Calcio 2000 n.203

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Mensile | NOVEMBRE 2014 | N. 203 | Italia | Euro 3,90

SPECIALE

CHAMPIONS

“IL SOGNO DI TUTTI” 44

Manolo GABBIADINI “Rivoglio la Nazionale”

ALBERTOSI VINCENZO D’IPPOLITO 68 ENRICO 58 I Giganti del Calcio I Re del Mercato



EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

www.calcio2000.it

direttore@calcio2000.it

SPECIALE CHAMPIONS LEAGUE

N. 203 - NOVEMBRE 2014

Mensile | NOVEMBRE 2014 | N. 203 | Italia | Euro 3,90

SPECIALE

CHAMPIONS

Calcio

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“IL SOGNO DI TUTTI” 44

A

Manolo GABBIADINI “Rivoglio la Nazionale”

ALBERTOSI D’IPPOLITO 68 ENRICO 58 VINCENZO I Giganti del Calcio I Re del Mercato

MAGICA MUSICHETTA E ATTESA SNERVANTE…

vete presente il canto delle sirene? Ecco, la musichetta della Champions League, al sottoscritto (e non solo) fa lo stesso effetto… Bastano poche note per entrare in uno stato di trance, d’improvviso ti rendi conto che sei al cospetto del gotha del calcio. Diciamolo, in passato, questa benedetta Coppa Campioni (detto all’antica) ci ha regalato soddisfazioni enormi. Ora sono un po’ di anni che non gioiamo di un successo italiano. I tempi dell’Inter di Mou iniziano a far parte del libro dei ricordi. Sulla carta, le favorite per alzare il trofeo, sono tutte straniere. Eppure quest’anno ho tanta fiducia nelle nostre due rappresentanti. Juve e Roma, al momento, testimoniano l’eccellenza del nostro calcio. Benny, nostro illustratore di fiducia, ha inserito Tevez e Totti nel ricco gruppo di campioni che ambiscono ad avere la coppa e, in effetti, non è una scelta assurda. Cosa manca a Juve e Roma per arrivare in fondo? Nulla. Non vedo in circolazione squadre in grado di surclassarle a prescindere. Il Real è forte, il Barça non scherza, Bayern e Chelsea sono ben attrezzate, ma bianconeri e giallorossi non sono da meno, quindi, amici miei, stiamo a vedere… Ovviamente speciale dedicato alla Champions, mi sembrava d’obbligo. Consiglio vivamente le esclusive a Parolo

e Gabbiadini, due giocatori da tener d’occhio… Emozionante parlare con Albertosi e poi fate voi… Veniamo invece alle tematiche calde del momento. Io, al momento, sono in attesa. Il calcio italiano ha nuovi condottieri. Sono stati eletti, hanno il potere di decidere, quindi aspetto le riforme di cui tutti discutevano dopo il fallimentare Mondiale e di cui ancora tutti parlano. Attendo i fatti, a parole abbiamo già risolto tutto… Passo velocemente ad un altro argomento spinoso: stadi di proprietà. Mi avete scritto in tanti, diversi esaltando il nuovo stadio della Roma. Tutto bellissimo ma perché i tempi, in Italia, sono sempre biblici? Negli States, quando decidono di costruire un nuovo impianto, sono delle schegge e rispettano ogni tempistica. Da noi tutto va a rilento. Lo ribadisco a gran voce: non abbiamo più tempo, siamo diventati una barzelletta per il resto dell’Europa. Le idee non mancano, a parole siamo fenomeni, ma io ci voglio entrare nel nuovo gioiello della Roma, ci voglio entrare prestissimo, così come voglio applicate le nuove regole del calcio adesso. Non c’è più tempo di salotti e disquisizioni, bisogna fare… Ripeto, ho fiducia ma non ho intenzione di aspettare in eterno. Mio padre dice sempre: quando una persona è malata gravemente, ha precedenza su tutto e tutti. Il nostro calcio non è malato, è ad un passo dallo scomparire dalle carte geografiche dei potenti…

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sommario n.203 Anno 18 n. 11 NOVEMBRE 2014 6 La bocca del leone

Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246

di Fabrizio Ponciroli

8 SPECIALE CHAMPIONS LEAGUE 2014/15 di Fabrizio Ponciroli p.10 - gruppo A di Simone Bernabei p.13 - gruppo B di Simone Lorini p.16 - gruppo C di Luca Bargellini p.19 - gruppo D di Pietro Lazzerini p.22 - gruppo E di Simone Bernabei p.25 - gruppo F di Pietro Lazzerini p.28 - gruppo G di Luca Bargellini p.31 - gruppo H di Marco Conterio

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di Lorenzo Marucci

DIRETTORE RESPONSABILE Michele Criscitiello

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44 INTERVISTA ESCLUSIVA Manolo GABBIADINI

Marco Conterio, Luca Bargellini, Gaetano Mocciaro, Gianluca Losco, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Simone Lorini, Lorenzo Marucci, Tommaso Maschio.

52 SERIE B - FROSINONE di Tommaso Maschio

di Pierfrancesco Trocchi

56 Serie D - LECCO

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di Simone Toninato

58 I Re del Mercato VINCENZO D’IPPOLITO

di Stefano Borgi

58

TC&C S.r.l.

League 1969/70

di Gabriele Porri

Statistiche

Redazione Calcio2000

81 CALCIO IN ROSA

CATERINA CASTIGLIONI

Contatti per la pubblicità:

di Barbara Carere di Stefano Borgi

68

VINICIO VERZA

di Gabriele Cantella

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98 SCOVATE DA CARLETTO NUMERO CHIUSO IL

30 SETTEMBRE 2014

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Pieroni S.r.l. via Carlo Cazzaniga, 19 20132 Milano Tel 02 25823176 Fax 02 25823324

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di Carletto RTL

15 NOVEMBRE 2014

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90 CAMPIONATI STRANIERI

IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il

e-mail: media@calcio2000.it

Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 - 25124 Brescia (Italy) Tel. 030 3543439 Fax. 030349805

88 DOVE SONO FINITI?

SPAGNA di Carlo Tagliagambe INGHILTERRA di Luca Manes GERMANIA di Flavio Sirna FRANCIA di Renato Maisani

Image Photo Agency (imagephotoagency.it), Agenzia Liverani, Federico De Luca, Sara Bittarelli, Andrea Staccioli.

Realizzazione Grafica

78 Storia della Champions

82 ACCADDE A... NOVEMBRE

Hanno collaborato

Sergio Stanco, Carlo Tagliagambe, Gabriele Cantella, Stefano Borgi, Gabriele Porri, Thomas Saccani, Luca Gandini.

Fotografie

di Simone Bernabei

68 I Giganti del Calcio ENRICO ALBERTOSI

Diretto da

Fabrizio Ponciroli

Redazione

di Sergio Stanco

54 LEGA PRO - PISTOIESE

EDITORE

TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872

34 INTERVISTA ESCLUSIVA

Marco PAROLO

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Calcio2000 è parte del Network

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BOCCA DEL LEONE

di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport

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LLORA ICARDI NON E’ UN BIDONE

Gentile Direttore, spero di trovarla in forma. Allora, una domanda secca: ma Icardi allora non era un bidone? Tutti a dire che aveva in mente solo il divertirsi, la sua Wanda ma, alla fine, mi pare che il suo dovere lo stia facendo in campo, o sbaglio? Come sempre i giornalisti non sanno mai cosa dire e, allora, si inventano storie che non hanno senso. Bisognerebbe valutare sempre dal campo, non per quello che uno fa fuori dal campo che sono affari suoi. La leggo sempre, saluti Marco, mail firmata

Argomento spinoso, caro Marco… Intendiamoci, sulle qualità, da calciatore, del ragazzo, non ci sono dubbi. Se il Monaco era disposto a spendere cifre importanti, durante l’ultima finestra di mercato. Per averlo, un motivo ci sarà, no? A me è sempre piaciuto, credo che debba migliorare molto ma può far bene, soprattutto se ha fiducia attorno a sé. Poi c’è il resto. Nessuno discute la sua vita fuori dal campo, ognuno è libero di fare, nei limiti del consentito, ciò che preferisce ma, personalmente, trovo poco opportuno continuare a fomentare i media con continui cinguettii. Ovvio, è la mia personale opinione…

B

ENITEZ E’ SCARSO

Direttore, le scrivo da Napoli. Complimentissimi per la rivista anche se di Napoli mi parla sempre troppo poco. Vengo al punto: sono inferocito con il signor Benitez. Mi ha venduto Behrami e non abbiamo un incontrista vero e non mi cambia mai il modulo, chissà perché… Secondo me è un tecnico scarso, non posso pensare che non abbia capito il problema

che è anche quello dello scorso anno. Non abbiamo gente forte a centrocampo e pure vendiamo Behrami. Mi risponda, la prego! Giacomo, mail firmata

Mi spiace Giacomo, non la penso come te. Ritengo Benitez un eccellente allenatore. Ovunque è stato, ha fatto sempre bene. Ti congedo il fatto che vendere Behrami, tra l’altro per pochi soldi, non sia stata una grande idea ma Benitez non lo discuterei. Ha vinto lo scorso anno e potrà vincere ancora. Il vero problema è l’incredibile pressione che c’è nei confronti degli azzurri. Non deve essere semplice, soprattutto quando le cose non vanno bene. Benitez è l’uomo giusto nel posto giusto.

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HE BRUTTO AMBIENTE

Egregio Direttore, mi chiamo Filippo, ho 38 anni, un bimbo di 5 anni e non vado più allo stadio. Mio figlio ci vorrebbe andare ma io non me la sento. Ogni volta che metto piede a San Siro, mi innervosisco. Sento sempre i soliti stupidi insulti, la gente imprecare, le esplosioni in curva e mi chiedo come siamo arrivati a questo livello e non mi so dare una risposta. Secondo lei, porterò mai mio figlio allo stadio? Sia sincero… Filippo, mail firmata

Per fortuna ho due bimbe… A parte le battute, purtroppo ti capisco e condivido le tue perplessità. Non piace neppure a me assistere a quando accade in qualsiasi stadio vada.

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PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it

colori e suoni unici. Il giocatore, mentre portava su il pallone, faceva rumori tipo aratro. Volevo sapere se era un appassionato anche di questo mondo, visto che io, Mexico 86, ce l’ho tutt’ora! A livello di giornale, bene le interviste ma sarebbe carino, a mio parere, dare più spazio anche ai grandi eventi del passato. Nessuno parla mai delle grandi squadre degli anni ’70 o ’80… Simone, mail firmata

La mancanza di cultura è atavica, la voglia di cambiare impalpabile. Quando sono stato all’estero, mi sono goduto anche lo stadio, non solo la partita. Che fare? C’è poco da fare. Credo sia altamente improbabile cambiare la nostra cultura, a meno che non si decida di rinnegare il passato ma non sarà facile…

C

HI VINCE LA CHAMPIONS?

Direttore, mi sta preoccupando con la questione statistiche, non faccia scherzi. Comunque, come ogni anno le chiedo finaliste e vincitrice Champions e come andranno le nostre italiane? Lo scorso anno ha beccato il Real Madrid. Vediamo come andrà quest’anno, sono curioso… Stefano, mail firmata

Caro Simone, non mi cogli per nulla impreparato, anzi… Ho un cabinato jamma a casa e con questo ho detto tutto. Per i nostalgici, ho trovato anche un’immagine del meraviglioso Mexico 86. Il portiere con il cappellino che si disperava ad ogni gol preso è pura leggenda…

RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO E’ stato un caso, te lo assicuro. Non ci prendo mai con i pronostici. Comunque, per la stagione 2014/15, dico che sarà il Barcellona a trionfare. Non me lo vedo Messi a restare fuori dai giochi per tanto tempo. Vedo una finale con il Chelsea. Juve e Roma? Dico quarti e sarebbe già un buon risultato per entrambe… Sulle statistiche: per ora sono stoppate ma a vantaggio di altri contenuti e sempre più fotografie in esclusiva…

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E LO RICORDA?

Direttore, so che lei è un grande appassionato di anni ’80 e ’90. Essendo io nato il 1975, la capisco in toto. Vediamo se però è anche un amante di videogame. Io sono cresciuto nei bar, a giocare con cabinati a gettone. Se lo ricorda Mexico 86? Era un videogame davvero fantastico, con

Si è concluso con il trionfo dei Brooks Pomezia il Campionato Nazionale di Calcio a 5 ospitato sui campi di Cervia (Ra) e Cesenatico (Fc) nell’ambito di Verde Azzurro, la manifestazione nazionale di AICS Associazione Italiana Cultura Sport che ha portato sulla riviera romagnola oltre 4mila persone da tutta Italia tra atleti, staff tecnici ed accompagnatori.

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SPECIALE champions league

di Fabrizio PONCIROLI

32 PER UN SOGNO Riflettori puntati sul trofeo che vale prestigio e una fiumana di milioni…

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inalmente la Champions League. La tradizionale musichetta che accompagna ogni match valevole per il trofeo per club più agognato d’Europa. Si riparte dalla vittoria del Real Madrid del nostro Ancelotti. Al via, come da regolamento, 32 squadre, tutte unite da un solo grande sogno: vincere la Coppa dalle grandi orecchie. L’edizione 2014/15 ha tanti spunti per cui seguirla con ancor maggior interesse. Parliamo dell’edizione, storia alla mano, numero 60 (la 23esima con la formula attuale). L’appuntamento per la finale è da brividi: 6 giugno 2015, nello splendido scenario dell’Olympiastadion di Berlino. Ben 74.398 posti a sedere, un teatro ricco di storia di imprese sportive (qui si sono disputate le finali del Mondiale 1936 e 2006, molto care a noi Azzurri). Arrivare fino alla sede della finalissima è l’obiettivo di tutte le partecipanti ma, già far parte della rosa delle 32

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magnifiche, è sinonimo di ricchezza e giubilo. Eh sì perché la Champions League è un torneo che porta introiti pazzeschi. Si pensi al Real Madrid. Grazie all’impresa della passata stagione, la Uefa ha dovuto riconoscere ai blancos la cifra record di 57,4 milioni di euro (premio partecipazione, bonus legati alle performance e introiti derivanti dal mercato). Anche la Juventus, nonostante una cavalcata non eccezionale nel corso dell’ultima edizione, si è portata a casa 43 milioni (più altri sette derivanti dall’Europa League). Per il Milan, unica squadra italiana a superare la fase a gironi, 37,6 milioni, non proprio noccioline… Sarà anche per questo che quella musichetta drizza le orecchie di tante persone. Partecipare alla Champions significa essere nel gotha del calcio. Purtroppo per l’Italia, quest’anno ci saranno solo Juventus e Roma a difendere i colori azzurri (il Napoli ha salutato l’Europa che conta ai preliminari). La concorrenza per le nostre due rappresentanti è tosta. Spagna, Inghilterra e Germania pos-

sono mettere sul piatto vere e proprie corazzate. Dalle spagnole Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid alle inglesi Manchester City e Chelsea, passando per Borussia Dortmund e Bayern Monaco. C’è da impallidire… Se poi si aggiunge anche il PSG di Ibra e Cavani, ecco che il panorama si fa ancor più complicato per i sogni bianconeri e giallorossi. Ma, si sa, la Champions, come l’ha definita Mourinho, “…è un torneo in cui può accadere di tutto”. L’Italia ha voglia di tornare a primeggiare in Europa, soprattutto dopo il fallimento Mondiale. Alla Juventus aspettano il terzo trofeo da quasi 20 anni (la seconda Champions è datata 1995/96) e a Roma non ce la fanno più a risentir parlare dei rigori falliti contro il Liverpool. Certo, ipotizzare una finale tutta italiana come accadde nell’anno di grazia 2002/03 (Milan-Juventus) sarebbe pura utopia ma, con quella musichetta, tutto diventa possibile, anche i sogni più irrealizzabili. Si parte, altro giro, nell’attesa di sapere chi sarà la nuova regina d’Europa…


foto Image Sport

foto Federico De Luca

speciale / champions league

CERCASI 13

Giggs trema

QUALCHe record

di Thomas SACCANI

di Fabrizio PONCIROLI

di Thomas SACCANI

Dalla gioia dell’Inter di Mourinho, solo grandi delusioni per i nostri colori. Il successo manca da troppo tempo…

L’ex stella del Manchester United è il giocatore con più presenze in Champions ma c’è chi lo insegue da vicino…

Dall’imbattibile Manchester United al record dell’eterno Ballotta, ecco le curiosità della manifestazione più ricca d’Europa

ono già trascorsi quattro anni dall’ultimo trionfo italiano in Champions. Era l’Inter del Triplete, quella guidata da Mou. Dal 2009/10, solo delusioni per il nostro Paese, alla ricerca del 13esimo trionfo della storia (ad oggi, 7 successi Milan, 3 Inter e 2 Juventus). Meglio di noi, solo la Spagna che, complice la recente Decima del Real, è volata a quota 14 successi complessivi. A 12 anche l’Inghilterra che manca all’appello dal 2011/12 (Chelsea). In ritardo la Germania con “solamente” 7 vittorie, a fronte di 10 finali perse (14 ne abbiamo perse noi italiani, nessuno ha fatto peggio di noi). Se il Real Madrid, a livello di club, è la più vincente di sempre (10), curioso il caso del Nottingham Forest: due successi (1978/79 e 1979/80), unico club ad aver vinto più edizioni del trofeo europeo che campionati (una sola gioia).

iggs non ha bisogno di presentazioni. L’ex stella dello United ha, nel corso della sua infinita carriera, portato a casa record e trofei in maniera continuativa. Tra i tanti, quello di record man di presenze in Champions League: ben 151 le presenze nella Coppa dalle grandi orecchie. Un traguardo che, in questa edizione, potrebbe cadere. Alle sue spalle ci sono un paio di giocatori che puntano a superarlo. In primis, attenzione a Xavi. Rimasto al Barcellona, il fenomenale centrocampista è fermo a quota 147, quindi ad un soffio dal gallese. Non è lontanissimo neppure Casillas. Il numero uno del Real Madrid ha già messo in cantiere 142 gettoni… Nessun italiano in corsa (Maldini, ex Milan, è quinto con 139 partite). Possibili novità anche nella classifica marcatori di tutti i tempi con il primatista Raul (71 reti) che ha Cristiano Ronaldo (68) sul collo…

a Champions è ricca di record. Ce ne sono a bizzeffe. Partiamo dal super Manchester United del biennio 2007/09, squadra capace di restare imbattuta per 25 gare di fila. Il club con più vittorie consecutive è il Bayern Monaco (10) mentre appartiene alla Juventus il primato come gare consecutive in Champions League (43, dal 13 settembre 1995 al 21 aprile 1999). L’ultima squadra a centrare il Triplete (campionato, coppa nazionale e Champions) è stato il Bayern Monaco nell’edizione 2012/13 (il Celtic il primo a riuscirvi, nella stagione 1966/67). Gento è il calciatore che ha vinto più Coppe Campioni/Champions (6) mentre Babayaro (16 anni e 87 giorni) e Ballotta (43 anni e 253 giorni) sono, rispettivamente, il più giovane e il più vecchio ad aver partecipato al torneo… La Champions aspetta altri record…

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di Simone BERNABEI ATLETICO MADRID - JUVENTUS - OLYMPIAKOS - MALMO

Provaci ancora, Juve

Dopo la delusione turca dello scorso anno, i bianconeri contenderanno agli uomini di Simeone il titolo di regina del gruppo A. LA NUOVA JUVE

Da Conte ad Allegri ma sempre di qualità

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utto sommato poteva andare peggio alla Juventus di Massimiliano Allegri. L’Atletico Madrid è la squadra del momento (a dir la verità un momento che oramai dura da oltre un anno), ma Olympiakos e Malmo, a livello di potenziale tecnico, non dovrebbero impensierire i bianconeri. Poi si sa, nel calcio conta il campo e l’esperienza della Juve dello scorso anno, insegna che la Champions regala sempre qualche sorpresa, quindi attenzione, i viaggi in Grecia e Svezia non saranno semplici scampagnate. Squadra giovane e fisica, il Malmo, allo Juventus Stadium ha dato prova di grande voglia ma anche di evidenti limiti tecnici. Alcuni calciatori interessanti, magari in prospettiva

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OCCHIO AI GRECI l’Olympiakos è la possibile sorpresa del torneo


speciale / champions league / GRUPPO A

FORZA TEVEZ

Tornato al gol anche in Champions, l’Apache è la stella bianconera

LE STELLE

DIEGO GODIN

futura, ma difficilmente l’ex squadra di Ibrahimovic potrà essere l’outsider in ottica qualificazione. Diverso il discorso per l’Olympiakos, che annovera fra le proprie fila calciatori del calibro del Chori Dominguez, Afellay, Mitroglou e Abidal. I dirigenti del club ellenico hanno creato un vero e proprio melting pot di etnie e nazionalità diverse, assemblate sapientemente dall’ex Real Madrid Michel. E poi c’è l’Atletico campione di Spagna e finalista nella scorsa Champions: gli uomini di Simeone sono la dimostrazione che il lavoro paga, e la Juventus potrebbe sfruttare l’occasione per “studiare” da vicino l’approccio e la cattiveria agonistica che han-

foto Daniele Mascolo

Diego Godin (A. Madrid) - Oggi è uno dei difensori più apprezzati al mondo, difficile credere che nel 2003 il suo cartellino fosse valutato… 27 euro. Esatto, non avete letto male, la parola ‘milioni’ non c’è così come non c’è alcun errore di stampa. Diego Godin fu pagato 27 euro dal Cerro Montevideo, che lo acquistò dal Defensor Sporting. Oggi, Godin è l’uomo dei gol importanti: Italia al Mondiale, Real Madrid in Champions, Barcellona in campionato… Carlos Tevez (Juventus) - L’Apache dopo un anno di ambientamento a Torino, sembra essersi cucito addosso la maglia bianconera. Classe, grinta e un senso del gol addirittura migliorato rispetto agli scorsi anni, lo rendono forse la stella più luccicante dell’intero girone. Ha ritrovato il gol in Champions dopo oltre 5 anni e non vorrà certamente fermarsi qua. Kostas Mitroglou (Olympiakos) - L’attaccante ex Fulham è tornato alla base ed ha già cominciato a segnare. Con lui, Dominguez e Afellay la classe non manca nell’undici di Michel, ed i tanti interessamenti giunti in estate confermano la sua classe. Peccato che i greci se lo siano tenuto stretto per tentare di superare, ancora una volta, la fase a gironi.

CARLOS TEVEZ

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speciale / champions league / GRUPPO A

no portato una buona squadra, senza troppi fenomeni ma con un allenatore dal grande carisma, sul tetto di Spagna e d’Europa. L’Atletico di quest’anno ha cambiato tantissimo, sono andati via i grandi protagonisti della scorsa stagione, ma è rimasto Diego Simeone, il vero artefice del miracolo rojiblanco. Il Cholo sembra aver già trovato la giusta alchimia per inserire i nuovi, non inganni la sconfitta alla prima contro l’Olympiakos. L’Atletico è squadra vera ed il Calderòn, uno degli stadi più caldi d’Europa. Passare a Madrid non sarà facile per nessuno, ma è un percorso obbligatorio per quelle squadre che come la Juventus vogliono diventare finalmente grandi anche nel continente.

ANCORA SIMEONE Senza Diego Costa, l’Atletico si affida al suo tecnico...

DIEGO SIMEONE

LE SORPRESE Raul Jimenez (A. Madrid) - Chilena, o più semplicemente rovesciata. Questo il colpo preferito di Raul Jimenez, attaccante messicano pescato dall’Atletico Madrid nel Club America. La bontà dell’investimento sarà confermata dal campo, intanto basti sapere che i Colchoneros hanno pagato oltre 10 milioni per questo centravanti veloce e tecnico. Kingsley Coman (Juventus) - Fino ad oggi, le analogie con Pogba sono impressionanti. Stessa provenienza, dal PSG a parametro zero, ma 3 anni di meno. Allegri gli ha dato fiducia, e se il buongiorno si vede dal mattino, quella di Coman potrà essere una carriera da top player. Emil Forsberg (Malmo) - Esterno mancino in forza al Malmo, sogna di ripetere i successi del connazionale Zlatan Ibrahimovic. Classe ’91, Frosberg è già uno degli uomini chiave della Nazionale svedese e se il Malmo riuscirà a non essere solo una comparsa in questa fase a gironi il merito sarà anche e soprattutto suo.

