TMW Magazine n.71

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TMWmagazine Mensile di critica e approfondimento calcistico

#71 NOVEMBRE 2017

LAZIO STYLE INZAGHI, IMMOBILE E LUIS ALBERTO: A ROMA VA DI MODA IL BIANCOCELESTE

FOCUS

ROMA

KOLAROV: IL REGISTA DI FASCIA

INTER

VECINO: DA SCOMMESSA A LEADER


TMWmagazine

SOMMARIO #71 NOVEMBRE 2017

COPERTINA INTERVISTA / FOCUS RUBRICHE

TMW RADIO

INTERVISTA

LAZIO

TRE UOMINI E UNA SQUADRA DAI FISCHI AGLI APPLAUSI, DALLA METÀ CLASSIFICA AL SOGNO CHAMPIONS PASSANDO PER UN’EUROPA LEAGUE DA PROTAGONISTI, CON UN UOMO AL COMANDO E DUE GIOCATORI SEMPRE PIÙ DECISIVI.

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GIUSEPPE BORRELLO LO SCOPRITORE DI CIRO IMMOBILE: “E DIRE CHE LE GRANDI LO SNOBBAVANO”

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GIACOMO LOSI BANDIERA DELLA ROMA DEGLI ANNI ’60, SI È RACCONTATO DAGLI STUDI DI TMW RADIO

METEORE

FOCUS ROMA

IL REGISTA DI FASCIA KOLAROV SI È SUBITO IMPOSTO NELLA NUOVA ROMA, PORTANDO TANTA QUALITÀ E PERSONALITÀ

FOCUS INTER

MATIAS VECINO DA SCOMMESSA A LEADER DELLA NUOVA INTER. ECCO CHI È MATIAS VECINO

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WALDEMAR VICTORINO VICTORINO, ISPIRÒ HOLLY E BENJI

SNAPSHOT 39

STAIRWAY TO HEAVEN LE SQUADRE ITALIANE IMPEGNATE NELLE COPPE EUROPEE

RECENSIONE 52

UNA VITA IN GIOCO. L’AMORE, IL CALCIO, LA SLA LA LOTTA DI STEFANO BORGONOVO RACCONTATA DALLA MOGLIE CHANTAL

EDITORIALI EDITORIALE FRATELLI D’ITALIA

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CAGLIARI IN FAMIGLIA

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HELLAS VERONA LINEA VERDE

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NAPOLI I GIORNI DI MARIO RUI

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TORINO UNA PROMESSA DA MANTENERE

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ATALANTA IL RISCATTO

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CHIEVO VERONA DUTTILITÀ E CERTEZZA

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INTER IL LEADER CHE NON TI ASPETTI

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ROMA LE FRECCE NELL’ARCO

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UDINESE UNA NUOVA SCOMMESSA

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BENEVENTO FALSA (RI)PARTENZA

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CROTONE L’UOMO IN PIÙ

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JUVENTUS PJACA DELLA VITTORIA

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SAMPDORIA PRAET L’INTERNAZIONALE

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SERIE B RILANCIO AL RIBASSO

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BOLOGNA RODRIGO RINASCE. DESTRO TRAMONTA

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FIORENTINA IL MOMENTO DEL CHOLITO

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LAZIO TRE UOMINI E UNA SQUADRA

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SASSUOLO CHE FINE HA FATTO BERARDI?

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SERIE C THIS IS THE END

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GENOA PAGA JURIC

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MILAN LUCE IN FONDO AL TUNNEL

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SPAL IL LUNGO DIGIUNO

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in copertina foto Antonello Sammarco/Image Sport

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EDITORIALE

FRATELLI D’ITALIA

Michele CRISCITIELLO @MCriscitiello

#EDITORIALE #INZAGHI #LAZIO

Editore TC&C s.r.l. Sede Centrale, Legale ed Amministrativa Strada Setteponti Levante, 114 52028 Terranuova B.ni (AR) Tel. 055 9175098 | Fax 055 9170872 Redazione giornalistica Tel. 055 9172741 | Fax 055 9170872 Sede redazione Firenze Via da Pordenone 12, Firenze Tel. 055 3999336 | Fax 055 3999336 Direttore Responsabile Michele Criscitiello criscitiello@tmwmagazine.com Direttore Editoriale Luca Bargellini bargellini@tmwmagazine.com Redazione Marco Conterio conterio@tmwmagazine.com Chiara Biondini biondini@tmwmagazine.com

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no, attaccante di buon livello con una carriera caratterizzata da qualche picco di estremo valore, l’altro fuoriclasse della realizzazione in grado di incendiarsi nell’area avversaria mettendo in fila record e trionfi. L’ambivalenza dei fratelli Inzaghi nel mondo del calcio è paradossale oltre che straordinaria per gli effetti che continua ad avere nel panorama nazionale. Soprattutto perché, a meno di un decennio di distanza, la storia rischia di ripetersi anche se a parti completamente invertite. Questa volta, sulla panchina ed alla guida di una squadra, il fuoriclasse è Simone mentre Filippo è quello costretto ad inseguire. Il tecnico della Lazio è stato protagonista di una lunga gavetta, trascorsa in quell’ambiente romano che lo ha costruito e trasformato dall’attaccante di cui sopra in uno degli allenatori più promettenti del panorama continentale. La storia è nota nel suo passato, con quella panchina prima solo assaggiata sebbene con riscontri più che positivi, e poi riconquistata quasi per caso dopo la querelle Biella che caratterizzò la cale estate del 2016 a colpi di comunicati e battaglie legali. Ad un anno e mezzo di distanza, infatti, ci troviamo a raccontare di un vero e proprio miracolo di organizzazione e risultati: quello impostato da un allenatore mai sopra le righe, elegante ed efficace nella costruzione di un collettivo che viaggia a medie da scudetto e non sembra intenzionato a fermarsi proprio ora che il decollo sta per prendere il via arrivando a vette che parevano impossibili da esplorare. In attesa che l’inevitabile deflagrazione del talento del suo condottiero possa assumere i contorni che tutti si attendono. Simone Inzaghi è il tecnico più corteggiato del nostro calcio, ed i motivi sono finalmente sotto gli occhi di tutti.

foto Daniele Buffa/Image Sport

Hanno collaborato Diego Anelli, Simone Bernabei, Tommaso Bonan, Ivan Cardia, Alessandro Carducci, Barbara Carere, Raimondo De Magistris, Lorenzo Di Benedetto, Luca Esposito, Marco Frattino, Andrea Giannattasio, Pietro Lazzerini, Gianluigi Longari, Tommaso Loreto, Simone Lorini, Andrea Losapio, Lorenzo Marucci, Tommaso Maschio, Gaetano Mocciaro, Andrea Piras, Stefano Sica, Daniel Uccellieri, Antonio Vitiello Fotografi Federico De Luca, Federico Gaetano, Image Sport Agency, Agenzia Liverani Realizzazione grafica TC&C s.r.l. Supplemento mensile gratuito alla testata giornalistica Tuttomercatoweb.com® Testata iscritta al Registro degli Operatori di Comunicazione, numero 18246

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COPERTINA LAZIO

Lorenzo DI BENEDETTO @Lore_Dibe88

#LAZIO #INZAGHI #COPERTINA

Tre uomini euna Squadra foto Antonello Sammarco/Image Sport

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COPERTINA LAZIO

Dai fischi agli applausi, dalla metà classifica al sogno Champions passando per un’Europa League da protagonisti, con un uomo al comando e due giocatori sempre più decisivi.

Inzaghi e le idee per una Lazio che sogna la Champions

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l cammino della Lazio, nella prima parte di questa stagione, è sembrato inarrestabile, o quasi, e la maggior parte dei meriti devono essere attribuiti sicuramente a Simone Inzaghi. Non solo per come è riuscito a dare una sua impronta alla squadra, attraverso il gioco e lo spirito di sacrificio, ma anche per essere riuscito a tirare fuori il meglio da ogni giocatore, recuperando qualcuno che sembrava aver smarrito la strada e lanciando giovani molto interessanti che stanno riuscendo a imporsi Immobile bomber principe: trascinando i biancocerinato dopo le esperienze in lesti sia in campionato che in Europa League. Liga e in Bundes Nel primo caso il nome è quello di Ciro Immobile, bomber principe della Lazio sia nella Serie A 2016/2017 che nella stagione in corso dove il suo tecnico molto raramente decide di fare a meno di lui, anche in partite nelle quali potrebbe rinunciarci. Dopo essersi imposto come capocannoniere con la maglia del Torino del 2014 il bomber napoletano aveva deciso di continuare la sua carriera fuori dai confini italiani, ma dopo le esperienze non certo esaltanti sia al Siviglia che al Borussia Dortmund lo stesso Immobile ha però deciso di tornare nel Bel Paese e la Lazio è stata molto intelligente a

puntare su di lui, per una scelta di mercato che si è rivelata azzeccatissima anche grazie, come dicevamo, al fatto che Simone Inzaghi sia riuscito a esaltare le sue qualità in campo e a permettergli di riprendere la fiducia che sembrava aver smarrito. Il merito del tecnico biancoceleste non si ferma però soltanto al centravanti italiano, visto che lo stesso allenatore è riuscito a tirar fuori dal cilindro un altro giocatore che in questa stagione è risultato decisivo in più di un’occasione. Stiamo parlando di Luis Alberto, spagnolo proveniente dalla cantera del Barcellona e dall’esperienza al Liverpool, non proprio esaltante. Classe 1992, prima di approdare nella Capitale ha vestito anche le maglie, in prestito, di Malaga e Deportivo La Coruna e soprattutto con

foto Federico Gaetano

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COPERTINA LAZIO

quest’ultimi aveva fatto intravedere buone cose, tanto da attirare le attenzioni di Claudio Lotito e Igli Tare che avevano creduto in lui affidandolo proprio a Inzaghi. Dopo una prima stagione di adattamento, dove è sceso in campo soltanto nove volte segnando un gol, quest’anno il giocatore è diventato un punto fermo dell’undici titolare della formazione biancoceleste, tanto da non far rimpiangere Felipe Anderson, fermo ai box da praticamente tutta la stagione. Immobile e Luis Alberto rappresentano dunque le note più positive di una squadra che sta facendo benissimo sia in Serie A che in Europa League, dove ha passato il turno, qualificandosi ai sedicesimi di finale da prima in classifica, con ben due turni di anticipo. Ripetersi non è mai facile, anzi è molto complicato, ma la Lazio, Immobile e Inzaghi ci stanno riuscendo eccome, sfruttando poi la freschezza dello spagnolo, per continuare a sognare la Champions League che coronerebbe un biennio d’oro,

Luis Alberto la sorpresa: Keita è soltanto un ricordo quello della rinascita del club capitolino. Sarebbe però ingiusto parlare soltanto di questi tre uomini, perché nei sorrisi di tutto il popolo biancoceleste non si può però non citare anche tutti gli altri artefici di questo momento, dal capitano Senad Lulic a Marco Parolo, fino a Lucas Leiva, Stefan De Vrij e Sergej Milinkovic-Savic. Tutti giocatori che non stanno certo facendo rimpiangere Lucas Biglia e Keita Balde partiti nel corso dell’ultima estate.

foto Daniele Buffa/Image Sport foto Antonello Sammarco/Image Sport

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INTERVISTA

Gaetano MOCCIARO @gaemocc

#BORRELLO #IMMOBILE #LAZIO

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E dire che le grandi lo snobbavano Parla Giuseppe Borrello, lo scopritore di Ciro Immobile

foto Insidefoto/Image Sport

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INTERVISTA

Capii presto che Ciro aveva le qualità per sfondare. Il fiuto del gol non gli è mai mancato

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n Ciro Immobile così non si era mai visto. E nemmeno alla Lazio c’era stato un giocatore con un simile impatto sottorete. Piola, Signori, Chinaglia: i loro record sono stati spazzati via dal centravanti di Torre Annunziata arrivato all’apice della maturità calcistica. Chi l’ha visto “nascere” giura che ha avuto sin dai primi calci l’innato senso del gol. A raccontarcelo Giuseppe Borrello, “scopritore” proprio di Immobile.

da calciatore ma vedevi delle caratteristiche, delle movenze che ti facevano capire che era speciale. Infatti lo portai in seguito al Sorrento”.

Giuseppe Borrello, Ciro Immobile è a oggi il miglior centravanti italiano. Che effetto le fa?

“Aveva una qualità che altri non avevano: un fiuto del gol mai visto finora. Ogni palla che toccava era gol, sempre gol. Una media spaventosa. Una volta, nel campionato Giovanissimi, segnò quasi da metà campo: lancio del portiere, lui si trova sull’out sinistro, la sposta leggermente e colpisce in rete. Una rete che a quell’età non vedi certo fare”.

