IMMAGINARE LEONARDO

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IMMAGINARE

LEONARDO

GLI ARTISTI DELLA NUOVA SCUOLA ROMANA interpretano il Maestro Vinciano. La mostra è a cura della Galleria Vittoria, Roma Presentazioni PINA BASILE TIZIANA TODI GIOSUè ALLEGRINI FRANCESCO MALVASI con un post di PHILIPPE DAVERIO

Palazzo Genovese - Salerno 23-28 novembre 2019


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Patrocini

Partner


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La parola “genio” richiama alla mente il grande Leonardo da Vinci. A 500 anni dalla morte anche Salerno vuole ricordarlo e lo fa attraverso una mostra che ha una dimensione plurale. Del resto Leonardo da Vinci è stato ed è il simbolo di una possibile trasversalità dei linguaggi: è stato pittore, scultore, inventore, ingegnere militare, scenografo, anatomista, pensatore nonché un uomo di scienza. Anime tra loro diverse che attingevano alla stessa fonte, il desiderio dell’uomo di conoscere e creare per superare i propri limiti. Con questa mostra lo spettatore potrà compiere un viaggio tra le forme ed i colori che rimandano al “genio assoluto”. Un ringraziamento particolare va agli organizzatori che hanno scelto Salerno come centro d’arte per ospitare questa interessante collettiva di diversi artisti provenienti da tutta l’Italia. Antonia Willburger Assessore alla Cultura del Comune di Salerno


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LEONARDO l’ultimo aristotelico e il primo ingegnere. Philippe Daverio


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LEONARDO DA VINCI. IL GENIO UNIVERSALE (1452-1519) L’intero anno 2019 celebra Leonardo da Vinci, a cinquecento anni dalla sua scomparsa. Eventi, mostre e rassegne ricordano, in Europa e in Italia, il grande genio che ha spaziato in più campi dello scibile umano. Il 23 novembre, anche Salerno rende omaggio al grande Artista, presso lo storico palazzo Genovese con una mostra, organizzata in un percorso tra arte e scienza. L’esperienza immersiva delle mostre permette di entrare nella mente e nell’animo di Leonardo, simbolo del Rinascimento. Leonardo è l’uomo universale, sapiente in ogni esperienza, è l’artista che ha aperto la strada all’arte classica italiana, è lo scienziato, fondatore della moderna scienza matematica della natura, è il filosofo che presenta l’esistenza del pittore nella forma vitale del conoscere. Egli esalta l’occhio, perché osserva le opere della natura e gode la bellezza del Creato. L’occhio vede, la mano ritrae e produce. Il pensiero e l’azione pervengono ad una conoscenza, non per concetti ma in significazioni di linee, forme e figure: è un conoscere attivo, è il visibile che diventa il conosciuto. Leonardo va al di la’ dell’empirismo, perché la fantasia dello spirito può entrare nell’Essere, attraverso il quale l’artista cerca le due figure nel visibile. Nel Trattato della pittura, l’artista cerca ovunque lo spirituale nel sensibile, il numero, la forma, la ragione dei sensi. Infatti la spiritualità di Monna Lisa è evidente nelle sue sembianze fisiche: gli occhi socchiusi, il sorriso enigmatico, le mani poste l’una sull’altra con signorilità, il comportamento dignitoso, e il paesaggio non come semplice sfondo, ma coprotagonista del quadro. Questa spiritualità armonizza la tensione del cuore e del pensiero. Scrive Leonardo a proposito della pittura che essa «è prima nella mente dell’artista e non può pervenire alla sua perfezione senza la manuale operazione; viene a comporsi una proporzionalità d’armonie, dalla quale nasce un armonico concerto, il quale serve all’occhio e diventa musica all’orecchio». Eugenio Garin spiega questo accordo sottolineando il carattere simbolico-pitagorico-platonico della matematica, quale veniva intesa da Ficino, come intermediario di una corrispondenza tra mente umana e realtà. Testimoniano l’enorme lavoro leonardesco i disegni, gli scritti geologico-cosmografici, abbozzi edilizi, piani regolatori, progetti di canali, macchine militari, macchine volanti e altri innumerevoli ordigni, e le opere pittoresche. Ogni opera diventa in un istante metafora del significare. Leonardo ha realizzato opere a soggetto cristiano. I suoi capolavori sono: l’Ultima cena, l’Adorazione dei Magi, la Vergine delle rocce, La Madonna con Gesù Bambino e Sant’Anna. Queste opere rappresentano di certo l’amore materno e la beatitudine di una condizione femminile. È famoso per le sue opere, molto meno per la sua attività letteraria. È definito homo sanza lettere, perché non conosce il greco e conosce poco il latino. Egli si difende ricordando che fa emergere il sapere dall’esperienza e non dalle parole altrui.


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Dagli elenchi dei libri e manoscritti si ricava che Leonardo ha letto autori latini e medievali: nell’elenco c’è anche Dante Alighieri. I due fiorentini, Dante e Leonardo, rappresentano l’intellighenzia italica nel mondo. Diversi per interessi ed esperienze, eppure accomunati da temi sorprendenti. La Commedia dantesca è un’opera apocalittica per il suo carattere “rivelatore” di ricapitolazione della storia umana e per il suo ricorso a immagini. I frammenti apocalittici di Leonardo richiamano scene cupe da brivido: «Usciranno dalla terra animali vestiti di tenebre, i quali con meravigliosi assalti, assaliranno l’umana generazione e quella di feroci morsi fia, con fusion di sangue, da essi divorata». Un secondo elemento che figura nei due geni è il binomio mostro-caverna. Nel frammento leonardesco Il mostro marino è descritto con le sue “cavernose e ritorte interiora”. Lunga è la sfilata di mostri danteschi: da Caronte all’ultimo mostro dell’Inferno che è Lucifero. Un terzo elemento è il topos del Labirinto. In Leonardo il pensiero labirintico affonda le sue radici in un inconscio desiderio di disordine, che poi si tramuta nell’ossessione per l’ordine, come si evince dal frammento che descrive la sua paura per la fine del mondo, che egli immagina causata da un diluvio universale. Leonardo attraverso il Labirinto scopre l’ossessione della morte, perché egli è vissuto con il mistero della sua nascita. Freud indagò questo mistero leonardesco, partendo dal fatto che Leonardo fu figlio illegittimo del notaio ser Pietro da Vinci e di una giovane contadina, di nome Caterina, che poi sparì “come se fosse morta”, e fu allevato dalla moglie di ser Pietro, Donna Albiera che non ebbe figli. Il tema delle due “madri” si evince da alcuni dipinti leonardeschi, come è stato già detto. Il pensiero labirintico si evolve in maniera diversa nei due geni. Per Dante alla fine del Labirinto infernale ci sono l’ordine cosmico e l’Amor che move il sole e le altre stelle. Leonardo, invece, vede la catastrofe come momento di purificazione della stirpe umana, in cui l’uomo può mostrare di sé la parte altruistica: «I vicini per pietà ci hanno soccorso di vettovaglie, i quali prima erano i nostri nemici», scrive così il divino Leonardo. La solidarietà non impedisce l’avvento della catastrofe, ma può far in modo che gli uomini si prendono per mano in una solidale catena per fronteggiare il Male e la Natura matrigna. In tal senso, Leonardo ha anticipato il messaggio universalistico della Ginestra leopardiana. La morte raggiunge ogni essere vivente, ma Leonardo aggiunge: «Una giornata ben spesa dà lieto dormire, così una vita ben usata dà lieto morire». Nel considerare gli uomini ‘vertuosi e boni’ così si esprime: «E se alcun se ne trova, fateli onore, a ciò che non abbia a fuggirsi da voi e ridursi in altri loci solitari per sfuggir dalle vostre insidie; questi tali ‘vertuosi’ sono i nostri dei terrestri, meritano da noi le statue, i simulacri e li onori». “A Leonardo da Vinci innalziamo un monumento più eterno del bronzo, più alto della mole regale delle Piramidi”. Pina Basile


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IL NOSTRO ALIENO. Leonardo è stato il nostro alieno più famoso e ci piace pensare che con la sua navicella spaziale ha aspettato che sul nostro pianeta avesse inizio un periodo rivoluzionario, come il Rinascimento, per atterrare. E così è diventato il più grande protagonista del periodo. Ha realizzato le sue innovazioni in tutti i campi in maniera del tutto unica, coniugando l’umano e il divino, tanto da trascendere ogni tipo di confine ed essere punto di riferimento per il pensiero ed il progresso per l’intera umanità. Indubbiamente un genio senza limiti, con un’irrequieta curiosità che l’ha sempre spinto a sperimentare per cercare delle risposte che la sua intelligenza non gli permetteva di tralasciare. Nel periodo rinascimentale dove la parola scienza era inesistente, Leonardo ha avuto grandi intuizioni sull’uomo, il volo, la cosmologia, la biologia, le realtà zoomorfiche e fitomorfiche, materiali e immateriali, scoprendo, inventando, costruendo ciò che ancora oggi ci stupisce. Il disegno era per lui lo strumento fondamentale per indagare la realtà essendo il mezzo più veloce per esprimere le sue riflessioni. Riusciva, attraverso l’uso delle mani, ad esprimere pensieri e idee, ma l’intelligenza e la curiosità lo portava ad una certa incostanza nelle molteplici attività, per cui a volte le sue stesse mani non riuscivano ad essere al passo con le sue riflessioni. Molti lo credevano capriccioso, ma in realtà era un instancabile sperimentatore, con una miriade di interessi. In ogni sua espressione artistica, attraverso il lato filosofico e scientifico mette a nudo il suo spirito di ricercatore, studioso, poeta e pittore, ma spesso tutto questo rimane senza seguito perché già guarda incuriosito oltre. Da innovatore, nell’Ultima Cena non rappresenta solo la scena, ma descrive gli apostoli attraverso i gesti con i quali ne immortala la personalità. La sua raffinata acutezza ritrae i moti dell’animo che ritiene importanti anche in relazione ai segni zodiacali corrispondenti, frutto di suoi studi precedenti. In molti hanno cercato di interpretarla e di comprenderla, ma non si è ancora riusciti completamente a svelare tutto, probabilmente ci mancano le chiavi d’accesso! La sua opera più conosciuta, concreta e tangibile, ma al tempo stesso poetica e sfuggente, il dipinto della Gioconda, è uno degli esempi più eclatanti di opera che mai finisce di affascinare a distanza di secoli. Prima di Leonardo erano stati realizzati certamente molti ritratti, mediante forme, oggetti simbolici e gesti, ma mancano di una tale personalità, di un’anima tanto presente eppure irraggiungibile, misteriosa ed enigmatica nella sua apparente semplicità.