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Kingsley Coman

ATLETICO MADRID (4-3-3)

JUVENTUS (3-5-2)

OLYMPIAKOS (4-2-3-1)

MALMO (4-4-2)

Oblak Ansaldi Godin Miranda Siqueira Koke Gabi Mario Suarez Arda Turan Mandzukic Griezmann All: Simeone

Buffon Barzagli Bonucci Chiellini Lichtsteiner Pogba Pirlo Vidal Evra Tevez Llorente All: Allegri

Roberto Salino Abidal Botia Masuaku Maniatis Kasami Dossevi Dominguez Afellay Mitroglou All: Michel

Olsen Tinnerholm Helander Johansson Konate Eriksson Halsti Adu Forsberg Rosenberg Thelin All: Hareide

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speciale / champions league / GRUPPO B

di Simone lorini

REAL MADRID - BASILEA - LIVERPOOL - LUDOGORETS

Una voglia Real

Il Real Madrid punta a entrare nella storia col doppio trionfo in Champions, ma attenzione al ritorno dei Reds REAL PER L’11ESIMA

I blancos puntano a bissare il successo dello scorso anno

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ue favorite assolute e due outsider ansiose di guastare i piani alle big: il Gruppo B di Champions è quanto di meglio i tifosi di Liverpool e Real Madrid potessero ambire, con Ludogorets e Basilea classiche squadre materasso. A meno di sorprese, bulgari e svizzeri sembrano destinate a lottare per il terzo posto, ovvero per l’Europa League. Per i Campioni d’Europa e vicecampioni d’Inghilterra dunque strada spianata fino alla fase finale della manifestazione, anche se, nel torneo che riunisce la crème dell’Europa calcistica, nulla può essere dato per scontato e le insidie sono sempre dietro l’angolo. Orfano di Suarez, il Liverpool si affida a Balotelli, al mercato aggressivo con-

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speciale / champions league / GRUPPO B

CR7 HA ANCORA FAME Cristiano Ronaldo vuole un’altra Champions League

LE STELLE

MARIO BALOTELLI Cristiano Ronaldo (Real Madrid) - Pallone d’Oro, 51 reti stagionali in 47 partite, Scarpa d’Oro della Champions e anche qualche titolo di squadra non indifferente. Anche quest’anno, Cristiano Ronaldo non è una delle stelle del Gruppo B di Champions League, ma la stella principale dell’intera manifestazione. James Rodriguez (Real Madrid) - Dopo aver vissuto la Champions da comprimario col Porto, ora vuole esserne un protagonista assoluto col Real Madrid: un anno di pausa al Monaco per migliorare e diventare un astro del calcio mondiale, poi gli 80 milioni spesi dalle merengues per affiancarlo a Bale e Ronaldo. Deve dimostrare che sono stati ben spesi Mario Balotelli (Liverpool) - Quarta esperienza in Champions con una maglia diversa per il centravanti italiano, che dopo aver vissuto la vittoria del trofeo con l’Inter, essersi messo poco in luce con City e Milan, è atteso dalla stagione della consacrazione a livello europeo e di club: ha iniziato bene, ma non fa rimpiangere Suarez non sarà semplice.

dotto da Rodgers e ai giovani di belle speranze portati ad Anfield Road, con Sturridge che rimane comunque la punta di diamante di una formazione. Le merengues di Ancelotti, libere finalmente dall’ossessione “Decima”, potranno giocare a mente più libera anche se l’interrogativo riguardo le tante, forse troppe, stelle da coniugare insieme rimane pressante per il tecnico italiano, che ha visto partire l’importantissimo Di Maria e il leader Alonso, ottenendo però gioielli del calibro di Kroos e James Rodriguez. In casa Basilea come sempre si fa di necessità virtù affidandosi ai giovani del settore giovanile messi a disposizione del nuovo tecnico Paulo Sousa, che avrà il difficile compito di continuare il lavoro magistralmente impostato da Murat Yakın. Pittoresca invece la storia che ha condotto

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RODGERS CI PROVA I Reds si affidano alla voglia di Balo...

Brendan Rodgers

i bulgari del Ludogorets Razgrad fino agli ambitissimi gironi di Champions League: sconfitto in Romania nell’andata del terzo turno preliminare, il club biancoverde è riuscito ad avere la meglio in casa sulla Steaua Bucarest grazie ad un gol allo scadere di Wanderson, che porta la sfida ai supplementari. Ma al 119’ il portiere Stoyan si fa cacciare e non ci sono cambi per poterlo sostituire: in porta ci va il centrale difensivo Moti, rumeno e passato anche dalle parti di Siena nella sua vita, che para due rigori mandando i tifosi bulgari in estasi e la squadra dritta nel Gruppo B di Champions. Ora servirà un altro miracolo per passare alla fase finale.

LE SORPRESE Fabian Schär (Basilea) - Gioiello del settore giovanile rossoblù, misteriosamente ignorato dalle big europee durante l’ultimo mercato nonostante una stagione da protagonista e un timido accostamento ai tedeschi del Borussia Dortmund, specialista in giovani prospetti. 22 anni, indossa la casacca del Basilea dal 2012. Roman Bezjak (Ludogorets) - Carnefice della Lazio in Europa League, ora il nazionale sloveno dal tiro importante si mette alla prova anche nella massima competizione europea: sotto porta non ha ritmi da cannoniere, ma da quando è sbarcato a Razgrad il suo apporto alla causa è stato sostanziale, non solo in termini di offesa. Alberto Moreno (Liverpool) - Reduce da una stagione di altissimo livello col Siviglia, il 22enne laterale spagnolo è stato a lungo conteso sul mercato salvo poi finire alla corte dei vicecampioni d’Inghilterra. Si tratta di un talento incontestabile, ma che si mette per la prima volta alla prova in Champions: dopo i buoni responsi avuti in Premier, ora dovrà dimostrare di valere anche in Europa…

Fabian Schär

REAL MADRID (4-2-3-1)

BASILEA (3-4-2-1)

LIVERPOOL (4-2-3-1)

LUDOGORETS (4-2-3-1)

Navas Carvajal Ramos Varane Marcelo Modric Kroos Bale James Rodriguez Ronaldo Benzema All: Ancelotti

Vaclik Schar Samuel Suchy Degen Xhaka Frei Safari Gashi Kakitani Streller All: Paulo Sousa

Mignolet Johnson Skrtel Lovren Moreno Gerrard Henderson Sterling Lallana Sturridge Balotelli All: Rodgers

Stoyanov Junior Caicara Moti Terziev Angulo Fabio Espinho Dyakov M.Aleksandrov Marcelinho Misidjan Bejzak All: Dermendzhiev

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di Luca BARGELLINI BENFICA - ZENIT SAN PIETROBURGO - BAYER LEVERKUSEN - MONACO

Può succedere di tutto Quattro formazioni, nessuna favorita. Nel girone più equilibrato della Champions ogni risultato è possibile

JESUS CI RIPROVA Il benfica punta a lasciare il segno in Champions

T

rovare una vera favorita nel Gruppo C della Champions League è complicato. Ognuna delle quattro formazioni ha pregi e difetti. I giocatori di alto livello non mancano (come è normale che sia, in fondo è pur sempre la massima competizione europea per club!), ma di stelle vere e proprie non si ha traccia. Il Benfica ha cambiato almeno un elemento in ogni reparto e fra questi spicca Julio Cesar, chiamato a dimostrare di essere ancora il campione decisivo che i tifosi dell’Inter ricordano. In difesa, invece, sarà da valutare la tenuta del reparto dopo l’addio di Garay, mentre a centrocampo Andreas Samaris è un giocatore di sicura prospettiva, ma ad oggi è una scommessa. Lo Zenit, abbandonata la guida

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E’ LA VILLAS BUONA?

Alla guida dello Zenit, il portoghese ritenta...


speciale / champions league / GRUPPO C

FORZA HULK

Lo Zenit punta sulla classe del suo grande bomber

LE STELLE

NICOLAS GAITAN

di Luciano Spalletti si è affidato ad Andrè Villas-Boas. Sia per il tecnico che per la squadra questa può essere la stagione della definitiva consacrazione: Ezequiel Garay (proprio l’ex Benfica), Axel Witsel, e Hulk sono un trittico che può fare le gioie di ogni allenatore, e lo stesso “Special Two”, come veniva chiamato ai tempi della sua collaborazione con Josè Mourinho, può rivelarsi un tecnico di gran lunga migliore di quanto le recenti avventure con Chelsea e Tottenham abbiano dimostrato. Da non sottovalutare, inoltre, la vena realizzativa di Josè Salomon Rondon. I due anni al Rubin dopo l’avventura al Malaga lo hanno escluso dai riflettori del grande calcio, ma i numeri dicono che il venezuelano è un bomber di razza. Bayer Leverkusen e Monaco sono, infine, le vere incognite del girone. I tedeschi hanno un gruppo di “ragazzi terribili” capita-

foto Daniele Mascolo

Nicolas Gaitan (Benfica) - Dopo la scorpacciata di trofei dello scorso anno in Portogallo, per l’attaccante argentino è arrivato il momento della consacrazione a livello internazionale. Le qualità sono evidenti e in molti se ne sono accorti. Le due finali perse consecutivamente in Europa League, poi, gridano vendetta. Può essere davvero la sua stagione. Hulk (Zenit) - Alla terza stagione in Russia e con un Mondiale tutt’altro che esaltante alle spalle, l’ex talento del San Paolo ha una gran voglia di riprendersi i palcoscenici che contano. La Champions non gli ha mai regalato molte soddisfazioni, ma le statistiche sono fatte anche per essere smentite. Dimitar Berbatov (Monaco) - Due estati fa l’Italia lo attendeva come un fenomeno, mentre il bulgaro salutava la Premier quasi come un ex giocatore. Oggi in un Monaco orfano di Falcao e con un’avventura al Fulham piuttosto negativa, è lui la stella dei monegaschi. Anche se gli anni passano la classe non scompare. Ecco la prova perfetta per darne dimostrazione.

HULK

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speciale / champions league / GRUPPO C

nato da quel Hakan Calhanoglu che ha già catturato su di sé le attenzioni delle big di mezza Europa, mentre il club del Principato ha perso dopo un solo anno sia James Rodriguez che Radamel Falcao. Attenzione, però, la squadra è tutt’altro che priva di qualità. Dimitar Berbatov sa com’è fatta una porta, Lucas Ocampos e Yannick Ferreira Carrasco hanno talento e colpi ad effetto, mentre Goeffrey Kondogbia è pronto all’ascesa finale verso il calcio che conta. Piccola nota tricolore: in questo girone ben tre formazioni su quattro hanno giocatori italiani in rosa: Domenico Criscito dello Zenit, Giulio Donati del Bayer e Andrea Raggi del Monaco. Possibile che i nostri talenti abbiano più spazio all’esterno che in Italia?

MONACO SORPRESA?

Senza Falcao, Jardim deve trovare altre soluzioni...

Leonardo Jardim

LE SORPRESE Lisandro Lopez (Benfica) - Raccogliere l’eredità di un giocatore del calibro di Garay non è certo semplice, soprattutto perché il centrale argentino è stato una delle colonne dei recenti successi. Lopez, però, rappresenta il futuro dei lusitani e della stessa Nazionale argentina. Dopo il prestito al Getafe è tornato più maturo e forte che mai. Hakan Calhanoglu (Bayer) - Ennesimo prodotto dell’eccezionale generazione di talenti nata in Germania ma di origine turche, il 10 del Leverkusen ha già conquistato con le sue giocate la Bundesliga grazie all’Amburgo. Adesso è il momento dell’Europa. Lucas Ocampos (Monaco) - Per tutta l’estate si è parlato moltissimo del suo compagno di squadra Ferreira Carrasco, ma l’ex talento del River Plate, approdato nel principato appena diciottenne, ha lo stesso talento del collega. Veloce, tecnico e con una buona visione della porta, Ocampos ha tutto per sfondare. Scommettiamo che il prossimo anno si parlerà solo di lui?

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HAKAN CALHANOGLU

BENFICA (4-3-3)

ZENIT SAN PIETROBURGO (4-2-3-1)

BAYER LEVERKUSEN (4-2-3-1)

MONACO (4-3-3)

Julio Cesar Maxi Pereira Luisao Lisandro Lopez Benito Perez Fejsa Samaris Gaitan Lima Salvio All: Jorge Jesus

Lodygin Smolnikov Lombaerts Garay Criscito Witsel Fayzulin Hulk Shakov Danny Rondon All: Villas-Boas

Leno Donati Spahic Papadopoulos Boenisch Bender Rolfes Castro Calhanoglu Son Kiessling All: Schmidt

Subasic Fabinho Ricardo Carvalho Abdennour Kurzawa Toulalan Moutinho Kondogbia Ferreira-Carrasco Berbatov Ocampos All: Jardim

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speciale / champions league / GRUPPO D

di Pietro lAZZERINI

Arsenal - Borussia Dortmund - Galatasaray - Anderlecht

Melting Pot

Prandelli, ora alla guida del Galatasaray, ha il difficile compito di fare meglio di Klopp e Wenger… LA SCOMMESSA DI CESARE Prandelli ricomincia dalla Turchia, col Galatasaray

D

alla voglia di rivincita di Cesare Prandelli, all’eterno incompiuto Arsenal di Arsene Wenger. Dal nuovo che avanza con i belgi dell’Anderlecht fino al Borussia Dortmund che ha rubato alla Serie A Ciro Immobile. E’ questo il mix da versare nello shaker per dare vita al girone D della Champions League 2014-2015. Un raggruppamento che raccoglie stili di gioco e modi di allenare completamente diversi da loro, squadre dall’antica storia e dalle tifoserie infuocate. Tra le quattro partecipanti sicuramente ci sono due favorite che sulla carta si giocheranno fino all’ultimo match il primo posto e sono l’Arsenal ed il Borussia Dortmund. Una sfida che si ripete dopo l’edizione

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speciale / champions league / GRUPPO D

L’ARMA DI KLOPP Il Borussia vuole primeggiare anche in Europa

LE STELLE

Wesley Sneijder Marco Reus (Borussia Dortmund): Dopo aver saltato il Mondiale trionfale della Germania in Brasile, l’attaccante tedesco ha fame di successo. L’obiettivo è vincere e confermare le proprie doti, dopo aver trascinato la squadra di Klopp nelle due edizioni precedenti. Wesley Sneijder (Galatasaray): Uno degli eroi del triplete interista, è sicuramente anche l’uomo in più di Cesare Prandelli. L’anno passato è stato anche il giustiziere della Juventus di Conte e quando sente la musichetta della Champions si trasforma. I tifosi turchi sognano grazie ai suoi numeri e sono pronti a portarlo in trionfo. Jack Wilshere (Arsenal): E’ il più limpido talento del calcio inglese non che il nuovo simbolo del rinnovato Arsenal di Arsene Wenger. In lui i tifosi dei Gunners rivedono il possibile condottiero capace di trasformare la qualità in risultati per sfatare il tabù internazionale che perseguita il club.

passata, che vide le due squadre affrontare anche il Napoli di Benitez e chiudere il girone con lo stesso punteggio. La spuntarono i tedeschi, che grazie alla differenza reti passarono per primi. Quest’anno il duello si ripropone con due vecchi volponi della Champions come Wenger e Klopp, che si daranno battaglia per cercare di primeggiare ed avviarsi sereni verso gli ottavi di finale. La mina vagante del girone è sicuramente il Galatasaray di Prandelli. L’ex tecnico della Fiorentina ha preso il posto di Mancini per cercare di scacciare i fantasmi di un Mondiale fallimentare e delle polemiche scaturite dall’addio alla panchina azzurra. L’ambiente non è certo semplice, sia perché in Turchia si vive per il calcio come e forse più che in Italia e soprattutto per le grandi ambizioni che il club ha riposto in questa edizione CIRO IMMOBILE

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BORUSSIA MADE IN ITALY Immobile, il volto nuovo in casa Dortmund...

Arsène Wenger

della Champions. Un fallimento potrebbe immediatamente essere fatale per un allenatore tra i migliori al mondo che però ancora non ha trovato la strada giusta per trasformarsi in vincente. Infine c’è l’Anderlecht, squadra data immediatamente per spacciata al momento del sorteggio di Nyon, che però cercherà di dimostrare che il calcio belga si sta evolvendo anche all’interno dei confini nazionali e non solo con i propri pezzi pregiati sparsi in giro per l’Europa. L’anno scorso concluse il girone con un solo punto conquistato in casa del PSG di Ibrahimovic, l’obiettivo di quest’anno è riuscire a fare più punti ed insidiare la terza del girone per provare a centrare la qualificazione in Europa League.

LE SORPRESE Ciro Immobile (Borussia Dortmund): E’ il grande campione in fuga dal nostro calcio. Dopo aver vinto la classifica capocannonieri in Serie A, non ha saputo dire di no alla chiamata di Klopp, che lo ha voluto fortemente per sostituire Lewandowski. Alla prima partecipazione in Champions, potrebbe essere lui il crack del club tedesco. Dennis Praet (Anderlecht): Inserito nel 2012 nella lista dei migliori calciatori nati dopo il 1991 stilata da Don Balon, è il prossimo talento in rampa di lancio nella nuova generazione del Belgio. Numero 10 di grande tecnica ha già assaggiato la Champions ed ora è pronto a dimostrare tutto il proprio valore. Joel Campbell (Arsenal): Girovago del calcio, negli ultimi anni non è mai riuscito ad esprimere a pieno il proprio valore. Al Mondiale ha trascinato la Costa Rica ad una storica qualificazione agli ottavi di finale. Adesso è tornato all’Arsenal per cercare di cambiare l’inerzia della propria carriera. Ci riuscirà?

Joel Campbell

Arsenal (4-2-3-1)

Borussia Dortmund (4-2-3-1)

Galatasaray (4-2-3-1)

Anderlecht (4-4-2)

Ospina Debuchy Mertesacker Koscielny Gibbs Ramsey Wilshere Sanchez Ozil Oxlade-Chamberlaine Giroud All: Wenger

Weidenfeller Piszczek Hummels Subotic Schmelzer Gundogan Ginter Blaszczikowski Mkhitaryan Reus Immobile All: Klopp

Muslera Ebouè Kaya Chedjou Telles Felipe Melo Inan Bruma Sneijder Adin Yilmaz All: Prandelli

Proto N’Sakala Mbemba Nuytinck Deschacht Najar Tielemans Defour Praet Suarez Mitrovic All: Hasi

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di Simone BERNABEI BAYERN MONACO - MANCHESTER CITY - CSKA MOSCA - ROMA

Il girone di ferro

Bayern, Manchester City e CSKA ancora insieme, come la scorsa stagione. Ma quest’anno c’è anche la super Roma di Rudi Garcia. GARCIA CI PROVA La Roma ha tanta voglia di stupire

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l girone della morte. Il girone infernale. Il girone di ferro. Gli aggettivi e gli attributi si sono sprecati per definire questo girone uscito fuori dalle urne. E pensare che Bayern Monaco, Manchester City e CSKA anche lo scorso anno erano state inserite, sempre casualmente, nello stesso girone eliminatorio. Ma al posto della Roma di Rudi Garcia c’era il Viktoria Plzen, con tutto il rispetto per i cechi. Difficoltà maggiore, quindi, visto il potenziale tecnico della squadra giallorossa. Il ritorno in Champions della Roma non è certamente stato dei più fortunati, Bayern e City sono due delle più grandi squadre europee, ma c’è chi analizza il gruppo sotto un altro punto di vista: se Champions deve essere, che lo sia per davvero. Gli

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CSKA CENERENTOLA?

Sulla carta, la squadra di Mosca pare la più debole


speciale / champions league / GRUPPO E

CLASSE AGUERO C’è anche il Kun nel super City di Pellegrini

LE STELLE

Arjen Robben

stimoli, contro corazzate del genere, non mancheranno di certo agli uomini di Garcia, che anzi faranno la parte dell’outsider visto che Pellegrini ha già confessato di temere i giallorossi. Anche Mourinho, a pochi minuti dall’estrazione dei gironi, tuonò contro il sistema di sorteggio: “La Roma non può essere in quarta fascia, sfortunate le squadre che la incontreranno…”. Il tutto sarà condito dalla voglia di rivalsa dei campioni di Russia del CSKA, dopo la batosta presa all’esordio proprio contro i giallorossi, dalla volontà del Bayern di dimostrare che la Germania non ha vinto

foto Daniele Mascolo

Arjen Robben (Bayern Monaco) - L’ala volante, ma anche l’uomo di vetro. Negli anni l’olandese è stato etichettato con diversi nomignoli, dovuti alla sua classe, ma anche alla sua predisposizione agli infortuni muscolari. Durante il Mondiale in molti credevano avesse i pattini sotto gli scarpini, oggi con Ribery forma una delle coppie di esterni più forti al mondo. Sergio Aguero (Manchester City) - El Kun dopo un’estate travagliata a causa del Mondiale e di alcuni infortuni avuti ad inizio preparazione è pronto a stupire. Pellegrini ha mostrato grande fiducia in Dzeko e Jovetic, ma la classe di Aguero è fatta appositamente per le notti di Champions. Sperando che la squadra lo possa sostenere a dovere... Francesco Totti (Roma) - Il Capitano, quello con la C maiuscola. La bandiera giallorossa non sente il peso delle 38 primavere, e in Champions, più che in campionato, potrà essere il valore aggiunto di una squadra giovane e frizzante. Sarà proprio lui a guidare l’impresa, il tentativo di qualificazione ai danni delle corazzate Bayern e City.

Sergio Agüero

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speciale / champions league / GRUPPO E

il Mondiale per caso (Neuer, Schweinsteiger e Muller solo per ricordarne alcuni) e dalla smaniosa voglia del Manchester City di affermarsi finalmente anche in Europa. Il gruppo di Pellegrini ha cambiato pochissimo in estate, e forse questa potrebbe essere davvero la chiave di volta per il salto di qualità. Il Bayern, dopo l’anno di assestamento con Guardiola, ha fatto innesti mirati volti al miglioramento di una rosa già stellare in fatto di nomi e qualità. Se Robben e Ribery riusciranno a lasciarsi definitivamente alle spalle i rispettivi problemi fisici, allora il primo posto del girone sarà difficilmente messo in discussione. Ma la Roma c’è, ed è pronta a giocare un brutto scherzetto al Manchester City. CSKA permettendo…

NELLE MANI DI GUARDIOLA Il Bayern Monaco vuole un’altra coppa...

Josep Guardiola

LE SORPRESE Gianluca Gaudino (Bayern Monaco) - Figlio d’arte, il padre Maurizio era un prolifico attaccante mentre lui, classe ’96, è un centrocampista che sta studiando da difensore. Guardiola è rimasto folgorato dalla sua freddezza e dall’abilità nel gestire il pallone, tanto che in questo inizio di stagione l’ha spesso schierato con i titolari. Juan Iturbe (Roma) - Non ce ne vogliano i tifosi romanisti, ma per Iturbe questa sarà la prima Champions League e spesso l’impatto può non essere semplice. L’argentino non sembra uno che si lascia condizionare dalle situazioni, lui pensa a correre e a dribblare, ma se dovesse far bene in tutto il girone allora le possibilità giallorosse di qualificazione schizzerebbero verso l’alto. Ahmed Musa (CSKA) - Rapidità e buona tecnica. Il nigeriano è un classe ’92, ma vanta già buone esperienze sia a livello di club che di Nazionale, con cui ha giocato il Mondiale in Brasile da protagonista. I russi lo hanno pagato 5 milioni di euro, il che giustifica la sua presenza nella lista dei migliori talenti di Don Balon.