“Mi riempie d’orgoglio perché ho sempre creduto potesse arrivare in alto. Anche quando, da ragazzino, qualcuno aveva su di lui qualche perplessità”. Andiamo con ordine, da quanto tempo conosce Ciro? “Praticamente da sempre. Conosco benissimo la famiglia, soprattutto il papà Antonio, col quale abbiamo giocato assieme, nei campionati regionali in Campania. Posso dire che ho visto Ciro nascere”. E grazie al padre è entrato nella sua scuola calcio. “Gestivo la scuola calcio Torre Annunziata 88, che Ciro frequentava quando aveva 7-8 anni. Chiaramente a quell’età non puoi prevedere una carriera

A Sorrento inizia a farsi notare fuori dalla regione. “C’erano già diverse società che lo seguivano, ma nessuno realmente pronto a investirci. Io, al contrario, ero convinto che Ciro potesse essere un giocatore professionista”. Cosa la portava a questa convinzione?

A 17 anni il trasferimento alla Juventus. “C’era un rapporto di collaborazione fra noi e la Juventus. I bianconeri, tramite Massimo Filardi (campione d’Italia col Napoli 1986/87) mi chiesero se c’era un attaccante interessante e io non ebbi dubbi nel raccomandare Ciro Immobile. Portai Massimo a vederlo dal vivo

Oltre alla Juventus si interessò a lui anche l’Inter. Ma decise di puntare su Balotelli

e le prime impressioni non furono molto convincenti. C’erano delle perplessità, la Juventus posso dire che non ci credesse molto all’inizio”. Si fece vivo qualcun altro? “L’Inter. Fece un provino ma

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INTERVISTA

Il Napoli? Non lo ha mai preso in considerazione i nerazzurri erano già coperti in attacco con un altro 1990: Mario Balotelli”. Alla fine la Juventus si è convinta.

“Una carriera così è difficile da prevedere. Ma come dicevo, i gol li ha sempre fatti, aveva una media di uno o due reti a partita in ogni campionato che abbia giocato”.

“Sì, arriva l’ok e Ciro sale a Torino. E si corona il suo sogno, visto che è da piccolo tifoso bianconero e poteva ammirare dal vivo il suo idolo Alessandro Del Piero”.

Un neo nella carriera è l’esperienza all’estero: Dortmund e Siviglia non sono state esperienze fortunate.

Ironia del destino Immobile diventerà poi un idolo del calcio. “Questa è la vita. Ma del resto un conto è avere la passione da bambino per una squadra, un altro conto è diventare un calciatore professionista”. Un giocatore di Torre Annunziata che si mette in mostra a Sorrento. Possibile che il Napoli non si sia mai interessato?

“Non si è ambientato, soprattutto in Germania ha avuto problemi con la lingua”: Lei oggi lavora a Cava de’ Tirreni e fa l’osservatore per il Genoa. Ci sono oggi nuovi Ciro Immobile? “Con le sue caratteristiche no. Ma devo dire che in altri ruoli ci sono interessanti prospetti della classe 2004 e 2005”.

“Mai, il Napoli non l’ha mai preso in considerazione. Io ho sempre spinto per Ciro, perché lo meritava: del resto si vedeva che aveva una marcia in più rispetto agli altri, ma evidentemente non tutti se ne sono accorti”. Che ragazzo era Ciro Immobile? “Ragazzo vivace, che non ha mai perso un allenamento, non ha mai avuto un rimprovero e non si è mi lamentato. Era focalizzato da sempre nel diventare professionista”. Pensava potesse crescere così tanto?

foto Daniele Buffa/Image Sport

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Il regista di fascia

Alessandro CARDUCCI

FOCUS ROMA

#ROMA #KOLAROV #FOCUS

@AleCarducci

Kolarov si è subito imposto nella nuova Roma, portando tanta qualità e personalità

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opo 7 anni passati in Inghilterra, al City, Aleksandar Kolarov ha fatto il suo clamoroso ritorno nella Capitale, questa volta alla Roma. Non sono molti i giocatori che possono dire di aver vestito entrambe le maglie capitoline. Se a Milano, invece, non è così strano vedere un giocatore passare i Navigli e cambiare casacca, a Roma le cose sono un pochino diverse. La rivalità tra le due tifoserie è più accesa e non a caso quasi tutti i giocatori che hanno disputato il derby nella Capitale lo definiscono tra i più sentiti al mondo. Ci vuole quindi una buona dose di personalità e di sfacciataggine e Kolarov, di personalità, ne ha da vendere. Si è fatto così scivolare addosso gli insulti e i fischi che i suoi nuovi tifosi gli hanno inizialmente riservato. Così come si è fatto scivolare addosso gli insulti dei suoi ex tifosi laziali: “Il tempo cambia tutto, lo sai, e cambiamo anche noi”, canta Vasco Rossi. Più che il tempo, sono state le prestazioni in campo a far cambiare idea a molti tifosi. Kolarov dà tutto per la causa e il suo apporto in termini di esperienza e personalità è fondamentale per una squadra che, in passato, ha mostrato qualche crepa. Già dalla prima giornata, il serbo ha fatto capire le sue intenzioni, decidendo il match delicato contro l’Atalanta con una punizione magistrale, che ha regalato tre punti pesanti a una Roma già messa in discussione. Di professione fa il terzino ma ha già messo a segno qualche gol importante. Parlavamo della personalità: a Torino, contro i granata, segna ancora su puni-

zione, ancora una volta sbloccando una gara tesa. Personalità è anche prendere per mano una squadra schiaffeggiata per due volte dal Chelsea, a Stamford Bridge, emotivamente provata da un inizio di gara così negativo. Personalità è anche dribblare, nel corso della stessa partita, due avversari e scaricare di forza e di rabbia in rete. Quella è stata la molla che permesso alla Roma di sbloccarsi e di sfiorare addirittura il colpaccio a Londra. È spesso lui ad avere il maggior possesso palla nel corso di una partita. Ci si aspetta che siano i centrocampisti il fulcro del gioco e, invece, chi tocca più palloni spesso è proprio il serbo con la faccia da duro e lo sguardo di chi ne ha viste tante. Con Perotti forma un asse d’acciaio, rompendo e disordinando le linee avversarie. Eppure Kolarov non sarebbe probabilmente tornato se Mario Rui non avesse deciso di cambiare idea e di raggiungere il suo ex allenatore, Maurizio Sarri, al Napoli. Era previsto che il portoghese facesse il titolare dopo l’infortunio di Emerson ma la vita, così come il calcio, è frutto di programmazione ma anche di casualità. Mario Rui ha così cambiato idea, impuntandosi così tanto per andare via che Monchi ha dovuto accontentarlo, cedendolo per circa 10 milioni. Il doppio di quanto, poi, la Roma abbia poi speso per Kolarov. I casi della vita.

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Si è fatto scivolare addosso gli insulti e i fischi che i suoi nuovi tifosi gli hanno inizialmente riservato

foto Antonello Sammarco/Image Sport

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Il leader che non ti aspetti Da scommessa a leader della nuova Inter.

Ecco chi è

Matias Vecino

Gianluigi LONGARI

@Glongari

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ell’anima di un’Inter che continua a raccogliere punti, sta facendosi largo un cuore che pulsa e sembra pompare ottimismo e garra ad ogni battito. Matias Vecino è un ingrediente fondamentale del positivo avvio di stagione del club nerazzurro, e sembra animato da un entusiasmo d’altri tempi palesato ad ogni opportunità di scendere in campo con la maglia interista indosso. Un sentimento dilagante, probabile retaggio dell’impostazione calcistica dei padri fondatori uruguaiani ed in grado di trasformarlo da umile lavoratore nelle segrete stanze della mediana meneghina, a solista capace di acuti indispensabili per verve atletica e spirituale come nelle battute finali di un derby che ha indubitabilmente contribuito a decidere. Plasmato da Maurizio Sarri ai tempi del suo miracolo empolese, “Mate” è pronto a contendere il bottino più importante proprio al suo vecchio maestro sotto la guida di un altro suo estimatore della prima ora come Luciano Spalletti: colui che gli ha consegnato le chiavi di un sogno a tinte nerazzurre, dal quale Vecino non sembra avere la minima intenzione di svegliarsi senza avere prima lasciato un segno tangibile ed impossibile da dimenticare. Proprio la descrizione che il tecnico di Certaldo ha fatto delle qualità dell’ex centrocampista della Fiorentina la dicono lunghissima sulle aspettative che il nuovo corso nerazzurro abbia nei confronti del proprio numero undici. Un giocatore totalizzante nella sua ambivalenza: capace tanto di interdire la manovra avversaria quanto di prendersi sulle spalle la cavalleria rusticana della

propria squadra diventandone fattivamente uno dei leader tecnici. Galoppate di cinquanta metri ricche di qualità oltre che di puro strapotere fisico, in grado di concludersi sia con l’apertura illuminante in favore di un compagno, sia con staffilate in grado di terrificare le retro-

FOCUS INTER

#INTER #VECINO #FOCUS

guardie avversarie. Insomma una soluzione di estremo valore in più per una batteria già ricca di scelte potenziali, ma allo stesso tempo bisognosa di un profilo in grado di prendersi responsabilità della giocata nel momento del bisogno. E non è un caso che proprio nelle gare più ad alto pathos, dal Derby in poi, Matias Vicino sia diventato un passo dopo l’altro un caposaldo imprescindibile dell’armata di Spalletti. Arrivando a toccare picchi di rendimento inusitati anche per un ragazzo sgrezzato dal nostro calcio e capace di farsi apprezzare in più di un’esperienza nel nostro paese.

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La più bella sorpresa del mercato nerazzurro, paradossalmente, è quindi un giocatore che in Italia si conosceva benissimo. Ma che solamente in pochi si aspettavano potesse diventare così forte.

Spalletti gli ha consegnato le chiavi del sogno nerazzurro

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foto Daniele Mascolo/PhotoViews

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EDITORIALE ATALANTA

IL RISCATTO Andrea LOSAPIO

#ATALANTA #CRISTANTE

Una crescita, quella del centrocampista, che dovrà concludersi con la riconferma a Bergamo

@Losapiotmw

Da Golden Boy del Milan a quasi meteora. La rinascita di Cristante agli ordini di Gasp

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n anno fa Bryan Cristante, quando militava nel Pescara, rischiava di vedere compromessa la propria carriera. In realtà anche due stagioni or sono, di questi tempi, quando (non) giocava nel Benfica. E pure tre, a dirla tutta. Insomma, l’ex Milan sembrava passato da crisalide - pronto a diventare meravigliosa farfalla - allo status di eterno incompiuto, dopo aver vinto un Golden Boy del Viareggio, come Spinazzola, e segnato alla prima presenza da titolare in un Milan-Atalanta, quando si dice il destino, firmando il 3-0 finale nella giornata ricordata per i 100 gol di Ricardo Kakà con i rossoneri. E lo è stato almeno fino a gennaio, quando Cristante è divenuto, tutto a un tratto, il perfetto sostituto di Roberto Gagliardini, passato all’Inter per 28 milioni di euro. Sedici presenze e zero reti, con il Pescara che non riusciva proprio a fare punti utili per togliersi dalla zona retrocessione. Anzi, l’unica vittoria era arrivata per un errore da parte dei dirigenti del Sassuolo che non avevano inserito Ragusa nella lista degli eleggibili per la sfida della seconda di campionato poi divenuta 3-0 per gli abruzzesi. Così più di qualcuno aveva storto il naso, non comprendendo fino in fondo perché Cristante avrebbe dovuto fare bene con la banda Gasperini, se non era mai riuscito a sfondare in nessuna delle altre situazioni. Vero è che a Palermo e Pescara la necessità era quella di lottare per salvarsi, ma in rosanero aveva comunque un ampio margine anche grazie alle contemporanee presenze di Dybala e Vazquez. A Bergamo, invece, è rinato. Buttato nella lista quasi subito, alla seconda opportunità ha timbrato il cartellino proprio con il Palermo, di testa, concedendo bis e tris con

Sassuolo e Udinese. La parte era comunque quella del comprimario, pur trovando una ottima continuità di rendimento. Troppo importante l’apporto dei Kessie e dei Kurtic, oppure di un Freuler comunque grande attore nel centrocampo nerazzurro. Al termine della stagione le presenze sono 12, con un ottimo ruolino di marcia. Le voci estive che volevano De Roon di ritorno – situazione effettivamente accaduta - lo avevano messo in dubbio, sebbene Gasperini non avesse dubbi: la sua intenzione era quella di puntare su Cristante perché perfetto, anche fisicamente, per il gioco dell’Atalanta. Per ora la fiducia è stata ripagata, con quattro reti in campionato (l’ultima con la SPAL), uno in Europa League e l’esordio, contro la Macedonia, con la maglia azzurra della Nazionale maggiore. Inutile dire che il miglioramento esponenziale di Cristante porterà con sé anche un riscatto da esercitare al 30 giugno 2018 e che appare come scontato. L’Atalanta ha trovato sì un nuovo leader ma, com’è probabile in caso di ottime prestazioni, anche una nuova plusvalenza come chi ha già salutato, dai Conti ai Kessie, appunto. Insomma, quasi cinque anni dopo il bozzolo è finalmente alle spalle per chi sognava già in grande. E che può diventarlo a breve, anche in termini di livello assoluto.

foto Daniele Buffa/Image Sport

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EDITORIALE BENEVENTO

FALSA (RI)PARTENZA Marco FRATTINO

#BENEVENTO #DEZERBI

@MFrattino

Il Benevento ha esonerato Marco Baroni puntando su Roberto De Zerbi, ma i sanniti sono ancora a zero punti

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n sogno estivo tramutatosi in un vero e proprio incubo autunnale, o quasi. Il Benevento puntava a essere una delle rivelazioni di questa Serie A, ma le prime dodici giornate di campionato hanno detto tutt’altro. La classifica è davvero drammatica, tuttavia la Società e la piazza credono in un ribaltamento a stretto giro di posta. Perché bisogna sempre puntare a migliorarsi e la ‘Strega’ non ha staccato la spina, tutt’altro. A dimostrarlo è l’ultima partita prima della sosta di novembre, quella disputata in casa della Juventus. Il primo tempo chiuso in vantaggio all’Allianz Stadium di Torino ha fatto tremare i sei volte di fila campioni d’Italia che, però, nella ripresa hanno ribaltato la situazione vincendo per 2-1 grazie alle reti di Gonzalo Higuain e Juan Cuadrado. Ma il gol di Amato Ciciretti, al netto di tutte le difficoltà palesate in queste settimane dalla formazione di Roberto De Zerbi, ha confermato che il Benevento proverà a giocarsela fin quando sarà possibile.