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Forse ci troviamo di fronte ad una rappresentazione della sua memoria, ad una fotografia di ciò che non è fotografabile, per così dire, alla manifestazione del paradigma di un pantheon a noi sconosciuto. Leonardo, quindi, non ha finito di stupirci e ci trasmette l’irrequietezza della sua ricerca, ci interroga e ci spinge a cercare ancora per comprendere tutto quello che finora ci è sfuggito. Certamente Leonardo ha rappresentato i suoi tempi, come ogni artista di qualsiasi epoca, senza però attenersi alle convenzioni, ha guardato oltre, ha messo al primo posto della sua vita il frutto dei suoi studi, che vanno ben oltre il valore estetico. Ci ha consegnato “l’oltre” dell’arte, della cultura, della scienza e della meccanica. Grazie al nostro mantenere vive le tradizioni, frutto della nostra cultura, abbiamo metabolizzato tutto ciò che Leonardo ci ha lasciato, ancora oggi ci basiamo sui suoi insegnamenti, le sue osservazioni e i suoi tentativi di rendere la pittura più veloce, i tentativi di volo, i suoi trattati di pittura. Tutto è storicamente tramandato, ma da lui misticamente anticipato e rappresentato. Tiziana Todi


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LEONARDO FRA SCIENZA E ARTE Parlare di Leonardo da Vinci e di Dante Alighieri nella cornice, accogliente e serena, di Salerno è, a prima vista, impossibile. Toscani i due, campana l’altra, questi tre protagonisti - perché di questo si tratta - sono, all’apparenza, spaiati. Né vale il suggerimento volto a definirli italiani tout-court. Diciamocelo pure, l’Italia non c’era, a quel tempo, né ci sarebbe stata per secoli e secoli. Quanto al vago e scolastico “Oh serva Italia, eccetera eccetera” di dantesca memoria non era che un’invocazione letteraria, culturale se vogliamo, ma si trattava, proprio per questo, di un argomento elitario à la page nei salotti o, meglio, nelle corti del tempo, ma non certo sentito nella vita di tutti i giorni. E allora dove è il nesso? A parer mio si tratta di un semplice viaggio di andata e ritorno, sia pure della durata di otto secoli. Mi spiego: sulla natura geniale di Dante e Leonardo non si discute, e il Convegno di Salerno ne è la prova. Vissero in secoli diversi, ma furono subito riconosciti come tali da tutti, a partire dai loro numerosi nemici. E proprio questa caratteristica permette di individuare le tracce della catena che, con 3 anelli, accomuna uomini e storie. Un genio non è qualcosa che fluttua nell’aria; quelli sono, casomai, i palloni gonfiati, e Dio sa se ce ne sono in ogni età e sotto ogni latitudine. I geni, sia pure in arti e campi diversi, si riconoscono e sono riconosciuti perché i loro contemporanei ne hanno bisogno. Il genio esprime qualcosa di nuovo che l’umanità, a naso, aveva già intuito in precedenza. Non sapeva di cosa si trattasse, ma quando arriva lo fa subito proprio, si tratti del Convivio o della Gioconda. Salerno, con la sua scuola di medicina, prima in Europa e, diciamolo pure, nel mondo, rispose alle medesime necessità. Fu un caso? Senz’altro, ma fu, nondimeno, un qualcosa che rispose al tempo e all’ora e, soprattutto, fu conservata negli anni e nei secoli a venire, nonostante il succedersi disastroso degli invasori, delle guerre e non ultime, delle pestilenze. Genio di uomini, genio di città, in fin dei conti la differenza, se c’è, è sottile. Parliamo, pertanto, con semplicità di grandi uomini in una cornice di grande cultura rendendo onore agli uni e agli altri. Volendo poi circoscrivere l’ambito d’indagine al solo Leonardo, di cui alla pregevole rassegna espositiva “Leonardo 500 Infinito”, possiamo fin da subito asserire che il genio vinciano fu un inventore eccezionale oltre che artista e sapeva quel che faceva e pensava perché conosceva perfettamente lo stato della tecnologia del suo tempo. Ed è proprio questo il settore e il panorama che mi propongo di descrivere, sia pure a grandissime linee, in questa fase iniziale di dissertazione perché è solo apprezzando correttamente quella che era la situazione a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento che si può comprendere la vera portata, di per sé straordinaria, del progresso che Leonardo assicurò, nel campo della scienza, a beneficio di


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tutta l’umanità. Nessun uomo, lo ripeto, neppure lui, si muove né tantomeno si è mai mosso nel vuoto assoluto. In altre parole: tutti noi procediamo lungo un percorso assicurando, nel nostro piccolo, un progresso in quanto uomini di buona volontà. C’è chi compie balzi da gigante (e in questo caso siamo alla presenza di un colosso assoluto quale è il genio vinciano), ma il trampolino, comunque, esiste. Vediamo, dunque, quale fu la base di partenza del nostro straordinario protagonista. La meccanica era, dalla metà del Trecento in poi, una specialità europea intendendo, con questo termine geografico, l’area compresa tra l’Italia, la Francia, il Belgio e la Germania occidentale. I cronisti bizantini, arabi, spagnoli e inglesi ammettevano infatti tutti senza difficoltà, tra il XIV e il XVI secolo, che era impossibile realizzare, da loro, opere - definite incredibili - come gli orologi meccanici e i cannoni. Si tratta di un accostamento apparentemente singolare tra i cannoni e gli enormi orologi pubblici, fiore all’occhiello delle città più moderne del tempo come, dal 1309, Milano, Genova, Bologna, Ferrara e, nel 1350, Pavia. Quest’ultimo era il più avanzato di tutti, un vero e proprio planetario, lodato e studiato da tutti gli astronomi del continente; Parigi seguì non meno di 20 anni dopo e Norimberga alla fine del secolo. La definizione degli orologiai di quel tempo era, peraltro, quella, invariabile e standardizzata, di “magister bombardarum et horologiorum”. Orologi e cannoni erano, infatti, figli della stessa pianta, ovvero il frutto dei progressi della metallurgia conseguiti alla fine del Duecento in quelle stesse regioni dell’Europa continentale studiando, in maniera tutt’altro che empirica, le proprietà dei vari tipi di rame ed acciaio, oltre alla dilatazione termica dei metalli e ai fenomeni di elasticità, resistenza, compressione e strappamento. Ciò aveva permesso di realizzare, a un tempo, sia i nuovi meccanismi, dalle ruote dentate alle catene fino ai ritardatori e alle molle, sia le canne e gli affusti dei primi pezzi d’artiglieria. Leonardo, uomo di genio e da grande esperienziale quale era, utilizzò al meglio la tecnologia disponibile al tempo intuendo applicazioni nuove e originali; non creò dal nulla ma proseguì a passi da gigante, conviene ripeterlo, l’eterno progresso dell’umanità. Come pure si cimentò nello studio approfondito dell’anatomia umana, con la dissezione dei cadaveri per comprendere appieno le dinamiche naturali che sottendevano alla vita umana, spesso contrastati dagli uomini del proprio tempo che lo accusavano, ottusamente col senno del poi, di essere persino un negromante. Studi che, di fatto, sottendono anche alla forte componente emozionale di Leonardo, e che rappresentano una costante creativa nella sua stessa attività artistica; basti pensare ai suoi bozzetti della battaglia di Anghiari (opera di fatto mai conclusa per problemi di natura realizzativa legati alla tecnica dell’encausto utilizzata) e al concetto di Guerra che Leonardo descrive come “Caos, Pazzia bestialissima”. L’elemento emozionale del genio vinciano è altresì evidente nello studio delle sue caricature umane rappresentative di stati mentali che in seguito svilupperà lo stesso Gustav Jung con la definizione dei tipi psicologici.


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Ma non solo, questo incredibile scienziato toscano fu anche un immenso pittore. Basti pensare che sia le teorie scientifiche relativiste einsteiniane, come pure il cubismo pittorico picassiano, furono un’ineludibile conseguenza del razionalismo leonardesco, preconizzatore - per dirla alla Alfred Barr del filone razionalista afferente alla Geometrical Abstract Art. Inoltre nei ritagli di tempo Leonardo dava anche preziosi consigli e insegnamenti di architettura ai vari Le Corbusier e ai Nervi della sua epoca: basti pensare all’uomo vitruviano, alla sezione aurea, passando per lo sviluppo urbanistico della città ideale, le idrovie e le chiuse idrauliche, le fortezze inespugnabili, i ponti girevoli e altro ancora. Tornando all’argomento della sua pittura il profano ha sentito spesso parlare di sfumato, di composizione piramidale, di atmosfera misteriosa e inafferrabile, di compenetrazione tra luce e ombra. Tutte queste cose esistono, è vero, ma costituiscono tutt’al più la superficie o i mezzi tecnici dell’arte leonardesca che esprime qualcosa di altro, di irripetibile, di particolare ed universale al tempo stesso. L’artista Leonardo dice, infatti, a tal proposito che il pittore è “signore d’ogni sorta di gente e di tutte le cose” e che “la deità che ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina”. Ecco, dunque, il vero valore dell’opera vinciana mossa dalla coscienza della mutevolezza della realtà fenomenica, esattamente analoga a quella che lo scienziato ebbe fortissima della mutevolezza della realtà fisica. Qui risiede la grandezza assoluta di Leonardo Da Vinci: Homo Novus rinascimentale ad litteram; ossia Uomo Universale che sviluppa pienamente le facoltà dategli da Dio, che conosce a fondo le arti più diverse, le domina e le coltiva scientemente e che si avvicina il più possibile nel soggiogare la terra a sé, lasciandosi alle spalle l’eredità medievale dell’umana sottomissione dell’Immanente al Trascendente e della perenne espiazione terrena della carne, in forza del peccato originale, come preparazione a una vita posteriore alla morte, come mezzo di raggiungimento della salvezza eterna. Con Leonardo, più che ogni altro, si ribalta questa visione del mondo d’impronta medioevale, la Ragione prende il sopravvento sull’Emozione, o quantomeno inizia a competere con Essa ad armi pari, spalancando così le porte a Spinoza, al Razionalismo filosofico e all’Illuminismo, da cui discende la Società Moderna. Si parla, dunque, del pittore e la mente corre insieme al pensatore e ciò è dovuto al fatto che il genio del pittore e quello dello scienziato si sommano senza soluzione di continuità. Se in aggiunta a ciò siamo disposti ad ascoltare le testimonianze storiche di persone degne di fede che ci riferiscono che solo in fisica pura, in meccanica ed idraulica Leonardo è titolare di oltre centocinquanta studi organici che più tardi perfezioneranno Galileo, Huyghens, Pascal, Newton e Coulomb e che avrebbe potuto depositare un centinaio di brevetti; se pensiamo che Egli fu prima di Bacon il vero assertore del metodo sperimentale da cui è nata tutta la nostra civiltà, allora comprenderemmo veramente la grandezza


