da “La vergine delle rocce”. La rielaborazione ha previsto l’utilizzo di una tecnica mista, volta a voler evidenziare una simbiosi fra antico e nuovo, mito ed innovazione. Le scritte su carta sono state realizzate con scrittura retrograda in onore dell’artista, in un criptico messaggio rivolto solo agli osservatori più attenti.

ELEONORA PEPE Esperenziale, 2019

Tecnica mista, acquarello, china e matita su carta, cm 30x70



Daniela Poduti Riganelli, nata a Cerreto d’Esi (AN) nel 1962 è residente a Foggia dove vive e lavora. La pittura come messaggio: questo è il suo filo conduttore, ogni quadro deve colpire con un messaggio, ma anche stupire un po’, proprio come diceva l’antico poeta Giambattista Marino: È del poeta il fin la meraviglia, parlo dell’eccellente e non del goffo: chi non sa far stupir vada alla striglia. I temi sono i pensieri ed i malesseri del vivere moderno, ma anche il pensiero femminile, così poco rappresentato in pittura. Consumismo, moda, dipendenze, shopping, dolci come metafore, economia, menopausa, ecologia, femminismo, pubblicità ... in sintesi il pensare quotidiano nelle mille imprevedibili sfaccettature, legate sempre da un tono ironico, mai impettito e serioso. La bella principessa, forse Bianca Sforza, giovane donna pensosa e misteriosa, opera discussa nell’attribuzione a Leonardo. Seguiamo questa bella principessa, come la nostra parte più armoniosa. Per omaggiare Leonardo la Poduti Riganelli ha utilizzato il linguaggio un po’ irriverente della street art.

DANIELA PODUTI RIGANELLI La Bella Principessa, 2019

Acrilico con bomboletta spry e colla glitterata su tela, cm 40x50



Gualtiero Redivo nasce a Genova nel 1946, vive e lavora a Roma. Di lui hanno scritto fra i tanti: Massimo Bignardi, Lorenzo Canova, Giorgio Di Genova, Guido Folco, Francesco Gallo Mazzeo, Guglielmo Gigliotti, Gian Ruggero Manzoni, Gianluca Marziani, Graziano Menolascina, Alfio Mongelli, Renato Nicolini, Pino Reggiani, Andrea Romoli Barberini, Enrico Sciamanna, Robertomaria Siena, Flavia Soldato, Claudio Strinati. Redivo, da quando giovanissimo ha cominciato a dipingere, è stato sempre un antagonista dell’ovvio, per ispirarsi a una sua stessa definizione che gli calza a pennello. Il pennello, però, ha smesso a un

certo punto di utilizzarlo nella giusta convinzione che sarebbe stato necessario per lui uscire dal binario sul quale si era avviato per deragliare invece verso un coinvolgimento e un impegno ben superiori al fare arte per piacere e dilettare chi ci osserva, con il rischio appunto di incrementare l’ovvio e perdere di interesse. ... ... Redivo è convinto che il passato fa leggere meglio il presente ... e la forza delle immagini che costruisce è come un antidoto tale da farci pensare che le sue opere siano invece frutto di un inesausto entusiasmo creativo in cui la rabbia e l’orgoglio diventano forme affaticate ma, nel contempo, sottoposte a quella interiore legge dell’equilibrio, della misura, dell’eticità, che una tradizione antica trascina con sé e Redivo ne appare legittimo discendente. (Claudio Strinati)

GUALTIERO REDIVO Il sogno di Icaro, 2015

Tecnica e materiali misti su tela, cm 60x60



Pittore e scultore, Marco Rossati è nato a Reggio Emilia nel 1943. Ha studiato all’Istituto d’Arte e all’Accademia di Belle Arti di Roma, con Mino Maccari, Renato Guttuso, Franco Gentilini, Ferdinando Bologna, Antonio Del Guercio. Ha poi insegnato nella stessa Accademia come docente. Attualmente è Direttore della Scuola di Pittura “Scienza dell’Arte” a Roma. Rossati è tra i maggiori esponenti del movimento improntato alla riflessione sulla tradizione artistica italiana (e occidentale) e alle sue implicazioni con il pensiero alchemico e misterico; riflessione che, dalla fine degli anni settanta, ha influenzato in vari modi la pittura e l’arte internazionale assumendo, di volta in volta, denominazioni diverse (Postmoderno, Arte Colta, Anacronismo ...). Dopo la grande mostra dell’Ottantacinque alla Galleria Rondanini, ha lavorato per anni in esclusiva con la Galleria Apollodoro di Paolo Portoghesi. Ha tenuto numerose mostre personali in prestigiose gallerie e musei in Italia e all’estero (Stati Uniti, Giappone, Svizzera, Spagna ...). Sue opere sono nelle principali collezioni italiane e estere. Ha vinto vari bandi di concorso ed eseguito opere di grandi dimensioni (pitture e sculture) in edifici pubblici e privati. Sue opere sono in permanenza in Musei, Gallerie pubbliche e varie Istituzioni. Molte sono le pubblicazioni sul suo lavoro (libri, cataloghi, periodici) ed è stato più volte ospite su canali televisivi della Rai e Mediaset. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Abacuc” nel 1996, con la prefazione di Cesare Vivaldi. Collabora con riviste e quotidiani come saggista.