La classifica piange ma la buona prestazione contro la Juventus lascia ben sperare Proprio De Zerbi, tecnico dei campani dallo scorso 23 ottobre, è l’incaricato dal presidente Oreste Vigorito per riportare i giallorossi sulla retta via. Ci stava riuscen-

do già tre giorni dopo il suo arrivo nel Sannio, col pari contro il Cagliari conquistato nei minuti di recupero ma perso dopo pochi secondi vista la rete di Leonardo Pavoletti. Sarà difficile, dunque, per De Zerbi ma non impossibile. Intanto l’ex allenatore di Foggia e Palermo sta provando a conquistare il primo storico punto del Benevento in Serie A, voglioso anche di lasciare definitivamente alle spalle la sua parentesi siciliana conclusa con l’esonero di Zamparini dopo sette sconfitte di fila in campionato (otto in totale, considerando l’eliminazione in Coppa Italia contro lo Spezia il 30 novembre 2016). Adesso De Zerbi è arrivato al terzo ko consecutivo alla guida della ‘Strega’, ma la musica dovrà cambiare a breve. È necessario, per evitare un altro cambio di gestione tecnica a una squadra che non riesce proprio a scrollarsi di dosso l’etichetta di squadra materasso. Affibbiata finora, purtroppo, dal pessimo rendimento che vede il Benevento protagonista del peggiore inizio di campionato di tutti i tempi a livello europeo, rimediando la stessa striscia negativa del Manchester United nel lontano 1930. Un club che poi, nei decenni successivi, è diventato a dir poco leggendario. Il Benevento non punta a questo ma vuole semplicemente lottare per la salvezza, obiettivo che può essere perseguito soltanto conquistando qualche vittoria nel minor tempo possibile. Sassuolo, Atalanta e Milan saranno le prossime avversarie della squadra del tecnico bresciano, che deve sfruttare la sosta per rimettere la sua formazione in carreggiata. Altrimenti la prima storica stagione del Benevento in Serie A potrebbe virtualmente finire prima del previsto e assumere contorni ancor più drammatici di quelli attuali, uno scenario che dalle parti dello stadio Ciro Vigorito non hanno voglia di immaginarlo. Figuriamoci di viverlo.

foto Antonello Sammarco/Image Sport

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EDITORIALE BOLOGNA

RODRIGO RINASCE. DESTRO TRAMONTA Tommaso MASCHIO

#BOLOGNA #PALACIO

Sopravanzato anche da Petkovic il centravanti si avvia verso l’addio

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oveva essere l’anno della consacrazione per Mattia Destro. Il numero 10 del Bologna aveva vissuto un precampionato senza problemi fisici a compromettere il suo cammino verso la migliore condizione possibile, era da tutti considerato il titolare inamovibile attorno al quale ruotare i vari Federico Di Francesco, Simone Verdi, Rodrigo Palacio, Ladislav Krejci e di certo poco disturbato dalla concorrenza di Bruno Petkovic, vice designato. In pochi mesi però le cose sono cambiate con Destro che ha compiuto in doppio salto all’indietro nelle scelte e nelle gerarchie di Roberto Donadoni. Dopo alcune prestazioni opache in avvio di stagione e l’ormai solito atteggiamento indolente e poco combattivo infatti il tecnico del Bologna ha deciso di puntare sulla verve e la classe di Palacio come riferimento centrale venendo ripagato. L’argentino infatti, a dispetto dell’età, ha subito mostrato una voglia e una fame non comuni a chi è ormai giunto al termine della propria carriera, stupendo tutti per la dedizione che mette in campo. Molti infatti in estate pensavano a un’operazione low cost, Palacio è arrivato a costo zero, fatta giusto per allungare le rotazioni in avanti puntando su un giocatore che sarebbe venuto sotto le due torri a svernare. Nessuno, o comunque in pochi, si aspettavano che l’ex di Inter e Genoa potesse ripercorrere la strada tracciata da Roberto Baggio, Giuseppe Signori e Marco Di Vaio tutti arrivati in rossoblù più giovani di Palacio - prendendo in mano l’attacco del Bologna. Così invece è stato a scapito di un Destro che pur avendo 9 anni meno di Palacio, e avendo vinto molto meno, sembra

essere già appagato, con la pancia piena tipica di chi pensa che tutto gli sia dovuto e non ci sia bisogno di sbattersi per mantenere inalterate le gerarchie e cercare di (ri)conquistare un pubblico che l’aveva accolto calorosamente con un bagno di folla in stazione al suo arrivo al Bologna. Istantanee molto lontane nel tempo, più di quanto sia passato realmente, con Destro che sembra essere arrivato al capolinea. Come testimoniano anche le scelte e le parole di Donadoni che da inizio settembre a oggi ha schierato il numero 10 titolare solo in due occasioni (Napoli e Lazio in casa) lasciandolo in panchina per 90 minuti in quattro gare (Fiorentina, Inter, Sassuolo e SPAL) e concedendogli qualche minuto in altre tre (Genoa, Atalanta e Roma). “In queste settimane Destro si è allenato a pieno ritmo - ha spiegato Donadoni - e ha le stesse chance degli altri di partire titolare, dipende da come si allena”, parole che non suonano come una bocciatura completa, come alcuni hanno inteso, ma che fanno capire che Destro non è più inamovibile né incedibile nonostante rappresenti l’acquisto più oneroso della gestione Saputo e prenda il doppio di stipendio rispetto al secondo compagno più ricco. Gennaio si avvicina, il Sassuolo bussa alla porta, e se Mattia non cambierà atteggiamento la separazione potrebbe diventare sempre più concreta. Un addio probabilmente senza rimpianti visto il rendimento tenuto in questi tre anni dal centravanti.

Destro ha le stesse chance degli altri di partire titolare, dipende da come si allena foto Daniele Buffa/Image Sport

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EDITORIALE CAGLIARI

IN FAMIGLIA Tommaso BONAN La dirigenza cambia: panchina affidata allo storico capitano Diego Lopez

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uesta è casa mia”. È iniziata così la terza avventura di Diego Lopez sulla panchina del Cagliari. Del resto, nel calcio come nella vita, risulta quasi naturale affidarsi nei momenti difficili a quelle persone che conosci meglio. Che ti conoscono meglio. È stato così anche per il presidente Tommaso Giulini, che ha visto precipitare la situazione sotto i propri occhi. Troppe delusioni, così come troppo altalenanti erano stati fino a quel momento i risultati. O almeno n o n tali da poter

#CAGLIARI #LOPEZ

freschezza all’entusiasmo contagioso di inizio stagione. Un entusiasmo perso quasi all’improvviso, dalla gara col Sassuolo in poi. La decisione di affidargli la guida tecnica - fondamentalmente - è di facile lettura: lui che, storico capitano dal 1998 al 2010, quella maglia è arrivato a cucirsela addosso. Lui che proprio in rossoblù ha cominciato la carriera di allenatore. Allievi, Primavera, poi vice in prima squadra (con Ivo Pulga), poi da solo, fino all’esonero (legato anche ad alcuni attriti con la vecchia dirigenza), alla B col Bologna e alla parentesi col Palermo. Curiosamente compromessa - quest’ultima - proprio dalla sconfitta contro il suo Cagliari. Un allenatore che sa cosa vuol dire lottare nelle difficoltà - dunque - ma che soprattutto conosce alla perfezione l’ambiente cagliaritano. Dentro e fuori dal terreno di gioco. Ciò che serviva. In un cammino costellato di incertezze - quello che porta alla salvezza - si è deciso di andare sul sicuro. Su chi ha la capacità di adattarsi e calarsi velocemente in questa realtà, senza lesinare scelte coraggiose. Come quella del cambio di modulo, passato da Rastelli e Diego Lopez dall’ormai radicato 4-3-3 a quello con tre difensori centrali di ruolo. Un 3-5-2 in cui il solito Leonardo Pavoletti continua a rappresentare il terminale offensivo, affiancato via via da uno tra Diego Farias e Marco Sau. E chissà che proprio quest’ultimo non possa essere stato decisivo nella scelta della dirigenza di affidarsi al nuovo allenatore. Il miglior rendimento col Cagliari, infatti, l’attaccante l’ha avuto con Diego Lopez in panchina: stagione 2012/2013, dodici gol e finalmente la consacrazione nel calcio che conta. Quasi un segno del destino, al quale si aggrappano entrambi. Nel nome di una salvezza che - almeno sulla carta - con Diego Lopez in panchina ha una faccia un po’ più familiare.

Sau col nuovo allenatore ha avuto il miglior rendimento di sempre continuare con Massimo Rastelli alla guida della rosa. E allora, spazio a Diego Lopez. Uno che - come detto - a Cagliari è di casa. Trecentoquattordici presenze in carriera con la maglia dei sardi (con sette reti): insomma, una bandiera. E non è un caso se l’attuale nuovo tecnico della squadra faccia parte ormai da tempo della Hall of Fame. La società ha deciso di affidare dunque all’uruguaiano, 43 anni compiuti ad agosto, il compito di far rientrare il Cagliari sui binari giusti, di provare a tirare fuori il meglio d a l l a squadra almeno sino alla riapertura del mercat o , ridare solidità e

foto Federico De Luca

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EDITORIALE CHIEVO

DUTTILITÀ E CERTEZZA Lorenzo MARUCCI

#CHIEVO #CASTRO

@lorenzomarucci

Lucas Castro perno del Chievo e uomo mercato

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unto di forza e pedina praticamente inamovibile per il Chievo. Lucas Castro è elemento che sa essere spesso decisivo per i clivensi con i gol ma anche con gli assist. Classe ’89 è un giocatore particolarmente gradito a Rolando Maran che lo ha apprezzato per la prima volta al Catania e lo ha poi voluto con sé anche nell’esperienza con i veneti. All’età di 29 anni l’argentino pare aver raggiunto la sua completa maturazione distinguendosi anche per la capacità di inserirsi e per il movimento senza palla. Lui ha raccontato che il suo ruolo preferito sia quello della mezzala - Maran lo utilizza prevalentemente come interno destro nel suo schema - perché gli piace partire da dietro e arrivare di corsa entrando magari in area di rigore. Castro è stato ed è comunque un elemento abbastanza duttile: non a caso a Catania faceva l’esterno nel 4-3-3. All’inizio della sua carriera ha giocato prevalentemente da esterno, grazie alle sue doti nella corsa e nel dribbling. È soprannominato El Pata (la zampa, o meglio: piedone visto che porta il 45 di scarpe) e fa anche della forza fisica e dei colpi di testa alcuni dei suoi punti migliori: alcuni gol li ha realizzati in effetti sfruttando le sue capacità nel gioco aereo.

È un rendimento ad ogni modo costante il suo, che fa anche pensare che di questo passo possa aspirare a vestire nella prossima stagione la magia di una big. Del resto dopo vari anni passati tra Catania e Chievo sembra essere arrivato il momento di tentare anche una nuova avventura ancor più stimolante. Già nelle preced e n t i

sessioni di mercato comunque Castro era entrato nel mirino di varie squadre tra cui ad esempio il Torino che pare peraltro essere ancora in pressing sul giocatore che viene valutato dal presidente Campedelli intorno agli otto-dieci milioni. Anche il Genoa aveva pensato a lui in estate ma si è poi ritirato dalla corsa considerando eccessive le richieste dei veneti. Nei mesi scorsi inoltre pure la

Samp aveva mostrato segnali d’interesse per lui. D’altra parte la sua qualità e la sua versatilità sono caratteristiche che fanno gola a molte squadre. In dodici occasioni in carriera ha fatto anche la punta centrale. Castro sembra rappresentare anche l’anima del gruppo del Chievo, l’elemento in gradi portare il buonumore: sui social infatti si diverte a postare alcuni video che lo ritraggono mentre canta e strimpella la chitarra: “Sono nato a La Plata - ha raccontato - e lì sono cresciute e si sono sviluppate tante band musicali. Da bambino comprai una chitarra e poi da ragazzino continuai a suonarla a Buenos Aires”. Addirittura ai tempi di Catania aveva creato i Los Vulcanos, una band in cui c’era anche il Papu Gomez in quartetto che comprendeva pure Pablo Alvarez e Nicolas Spolli. A Verona invece è capitato addirittura che cantasse brani della canzone italiana davanti all’Arena. E chi lo ha ascoltato ha assicurato che anche in questo settore il talento non gli manca.