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Juan Iturbe

BAYERN MONACO (4-1-4-1)

MANCHESTER CITY (4-2-3-1)

CSKA MOSCA (4-2-3-1)

ROMA (4-3-3)

Neuer Lahm Benatia Dante Alaba Xabi Alonso Robben Muller Schweinsteiger Ribery Lewandowski All: Guardiola

Hart Zabaleta Demichelis Kompany Clichy Fernando Yaya Tourè Silva Jovetic Nasri Dzeko All: Pellegrini

Akinfeev A.Berezutski V.Berezutski Ignashevich Fernandez Nacho Tosic Eremenko Dzagoev Wernbloom Musa All: Slutski

De Sanctis Maicon Manolas Castan Cole Strootman De Rossi Pjanic Iturbe Totti Gervinho All: Garcia

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speciale / champions league / GRUPPO F

di Pietro lAZZERINI

BARCELLONA - PSG - AJAX - APOEL NICOSIA

Nuovo Barca, vecchi sogni... Il Barcellona si ripresenta al via per vincere tutto, ma con un Suarez in più in squadra. PSG, Ibra all’ultima grande cavalcata…

MESSI ANCORA RE? La Pulce rivuole il trono d’Europa

LEO MESSI

M

ai nessuno dopo Guardiola. Il Barcellona attende ancora un degno erede del tecnico che venendo dalla Masia vinse tutto, soprattutto la Champions League al primo colpo. Né il compianto Vilanova, né l’acclamato Martino, ci riproverà un altro tecnico formatosi nella cantera blaugrana, ovvero Luis Enrique. In Italia non ha convinto, in Spagna sì, e il suo Barça ha tanto talento in più rispetto a quello con zeru titoli di Martino: Luis Suarez davanti, Ivan Rakitic in mezzo, Jeremy Mathieu e Douglas dietro, MarcAndré rer Steger in porta e la

C’E’ ANCHE L’APOEL

Girone proibitivo per la squadra di Cipro...

Gustavo Manduca

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speciale / champions league / GRUPPO F

L’OSSESSIONE DI IBRA Forse ultima chance per il fenomenale svedese

LE STELLE

LUIS SUAREZ Lionel Messi (Barcellona) - Il quattro volte Pallone d’Oro, dopo aver mancato il pokerissimo e perso l’occasione di aggiungere anche il Mondiale alla lista dei trionfi della sua carriera, è ansioso di rimettersi in gioco col suo club, in quella che è da sempre casa sua. Ovviamente, con Ronaldo e pochi altri, è tra i campioni più importanti dell’intera manifestazione. Zlatan Ibrahimovic (PSG) - Fino al suo ritiro, lo svedese sarà sempre accostato alla vittoria della Champions League, uno dei pochi trofei che manca alla sua ricchissima bacheca di titoli di squadra. Ci riproverà anche quest’anno, con un PSG ritoccato nei punti giusti e alleggerito di alcune riserve che potevano creare problemi allo spogliatoio. Luis Suarez (Barcellona) - L’acquisto dell’anno, superiore anche a James Rodriguez come valore economico e peso specifico all’interno della squadra, arriva alla sua prima Champions League con la maglia del Barcellona con attese altissime: se riuscirà ad essere decisivo come a Liverpool, difficilmente il trofeo potrà sfuggire ai catalani.

solita infornata di giovani talenti. L’uruguaiano tuttavia, colpo dell’estate al pari di James Rodriguez, dovrà attendere almeno fino al 5 novembre, giorno di Ajax-Barcellona, per esordire in Champions con la sua nuova maglia. Alle spalle dei catalani ringhia il PSG, forse ancora troppo acerbo ma con super Ibra ed un David Luiz in più nel motore. Il colpo di prospettiva Serge Aurier è interessante, ma sembra più un coprire il buco lasciato dal partente Jallet che un vero e proprio rinforzo. Senza dimenticare Cavani, a centrocampo Blanc potrà contare fin da subito sul talento di Cabaye, arrivato solo a gennaio nell’anno passato. Dietro le ZLATAN IBRAHIMOVIC

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SI RIPARTE DA LUIS Nuova linea guida al Barcellona

Luis Enrique

due favoritissime, il solito eterno Ajax, con consueto manipolo di giovani vogliosi di stupire il mondo e conquistarsi un posto al sole in vista delle prossime sessioni di mercato. Talenti già messi in mostra ai recenti Mondiali dall’Olanda, ma che il tecnico De Boer è ansioso di far vedere anche sulla vetrina europea più prestigiosa. Un tappeto rosso su cui camminerà anche l’APOEL Nicosia, inevitabilmente da considerare la squadra materasso del girone, almeno in partenza.

LE SORPRESE Munir El Haddadi (Barcellona) - Salito alla ribalta in questo inizio di stagione perfetto del Barcellona, il giovane attaccante spagnolo, che ha già esordito in Nazionale subentrando durante la vittoriosa gara contro la Macedonia, si propone come una delle possibili sorprese anche per la Champions League, specie se Luis Enrique continuerà a dargli fiducia. Davy Klaassen (Ajax) - Uno degli innumerevoli talenti usciti dal florido settore giovanile dei lancieri, attende questa stagione come quella della consacrazione dopo l’esordio in Nazionale e il titolo olandese vinto coi lancieri l’anno passato. Veste la maglia numero 10 e di conseguenza molte sono le aspettative circa il suo futuro. Serge Aurier (PSG) - Sedotto ed abbandonato dall’Arsenal in estate, questo classe 1992 ivoriano, con già un Mondiale da titolare alle spalle, ha trovato infine la via di una big, il PSG di Blanc, Ibrahimovic, Cavani etc. Grande speranza del calcio africano, mira a sostituire a breve van der Wiel come titolare.

DAVY KLAASSEN

BARCELLONA (4-3-3)

PSG (4-3-3)

AJAX (4-3-3)

APOEL NICOSIA (4-3-3)

Ter Stegen Dani Alves Piquè Mathieu Jordi Alba Rakitic Busquets Iniesta Suarez Messi Neymar All: Luis Enrique

Sirigu Aurier Thiago Silva David Luiz Digne Verratti Thiago Motta Matuidi Cavani Ibrahimovic Lavezzi All: Blanc

Cillessen Van Rhijn Van der Hoorn Moisander Boilesen Serero Duarte Klaasen Fischer Milik Schone All: De Boer

Pardo Sergio Guilherme Carlao Antoniades Gomes Morais Oliveira De Vicenti Djebbour Manduca All: Donis

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di Luca BARGELLINI CHELSEA - SCHALKE 04 - SPORTING LISBONA - MARIBOR

Blue is the color

Il Chelsea di Mourinho è fra le favorite per la vittoria finale. Schalke e Sporting possono rendere il cammino più complicato CHELSEA 2.0

Mou ha la squadra giusta per puntare al titolo

F

ra le grandi del calcio inglese il Chelsea è, senza dubbio, la società con minor storia. Solo con l’avvento di Roman Abramovich, i Blues sono saliti agli onori del calcio mondiale. Negli ultimi tre anni, con la vittoria della Champions nel 2012 e dell’Europa League l’anno successivo, tale processo si è consolidato in maniera definitiva. Oggi la formazione di Josè Mourinho è chiamata, dunque, a ripetersi su altissimi livelli. L’ultima finestra di mercato ha dato, in questo senso, una grossa mano. Ceduti David Luiz, Romelu Lukaku e Fernando Torres, oltre all’addio di Frank Lampard, i Blues hanno operato in ogni settore della squadra per completare la rosa. Il trittico com-

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IL CACCIATORE HA FAME Huntelaar non vede l’ora di segnare altri gol

Klaas-Jan Huntelaar


speciale / champions league / GRUPPO G

ATTENZIONE ALLO SCHALKE 04

LE STELLE

Voglia di stupire da parte della squadra di Keller

NANI Diego Costa (Chelsea) - L’acquisto più pagato del mercato dei Blues si è presentato ai suoi nuovi tifosi con quattro gol nei primi tre match di Premier. Impatto devastante. Che possa essere lo stesso in Europa? Difficile ma non impossibile. Sopravvissuto a Simeone e temprato da Mourinho, il bomber spagnolo è pronto a tutto. Klaas-Jan Huntelaar (Schalke04) - Chiunque abbia avuto modo di apprezzare il “cacciatore” da vicino ha avuto la riprova di quale grande campione sia. Ovunque sia andato (Ajax e Real su tutte) ha segnato con continuità, portando sempre a casa l’obiettivo. Tutta da gustare la sfida a distanza con Costa del Chelsea. Nani (Sporting) - Talento più scostante dell’ex United probabilmente non esiste. I Red Devils lo acquistarono per farne il nuovo CR7, ma senza riuscirci. In estate ecco, dunque, il ritorno a Lisbona dopo sette stagioni. In Inghilterra ha comunque vinto molto, ma in Portogallo riuscirà, finalmente, ad esplodere?

posto da Thibaut Courtois, Filipe Luiz e Diego Costa, proveniente dall’Atletico Madrid, ha trasferito la colonna portante di una delle finaliste della scorsa Champions agli ordini del tecnico portoghese. A questo, poi, va aggiunto un Cesc Fabregas pronto a tornare grande dopo i chiaroscuri del Barcellona e un Didier Drogba tornato all’ombra di Stamford Bridge per l’ultima stagione da protagonista. Non male. Gli avversari del girone, però, non sono di poco conto. Schalke04, Sporting Lisbona e Maribor hanno sia qualità individuali che di squadra per mettere in difficoltà i londinesi. La formazione di Gelsenkirchen, ad esempio, ha talenti di assoluto valore e prospettiva: Julian Draxler, Max Meyer, Roman Neudstader, Joel Matip sono solo alcuni dei giovani che Jens Keller sta

Jens Keller

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speciale / champions league / GRUPPO G

cercando di trasformare in veri campioni. Un discorso simile vale anche per i biancoverdi di Lisbona dove spicca su tutti William Carvalho, giovane centrocampista che nella scorsa estate ha già ricevuto i corteggiamenti di molte big del calcio europeo. Infine il Maribor, vera e propria mina vagante del girone. Eliminare una leggenda del pallone come il Celtic non è da tutti, ma soprattutto è la riprova delle qualità di una compagine in grado, sotto la guida di Ante Simundza, di far parlare di sé. Superare pienamente questo raggruppamento per gli uomini dello “Special One” vorrà dire una sola cosa. Che è il momento di tornare a sollevare il trofeo più importante d’Europa.

BOATENG, RISCATTO IN VISTA

Attenzione anche ai colpi dell’ex rossonero...

Kevin-Prince Boateng

LE SORPRESE Max Meyer (Schalke04) - Per un fan della Bundesliga il nome del trequartista dello Schalke è tutt’altro che una novità. Quaranta presenze fra i big a neanche 19 anni non sono per tutti. Quest’anno, però, la maglia da titolare, affidatagli da Keller, lo chiamerà al salto di qualità. Il talento c’è tutto. Fredy Montero (Sporting) - Il colombiano a 27 anni non è più giovanissimo e l’etichetta di “sorpresa” potrebbe stargli stretta. La sua carriera, però, ha finora regalato meno di quanto era lecito aspettarsi. L’avventura in MLS nel momento sbagliato lo ha, forse, escluso dal giro che conta troppo presto. Adesso è il momento di mettere ordine. Agim Ibraimi (Maribor) - In Italia le 25 presenze dello scorso anno a Cagliari hanno dato solo l’impressione di quello che è il reale valore di questo trequartista macedone. Con il Maribor è arrivata l’occasione nel calcio che conta. I piedi hanno qualità, mentre la personalità deve ancora crescere del tutto.

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Thibaut Courtois

CHELSEA (4-2-3-1)

SCHALKE 04 (4-2-3-1)

SPORTING LISBONA (4-3-3)

MARIBOR (4-4-2)

Courtois Azpilicueta Terry Cahill Filipe Luis Matic Fabregas Willian Oscar Hazard Diego Costa All: Mourinho

Fahrmann Uchida Matip Howedes Kolasinac Neudstader Boateng Sam Meyer Draxler Huntelaar All: Keller

Rui Patricio Soares Mauricio Oliveira Jefferson Adrien Silva William Carvalho Andrè Martins Nani Montero Capel All: Marco SIiva

J.Handanovic Stojanovic Rajcevic Suler Viler Vrsic Mertelj Filipovic Ibraimi Mendy Tavares All: Simundza.

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speciale / champions league / GRUPPO H

di Marco CONTERIO

Porto - Bate - Athletic Club - Shakhtar Donetsk

Tre cuori e due capanne L’identità basca dell’Athletic, l’orgoglio dello Shakhtar e la classe del Porto: l’incertezza regna sovrana

MARTINEZ PER LA CONSACRAZIONE L’asso del Porto è alla caccia della gloria europea

JACKSON MARTINEZ

T

utto può succedere. Dal cielo di Montecarlo piove un’urna imprevista ed imprevedibile, classico gruppo senza stelle, ma fatto di sudore ed ambizioni. Non manca la storia, è che latita la gloria d’oggi. Non ci sono le grandi d’Inghilterra, né di Germania, neppure un’italiana né una francese. C’è la quarta di Spagna, l’Athletic Club, cuore e identità di una regione come quella basca. Niente forestieri, benintesi pure come spagnoli, solo autoctoni con timidi inserimenti di francesi ma con chiare origini basche e pirenaiche. Vedi il difensore Laporte. Il Porto è drago con la fiammella sempre accesa, quel Jackson Martinez che voleva Galliani ma che il Condor non ha

ATTENZIONE A LUCESCU Mai sottovalutare l’esperienza del tecnico dello Shakhtar

Mircea Lucescu

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speciale / champions league / GRUPPO H

CLASSE PURISSIMA Douglas Costa non ha cambiato squadra, per la gioia dello Shakhtar

LE STELLE

IKER MUNIAIN Jackson Martinez (Porto) - Ha leve lunghe e tocco felpato. Ha pure classe e Adriano Galliani disse, di lui, “mi piacerebbe molto”. Averlo al Milan, sussurrandolo a microfoni spenti. Per questo l’ha trattato. ‘Pagare moneta, vedere Martinez’, ha risposto il Porto. E se il prezzo è una clausola da 35 milioni, ecco perché il colombiano è rimasto. Douglas Costa (Shakhtar Donetsk) - Nome omen. Costa, caro, molto. Clausola rescissoria 60 milioni, prezzo trattabile sino a 25 milioni. E qui torna il Milan, che ha poi virato sulla punta Torres anziché sull’esterno fantasioso del club di Donetsk, considerato tra i talenti più brillanti del Brasile già da molti anni. Iker Muniain (Athletic Bilbao) – Last but not least. Ha il biondo del freddo nordico e il passo del latino caliente. Basco, orgoglioso, è un ‘92 capitano della nazionale Under 21 ed ora nel giro delle Furie Rosse. Già da tempo. Perché ha talento puro, cristallino, che presto lo porterà a vestire la maglia di una grande.

foto Liverani

strappato dalle costose tasche di Pinto da Costa. Con lui anche Juan Quintero, vecchio pescarese, dieci senza però galloni da certo titolare, in una formazione guidata dallo spagnolo Julen Lopetegui. Scuola Real, scommessa in una grande dopo ori e allori con le giovani Furie Rosse, sino all’Under 21. Il Porto è sì squadra di prima fascia, ma era l’ultima della serie, quella che le altre volevano pescare dall’urna monegasca. Poi lo Shakthar, che meriterebbe testi interi per raccontare la difficile situazione geopolitica che ora vive la squadra. Sei brasiliani, poi reintegrati, non volevano tornare in Ucraina. Ed i neroarancio ora giocano a Kiev, lontano da casa, dal cuore ma pure dalla guerra. C’è Douglas Costa, ma c’è pure Fernando, c’è un’Ucraina verdeoro lì trattenuta perché i soldi non mancano. Li guida LuDOUGLAS COSTA

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C’E’ ANCHE L’ATHLETIC

Il tecnico Valverde sogna decisamente in grande...

Ernesto Valverde

cescu, vecchio e saggio maresciallo delle panchine rumene, un passato in Italia, un presente ben saldo in una terra ora dura, complicata. “Ma non mollo”, dice lui, con la sua voce bassa, lenta, profonda. E poi il BATE Borisov., perché nel girone con meno appeal della Champions League, non può certo mancare la carneade. Vengono dalla Russia bianca, bianca come la mosca che rappresentano. In un girone di combattenti ma di nomi anche noti e conosciuti, tosta pensarli come favoriti, i gialloblù di Barysau. Tre cuori e due capanne. Per viaggiare caldi, al sicuro, verso gli ottavi di finale. A qualcuno l’impresa riuscirà, agli altri, comunque, resterà la soddisfazione di aver partecipato….

LE SORPRESE Hector Herrera (Porto) - E’ stato il migliore, al Tolone 2012. Classe 1990, è messicano già a vederlo, prima di saperlo. Ha il coraggio dei gringos ma pure la freddezza di un architetto indio, lì in mezzo. Clausola rescissoria da 40 milioni, ha contratto sino al 2017 a Oporto ed è campione olimpico dopo aver battuto Neymar in finale nel 2012. Taison (Shakhtar Donetsk) - E’ sì ventiseienne, ma in Europa dal 2010. Al Metalist, in provincia, dove ha iniziato a correre e dribblare. Esterno di tecnica, rapido e brevilineo al di là del soprannome, è a Donetsk dal 2013 e può giocare la prima grande stagione da protagonista agli ordini di Lucescu. Aymeric Laporte (Athletic Club) – Nasce in Francia, ma nei baschi transalpini e tanto basta per vestire la maglia dell’Athletic. Classe 1994, difensore centrale, è già stato inserito nell’undici ideale dell’ultima Liga Spagnola, campionato con grandi e nobiliari. Un bel biglietto da visita, per esser ben più che rivelazione.

HECTOR HERRERA

Porto (4-1-4-1)

Bate (4-5-1)

Athletic Club (4-2-3-1)

Shakhtar Donetsk (4-2-3-1)

Fabiano Sandro Martis Indi Maicon Danilo Casemiro Quintero Herrera Neves Brahimi J. Martinez All. Lopetegui

Chernik Khagush Filipenko Polyakov Mladenovic Yakovlev Olekhnovich A. Volodko Aleksievich M. Volodko Rodionov All. Yermakovich

Iraizoz De Marcos Gurpegui Laporte Balenziaga Iturraspe Mikel Rico Susaeta Benat Muniain Aduriz All: Valverde

Kanibolotskiy Srna Kryvtsov Ordets Rakitskiy Stepanenko Fernando Douglas Costa Alex Teixeira Taison Luiz Adriano All: Lucescu

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INTERIVSTA MARCO PAROLO

Il VERBO DEL PAROLO Non si è mai arreso ed HA coronato il suo sogno ma c’è altro oltre al calcio… di Lorenzo MARUCCI foto Andrea STACCIOLI/Image SPORT

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ualche giorno fa ho bruciato una torta. forse mi sono distratto un po’, ma sto imparando a cucinare”. Dategli tempo e poi ai fornelli Marco Parolo si muoverà quasi con la stessa disinvoltura che ha in campo. Ora che è diventato padre di Dante, le faccende di casa spettano anche a lui. Non si tira indietro, perché ogni novità può essere un arricchimento. Il centrocampista della Lazio del resto ama scoprire tutti i lati della vita, senza fermarsi al pallone. Ha interessi variegati e chiacchierandoci emerge proprio l’impressione di trovarsi di fronte ad un ragazzo lontanissimo dal prototipo del calciatore amante della vita mondana a tutti i costi o appassionato di Ferrari e Lamborghini. Lo abbiamo incontrato a Roma, al Centro sportivo di Formello, un’oasi di pace nella campagna laziale, dove è possibile affrontare con calCalcio 2OOO

ma anche alcuni temi non strettamente legati al calcio. Seduto su una panchina del campo d’allenamento, il centrocampista biancoceleste si apre e racconta se stesso. Parolo, partiamo da lontano. Se lei è diventato un calciatore affermato a chi lo deve? “Ringrazio i miei genitori per avermi dato innanzitutto delle regole di vita. Da ragazzini c’è il rischio di perdere i punti di riferimento e invece loro mi hanno insegnato la cultura del lavoro e la serietà. E poi non mi è mancata la caparbietà, grazie anche a mia moglie che mi è sempre stata vicina pure nei momenti più difficili”. I suoi primi allenatori che cosa le dicevano? “Il mio primo tecnico al Torino Club di Gallarate mi fece addirittura piangere. Mi diceva: ‘corri qui, corri là’. Restai traumatizzato, perché sembrava quasi


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RAGAZZO NORMALE Equilibrato e senza grilli per la testa, Parolo sa il fatto suo

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SGUARDO FIERO Dopo tanta gavetta, ha conquistato anche l’azzurro

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PENSIERI IMPORTANTI

Nel futuro di Parolo non c’è solo il calcio...

che il calcio non facesse per me”. La sua carriera però poi ha parlato per lei. E nel corso degli anni quali sono stati i tecnici che le hanno lasciato un segno profondo? “Con la sua grinta, Bisoli mi ha insegnato a sacrificarmi, a lottare per conquistarmi spazio. Come era da calciatore, lo è anche da allenatore. È stato il primo a dirmi che avrei tranquillamente potuto giocare in A. Anche Donadoni è stato molto importante, perché mi ha trasmesso la mentalità vincente, l’idea di giocare sempre, in qualunque occasione, per conquistare il successo. Ficcadenti invece mi ha insegnato alcuni movimenti utili per il 4-3-3”. Lei è sempre stato una mezzala? “Da bambino per la verità il mio primo ruolo fu il libero. Non lo faceva nessuno e l’allenatore ritenne che avevo le caratteristiche adatte per quel ruolo. Poi passai a fare l’esterno sinistro e infine sono stato utilizzato sul centro sinistra a metà campo. Così sono migliorato col mancino. Lo posso usare tranquillamente, quando gioco

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Da bambino per la verità il mio primo ruolo fu quello del libero. Non lo faceva nessuno non devo... tagliarmelo”. È un gran tiratore: ha sempre avuto la gran botta da fuori? “Mi è sempre piaciuto calciare la palla, anche da piccolino in casa. Ho avuto tanti maestri che mi hanno dato la possibilità di affinarmi grazie ai loro segreti. Su tutti Mario Bortolazzi, vice di Donadoni al Parma. Anche lui in carriera ha sempre avuto un tiro eccellente”. Dunque un suo maestro è un ex milanista. Contento anche per questo

motivo, visto che è stato tifoso del Milan? “Da ragazzino avevo in camera i poster di Maldini, Van Basten e Baresi. Era il Milan degli anni ‘90 che vinceva in continuazione. La prima volta che vidi i rossoneri a San Siro, fu in una partita contro la Reggiana di Futre. Ricordo l’emozione di entrare allo stadio ma anche che ci rimasi male perché il Milan non vinse”. Tornare a giocare a San Siro da avversario che effetto le ha fatto? “La prima volta stranissimo. Giocai contro l’Inter e per dieci minuti non capii niente della partita. Il primo tiro lo mandai verso la bandierina.... Poi pian piano giocai meglio anche se perdemmo 3-2”. Torniamo a lei: il suo idolo? “Gerrard perché cerca sempre la porta e l’inserimento. È un centrocampista a tutto campo e a me, come lui, piace essere nel vivo del gioco, altrimenti mi addormento. Ai Mondiali gli ho chiesto la maglia ma purtroppo l’aveva già promessa. Ma averci giocato contro è stata un’emozione

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STELLA ALLA LAZIO

foto F.Gaetano

Da quest’anno, Parolo è un biancoceleste...

Idolo? Gerrard perché cerca sempre la porta e l’inserimento. È sempre nel vivo del gioco fortissima”. Tifoso anche del Liverpool? “Sì, mi affascinano la squadra, la curva, l’inno. Mi piace anche l’Arsenal, il rosso del resto è il mio colore preferito”.

foto Image Sport

Non è che prima o poi farà un’esperienza in Inghilterra allora? “Il calcio inglese mi affascina molto. Gli stadi sono un modello da esportare in Italia, anche se qualcosa finalmente si sta muovendo anche da noi. Giaccherini mi racconta che il tifoso inglese si sente un tutt’uno con lo stadio e ha un grande attaccamento, quasi un senso d’appartenenza anche all’impianto della sua squadra”.

L’AZZURRO IN MENTE

foto Image Sport

Parolo ha un feeling particolare con la Nazionale...

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Parliamo della Nazionale: che esperienza è stata quella dei mondiali dal punto di vista personale? “Aver fatto parte dei convocati è stato bellissimo. Purtroppo ci è mancata anche un po’ di fortuna. Però è stata un’esperienza nuova che in fondo ero convinto di poter vivere”. In che senso? “In occasione della finale del 2006 stavo tornado da un viaggio a Santo Domingo con mia moglie. Mentre eravamo in volo le dissi di non preoccuparsi perché nel 2014 li avrei giocati da protagonista. È la dimostrazione che se uno vuole arrivare, può farcela”. E adesso, con Conte? “Ha portato una nuova mentalità, il Ct punta molto sul concetto di squadra. Sceglie i suoi uomini per il proprio gioco, ma devono dare garanzie. E tutti devono guadagnarsi il posto”. Lei intanto si concentra ed evita i soliti passatempi dei calciatori...