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immensa di Leonardo Da Vinci. Una grandezza che ci induce ad evocare lo stesso Prometeo, il Titano che rubò il fuoco agli Dei per darlo agli uomini, che ci induce cioè a superare qualsivoglia barriera fisica e mentale, facendo così entrare Leonardo nella categoria dei miti universali. L’universalità rappresentava, del resto, per Leonardo l’ideale di una formazione completa, eclettica, e già formulata nell’ellenismo da Enciclio nella sua Paideia. Un’universalità che si manifesta palesemente non appena si tenta di risalire dai risultati alle premesse e al tipo di rapporto ch’Egli instaura tra Pratica e Teoria, e più largamente tra Arte e Scienza: perché la Scienza vale sì, in primo luogo, a designare il rigore metodologico che lo scienziato Leonardo esige dal Leonardo pittore, ma subito dopo gli pone anche il problema di una nozione scientifica della natura stessa. E questa natura, elevata a scienza e tanto più amata quanto più svela la matematica necessità dei suoi comportamenti, fornisce il fondamento stesso della sua concezione del mondo, diventando altresì il tema primario della sua ricerca e il contenuto stesso della sua visione di pittore e di scienziato. Del resto Leonardo è l’uomo che disse “facil chosa è farsi universale”. Egli possedeva, infatti, una curiosità inestinguibile, che era poi quella del suo stesso secolo, e possedeva il furore di estinguerla. Egli vedeva il nesso fra cose lontane e che al comune distratto mortale appaiono del tutto distinte, autonome. Sotto i suoi occhi il mondo si stendeva in tutta la sua complessità e al contempo la sua mente ne spiegava le ragioni e ne smontava il meccanismo; lo spazio si riempiva così di tutte le relazioni, di tutti i movimenti e delle tracce che lasciavano questi movimenti. Il termine “grossezza dell’aria”, spesso utilizzata da Leonardo, è da intendersi al contempo come l’atmosfera sia piena di palpiti naturali e sia come la rappresentazione pittorica del mondo non possa avvenire senza un costante incontro-penetrazione con la Natura, correlata allo stupore che si rinnova davanti ad essa: dal macrocosmo celeste al microuniverso dell’intimità. L’artista-scienziato Leonardo diventa così un pioniere dell’ignoto, un’avanguardista del Sapere, in un’epoca costantemente assetata di Assoluto. Venendo, poi, ai secoli più recenti, la sua influenza fu enorme e determinante. La sua concezione della grossezza dell’aria, la sua ombra, il suo sfumato, stanno alla base del colorismo veneto, di Velasquez, di Rembrandt, degli Impressionisti. Giungendo poi al secolo breve, Cubismo, Futurismo, Pittura Astratta, Surrealismo, Suprematismo e molto ancora, non sono altro che i tentativi per rappresentare quelle intime connessioni dell’essere umano con l’Universo e l’Assoluto che Leonardo, scienziato e pittore, intuì e seppe ricreare nel volto ineffabile della Gioconda, nella Vergine delle Rocce, come pure nell’Annunciazione, nell’Ultima Cena e in molti altri suoi capolavori. Certamente la straordinaria qualità innovatrice di quella concezione e visione, che fece del naturalismo o scientismo leonardesco l’atto di nascita della scienza moderna - non fosse altro per la chiarezza con la quale egli intuì la relazione tra fenomeno, legge e riporto sperimentale - comportò una vera e


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propria rivoluzione, che si protrae tutt’ora, all’interno dell’eterno problema dei rapporti tra Arte e Realtà. Cita Leonardo a proposito “la pittura rappresenta al senso, con più verità e certezza le opere di natura”. Con questa affermazione il genio vinciano - che perfeziona gli esperimenti Quattrocenteschi sulla prospettiva, mettendone allo studio ulteriori tre: prospettiva delle diminuzioni dei corpi in distanza, dei colori, e prospettiva aerea - pare realizzare il sogno superbo d’un pieno dominio figurativo del reale: ossia risalire dall’esterno d’una natura solo rispecchiata e mimesi del dato reale, verso l’interno di una natura indagata nelle sue cause, attraverso il metodo sperimentale, che traduce i problemi dell’imitazione dell’arte in problemi di conoscenza e di scienza. Ammiriamo, dunque, l’uomo come ammiriamo la sua somma creatura, la Gioconda, con la mente per un attimo tormentata da mille interrogativi, e ce ne discostiamo perché gli interrogativi sono troppo complicati, pur essendone straordinariamente affascinati, dal riflesso dell’idea pura di emozione, di bellezza, in cui tutte le realtà si fondono, si contengono e si sublimano. Del resto “la bellezza ha tanti significati quanti stati d’animo ha l’uomo”, citava Oscar Wilde, e renderli manifesti attraverso la narrazione della propria opera significa esplicitare il resoconto di un’anima. Un’anima che sublima a sé una storia durata più di ventimila anni, completa di esperimenti e provocazioni, suddivisa in atti e scene con ricche caratterizzazioni, ribaltamenti, intuizioni, improvvisazioni, colpi di scena e catartiche riflessioni, quale quella proposta dallo spirito innovatore, unico, assoluto e irripetibile di Leonardo da Vinci. Un genio che, come detto in apertura alla presente dissertazione, in questa ammirevole occasione culturale ha al proprio fianco due altrettanto straordinari compagni d’avventura: Dante Alighieri, sommo poeta, e la città di Salerno, culla ineludibile di civiltà scientifica e di assoluta umanità. Giosuè Allegrini


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LEONARDO A SALERNO. Dopo il magico evento dello scorso settembre a Castel Sonnino in quel di Livorno, la mostra itinerante Immaginare Leonardo si sposta a Salerno il 23 novembre in uno dei più significativi momenti dell’anno per questa città così unica e fascinosa nei giorni delle ormai celebri luci, che la stanno rendendo sempre più meta ambita di presenze non solo da tutt’Italia e dall’Europa. Ma il 23 novembre coincide anche con la festa dell’antica Patrona Santa Caterina d’Alessandria protettrice fra l’altro e da sempre proprio della Scuola Medica Salernitana che organizza con Progetto Editoriale questo importante appuntamento di metà autunno. Così come per Livorno, la manifestazione di Salerno, di carattere compiutamente nazionale, è dedicata a Leonardo nella ricorrenza del cinquecentenario della sua scomparsa e oltre ad un convegno di alto livello propone infatti una mostra d’arte che prende ispirazione dalla figura, nonché dall’opera del grande Maestro fiorentino. Non potevamo certo sapere, allora come oggi, che di fatto si tratta dell’unico evento di questo tipo a livello internazionale. Questa consapevolezza se da un lato ci lascia un po’ interdetti per un comprensibile senso di responsabilità, dall’altro ci rende orgogliosi per un’iniziativa di profilo che vede protagonisti i tanti partecipanti insieme agli artisti che hanno dato vita a questa esclusiva rassegna. Vengono presentate più di trenta opere di altrettanti autori, alcuni di loro di notorietà ormai consolidata, altri facenti capo alla Nuova Scuola Romana e alla storica Galleria Vittoria di via Margutta, altri ancora emergenti ma di sorprendente e sicuro talento. Ritengo che in alcuni casi ci si trovi di fronte a realizzazioni di forte spessore, direi senza remore veri e propri capolavori, se questa mia personale convinzione non rischiasse di risultare stonata nella naturale proiezione di contesto del paragone leonardiano. Stili e scuole diversi, particolari inclinazioni nel segno, nella tecnica come pure nell’uso della colorazione, si ritrovano così a confronto in una eccezionale occasione dell’immaginario, nell’attualizzazione di un percorso quasi mitologico sulle tracce di un “genio misterioso” eppure tanto familiare nella sua immediatezza. Una sorta di viaggio onirico in cui l’approccio a volte sembra risentire sensibilmente del carico di suggestione che Leonardo sprigiona anche soltanto nell’accostamento di pensiero. Non c’è timidezza ma una evidente emozione, che insieme al proposito convinto di volersi misurare con un tema così complesso, non può non generare curiosità ed interesse in un attento osservatore professionale. Ci auguriamo che altrettanto possa essere per gli ospiti e i visitatori della Mostra Immaginare Leonardo, pensata per essere appunto itinerante in diverse località del Belpaese, con una serie di tappe a seguire fra cui Roma e la già citata Galleria Vittoria. Anche per questo abbiamo voluto realizzare un secondo Catalogo aggiornato a corredo, dall’elegante veste grafica, che riporta tutte le opere in esposizione e la scheda informativa di ogni singolo artista. Il Catalogo che si avvale di prestigiose presentazioni, intende inoltre essere strumento di più larga


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diffusione di un appuntamento da ricordare sicuramente nel tempo, magari trasformandosi esso stesso in un prezioso reperto da collezione e di memoria. Sullo sfondo dopo la straordinarietà di convergenze di questa serie di eventi difficilmente ripetibili, rimarranno vivi l’esclusività dei contesti e Leonardo, quali testimoni silenziosi dello scorrere di questo nostro tempo che si interroga con qualche affanno sul futuro, specchiandosi sempre più spesso però nelle vestigia del passato, pur senza impossibili quanto condizionanti nostalgie. Francesco Malvasi


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Nasce a Roma nel 1983 dove vive e lavora. Nel 1999, Lo Specchio Pubblicità utilizza i suoi lavori per i propri calendari promozionali. Nel 2002 consegue la maturità artistica e nel 2008 si laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma nel corso di Costantino Baldino. Che siano paesaggi urbani o figure, le opere di Chiara si rendono evidenti in un progetto in cui il colore gioca un ruolo d’importanza primaria. Il pensiero è manifestato attraverso combinazioni emotive in un’intensità auto-espressiva con riferimento alla forma, dove la linea, il colore e la figura perdono il loro significato, volendo sorprendere, con l’obiettivo di eleggere la materia a ruolo fondamentale, giacché portatrice nell’immagine di una espressione efficace, che rappresenta la comunicazione. ... La raffigurazione della sua pittura è in apparenza casuale senza forme definite. La macchia è espressione evocativa, la scelta dei soggetti d’altra parte, denuncia un’inclinazione al dialogo con se stessi, emanando dalle opere, dopo un’attenta visione, un fascino sottile e inconfondibile che porta una dimensione diversa dove tutto si fonde in un nuovo stato d’essere. ... Materia, segno, gesto esplodono sulla tela con immediata vitalità. ... Da Platone in poi la polarità forma-materia è la dicotomia presente nella nostra cultura, magma informale dell’energia primordiale, proiettandole nello spazio della composizione. (Tiziana Todi)

CHIARA ABBATICCHIO La Scapigliata, 2019 Olio su tela, cm 50x70


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Xante Battaglia nasce a Gioia Tauro nel 1943. Vive e lavora a Milano. Artista legato prevalentemente al movimento della figurazione concettuale, di rinomanza internazionale. Sviluppa un suo stile personale rifacendosi all’arte arcaica; le sue “velate”, immagini di donne stilizzate, sono l’icona ricorrente delle sue opere e vengono dedicate alla Grande Madre. La ripetizione quasi ossessiva di quest’icona porta l’artista a raffigurarla su ogni immagine o supporto spaziando fra scultura, fotografia e nuove tecniche, ma anche personalizzando a spray una Rolls Royce. Poliedrico ed eccentrico, tanto da demistificare continuamente il potere, è anche un artista critico, che esprime il suo modo di pensare attraverso opere che spesso impiegano personaggi noti del panorama internazionale, rendendoli parimenti oggetto di una negazione assoluta, qual è il gesto dello sfregio pittorico, in modo da demistificarne il mito correlato. Carmelita Brunetti nel suo libro “Dalle Neoavanguardie all’Arte Elettronica” ha scritto: “Basta pensare che dal ‘67 Xante Battaglia incomincia a “sfregiare” i Miti (l’Austriaco Rainer viene dopo) e con gli Oggetti Binari del ‘77 addirittura anticipa Jeff Koons. Il suo sfregio demistificatorio su Papa Montini è del ‘68, solo molti anni più tardi Cattelan lo farà con Giovanni Paolo II. Storicamente la Transavanguardia è stata anticipata da Battaglia e Warhol nel gennaio ‘77 a New York”. Già titolare della prima cattedra di Pittura alle Accademie di Belle Arti di Brera a Milano e di Venezia, ha esposto, alla Bonino Gallery di N.Y., alla Biennale di Venezia, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, al Palazzo della Permanente e a Palazzo Reale a Milano, al Grand Palais di Parigi. Gli sono stati dedicati 15 libri con scritti di: Tapié, Restany, Battcock, Messer, Argan, Buzzati, Zevi, Bossaglia, Zimmer. Storica è la sua mostra di Visual Poetry alla Galleria Apollinaire di Milano nel ‘77 curata da Restany. Nell’ambito dell’arte Metalinguistica ha creato uno stile binario che va oltre Duchamp, la Pop Art, Fluxus e la Poesia Visiva Tradizionale.