Le sue passioni? Il pallone e la chitarra foto Daniele Buffa/Image Sport

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EDITORIALE CROTONE

L’UOMO IN PIÙ Ivan F. CARDIA

#CROTONE #BUDIMIR #TROTTA

@ivanfcardia

Quanto incide lo Scida sull’avvio del Crotone

I

l prolifico risveglio di Ante Budimir e Marcello Trotta, cinque gol in due nei successi contro Fiorentina e Bologna, ha fruttato al Crotone sei punti in due partite. Ossigeno puro, per una squadra in forma, ma che comunque ha come obiettivo conclamato quello di ripetere l’impresa dell’anno scorso. Dodici punti in questo primo scorcio di stagione, nettamente p i ù positivo per i pitagorici, se paragonato a quello di un anno fa. Alla dodicesima giornata della Serie A 2016/2017, difatti, la squadra di Davide Nicola aveva conquistato appena cinque punti. E la salvezza sembrava un miraggio, tanto che poi è arrivata soprattutto grazie a una seconda parte di stagione vissuta da protagonisti, correndo sempre a duemila, coniugando prestazioni convincenti a risultati positivi. Quest’anno, la musica sembra diversa, nel senso positivo del termine. A scanso di equivoci, chiariamo però subito una cosa: vietato sedersi. La salvezza resta l’obiettivo, e foto Carmelo Imbesi/Image Sport

rimane difficile da raggiungere, perché la rosa allestita dal Crotone non sembra particolarmente più forte rispetto a quella delle dirette concorrenti. Detto questo, nelle fila rossoblù c’è, giustamente, una certa fiducia. Dovuta in buona parte ai due attaccanti di cui sopra, certo, ma anche a chi davvero sta facendo la differenza in questo avvio di campionato. Un dodicesimo giocatore, che urla, canta

L’obiettivo è ancora la salvezza ma lo ‘Scida’ è un’arma in più e sostiene la squadra a ogni partita. Un dodicesimo uomo, che si chiama Ezio Scida. La prima stagione del Crotone in Serie A non era infatti iniziata in Calabria, bensì a Pescara. Ospiti all’Adriatico nelle prime tre gare casalinghe della scorsa annata, i rossoblù avevano rimediato soltanto un pareggio contro il Palermo, oltre alle sconfitte con Genoa e Atalanta. Un punto nelle prime tre gare di casa: non un bel modo di iniziare l’avventura tra le mura “amiche”. Il tutto, con una media spettatori bassa: comprensibile, visto il viaggio non proprio agevole per i tifosi in Abruzzo. Il ritorno allo Scida, l’anno scorso, segnò poi la differenza: al netto della sconfitta prevedibile contro il Napoli, già all’undicesima, la seconda davvero in casa, il Crotone ebbe ragione del Chievo, avviando una striscia positiva di tre risultati utili consecutivi. Bilancio delle prime dodici giornate della scorsa stagione: cinque punti, di cui quattro in casa. Da agosto 2017 a oggi, invece, è cambiato tanto. Il Crotone ha giocato in questo campionato già sei partite allo Scida, casa sua, coi suoi tifosi e un’affluenza di pubblico vicina in media ai 10mila spettatori. E gli effetti positivi del ritrovato pubblico si fanno sentire: sei partite in casa, otto punti conquistati. Due vittorie, due pareggi, due sconfitte: il Crotone non è diventato imbattibile solo perché gioca in casa. Ma la musica è ben diversa, rispetto all’anno scorso. Media punti di 1,33 in casa: la differenza, per il Crotone, la fa davvero lo Scida. Il dodicesimo giocatore di Nicola, l’uomo in più degli Squali.

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EDITORIALE FIORENTINA

IL MOMENTO DEL CHOLITO Tommaso LORETO

#FIORENTINA #SIMEONE

@To_Lo_

Alla terza sosta stagionale Simeone ha fatto un gol in più del suo predecessore Kalinic

C

on il gol messo a segno contro la Roma, Giovanni Simeone ha superato Nikola Kalinic. I numeri alla terza sosta stagionale dicono che il centravanti argentino della Fiorentina ha segnato 4 reti e offerto 3 assist, mentre il croato rossonero si ferma a 3 reti senza assist. La faccia buona della medaglia del Cholito è questa, con il tabù al Franchi interrotto prima contro il Torino e poi contro i giallorossi. Due gol, uno sotto la Fiesole e l’altro sotto la curva Ferrovia, che hanno ulteriormente cementato un rapporto subito positivo tra Simeone e i suoi nuovi tifosi, seppure i risultati della Fiorentina bene raccontino i problemi affrontati dall’arrivo a Firenze. Al di là del confronto con il predecessore, quel Kalinic che dei movimenti in area di rigore ha fatto il proprio marchio di fabbrica, l’ostacolo principale da superare per il Cholito resta la solitudine in attacco. Perché come ampiamente prevedibile più che di coesistenza, con Babacar è giusto parlare di vera e propria staffetta e perché, escluso Federico Chiesa, anche sulle corsie esterne Stefano Pioli ha avuto i suoi bei grattacapi. Nel processo di assemblafoto Federico De Luca

Simeone rischia di sprecare troppe energie svariando sul fronte offensivo mento di una squadra nuova, infatti, il tecnico viola si è visto costretto ad abbandonare il 4-2-3-1 iniziale per tornare a un più rotondo 4-3-3, trovando in Thereau uno dei punti fermi del reparto offensivo. Con l’infortunio del francese, rimasto fuori sia con il Crotone che con la Roma, né Eysseric né Gil Dias hanno offerto approvvigionamenti in quantità e così i centri di Simeone sono arrivati con una staffilata dal limite sotto la traversa (assist di Benassi contro il Torino) e con un colpo di testa acrobatico (assist di Biraghi contro la Roma). Due prodezze alle quali aggiungere le reti segnate al Bentegodi, stadio veronese che gli ha portato fortuna sia contro l’Hellas che contro il Chievo, ma che fino a oggi non sono state sufficienti a spingere la Fiorentina nelle zone europee della classifica. Tra le pieghe dei problemi viola, del resto, c’è anche un attacco che ha nel duo Simeone-Thereau i suoi capocannonieri con 4 gol a testa, una quota di gran lunga inferiore al ritmo tenuto dai bomber delle altre squadre con i vari Immobile, Icardi, Dybala e Mertens già tutti in doppia cifra. Insomma se Firenze ha già scoperto e apprezzato la garra e l’agonismo di questo figlio d’arte è soprattutto sotto il profilo tattico che la Fiorentina si augura di scoprire presto il miglior Simeone. Riuscendo a servirlo con costanza nel corso della partita e magari aiutandolo a limitare la corsa a favore di una maggiore precisione in zona gol. Delle tante sensazioni sollevate dalle prima gesta in maglia viola c’è infatti proprio quella legata a un attaccante che spreca troppe energie svariando per tutto l’attacco piuttosto che restare in area di rigore in attesa di palloni giocabili. Quando Simeone e la Fiorentina troveranno l’equilibrio sotto questo profilo è molto probabile che anche la classifica ne risentirà positivamente.

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EDITORIALE GENOA

PAGA JURIC Simone BERNABEI

#GENOA #JURIC

@Simo_Berna

Salta la panchina del croato. Ma i problemi sono anche altri

T

anto tuonò... che piovve. Già da diversi giorni, anzi settimane, il nome di Ivan Juric era uno di quelli più traballanti dell’intero panorama calcistico italiano. I risultati erano tutti contro il tecnico di Spalato e la sconfitta nel derby contro la Sampdoria non ha fatto altro che far esplodere il tappo e indurre il presidente Preziosi ad esonerare Juric. Un cambio rotta probabilmente era inevitabile, ma addossare tutte le colpe al croato sarebbe ingiusto. Perché i problemi del Genoa, di questo Genoa, partono da lontano e non riguardano certamente solo la squadra. Perché la rosa non sarà da primi 5 posti, ma la qualità c’è e l’esperienza pure. C’è solo da assemblare al meglio questi fattori e tradurli in risultato sportivo. Le colpe di Juric, dicevamo: la prima e più lampante è quella di non aver saputo trasmettere il proprio carattere alla squadra, apparsa troppo spesso fragile o comunque in grado di sciogliersi senza troppa resistenza alle prime avversità. Nel mezzo ci mettiamo pure un po’ di sfortuna, perché l’infortunio di Lapadula ha certamente scombinato i piani (specialmente quelli tattici). Ma come dicevamo le colpe non possono essere tutte dell’allenatore: Juric sapeva a cosa andava incontro quando a suo tempo ha ‘ri-accettato’ la corte di Enrico Preziosi dopo l’esonero post 5-0 a Pescara, ma forse non ha avuto abbastanza forza per imporre le sue idee, i suoi concetti e perché no i suoi giocatori in sede di pianificazione del mercato. Anche se è vero che, alla luce della filosofia societaria del ‘tutti sono in vendita davanti a offerte concrete’, è difficile dire la propria e ancor di più farsi ascoltare. Ancora: la stagione del Grifone, oltre che per i problemi legati al

mercato, ha preso il via con le tensioni fra il presidente e parte della tifoseria e con la trattativa, o per meglio dire le trattative, per la cessione societaria. Che oggi pare essersi trasformata più in una cessione di parte delle quote del club, anche se di certezze provate ancora non ce ne sono. Anche questo aspetto, però, influisce giocoforza sul risultato sportivo. Perché la dirigenza, o almeno la proprietà, è lontana dalla squadra e comunque più in generale si percepisce questa sensazione di incertezza che non fa bene a nessuno, giocatori e allenatori compresi. Per questo col ‘nuovo’ corso Ballardini bisognerà provare ad iniziare col piede giusto anche da quel punto di vista, con Preziosi che dovrà risolvere quanto prima ogni vicenda legata alla cessione societaria o all’ingresso di nuovi capitali, italiani o esteri che siano. La situazione sotto la lanterna, sponda rossoblù, è grave ma non compromessa, ma servirà un repentino cambio di rotta per provare a portare la barca in porto, tradotto alla salvezza. Come detto la qualità c’è, l’esperienza anche. L’unico dubbio potrebbe nascere sull’abitudine dei giocatori a lottare per certi traguardi, ma l’arrivo di Ballardini servirà proprio a questo. Il tecnico conosce bene l’ambiente dalle due precedenti esperienze, quindi non avrà grossi problemi di ambientamento. E la sosta, questa volta, arriva davvero al momento giusto.

Preziosi dovrà risolvere al più presto la questione societaria foto Matteo Gribaudi/Image Sport

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EDITORIALE HELLAS

LINEA VERDE Andrea GIANNATTASIO

#HELLAS #VERDE

@giannattasius

L’Hellas si aggrappa al suo scugnizzo per la salvezza

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robabilmente un inizio di stagione così buono, all’interno di una rosa con decine di carenze e ancora tanti punti interrogativi, non se lo aspettava neppure Daniele Verde, esterno del Verona con un innato vizio per il gol. E forse, unica nota lieta di un Hellas che flirta pericolosamente con i bassifondi della classifica fin da inizio stagione. Non è dunque un caso che la freccia di scuola Roma sia diventato pronti via una risorsa indispensabile nell’arco di Pecchia, che dopo aver osservato da avversario l’esplosione di Verde nella scorsa Serie B ad Avellino (38 presenze e 8 gol, uno dei quali - decisivo per il successo dei Lupi - proprio al suo Verona l’11 febbraio scorso) in estate ha chiesto con forza al ds Fusco di poterlo avere nella sua rosa. Ottenendo in breve tempo la risposta entusiasta del giocatore, alla sua terza esperienza in A dopo quelle con la Roma stessa (fu lanciato tra i big nel gennaio 2015 da Rudi Garcia) e quella deludente a Frosinone, culminata con la retrocessione in Serie B. Due avventure però che sono già alle spalle, visto che i numeri messi insieme fino ad oggi dal talento campano spiegano bene come questo inizio di stagione, per il giocatore, sia decisamente il migliore della sua sua carriera da professionista, addirittura in crescendo rispetto all’annata di Avellino, dove dopo 11 turni

non era stato ancora così decisivo nell’economia della sua squadra. Le cifre collezionate fino ad oggi al Bentegodi dal classe ‘96 di Napoli, infatti, raccontano sicuramente un avvio più che positivo dell’avventura a Verona di Verde, vice-capocannoniere della squadra con tre reti (una in campionato, la sua prima in assoluto in Serie A, nel derby contro il Chievo più due in Coppa Italia proprio all’Avellino) e assistman decisivo nell’unica vittoria sin qui collezionata dal Verona contro il Benevento, tre punti pesantissimi in ottica salvezza. C’è però un altro dato che spiega quanto importante sia subito diventato Verde per l’Hellas ed è quello relativo ai minuti giocati: con i suoi 819’ disputati (numeri aggiornati all’11ª giornata di campionato) l’ex giallorosso è il terzo giocatore di movimento della rosa più utilizzato da mister Pecchia (viene chiaramente escluso da questa classifica l’intoccabile Nicolas