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OBIETTIVI IMPORTANTI Parolo ha voglia di vincere e convincere...

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INTERVISTa / MARCO PAROLO

EX TIFOSO DEL DIAVOLO Parolo è cresciuto nel mito del grande Milan

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“Ho disattivato i social network. Mi sono tolto da facebook anche perché in tanti ti scrivono e poi magari se non rispondi a tutti sembri scortese. Non mi piace che la gente pensi che io me la tiri. Sono un ragazzo normale e credetemi tanti calciatori sono come me”. Però non ha tatuaggi... “Mia moglie voleva farsene uno con me, ma mi sono rifiutato. Penso a come sarò tra qualche anno e se lo avessi fatto poi mi chiederei: perché mi sono tatuato?” Un ragazzo con pochi grilli per la testa insomma... “Ma nel calcio non ci sono solo i giocatori che vanno in giro con auto da capogiro. A me piace stare in famiglia, ma non disprezzo certo una bevuta la sera con gli amici. Può anche capitare una volta di fare le tre di notte, ma non lo faccio per forza”. La vita da padre di famiglia adesso com’è? “Impegnativa, vedo molte meno partite, perché devo occuparmi delle faccende di casa. Ma quando vedo mio figlio Dante tutti i problemi scompaiono. Cerco di essere d’aiuto a mia moglie, cambio il panno-

IL GOL AL MILAN… di Lorenzo MARUCCI

Il Diavolo è stata la sua squadra del cuore, punirla con un gol è stato comunque il massimo dell’apoteosi… Il gol più bello e importante della carriera contro la squadra del cuore. Succede anche questo ad un calciatore professionista, fa parte del gioco. E Parolo ha toccato con mano questa realtà. L’anno passato, in occasione di Parma-Milan, nona giornata di Serie A, nei minuti di recupero l’arbitro assegna un calcio di punizione dalla distanza. Un’occasione ghiotta per uno specialista come lui. Il risultato era in quel momento sul 2-2 (reti di Parolo, Cassano, Matri e Zapata), e quella era una delle ultimissime occasioni per provare a vincere quel match: “Sistemai il pallone, mi concentrai e calciai. Gol. Sotto la curva del Parma”. Inutile, in un momento del genere, al novantaquattresimo, trattenere la gioia. Va bene essere stati tifosi rossoneri, ma in quel momento il protagonista è il goleador, Parolo appunto. L’uomo decisivo in tutti i sensi. “Fu il massimo dell’apoteosi, quando uno segna in quel modo del resto è festa per forza”. Sì, non a caso scattò il ‘mucchio selvaggio’ intorno a lui, per un successo che a quel

SEMPRE SORRIDENTE Niente social network per non deludere i fan...

punto sembrava sfumato dopo che era stato a lungo accarezzato. Quella fu la sua seconda doppietta in Serie A, visto che la prima l’aveva messa a segno il 25 settembre 2013 in occasione della sfida vinta 4-3 contro l’Atalanta. È stata una partita che Parolo ricorderà a lungo proprio, perché ha realizzato una doppietta: il primo gol era stato realizzato dopo una discesa di Biabiany sulla fascia: palla prima sui piedi di Gobbi e poi sulla ribattuta ecco Parolo che col sinistro trafigge il portiere Gabriel. A conferma di un momento eccezionale che stava vivendo il centrocampista lombardo. Che con quelle reti era arrivato al quinto gol in stagione, il terzo consecutivo dopo quello che aveva segnato a Verona. Tutti sottolinearono in quella partita le sue qualità, ma l’intelligenza tattica, considerato che i suoi inserimenti avevano portato sempre qualcosa di pericoloso. Ed erano anche i segnali che Parolo stava trovando sempre di più la confidenza con il gol. A fine stagione infatti in trentasei partite di campionato metterà a segno ben otto reti, il suo miglior bottino in assoluto in carriera. Oltretutto quel successo firmato Parolo, gettava ancor più in crisi la squadra rossonera, destinata poi ad un campionato dominato dalle delusioni. Insomma un bello scherzetto per la sua vecchia squadra, quella che da bambino lo faceva palpitare, emozionare e gioire. Ma la vita da professionisti non può guardare in faccia a nessuno.

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INTERVISTa / MARCO PAROLO

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Ho disattivato i social network. Mi sono tolto da facebook, se non rispondi a tutti sembri scortese lino a mia figlio e mi metto anche dietro ai fornelli. E poi quando ho un attimo libero continuo a leggermi i thriller o le biografie o le storie vere dei grandi personaggi. In particolare ho letto tutti i libri di Michael Connelly (statunitense, i suoi thriller sono stati tradotti in ben trentacinque lingue, ndr)”. Poi deve anche portare il cane a passeggio... “Sì, a casa mia abbiamo sempre avuto la passione per i cani. E col passare del tempo non ho abbandonato l’idea di averne uno (in effetti in macchina sul

retro gli ha predisposto pure una postazione speciale, personalizzata). Chef è un hovawart e ha una bocca che, solo quella, è grande come mio figlio. Per ora lo lecca e basta per fortuna (ride, ndr)..”. Ora sta prendendo anche dimestichezza in cucina, ma qual è stata la città in cui ha trovato il miglior cibo? “Devo dire che in Romagna si mangia davvero bene. I primi, gli strozzapreti, i passatelli al sugo, le piadine, lo squacquerone...Le possibilità di scegliere non mancano affatto e da questo punto di vista, nel mio girovagare tra le varie città, sono stato fortunato”. Chiudiamo con i progetti futuri. “Non so cosa farò da grande. Se resterò o meno nel calcio lo vedremo più avanti. Mi piacerebbe girare il mondo, mi manca la possibilità di farmi una settimana bianca durante l’inverno. Sono stato in Sudamerica ad esempio, in Brasile con la Nazionale, ma quando sei in giro con la squadra inevitabilmente vedi poco o niente, dunque mi piacerebbe tornarci un giorno. Ma con mia moglie abbiamo in mente anche una missione in Africa per i bambini, per provare a dare aiuto a chi ha bisogno”.

SEMPRE DI CORSA di Lorenzo MARUCCI

Ripercorriamo le tappe della carriera di Parolo, giocatore in costante crescita e dal rendimento assicurato… Il volo lo ha preso dal Torino club di Gallarate. E’ stato in quella società che Marco Parolo ha mosso i primi passi da calciatore. La sua carriera si è poi sviluppata attraverso svariate tappe: dal Como è passato alla Pistoiese dopo il fallimento del club lombardo: in Toscana è rimasto due anni per poi essere riscattato dal ChievoVerona che lo ha ceduto in prestito al Foligno allenato da Pierpaolo Bisoli. E’ stato in questo periodo che è nato e si è sviluppato il feeling con il tecnico di Porretta Terme: l’ex cagliaritano lo stima, spronandolo e dandogli grande fiducia. In 29 presenze in campionato ha segnato anche tre gol. Poi, l’anno successivo, nel 2008-09, è passato al Verona in prima divisione, allenato da Remondina. A partire dal 2009 è iniziata la sua grande avventura al Cesena (il Chievo intanto lo aveva acquistato a titolo definitivo): in Romagna ha ritrovato Bisoli, l’allenatore che più di altri gli aveva regalato spazio e certezze. Alla sua prima stagione in bianconero ha realizzato cinque reti in 36 partite. E’ l’annata

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Magari riprenderà anche lo studio? “Mah, forse è passata l’ora. Dopo aver terminato il liceo scientifico avevo provato a fare l’università, Economia e Commercio. Volendo, il tempo a disposizione c’era eccome, ma mi accorsi che non avevo la testa per andare avanti. In quel periodo comunque partecipai anche a due Universiadi (in squadra con lui c’era tra gli altri anche Antenucci, ndr) arrivando sempre in finale”.

che segna anche la grande promozione in A del Cesena e il ritorno nella massima serie porta anche la firma di Parolo. E il Cesena, non a caso, decise di acquistarlo. Nella sua prima stagione in A il suo zampino si è avvertito eccome perchè dal punto di vista realizzativo è riuscito a ripetersi: in 37 gare cinque reti. L’esordio è datato 28 agosto 2010, in trasferta contro la Roma (0-0). Il primo gol in A lo ha realizzato contro il Napoli nel giorno in cui però i partenopei vinsero 4-1. La mezzala lombarda è stata uno dei protagonisti della salvezza del Cesena, mentre l’anno successivo non è riuscito, con la squadra, ad evitare il ritorno dei romagnoli in B. Parolo si è comunque affermato come uno dei centrocampisti più regolari e interessanti della serie A e – dopo che anche varie grandi avevano messo gli occhi su di lui – il Parma ha deciso di acquistarlo in prestito con diritto di riscatto (fissato a quattro milioni). Dopo la prima stagione, i gialloblù si sono convinti a riscattarlo e l’anno scorso il centrocampista ha contribuito con otto reti alla qualificazioni dei parmensi in Europa League (poi sfumata a causa di alcune inadempienze Irpef del club). L’approdo alla Lazio infine è di quest’estate. L’esordio in Nazionale invece è arrivato il 29 marzo 2013 durante la gestione Prandelli (partita contro l’Ucraina finita 2-0 per gli azzurri). Ha partecipato anche ai Mondiali in Brasile, debuttando contro l’Inghilterra e poi giocando anche nella ripresa contro l’Uruguay, ultima gara del girone e degli azzurri in quella spedizione.


INTERVISTa / MARCO PAROLO

ANCHE INDOVINO Parolo sapeva che, nel 2014, avrebbe giocato il Mondiale

Intervista di Lorenzo Marucci

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INTERVISTA/ MANOLO GABBIADINI

FENOMENO VERO

foto Ag. Liverani

Anno dopo anno, il talento di Gabbiadini è sempre più cristallino

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INTERVISTA MANOLO GABBIADINI

Un leone in Gabbia Intervista esclusiva a Manolo Gabbiadini, attaccante della Samp (comproprietà Juve) pronto a spiccare il volo... di Sergio STANCO

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volte si confonde l’educazione e la riservatezza con la mancanza di determinazione e personalità. E in un mondo come quello del calcio, che spesso premia personaggi mediatici oltre i loro meriti tecnici, riuscire ad emergere in silenzio e grazie al lavoro quotidiano e alla voglia di migliorarsi, dovrebbe essere un pregio più che un difetto. Manolo Gabbiadini è così: se i colleghi fanno a gara per guadagnarsi le copertine, lui rifugge alle interviste. Ne sappiamo qualcosa noi che lo abbiamo inseguito a lungo. Ma proprio per questo, a fine lavoro, siamo ancor più soddisfatti. Gli allenatori dicono che una vittoria è più bella quando sofferta, ma noi - piuttosto - siamo felici di aver intaccato quella barriera e guardato al di là del calciatore. Scoprendo un ragazzo umile, ma che sogna in grande. Perché la forza non è nelle creste o nei tatuaggi, ma nella testa e nel coraggio. Per cui la

Nazionale per il Gabbia non è un sogno, come capita di sentir dire spesso a molti di quelli che l’azzurro lo inseguono, ma un obiettivo… Allora Manolo, cominciamo dai tuoi inizi: dicono che il settore giovanile dell’Atalanta sia una scuola di vita... “È vero, è così perché ti insegnano soprattutto a crescere con sani principi. Pensano prima alla maturazione dei ragazzi che a quella dei calciatori”. All’Atalanta hai trovato una figura “mitologica” come Favini: hai avuto modo di conoscerlo personalmente e che impressione ti ha fatto? “Ho certamente avuto modo di conoscerlo e parlargli qualche volta, anche se lui - giustamente - si rivolgeva un po’ a tutti e poi analizzava le varie situazioni o i diversi problemi con i dirigenti o a squadre riunite. Ricordo che quando parlava lui non volava una mosca, tutti lo rispettavano e lo ascoltavano. Ed è la classica persona che sa trovare sempre le parole giuste al momento giusto”. Calcio 2OOO

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INTERVISTa / MANOLO GABBIADINI

Nelle giovanili dell’Atalanta hai avuto occasione di lavorare con tanti “maestri”: chi sono i mister che ricordi con maggior piacere e perché? “Direi Savoldi (Gianluigi, fratello di Beppe ndr), che è scomparso qualche anno fa. Aveva giocato in Serie A e aveva grande esperienza. I suoi consigli sono stati fondamentali”. A chi devi dire grazie per essere diventato un calciatore? “Sicuramente ai miei genitori che hanno fatto tanti sacrifici per permettermi di giocare”. Hai una sorella che gioca in A femminile e in Nazionale: il calcio dunque è una malattia di famiglia? “Anche mio padre giocava, ma a livello amatoriale perché ai suoi tempi non ci si poteva certo permettere di mollare tutto per inseguire un sogno. A noi invece ha permesso di farlo, per questo dobbiamo essergli grati”. Da piccolo giocavi a calcio con tua sorella? Chi era più forte? “Lei, anche perché era più grande (ride, ndr)”. E adesso? “Non si può paragonare, perché le situazioni sono molto diverse, ma se lei avesse il mio fisico sarebbe sicuramente molto più forte di me, senza alcun dubbio”. Di sicuro è la più vincente dei due... “Questo è certo, per ora (ride, ndr)”. Guarda le tue partite? Ti dà qualche consiglio visto che anche lei è attaccante? “No, nessun consiglio, siamo entrambi troppo discreti e riservati per farlo, ma ci scambiamo i complimenti quando uno o l’altro fa qualcosa per meritarseli”. Che ricordi hai del tuo esordio in maglia nerazzurra? “Ovviamente positivi: venivo da un buon Viareggio e sono stato aggregato alla prima squadra per la trasferta di Parma (14 marzo 2010, ndr), ma non pensavo di giocare. Invece ad un certo punto il mister mi ha chiamato per mandarmi in campo, non riuscivo a crederci. È stata davvero una bella sensazione, la realiz-

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La Nazionale è un obiettivo. Voglio tornare ma devo far bene con la SampDORIA zazione di un sogno dopo tanti sacrifici”. Alla fine di quella stagione, sei andato in prestito al Cittadella e lì hai incontrato un altro maestro di calcio: Claudio Foscarini... “Un ottimo allenatore ed una bella persona. Per me era la prima volta lontano da casa, per cui ero un po’ spaesato, lui mi ha aiutato molto a crescere sia in campo che fuori”. Di lui, però, raccontano di allenamenti particolari... “Io me li ricordo solo durissimi e infiniti (ride, ndr). Sarà che arrivavo dalla Primavera e per me era tutto nuovo, ma ancora adesso me li sogno di notte. Tosti tosti... (ride, ndr)”. 29 novembre 2010: ti dice qualcosa questa data? “Sì, è il giorno del mio primo gol tra i professionisti, a Modena. Ero felicissimo perché in tribuna c’era Ciro Ferrara, che ai tempi era l’allenatore dell’Under 21 e io ci tenevo a fare bene perché volevo andare in Nazionale”. A proposito, la Nazionale per te è... “Un obiettivo. Voglio tornare nel giro, ci tengo tantissimo, ma so che per farlo l’unico modo è fare bene nella Samp. Darò tutto me stesso quest’anno, come sempre, poi non importa se farò 5, 10 o 20 gol, la cosa fondamentale è essere a posto con la propria coscienza e non avere rimpianti”. Ecco, i gol: tutti sono d’accordo che sei un attaccante, ma alcuni ti definiscono centravanti, altri seconda punta, qualcuno addirittura laterale. Non ti chiediamo cosa ti senti, perché tanto ci risponderesti che “giochi dove ti mette l’allenatore” (ride, ndr), ma sei sempre stato attaccante?

“Macché, quando mi sono presentato alla scuola calcio del mio paese volevo fare il portiere (ride, ndr), ma avevo solo 5 anni, ero il più piccolo e mi hanno detto “Tu mettiti là davanti e fai un po’ di casino (ride, ndr)”. Da allora ne hai fatto di casino... “Già, anche se poi ho giocato in quasi tutti i ruoli, da laterale, addirittura da terzino, poi è stato Bonacina in Primavera a schierarmi definitivamente in attacco”. Ti ha spiegato perché ti vedeva punta? Tu ne eri convinto? “Io ne sono stato immediatamente felice, perché era quello che volevo fare. Mi ha detto che uno con il mio tiro doveva stare vicino alla porta. Mi ripeteva sempre: “Quando la vedi, calcia” (ride, ndr)”. Già, il tiro: una dote naturale o l’hai allenato? “L’ho sempre avuto forte anche da ragazzino, ovviamente in proporzione, ed è anche per quello che mi hanno messo a giocare in attacco”. Invece le punizioni? “Anche quelle le ho sempre calciate, perché è una cosa che mi piace e mi riesce bene, ma all’Atalanta avevo troppa gente davanti e a Bologna c’era Diamanti, che in quanto a calci piazzati era un maestro. Qui alla Samp, invece, sono riuscito a farmi spazio”. E ti allena Mihajlovic, uno che di punizioni “qualcosina” se ne intende... Riuscito a rubargli qualche segreto? “No, perché non puoi copiare come calcia un altro, quel movimento ti viene naturale quindi puoi solo affinare la tua tecnica. Lui, però, ogni tanto si ferma a calciarle con me a fine allenamento e mi dà buoni consigli”. Punizioni a parte, invece, qual è la raccomandazione che ti fa più spesso quando sei in campo? “Mi dice sempre di essere più cattivo. Sportivamente parlando, s’intende (ride, ndr). Vuole convinzione, concentrazione e determinazione sempre”. Sono i marchi di fabbrica di casa Mihajlovic: non deve essere una bella sensazione quando si arrabbia...


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AZZURRO NEL CUORE

foto Daniele Buffa/Image Sport

Gabbiadini sogna di diventare un punto fermo della Nazionale

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INTERVISTa / MANOLO GABBIADINI

LA SAMP PER CRESCERE Con la casacca blucerchiata per diventare grande

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Tatuaggio? Me lo sono fatto fare da mia sorella, che ha un diploma. Sono tre stelle piccoline, ci sono molto legato “Ma no, dai, tutti gli allenatori si arrabbiano (ride, ndr). Poi, adesso lo conosciamo, ci rendiamo conto quando non riusciamo a giocare come vuole lui e arriviamo nello spogliatoio già preparati (ride, ndr)”. Il tuo idolo da ragazzino e il giocatore che più ammiri ora? “Sono la stessa persona: Ibrahimovic. Lo “spiavo” da ragazzo e lo guardo ancora oggi, ma replicare le cose che fa lui è impossibile. Sembra un giocatore della play station (ride, ndr)”. Eppure qualcosa di simile a lui c’è l’hai, il tiro, il modo di battere le punizioni... “No, non scherziamo, Ibra è un extraterrestre, impossibile anche avvicinarsi a lui (ride, ndr)”.

foto Daniele Buffa/Image Sport

Torniamo a sfogliare l’album dei ricordi: 25 marzo 2012... “Primo goal in Serie A, per di più con la maglia dell’Atalanta contro il Bologna in casa: per me, che son sempre stato tifosi della Dea e che ho fatto tutto il settore giovanile sognando quel momento, è stata un’emozione indescrivibile”.

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Ricordi come lo hai festeggiato? “Impossibile dimenticarselo: L’ho fatto sotto la Nord, mi è sembrato naturale correre sotto la curva per godermi quel momento con i nostri tifosi. Pensare che fino a qualche giorno prima ero dall’altra parte, mi ha fatto venire i brividi…”. Un altro ‘prodotto’ dell’Atalanta, Bonaventura, è andato al Milan nell’ultima sessione di mercato: il suo procura-


INTERVISTa / MANOLO GABBIADINI

“” mio padre giocava a livello amatoriale. ai suoi tempi non si poteva mollare tutto per inseguire un sogno

UNA FAMIGLIA DI CAMPIONI Gabbiadini, un cognome sinonimo di qualità

Anche tu sei un po’ fuori dai canoni del calciatore: riesci a viverlo l’ambiente del calcio? “Certo che sì, i giocatori non sono solo creste e tatuaggi e poi se ad uno piacciono non ci vedo nulla di male”. Allora tu per cosa saresti disposto a farti un tatuaggio o la cresta? “Tatuaggio ne ho già uno, quindi ho dato. La cresta non mi piace: non ci sono scudetti che tengano, non la faccio (ride, ndr)”.

foto Federico De Luca

tore ha sottolineato come non abbia né creste, né tatoo. Galliani lo ha elogiato per essere un bravo ragazzo… Jack può essere un’altra faccia pulita della Nazionale? “Assolutamente, io Jack lo conosco bene e so quanto sia caparbio. Dà sempre il massimo, non si risparmia mai, è uno che non si arrende e poi è un ragazzo umilissimo, oltre che un gran giocatore ovviamente. Non ho dubbi che farà bene al Milan e che prima o poi tornerà anche lui in Nazionale”.

Se non avessi fatto il calciatore? “Bella domanda, non saprei, anche perché a scuola non è che andassi molto bene (ride, ndr). Fin da quando ero piccolo ho sempre sognato di fare il calciatore e nient’altro...”. Sogno realizzato. O, se volete, obiettivo raggiunto. E, statene certi, non è ancora finita. Anzi. Ormai il leone è scappato...

foto Federico De Luca

Hai un tatuaggio? Incredibile... “Perché? Me lo sono fatto fare da mia sorella, che ha un diploma. Sono tre stelle piccoline, ci sono molto legato”.

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INTERVISTa / MANOLO GABBIADINI

GRAZIE ATALANTA

ATALANTA, SCUOLA VERA Il club orobico ha forgiato diversi campioni, come Gabbiadini

Gabbiadini è uno dei tanti giovani campioni cresciuti nel vivaio delLA CLUB bergamasco. Uno dei tanti che ce l’hanno fatta… di Stefano BENETAZZO

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anticamera del professionismo, la bottega dei campioni, la scuola dei sogni possibili; in qualsiasi modo lo vogliate chiamare, il risultato non cambia. Il settore giovanile dell’Atalanta è uno dei più stimati d’Europa ed una vera fucina di campioni.

I PRIMI - Mentre Gagarin diventava il primo uomo a compiere un volo spaziale, Marilyn Monroe veniva trovata morta nella sua casa a Los Angeles, i Beatles pubblicavano il primo 45 giri e il Presidente Kennedy veniva assassinato a Dallas, due giocatori dall’indiscussa classe e dal talento immenso iniziavano la loro carriera: l’attaccante Angelo Domenghini e il difensore-libero Gaetano Scirea. Il primo iniziò con l’Atalanta nel 1961 mentre il secondo nel ’67. Bastano i nomi per ricordare la loro grandezza e per sapere cosa hanno rappresentato nel mondo del calcio. Come non citare poi Roberto Donadoni, centrocampista cuore e polmoni che ha fatto le fortune prima dell’Atalanta, successivamente del Milan e della Nazionale per poi proseguire con ottimi

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foto Balti/Photoviews

INIZI - L’Atalanta è stata fondata nel lontano 1907, ma soltanto sei anni più tardi è stata riconosciuta dalla FIGC e da quel momento ad oggi di passi ne sono stati fatti tantissimi, in special modo nella valorizzazione del settore giovanile, vero punto di forza dei nerazzurri fin dal 1949, quando cominciarono ad essere sfornati giocatori di buon livello, aspetto reso possibile anche grazie al lavoro di Giuseppe Ciatto, la prima persona che si era impegnata ad allestire squadre giovanili e ad allenarle. risultati nel ruolo di allenatore. GLI ANNI D’ORO - Il periodo migliore però inizia nei primi anni novanta, quando l’allora Presidente Antonio Percassi (in carica dal 1991 al ’94, ritornato nel 2010 e tuttora in carica), riuscì nell’impresa di convincere Fermo Favini, detto Mino, a trasferirsi dal Como all’Atalanta; mai scelta fu più azzeccata, in quanto il talent scout nativo di Meda ha scoperto, valorizzato e lanciato un’infinità di giocatori, quegli stessi che sotto la sua gestione, dal ‘91 al 2014, hanno contribuito alla conquista di 17 titoli nazionali con le squadre giovanili. La storia però è destinata a continuare, in quanto mastro Favini continua imperterrito a calcare i campi di Zingonia tutti i giorni dell’anno, motivo per cui molti giovani

possono continuare a cullare il sogno di diventare giocatori professionisti. Portieri, difensori, centrocampisti e attaccanti, dal settore giovanile atalantino sono usciti giocatori per ogni ruolo che hanno fatto o stanno facendo la fortuna dell’Atalanta o di altre società. PORTIERI - Sono quattro gli estremi difensori usciti dal settore giovanile nerazzurro: Ivan Pelizzoli attualmente in forza alla Virtus Entella, Michael Agazzi oggi terzo portiere al Milan, Andrea Consigli passato nell’ultimo mercato al Sassuolo e l’attuale numero uno Marco Sportiello. DIFENSORI - Reparto numeroso quello arretrato, con giocatori del calibro di Davide Brivio, Michele Canini, Daniele


INTERVISTa / MANOLO GABBIADINI

Capelli, Marco Motta, Cesare Natali, Gabriele Perico, Emanuele Suagher e Luciano Zauri, senza però dimenticare Piermario Morosini, scomparso tragicamente proprio su un campo da calcio.