XANTE BATTAGLIA La Gioconda, 2018 Tecnica mista su tela, cm 50x70


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Tiziana Befani nasce a Roma, dove vive e lavora. Artista e Art Director esperta in comunicazione, grafica editoriale e web, si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma esercitando fin da subito la sua attività in agenzie pubblicitarie e case editrici. Da sempre nel mondo creativo, conosce importanti illustratori come Maoloni e Caia e artisti quali Gino Marotta, Cesare Tacchi, Franco Piruca e i pittori della “Nuova Maniera Italiana” con i quali collabora ed espone in varie mostre negli anni ‘90. Incontra storici e critici d’arte tra cui Giuseppe Gatt, Domenico Guzzi, Sergio Guarino e successivamente Giorgio Di Genova, Philippe Daverio e Vittorio Sgarbi. Nello stesso periodo conosce Tonino Guerra poeta, scrittore e sceneggiatore di Federico Fellini, partecipando ad una mostra da lui organizzata a Pennabilli: “Il Dopocena dell’Ultima Cena”. Tema riproposto, ma realizzato con nuove tecnologie, anche in una delle Opere esposte in questa mostra dedicata a Leonardo. Mentre “Variabile/Costante” affronta invece il soggetto dell’Angelo annunciante ripetuto con possibili variabili. Dall’esperienza pittorica e accademica, con realizzazioni a tempera e ad olio seguendo la tecnica del ‘400 “a velature”, passa poi a quella apparentemente contrapposta del computer utilizzando programmi per immagini inizialmente per il ritocco fotografico, l’impaginazione e le lavorazioni grafiche necessarie per editoria e pubblicità, poi applicando questa esperienza alle immagini non solo fotografiche ma anche pittoriche, con un lavoro complesso e di ricerca. Le composizioni vengono quindi “smontate e rimontate” con l’inserimento di oggetti provenienti dall’esperienza personale e dalla storia dell’arte, ricostruendo un bagaglio visivo dell’artista aggiornato e quasi catalogato, che crea una sorta di “linea grafica” della vita. Premio Sulmona 2017. Rospigliosi Art Prize 2019. è presente negli Archivi Storici della Quadriennale, del Macro di Roma e nella Collezione di Arte Contemporanea della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani.

TIZIANA BEFANI Variabile/Costante, 2019 Tecnica mista su digitale. Carta montata su pannello, cm 100x100


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Sonia Bellezza nasce in Calabria a Lamezia Terme. Da qualche anno ha lasciato la città e ha scelto di vivere in una campagna sul mare alla ricerca di un mondo più silenzioso e di ritmi più lenti e pacati. In questo contesto agreste e a stretto contatto con la natura nascono le sue opere in un gioco di colori e strati di stucco con tecniche perfezionate negli anni che le consentono di ottenere effetti particolari e inusuali. Non c’è ordine e non ci sono regole nei suoi lavori, ogni quadro ha una sua storia improvvisata ed unica, ogni quadro rappresenta l’espressione di un sentire profondo fatto di luci e ombre. Amante della materia dipinge usando le mani, la spatola o accessori di vario tipo ma non usa i pennelli. I suoi soggetti in bassorilievo sono spesso introspettivi dalle tinte sobrie e delicate che prendono forma tra colori e sfumature dettate dallo stato d’animo del momento. Dal 2009 inizia ad esporre i suoi quadri realizzati con lo stucco, tecnica che poi caratterizzerà tutte le opere future ed attuali.

SONIA BELLEZZA Monna Lisa, 2019

Tecnica mista a bassorilievo su base di stucco, cm 90x120


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Giuseppe Carabetta pittore, laureato in Giurisprudenza, vive e lavora a Salerno. L’arte è sorretta dal sentimento. Quello che conta è trasmettere attraverso i colori e le forme ciò che sono le emozioni e le sensazioni che l’artista, poi, trasforma in opere d’arte. E lo fa di getto, senza pensarci, per donare a tutti noi una fetta della propria vita. In ciò forse è racchiusa la poetica dell’artista Giuseppe Carabetta, con i suoi paesaggi, in particolar modo, che se iconograficamente sono rapportabili alla grande stagione napoletana della Scuola di Posillipo per i tagli e le scelte dei paesaggi marini, dal punto di vista coloristico, invece, padroneggia i toni della luce che appartengono a luoghi ricchi di storia, che evocano in lui momenti e armonie che fanno della sua tavolozza una vera e propria sinfonia coloristica. La sua arte parla direttamente al cuore e trasmette l’amore per la vita, come solo un vero artista sa fare. (Gerardo Pecci) ... Sono stato sempre rapito dalla bellezza della natura e dal bello in genere tutto ciò che è creatività mi interessa, per questo ho sempre scrutato autonomamente, meticolosamente ogni cosa che potesse acuire la mia creatività partendo dai libri d’arte, passando per lo studio dei grandi artisti, fino alle più esasperate avanguardie, tutto questo nel corso degli anni ha costruito il mio modo, la mia maniera per esprimermi pittoricamente. (Giuseppe Carabetta)

GIUSEPPE CARABETTA Il primo ingegnere, 2019

Olio e acrilico su tela, cm 70x50


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Daniella Castellani ha una lunga esperienza lavorativa nel campo della moda e del disegno tessile. Negli ultimi anni le sue opere sono state esposte presso musei e sedi istituzionali di Roma tra cui il Macro ed il Teatro dell’Opera (2013-2014) in occasione dello spettacolo “Il lago dei cigni”. Nel 2015 la sua opera RED realizzata con oltre 700 rose rosse di organza di seta lavorate a mano, è stata protagonista di una campagna social “Di che colore è oggi il tuo cuore?” supportata dalla famosa cartoleria Vertecchi, in via della Croce a Roma durante la settimana di San Valentino. Nel 2016 inaugura la prima mostra personale “Il mio tempo” presso l’Accademia di Costume e Moda a Roma. In questo progetto voluto a scopo didattico dall’Accademia, l’artista racconta, attraverso tele di grande formato, installazioni e tracce sonore il proprio percorso creativo caratterizzato da un uso raffinato ed elegante del tessuto, testimonianza della sua esperienza pluriennale nella moda. Nel 2018 la Galleria Vittoria di Roma le dedica la mostra personale “Orbs” dove Daniella presenta le sue opere più recenti che vedono la combinazione di figure antropomorfiche e rigori geometrici che si incontrano armonicamente creando illusioni ottiche che incantano il fruitore in un mondo sospeso fra bellezza e mistero. Nell’estate 2018 espone l’installazione dei bastoni “Passaggi” nella mostra organizzata dal Comune di Monte Argentario presso Forte Stella di Porto Ercole. In quest’opera l’artista indaga un nuovo concetto di sostegno e trasformazione interiore lavorando il legno con motivi geometrici, figure anatomiche e simmetrie. Attualmente Daniella Castellani sta lavorando al nuovo progetto artistico Trame.

DANIELLA CASTELLANI Orbs blu, 2017

Acrilico su tela e inserti tubolari in seta, cm 120x120


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Stefania Catenacci, in arte Cate, nasce a Roma nel 1971 da una antica famiglia abruzzese, stanziata nella capitale da tempo. Le sue tele sono percepite come degne di nota per l’espressività immediata e l’originalità delle composizioni a olio che provengono per impostazione dalla cultura acquisita nel campo fotografico. La sua pittura è un vortice di figure femminili. Nell’ideazione di un quadro medita quello che è il suo approccio tra il reale e l’onirico, affinché alcuni suoi visi siano come distratti, altri come sognanti, altri ancora come tormentati, e spesso le sue figure si presentano di schiena quasi a voler nascondere una leggibilità fisica totale. Quindi mostrano il viso voltandosi o di sottecchi. Un modo tutto suo per esprimersi poi con grande cura nella definizione dei particolari. Proprio quei particolari che danno un significato di leggibilità alla sua arte. “La pittura di Cate ha uno stile del tutto personale, le pennellate veloci e sicure sono come in movimento, la sua forza è nell’idea surreale, ma giovane e fresca, i colori che usa sono quelli primari, vivi, luminosi e chi osserva le sue opere ne è inevitabilmente attratto”. (Annamaria Polidori) “L’artista si cela e al tempo stesso si identifica con ciò che ritrae, come gli emanuensi che inserivano la propria immagine nei codici miniati, imprimendola nella tela e così svelandosi a noi. Sentimento, carattere, personalità si trasformano in pennellate creatrici. In questo modo l’artista dialoga con l’osservatore fino a suscitarne grande coinvolgimento ed entusiasmo, senza sottrarsi al gioco segreto della vita attraverso una sorta di specchio interiore. Ogni sua opera indica il suo stato emotivo. Ogni quadro ci parla, ci prende per mano e, attraverso il suo sentiero interiore, ci conduce con fermezza, ma con garbo, nel suo mondo nascosto”. (Tiziana Todi)

STEFANIA CATENACCI La Belle, 2019 Olio su tela, cm 80x80


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Amalia Cavallaro nasce a Melito di Porto Salvo nel 1973. Dopo aver conseguito il diploma di Liceo Artistico nel 1995 frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma specializzandosi in scenografia. Nel corso della sua formazione consegue l’abilitazione all’insegnamento delle discipline di Educazione Artistica e di Disegno e Storia dell’Arte. In seguito approfondisce i suoi studi frequentando diversi master relativi all’insegnamento: Elementi di Didattica, Strategie e Tecniche della Didattica, Insegnamento della Storia Dell’Arte e Didattica Teatrale. Nel 2010 partecipa al gruppo di stesura del volume intitolato “Dallo Scarabocchio alla Biografia” in collaborazione con la professoressa Bruna Baldassarre, edito da Natura e Cultura Editrice. Il testo, rivolto agli insegnanti, ai genitori, agli adolescenti, affronta il tema della conoscenza di sé attraverso un originale percorso grafico figurativo basato sul metodo steineriano. Attualmente titolare di cattedra, organizza laboratori didattici inclusivi finalizzati alla sperimentazione creativa mediante la manipolazione di materiali naturali. Negli ultimi tempi la sua ricerca si è estesa allo sviluppo di un lavoro personale incentrato sull’impiego della carta. In particolare la sua attitudine alle creazioni multimateriche è imperniata sulla frammentazione di particolari di riviste e giornali d’epoca, riadattati su dei supporti di legno e combinati mediante l’utilizzo dei colori acrilici. La sua storia personale divenuta il fulcro della sua indagine, offre un inedito punto di osservazione favorendo la “narrazione fragile” e frammentaria di inconsueti accaduti.

AMALIA CAVALLARO Il Messere in Epoca di Tempo, 2019 Tecnica mista su tavola, cm 60x80


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Francesca Cervelli nasce a Roma dove vive e lavora. Terminati gli studi all’Istituto Europeo di Design come illustratrice, inizia subito a lavorare da libera professionista presso agenzie pubblicitarie e case editrici collaborando con importanti committenti quali Agip, Erg Petroli, Guess, Emmezeta, il Messaggero e diverse altre realtà aziendali. Le sue illustrazioni spaziano dall’aerografo, alla tempera sino all’acquerello, tra iperrealismo e finanche favole per bambini. Oltre all’attività di illustratrice, negli anni affianca quella di grafica e di editing nel rapporto con alcune significative case editrici ed agenzie pubblicitarie. Contemporaneamente è presente in numerose mostre sia personali che collettive. Affascinata dal colore e dalla sua corposità, inizia ad amare l’olio, creando opere che vanno dal figurativo all’astratto, con un sapiente uso del pennello a definirne i mille particolari, per poi passare alla spatola ricca di corposità e colore. Attualmente è impegnata in un percorso di ricerca concettuale sulla diversa mobilità dell’immagine e sulla sua rappresentazione cromatica.