Tolto il portiere Nicolas, Verde è il terzo giocatore più utilizzato. Perfino più di Pazzini

tra i pali). Davanti a lui ci sono soltanto due “vecchi” pilastri come Romulo con 976’ e Bessa con 959’. Tanto per fare un esempio, il centravanti Pazzini, eroe della promozione dello scorso anno e capocannoniere della squadra, in questa speciale classifica si trova addirittura al settimo posto, distante ben 165’ da Verde. Cifre che spiegano quanto incisivo sia diventato l’apporto di Verde e, nel contempo, quanto si faccia sentire il peso della sua assenza (l’unica volta che che Pecchia lo ha lasciato in panchina 90’ per scelta tecnica è andato incontro alla débâcle per 3-0 in casa contro la Lazio). Di questo scugnizzo terribile, il Verona non può proprio fare a meno...

foto Daniele Buffa/Image Sport

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EDITORIALE JUVENTUS

RIVOLUZIONE INATTESA Marco CONTERIO

#JUVENTUS #PJACA

@marcoconterio

Il ritorno dopo un lungo calvario. Può essere lui il vice Higuain

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tra due gare, novantatre in tre partite in Champions League dove Pjaca ha siglato finora l’unica rete bianconera quando ha aperto le danze nel 2-0 del Dragao contro il Porto.

re al meglio e per crescere ancora. Nella sua seconda, nuova, vita in bianconero.

e notizie che il ventinove marzo arrivarono dal Santa Katarina di Zabok fecero Adesso, in casa Juventus, ci si interroga su dove possa disperare la Juventus. Le lacrime estoni giocare Pjaca una volta rientrato. Perché la scorsa di Marko Pjaca sono quelle di un talenstagione non ha trovato molto spazio ed era una rosa to che fa crack. Rottura al legamento senza troppi esterni, giusto per usare un eufemismo. crociato durante l’esperienza con la Adesso, Federico Bernardeschi e Douglas Costa Nazionale e, dalla clinica specializzata in ortopedia a hanno rinforzato la formazione di Allegri e, visto che trenta chilometri da Zagabria, arrivò l’amaro responso. Mario Mandzukic ha oramai messo le tende sull’eAl 64’ della gara con la maglia della Croazia, Pjaca sterno mancino della trequarti, la sensazione è che uscì dal campo di Tallin con le mani sul volto. LacriPjaca possa diventare il vice Gonzalo Higuain accenme, attesa, ansia. Poi un lungo stop, un recupero che trando il suo raggio d’azione. da marzo è terminato a inizio novembre quando è tornato a disposizione prima In estate, nonostante l’infordella Primavera di Alessandro tunio, in fondo la Juventus Dal Canto e poi della prima “Credo tanto in Pjaca”, ha detto di no alla cessiosquadra di Massimiliano Allene. Che fosse in prestito o a ammette il ct della gri. Per l’ultima prima della titolo definitivo. La Fiorensosta contro il Benevento non Croazia tina ci ha provato, col è stato convocato ma a breve direttore sportivo sarà a tutti gli effetti pronto per viola Pantatornare a giocare in campo. leo Corvino che ha provato a chiedere l’inserimento di Pjaca quale “Questo incidente di percorso non fermerà la tua parziale contropartita nell’affare carriera”, gli scrisse tramite Twitter Massimiliano Allerelativo a Federico Bernardeschi. gri. Per Marko Pjaca un percorso lungo, fatto di fatica Giuseppe Marotta e Fabio e di lavoro. In gruppo è rientrato, seppur parzialmente, Paratici, dg e ds bianconeri, a metà ottobre. “Bello riaverti con noi”, lo riaccolse sui ci hanno pensato e lo stesso social Sami Khedira, centrocampista tedesco di casa ha fatto anche il ventiduenJuventus. Non vedeva l’ora di riammirarlo con le scarne di Zagabria. Che poi ha pette anche il ct della Croazia. “In lui credo tanto”, ha deciso, lui come la Vecchia ammesso Zlatko Dalic. In bianconero, Pjaca ha finora Signora. Meglio restare giocato quattordici partite in Serie A ma per ‘soli’ 448 a Torino, per recuperaminuti totali. Trentaquattro quelli in Coppa Italia divisi foto Daniele Buffa/Image Sport

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EDITORIALE MILAN

LUCE IN FONDO AL TUNNEL Antonio VITIELLO

#MILAN #BONUCCI

@AntoVitiello

Acquistato come top player in estate, Leonardo Bonucci ha inciso in negativo sull’avvio di stagione del Milan

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imidi segnali di ripresa. Può essere intesa così l’ultima prova di Leonardo Bonucci prima della sosta per i playoff dell’Italia, contro il Sassuolo si è rivista la versione bianconera del difensore più pagato d’Italia. Da quando è arrivato al Milan non ha mai spostato gli equilibri, in alcune partite Leo non ha inciso in positivo ma addirittura è stato uno dei peggiori in campo. Il peso delle responsabilità l’ha schiacciato, in alcune situazioni è diventato insostenibile, peggiorando poi di giorno in giorno fino all’episodio della gomitata ad Aleandro Rosi in Milan-Genoa. E’ stato il punto più basso toccato da Bonucci in questa prima parte di avventura rossonera, da qual cartellino rosso però qualcosa è cambiato. “L’espulsione e le due giornate mi hanno permesso di lavorare, di mettere benzina e di togliermi un po’ di pressioni che avevo addosso, sia per prestazioni non all’altezza sia per il passaggio estivo, mi ero creato troppe aspettative, ho fatto un passo indietro”, ha dichiarato Bonucci dopo la vittoria scaccia crisi a Reggio Emilia. Un eccesso di responsabilità, compreso l’investitura della fascia da capitano tolta a Montolivo, ha messo in difficoltà Bonucci. Le critiche lo hanno impen-

Il crollo dell’ex Juve è stato pesante. Col Sassuolo segnali di ripresa sierito troppo e in campo non ha giocato mai con serenità. Ecco perché l’avvio è stato negativo, ma ora il difensore della Nazionale ha capito dove sbagliava, ha fatto un esame di coscienza e ha deciso di ripartire da zero, come se fosse un ragazzino all’esordio in serie A, accantonando la sua storia gloriosa alla Juventus. Ad incidere sulle sue prestazioni, oltre alle situazioni interne allo spogliatoio, c’è stata anche l’etichetta di difensore più pagato della serie A, acquistato a luglio per 40 milioni di euro (compres o De Sciglio), e arrivato tra la folla di Casa Milan c o m e salvatore della patria, c o m e giocatore in grado di spostare gli equilibri: “Se sono arrivate le critiche è perché non avevo dimostrato

di essere all’altezza, era solo colpa mia. Devo dimostrare tutti i giorni di essere tornato, non bastano due partite fatte bene. Voglio ricambiare la fiducia della società e dell’allenatore che mi hanno voluto”. Il Milan è in ritardo sulla tabella di marcia, con questo passo da lumaca non raggiungerebbe l’obiettivo prefissato in estate, ovvero rientrare tra le prime quattro a fine stagione, e la fotografia dell’inizio stentato è quella di Bonucci. Doveva essere lui il valore aggiunto, l’ago della bilancia, invece non ha ancora dato il suo reale contributo. Con il Sassuolo un piccolo passo avanti, la speranza per il club che il vero Leonardo sia finalmente tornato, perché con il suo importante contributo la squadra potrà risalire la classifica con più rapidità. Tutto dipende da Bonucci e dalla sua trasformazione, il reset c’è stato durante le due giornate di squalifica che gli hanno fatto saltare le partite contro Chievo e Juve, ora però deve iniziare a dare continuità alle prestazioni dopo il match positivo a Reggio Emilia. Il crollo, l’agonia e ora la lenta risalita.

foto Daniele Buffa/Image Sport

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EDITORIALE NAPOLI

I GIORNI DI MARIO RUI Raimondo DE MAGISTRIS

#NAPOLI #MARIORUI

@RaimondoDM

L’infortunio di Ghoulam irrompe nelle certezze di Sarri. Tocca al portoghese

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aledetto infortunio. Arrivato proprio nel momento più alto di una carriera che stava vivendo in questi mesi, in queste settimane, le sue pagine migliori. Faouzi Ghoulam è costretto a fermarsi proprio sul più bello. Uno stop inatteso, lungo, rimediato durante la sfortunata sfida di Champions League contro il Manchester City e che lo costringerà a restare fuori fino a primavera. “Rottura totale del legamento crociato anteriore destro”, recita il comunicato del Napoli, che dopo l’operazione ha dato anche una prima indicazione sui tempi di recupero: almeno 90 giorni prima di rivederlo sui campi di allenamento di Castel Volturno. Un vero peccato. Perché Ghoulam rispetto all’incerta passata stagione aveva mostrato segnali di crescita importanti. Meglio in fase difensiva, più preciso nei suggerimenti e qualche gol a confermare il processo di crescita. Forse, con Kolarov il miglior terzino sinistro della Serie A in questo avvio di stagione. E ora? Avanti con Mario Rui, con un terzino che fino allo stop di Ghoulam aveva giocato solo tre minuti. Ma Maurizio Sarri, nonostante nei primi due mesi e mezzo non l’abbia praticamente mai schierato, si fida di un calciatore che ha già allenato a Empoli e l’ha subito chiarito, già dal post-gara della sfida col City quando l’entità dell’infortunio di Ghoulam non era ancora chiara: “Hysaj può essere una soluzione sulla corsia mancina solo se Mario Rui non torna presto al top della condizione. Se Mario Rui sarà presto al 100%

la prima scelta sarà lui”. Detto, fatto. Sarri già quattro giorni dopo, al Bentegodi di Verona contro il Chievo, ha schierato l’ex laterale della Roma per 90 minuti. Una prestazione dignitosa per chi, ovviamente, non è ai livelli del terzino titolare, ma sa di poter dare il suo onesto contributo a una squadra che non può fermarsi per un infortunio. Anche se pesantissimo come quello di Faouzi Ghoulam. “Difficile dire come

Solo al 100% della condizione Mario Rui sarà la prima scelta

con la maglia del Napoli -. Con Ghoulam abbiamo perso un giocatore che stava facendo cose strepitose, posso somigliargli in certe cose, eguagliare certi suoi movimenti e migliorare in altri. Ma ora devo solo pensare a giocare al 100%”. Una soluzione tampone in attesa di gennaio, quando gli uomini mercato Giuntoli e De Laurentiis dovranno inserire in rosa un altro terzino. Da Masina a Vrsaljko, passando per Grimaldo e non solo. Se si vuole puntare davvero allo Scudetto,

non lasciare Mario Rui come unico padrone della corsia sinistra sarà operazione necessaria e imprescindibile.

m i sento, e r a tanto che non giocavo - ha detto Mario Rui dopo la sua prima gara da titolare

foto Daniele Buffa/Image Sport

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EDITORIALE SAMPDORIA

PRAET L’INTERNAZIONALE Andrea PIRAS Arrivato da trequartista, il ragazzo esploso come mezzala

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a trequartista a mezzala. È questo il percorso di Dennis Praet. Il numero 18 blucerchiato ha collezionato, domenica dopo domenica, prestazioni più che convincenti facendo innamorare i tifosi della Sampdoria con le sue giocate. Eppure il suo impatto con la città della Lanterna non è stato memorabile. Ragazzo timido, occhi di ghiaccio, è approdato in blucerchiato per la cifra di 10 milioni di euro. Una grande responsabilità per un ragazzo del 1994, allora 22enne, presentato come trequartista. La concorrenza certamente non mancava: oltre a lui la Samp presentava giocatori come Bruno Fernandes, Ricky Alvarez, Patrik Schick - allora non era stato presentato come punta vera e propria - e Filip Djuricic. L’annata purtroppo non è stata all’altezza delle aspettative. Troppe gare altalenanti, qualche giocata sbagliata e il suo valore realmente mai messo in luce. Marco Giampaolo però gli ha sempre dato fiducia, come del resto fa con ogni elemento della rosa doriana, schierandolo mezzala, ruolo in cui secondo il tecnico di Bellinzona può rendere al meglio. Quest’anno il vero cambio di marcia.