MARCO ROSSATI Leonardo minge sulla testa di Duchamp, 2019 Sanguigna su carta, cm 33x47



Fabio Santoro nasce a Roma, dove vive e lavora. Frequenta il III liceo Artistico statale di Roma alla scoperta di ció che lo affascina veramente: i colori. Continua la sua ricerca all’Accademia di Belle Arti di Roma portandola a termine nel 2005, quando si laurea con la specializzazione in decorazione. Il continuo mischiare i colori lo porta ad una forma di libertà artistica, dimostrando con la propria tecnica che il suo mondo può coesistere con il mondo reale fino a fondersi insieme, dando vita a ciò che è più importante per lui: le emozioni. Dal 2011 ad oggi è uno degli artisti della Galleria Vittoria di Roma, a Via Margutta. Ha realizzato presso la Galleria tre mostre personali nel 2015, nel 2016 e nel 2019; ha partecipato a diverse mostre collettive a Roma, Milano, Sant’Oreste, Bomarzo, Sulmona, Soriano nel Cimino e Zagarolo. Ha esposto per due anni a Hangzhou in Cina alla Wast Lake Art Fair; ha realizzato il premio “Sampietrino d’oro Marguttiano 2014” conferito a Luca Manfredi; nello stesso anno è stato pubblicato sul libro Percorsi d’Arte in Italia di Rubettino Editore. Ha partecipato ad Affordable Art Fair di Milano ed è stato selezionato tra i 100 finalisti alla Skateboard Confluence a Milano organizzato dalla galleria Seno, per la realizzazione di un quadro su uno skateboard.

FABIO SANTORO L’Ornitottero, 2019

Tecnica mista su carta, cm 65x45



Rosemary Salkin Sbiroli è nata a Roma nel 1974 da madre russo-americana e padre italiano. Ha vissuto e lavorato a Los Angeles, Londra e Milano. Ha studiato pittura presso lo studio La porta Blu con Alberto Parres, encausto presso lo studio Borghi e tecniche avanzate di elaborazione digitale da originale fotografico presso lo studio 10 B con Claudio Palmisano. Vive e lavora a Roma. Scomporre l’insieme di superfici per ricongiungerle in un’unica opera, ecco il viaggio intrapreso da Rosemary Salkin Sbiroli, nella sua personale ricerca artistica. L’artista Italoamericana ha intrapreso un percorso nell’intimo, partendo dalle suggestioni di ciò che la circonda, attenta a quel sottile velo che divide rappresentazione ed astrazione, procede a scomporre e ricomporre gli elementi mantenendo la suggestione dell’archetipo originale. Inducendoci a percepire figure che sembrano allo stesso tempo familiari ed inafferrabili. Una scelta espressiva che le consente di indagare più nel profondo le emozioni sottili, non gridate, che si sovrappongono strato su strato nei suoi lavori a formare una sintassi emotiva complessa.

ROSAMARIA SALKIN SBIROLI Annunciation 2, 2019

Carta, inchiostro, mixed media inclusi in resina, cm 35x30



Renata Solimini, nata a Roma nel 1969, ha studiato rudimenti di calligrafia e pittura tradizionale nel 1992-‘93 all’Università Normale di Nanchino (Cina), realizzando i primi dipinti ispirati dai pittogrammi cinesi. Nel 1995 si è laureata in Lingue e Letterature Straniere con indirizzo Estremo Oriente. Le ricerche su antiche scritture per la sua tesi di laurea (cinese, geroglifica egiziana e cuneiforme sumerica), hanno influito significativamente sulla sua formazione ed ispirazione artistica. Temi e simboli che ricorrono nei dipinti e disegni, oltre all’astratto e al suo personale stile di asemic writing, sono principalmente l’occhio, il pesce e il mondo marino, come simbolo ancestrale dell’origine della vita, la donna e lo Spazio/Universo con simboli scientifici e di fantasia. Ha esposto in mostre personali e collettive in Italia e nel mondo (Cina, Russia, Stati Uniti). Nel periodo fra il 2015 e il 2017 ha collaborato con un artista statunitense, elaborando a quattro mani dipinti, disegni e opere digitali su tela. Parte della sua attività è inoltre dedicata allo scambio e invio di Mail Art nell’ambito di mostre nazionali ed internazionali. Le sue opere sono presenti presso l’Archivio Sartori di Mantova, la sala multimediale della Biblioteca dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, in collezioni private e pubblicate su riviste e web magazine nazionali ed internazionali.