FRANCESCA CERVELLI Eros, 2019 Olio su tela, cm 50x70


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Claudio Cignatta nasce nel 1954 a Travasò Siccomario, borgo tra le rive del Po e del Ticino. Vive e lavora a Voghera, dove svolge l’attività di medico di base; la sua formazione artistica avviene “a bottega“, una passione coltivata dagli anni del liceo e poi, stimolata dall’apprezzamento di critici e artisti già affermati come Lusardi, Grassi, Gasparini, Mainoli, Novaresio che frequenta e con i quali collabora negli anni ‘80 e ‘90 a quella fucina artistica che è stato il laboratorio del litografo Miles Fiori per la realizzazione di numerose cartelle litografiche tirate al torchio dal maestro. Nel corso degli anni ha esposto in numerose gallerie, sia con mostre personali che collettive, sviluppando un suo personalissimo linguaggio espressivo fatto di ricerca tecnica e di contenuti che si palesano in quel “transrealismo animistico” da lui stesso definito quale “reinterpretazione del dato oggettivo attraverso le suggestioni del vissuto”. Nel 2014 progetta il monumento ai caduti sul lavoro posto in Piazza Meardi a Voghera. Nel 2017 partecipa alla mostra “Pro Biennale” a Venezia, presentata da Vittorio Sgarbi, qui è fra i cinque vincitori della manifestazione e una sua opera viene poi esposta alla Cript Gallery di Londra; ancora nel 2017 a Palazzo Leti Sansi di Spoleto riceve il premio speciale “Arte Contemporanea“ dalla giuria del premio “Spoleto Arte”. Attento e interessato a tutto ciò che è cultura è socio fondatore di “CulturAma“ associazione che da anni organizza eventi socioculturali nella città di Voghera. Socio anche del Lion Club Voghera Host di cui è stato più di una volta presidente, Claudio Cignatta, in veste di scrittore, ha pubblicato, insieme ad altri amici di penna, una raccolta di racconti dal titolo “Il gusto di scrivere”.

CLAUDIO CIGNATTA Signa Genius, 2019

Olio e pastelli su tela, olio su tavoletta. Collage - frottage - grattage, cm 90x60


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Alessandro Cignetti nasce a Roma, nel 1943. Sin dall’età di 15 anni si interessa di arte e disegno in maniera del tutto autonoma. Negli anni sessanta frequenta il Caffè Greco assistendo agli incontri culturali di artisti famosi fra cui Giorgio De Chirico. Coltivando ed approfondendo questa innata passione artistica. Prosegue questo destino favorevole al Bar Rosati di Piazza del Popolo dove usa riunirsi la Scuola Romana. Quindi decide di sperimentare l’arte attivamente, essendo già un professionista in un altro settore. Cignetti è un Medico, e decide di prendere lezioni da artisti e docenti nel proprio studio, i quali lo instradano sulla via artistica già intrapresa. Dal 1980 realizza le sue opere sia su tela che su carta e nel 2009 pubblica con la casa editrice Bora, il volume Astratto Concreto con il critico d’Arte Luigi Tallarico. Nel 2016 con Gangemi Editore invece pubblica il volume Alessandro Cignetti opere dal 2000 al 2015 con il critico d’Arte Mariano Apa. Cignetti prosegue il suo lavoro artistico presso il proprio studio di Roma, producendo lavori astratti o figurativi, incisioni e sculture.

ALESSANDRO CIGNETTI Omaggio al Genio, 2019

Tecnica mista su tela, cm 100x100


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Daniele D’Amico è nato a Roma dove vive e lavora. Si forma all’Accademia di Belle Arti di Roma seguendo i corsi di Sandro Trotti e Sergio Lombardo. Nell’ambiente romano ha modo di conoscere e frequentare Ugo Attardi, che non poco influenza le sue ricerche pittoriche. Dal 1996 ha iniziato ad esporre presso l’Associazione Culturale “La Guida” di Roma e successivamente ha allestito mostre personali in Italia e partecipato a selezionate rassegne collettive all’estero. Segnalazioni e recensioni critiche sono apparse su: City, Il Corriere Adriatico, Il Corriere Laziale, Il Giornale, Il Messaggero, Il Tempo, Image, La Repubblica, La Sponda, Latina Oggi, Leggo, Metro, Paese Sera, Roma C’è, Segni d’arte, ed altri. Della sua pittura hanno scritto e parlato: Mario Ursino, Sibilla Panerai, Miriam Castelnuovo, Mauro De Giosa, Nicolina Bianchi, Marzia Allegrini, Caterina Manca di Villahermosa, Tiziana Todi, Sandro Trotti, Ugo Attardi, ed altri. Per i suoi quadri Daniele D’Amico usa prevalentemente acrilico o olio su tela. Non sono solo le ambientazioni ben precise a catturare l’osservatore, bensì pochi singoli elementi. Il linguaggio è semplice ed essenziale. Un sottile smalto di forme, linee geometriche, rigorosamente in grigio e nero fa da contrappunto alle superfici colorate. Ogni tela rappresenta uno spazio ben identificabile ma dal carattere delicatamente onirico. Come da un sogno infatti, emerge l’immagine archetipo della nostra fantasia metropolitana pulsante di vita. Daniele D’Amico attua inconsapevolmente la corrispondenza tra i sette colori primari e le note musicali già teorizzata da Newton e storicamente consolidata nel rapporto di amicizia tra il musicista Schönberg e Kandinsky. Sono proprio i colori, distribuiti con parsimonia, le note che compongono la musicalità dei quadri di Daniele D’Amico.

DANIELE D’AMICO Riflessi, 2019

Tecnica mista su tela, cm 60x80


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Sonia De Rossi è nata a Roma. Dopo aver conseguito la maturità artistica si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Roma, nel corso di pittura tenuto dal Maestro Gino Marotta. Vive ad Anguillara Sabazia e lavora a Bracciano dove insegna Arte e Immagine. Nel corso degli anni ha partecipato a numerose mostre collettive, premi e mostre personali. Il vero compagno di strada di Sonia De Rossi, Max Ernst, diceva: il ruolo dell’artista si riduce al potenziamento delle immaginazioni della mente ed egli è semplicemente lo spettatore, colui che contempla il farsi stesso della propria opera. Sonia De Rossi risponde a Max Ernst usando l’unica tecnica possibile, non pensare all’arte e giocare questo appassionante mito di Sisifo: fare e disfare sempre la stessa cosa che è poi un discorso logico matematico sul caso. Nel cerchio magico che torna a rinnovarsi in ogni foglio, l’artista si lascia vivere senza ritenersi il demiurgo e neanche il grande stregone ma semplicemente la rotella “trasgressiva” del sistema così perfetto del nostro secolo. Sonia De Rossi è il medium di uno psicodramma (transfert) automatico, di una psicologia del profondo. Il mondo onirico come aspetto di una realtà globale, contatti con la chimera dell’occulto, rapporti con la matematica dell’erotismo. La tecnica vuole fissare oggettivamente quel mondo frenetico di adolescente sdoppiata, quella frenesia malinconica. è una tecnica che tende sempre a sdoppiare (l’arte et son double, direi con Artaud). Non si tratta mai di sovrapposizioni critiche o di brillanti paradossi adatti a qualsiasi pittore fantastico. I fogli di Sonia sono un semplice collage delle idee scritte o traslate nei titoli dei suoi quadri. Possiamo così osservare l’andirivieni incessante d’un visibilio attraverso incontri e scontri con quelle voluttuose apparizioni vaganti nella fatalità casuale degli attimi. (Carlo Cattaneo)

SONIA DE ROSSI Gea, 2019

Disegno su carta con pastelli cretosi, cm 50x65


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Roberta Di Sarra è nata a Roma nel 1960. Vive a Colleferro (RM) e insegna Arte e Immagine nella vicina Valmontone. Dopo aver conseguito la maturità artistica, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove si diploma nel corso di pittura tenuto dal Maestro Gino Marotta. Ha partecipato, nel corso degli anni, a varie mostre collettive. Di Sarra ha lavorato molto in passato con la tecnica ad olio con velature su tela, realizzando dipinti dedicati a particolari oggetti e a giocattoli antichi. Molte sue opere sono invece disegni a pastello su carta, con colori delicati e grande precisione e oggettività nell’immagine. Esiste un forte pensiero in Roberta Di Sarra: leggere le sensazioni e portarle nella sua pittura e nella sua grafica. ... Riesce in questo intento perché la realtà non la conforta ed ha la necessità di approdare in un’arte che le possa dare sempre di più la certezza della libertà di espressione. Una libertà che si respira nelle sue opere e che è nutrimento e stimolo per una ricerca sempre più aperta e attenta. (Pasquale Palma)

ROBERTA DI SARRA Immedesimazione. Dedicato a mio padre, 2019 Disegno su carta, cm 29,5x39,5


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L’attenzione alla storia dell’arte, e il recupero di materiali esistenti, costituiscono il filo conduttore del lavoro dell’Architetto Daniela Faggi di Livorno, che con le sue creazioni figurative pone una proposta provocatoria, nella costruzione di un immaginario generato da materiali riciclati, sovrapponendo il presente a tracce preesistenti, generando con leggerezza e ironia un innesto tra passato e futuro. Con i mezzi tecnici attuali la potenzialità progettuale e figurativa di rielaborare immagini e produzioni grafiche, pittoriche e fotografiche, trasformandole in altro, si è ampliata notevolmente, e lo stesso lavoro sulla tecnica del collage e del montaggio scenico, per inedite composizioni, si è arricchito di nuove straordinarie possibilità. Difficile in tempi moderni, nell’epoca dell’economia globale, dell’infinita reiterazione e riproduzione, non evocare il già detto o già fatto, e le molteplici grammatiche e sintassi stilistiche che sono a disposizione degli autori moderni, predispongono a reinventare opere già viste, anche all’insaputa del neo compositore. Dunque, sembra di leggere nella serie di rappresentazioni della Faggi, un’intenzione di elencazione per un catalogo personale e aggiornato della storia delle arti figurative, redigendo fascicoli tematici storicizzati, consapevolmente. Le immagini di Daria balenano improvvise e si impongono con urgenza, nuove ma già viste. Sintesi di una storia di passati capolavori ognuno in precisa rappresentanza della sua epoca ... questa epoca con un presente incerto e senza un futuro definito non può che essere sintetica.