GLI ANNI TITOLO DELLA FORMAZIONE DIDASCALIA TestoAll’Atalanta didascalia testoGabbiadini didascalia testo èdidascalia. diventato un giocatore vero

CENTROCAMPISTI - Nel ruolo chiave del gioco del calcio l’Atalanta ha formato negli ultimi anni numerosi giocatori, tanti dei quali divenuti veri e propri campioni: Daniele Baselli, Giacomo Bonaventura, Massimo Donati, Andrea Lazzari, Nadir Minotti, Salvatore Molina, Riccardo Montolivo, Massimo Mutarelli, Simone Padoin e Alex Pinardi. ATTACCANTI - Mangiare l’erba, percepire la porta in ogni momento e vedere la rete gonfiarsi sono le caratteristiche e i sogni di ogni attaccante, come i vari Rolando Bianchi, Manolo Gabbiadini, Giampaolo Pazzini e Simone Zaza, ai quali si aggiunge lo sfortunato giocatore Federico Pisani - perito nel ’97 in un incidente stradale e a cui è dedicata la Curva Nord dello stadio di Bergamo – che ha potuto solo sfiorare sogni di gloria. BANDIERE - Ne esistono sempre meno nel calcio, questo fa sì che, sia Cristian Raimondi, che l’attuale Capitano Gianpaolo Bellini – entrambi difensori – rientrino in questa ristretta cerchia, tra l’altro due giocatori elogiati e portati ad esempio da Mino Favini.

foto Balti/Photoviews

RICONOSCIMENTI - Secondo una classifica stilata dal centro studi di Coverciano, l’Atalanta è indicata come una società in possesso di uno dei più stimati settori giovanili d’Europa, al primo posto in Italia e al sesto posto europeo alle spalle di vere potenze quali Real Madrid e Barcellona; a ulteriore conferma di quanto il lavoro e gli investimenti della società bergamasca posti nel settore giovanile siano giusti e di ottimo livello è anche uno studio del “CIES Football Observatory” di quest’anno, che ha inserito il vivaio atalantino all’ottavo posto a livello mondiale con 25 giocatori usciti dalle giovanili che giocano nei cinque principali campionati europei. Il talento da solo non basta se non trovi una società che crede in te e che ti offre una possibilità, di crescita e di vita, senza smettere di sognare; questa è l’Atalanta.

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SERIE B FROSINONE

di Tommaso MASCHIO

VOGLIA DI STUPIRE

Il Frosinone ha tutte le carte in regola per far bene in cadetteria...

foto Luca Rea

Cuore di capitano Dopo tre anni in Lega Pro Alessandro Frara torna in Serie B. “Ora vorrei chiudere il cerchio con la A”

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al Celtic Park di Glagow al Matusa di Frosinone. Gli estremi della carriera, almeno fino a oggi, del centrocampista Alessandro Frara. La Serie A vissuta appena per una stagione a meno di venti anni e poi un lungo girovagare per la Serie B, da est a ovest, dal nord fino al centro, per trovare la completa maturazione arrivata con la maglia del Frosinone nelle ultime tre stagioni in cui il ragazzo cresciuto nelle giovanili della Juventus, è diventato uomo prendendo per mano la squadra ciociara fino a diventarne capitano e contribuire alla risalita in serie cadetta sotto la guida di un “predestinato” come mister Roberto Stellone. Una chiacchierata con uno dei protagonisti della prossima Serie B fra passato e presente. Partiamo dagli inizi. La Juventus e quell’esordio in Champions League al Celtic Park datato ottobre 2001. “Quello della Juventus è un ricordo lontano, ma anche molto piacevole perché non è da tutti esordire a 18 anni in Champions League, in un palcoscenico come il Celtic Park. È stato bellissimo ed

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Nessun rimpianto. Frosinone mi ha dato più di quanto mi aspettassi è da lì che ho capito che il mio sogno di essere un calciatore si stava realizzando, stava diventando realtà”. Dopo un anno subito via, in prestito al Bologna. Cosa conserva di quell’esperienza? “A Bologna l’esperienza è stata bella e utile. Ero giovane, ma ho giocato con una certa continuità e imparato molto. Forse ho commesso qualche errore di gioventù, anche se non li definirei tali, ma quell’esperienza mi ha permesso di maturare e diventare il giocatore che sono”. Prima e unica esperienza in Serie A. Poi tanti anni di cadetteria in giro per l’Italia. Rimpianti?

“Si dopo ho giocato molti anni in Serie B a Terni, Spezia, Rimini e infine Varese, in un campionato che da sempre difficile e complicato da affrontare. Sono soddisfatto di tutte queste esperienze e devo dire che non ho rimpianti per una mancata chiamata dalla categoria superiore che in quegli anni non è arrivata. Forse ho avuto solo la sfortuna di essere frenato da qualche infortunio di troppo nei momenti chiave della stagione, visto che in Serie B la continuità di rendimento è fondamentale per provare il salto in Serie A, ma tutto sommato sono contento della mia carriera”. Da tre anni difende i colori del Frosinone, per cui è sceso ulteriormente di categoria. “Frosinone è arrivato dopo l’esperienza a Varese e onestamente non mi aspettavo tanto. Questa squadra e questa piazza mi ha dato tantissimo a livello personale e qui sono riuscito a togliermi molte soddisfazioni. Sono arrivato nell’età della maturità e in questi anni sono ulteriormente maturato sfruttando l’esperienza accumulata in precedenza. Sono cresciuto molto come calciatore e come uomo e devo ringraziare la piazza per quanto mi


SERIE B/ FROSINONE

ha dato e continua a darmi”.

NATO NELLA JUVE

32 anni a novembre, è cresciuto nel vivaio bianconero...

Quanto è stato importante per lei, e la squadra, l’arrivo di Stellone – un allenatore molto giovane – alla guida della Frosinone? “Stellone per me è stato fondamentale. Mi ha dato fiducia e responsabilità affidandomi la fascia di capitano della squadra. È un tecnico emergente e credo che sia un predestinato visto quello che è riuscito a conquistare in così poco tempo (un campionato Berretti e la promozione in Serie B). Ha un grande futuro davanti”. Nella passata stagione avete conquistato la B al termine di un campionato molto combattuto. Ci sono stati momenti in cui avete pensato di non farcela? “La passata stagione siamo stati a lungo primi in classifica in uno dei tornei più duri degli ultimi 10 anni. Dopo la sconfitta a Perugia c’è stato un momento di sconforto, perché è stata una vera e propria mazzata, ma abbiamo reagito subito tirando fuori la cattiveria che ci ha sempre contraddistinto facendo si che nei play-off, la squadra non sbagliasse nulla fino a conquistare la Serie B. Devo dire che, esclusa quell’ultima partita, la squadra ha sempre creduto nell’obiettivo e non si è mai demoralizzata mostrando carattere”.

foto Federico Gaetano

Torna in Serie B, un campionato che conosce bene. Cosa si aspetta dalla stagione? “Ora mi aspetto di affrontare la Serie B

foto Image Sport

ALESSANDRO FRARA

con lo stesso spirito che ci ha contraddistinto lo scorso anno sapendo che si tratta di un campionato più duro e che il nostro obiettivo è mantenere la categoria. Siamo un gruppo forte, con un bel mix di giovani ed esperti, a cui si sono aggiunti giocatori d’esperienza e categoria che sicuramente ci faranno molto comodo per il raggiungimento dell’obiettivo”. Nel cassetto c’è ancora il sogno di

giocare ancora in A? Che ambizioni nutre per il futuro? “Le mie ambizioni sono quelle di continuare a giocare ad alti livelli il più a lungo possibile e dimostrare di essere sempre all’altezza del ruolo. Voglio togliermi ancora tante soddisfazioni con questa maglia e magari un giorno tornare in Serie A per chiudere simbolicamente il cerchio ad anni di distanza dal mio esordio”.

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LEGA PRO PISTOIESE

di Pierfrancesco TROCCHI

NELLE MANI DI LUCARELLI

foto Ufficio Stampa Pistoiese

Con lui al timone, nulla è precluso alla Pistoiese...

L’ARANCIA BOTANICA Ospiti a casa della Pistoiese dove Lucarelli sta riportando la voglia di giocare e divertirsi...

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e Kubrick fosse nato a Pistoia, terra di vivai, non avrebbe di certo esitato a modificare così il titolo di uno dei suoi lavori più celebri. L’Olandesina, come veniva chiamata la compagine arancione dell’Alta Toscana nei primi anni ’80, sta cercando di farsi nuovamente bella in un calcio che sta perdendo, con Galeano, “l’allegria del giocare per giocare”: per riuscirci servono anime vere. Cristiano Lucarelli rimane, anche da allenatore, la madeleine di quel pallone romantico che gli archivi c’insegnano. Mister Lucarelli, quando è nata l’opportunità Pistoiese? “Sono stato contattato a fine campionato scorso. Mi chiamò il DS Nelso Ricci (vedi box, ndr), chiedendomi di vederci. Ero di ritorno da un viaggio in Sardegna e mi vennero addirittura a prendere all’aeroporto di Pisa”. Addirittura? “Questo episodio mi colpì moltissimo, perché mi dimostrò quanta fiducia la società avesse in me. Nelso ha facilitato la

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mia scelta, ci conosciamo da tempo e la sua presenza è la garanzia del progetto. È una fortuna avere a fianco un DS esperto come lui”. Che ambiente hai trovato? “Molto familiare, anche il presidente è una persona umile e seria. Si lavora bene e senza pressioni in una piazza comunque importante per la Lega Pro. Nonostante abbia avuto offerte da altre squadre, tra cui una di B, ho ritenuto Pistoia l’opportunità giusta per crescere. Si è trattato di una decisione ben ponderata”. L’organico, rispetto alla passata stagione, è stato rivoluzionato. “Sì, complice il doppio salto di categoria (dalla D alla Lega Pro “unificata”, ndr), abbiamo fatto una scelta dettata da necessità tecniche ed economiche, anche perché i giovani ci portano benefici legati al loro minutaggio, aspetto decisivo quando si ha un budget ridotto”. Ci sono tanti giovani, appunto. Ti piace lavorare con loro? “Sono abituato, dopo l’esperienza con gli Allievi Nazionali del Parma e con il Viareggio non ho avuto difficoltà”.

Quali sono i “contro” nel lavorare con i ragazzi? “Il giocatore già “fatto” richiede meno attenzioni e legge certe situazioni in campo prima degli altri, mentre con i giovani il prezzo più alto da pagare è la discontinuità. I ragazzi, però, hanno più entusiasmo”. Parliamo della tua idea di gioco. “Io vengo dalla scuola di Mazzarri e Ulivieri, allenatori che curano molto l’aspetto tattico. Mi piace che la mia squadra sappia stare bene in campo”. Chiedi qualcosa in particolare ai tuoi uomini? “Io dico due parole ai miei giocatori: “Date l’anima”, gli avversari ci devono battere solo se si dimostrano più bravi, non perché hanno più fame di noi. Ai ragazzi chiedo anche di non avere un approccio superficiale alle partite, nessun pallone deve essere sottovalutato, anche il più “stupido”…”. Sei un allenatore più “amico” o maestro? “A me piace scherzare e sdrammatizzare, ma sono i miei giocatori a decidere come volermi. Se mi dimostrano che si può


LEGA PRO/ PISTOIESE

l’AMMIRAGLIO NELSO

lavorare in serenità ed allegria, senza che questo atteggiamento influisca sulla concentrazione, allora mi concedo una battuta con loro. Se, invece, mi accorgo che ridere porta a deconcentrarsi e non affrontare le partite come si deve, divento un martello pneumatico. Dico sempre loro che hanno la sfortuna di avere un allenatore grande e grosso e che li picchia pure (ride, ndr). Il gruppo deve essere maturo e capace di distinguere i momenti scherzosi da quelli in cui bisogna farsi trovare pronti”.

Allo stato attuale, quali sono i vostri obiettivi? “In rosa ci sono giovani bravi, tra cui alcuni che, complici infortuni e scelte tecniche, hanno pochi minuti nelle gambe e sono da ritrovare. Abbiamo tanti talenti, che possono “esserci” una domenica e non quella successiva. Cercando di valorizzare i ragazzi, il nostro scopo è quello di salvarci”. A Pistoia non c’è fretta, ma Lucarelli è pronto ad essere ancora decisivo.

NELSO RICCI

CRISTIANO LUCARELLI

foto Ufficio Stampa Pistoiese

della squadra non supera i 23 anni!), che “debbono percepire la stima di tutto l’ambiente per rendere al massimo. Cristiano, ad esempio, andò a Milano di persona per assicurarsi le prestazioni di Calvano”, spiega Ricci. Quello di avere tanti ragazzi in rosa è un vantaggio in termini tecnici (“non sono appagati come i più anziani”, afferma), ma anche finanziari. “È fondamentale, in una categoria come la nostra, tenere d’occhio i conti. L’impiego di giovani – continua il DS – ci permette di ricevere svariati vantaggi economici, un aiuto importante per non incappare in un fallimento, come è invece successo a tante società toscane”. L’obiettivo per Ricci è uno solo: “Avere continuità e stabilità sotto ogni aspetto”. L’ammiraglio vede e provvede.

foto Ufficio Stampa Pistoiese

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copriamo la vera colonna della Pistoiese, un ds dalle mille risorse… Lo chiamavano così a Carrara, sua terra natia, e così lo chiamano a Pistoia. Nelso Ricci, DS degli oranje toscani, si è occupato profondamente del nuovo assetto della Pistoiese, a partire dall’ingaggio di Lucarelli. “Conosco Cristiano dai tempi di Livorno - dice - mi è sempre piaciuto il suo modo di intendere il calcio. Ha già dimostrato il suo valore, sono sicuro che anche da noi farà bene”. C’è da fidarsi, se a garantirlo è chi ha lanciato allenatori del calibro di Baldini, De Canio e, soprattutto, Marcello Lippi. Lucarelli avrà il compito di gestire diversi giovani (l’età media

foto Ufficio Stampa Pistoiese

di Pierfrancesco TROCCHI Scopriamo la vera colonna della Pistoiese, un ds dalle mille risorse…

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SERIE D LECCO

di Simone TONINATO

SOGNI D’ELITE

foto Ufficio Stampa AC Lecco

Il Lecco ha l’entusiasmo giusto per non sfigurare...

LECCO IS BECK! CON L’OBIETTIVO DI FARE UN BEL CAMPIONATO E NON DELUDERE I TIFOSI

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uel ramo del lago di Como…” così esordisce Manzoni nel primo capitolo de “I Promessi Sposi”. Quella città di Lecco - così si potrebbe dire meno romanticamente qualche anno dopo - dove dal 1912, a partire dalla Società Canottieri Lecco, si mastica calcio. Si va dai ruggenti anni ’60 della Serie A del presidente Ceppi con Angelo Piccoli in panchina, al sali e scendi tra Serie C e dilettantismo degli ultimi trent’anni, che ha comunque dato spazio ad allenatori e giocatori di primo livello. L’ex CT della nazionale Roberto Donadoni e Massimiliano Allegri, scudettato col Milan e oggi Mister della Juve favorita per la vittoria del campionato, sono i nomi di maggior spicco. Tra i calciatori c’è anche Massimo Oddo, passato da qui sul finire degli anni ’90 e poi divenuto campione del mondo a Berlino nel 2006. Oggi, con un progetto serio alle spalle, c’è anche un presidente dal nome altisonante, Evaristo Beccalossi. Si è abituati a pensare a lei come fantasista, ma a volte i ruoli cambiano.

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Chi è Evaristo Beccalossi come presidente del Lecco? “Come presidente metto a disposizione tutta la mia esperienza maturata in tanti anni di calcio. Cambia il punto di vista, non ho bisogno di concentrarmi come singolo, ma devo sempre farlo a livello di gruppo. Si cerca di mettere le persone nelle migliori condizioni possibili per poter lavorare positivamente. Mi sono tuffato in questa esperienza con grande entusiasmo”. Lo scorso campionato si è concluso con un nono posto, quali sono gli obiettivi per la stagione 2014-2015? “Cercheremo di fare un bel campionato, poi si sa nel calcio non c’è niente di certo. Lecco ha una grande città e una grande tradizione come squadra e un mese fa non si sapeva neanche che futuro avesse. È importante che il Lecco ci sia e che sia ripartito per fare un campionato importante come la Serie D. L’obiettivo è quello di far bene con il budget che abbiamo a disposizione. Però, ripeto, la cosa più importante è che il Lecco c’è, ora bisogna impegnarsi a livello sportivo per fare un campionato di un certo tipo”. A chi sogna la promozione cosa ri-

sponde? “Dopo una partita vinta sembravamo il Real Madrid, poi abbiamo perso in Coppa Italia e sembrava tutto da rifare. Ci sono dei passaggi da compiere, mantenendo i piedi per terra, non mi piace dire che si punta a questo o a quello. C’era da ricostruire una società, siamo contenti del lavoro svolto in un mese, abbiamo creato un buon gruppo poi dovremo anche ricostruire il settore giovanile, ma pian piano si fa tutto. C’è il massimo impegno da parte di tutti, grande umiltà e coscienza di fare le cose a modo. Alla fine tireremo le somme, adesso s’inizia a lavorare sul campo per cercare di fare i risultati. La gente ci sta seguendo ed è la cosa più importante e noi non dobbiamo deludere i tifosi”. Sì, i tifosi vi seguono molto, la dimostrazione sono gli oltre 300 abbonati, molti di più della passata stagione. In questo calcio “moderno” in cui si dice spesso che le TV allontanano il pubblico dagli stadi, come vede le dirette televisive anche per la Serie D? “Di certo la televisione non è un ostacolo, basti pensare che ci sono squadre di Serie A che solo con i diritti televisivi riescono


SERIE D/ LECCO

PRESIDENTE DI CLASSE

foto Image Sport

A guidare l’ambizioso Lecco c’è un certo Beccalossi...

EVARISTO BECCALOSSI

foto Ufficio Stampa AC Lecco

Passando la parola al campo. Nell’undici di Mister Cotroneo, chi è il Beccalossi della situazione? “Guarda, il calcio di oggi è diverso e rispetto a quando giocavo io è cambiato completamente. Ogni periodo ha determinati giocatori con determinate caratteristiche. Chi viene a Lecco deve avere entusiasmo, perché si tratta di una piazza importante in cui la stima e l’affetto dei tifosi devono servire da ulteriori motiva-

Rocco Cotroneo

zioni per far bene. Chi assomiglia a questo o a quello o chi c’è e chi non c’è non mi interessa”. È cambiato tanto, non il Mister, che è quello della passata stagione, non Tignonsini che è stato promosso a capitano. Qualche parola su entrambi? “L’allenatore è arrivato a campionato in corso nella passata stagione e penso che abbia fatto bene, ha fatto cose importanti. Abbiamo valutato insieme come poter migliorare la squadra e ci siamo messi a lavoro per ripartire. Il capitano è un giocatore esperto, insieme ad altri tre o quattro elementi della rosa a disposizione del mister”.

Tra i calciatori esperti figura anche una punta, Cristian Bertani, trascinatore del Novara promosso in A nel 2010-2011. Ma, squalificato per calcio scommesse nel 2012, non può essere schierato a meno che la richiesta di grazia non venga accolta… “Noi stiamo lavorando sperando di poterlo avere a disposizione, ma siamo tranquilli e sereni e aspettiamo quello che sarà. È chiaro che poter contare su un giocatore come lui sarebbe importantissimo, però è anche vero che dobbiamo guardare la realtà e in questo momento non ce l’abbiamo e andremo avanti con le nostre forze. Speriamo che si concluda positivamente”.

foto Ufficio Stampa AC Lecco

a fare il fatturato più importante. Credo che sabato avendo trasmesso la partita in tv (Lecco – Mapello del 6/9/14 ndr.) ci abbiano potuto vedere tutti. Ben venga quindi per la visibilità”.

Luca Baldo

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I RE DEL MERCATO VINCENZO D’IPPOLITO

IL CACCIATORE DI TALENTI ora è uno dei MIGLIORI Agenti in circolazione

di Simone BERNABEI foto Sara BITTARELLI

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na professione, quella dell’agente, nata quasi per caso. Sono passati oltre 25 anni, era il 1988, ed il lavoro del procuratore nel mondo del calcio non aveva ancora conosciuto la sua massima espansione. I contratti erano più stringati e i calciatori non erano ancora macchine mediatiche. È qui che inizia la storia di Vincenzo D’Ippolito, avvocato prestatosi al mondo del pallone. Ci accoglie nella sua splendida casa romana, zona Parioli, per raccontare i segreti, le gioie e, perché no, le delusioni di una professione in continua evoluzione. “Sono romano di adozione, ma salentino di nascita, del paese di Latiano”, ci tiene a precisare. “Mi sono trasferito qua da bambino e ci sono stato fino a 24 anni. Poi gli studi a Teramo, la laurea in giurisprudenza e il praticantato per diventare avvocato”.

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Perché allora la ritroviamo nel mondo Calcio 2OOO

del calcio? “Ci sono finito quasi per caso in realtà… Era il 1988 e stavo iniziando la carriera da avvocato. Vincenzo Rodia, calciatore dell’Ascoli e amico di famiglia, mi chiamò per una consulenza su un contratto. Non mi sono più allontanato da quel mondo”. Se le dico Antonio Caliendo? “Con Eugenio Ascari e Barendt Krausz, ci mettemmo a lavorare nell’agenzia di Caliendo, il primo procuratore della storia del calcio. Iniziai con alcune procure dei giocatori del Lecce, fra cui ricordo su tutti un giovanissimo Antonio Conte, ma anche Petrachi, Moriero e Morello”. Gancio perfetto. Antonio Conte ct della Nazionale. Se l’aspettava? “Me l’aspettavo ma sono comunque rimasto sorpreso dai tempi. Si vedeva fin da ragazzo che aveva stoffa, pensate che pur giocando, si laureò col massimo dei voti all’Isef. Detto questo, non credevo di vederlo sulla panchina dell’Italia così presto”.