Dopo una stagione in chiaro-scuro, il centrocampista belga ha dimostrato il suo valore

#SAMPDORIA #PRAET

All’ex Anderlecht va dato il merito di non essersi abbattuto dopo prestazioni non all’altezza e di essersi tirato su le maniche, di aver lavorato con serietà e dedizione già dal ritiro di Ponte di Legno mettendosi a disposizione del gruppo e del suo allenatore. La continuità ha dato poi una mano al ragazzo. L’impiego costante infatti gli ha permesso di affinare i meccanismi con i compagni di reparto e adesso sta raccogliendo i frutti. Corsa, grinta e capacità di recuperare i palloni sono solo alcune delle doti messe in mostra dal giocatore che è diventato, insieme a Lucas Torreira, uno dei perni del centrocampo del club del presidente Massimo Ferrero. Nella fase offensiva il ragazzo si allarga spesso anche sulla fascia sinistra, sfruttando la sua velocità e la sua abilità palla al piede, cercando il dialogo anche con Strinic e andando anche al traversone vestendo i panni dell’assist-man. Suoi, per esempio, i passaggi vincenti per i gol contro Atalanta e Crotone di Karol Linetty, altra piacevole conferma della stagione, e il suggerimento che ha portato alla rete di Quagliarella contro l’Inter. Il centrocampista belga adesso è sempre nel vivo dell’azione, sia che si imposti sia che si debba rincorrere l’avversario. Non sono mancati anche i ritorni alle origini in questo primo scorcio di campionato. All’occorrenza, infatti, il tecnico lo ha anche impiegato alle spalle delle punte dimostrando la sua duttilità. “È un giocatore internazionale - ha dichiarato più di una volta mister Giampaolo nel corso delle conferenze stampa pre e post gara - ma bisogna che il giocatore sia convinto”. Analizzando questa prima parte di stagione sembra che tutto stia andando verso questa direzione con il club ligure che finalmente ha potuto contare su un talento, fino all’anno scorso, ancora inespresso. Dennis Praet intanto è definitivamente sbocciato. E la Sampdoria se lo coccola. foto Matteo Gribaudi/Image Sport e Daniele Mascolo/PhotoViews

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EDITORIALE SASSUOLO

CHE FINE HA FATTO BERARDI? Daniel UCCELLIERI

#SASSUOLO #BERARDI

@DUccellieri

Un declino continuo nelle ultime stagioni

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l 3 novembre 2013, il calcio italiano iniziava a scoprire il talento di Domenico Berardi. In quel giorno l’attaccante del Sassuolo segnò la sua prima tripletta in serie A contro la Sampdoria, che permise al Sassuolo di ottenere il suo primo, storico, successo fuori casa nel massimo campionato italiano. La storia di del giovane attaccante era una favola di quelle belle, una storia che solo il calcio può regalare: Berardi infatti venne scoperto per caso, durante una partita di calcetto con gli amici del fratello. Una partita come tante altre, coma fanno ogni settimana milioni di uomini e ragazzi. Berardi fu notato da un osservatore del Sassuolo, superò alla grande il provino ed entrò a far parte degli Allievi Nazionali del Sassuolo: poi l’approdo in prima squadra, la serie A e le prima tripletta nel campionato italiano. Il primo anno in serie A fu un trionfo: 29 presenze, 16 gol e 6 assist, un bottino niente male per un ragazzino al primo anno in uno dei campionati più difficili del mondo. La stagione successiva le cose andarono ancora meglio: un gol in meno (15 in 32 presenze), ma ben 11 assist vincenti per i suoi compagni di squadra. Due stagioni alla grande e le inevitabili voci sulle big interessate al talento neroverde, su tutte la Juventus, squadra che negli ultimi anni ha fatto molti affari con il club di Squinzi. Mesi e mesi di rumors di mercato, poi la scelta del ragazzo: restare al Sassuolo per completare il suo processo di maturazione. Una scelta sulla carta giusta, ma qualcosa si è inceppato. Nella stagione successiva, Berardi riuscì a mettere a segno appena 7 gol in 29 presenze, ancora peggio la scorso anno, quando le reti a fine

stagione furono solo 5, anche se l’attaccante del Sassuolo rimase a lungo fermo per i n f o r t u nio (stagione sfortunata per il Sassuolo, complice anche la prima, storica, partecipazione all’Europa League). Nonostante due stagioni apparentemente negative, le voci di mercato non sono mai mancate: dalla solita Juventus alla Fiorentina, passando per il Napoli e per la Roma di Eusebio Di Francesco, che avrebbe fatto carte false pur di poter allenare nuovamente il suo pupillo. Squinzi però è stato irremovibile: Berardi vale 40 milioni di euro, cifra che nessuno ha messo sul piatto in estate. Rimasto ancora una volta al Sassuolo, in molti si aspettavamo una stagione diversa, un riscatto dopo due anni non all’altezza delle aspettative. Riscatto che, purtroppo, ancora non è arrivato: 8 presenze, 1 gol ed un rigore sbagliato, questo lo score della punta neroverde sotto la guida di Cristian Bucchi. Le domande adesso sorgono spontanee: ha fatto bene la Juventus nelle passate stagioni a non investire su Berardi? I fatti al momento dicono di sì, visti i numeri degli ultimi anni di un ragazzo che in carriera ha giocato solo in periferia e mai in una grande squadra. Allo stesso tempo fa bene Squinzi a valutarlo così tanto? Se il rendimento non dovesse migliorare il rischio concreto è di vedere diminuire nettamente il valore del giocatore. Un vero peccato per le casse neroverdi, che con 40 milioni in passato avrebbero potuto costruire una rosa decisamente di valore. La palla adesso passa a

Berardi: una volta smaltito l’infortunio che lo sta tenendo lontano dai campi, dovrà mostrare a tutti il suo valore. Il Sassuolo e perché no anche l’Italia, hanno bisogno del suo talento.

Il Sassuolo e l’Italia hanno bisogno del suo talento

foto Antonello Sammarco/Image Sport

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EDITORIALE SPAL

IL LUNGO DIGIUNO Simone LORINI

#SPAL #BORRIELLO

@Simone_Lorini

A -6 dai cento gol in Serie A, Marco Borriello sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua carriera

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giornate, ma anche diverse prestazioni di livello utili alla squadra di Castori, con cui si consumò un divorzio sorprendente a gennaio.

opo la solita estate movimentata, l’autunno non sta regalando le consuete e attese gioie a Marco Borriello, a secco da oltre due mesi e finito tra le sorprese in negative di questo primo quarto di stagione in Serie A. L’attaccante della SPAL, arrivato in Emilia con l’etichetta di “ciliegina sulla torta”, aggiunta peraltro ad un mercato già piuttosto movimentato per gli estensi, non sta rispettando le attese della piazza, che tante speranze aveva riposto in uno dei grandi protagonisti dell’ultima decade di Serie A e non solo. Protagonista assoluto l’anno scorso con la maglia del Cagliari, che trascinò con cinque gol in dieci giornate, risultando anche uno dei migliori bomber italiani del campionato, a Ferrara non sta riuscendo a ripetere i numeri collezionati nelle recenti esperienze e che lo avevano portato a quattro lunghezze dalle cento segnature in Serie A (è tutt’ora il sesto giocatore in attività con più gol nel massimo campionato dopo Gilardino, Quagliarella, Pazzini, Pellisier e Higuain, ndr). Persino nei sei mesi poco esaltanti vissuti a Carpi, l’attaccante napoletano aveva fatto decisamente meglio: due gol e un assist nelle prime dieci foto Daniele Mascolo/PhotoViews

Numeri fortemente

I numeri delle prime dieci giornate lo hanno spinto per diverse volte in panchina

negativi che hanno spinto il giocatore a più di una panchina nei primi mesi di esperienza a Ferrara, con Semplici che sempre più spesso ha messo in campo la coppia formata da Alberto Paloschi e Mirco Antenucci, raccogliendo anche discreti risultati. La ritrovata vittoria in campionato, 1-0 nei confronti del Genoa, è stata griffata proprio dai due attaccanti di movimento, con il centravanti che è subentrato nel finale di gara disputato appena sei minuti. Con trentacinque primavere alle spalle e l’obiettivo tripla cifra in Serie A così vicino, è lecito aspettarsi una scossa da parte del centravanti napoletano, giunto alla tredicesima avventura della sua carriera dopo Milan, Sampdoria, Reggina, Treviso, Roma, Empoli, Triestina, Juventus, Genoa, West Ham, Carpi e infine Cagliari. Un bagaglio di esperienza che ha reso Borriello automaticamente uno dei leader della SPAL, come dimostra l’episodio di qualche settimana fa: “Fai meno sesso”, l’accusa di in tifoso al centravanti, sempre chiacchieratissimo in tema gossip e in quel momento seduto sul bus con il resto della squadra, con susseguente risposta a muso duro dell’att a c cante. Una volta chiesto all’autista di fermare l’autobus, l’attaccante ha voluto un faccia a faccia con il suo accusatore, difendendo la propria vita privata e forse prendendo anche troppo sul serio la frase del sostenitore.

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EDITORIALE TORINO

UNA PROMESSA DA MANTENERE Pietro LAZZERINI

#TORINO #NIANG

@PietroLazze

Niang è l’acquisto più caro della storia del Torino ma non ha ancora dimostrato il suo valore

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’Baye Niang è stata una delle trattative più complesse e lunghe che hanno caratterizzato il mercato estivo del Torino e non solo. Un giocatore da tempo in cerca di se stesso e soprattutto di una continuità mai riscontrata nelle precedenti esperienze. Un prestito con obbligo di riscatto per un esborso totale che supera i 15 milioni di euro e che dunque si attesta tra i colpi più cari della storia del club granata. Un colpo, che per tanti avrebbe dovuto fare la differenza nel progetto tecnico di Sinisa Mihajlovic e che, invece, per il momento è solo un grande punto interrogativo. Il francese, naturalizzato senegalese, è stato a un passo dallo Spartak Mosca, con i russi che avevano trovato un accordo totale con il Milan sulla base di 22 milioni di euro e con il giocatore che aveva addirittura fissato le visite mediche. Poi, l’intervento del tecnico serbo ha cambiato le carte in tavola, con lo stesso attaccante che ha rifiutato il trasferimento nella capitale russa mandando su tutte le furie la dirigenza rossonera. L’intervento dell’ex allenatore rossonero è stato decisivo per il successivo buon esito dell’affare, con la pace tra i club stipulata ancor prima che potesse nascere una polemica. Alla fine, la trattativa venne sbloccata dall’intervento del presidente Urbano Cairo, che il 31 agosto, ultimo giorno utile, riuscì ad acquistare il talentuoso esterno offensivo.

Il tridente completato da Ljajic e Belotti, con Iago Falque che avrebbe potuto perdere il posto, doveva essere quello dell’assalto all’Europa, ma il rendimento dell’ex rossonero non ha dato i frutti sperati. Mihajlovic stesso, lo ha criticato a più riprese dichiarando di aspettarsi di più dal proprio giocatore, ma ottenendo in cambio poco o niente. Dopo la crisi del Toro, culminata con la sconfitta subita a Firenze contro la Fiorentina, anche il patron Cairo è tornato a parlare del suo investimento più oneroso: “Il suo acquisto produrrà certamente risultati positivi. Con il suo strapotere fisico può fare la differenza. È un giocatore che ho apprezzato molto al Milan e al Genoa e sono contentissimo di averlo preso”. Un attestato di stima che ‘protegge’ il giocatore al pari delle dichiarazioni di Mihajlovic: “I milioni che il presidente ha investito per lui non sono soldi buttati. Garantisco io per lui”. Bastone e carota dunque, come di consueto per l’ex ct della Serbia. Dopo questa ennesima difesa collettiva però, è arrivato il momento per Niang di cogliere l’attimo e lasciarsi alle spalle le accuse di giocatore indolente e difficilmente decisivo. Ha bisogno di confermare le sue qualità e iniziare a far sognare i tifosi granata, abbastanza scocciati dal suo rendimento negativo. Per il Torino deve essere l’arma in più da affiancare a Belotti e dopo aver fallito nella sua sostituzione quando il ‘Gallo’ è dovuto rimanere fuori per infortunio, deve impegnarsi al massimo per diventare finalmente indispensabile per i granata. L’Europa è lontana, ma il tempo a disposizione è ancora abbastanza per far ricredere gli scettici e soprattutto per ripagare la fiducia mostrata dal club.

Cairo e Mihajlovic credono in lui ma i tifosi iniziano a rumoreggiare foto Matteo Gribaudi/Image Sport

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EDITORIALE UDINESE

UNA NUOVA SCOMMESSA Giacomo IACOBELLIS

#UDINESE #BARAK

@giaco_iaco

Antonín Barak sulle orme di Janko e con l’Arsenal nel mirino

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e i risultati fin qui altalenanti della squadra non hanno certo acceso l’entusiasmo della società e i sogni dei tifosi, in casa Udinese la notizia più bella corrisponde anche quest’anno all’exploit di un giovane di belle, bellissime speranze. Parliamo di Antonín Barak, classe 1994 acquistato in estate dallo Slavia Praga per circa tre milioni di euro. Mancino puro, il nuovo gioiellino della famiglia Pozzo stupisce per personalità, tempi di gioco e duttilità tattica. Nella prima parte di questo campionato, Delneri lo ha schierato infatti in almeno quattro ruoli differenti: mezzala, centrocampista centrale, trequartista o mediano. E sempre con buoni risultati. “Accetto di giocare ovunque, non mi dispiace muovermi da numero 10, ma mi sento più un 8”, ha chiarito recentemente l’eclettico Barak. Importanti mezzi fisici, ottima tecnica, tiro da fuori e anche un discreto senso del gol arricchiscono il biglietto da visita di un giocatore che, nonostante i suoi 22 anni d’età, fa stabilmente parte della rosa della Nazionale maggiore della Repubblica Ceca. D’altronde, già in patria Barak aveva attirato su di sé l’interesse di diverse squadre di livello l’Udinese lo seguiva da oltre un anno -, protagonista nella HET Liga della passata stagione a suon di gol, assist e prestazioni da sette in pagella. Proprio per questo motivo i friulani gli hanno fatto firmare subito un contratto

quinquennale, riponendo in lui grandissima fiducia per il presente, ma anche per il futuro. Quale piazza migliore che Udine, d’altronde, per proseguire il suo processo di crescita, in attesa del grande salto? Il ragazzo maturato nel vivaio del Dukla Pribram ha la testa sulle spalle ed è concentrato solamente sul campo, ma l’obiettivo di giocare un giorno con Arsenal o Barcellona nasce da molto lontano: “Ero e sono tifoso dell’Arsenal, impazzivo per Thierry Henry. Oggi guardo Iniesta, per visione di gioco e bellezza del tocco. Mi piacciono i Gunners e il Barcellona. All’Udinese comunque sto bene e qui devo crescere, non mi pongo il problema di quel che sarà. Vedremo”. Sulle orme del suo connazionale Jakub Jankto, pescato anch’egli dallo Slavia Praga nel 2014, Barak si prepara così a diventare un punto fermo della squadra di Delneri, step intermedio di una carriera che potrebbe regalargli tante soddisfazioni. A Barak, così come all’Udinese. Dopo i vari Sanchez, Isla, Zapata, Asamoah e Pereyra, solo per citarne alcuni, il jolly ceco sembra destinato infatti a rappresentare l’ennesima scommessa vinta dall’esperto e inappuntabile lavoro di scouting dei bianconeri. La ricetta, tanto, non cambia quasi mai. Un talento da consacrare tra le mura della Dacia Arena e poi rivendere a peso d’oro a una big, italiano o europea, realizzando plusvalenze da record.