DARIA FAGGI Natività, 2019

Digitale su tela, cm 100x100


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Daniela Foschi, nasce a Roma dove vive e lavora. Consegue il diploma di Maturità Artistica al 2° Liceo Artistico di Roma, e si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma nella sezione Pittura. Tra i maestri che hanno curato la sua formazione artistica ricordiamo Giuseppe Niglia e Gastone Biggi, Alberto Ziveri, Nato Frascà, Giuseppe Gatt e Gino Marotta con il quale ha concluso il suo percorso artistico all’Accademia. Insegna Arte. Nella sua pittura Daniela Foschi mette in moto un meccanismo di luce e colore che fraziona e distribuisce la superficie pittorica entro il tracciato di linee di movimento, in un addensarsi di geometrie e direzioni, fino in una tessitura cromatica, fitta di segni e di settrici, che diventa vera e propria atmosfera, invasione totalizzante del sensibile. La realtà è allora questa suggestione luminosa, ai cui ritmi si muovono anche le storie, gli incontri, i momenti e le situazioni concrete, ma soprattutto fluiscono le sensazioni e la percezione stessa della vita. (F. G. Faraghi). La Foschi è membro di selezione della Biennale d’Arte di Firenze. Ha al suo attivo numerose mostre collettive e personali tenute in sedi istituzionali, gallerie d’arte in Italia e all’estero. Tra gli altri hanno scritto di lei: Alessandro Trotti, Libero Bigiaretti, Attilio Freschi, Fanor Hernandez, Michele Sangiorgi, Giuliano Pastori, Giuseppe Selvaggi, Francesco Giulio Faraghi, Stefano Iatosti, Luciano Costantini.

DANIELA FOSCHI Leonardo: presente nel Tempo e nello Spazio, 2019

Mix media e acrilico su tela, cm 80x60


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Giuseppe Frascaroli nasce a Bastida de’ Dossi (PV) nel 1953. Vive ed opera tuttora in questo piccolo comune dell’Oltrepò Pavese che, dalla fusione con il Comune limitrofo nel 2014, ha preso il nome di “Cornale e Bastida”. La pittura di Giuseppe Frascaroli trova la sua genesi artistica nel particolare clima postmodernista che si afferma in Italia tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, allorquando, all’interno delle estetiche concettuali, si manifestano i nuovi linguaggi di un deciso ritorno alla pittura e alla figurazione, in movimenti quali la Pittura Colta, l’Ipermanierismo e l’Anacronismo, sostenuti rispettivamente dai critici Italo Mussa, Italo Tomassoni e Maurizio Calvesi. Non si può, dunque, considerare l’esperienza pittorica di Frascaroli, senza partire dalla coscienza culturale della crisi della modernità, sancita dal postmoderno, che spinge gli artisti a cercare nuove vie per affrontare il dialogo con il proprio tempo, guardando indietro senza nostalgie e andando oltre, senza superarlo. Laureato in medicina con specializzazione in neurologia, Frascaroli si inserisce a pieno titolo fra i più importanti pittori figurativi classici che il nostro paese possa ad oggi vantare, ed è considerato il pittore neoclassicista italiano di maggior rilievo a livello istituzionale, oltre che valente studioso di Arte Pittorica. Allievo in giovane età di Ambrogio Casati, pittore e scultore vogherese, da cui riceve la passione per il disegno e la pittura, Frascaroli, dopo aver orientato la propria ricerca espressiva verso ambiti neoclassicisti per i quali ha conseguito numerosi Premi da importanti Istituzioni, si è dapprima avvicinato alla pittura di matrice religiosa, quindi alla “Pittura Colta”, a seguito di contatti avuti con Carlo Maria Mariani e Alberto Abate. Frascaroli, ormai noto come il “Pittore dei Papi”, vede le proprie opere esposte in importanti e storiche Sedi Istituzionali italiane ed estere, sia dello Stato sia della Santa Sede. Numerose le mostre personali e collettive tra cui la sua partecipazione alla 55esima Esposizione Internazionale d’Arte alla Biennale di Venezia del 2013.

GIUSEPPE FRASCAROLI Autoritratto, 2013

Olio e acrilico su tela, cm 70x95


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Paolo Gallinaro nasce a Napoli nel giugno del 1986. Sin da bambino si appassiona all’arte e sogna di diventare un artista, così, dopo il diploma, si dedica all’Archeologia e alla Storia dell’arte, presso l’Università degli studi di Salerno e poi presso l’Università Federico II di Napoli, capendo prematuramente l’importanza di un approccio critico nel campo dell’arte contemporanea. Durante gli studi inizia anche a scrivere per un giornale locale, curandone la rubrica di arte. Dal 2014 diventa giornalista pubblicista. Oggi Gallinaro è un operatore didattico presso i Musei Vaticani, l’artista partenopeo ha maturato, col tempo e attraverso lo studio anche diretto di alcune delle più grandi opere della storia dell’arte, uno stile particolare, innovativo e tradizionale allo stesso tempo, che lo ha condotto alla sua prima mostra personale dal titolo Catholicism Wow, che si propone di essere la prima tappa di una sua rivoluzione artistica che porti i fumetti e i cartoni animati a essere considerati, finalmente, lo stile artistico dei nostri tempi. Una delle due opere esposte di Paolo Gallinaro non è una semplice rielaborazione del celeberrimo capolavoro leonardesco, ma è un’occasione che l’artista coglie per scrutare il passo evangelico da cui lo stesso Leonardo fu ispirato. A più di cinquecento anni di distanza, ancora una volta, un artista è chiamato a indagare il mistero della Passione di Cristo, che inizia proprio con l’“Ultima Cena”. L’iscrizione color oro in basso invece all’“Uomo Vitruviano” è una frase del Maestro che il Gallinaro inserisce come omaggio: “se questa composizione ti pare di meraviglioso artificio, pensa questa essere nulla rispetto all’anima che in tale architettura abita ...”.

PAOLO GALLINARO Uomo Vitruviano, 2019

Olio e stampa su tela, cm 50x50


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Nicoletta Gatti nasce nel 1959 dal pittore tortonese Umberto dal quale eredita la passione per la pittura e per l’arte in generale. Nel 1998 frequenta a Milano l’Accademia delle Arti Applicate dell’Architetto Skoff diplomandosi poi con formazione architettonica. La necessità, da sempre latente, di sporcarsi le mani con il colore ad olio si manifesta solo nel 2008. Frequenta quindi un corso di pittura alla scuola d’arte Ar.vi.ma di Pavia, dove accanto alla pittrice Monica Anselmi mette a punto gli insegnamenti tecnici già respirati in passato presso lo studio del padre. Inizia a studiare attraverso i testi di Itten il comportamento del colore, ad osservarne accuratamente le sue singole modalità di espressione, a cogliere le corrispondenze tra colori primari e secondari, tra toni caldi e freddi, per poter sviluppare autonomamente un suo percorso. Si iscrive quindi al corso di Cromatologia tenuto dall’artista Marco Casentini all’Accademia di Brera di Milano dove presenta le sue prime opere. La ricerca dell’equilibrio cromatico diventa l’elemento fondamentale e, facendo un percorso inverso, il disegno è dettato dai colori che creano la vera struttura del dipinto. Gli anni dal 2000 al 2015 sono anni di sperimentazione, il suo modus operandi è in continua trasformazione, alla ricerca di una espressione personale. Nel 2016 inaugura presso I Chiostri dell’Umanitaria a Milano la sua prima esposizione. Da lì si susseguono mostre personali a Courmayeur, a Madrid e a Milano presso lo Spazio Scoglio di Quarto e collettive a Berlino, Madrid e Milano. Nel 2018 partecipa all’esposizione collettiva presso il Museo Tecnico Navale della Spezia, in occasione del centenario della Grande Guerra. Entra poi in contatto con alcuni artisti contemporanei, come Enrico della Torre e Sergio Dangelo. Sempre nel 2019 quattro suoi lavori dialogano con quelli di artisti storicizzati, come Turcato, Dorazio, Scanavino, Adami all’interno di una chiesa sconsacrata di Lecce. La sua pittura negli ultimi anni si snoda tra tre differenti momenti: “i tracciati”, “le macchie” e “le luci”.

NICOLETTA GATTI Reticolo della Mente, 2019 Olio su tela, cm 140x90


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Micaela Giuseppone nasce a Roma nel 1976, città dove vive e lavora. L’energia ed il movimento rappresentano il suo tratto distintivo, espone le sue opere in Italia e all’Estero in mostre personali e collettive. ... Osservando le opere di Micaela Giuseppone ci si rende conto che la sua attività primaria è quella di colorare la sua vita, come ama dire. Nel rendere un’emozione colorata, atta a comunicare le esigenze, sensazioni, sentimenti, esprime il suo animo ... ... Ascoltando la propria guida interiore, un atto di profonda introspezione e di attenzione verso i bisogni di chi è dinanzi ad un’opera ludica, pescando nel proprio inconscio esperienze difficilmente catalogabili chiamate sogni, che non hanno una consistenza materiale, ma utilizzano frammenti del nostro vissuto, tanto da essere sogni in presenza di ragione ... (Tiziana Todi)

MICAELA GIUSEPPONE LeoRebus (1, 4, 8, 2, 8) - 2019 Acrilico su tela, cm 100x100


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Maria Rita Gravina nasce a Roma nel 1955 dove trascorre la sua infanzia. Benché laureata in Biologia ha sempre coltivato una grande passione per ogni forma d’arte e un “amore” fin da piccola per “i colori e il disegno” che non ha mai abbandonato nonostante l’impostazione culturale di tipo scientifico. BIOS è vita, natura, colore, movimento, luce ed azione dell’uomo, il tutto si coniuga nelle sue tele con un notevole impatto cromatico e di forme. Il suo lavoro, prevalentemente ad olio e a spatola con tecniche miste, è incentrato sulla ricerca cromatica all’interno di architetture essenziali, dove fluiscono forme e strutture poco definite come temporalità, città fluttuanti, oscillanti tra passato e futuro, testimoni di una transizione esistenziale che rappresenta il passaggio umano (Osmosi Urbana). La spatola è il mezzo che le permette di realizzare le sue opere, ama la gestualità e la corposità della materia che spesso si esprime con una ricerca ed un uso di materiali vari quali polvere di marmo, sabbie, malte ecc. che creano effetti particolari. L’acquarello è un altro mezzo, privato, quasi intimo, che non appare nelle sue mostre, con cui la pittrice si esprime. Con la delicatezza con cui una goccia d’acqua colorata si muove su un foglio, ritrae tutto ciò che colpisce la sua fantasia, sono i suoi appunti di viaggio le sue piccole miniature che esegue direttamente sul posto ed è il suo modo di “fotografare” la realtà attraverso i filtri dell’immaginazione. Una sua opera è entrata a far parte della collezione del Museo d’Arte Moderna Contemporanea di Anticoli Corrado (RM) ed è presente nel catalogo della mostra “La Provincia delle Meraviglie. Alla scoperta dei Tesori nascosti” nel 2009 al Vittoriano di Roma.

MARIA RITA GRAVINA Il mio Cenacolo, 2019

Tecnica mista su tela, cm 80x60


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Guglielmo Mattei, nato a Roma nel 1988, è pittore e professore. Dopo aver conseguito il dottorato in Letteratura Latina nel 2017, insegna Latino e Greco presso il Liceo ‘Giulio Cesare’ della sua città; collabora inoltre con la casa editrice ‘Dante Alighieri’. La pittura rimane tuttavia la sua più antica e grande passione, fin da quando conobbe l’arte con il nonno e il papà. Allievo del maestro Elio Mazzella, a partire dal 2014 ha esposto in numerose mostre personali (a Napoli e a Roma) e collettive. Dal 2017, ha portato avanti due ricerche parallele: da una parte, ha approfondito l’indagine della realtà con opere prettamente figurative, giungendo nel maggio del 2019 a illustrare la guida ufficiale dell’evento ‘Cortili aperti Roma’, a cura di ADSI, con esposizione delle opere a Palazzo Malvezzi Campeggi; dall’altra, si è incamminato verso orizzonti più informali con la serie ‘Sopravvivenze’ e oltre, giungendo ad essere ammesso a tre edizioni del Porticato Gaetano e vincendo la prima edizione del “Rospigliosi Art Prize”, categoria “Under 30” (2018) nonché la prima edizione del concorso “Cammini di fede” presso l’Abbazia di Grottaferrata (2019). Vive e lavora a Roma. Nell’opera Persistenza di un sogno, Mattei vuole rendere omaggio al sogno, leonardesco e di tutti noi, di volare e poter guardare alle cose e ai luoghi da una nuova e libera prospettiva. Si librano allora tre minuscoli viaggiatori dell’aria, leonardeschi, sopra il centro di Roma, colto in una veste autunnale e trasognata. L’omaggio si fa doppio: il genio di Leonardo, ma anche le atmosfere e i colori preziosi della Scuola di Via Cavour. Anche Roma è un sogno, del resto, che si nutre della propria miracolosa persistenza.