I RE DEL MERCATO / VINCENZO D’IPPOLITO

SEMPRE IN PRIMA FILA Agente di professione da oltre 25 anni

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I RE DEL MERCATO / VINCENZO D’IPPOLITO

PIONIERE

Responsabile della prima trattativa di un club italiano con uno africano

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I RE DEL MERCATO / VINCENZO D’IPPOLITO

“” Vincenzo Rodia,

L’ARRIVO DEL MATADOR Fu proprio D’Ippolito a scoprire Cavani nel Danubio

calciatore dell’Ascoli e amico di famiglia, mi chiamò per una consulenza su un contratto. Non mi sono più allontanato da quel mondo Come giudica le prime uscite della sua Italia? “Molto molto bene. Col tempo è riuscito a incamerare tutte le nozioni, pensate che anche mentre era giocatore prendeva appunti. Sono convinto che possa far davvero bene in Nazionale, anche perché meglio di lui oggi non c’era nessuno”. Torniamo a lei: quando decise di lavorare autonomamente? “Dopo qualche anno mi misi in proprio. Avevo 23 procure quando mi separai da Antonio: ai ragazzi che stavo seguendo lasciai libera scelta se continuare con me o se restare nella scuderia di Caliendo. In 21 continuarono a darmi fiducia”. Cosa cerca Vincenzo D’Ippolito nei suoi assistiti? “Ho uno stile di lavoro tutto mio: non mi piace seguire le squadre Primavera, c’è troppo affollamento. Preferisco andare a scovare le potenzialità nelle serie minori. Già i primi anni seguivo le gare di serie C1 e C2, il talento esiste anche lì e certamente si può lavorare con più tranquillità. Tecnicamente, comunque, credo sia essenziale la rapidità per giocare in Italia, e soprattutto devo conoscere personalmente il calciatore. Da questo punto di vista, devo dire che uno come Laxalt mi ha davvero fatto una bella impressione fin dal primo incontro”. Un nome che ricorda particolarmente? “Leonardo Colucci: lo scovai al Cerignola. E Cristian Bucchi. Quando lo vidi giocava in Eccellenza, l’anno successivo

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correva sul campo del Curi col Perugia di Gaucci. In serie A. Poi ricordo con piacere Giampaolo, Zaini e Flavio Destro, il padre di Mattia. Ma la lista sarebbe davvero lunga: Di Liso, Nappi, Colonello…”. Insomma, ha sempre preferito il Made in Italy... “Fino al 1996 sì. In quell’anno feci la prima trattativa con un giocatore straniero. Seguivo la Coppa d’Africa e sapevo che la Lazio stava cercando un difensore. Chiamai il direttore Nello Governato, chiedendogli di guardare la gara del Sudafrica in onda su TMC. Al fischio finale mi chiamò e mi disse di trattare l’acquisto di Mark Fish. Una trattativa davvero particolare”. In che senso? “Trattai il giocatore col presidente degli Orlando Pirates nel casinò di Johannesburg, mentre giocava alla roulette. Alla fine l’operazione andò in porto e fu la prima trattativa di un club italiano con uno africano”. Diciamo che aveva abbattuto le fronPASSIONE SUDAMERICANA Niente Brasile, Uruguay e Honduras i mercati preferiti

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tiere, quindi. “I mesi a cavallo del 2000 segnarono la mia carriera. Portai in Italia il primo honduregno della storia, un certo David Suazo. Lo proposi a 3-4 società di Serie A e alla fine la spuntò il Cagliari. Spostai l’attenzione dei club italiani sui paesi sudamericani meno battuti come, appunto, l’Honduras”. A livello di quotidianità cambiò molto il suo lavoro? “Decisi io, di cambiare qualcosa. Alla soglia del 2000 avevo in procura 90 calciatori. Dovevo seguire quotidianamente le necessità di tutti questi giocatori. Decisi di ridurre il numero dei miei assistiti, anche perché in Italia ci fu un vero e proprio boom di agenti e procuratori. Cambiai filosofia di lavoro. In passato ero un agente nel vero senso della parola, oggi mi sento più uno scout che fa da intermediario nei trasferimenti dei giocatori. Un cambiamento voluto, ad ogni modo”. Nel pratico, come faceva e come fa adesso a proporre i giocatori ai vari club? “Vado spesso in Sudamerica. Prima le

valigie erano piene di vhs, oggi grazie ai dvd e soprattutto alle e-mail è tutto più semplice, logisticamente parlando”. I paesi in cui preferisce operare? “Amo i giocatori uruguayani. Ho iniziato con loro e con quelli dell’Honduras, appunto. Oltre a Suazo portai in Italia anche Leòn. Poi giro l’Argentina e ultimamente ho allacciato contatti anche in Paraguay”. Il Brasile, la patria del calcio, non le interessa? “C’è tanta qualità, ma i prezzi del mercato sono altissimi. Io preferisco trovare le potenzialità in quei paesi dove le spese per un giocatore sono molto più contenute e, spesso, la qualità è similare”. Prendiamo l’aereo per l’Uruguay. Ricordi? “All’inizio non fu semplice, il mercato era chiuso e il 90% dei giocatori era del potentissimo Paco Casal. La mia figura, per i primi viaggi, non fu affatto ben vista da quelle parti. Col tempo mi sono fatto largo e adesso ho contatti con i top club del paese: Liverpool, Defensor,


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Penarol… All’inizio non era pensabile portare giocatori in Italia senza la “benedizione” di Casal, ma con un po’ di testardaggine riuscii comunque a fare alcune operazioni. Riuscii a liberalizzare il mercato uruguayano”. Il primo nome che le viene in mente che ha portato nel Belpaese? “Cavani”. Allora ce lo racconti, l’arrivo del Matador in Italia… “Era il settembre del 2006, con il Danubio avevo ottimi rapporti. Ottenni dal club il mandato per la sua cessione in Italia, e già da novembre iniziai a proporlo ai club di A a costi contenutissimi, ma le risposte non furono positive. A gennaio 2007 Cavani giocò da protagonista il Mondiale under 20 ed il suo prezzo lievitò, e di parecchio anche. Gli ultimi giorni il Palermo fece l’offerta giusta e Cavani sbarcò in Sicilia. In seguito ebbi problemi col Danubio, che non voleva riconoscere il mio lavoro, ma una sentenza del Tas di Losanna datata 5 ottobre 2012 mi ha dato ragione al 100%”.

Come scoprì questo grande centravanti? “Collaboravo con un agente peruviano che operava in Uruguay che lo conosceva. Il nostro rapporto, però, si è interrotto nel giugno 2011. Abbiamo avuto dei dissidi e non lavoriamo più insieme da tempo. Adesso lavoro autonomamente con l’Uruguay e negli ultimi sono riuscito a portare diversi giocatori”. Avevate concluso altri affari insieme? “Cavani, poi Ramirez, Hernandez e Gargano”. C’è qualcuno che l’ha colpita particolarmente, di questi giocatori? “Diego Polenta. Su di lui c’era il Barcellona, custodisco ancora la proposta ufficiale dei blaugrana: prestito oneroso con diritto di riscatto. Il Genoa alzò le pretese all’ultimo, quando tutto sembrava fatto e così Zubizarreta mi chiamò e si tirò indietro”. L’ultimo colpo è stato Gaston Silva. È vero che c’erano anche Inter e Juventus? “Si, ma non solo, anche Lazio e Parma.

Insieme all’agente e alla sua famiglia, però abbiamo scelto il Torino, con Ventura potrà crescere moltissimo. Gaston Silva è un predestinato, pensate che fu ceduto al Benfica a 16 anni, ma con la famiglia fu deciso di rimandare lo sbarco in Europa. Ha fatto tutte le Nazionali minori, al Mondiale under 20 in Turchia le ha prese tutte contro un certo Pogba”. E Laxalt? “Ha fatto bene i primi mesi a Bologna, adesso aveva bisogno di una squadra in cui fare il salto di qualità e abbiamo scelto Empoli. Quando è arrivato all’Inter poteva andare al Milan, ma Galliani era impegnato ad acquistare Balotelli e non se ne fece più nulla”. Altro biglietto aereo. Atterriamo in Honduras. “Oltre a Suazo c’era Leòn. Lo vidi a Puerto Cortez, era un ‘utilero’ della squadra, una specie di tuttofare che si scopri calciatore per caso. Fu vicinissimo alla Juventus, nel 2001…”. Ci racconti la sua storia. “Alla Juve serviva un vice Del Piero. MogIL PRIMO AGENTE DI CONTE

Da calciatore, il Ct azzurro scelse D’Ippolito come agente

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STORIE DI CALCIO

Leòn fu scoperto in un campo di periferia. Faceva il magazziniere

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I mesi a cavallo del 2000 segnarono la mia carriera. Portai in Italia il 1° honduregno della storia, un certo David Suazo

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SGUARDO AL FUTURO

Segnatevi il nome di Diego Facundez. Ne sentirete presto parlare

gi il 1 settembre mandò un osservatore a seguire Usa-Honduras e decise di comprarlo, anche perché il mercato quell’anno chiudeva eccezionalmente il 28 di settembre. Arrivai in Italia col ragazzo nella massima segretezza, ma la mattina della firma trovai le foto sul giornale. A quel punto l’affare saltò inspiegabilmente e Leòn andò alla Reggina”. Viaggio nel futuro: un nome di cui sentiremo presto parlare. “Dico Diego Facundez, classe ’95 che gioca nel New England Revolutions in MLS. Negli States è una star, ma sono sicuro che potrà essere il nuovo crack del calcio europeo. Negli Usa è titolare già da tre anni. Poi segnatevi anche Ichazo, portiere destinato a diventare titolare della Celeste, e Guillermo Cotugno, un difensore classe ’95 con origini italiane, come suggerisce il cognome”. Fra gli ‘italiani’, qual è quello con cui ha stretto il rapporto migliore? “Su tutti Ledesma. La sua storia è particolare: lo conobbi in un torneo in Svizzera, lui era con il Boca Juniors. La Lazio a quei tempi si era già mossa per lui, ma gli Xeneizes volevano molti soldi per il cartellino. Ledesma però voleva l’Italia, quindi non tornò in Argentina col Boca e restò a casa mia per circa un anno. Poi arrivò un provino col Lecce… il resto è storia nota”. Un rapporto duraturo e proficuo per entrambi… “Esatto. Lui arrivò anche a vestire la maglia azzurra, con Prandelli. Purtroppo c’è un po’ di rammarico, fu un’apparizione lampo, senza avere seguito. Peccato perché con una sola presenza è difficile valutare le qualità di un ragazzo, e Prandelli non dette mai seguito a quella prima convocazione. Acqua passata, anche se ai tempi Ledesma era seguito e aveva parlato anche con Maradona, all’epoca ct dell’Argentina. Diego si era interessato a lui, ma il debutto con la maglia azzurra frenò tutto”. Chi altro? “Michele Pazienza è un mio amico storico. Poi Abero, Rolin, oltre a Laxalt”. Ce l’ha un rimpianto, un giocatore che avrebbe voluto seguire? “Del Piero. Lo vidi al Torneo di Viareggio

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NON SOLO MERCATO

D’Ippolito è stato anche dirigente della Sambenedettese

che era un ragazzino. Doveva scegliere un procuratore fra me e Andrea D’Amico e alla fine scelse lui”. E all’estero? “Facile, anche in questo caso. Si chiama Angel Di Maria. Era il 2007, Di Maria giocava ancora nel Rosario Central. Io avevo il mandato per l’Italia, il ragazzo si poteva prendere con una cifra di 1,51,8 milioni di dollari. Praticamente niente. Parlati con tre club italiani, ma solo una si interessò. Dopo averlo studiato, il ds mi disse ‘è bravo ma fragile, si romperà facilmente’. Tutto saltò e adesso tutti conoscono la carriera di Di Maria…”. Il giocatore che l’ha fatta “ammattire” di più, in senso buono? “Caratterialmente Leòn. Ha avuto un’infanzia difficile e per questo ha un modo di fare un po’ particolare. Lo sapevo, ma ho voluto rischiare scommettendo sulle qualità del ragazzo”. Per concludere, voltiamo pagina: nella sua carriera si è cimentato anche nel ruolo di dirigente alla Sambenedettese. “Diciamo che ero più un consulente. Il 29 agosto 2004 ricevo una chiamata da un mio amico imprenditore che voleva risollevare le sorti della Sambenedettese. Accettai con entusiasmo questa sfida complicatissima, visto che mancavano 48 ore alla fine del mercato e in rosa c’erano solo 5 giocatori. Scelsi l’allenatore, Davide Ballardini, che dalla Primavera del Parma poteva portarsi dietro diversi giocatori tra cui Cigarini, Gazola e Canini. Feci la squadra e portammo avanti un campionato di Serie C1 eccezionale nell’anno in cui c’era anche il Napoli. A fine anno gli azzurri presero Amodio e Bogliacino. Con rammarico mi resi conto di non poter più proseguire, ma quell’esperienza mi ha dato forza e convinzione nelle mie competenze”.

Intervista di Simone Bernabei

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I GIGANTI DEL CALCIO ENRICO ALBERTOSI

RICKY, IL PIU’ GRANDE DI TUTTI Genio e sregolatezza, è considerato il miglior portiere italiano di sempre. Anche se lui non lo dice... di Stefano BORGI foto Federico De Luca

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n giorno Nereo Rocco incontrò suo cugino e gli disse... “Tè presento Albertosi. El ga tuto quel che mi no poso soportar: el magna, el bevi, el va in giro de notte, el xè carigo de babe, el scometi sui cavai come ti. Ma mi lo tegno perché el xè el meo portier del mondo”. Ricky Albertosi, il più grande di tutti. Più di Zoff, più di Sarti, più di Buffon. E se lo dice il “paròn”, c’è da fidarsi. Ricky, invece, professa umiltà e si limita a dire: “Sono stato un grande portiere, questo sì. Il più grande? Mi spiace, non sta a me dirlo”. Interviene allora la moglie Betty: “Ricky è stato il migliore. Ma lui non lo dice, perché è una persona umile. Anche se molti la pensano diversamente”. Eh già, perché Ricky Albertosi ha sempre avuto l’immagine del guascone, di chi conduce una vita spericolata: donne, gioco, sigarette (un pacchetto al giorno). Un personaggio “contro”, tutto l’opposto di come dovrebbe essere un’atCalcio 2OOO

leta. “Che vi devo dire? Confessa Ricky anche un po’ divertito. Zoff, per esempio: se faceva l’amore il venerdì, la domenica aveva le gambe molli. Io potevo farlo anche di sabato, ma la domenica facevo ugualmente la differenza. Questione di fisico”. E allora con uno come Albertosi, proviamo anche noi ad andare controcorrente, partendo dalla fine. “Nella vita ho fatto il fenomeno - aggiunge però per due volte ho rischiato seriamente di morire. La prima nel 2004, mentre andavo a cavallo per beneficenza. Eravamo all’ippodromo di Montecatini, sono crollato all’improvviso e l’ambulanza non aveva medico a bordo. Sono stato incosciente per 18 minuti, mi fecero l’elettroshock... tre, quattro volte, ma niente. Dopo tre giorni mi risveglio dal coma e per miracolo non avevo subito danni cerebrali. Anzi, litigai col medico perché volevo togliermi la mascherina e baciare mia moglie”. La seconda, invece, la sanno in pochi... “Problemi alla tiroide, era il 2010. In un


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IL PIU’ FORTE

Albertosi, il vero portiere, quello dei miracoli

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LO SCUDETTO A CAGLIARI

foto Liverani

Albertosi è stato il grande protagonista del tricolore dei sardi

mese ero dimagrito 15 chili, e non capivo il perché. La colpa era di una medicina che prendevo per il cuore, il cordarone, che solo nel 20% dei casi può causare danni alla tiroide. Ed io, guarda caso, rientravo in quella percentuale. Sono stato un mese ricoverato a Pisa, fui operato, mi è andata bene”. Torniamo all’Albertosi bambino “Se sono diventato un calciatore è merito di mia madre. E di una casualità: io nasco a Pontremoli, in Lunigiana, nel ‘39. A 15 anni esordisco in prima squadra sostituendo il portiere Gregoratto, che

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si doveva imbarcare come marinaio. Poi, altra coincidenza, sostengo due provini: uno all’Inter, uno allo Spezia. Li supero entrambi, e ovviamente spero di andare all’Inter. E invece fu lo Spezia a fare un’offerta per prima”. Però? “Però c’è da convincere mio padre. E pensare che anche lui aveva fatto il portiere nella Pontremolese, in promozione. Allo stesso tempo era maestro di scuola e voleva continuassi a studiare. Per fortuna mia madre riuscì ad imporsi, anche se il meglio deve ancora venire: la mattina

dopo telefona l’Inter che voleva ingaggiarmi. Ma ormai l’accordo era fatto...” Nonostante la vicinanza, l’inizio fu duro “La mattina alle 6 prendevo il treno degli operai, due ore per arrivare a Spezia. Scuola al mattino, pranzo alle 12,30, allenamento il pomeriggio. Ripartivo alle 18 ed arrivavo a casa alle 20. Il primo anno ce l’ho fatta, il secondo ho mollato e mi sono dedicato al calcio. Finché nel ‘58 è arrivata la Fiorentina, con Ferrero che mi tenne in prova una settimana”. Ci racconti l’esordio in serie A


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“” Il più bel

GRAZIE ALLA MAMMA E’ diventato portiere grazie all’aiuto della madre...

ricordo? Potrei dire Italia-Germania 4-3, oppure lo scudetto della stella col Milan nel ‘79. E invece dico lo scudetto col Cagliari nel ‘70 “Fu con la Roma, sul neutro di Livorno, nel gennaio ‘59. Finì 0-0, non presi gol e feci delle grandi parate. Ricordo che Carosio, in cronaca, mi fece i complimenti perché da quanto ero tranquillo sembravo un veterano”. E lì cominciò il dualismo con Giuliano Sarti “In realtà il mio rapporto con Sarti è sempre stato buono, anche se non perdeva occasione per ricordarmi che era lui il titolare. E poi eravamo diversi in tutto: nel carattere, nel modo di stare in campo. Sarti concreto, poco appariscente, io un gatto, amante dello spettacolo. Però da Giuliano ho imparato tanto, soprattutto la posizione, quasi da libero aggiunto. In cinque anni, dal ‘58 al ‘63, giocai solo 30 partite, però feci a tempo ad esordire in nazionale, proprio a Firenze... (15 giugno 1961, Italia-Argentina 4-1 ndr.) Quella per me fu una grossa rivincita”. Con la Fiorentina 10 stagioni, 185 presenze, due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, una Mitropa Cup. Qual è il ricordo più bello? “Senza dubbio la vittoria in Coppa delle Coppe contro i Rangers di Glasgow. Ricordo la partita d’andata in Scozia, davanti a 80.000 spettatori. Da quanto era forte il tifo degli scozzesi non riuscivo nemmeno a farmi sentire dai miei compagni. Vincemmo 2-0 con doppietta di Gigi Milan, una gioia enorme...” Il ricordo più bello della sua carriera in generale

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STELLA AZZURRA

Indimenticabili i ricordi con la Nazionale...

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LA TESTIMONIANZA DI RIGAMONTI di Stefano BORGI

IL PENSIERO DI RIGAMONTI Fu il secondo di Albertosi al Milan e lo ricorda con affetto

Ruolo ingrato quello del portiere. Soprattutto quello del portiere di riserva. Addirittura negli anni ‘70 fare il numero 12 era una missione, una sorta di vocazione. Ricordate nella Juve i vari Piloni e Alessandrelli? Onesti professionisti, ci mancherebbe, “invecchiati” dietro ad un mostro come Dino Zoff. Prendete Antonio Rigamonti da Carate Brianza: nel ‘71 esordisce nella massima serie con l’Atalanta, 3 anni a Como da protagonista (con tanto di promozione in serie A), poi Marchioro lo porta al Milan a fare la riserva di Albertosi. E da lì... “E da lì giocai solo due partite in 4 anni. – racconta - Nell’anno dello scudetto della stella addirittura disputai solo un tempo, in casa contro la Fiorentina. Ah dimenticavo, giocai anche le ultime 10 del campionato ‘79-’80, ma solo perché Albertosi era invischiato nel calcio scommesse”. A proposito... “Guardi, tutti sapevano che la partita incriminata era MilanLazio e che doveva vincere il Milan. Tutti meno io. Pensi che l’unica volta che ho scommesso qualcosa fu a Roma, all’ippodromo delle Capannelle. Puntai 10.000 lire, ma ero lì solo per far contenta mia figlia che era appassionata di cavalli”. Quindi lei non ha mai giocato a niente? “Giocavo a carte, quello sì. Poker, ramino, scala quaranta, quello che capitava. E spesso facevo coppia con Ricky. Certo se era per lui non smettevamo mai: ricordo che una volta sull’aereo, stavamo per atterrare e lui disse: “Ma che fate, scendete? Dai che facciamo a tempo a farne un’altra”. Che tipo era Albertosi da giocatore? “Un’ottima persona, di grande compagnia. Sempre allegro, battute a ripetizione, andava d’accordo con tutti. E poi un talento calcistico infinito. Se si fosse allenato un po’ di più...” Prego? “Non gli piaceva allenarsi. E non faceva vita da atleta. Ricordo il preparatore dei portieri Duccio Tessari che ci provava, ma niente da fare. 20 minuti, al massimo mezz’ora... per lui era più che sufficiente. E nonostante tutto, per me, è stato il più grande di tutti. Pensa se si fosse anche allenato”. Più grande anche di Zoff? “Per me si. Tra i pali era insuperabile, quando si alzava da terra sembrava un gatto... e non è un modo di dire. Forse difettava un pochino nelle uscite, ma per il resto un vero fuoriclasse”. C’è oggi un nuovo Albertosi? “Sinceramente non lo vedo. Negli anni l’unico che gli si è avvicinato è stato Buffon. Come caratteristiche, dico. Però ripeto: fisicamente e tecnicamente Albertosi è stato insuperabile”.

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foto Liverani

Fu il “secondo” di Albertosi al Milan nell’anno della “stella”, famoso per calciare i rigori

Tanto che lei, si dice, si fece crescere i baffi per assomigliargli... “Alt, non è vero. I baffi erano frutto di una scommessa dai tempi del Como. La squadra cominciò a vincere, ed io non me li tagliavo per scaramanzia. Poi c’era il discorso dei capelli lunghi... ma anche lì Albertosi non c’entrava niente. Li portavo così perché mi piacevano”. Un altro pregio di Ricky? “Il carattere. Lui non soffriva le critiche, si faceva scivolare tutto addosso e questo per un portiere è fondamentale. Lui diceva che un portiere non si deve mai far divorare dal dubbio di aver sbagliato. Che un portiere non sbaglia mai, che è sempre colpa degli altri. Solo una volta, me lo raccontò proprio lui, chiese il cambio nell’intervallo, perché non ci stava con la testa. Successe a Cagliari, ma fu un caso eccezionale. E poi gli pesò l’errore col Porto in Coppa dei Campioni nel ‘79. Fu un errore talmente evidente che non ci si poteva credere (una punizione dal limite, apparentemente innocua, che scappò di mano ad Albertosi ndr.) Devo dire che, nel caso specifico, fu colpa anche del pallone. Quell’anno il Milan giocava con dei palloni strani, molto leggeri. Noi portieri protestammo, ma non ci fu niente da fare...” Ha più rivisto Albertosi? “Purtroppo no. Dovevamo vederci 10 anni fa per una partita celebrativa dello scudetto della stella. La organizzò Albertino Bigon, ma Ricky si era da poco sentito male e non era presente. Peccato, lo avrei rivisto volentieri, però so che adesso sta bene e questo è l’importante”. Antonio Rigamonti, lo abbiamo detto, 4 anni da “secondo” al Milan, ma la sua carriera aveva vissuto momenti esaltanti nel Como. Anche per un particolare curioso... “Fui tra i primi portieri a tirare un calcio di rigore. Anzi, in serie A ne segnai addirittura tre. Successe quasi per caso: l’ultimo anno di B, nel Como, erano stati sbagliati diversi rigori, ed io durante un allenamento (scherzando) mi proposi. E li tiravo pure bene. Così un giorno a Novara fischiano un rigore a nostro favore e l’allenatore mi dice: vai, tiralo tu. Io non ci potevo credere, però mi feci coraggio e andai. Insomma, feci gol. E da lì...”


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“” Sono stato un grande portiere, questo sì. Il più grande? Mi spiace, non sta A me dirlo

TANTI PREMI

Albertosi ci mostra alcuni dei tanti trofei vinti...