Il nuovo gioiello dei Pozzo è un vero jolly di centrocampo

foto Antonello Sammarco/Image Sport

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EDITORIALE SERIE B

RILANCIO AL RIBASSO Luca ESPOSITO @lucesp75

Mercato intelligente nonostante partenze eccellenti. Salerno stupisce

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n rilancio al ribasso. Può essere sintetizzata così la stagione della Salernitana, partita in punta di piedi ma capace di esprimersi su ottimi livelli nelle prime dodici giornate del campionato cadetto. A parlare sono i numeri: una sola sconfitta, quattro vittorie e sette pareggi. I granata sono la squadra che insieme al Palermo ha perso di meno. Nelle ultime settimane sono aumentate anche le vittorie grazie ai successi contro Avellino, Novara ed Empoli. Un rilancio al ribasso perché in estate s’era parlato di ridimensionamento, e in effetti c’è stato. Almeno, o meglio solo sulla carta. Nell’ultima finestra di calciomercato sono andati via giocatori del calibro di Coda, Donnarumma, Improta, Busellato e Gomis. La società l’ha rimpiazzati con giovani di valore e giocatori affamati. È il caso di Mattia Sprocati, già a Salerno lo scorso anno ma riscattato in estate dalla Pro Vercelli. L’esterno nativo di Monza, attualmente fermo ai box, è sicuramente il protagonista di questo avvio di stagione. Dodici presenze, sei gol e cinque assist tra campionato e Coppa Italia. Numeri importantissimi che certificano il valore di un esterno di grande qualità e prospettiva. In attacco sono arrivati Riccardo Bocalon e Alessandro Rossi, giocatori motivati e intenzionati a fare bene in una piazza difficile come Salerno. Il primo la Serie B l’aveva solo assaggiata col Portogruaro-Summaga, il secondo è all’esordio tra i professionisti, eppure sta dimostrando doti tecniche e comportamentali fuori dal comune. L’ex Alessandria Bocalon era partito bene sia in Tim Cup che in campionato. Poi un digiuno di reti durato quasi due mesi e interrotto sabato scorso con la doppietta messa a segno nella

#SERIEB #SALERNITANA #BOLLINI

sfida contro l’Empoli. Indicazioni positive in attesa del rientro dall’infortunio di Francesco Orlando, talentuoso esterno acquistato dalla Lazio e girato in prestito ai granata. Arrivi importanti e di prospettiva anche a centrocampo dove sono stati confermati Odjer e Minala. Stanno facendo bene anche Matteo Ricci, di proprietà della Roma, e Sofian Kiyine, talentuoso giocatore il cui cartellino appartiene al Chievo Verona. L’ex Primavera della Roma s’era già messo in mostra con la maglia del Perugia. Il marocchino del Chievo invece viene da qualche presenza in massima serie e sta confermando quanto di buono fatto vedere sotto il piano tecnico. In difesa si stanno ben comportando Schiavi, Mantovani, Pucino e Vitale, così come i portieri Radunovic e Adamonis. A gestire questo bel collettivo c’è Alberto Bollini. Il tecnico di Poggio Rusco, confermato dopo i risultati positivi ottenuti lo scorso anno. Ha lavorato alacremente nel ritiro di Roccaporena. E i risultati si vedono. È già entrato nella storia con la striscia di dieci risultati utili consecutivi. Un plauso lo merita il ds Angelo Mariano Fabiani che ha lavorato bene in sede di mercato e i risultati lo stanno confermando. Nel frattempo Lotito e Mezzaroma osservano e chissà che non abbiano una soluzione per aggirare il problema della multiproprietà, unico ostacolo tra la Salernitana e un eventuale ritorno in Serie A.

Bollini ottimo nella gestione. Atleticamente la squadra è al top

foto Dario Fico/TuttoSalernitana.com

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EDITORIALE SERIE C

THIS IS THE END Stefano SICA Il Modena viene escluso dalla Serie C. Canarini salutano il calcio professionistico dopo 105 anni

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arà difficile dimenticare a Modena il 5 novembre del 2017. La fine di 105 anni di storia gloriosa, impreziositi da 28 stagioni disputate in serie A e dalla vittoria in due occasioni della Coppa Anglo-Italiana (1981 e 1982) e, successivamente, della Supercoppa di Lega di serie C nel 2001. Quindi l’ombra di un fallimento giudiziario imminente: mai era accaduto dal 1912 ad oggi. Fatale l’ultima rinuncia, lo scorso 5 novembre, a partecipare alla trasferta di Santarcangelo. Il quarto niet stagionale che, per regolamento, ha aperto la porta alla cancellazione dei canarini dal campionato di serie C. Contestualmente, il Giudice sportivo ha stabilito l’azzeramento, ai fini della classifica, di tutte le gare disputate fino a quel momento dal team di Ezio Capuano. Non hanno funzionato tutti i tentativi studiati in extremis per salvare il salvabile. Intanto, quello della Cooperativa Modena Sport Club, che ha provato a restituire il club ai modenesi con un piano di azionariato popolare promosso da Andrea Gigliotti. Era

#SERIEC #MODENA

stato firmato persino un preliminare di accordo col dominus “pro tempore” del Modena, Aldo Taddeo, imprenditore varesino con origini caudine e interessi in Slovacchia. Poi la fumata nera, conseguenza forse di una riflessione a 360 gradi fatta da Gigliotti circa l’opportunità di andare avanti in una scommessa troppo ambiziosa e complicata. Le ultime ore di vita del Modena hanno poi accompagnato la discesa in campo dell’avvocato modenese Antonio Tazzioli a raccolta degli ultimi “patrioti”, come ha definito i soggetti coinvolti nella più recente operazione di salvataggio del club. Un “comitato di salvezza” che ha visto la partecipazione di Carmelo Salerno, leader della Safim, Gianlauro Morselli, Paolo Galassini, Giovanni Giacobazzi, la cui azienda di vini sostiene la locale squadra di rugby, e persino l’ex patron Romano Amadei, ora proprietario del Lentigione. Solo alcuni tra i tanti personaggi che hanno dato la disponibilità a discutere con Tazzioli. Ma, come vicende analoghe insegnano, la prova dei fatti si è dimostrata più ardua di tutte le lodevoli intenzioni di partenza. Difficile risanare una situazione finanziaria vicina al crac, con 350mila euro da trovare subito per il pagamento degli stipendi relativi al bimestre luglio-agosto, senza contare i debiti contratti col Comune. È stata

una corsa contro il tempo, sicuramente apprezzabile. Ma troppo tardiva, evidentemente, per i calciatori, che a quest’ultima àncora di salvataggio non hanno creduto, confermando lo sciopero per l’ultimo impegno a Santarcangelo. Insomma, il tentativo di mediazione di Tazzioli è fallito esattamente come quello operato alla fine di ottobre da Taddeo, il quale aveva chiesto ai giocatori di rinunciare proprio agli emolumenti di luglio e agosto. Perché è su questo punto che il gruppo avrebbe voluto garanzie che, purtroppo, non ha avuto da nessuno. Ed è, non a caso, su questo aspetto che il numero uno del Modena ha alzato bandiera bianca, dimostrando, come era nell’aria, di essersi infilato in un gioco più grande di lui. Fatto sta che Aic e Lega Pro avevano sdoganato l’operazione Tazzioli, aprendo addirittura ad un utilizzo temporaneo della Berretti per non far scomparire il Modena. Ed il ruolo di Capuano in tutta questa vicenda? Sicuramente di grande professionalità e attaccamento alla causa. Anche a costo di essere, come in effetti è stato, un po’ troppo aziendalista e di scontentare più di qualche calciatore della sua rosa. Fino a non prendere neanche in considerazione l’ipotesi di puntare sulla Berretti, perché “sono un professionista serio e non un allenatore dilettante”. “Sarò l’ultimo ad abbandonare la barca”, giurò a suo tempo. Antonio Caliendo, che porta sulla propria pelle ferite e responsabilità di questo fallimento, magari non avrebbe meritato tanta dedizione. In estate, Capuano aveva rispedito al mittente altre offerte. Ora torna a casa senza soldi ma con tanta dignità. E il futuro? A Modena in molti sognano che si possa ripetere lo schema Giacomense-SPAL, con un impegno totale da parte dell’attuale proprietà del Castelvetro, squadra che milita in serie D. È un’eventualità che stuzzica, ma di cui, realisticamente, è prematuro parlare.

Caliendo porta sulla propria pelle ferite e responsabilità del fallimento

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INTERVISTA TMW RADIO

CORE DE ROMA Giacomo Losi, bandiera della Roma degli anni ’60, si è raccontato dagli studi di TMW Radio

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uindici stagioni con la maglia della Roma e il soprannome “Core de Roma”. Recordman di presenze prima dell’arrivo di Francesco Totti, Giacomo Losi è ancora oggi, ad 82 anni, una delle bandiere della società giallorossa. Ospite degli studi di TMW Radio Losi si è raccontato durante la trasmissione ‘Mi ritorni in mente’. Giacomo Losi, “Core de Roma”. Giallorosso dal 1954 per 15 stagioni. “Arrivare nella Capitale dalla provincia di Cremona per me fu una sorpresa. Ero stato avvicinato da uno degli storici osservatori del Bologna, poi però mi sono trovato a giocare per la Roma. A Bologna, però, ci sono andato lo stesso: in treno per firmare proprio l’accordo con i giallorossi”. Con la maglia della Roma i trofei conquistati sono stati relativamente pochi (due Coppa Italia e una Coppa delle Fiere), mentre invece i campioni conosciuti sono stati molti di più. “Ho avuto prima di tutto la fortuna di far parte di un bel gruppo, composto di brave persone che sapevano aiutarsi l’un con l’altro sia in campo che fuori. Sul piano tecnico, poi, ho avuto modo di allenarmi e giocare

#LOSI #INTERVISTA #TMWRADIO Ascolta il podcast con l’intervista

con calciatori del calibro di Antonio Angelillo, fortissimo nonostante fosse appena stato scartato dall’Inter, Pedro Manfredini, bomber vero, Torbjorn Jonsson e Francisco Lojacono, solo per citarne alcuni”. Da capitano della Roma, durante gli anni, tenne a battesimo numerosi giovani calciatori poi divenuti giocatori di alto livello. Uno di questi è stato Giancarlo “Picchio” De Sisti. “Sono stato il primo a caldeggiarne l’utilizzo in prima squadra. Convinsi il mister Alfredo Foni a schierarlo e lui si è dimostrato un grandissimo giocatore. Da allenatore, poi, è stato ottimo e devo ammettere che lo avrei voluto io come mister. Secondo me avrebbe meritato molta più considerazione nella sua carriera in panchina” Nel calcio, come nella vita, però non ci sono solo belle esperienze e incontri piacevoli. Per lei, ad esempio, ci fu un rapporto complicato con “il Mago”, Helenio Herrera. “Quando seppi che sarebbe arrivato alla Roma dopo la fine della sua parentesi con la Nazionale italiana ero molto felice perché lo reputavo un grandissimo allenatore e speravo di poter vincere qualcosa d’importante grazie al suo contributo. Con il passare del tempo, invece, mi resi conto che non era il tecnico che mi immaginavo. Non era un allenatore, ma un grande motivatore e comunicatore. Al pubblico piaceva per i comportamenti che teneva in pubblico, mentre io ho avuto molte discussioni con lui anche per le sue scelte tattiche”

“Correva più di tutti. In campo eravamo sempre dalla sua parte” Pedro Manfredini

(portiere Roma dal 1959 al 1965)

foto Daniele Petroselli

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INTERVISTA TMW RADIO

“È stato uno dei miei punti di riferimento. Era piccolino ma duellava alla pari con i più forti del mondo” Giancarlo De Sisti

(centrocampista della Roma dal 1960 al 1965 e dal 1974 al 1979)

Herrera fece il suo tempo nella Capitale, mentre lei no. Un rapporto “eterno” con Roma e i romani. “Roma è diventata la mia città. Qui nel 1954 ho incontrato mia moglie. La vidi per la prima volta mentre andava a prendere il latte e da quel momento capii che era la donna che volevo per me. Roma, la Roma e i suoi tifosi ancora oggi sono per me qualcosa d’importante. Se vado in giro la gente ancora mi riconosce e mi vuole stringere la mano. I figli di chi mi ha visto giocare mi fermano e mi salutano perché hanno imparato ciò che ho fatto con la maglia giallorossa dai racconti dei loro genitori. Sono sensazioni uniche, speciali”. Un insieme di emozioni difficili da raccontare che aveva nel derby la sua massima espressione. “Erano giornate incredibili. I tifosi erano un assillo continuo perché il derby era il derby. Per questo la società decideva di mandarci in ritiro tre giorni prima della partita. Ma sono state tutte battaglie meravigliose”. Qual è stato l’avversario più fastidioso incontrato in tutte queste battaglie? “In realtà quello fastidioso ero io. Non avendo un fisico imponente giocavo sempre d’anticipo e questo creava problemi agli avversari che perdevano il tempo dell’intervento. Quel fenomeno che rispondeva al nome di Nils Liedholm durante la partita mi definì un vero ‘rompipalle’”.