GUGLIELMO MATTEI Persistenza di un Sogno, 2019 Acrilico su tela, cm 70x50


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Angela Palese classe 1964, Liceo classico, laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Risiede a Lucca. Impegnata nel volontariato. Nel 2014 inizia la sua attività artistica, dopo aver coltivato la passione per la fotografia sin da piccola. Numerose le esposizioni, collettive e personali e le pubblicazioni su libri e cataloghi d’arte. Tra i riconoscimenti si ricordano i più recenti: Premio Combat 2018 (segnalata dalla giuria) e Premio Rospigliosi 2018/2019 (finalista). ... La capacità della Palese, attraverso la fotografia, è quella di inserire tematiche di carattere concettuale, passando dall’immagine reale all’interpretazione personale attraverso il simbolismo effettivo nascosto nella realtà. Attraverso il linguaggio espressivo fotografico, grazie all’obiettivo, sembra abbia una strategia dello sguardo, privilegiando un’analisi realistica del contesto che la circonda, amplificando e isolando ogni aspetto che possa evocare percezioni ed emozioni del presente e dal passato. L’identità dell’immagine rimane sospesa tra natura ed artificio, in una interpretazione metafisica descritta in una dimensione presente, ma che vive nell’immaginario, permettendole di focalizzare l’attenzione sul contenuto reale dell’immagine stessa, pur suggerendo un allontanamento, un viaggio, un volo fantastico. (Tiziana Todi)

ANGELA PALESE Grazie, Thank you, 2019

Fotografia digitale. Stampa Fine Art su carta cotone, cm 60x40


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Tommaso Pensa nasce a Roma nel 1970, dove vive e lavora. Da anni espone in Italia e all’estero. Alcune sue opere sono state esposte al Museo di Arte Contemporanea di Roma MACRO Testaccio e al MACRO La Pelanda fra il 2012 e il 2014, e al Museo Civico Mastroianni di Marino (RM) nel 2014. Nel 2011 collabora come artista e co-organizzatore ad un progetto artistico promosso da Emergency-UK esponendo in 5 diverse location di Londra. Nel 2013 partecipa come curatore al progetto artistico “Niente mi pettina meglio del vento”, mostra itinerante che ha toccato le città di Cagliari, Roma, Firenze e Pineto (TE). Nel luglio sempre del 2013 collabora di nuovo con Emergency-UK unendosi al progetto In Your Shoes, presentando a Londra, insieme ad altri artisti, una installazione contenete un paio di scarpe donate dal premio Oscar Giuseppe Tornatore. Agli eventi ha preso parte il fondatore di Emergency Gino Strada. Nel 2014 è vincitore del premio ADRENALINA 3.0. Nel 2015 fonda insieme ad altri artisti il gruppo Artisti di Via Giulia. Ma dopo un anno lascia il gruppo per seguire nuovi progetti artistici. Suoi lavori sono presenti in collezioni private in tutto il mondo. Una sua opera è stata acquistata e donata dal compratore a Michelle Obama e fa ora parte della sua collezione privata (USA).

TOMMASO PENSA L’Ultima Cena, 2017

Acrilico su tela, cm 150x100


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Eleonora Pepe è una giovane artista romana nata nel 1998. Inizia la sua formazione con il maestro Francesco Sgarano, acquisendo le basi della tecnica ad olio. Nel settembre 2017 nasce su Instagram la pagina “pepis.art”, dedicata alla sua produzione. Riscontrato il successo, l’artista realizza alcune campagne pubblicitarie per l’azienda Uniplaces di Lisbona. Nel 2018 lavora come illustratrice per la testata giornalistica “Exitwell”. Nel medesimo anno, collabora con la startup Artwave. Partecipa alla “Klimt night” e vince il primo premio con una riproduzione de “Il bacio” di Gustave Klimt. Partecipa poi al Connect festival a Roma, e alla serata “Reinassance”, nel settembre 2018. Nello stesso anno al Wave Market, per Artwave, ed espone ad un open-house per l’azienda Engel & Völkers. è tra i finalisti di macroarea Lazio presso il festival nazionale MArteLive. Dal 2019 inizia la sua collaborazione con la Galleria Vittoria in via Margutta, con Tiziana Todi e Tiziano M. Todi. Sempre nel 2019 inizia, dopo ave vinto una borsa di studio, il percorso di formazione con Andrea Concas “Professione artista”. Ha collaborato con l’universitá “La Sapienza” in occasione di “Porte aperte”. In onore di Leonardo Da Vinci, l’opera raffigura un particolare estratto da “La vergine delle rocce”. La rielaborazione ha previsto l’utilizzo di una tecnica mista, volta a voler evidenziare una simbiosi fra antico e nuovo, mito ed innovazione. Le scritte su carta sono state realizzate con scrittura retrograda in onore dell’artista, in un criptico messaggio rivolto solo agli osservatori più attenti.

ELEONORA PEPE Esperenziale, 2019

Tecnica mista, acquarello, china e matita su carta, cm 30x70


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Daniela Poduti Riganelli, nata a Cerreto d’Esi (AN) nel 1962 è residente a Foggia dove vive e lavora. La pittura come messaggio: questo è il suo filo conduttore, ogni quadro deve colpire con un messaggio, ma anche stupire un po’, proprio come diceva l’antico poeta Giambattista Marino: È del poeta il fin la meraviglia, parlo dell’eccellente e non del goffo: chi non sa far stupir vada alla striglia. I temi sono i pensieri ed i malesseri del vivere moderno, ma anche il pensiero femminile, così poco rappresentato in pittura. Consumismo, moda, dipendenze, shopping, dolci come metafore, economia, menopausa, ecologia, femminismo, pubblicità ... in sintesi il pensare quotidiano nelle mille imprevedibili sfaccettature, legate sempre da un tono ironico, mai impettito e serioso. La bella principessa, forse Bianca Sforza, giovane donna pensosa e misteriosa, opera discussa nell’attribuzione a Leonardo. Seguiamo questa bella principessa, come la nostra parte più armoniosa. Per omaggiare Leonardo la Poduti Riganelli ha utilizzato il linguaggio un po’ irriverente della street art.

DANIELA PODUTI RIGANELLI La Bella Principessa, 2019

Acrilico con bomboletta spry e colla glitterata su tela, cm 40x50


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Gualtiero Redivo nasce a Genova nel 1946, vive e lavora a Roma. Di lui hanno scritto fra i tanti: Massimo Bignardi, Lorenzo Canova, Giorgio Di Genova, Guido Folco, Francesco Gallo Mazzeo, Guglielmo Gigliotti, Gian Ruggero Manzoni, Gianluca Marziani, Graziano Menolascina, Alfio Mongelli, Renato Nicolini, Pino Reggiani, Andrea Romoli Barberini, Enrico Sciamanna, Robertomaria Siena, Flavia Soldato, Claudio Strinati. Redivo, da quando giovanissimo ha cominciato a dipingere, è stato sempre un antagonista dell’ovvio, per ispirarsi a una sua stessa definizione che gli calza a pennello. Il pennello, però, ha smesso a un certo punto di utilizzarlo nella giusta convinzione che sarebbe stato necessario per lui uscire dal binario sul quale si era avviato per deragliare invece verso un coinvolgimento e un impegno ben superiori al fare arte per piacere e dilettare chi ci osserva, con il rischio appunto di incrementare l’ovvio e perdere di interesse. ... ... Redivo è convinto che il passato fa leggere meglio il presente ... e la forza delle immagini che costruisce è come un antidoto tale da farci pensare che le sue opere siano invece frutto di un inesausto entusiasmo creativo in cui la rabbia e l’orgoglio diventano forme affaticate ma, nel contempo, sottoposte a quella interiore legge dell’equilibrio, della misura, dell’eticità, che una tradizione antica trascina con sé e Redivo ne appare legittimo discendente. (Claudio Strinati)

GUALTIERO REDIVO Il sogno di Icaro, 2015

Tecnica e materiali misti su tela, cm 60x60


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Lucio Ronca, Maestro della ceramica, è un creativo conosciuto in tutto il mondo e attivo in diverse sperimentazioni artistiche. Nato nel 1958, sviluppa la sua formazione nelle grandi botteghe di Vietri sul Mare. L’originalità della sua arte, che spazia dalla ceramica al design e dalla pittura alla scultura, consiste nel saper conciliare lo stile antico con quello moderno, attraverso il recupero di forme e cromie tradizionali e la loro rilettura in chiave innovativa, attraverso accattivanti contaminazioni. Seguace di Léger, Ronca ha saputo imprimere alla sua arte una graduale e sapiente evoluzione, fino a raggiungere le forme tipiche del cubismo. Le sue opere d’arte sono apprezzate e richieste da una clientela internazionale e da diverse personalità del mondo dello spettacolo. Ha al suo attivo numerose mostre personali realizzate in Italia e all’estero. Si ricordano le esposizioni al Louvre, sulla Tour Eiffel e negli Uffizi. Lucio Ronca è, inoltre, maestro d’arte presso il laboratorio Ceramica Ronca in Vietri sul Mare, dove allievi di diverse nazionalità seguono con interesse ed entusiasmo le sue lezioni fatte di tecnica e di passione. Era tra i 19 italiani che nell’ottobre del 2014 hanno rappresentato il nostro Paese, in occasione dell’anniversario della Grande Esposizione universale di Parigi, dentro la Tour Eiffel. Il Dalai Lama, Alberto Bevilacqua, Giovanni Spadolini, Luciano De Crescenzo, Alessandro Meluzzi, Rocco Barocco, Diego Della Palma, Maurizio Casagrande e Dacia Maraini gli hanno dedicato una frase e Vittorio Sgarbi è tra i suoi estimatori. Prima di diventare Maestro d’arte, Lucio Ronca, ne ha fatta di gavetta; A 7 anni plasmava già l’argilla in una soffitta vicino casa. Poi il diploma all’Istituto d’arte di Salerno, pagandosi gli studi, 20 anni alle dipendenze di altri ceramisti e infine l’apertura del suo laboratorio. Un artista a tutto tondo, capace di alternare pittura, scultura e ceramica, unite in quella che è una delle sue più distintive creazioni: il quadro ceramica, dove la tela diventa anch’essa opera d’arte di ceramica, come “Volare per ...”, la creazione esposta a Parigi, raffigurante una farfalla stilizzata con pigmenti in oro. Nel 2017 diventa presidente della CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) di Salerno.