“Potrei dire Italia-Germania 4-3, oppure lo scudetto della stella col Milan nel ‘79. E invece dico lo scudetto col Cagliari nel ‘70. Vincere uno scudetto a Cagliari equivale a vincerne 10-15 con altre squadre. E pensi che non ci volevo andare: ancora una volta mi voleva l’Inter, ma il presidente della Fiorentina Baglini mi volle dare a tutti i costi al Cagliari. Vede, vincere uno scudetto su un’isola è difficile, è la rivincita verso il continente. Dopo quella vittoria la Sardegna ebbe una grande evoluzione. Fino ad allora si parlava di quell’isola solo per i banditi e i rapimenti. La vittoria del campionato mise i sardi sotto una luce diversa. Ed eravamo fieri di aver giocato per loro, noi che non eravamo nati qui, ma sardi ci sentivamo e lo siamo diventati d’adozione”. E poi c’era Gigi Riva... “Gigi era un alfiere, un trascinatore, ti dava la carica. Ma quella squadra non era solo lui, la vera forza era l’unione del gruppo. Uno per tutti, tutti per uno... nessuno mollava mai. Il mio rapporto con i compagni e con l’allenatore? Assolutamente unico. Intanto non andavamo mai in ritiro, quando giocavamo fuori casa ero in camera con Riva e spesso facevamo tardi il sabato a giocare a poker. Succedeva solo a Cagliari...” A questo punto ci deve raccontare quella famosa battuta... “Una sera Scopigno ci beccò in 10 a giocare e fumare, e il giorno dopo c’era la Lazio. Lui non fece una piega, anzi chiese: ‘Posso entrare? Da fastidio se fumo?’ Vincemmo la partita 4-1, questo era il Cagliari di Scopigno”. Capitolo Nazionale. Lei ha fatto quat-

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foto Liverani

IL POTERE DELL’AZZURRO Tantissimi i campioni con cui ha giocato Albertosi in Nazionale

tro mondiali: il primo e l’ultimo come riserva, gli altri due invece... “In Cile nel ‘62 ed in Germania nel ‘74 ero ad inizio e fine carriera. In Inghilterra fui uno di quelli che presero i pomodori in faccia dopo la Corea. Addirittura ricordo che Edmondo Fabbri voleva emigrare in Ghana. Atterrammo a Genova per depistare i tifosi, ma fu tutto inutile. In Messico, invece, perdemmo in finale col Brasile. Era un grandissimo Brasile: Pelè, Tostao, Rivelino, Jair, eppure per un’ora reggemmo alla grande. Poi subimmo il gol del 2-1 di Carlos Alberto sul quale, devo essere sincero, mi buttai in ritardo. Fino al crollo finale ed i sei minuti di Rivera”. La sua parata più bella? “Quella su Seeler nel secondo tempo supplementare di Italia-Germania. Un colpo di testa che rimbalzò per terra, io con un colpo di reni riesco a deviarla sopra la traversa. A quel punto vedo Rivera avvicinarsi al palo... strano, pensai, non fa per lui. Comunque gli urlai di stare attento. Guarda caso, proprio da quel calcio d’angolo venne il famoso gol di Muller”.

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Il più forte di tutti? Senza dubbio Pelè. Ancora oggi non mi spiego il gol nella finale del Mondiale A proposito, cosa disse esattamente a Rivera dopo quel gol? “Lo ammetto: gli dissi che era uno s*****o ed un figlio di p*****a. Che per togliersi dalla mischia era venuto a rompere la palle a me”. E lui? “E lui non aveva scelta. Stette zitto e mi disse che avrebbe rimediato. Qualcuno racconta che ebbe paura, che corse a

centrocampo per sfuggire alla mia rabbia. Può darsi. E infatti, pochi secondi dopo, realizzò il gol del 4-3 che è passato alla storia”. Da Rivera al Milan, al calcio scommesse... il passo è breve “Quando arrivai a Milano nel ‘74, Rivera era già un giocatore-dirigente. Della mia esperienza al Milan ho bei ricordi, mi portò Buticchi che avevo avuto come presidente allo Spezia. Vincemmo uno scudetto, feci da chioccia a futuri campioni come Baresi e Collovati. Poi arrivò il gol di Duda e cominciò il declino”. Si spieghi meglio... “La partita col Porto, a San Siro, nella coppa dei campioni del ‘79. Rivera, che aveva smesso ed era dirigente a tutti gli effetti, aveva fatto un accordo per un pallone diverso dagli altri, di una ditta di Vipiteno. Era leggero, a me non piaceva. Io glielo dissi, ed in campionato tornammo al pallone ufficiale dell’Adidas. Invece, in coppa, senza saperlo mi ritrovai ancora quel pallone brutto e leggero, e sulla punizione del portoghese Duda feci


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PELE’, IL PIU’ FORTE

foto Liverani

Meglio di Buffon ma O Rei era davvero il migliore...

una papera che ci buttò fuori dalla coppa. Successe un casino, fui contestato, e da lì si ruppe qualcosa...” Fino allo scandalo vero e proprio “Guardi, sembrerà strano, ma io feci solo da tramite. Il mio errore fu di non denunciare la cosa, ed invece fui punito come quelli che avevano organizzato tutto. Presi quattro anni, soprattutto passai 10 giorni a Regina Coeli. Fu un’esperienza molto brutta. Ricordo ancora i palleggi con Giordano e Manfredonia nell’ora d’aria...”

Le tre squadre di Albertosi Cagliari scudettato, Milan della “Stella” e l’azzurro della Nazionale…

Quello che invece le faceva più paura “In questo caso rispondo Omar Sivori. E’ l’unico che non mi faceva prendere sonno il sabato sera. Spesso nel letto pensavo... domani questo mi fa gol”. Più forte lei o Zoff? “Io, sicuramente” Più forte lei o Sarti? “Sempre io”

A chi l’accusa di aver fatto la bella vita, cosa risponde? “Rispondo che non mi sono fatto mancare niente, ma che mi sono conquistato tutto da solo. E che ho sempre portato rispetto a tutti. Lo chieda ai miei compagni, nessuno parlerà male di me...”

IL CAGLIARI DELLO SCUDETTO Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Niccolai, Tomasini, Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva. All: Manlio Scopigno

C’è un triangolare tra Fiorentina, Cagliari e Milan. Lei per chi tifa? “Per la Fiorentina. Abito vicino, a Forte dei Marmi, aiuto mio figlio in negozio che è tifoso viola. Quindi...”

IL MILAN DELLA “STELLA” Albertosi, Collovati, Maldera, De Vecchi, Bet, Baresi, Buriani, Bigon, Novellino, Rivera (Antonelli), Chiodi. All: Nils Liedholm

Risposta secca: l’attaccante più forte che ha incontrato “Senza dubbio Pelè. Ancora oggi non mi spiego il gol nella finale Mondiale. Praticamente è salito in cielo, nonostante lo marcasse Burgnich che non era proprio l’ultimo arrivato”.

L’ITALIA DEI “MESSICANI” Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini, Rosato, Cera, Domenghini, Mazzola (Rivera), Boninsegna, De Sisti, Riva. All: Ferruccio Valcareggi.

Più forte lei o Buffon? “Guardi, a me Buffon piaceva tanto, ricordava me da giovane. Ora è un po’ in difficoltà, però... No, a pensarci bene sono stato più forte io”. Insomma, lo possiamo dire: lei è stato il più forte di tutti! “Gliel’ho detto: io sono stato un grande, ma che sono stato il più forte dovete dirlo voi”. Lo hanno detto la signora Betty e Nereo Rocco, a noi basta e avanza.

Intervista di Stefano Borgi

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SPECIALE STORIA COPPA DEI CAMPIONI CHIARUGI NON BASTA Italia poco fortunata nella Coppa Campioni 1969/70

LA MAGIA OLANDESE

Nonostante due italiane al via, la Coppa dalle grandi orecchie finisce nelle mani di un sorprendente Feyenoord di Gabriele PORRI

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l titolo europeo è tornato nuovamente in un paese latino, con la vittoria del Milan sull’Ajax. La Fiorentina ha conquistato il suo secondo scudetto, perciò l’edizione 69-70 vede due squadre italiane al via, il che costringe l’UEFA a organizzare un turno preliminare. I

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Lancieri, invece, hanno ceduto il titolo al Feyenoord, che dopo la vittoria hanno ingaggiato l’austriaco Ernst Happel, ex nazionale austriaco e reduce da sette anni fantastici alla guida dell’ADO Den Haag. Le favorite sono le solite: il Milan e gli altri titolati Real Madrid, Benfica e Celtic, ma fa paura anche il Leeds, che con Ron Greenwood ha vinto la First Division, con il record di 67 punti e il cam-

po imbattuto. Anche stavolta c’è una novità regolamentare: in caso di parità dopo 210’ non c’è più lo spareggio, ma si lancia la monetina per decidere chi andrà avanti; l’esperimento sarà utilizzato in due occasioni, ma avrà vita breve. Il turno preliminare vede i danesi del KB Copenaghen avere la meglio sul TPS Turku. Il primo turno passa alla storia non tanto per le

foto Federico De Luca

foto archivio storico IMAGE SPORT


SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1969-1970

sorprese, quanto per i punteggi roboanti. Sia il Leeds che il Feyenoord segnano 16 gol totali ai malcapitati avversari (rispettivamente Lyn Oslo e KR Reykjavik), il Real ne rifila 14 all’Olympiakos Nicosia, la Stella Rossa 12 al Linfield e il Legia Varsavia 10 ai rumeni dell’Arad. Il 1969/70 è anche l’anno d’esordio nella Coppa di una delle squadre più di successo nel torneo: il Bayern Monaco, che alla fine degli anni ’60 non è ancora una grande d’Europa, anche se nel 1967 ha conquistato la Coppa delle Coppe. L’esordio non è dei più fortunati: opposti al Saint-Étienne, Beckenbauer e compagni subiscono la rimonta, completata da uno dei rari giocatori africani della competizione d’allora, il maliano Selif Keita. Fiorentina e Milan si qualificano entrambe, senza patemi, agli ottavi di finale. Qui i rossoneri trovano il Feyenoord, sei mesi dopo avere surclassato l’Ajax in finale. Non devono però sottovalutare una squadra che si basa su un collettivo che funziona, grazie al gioco di Happel, alla prolificità dello svedese Ove Kindvall e al centrocampo guidato dal giovane Wim van Hanegem. A Milano i rossoneri trovano un gol nei primi minuti, nella nebbia, con Combin, ma si stira Rivera poco dopo la mezzora e il Milan, stanco e inconcludente, porta al ritorno di Rotterdam una dote esigua e deve fare i conti con l’assenza del più talentuoso dei suoi. Gli olandesi passano con un tiro cross che Cudicini valuta fuori e dominano per tutti i novanta minuti, con il portiere Treitel a fare da spettatore. Nonostante ciò, i campioni in carica resistono fino all’81’, quando van Hanegem realizza di testa il gol-qualificazione. A Rotterdam i tifosi, che avevano fatto la coda per i biglietti tutta la notte, festeggiano come se avessero vinto un Mondiale. Va meglio ai campioni d’Italia, che devono vedersela con la fortissima Dinamo Kiev di Victor Maslov, accreditato come inventore del 4-4-2 e del pressing. Davanti a quasi 85.000 spettatori, i viola riescono nell’impresa con le reti di Chiarugi e Maraschi, intervallate da quella di Serebrjanikov. “La Fiorentina in Russia meglio di Napoleone” titola il Corriere dello Sport e in effetti la vittoria in URSS è storica. Nella gara di ritorno, la squadra del “Petisso” Pesaola controlla per tutti i novanta minuti, mandando i suoi uomini d’attacco a dare una mano in di-

fesa e alla fine la tattica paga, visto che la gara termina 0-0. Don Revie fa sul serio e porta i suoi ai quarti con un duplice 3-0 sul Ferencvaros, con due doppiette di Jones. A sorpresa esce di scena il Real Madrid per mano dei belgi dello Standard Liegi, è l’amaro addio di Gento che chiude col record di 6 Coppe conquistate (finora nessuno come lui). Sempre agli ottavi, per ben due volte l’arbitro lancia in aria la temutissima monetina. La prima delle due sfide è quella tra Spartak Trnava e Galatasaray, con il sorteggio che arride ai turchi, la seconda è quella più blasonata tra Celtic e Benfica. Entrambi ex detentori, scozzesi e portoghesi danno vita a un avvincente confronto: a Glasgow, un tiro da fuori di Gemmell dà il vantaggio ai Bhoys e all’intervallo è 2-0 con la rete di Wallace. Nella ripresa arriva il 3-0 di Hood, ma a Lisbona, dopo una traversa e le parate decisive di Fallon, Eusebio porta in vantaggio i suoi al 35’, imitato poco dopo da Graça. La rete che pareggia i conti arriva al 90’ con una punizione di Diamantino. I supplementari non danno altro esito e non resta che vedere come cadrà la monetina. L’arbitro van Ravens lancia, gli scozzesi esultano e passano ai quarti. A dire il vero, vincere così lascia un po’ di amaro in bocca e il Celtic lo fa sapere alla UEFA, chiedendo un metodo alternativo: il sorteggio sarà rimpiazzato dai rigori, a partire dalla stagione successiva. Dunque, le magnifiche otto sono Celtic, Fiorentina, Feyenoord, Vorwärts Berlino, Galatasaray, Legia Varsavia, Standard Liegi e Leeds. Pur con risultati meno roboanti dei turni passati, gli inglesi vincono di misura entrambi gli incontri coi giustizieri del Real. A Liegi risolve Lorimer a 20’ dalla fine e al ritorno il risultato è in bilico fino a quando Concetto Lo Bello concede un rigore ai padroni di casa, trasformato da Giles. Si ripete il Celtic in casa, rifilando un 3-0 alla Fiorentina, che i viola non riescono a ribaltare al ritorno. Nonostante il grande pubblico e un incasso che per la prima volta supera i 100 milioni di lire, la Fiorentina si limita a un gol e un palo di Chiarugi. Vani gli assalti nella ripresa, il Celtic è in semifinale. La terza semifinalista è il Feyenoord, che fatica con il Vorwärts Berlino: 0-1 nella DDR, 2-0 in casa, chiude il quadro il Legia Varsavia, prima squadra polacca a raggiungere il penultimo

atto (la imiterà soltanto il Widzew Lodz nel 1983). Non poteva che esserci una “Battle of Britain” tra Celtic e Leeds, città che distano poco più di 200 miglia tra loro. L’andata a Elland Road vede in gol gli scozzesi dopo soli 45’, con il tiro di Connelly che finisce alle spalle di Sprake dopo una deviazione. Un altro gol di Connelly è annullato a inizio ripresa, ma i biancoverdi possono guardare con fiducia al ritorno. Si gioca a Hampden Park, sugli spalti ci sono più di 135.000 spettatori. Il Celtic parte forte, batte otto corner in sei minuti; nel primo tempo segna uno scozzese, però è del Leeds: Billy Bremner fa partire un missile terra-aria che si infila all’incrocio. Il finale di tempo è tutto del Celtic che, nella ripresa, trova il pari con un colpo di testa di Hughes. Lo stesso Hughes si scontra col portiere Sprake, che lascia il posto a Harvey. Quest’ultimo subisce gol al primo tiro da Murdoch: il Leeds, favorito alla vigilia, esce dalla competizione. In finale, il Celtic trova il Feyenoord che, dopo un pareggio senza reti a Varsavia, regola il Legia al ritorno con un classico 2-0 e vola a San Siro. A Milano si trovano 25.000 scozzesi e altrettanti olandesi. Favorito stavolta è il Celtic, che vincendo raggiungerebbe Benfica, Inter e Milan a quota due vittorie. Jock Stein dice ai suoi di non temere gli avversari e quando Gemmell (autore del primo gol all’Inter nel ’67) porta avanti i suoi su punizione, con l’arbitro Lo Bello che in pratica fa velo, ingannando Pieters-Graafland, sembra avere ragione. Ma siamo solo al 29’, il centrocampo olandese blocca quello scozzese e il pericoloso e velocissimo Johnstone è costantemente raddoppiato sull’ala. Nemmeno due minuti più tardi, su azione di punizione, dopo svariati tocchi di testa, quello di capitan Israel è decisivo per l’1-1. La ripresa è dominata dal Feyenoord, ma le parate di Williams e il palo portano il match ai supplementari. Qui, proprio quando si pensa al replay della finale, arriva il gol decisivo: il difensore McNeil giudica male un pallone, sembra toccarlo con una mano, ma prima che Lo Bello metta mano al fischietto per assegnare il rigore, Kindvall si avventa sulla palla e realizza. La coppa va così al Feyenoord, atteso da oltre 200.000 tifosi festanti ed è l’inizio del dominio olandese, anche se col Feyenoord avrà poco a che fare.

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SEMIFINALE 1

SEMIFINALE 2 LEGIA VARSAVIA-FEYENOORD 0-0

FINALE

Mercoledì 1 aprile 1970, ore 19:45 LEEDS (Stadio “Elland Road”) Arbitro: Michel KITABDJIAN (FRA) Spettatori: 45.505

Mercoledì 1 aprile 1970, ore 18 VARSAVIA (Stadio “Wojska Polskiego”) Arbitro: Francesco FRANCESCON (ITA) Spettatori: 28.021

FEYENOORD-CELTIC GLASGOW 2-1 d.t.s. (1-1, 0-0; 0-0, 1-0) Mercoledì 6 maggio 1970, ore 21 MILANO (Stadio “San Siro”) Arbitro: Concetto LO BELLO (ITA) Spettatori: 53.187

LEEDS UNITED: Gareth SPRAKE, Paul REANEY, Terence COOPER, William BREMNER (cap.) [69’ Michael BATES], John Jack CHARLTON (cap.), Paul MADELEY, Peter LORIMER, Allan CLARKE, Michael JONES, John GILES, Edwin GRAY Commissario tecnico: Donald REVIE.

LEGIA VARSAVIA: Wladyslaw GROTYNSKI, Wladyslaw STACHURSKI, Zygfryd BLAUT, Andrzej ZYGMUNT, Antoni TRZASKOWSKI, Bernard BLAUT, Janusz ZMIJEWSKI, Kazimierz DEYNA, Lucjan BRYCHCZY (cap.), Jan PIESZKO [46’ Jan MALKIEWICZ], Robert GADOCHA Commissario tecnico: Edmund ZIENTARA.

FEYENOORD: Eduard PIETERS GRAAFLAND, Pieter ROMEIJN [106’ Augustinus HAAK], Marinus ISRAEL (cap.), Matheus LASEROMS, Theo VAN DUIVENBODE, Franz HASIL, Willhelmus JANSEN, Hendrik WERY, Ove KINDVALL, Wilhelmus VAN HANEGEM, Coenraad MOULIJN Commissario tecnico: Ernst HAPPEL.

CELTIC GLASGOW: Evan WILLIAMS, David HAY, Thomas GEMMELL, Robert MURDOCH, William MC NEILL (cap.), James BROGAN, James JOHNSTONE, George CONNELLY [78’ John HUGHES], William WALLACE, Robert LENNOX, Robert AULD Commissario tecnico: John STEIN.

FEYENOORD: Eddy TREYTEL, Augustinus HAAK, Marinus ISRAEL (cap.), Matheus LASEROMS, Theo VAN DUIVENBODE, Franz HASIL [46’ Rudy GEELS], Willhelmus JANSEN, Hendrik WERY, Ove KINDVALL, Wilhelmus VAN HANEGEM, Coenraad MOULIJN Commissario tecnico: Ernst HAPPEL.

CELTIC GLASGOW: Evan WILLIAMS, David HAY, Thomas GEMMELL, Robert MURDOCH, William MC NEILL (cap.), James BROGAN, James JOHNSTONE, William WALLACE, John HUGHES, Robert AULD [77’ George CONNELLY], Robert LENNOX Commissario tecnico: John STEIN.

Rete: 1’ George CONNELLY.

Ammoniti: 15’ Ove KINDVALL, 60’ Wladyslaw GROTYNSKI.

FEYENOORD-LEGIA VARSAVIA 2-0 (2-0) Mercoledì 15 aprile 1970, ore 20:30 ROTTERDAM (Stadio “Feyenoord”) Arbitro: Kevin HOWLEY (ENG) Spettatori: 62.995

CELTIC GLASGOW: Evan WILLIAMS, David HAY, Thomas GEMMELL, Robert MURDOCH, William MC NEILL (cap.), James BROGAN, James JOHNSTONE, George CONNELLY, John HUGHES, Robert AULD, Robert LENNOX Commissario tecnico: John STEIN.

FEYENOORD: Eddy TREYTEL, Augustinus HAAK, Marinus ISRAEL (cap.), Matheus LASEROMS, Theo VAN DUIVENBODE, Franz HASIL, Willhelmus JANSEN, Hendrik WERY, Ove KINDVALL, Wilhelmus VAN HANEGEM, Coenraad MOULIJN Commissario tecnico: Ernst HAPPEL.

Reti: 14’ William BREMNER, 47’ John HUGHES, 53’ Robert MURDOCH. Ammonito: Allan CLARKE.

RITORNO

Mercoledì 15 aprile 1970, ore 20 GLASGOW (Stadio “Hampden Park”) Arbitro: Gerhard SCHULENBURG (GER) Spettatori: 135.805

LEEDS UNITED: Gareth SPRAKE [52’ David HARVEY], Paul MADELEY, Terence COOPER, William BREMNER (cap.), John Jack CHARLTON, Norman HUNTER, Peter LORIMER [82’ Michael BATES], Allan CLARKE, Michael JONES, John GILES, Edwin GRAY Commissario tecnico: Donald REVIE.

foto Federico De Luca

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Calcio 2OOO

IL COLPO DI HAPPEL Feyenoord campione, apoteosi del calcio olandese

LEGIA VARSAVIA: Wladyslaw GROTYNSKI, Wladyslaw STACHURSKI, Antoni TRZASKOWSKI, Zygfryd BLAUT, Andrzej ZYGMUNT, Bernard BLAUT, Janusz ZMIJEWSKI, Kazimierz DEYNA, Lucjan BRYCHCZY (cap.), Jan PIESZKO, Robert GADOCHA Commissario tecnico: Edmund ZIENTARA. Reti: 4’ Wilhelmus VAN HANEGEM, 30’ Franz HASIL. Ammonito: 62’ Wilhelmus VAN HANEGEM.

Ernst HAPPEL CLASSIFICA MARCATORI

ANCHE MARASCHI Nella Fiorentina del 1969/70 c’era anche il buon Maraschi

Reti: 29’ Thomas GEMMELL, 31’ Marinus ISRAEL, 117’ Ove KINDVALL.

foto Agenzia Liverani

CELTIC GLASGOW-LEEDS UNITED 2-1 (0-1)

RITORNO

STATISTICHE

LEEDS UNITED-CELTIC GLASGOW 0-1 (0-1)

ANDATA

ANDATA

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1969-1970

Giocatore

Reti Ogni

Rig. Falliti Rig. N° %

Max Reti

Partite Giocate N° Minuti Titol.

Michael JONES (Leeds United)

8

90'

0

0

0,0

3

8

720

8

Ove KINDVALL (Feyenoord)

7

120'

0

1

100,0

3

9

840

9

Rudy GEELS (Feyenoord)

6

48'

0

0

0,0

4

4

288

2

Zoran ANTONIJEVIC (Stella Rossa)

5

72'

0

0

0,0

4

4

360

4

Stanislav KARASI (Stella Rossa)

5

57'

1

0

0,0

3

4

285

2

Karl Aage SKOUBORG (KB Copenaghen)

5

72'

1

0

0,0

2

4

360

4

Jozef ADAMEC (Spartak Trnava)

4

94'

0

0

0,0

3

4

377

4

Lucjan BRYCHCZY (Legia Varsavia)

4

180'

0

0

0,0

2

8

720

8

EUSEBIO (Benfica)

4

68'

0

0

0,0

2

4

270

4

John GILES (Leeds United)

4

150'

1

0

0,0

2

7

599

7

Wilhelmus VAN HANEGEM (Feyenoord)

4

188'

0

0

0,0

2

8

750

8

Horst BEGERAD (Vorwärts Berlino)

3

167'

0

0

0,0

2

6

501

6

William BREMNER (Leeds United)

3

233'

0

0

0,0

2

8

698

8

Nestor COMBIN (Milan)

3

105'

0

0

0,0

1

4

316

4

Henri DEPIREUX (Standard)

3

180'

0

0

0,0

2

6

540

6

Kazimierz DEYNA (Legia Varsavia)

3

240'

0

0

0,0

1

8

720

8

DIAMANTINO (Benfica)

3

95'

0

0

0,0

2

4

284

3

Sebastian FLEITAS (Real Madrid)

3

90'

0

0

0,0

2

3

270

3

Robert GADOCHA (Legia Varsavia)

3

240'

0

0

0,0

2

8

720

8

Thomas GEMMELL (Celtic Glasgow)

3

290'

0

0

0,0

1

9

870

9

Francisco GENTO (Real Madrid)

3

66'

1

0

0,0

2

3

197

3

Peter LORIMER (Leeds United)

3

207'

0

0

0,0

1

7

621

7

Jürgen PIEPENBURG (Vorwärts Berlino)

3

145'

0

0

0,0

2

5

435

5

Hervé REVELLI (Saint Etienne)

3

120'

0

0

0,0

2

4

360

4

Gökmen ÖZDENAK (Galatasaray)

3

130'

0

0

0,0

2

4

390

4


cALCIO in ROSA CATERINA CASTIGLIONI

di Barbara CARERE

A CASA PAROLO Intervista a Caterina, la compagna del centrocampista in forza alla Lazio…

S

i sono conosciuti sette anni fa nella loro città, Varese, durante un allegro pomeriggio al palaghiaccio con una coppia di amici. Galeotto fu un burro di cacao per il centrocampista della Lazio Marco Parolo e la sua bellissima moglie Caterina Castiglioni: “Marco mi chiese in prestito il mio burro di cacao per attirare la mia attenzione confida Lady Parolo - e dà lì iniziò tutto, mi prendeva in giro perché il burro di cacao era di colore verde”. È stato per entrambi un colpo di fulmine? “È stato un colpo di fulmine per te Marco? Mi dice di sì anche se fa il prezioso (ride, ndr), a parte gli scherzi ricordo che quando tornai dal palaghiaccio dissi a mia madre che avevo conosciuto l’uomo della mia vita”. Cosa ti ha fatto innamorare di lui? “Al nostro primo appuntamento, in un pub, sapendo della mia passione per l’arte, ha sfoderato le sue uniche conoscenze perché aveva da poco letto, il libro del Codice da Vinci e così mi ha conquistato!”. C’è un suo difetto che non sopporti? “Uno che mi viene in mente subito è impaziente! E bisogna fare le cose sempre come vuole lui”.