RENATA SOLIMINI Dialoghi della Fisica, 2019

Acrilico e olio su tela, cm 70x70



Claudio Spada è nato a Roma nel 1957. Da giovanissimo si iscrive all’Istituto d’arte. Conseguito il diploma di Maestro d’arte inizia a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove nel 1979 si diploma in pittura. Dal 1980 al 1987 lavora presso una stamperia di grafica d’arte, specializzandosi nella stampa ed incisione in acquaforte a colori. In questi anni frequenta assiduamente alcuni tra i maggiori artisti italiani tra i quali Gentilini, Fazzini e Monachesi . Già dalla sua prima esposizione, che risale al 1983, Claudio Spada mostrerà la sua passione per il mare e per Roma, la città in cui è nato, vive e lavora. Spada dimostrerà poi una spiccata predilezione per la tecnica dell’acquarello che lo farà conoscere ed apprezzare. Gli inizi del XXI secolo segnano un graduale passaggio, per certi versi un ritorno, a tecniche pittoriche con impostazione materica, sia per quanto riguarda la scelta dei colori (olio, acrilico, ecc.) che per l’uso vario e creativo dei supporti: talvolta l’artista presenta le sue opere su classiche tele ma non disdegna l’impiego di semplici tavole di legno grezzo, per finire con il soddisfare il suo istinto sperimentale su basi del tutto innovative in pittura quali il forex. Recentemente Claudio Spada ha realizzato quelle che lui stesso definisce “opere 3D”, non vere sculture, piuttosto un materiale dotato di una propria massa, un propria profondità e spessore, la terza dimensione, appunto, su cui far risplendere l’intensità e la varietà dei suoi colori. Alcune sue opere sono esposte nella Pinacoteca Comunale di Lipari. Definito “figurativo di ricerca”, di lui hanno scritto, tra gli altri, Giuseppe Selvaggi e Luigi Tallarico. Presente dal 2005 nelle più importanti fiere d’arte nazionali. Partecipa a Venezia alla mostra “13x17” curata da Philippe Daverio e Jean Blanchaert. Una sua opera è nella collezione del MAMbo, museo di arte contemporanea di Bologna. Nel 2008, la Galleria Vittoria di Roma presenta alcune opere del pittore in Cina, al West Lake of Art Expo di Hangzhou. Da qui ha inizio la sua cosiddetta avventura cinese. Negli anni successivi Spada è presente, sempre con la Galleria Vittoria, in varie manifestazioni fieristiche ed artistiche nel Celeste impero.

CLAUDIO SPADA Monna Lisa, 2019

Tecnica mista su tela, cm 87x87



Rodolfo Villaplana è un artista figurativo ispanico venezuelano con sede a Londra e Antibes, che ha completato i suoi studi con un master al Chelsea College of Art nel 2013. Da allora, il successo di Villaplana cresce a un ritmo impressionante. Dopo essere stato selezionato dal panel Young Masters Art Prize 2013, ha mostrato il suo lavoro alla London Art Fair e PINTA International Art Fair a Londra nel 2013. L’anno dopo ha partecipato alla Biennale di Venezia e ha esposto in una mostra personale al MOMA Tbilisi che, grazie alla popolarità è stata prorogata fino al 2016. Nello stesso anno è stato scelto per rappresentare il Regno Unito nella Biennale d’Arte iraniana. Le sue due personali a Roma sono state ospitate dalla galleria Maja Arte Contemporanea con grande successo nel 2015. Nel 2016 e 2017 Villaplana ha tenuto due mostre personali alla D Contemporary a Mayfair. Rodolfo ha sviluppato uno stile e una tecnica propri e molto personali che non assomigliano a nessun altro e rende le sue opere d’arte immediatamente riconoscibili. Il critico d’arte, curatore e fra i Direttori della Hermitage Foundation, Thierry Morel descrive nel 2016 la sua tecnica: “Villaplana schiera con il suo pennello una sinfonia di colori e tonalità con un coraggio intransigente che sfiora la brutalità [...]. La trama ruvida e terrosa della sua pittura ad olio cerca di sfidare i limiti imposti dall’immagine bidimensionale [...]. Mentre la curatrice Gaia Simionati nel 2015 paragona l’artista con Pontormo, Rembrandt, Tiziano e Rothko, per la sua combinazione di tradizioni figurative ed espressioniste nei suoi dipinti. Bliadze nel 2015 attribuisce a Villaplana: “la capacità intellettuale e tecnica di inventare nuovi modi di vedere e interpretare la sua visione espressiva”. Le sue prossime mostre saranno a Villa Eilen Roc a Cap d’Antibes in Francia e a breve a Milano. Il prossimo grande appuntamento e progetto per l’artista sarà però la mostra personale Installations Portraying the Object al MMOMA di Mosca nel 2020. Il successo ha permesso a Villaplana di avere un seguito appassionato di sostenitori e collezionisti che ha avuto inizio nel Regno Unito e si è poi diffuso in diverse capitali europee.

RODOLFO VILLAPLANA Three Legs, 2019 Olio su tela, cm 100x100

(Nella pagina successiva) The Supper, 2018 Olio su tela, cm 420x250





IMMAGINARE

LEONARDO

GLI ARTISTI DELLA NUOVA SCUOLA ROMANA interpretano il Maestro Vinciano.

21 settembre 2019

Castel Sonnino - Via del Littorale, Quercianella - Livorno La mostra è a cura di Tiziana Todi Coordinamento Tiziano M. Todi Direzione Editoriale Francesco Malvasi Art Director Tiziana Befani

Codice ISBN 9788894089639




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.