LUCIO RONCA I Quattro Elementi, 2019

Dipinto su ceramica con colori unici creati dal Maestro, cm 60x60


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Pittore e scultore, Marco Rossati è nato a Reggio Emilia nel 1943. Ha studiato all’Istituto d’Arte e all’Accademia di Belle Arti di Roma, con Mino Maccari, Renato Guttuso, Franco Gentilini, Ferdinando Bologna, Antonio Del Guercio. Ha poi insegnato nella stessa Accademia come docente. Attualmente è Direttore della Scuola di Pittura “Scienza dell’Arte” a Roma. Rossati è tra i maggiori esponenti del movimento improntato alla riflessione sulla tradizione artistica italiana (e occidentale) e alle sue implicazioni con il pensiero alchemico e misterico; riflessione che, dalla fine degli anni settanta, ha influenzato in vari modi la pittura e l’arte internazionale assumendo, di volta in volta, denominazioni diverse (Postmoderno, Arte Colta, Anacronismo ...). Dopo la grande mostra dell’Ottantacinque alla Galleria Rondanini, ha lavorato per anni in esclusiva con la Galleria Apollodoro di Paolo Portoghesi. Ha tenuto numerose mostre personali in prestigiose gallerie e musei in Italia e all’estero (Stati Uniti, Giappone, Svizzera, Spagna ...). Sue opere sono nelle principali collezioni italiane e estere. Ha vinto vari bandi di concorso ed eseguito opere di grandi dimensioni (pitture e sculture) in edifici pubblici e privati. Sue opere sono in permanenza in Musei, Gallerie pubbliche e varie Istituzioni. Molte sono le pubblicazioni sul suo lavoro (libri, cataloghi, periodici) ed è stato più volte ospite su canali televisivi della Rai e Mediaset. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Abacuc” nel 1996, con la prefazione di Cesare Vivaldi. Collabora con riviste e quotidiani come saggista.

MARCO ROSSATI Leonardo minge sulla testa di Duchamp, 2019 Sanguigna su carta, cm 33x47


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Fabio Santoro nasce a Roma, dove vive e lavora. Frequenta il III liceo Artistico statale di Roma alla scoperta di ció che lo affascina veramente: i colori. Continua la sua ricerca all’Accademia di Belle Arti di Roma portandola a termine nel 2005, quando si laurea con la specializzazione in decorazione. Il continuo mischiare i colori lo porta ad una forma di libertà artistica, dimostrando con la propria tecnica che il suo mondo può coesistere con il mondo reale fino a fondersi insieme, dando vita a ciò che è più importante per lui: le emozioni. Dal 2011 ad oggi è uno degli artisti della Galleria Vittoria di Roma, a Via Margutta. Ha realizzato presso la Galleria tre mostre personali nel 2015, nel 2016 e nel 2019; ha partecipato a diverse mostre collettive a Roma, Milano, Sant’Oreste, Bomarzo, Sulmona, Soriano nel Cimino e Zagarolo. Ha esposto per due anni a Hangzhou in Cina alla Wast Lake Art Fair; ha realizzato il premio “Sampietrino d’oro Marguttiano 2014” conferito a Luca Manfredi; nello stesso anno è stato pubblicato sul libro Percorsi d’Arte in Italia di Rubettino Editore. Ha partecipato ad Affordable Art Fair di Milano ed è stato selezionato tra i 100 finalisti alla Skateboard Confluence a Milano organizzato dalla galleria Seno, per la realizzazione di un quadro su uno skateboard.

FABIO SANTORO Sospeso fra il giorno e la notte, 2015 Tecnica mista su carta, cm 96x66


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Rosemary Salkin Sbiroli è nata a Roma nel 1974 da madre russo-americana e padre italiano. Ha vissuto e lavorato a Los Angeles, Londra e Milano. Ha studiato pittura presso lo studio La porta Blu con Alberto Parres, encausto presso lo studio Borghi e tecniche avanzate di elaborazione digitale da originale fotografico presso lo studio 10 B con Claudio Palmisano. Vive e lavora a Roma. Scomporre l’insieme di superfici per ricongiungerle in un’unica opera, ecco il viaggio intrapreso da Rosemary Salkin Sbiroli, nella sua personale ricerca artistica. L’artista Italoamericana ha intrapreso un percorso nell’intimo, partendo dalle suggestioni di ciò che la circonda, attenta a quel sottile velo che divide rappresentazione ed astrazione, procede a scomporre e ricomporre gli elementi mantenendo la suggestione dell’archetipo originale. Inducendoci a percepire figure che sembrano allo stesso tempo familiari ed inafferrabili. Una scelta espressiva che le consente di indagare più nel profondo le emozioni sottili, non gridate, che si sovrappongono strato su strato nei suoi lavori a formare una sintassi emotiva complessa.

ROSAMARIA SALKIN SBIROLI Vergine delle Rocce, 2019

Carta, inchiostro, mixed media inclusi in resina, cm 35x30


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Renata Solimini, nata a Roma nel 1969, ha studiato rudimenti di calligrafia e pittura tradizionale nel 1992-‘93 all’Università Normale di Nanchino (Cina), realizzando i primi dipinti ispirati dai pittogrammi cinesi. Nel 1995 si è laureata in Lingue e Letterature Straniere con indirizzo Estremo Oriente. Le ricerche su antiche scritture per la sua tesi di laurea (cinese, geroglifica egiziana e cuneiforme sumerica), hanno influito significativamente sulla sua formazione ed ispirazione artistica. Temi e simboli che ricorrono nei dipinti e disegni, oltre all’astratto e al suo personale stile di asemic writing, sono principalmente l’occhio, il pesce e il mondo marino, come simbolo ancestrale dell’origine della vita, la donna e lo Spazio/Universo con simboli scientifici e di fantasia. Ha esposto in mostre personali e collettive in Italia e nel mondo (Cina, Russia, Stati Uniti). Nel periodo fra il 2015 e il 2017 ha collaborato con un artista statunitense, elaborando a quattro mani dipinti, disegni e opere digitali su tela. Parte della sua attività è inoltre dedicata allo scambio e invio di Mail Art nell’ambito di mostre nazionali ed internazionali. Le sue opere sono presenti presso l’Archivio Sartori di Mantova, la sala multimediale della Biblioteca dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, in collezioni private e pubblicate su riviste e web magazine nazionali ed internazionali.

RENATA SOLIMINI Abisso Spaziale, 2019

Acrilico, olio e inchiostro su tela, cm 50x100


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Claudio Spada è nato a Roma nel 1957. Da giovanissimo si iscrive all’Istituto d’arte. Conseguito il diploma di Maestro d’arte inizia a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove nel 1979 si diploma in pittura. Dal 1980 al 1987 lavora presso una stamperia di grafica d’arte, specializzandosi nella stampa ed incisione in acquaforte a colori. In questi anni frequenta assiduamente alcuni tra i maggiori artisti italiani tra i quali Gentilini, Fazzini e Monachesi . Già dalla sua prima esposizione, che risale al 1983, Claudio Spada mostrerà la sua passione per il mare e per Roma, la città in cui è nato, vive e lavora. Spada dimostrerà poi una spiccata predilezione per la tecnica dell’acquarello che lo farà conoscere ed apprezzare. Gli inizi del XXI secolo segnano un graduale passaggio, per certi versi un ritorno, a tecniche pittoriche con impostazione materica, sia per quanto riguarda la scelta dei colori (olio, acrilico, ecc.) che per l’uso vario e creativo dei supporti: talvolta l’artista presenta le sue opere su classiche tele ma non disdegna l’impiego di semplici tavole di legno grezzo, per finire con il soddisfare il suo istinto sperimentale su basi del tutto innovative in pittura quali il forex. Recentemente Claudio Spada ha realizzato quelle che lui stesso definisce “opere 3D”, non vere sculture, piuttosto un materiale dotato di una propria massa, un propria profondità e spessore, la terza dimensione, appunto, su cui far risplendere l’intensità e la varietà dei suoi colori. Alcune sue opere sono esposte nella Pinacoteca Comunale di Lipari. Definito “figurativo di ricerca”, di lui hanno scritto, tra gli altri, Giuseppe Selvaggi e Luigi Tallarico. Presente dal 2005 nelle più importanti fiere d’arte nazionali. Partecipa a Venezia alla mostra “13x17” curata da Philippe Daverio e Jean Blanchaert. Una sua opera è nella collezione del MAMbo, museo di arte contemporanea di Bologna. Nel 2008, la Galleria Vittoria di Roma presenta alcune opere del pittore in Cina, al West Lake of Art Expo di Hangzhou. Da qui ha inizio la sua cosiddetta avventura cinese. Negli anni successivi Spada è presente, sempre con la Galleria Vittoria, in varie manifestazioni fieristiche ed artistiche nel Celeste impero.

CLAUDIO SPADA Dama con l’Ermellino, 2019 Tecnica mista su tela, cm 53x53


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Rodolfo Villaplana è un artista figurativo ispanico venezuelano con sede a Londra e Antibes, che ha completato i suoi studi con un master al Chelsea College of Art nel 2013. Da allora, il successo di Villaplana cresce a un ritmo impressionante. Dopo essere stato selezionato dal panel Young Masters Art Prize 2013, ha mostrato il suo lavoro alla London Art Fair e PINTA International Art Fair a Londra nel 2013. L’anno dopo ha partecipato alla Biennale di Venezia e ha esposto in una mostra personale al MOMA Tbilisi che, grazie alla popolarità è stata prorogata fino al 2016. Nello stesso anno è stato scelto per rappresentare il Regno Unito nella Biennale d’Arte iraniana. Le sue due personali a Roma sono state ospitate dalla galleria Maja Arte Contemporanea con grande successo nel 2015. Nel 2016 e 2017 Villaplana ha tenuto due mostre personali alla D Contemporary a Mayfair. Rodolfo ha sviluppato uno stile e una tecnica propri e molto personali che non assomigliano a nessun altro e rende le sue opere d’arte immediatamente riconoscibili. Il critico d’arte, curatore e fra i Direttori della Hermitage Foundation, Thierry Morel descrive nel 2016 la sua tecnica: “Villaplana schiera con il suo pennello una sinfonia di colori e tonalità con un coraggio intransigente che sfiora la brutalità [...]. La trama ruvida e terrosa della sua pittura ad olio cerca di sfidare i limiti imposti dall’immagine bidimensionale [...]. Mentre la curatrice Gaia Simionati nel 2015 paragona l’artista con Pontormo, Rembrandt, Tiziano e Rothko, per la sua combinazione di tradizioni figurative ed espressioniste nei suoi dipinti. Bliadze nel 2015 attribuisce a Villaplana: “la capacità intellettuale e tecnica di inventare nuovi modi di vedere e interpretare la sua visione espressiva”. Le sue prossime mostre saranno a Villa Eilen Roc a Cap d’Antibes in Francia e a breve a Milano. Il prossimo grande appuntamento e progetto per l’artista sarà però la mostra personale Installations Portraying the Object al MMOMA di Mosca nel 2020. Il successo ha permesso a Villaplana di avere un seguito appassionato di sostenitori e collezionisti che ha avuto inizio nel Regno Unito e si è poi diffuso in diverse capitali europee.

RODOLFO VILLAPLANA Three Legs, 2019 Olio su tela, cm 100x100


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IMMAGINARE

LEONARDO

GLI ARTISTI DELLA NUOVA SCUOLA ROMANA interpretano il Maestro Vinciano.

23-28 novembre 2019

Palazzo Genovese - Largo Sedile del Campo - Salerno La mostra è a cura di Tiziana Todi Coordinamento Tiziano M. Todi Direzione Editoriale Francesco Malvasi Art Director Tiziana Befani

Codice ISBN 9788894089653



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