“Ho imparato non solo dall’allenatore ma anche dalla persona. Era un esempio” Giuseppe Materazzi

(ex centrocampista di Lecce e Bari)

foto Daniele Petroselli

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METEORE

VICTORINO, ISPIRÒ HOLLY E BENJI Gaetano MOCCIARO @gaemocc

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’Uruguay durante tutto l’arco della sua storia calcistica ha dato molti campioni al nostro torneo. Al tempo stesso, però, è stato anche uno dei più generosi sul fronte dei flop: il primo dalla riapertura delle frontiere è Waldemar Victorino.

Siamo nel 1980 quando venne organizzato il Mundialito, una sorta di giubileo per i 50 anni dal primo Mondiale di calcio. Si gioca in Uruguay e a vincere il torneo sono proprio i padroni di casa, trascinati da un centravanti esperto che in patria ha vinto tutto: Waldemar Victorino, per l’appunto. Il suo soprannome è El Piscador e vince la classifica cannonieri del torneo, segnando il gol della vittoria in finale contro il Brasile. A febbraio del 1981 Victorino si ripete segnando con la maglia del Nacional Montevideo il gol che vale il successo nella Coppa Intercontinentale contro il Nottingham Forest. Per inciso quella è la prima Coppa Intercontinentale che si gioca a Tokyo e per questo il gol di Victorino entra nell’immaginario collettivo dei giapponesi. In quel periodo un certo Yoichi Takahashi, fumettista e appassionato di calcio, inizia a disegnare autore di un manga sul calcio e si ispirerà a lui creando il personaggio Ruben Pablo Victorino, centravanti guarda caso dell’Uruguay. Quel manga diventerà poi un cartone dal successo planetario: Holly e Benji. Il Cagliari intanto lo annota e quando il suo bomber Franco Selvaggi viene ceduto al Torino mette le mani sull’esperto uruguayano e lo porta sull’isola. Assieme a lui arriva il peruviano Julio Cesar Uribe. La stampa è entusiasta per il colpo ad effetto e i tifosi stessi fiduciosi nel dimenticare la partenza del centravanti fresco campione del mondo.

#METEORE #VICTORINO #HOLLYEBENJI

Solite fanfare nella presentazione che trovano riscontro in un inizio incoraggiante (due reti in Coppa Italia) e che si spengono non appena la Serie A ha inizio. Il tecnico dell’epoca è Gustavo Giagnoni, uomo di grande esperienza che non si fa problemi a manifestare la sua perplessità sulla squadra allestita. L’allenatore, che in passato ha guidato Torino e Milan gestendo fior di campioni, mal sopporta le bizze dell’estroso, ma poco incline al gioco di squadra, Uribe. E ancor meno Victorino, squadrato subito come oggetto poco utile alla squadra. Per non dire dannoso, considerato che per ammissione dello stesso tecnico l’uruguayano viene schierato inizialmente solo per giustificare il suo acquisto.

Ma quanti anni ha? 33? Ma quando? Per me ne ha 43 Gustavo Giagnoni questo è uno straniero, facciamolo giocare. Fino a che non giochiamo un’amichevole a Iglesias, c’era una palla che stava entrando in porta, arriva lui e spara alto”. Giagnoni decide di non farlo più giocare e rimane di parola. A fine stagione le sue presenze nel nostro campionato sono 10, senza l’ombra di un gol. Il Cagliari retrocede e si libera del pacco, venduto per 100 milioni di lire agli argentini del Newell’s Old Boys. Victorino giocherà poi in Ecuador, Venezuela e Perù, chiudendo la carriera a 37 anni.

Il problema è che delle stimmate del campione intraviste un anno prima non si hanno traccia, anzi. La sua forma fisica ai limiti dell’indecenza porta ad avere sospetti sulla sua età. Circolano leggende quanto meno improbabili: clamorosa quella che vedrebbe il padre, umile contadino, che non sapendo leggere e scrivere soleva segnare con una tacca su una parete di casa i compleanni del figlio. Poi, alla presunta età di 10 anni, una tempesta distrusse la casa, ed il padre, non ricordandosi quanti “segni” ci fossero sulla parete, ricominciò a segnare da zero. Ergo, Victorino aveva 10 anni in più di quelli che aveva dichiarato. Come detto, questa resta una leggenda metropolitana. Ecco le parole di Giagnoni, anni dopo, riguardo Victorino: “Questo arriva e toglie il posto ad altri. Bisognava farlo giocare! Ma quanti anni ha questo qua? Mi chiedo. Dicono 33, ma quando? Per me ne ha 43. Comunque diamogli fiducia,

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SNAPSHOT TMW

STAIRWAY TO HEAVEN

Luca BARGELLINI

#CHAMPIONSLEAGUE #EUROPALEAGUE

@BargelliniLuca foto Daniele Buffa/Image Sport

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i sono tanti modi per affrontare l’impegno internazionale. Champions o Europa League che sia. Dalla consapevolezza delle proprie qualità radicata nei risultati del recente passato della Juventus, alla sana e guascona spavalderia del Napoli di Maurizio Sarri, passando per l’ambizione a tornare grande della Roma. Palcoscenico diverso, simili situazioni. Nella vecchia Coppa UEFA c’è un Milan chiamato a risorgere dopo anni bui, ma c’è anche una Lazio che sottotraccia ha le qualità per sorprendere e, infine, la piccola (grande) Atalanta di Gian Piero Gasperini che a suon di corsa e colpi ad effetto sta dimostrando settimana dopo settimana che a Bergamo non si fanno miracoli. Si costruiscono opere d’arte. Così i club italiani affrontano le coppe europee. Una strada alternativa, diversa quella pragmatica delle formazioni tedesche e inglesi e distante dal leziosissimo spagnolo. Passione, capacità e voglia di essere, ancora una volta, gli ultimi che diventano primi. La storia insegna molto in questo senso.

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SNAPSHOT TMW foto Antonello Sammarco/Image Sport

#NAPOLI

#FEYENOORDROTTERDAM

#CHAMPIONS

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#JUVENTUS

#SPORTING LISBONA

#CHAMPIONS

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#ATALANTA

#EVERTON

#EUROPALEAGUE

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#ROMA

#CHELSEA

#CHAMPIONS

foto Insidefoto/Image Sport

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#MILAN

#RIJEKA

#EUROPALEAGUE

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#LAZIO

#ZULTEWAREGEM

#EUROPALEAGUE

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#ATALANTA

#EVERTON

#EUROPALEAGUE

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#JUVENTUS

# OLYMPIAKOS

#CHAMPIONS

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#LAZIO

#NIZZA

#EUROPALEAGUE

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#MILAN

#AEK

#EUROPALEAGUE

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#ROMA

#CHELSEA

#CHAMPIONS

foto Federico Gaetano

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#NAPOLI

#FEYENOORDROTTERDAM

#CHAMPIONS

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RECENSIONE

UNA VITA IN GIOCO. L’AMORE, IL CALCIO, LA SLA di Chiara

BIONDINI

@ChiaraBiondini

Autore Chantal Borgonovo, Mapi Danna Editore Mondadori

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on tutti conoscono il viaggio. Questo è un libro che parla di vita e di speranza”. Chantal Borgonovo lancia questo messaggio nella conferenza stampa per presentare il libro che ha scritto con Mapi Danna, “Una vita in gioco. L’amore, il calcio, la Sla”, che non è soltanto un ricordo del marino Stefano. “È inevitabile comunicare momenti drammatici. Ci sono emozioni, il vissuto, ma anche altro... c’è anche un messaggio di speranza, perché purtroppo l’epilogo lo conoscono tutti”. Si perché Stefano se l’è portato via la “stronza” nel 2013, quella SLA contro cui lui ha combattuto fino alla fine, con la stessa determinazione che metteva da attaccante in campo, lottando ogni minuto per la partita della sua vita. Stefano, calciatore che ha vestito le maglie di Milan, Fiorentina e di altre squadre di serie A, ha avuto il coraggio con l’amico Roberto Baggio e anche Paolo Maldini di mostrare a tutti gli effetti di questa malattia degenerativa, affrontandola a testa alta, in quella straordinaria serata al Franchi di Firenze, nel 2008, con 27mila persone sugli spalti. Tutti commossi, nel vedere il campione inchiodato a una sedia a rotelle. “Non sapeva quale avversario avesse scelto! Non immaginava, la ‘Stronza’ di trovarsi a marcare un attaccante vero, un guerriero che fino all’ultimo ha saputo incoraggiare e sostenere chiunque!”- queste alcune parole di una lunga lettera che Baggio ha messo nero

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su bianco per ricordare l’amico. Chantal racconta in queste pagine, di come lo avesse conosciuto quando lei era poco più di una ragazzina e lui giovane promessa del calcio, e di come si fossero persi uno per l’altro dopo un bacio al caffè a una festa. “Credeva nelle cose belle e giuste, credeva nel calcio, nei minuti di recupero pieni di possibilità, credeva nell’amore e credeva in noi”. La loro storia è stata esplosiva perché non è esemplare, come lei racconta sottolineando come in ogni caso venderebbe “tutto per avere un frammento di quella tensione”, con lui che la molla in strada dopo una sfuriata. “Quando decidevo di essere irritante, precisa, soffocante, ci riuscivo alla meraviglia”racconta lei, così come trasmette la sua freddezza, quando Stefano da Udine non torna a

casa per mesi e quando si decide, “non poteva arrivare splendente e pensare di trovare una geisha. Non è delle geishe desiderare, io invece desideravo e lui si era sottratto”. Per cinque anni Borgonovo ha mosso solo gli occhi. Eppure, con il solo uso degli occhi è riuscito a fare

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RECENSIONE la rivoluzione. Ha deciso di dire sì, di non staccare le macchine...è una storia straordinaria, piena di valori. Ci sono la passione, la rabbia, l’odio, la rassegnazione, ma ci sono anche la rivincita e la resurrezione. Ci sono la dedizione, la fedeltà e la gelosia. C’è il tema bioetico del “fine vita”, l’abuso “comodo” di certi farmaci, ci sono il coraggio e la speranza. Non c’è la soluzione ma c’è la ricerca, che attribuisce senso al dolore. C’è il mondo dorato e appassionato del calcio e per il calcio l’amore assolto e acritico di Stefano. C’è il valore della famiglia che può salvare o ferire, a volte contemporaneamente, come la mamma di lui un giorno allontanata perché non reggeva il dolore. “L’ho chiusa fuori di casa. Non le ho mai più permesso di entrare”. C’è la condizione ingiusta e spietata dei malati di SLA che diventano schiavi, prigionieri, ma Chantal gli ha permesso di continuare a essere persona, intera, a essere marito e padre dei loro quattro figli. “Mi sentivo Rambo e Cenerentola...due fighi guerrieri”, le colonne “di una famiglia anomala, elastica, incasinata, piena di sfumature, nodi e spigoli”. Chantal confessa in ultimo che ci sono giorni in cui tra le mani stringe certe vecchie foto. “Il primo anno senza Stefano ho quasi solo dormito, il secondo ho quasi solo mangiato, il terzo non sapevo cosa fare. Speravo di accompagnarlo fino all’ultimo, non ci sono riuscita, con il tempo mi sono detta che è stato meglio ricevere una telefonata da mia figlia anziché essere stata costretta a farla io”si perché lei il giorno in cui la trachea di Stefano collassò, era a 208 chilometri di distanza a Zogli a sistemare la casa per portarlo in vacanza, non si allontanava da mesi, ma il destino ha voluto così. In queste pagine c’è una storia potente e parlante, di più, una storia che urla, piena di luce, di suggestioni, immagini, spavento e poesia, di verità anche cruda, la volontà di godere di ogni istante della vita nonostante gli ostacoli e i momenti bui.

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