CATERINa insieme a MARCO

“Affettuoso, dolce e quando ho bisogno di lui, c’è sempre e questo credo che sia la dimostrazione d’amore più grande”. È una persona scaramantica? “Moltissimo, l’anno scorso gli ho regalato un paio di slip e in ritiro metteva sempre quelli”. Ascolta della musica prima di una partita? “Sì ed anche in questo caso è scaramantico, infatti, ascolta sempre la stessa canzone e ogni anno la cambia. In anteprima ti dico che la prossima sarà “Play the life” di Saffri duo”. Come trascorrete il tempo libero? “Quando Marco ha voglia di uscire andiamo a fare shopping o al cinema. Amiamo fare anche delle passeggiate con il mio cane Chia. Non siamo molto mondani amiamo fare cose semplici”. Chi cucina in casa? “Direi io, anche se lui quando s’impegna è molto bravo a preparare le tagliatelle con pomodorini e salsicce”.

“Certo ma da parte mia (ride, ndr), dovevo partire per un’esperienza all’estero e così lui era molto preoccupato di questa lontananza. Fu allora che decisi di regalargli l’orologio, un Rolex che desiderava da tempo (ho speso tutti i risparmi, ndr) e in ginocchio gli ho chiesto di sposarmi. Lui è rimasto molto sorpreso, però dopo un momento di meraviglia mi ha risposto di sì”. Per terminare proviamo a dare dei voti al tuo Marco no come giocatore ma nella vita privata? “Assolutamente si mi piace molto questa cosa!”. Un voto come compagno? “Dieci”. Come amante? “Assolutamente dieci”. E come casalingo? “Sette, senza esagerare”. Un voto per il suo carattere? “Nove pieno”.

Come è Marco Parolo come compagno? Qual è il piatto preferito di Marco? “Difficile a dirlo poiché mangia tutto e di tutto”. Quando vuoi prenderlo per la gola cosa gli prepari? “Dei dolci al caffè però adesso mi dice che adora lo strudel alla mela perché siamo in compagnia e il nostro amico lo sta preparando (ride, ndr)”. Ricordi la promessa matrimonio?

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ACCADDE A NOVEMBRE

di Stefano BORGI

CUORE DI LEONE A Roma, Batigol ha vinto l’agognato scudetto

LACRIME DI... “RE LEONE” foto FDL

Un destro da fuori area stende la “sua” Fiorentina. E Batistuta piange...

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foto Federico De Luca

ACCADDE A/ NOVEMBRE

UN GOL PESANTE

foto FDL

La rete che condanna la sua amata Viola

P

“”

er piangere, pianse... Ecstrapagato) proprio per vincere lo scudetcome. Un pianto discreto, to? Insomma, la domanda sorse spontanea: progressivo, lento ma co70 miliardi di quelle di Batistuta furono vere lacrime opstante, nascosto dall’abpure lacrime di coccodrillo? Noi preferiamo braccio dei compagni lire per vincere chiamarle: “Lacrime di Re Leone”, lo sfogo di in maglia giallorossa: il campionato, e un ragazzo che, in un colpo solo, cancellava Zago, Cafù, Guigou, Zeil passato e gioiva per il proprio futuro. Fu magari salvare lo stesso Bati, nel dopo-partita, a mettere bina, fino al capitano Francesco Totti. Tutti addosso a Gabriel Batistuta per una prod’accordo tutti: “Ho fatto il mio dovere la Fiorentina dezza che valeva tre punti ed il 1° posto ebbe a dire - la vittoria era troppo impordel suo amico in classifica... a più sei sulla Juventus. Sullo tante. Certo, preferivo vincere senza segnare sfondo Francesco Toldo, portiere viola amima... come si fa?” Questo il teorema di GaCecchi Gori co di tante battaglie, chino a raccogliere briel: nove anni (in viola) da tenero amante, il pallone in fondo al sacco. Insomma ne ma in campo (con la Roma) nessuna pietà. valeva la pena piangere per un gol. Piangere per “quel” gol. E poco importa se, subito dopo, si scatenarono le ipotesi 7 GIORNI DI FUOCO - La settimana che portava alla Fiorenpiù disparate: “Batistuta piange perché ha segnato alla sua tina era cominciata come meglio non poteva: 19 novembre Fiorentina”. Fu la prima impressione, quella dei buoni senti2000, la Roma di scena al Bentegodi schianta il Verona per menti. La replica non si fece attendere, specialmente dalle 4-1. Reti di Candela, Totti, e doppietta di Batistuta. Quattro parti di Firenze: “A che serve piangere? Ci poteva pensare giorni dopo c’è l’Amburgo, per i sedicesimi di Coppa Uefa. prima”. Andiamo avanti. “Batistuta segna e scoppia in un Capello lascia a casa il Re leone, e qualcuno ci vede una pianto liberatorio”, altro titolo altra corsa. Ma... liberato da mossa tattica: “Lo risparmia per domenica”, diranno. Intanto cosa? Dai rimorsi di aver lasciato Firenze? Dal dubbio di non a Firenze si parla solo di quello, della prima volta di Batiessere all’altezza, dopo che Sensi lo aveva pagato (anzi, stuta contro la Fiorentina. Addirittura qualcuno paventa che

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ACCADDE A/ NOVEMBRE

A ROMA PER VINCERE Dopo l’esperienza gigliata, l’argentino aveva voglia di vincere

TUTTE LE RETI DI BATISTUTA NELL’ANNO DELLO SCUDETTO

TABELLINO DELLA PARTITA Stadio “Olimpico” di Roma, 26-11-2000, 8° Serie A

2° giornata, 15-10-2000, Lecce-Roma 0-4: 41’, 80’ 3° giornata, 22-10-2000, Roma-Vicenza 3-1: 86’ 5° giornata, 5-11-2000, Brescia-Roma 2-4: 60’, 78’, 91’ 7° giornata, 19-11-2000, Verona-Roma 1-4: 58’, 90’ 8° giornata, 26-11-2000, Roma-Fiorentina 1-0: 83’ 10° giornata, 10-12-2000, Roma-Udinese 2-1: 20’ 16° giornata, 28-01-2001, Roma-Napoli 3-0: 84’ 17° giornata, 4-02-2001, Parma-Roma 1-2: 74’, 83’ 18° giornata, 11-02-2001, Bologna-Roma 1-2: (rig.)11’ 24° giornata, 1-04-2001, Roma-Verona 3-1: 60’ 28° giornata, 29-04-2001, Roma-Lazio 2-2: 48’ 31° giornata, 20-05-2001, Bari-Roma 1-4: 43’, 88’ 33° giornata, 10-06-2001, Napoli-Roma 2-2: 42’ 34° giornata, 17-06-2001, Roma-Parma 3-1: 78’

ROMA (3-4-1-2): Lupatelli, Zebina, Aldair, Zago, Cafu, Tommasi, Zanetti (29’ st Guigou), Candela, Totti (42’ st Assuncao), Batistuta, Del Vecchio (22’ st Montella). In panchina: Amelia, Rinaldi, Mangone, Nakata. Allenatore: Fabio Capello. FIORENTINA (4-4-1-1): Toldo, Torricelli (39’ st Chiesa), Repka, Pierini, Vanoli, Di Livio, Cois, Amoroso (9’ st Bressan), Rossi (35’ st Rossitto), Rui Costa, Nuno Gomes. In panchina: Tagliatela, Adani, Lassissi, Leandro. Allenatore: Fatih Terim. Arbitro: Cesari di Genova. RETE: 83’ Batistuta. NOTE: Angoli: 5 a 4 per la Roma, Recupero: 1’ E 3’, Ammoniti: Zanetti, Assuncao, Torricelli, Vanoli, Pierini e Nuno Gomes per gioco falloso, Zebina per proteste; spettatori: 65.000 circa. foto FDL

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anche il risultato finale. A quel punto, tutte Gabriel farà di tutto per non giocare, che le telecamere dell’Olimpico stringono susarà Montella a reggere l’attacco gialgli occhi del Re Leone che... piange. Non lorosso. Questo qualcuno, evidentemente, Tommasi: Bati c’è dubbio, piange. Lo abbiamo detto, chi non conosce Batistuta: lo abbiamo detto, dopo nove anni siamo noi per giudicare? A noi interessa il teorema ha le sue regole. La Fiorentina, dopo un avvio di campionato difficoltoso di Fiorentina, l’uomo che esterna le sue sensazioni, il professionista che compie il proprio dovere, (l’addio dell’argentino, l’avvento di Tevoleva vincere alla larga da coloro che cambiano conrim...) sembra riprendersi, ma l’imperatore fa un’eccezione per la Roma di Capello: lo scudetto ed tinuamente maglia. E si battono il petto... casualmente dalla parte sinistra. Firenze tiene fuori Chiesa, schiera un centrocampo a Roma trovò un accusò il colpo, ci mise un po’ a capire. Poi folto con Rui Costa in appoggio a Nuno Gomes unica punta. E infatti la Fiorentina ambiente ideale’ si sa, il tempo cancella tutto ed oggi Batistuta può camminare a testa alta. regge. Subisce, ma regge. Batistuta, giocoforza contratto, viene chiuso a turno da TUTTE LE STRADE PORTANO ALLO SCUDETTO - 70 miPierini e Torricelli... e siamo già all’83’. L’azione si svolge liardi di lire per vincere il campionato, e magari salvare la sotto la Sud, Guigou dentro per Zago che restituisce, ancora Fiorentina del suo amico Cecchi Gori. Questo il progetto del Guigou tocca fuori area per Gabriel che arma il destro... presidente Sensi. Che dire? Buona la prima, peccato per la Toldo, leggermente fuori dei pali non ci arriva, ed il regista seconda. Ma Gabriel Batistuta fu solo la punta di un sonocculto chiude la scena madre. Roma-Fiorentina 1-0, sarà

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ACCADDE A/ NOVEMBRE

Cuore viola, vittoria giallorossa

GRANDE ACCOGLIENZA

A Roma tutti pazzi per Batigol

Batistuta, nove anni grandiosi alla Fiorentina, eppure per vincere andò a Roma...

foto FDL

Nove anni alla Fiorentina, tre alla Roma, sei mesi all’Inter prima di chiudere negli Emirati Arabi. In precedenza tanta gavetta nella natia Argentina, equamente divisa tra Newell’s Old Boys, River Plate e Boca Juniors. Poi, una sera di luglio del 1991, il colpo di fulmine: protagonista Vittorio Cecchi Gori, che si innamora di un ragazzone biondo (in verità un po’ grezzo, ma dalla grande forza fisica) di nome Gabriel Omar Batistuta. Gabriel arriva a Firenze per 12 miliardi di lire, qualche difficoltà all’inizio, poi l’esplosione improvvisa: 13 reti il primo anno, 16 il secondo ed il terzo, addirittura 26 il quarto, che gli valgono il titolo di capocannoniere. Alla fine saranno 151 i gol in campionato con la maglia della Fiorentina, record assoluto che stacca di una lunghezza il precedente di Kurt Hamrin. Coppe e scudetti? Ahi, il piatto piange: una Coppa Italia, una supercoppa italiana... nient’altro. Poco, pochissimo per uno come lui. Quasi nulla per un bomber di livello mondiale, per l’uomo che detiene il record delle reti con la maglia dell’Argentina (addirittura più di Maradona, 56 contro 34). Gabriel da anni medita l’addio, vuole vincere uno scudetto e Firenze comincia a stargli stretta. Nell’estate 2000 Franco Sensi, presidente della Roma, sferra l’attacco decisivo: l’offerta è di 70 miliardi, manna dal cielo per le casse asfittiche della Fiorentina. Roma impazzisce, il “Re Leone” che fa il suo ingresso nel Colosseo, sembra un film col finale già scritto. E Batistuta non tradisce. La squadra di Capello sembra respirare il carattere, la personalità dell’argentino, vince il titolo da dominatrice dopo aver condotto in testa gran parte del campionato. Bati segna 20 gol (4 doppiette ed una tripletta al Brescia) ma soprattutto trascina i compagni da vero leader. Ben presto, ahimè, cominciano i primi guai fisici, le caviglie di Gabriel pagano le tante battaglie, i tanti calci presi, le tantissime infiltrazioni. I 18 mesi seguenti in maglia giallorossa saranno un lento declino, lo score finale alla Roma recita 33 gol in 86 partite. Non va meglio nei sei mesi all’Inter nei quali realizza due sole reti. Nel 2003 passa all’Al-Arabi per una sorta di pensione dorata. Oggi Gabriel Batistuta è tornato in Argentina, segue la sua fattoria, le sue mucche, gioca ogni sabato a calcetto con gli amici. E intanto sogna di poter lavorare per una società italiana, magari come osservatore per il Sud America. Di lui ci resterà la grande forza di volontà, il calcio devastante, la chioma al vento, lo stacco imperioso di testa. E soprattutto i suoi magnifici gol.

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ACCADDE A/ NOVEMBRE

BATIGOL DECISIVO

foto FDL

20 gol in campionato nella sua prima, magica stagione romana

TIFOSERIA CALDA

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foto FDL

A Roma entusiasmo alle stelle per lo scudetto

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ACCADDE A/ NOVEMBRE

tuoso iceberg: nell’estate 2000 arrivarono anche Samuel dal Boca Juniors, Zebina dal Cagliari, Emerson dal Bayern Leverkusen. Il tutto poggiato su un telaio composto dal portiere Antonioli (forse l’unica nota incerta dell’annata), dai brasiliani Aldair, Zago e Cafu in difesa, Zanetti, Tommasi e Candela a centrocampo, Del Vecchio e Montella in attacco. Più Francesco Totti, il capitano dei capitani. Non male davvero. E del resto c’era da pareggiare il tricolore laziale di un anno prima, celebrare l’anno del Giubileo, ritornare sul tetto d’Italia dopo 18 anni dall’ultimo scudetto griffato Falcao. E a proposito di numero 18: finì sulle spalle proprio di Batistuta, come somma algebrica del mitico numero 9... di proprietà dell’aeroplanino Vincenzo Montella. I due si sono ritrovati quest’anno a Firenze per la “Partita del cuore”, hanno minimizzato, hanno “abbozzato” senza affrontare l’argomento. Lo abbiamo detto, il tempo cancella tutto. Alla fine Gabriel Batistuta fece in pieno il proprio dovere, risul-

I segreti dello scudetto Tommasi, protagonista della trionfale cavalcata giallorossa, non ha dubbi: “Batistuta valore aggiunto, Del Vecchio insostituibile”

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amiano Tommasi, oggi stimato presidente dell’AIC (Associazione Italiana Calciatori), un tempo faceva il mediano nella Roma di Capello. I tifosi giallorossi lo avevano ribattezzato “anima candida”, un po’ per la sua religiosità, un po’ per la sua correttezza in campo. E poi quell’aria da bravo ragazzo che non guasta mai. Eppure sulle spalle portava il numero 17 (a proposito: Tommasi nasce il 17 maggio 1943, alla faccia della scaramanzia...) e l’anno dello scudetto giocò 34 partite su 34. Il 26 novembre 2000, data di quel famoso Roma-Fiorentina, Damiano disputò tutti i 90 minuti. “Fu una partita molto difficile, sbloccata solo a pochi minuti dalla fine - racconta. Se fu una partita particolare? Era molto sentita, da tutti noi, ma soprattutto da Batistuta. Capirà, dopo

tando determinante per la conquista del terzo scudetto della storia capitolina: 28 presenze e 20 gol, alcuni bellissimi. Dalla prima incornata a Lecce (2° giornata), alla doppietta in fotocopia contro il Parma (due destri al volo, entrambi in spaccata). Dalla zampata nel derby, all’ultima perla di sinistro (ancora contro il Parma) che sancì l’apoteosi dell’Olimpico. Unico neo, la scarsa partecipazione di Batistuta al delirio giallorosso. Gabriel non è mai stato un allegrone, a dispetto delle origini sudamericane, Gabriel non è mai stato un “caciarone”. Bati era uno campo, casa e (chissà...) chiesa. Insomma, non partecipava alle feste, si concedeva poco ai tifosi. Faceva così anche a Firenze, estese il concetto in quel di Roma. Non fece eccezione la sera del 24 giugno, quella del Circo Massimo, nonostante un milione di tifosi, nonostante la Ferilli che si spoglia, nonostante si festeggiasse il “Giubileo giallorosso”. Gabriel Batistuta era campione d’Italia, e questo (per lui) era già abbastanza.

nove anni passati a Firenze si trovava a giocare contro la “sua” Fiorentina. Però devo dire che Gabriel nascondeva bene le proprie emozioni, furono più i media che pomparono l’evento”. A distanza di 14 anni ce lo può dire: quelle dell’argentino furono vere lacrime? “Chi può dirlo? Non posso sapere cosa pensasse in quel momento. Noi corremmo tutti quanti ad abbracciarlo perché ci risolse un match molto equilibrato. Di certo non esultò come sempre, correndo e muovendosi per il campo. Del resto il suo legame con Firenze si conosce, non possiamo certo criticarlo”. E con Roma invece? “Il rapporto con la Capitale fu buonissimo fin da subito. Dopo nove anni di Fiorentina voleva vincere lo scudetto ed a Roma trovò un ambiente ideale. Tutti noi eravamo determinati a raggiungere quel risultato, e Bati fu la ciliegina sulla torta realizzando 20 gol. All’interno dello spogliatoio, poi, andava d’accordo con tutti”. Anche con Montella? “Va beh, la storia del numero nove. Ok, Batistuta voleva quel numero e Vincenzo non glielo lasciò. Che problema c’era? Entrambi alla fine risultarono determinanti. Montella spesso entrava a partita in corso e decideva le partite. Devo dire che fu bravo Capello a metterli in competizione, anche perché Del Vecchio doveva giocare sempre...” Prego?

“Marco Del Vecchio era tatticamente indispensabile. Era attaccante e centrocampista allo stesso tempo, un giocatore unico. Mi fa piacere ricordarlo, perché Marco era il mio compagno di camera ed era anche grande amico di Gabriel”. Ed i suoi rapporti con Batistuta? Si racconta che l’argentino fosse un po’ introverso... “Tra di noi i rapporti erano ottimi, ci sentiamo tutt’ora. L’ultima volta l’ho incontrato a Firenze per la terza edizione della “Hall of Fame” del calcio italiano (dicembre 2013, e fu proprio Tommasi a premiare Batistuta ndr.) Poi le vittorie rafforzano i rapporti tra le persone, e con Gabriel in poco più di due anni abbiamo vinto uno scudetto ed una supercoppa italiana. Non male...” Torniamo all’anno dello scudetto: quale fu il momento decisivo? “Certamente il pareggio in extremis contro la Juventus a Torino. Anche perché venivamo dal 2-2 nel derby, col gol di Castroman al 95’. E poi non dimenticherei l’1-1 casalingo col Milan alla terzultima, con la Juve che stava rimontando. Montella in quell’occasione si inventò un pallonetto incredibile... Comunque fu uno scudetto strameritato, in un campionato condotto in testa dall’inizio alla fine, certamente il ricordo più bello della mia carriera. Fu una gioia incredibile anche per Franco Sensi. Il presidente ci credette più di tutti, in un periodo di politica sportiva assai delicato. Per lui fu una grande rivincita”.

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DOVE SONO FINITI VINICIO VERZA

di Gabriele CANTELLA

TRIONFI IN BIANCONERO

Verza ha vinto, con la Juve, due scudetti e una Coppa Italia

IL BRASILIANO DI BORA PISANI

I

l numero 7 riceve palla sulla destra, ma è subito braccato. Con una finta si libera del suo diretto marcatore e si lancia a gran velocità verso la porta avversaria. Come Hermes, il messaggero degli dei greci, lui, messaggero del dio del calcio, sembra avere le ali ai piedi. La sua corsa è inarrestabi-

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le, i suoi dribbling ubriacanti. I difensori saltati come birilli, il pubblico sugli spalti si stropiccia gli occhi di fronte a tanta meraviglia. Poesia in movimento, il pallone diventa arte. L’arte dei numeri 7, dei Best, dei Meroni, dei Causio. E di Vinicio Verza, un brasiliano nato per caso a Bora Pisani.

Vinicio Verza su ‘Hurrà’ nel novembre 1987... Ma Vinicio Verza come definirebbe se stesso? “Un calciatore atipico, dotato di grandi qualità tecniche, funambolico, ma discontinuo. ‘Il Milan ha il suo brasiliano’, così mi definirono sulla copertina di ‘Forza Milan’ e trovo che sia una definizione azzeccata”.

“Piede magico, tiro bruciante, invenzioni a gogò”, così Massimo Burzio definisce

Non solo estro Vinicio Verza, ma anche duttilità e sostanza se è vero che

foto Agenzia Liverani

Piedi e fantasia da sudamericano per Verza, un 7 di quelli che, un tempo, dominavano la fascia…


DOVE SONO FINITI/ VINICIO VERZA

Gibì Fabbri a Cesena la schierò addirittura nel ruolo di mediano. “Io lasciai la Juventus perché non volevo diventare il nuovo Furino, ritenendomi non adatto a inter-pretare quel tipo di ruolo, ma poi a Cesena Gibì cominciò a schierarmi davanti alla difesa e in quella posizione giocai anche nel Milan”. I suoi primi calci ad un pallone li tira nel San Carlo, in quel di Casale Monferrato ed è lì che gli osservatori della Juve rimangono intrigati dal suo talento... Per un ragazzino vivace e movimentato come il Verza dell’epoca non dev’essere stato semplice l’impatto con lo “Stile Juventus”. “Ho rimpianto i tempi del San Carlo, quando, da ragazzino, ero libero di giocare seguendo il mio istinto e assecondando il mio estro, cosa che alla Juventus non potei più fare. L’impatto col mondo bianconero non fu dei più semplici, ma grazie al mio carattere esuberante riuscii comunque a su-perare le difficoltà iniziali”. Dalla Juventus al Vicenza per farsi le ossa… “Direi che fu determinante e oggi, con il senno di poi, aggiungo che sarebbe forse stato meglio per me rimanere a Vicenza perché lì avrei giocato da titolare in Serie A e sarei stato protagonista, mentre alla Juventus fui relegato in panchina per quattro anni, chiuso da giocatori straordinari del calibro di Causio, per citarne uno”. A Vicenza ci arriva insieme a Paolo Rossi, anche lui di proprietà della Juve... Mi viene in mente una scena: assist di Verza, gol di Rossi. Era una scena ricorrente? “Direi di sì, il binomio Verza-Rossi fu senza dubbio vincente in quella stagione a Vicenza, anche perché tra noi c’era una grande intesa, avendo percorso insieme tutta la trafila delle giovanili bian-conere”. Poi si torna alla Juventus: 26 febbraio 1978, cosa ricorda di quel giorno, quello del suo e-sordio in maglia bianconera? “Fu una giornata particolare, perché inizialmente non ero stato nemmeno convocato per quella partita. Infatti ero rimasto a Torino in quanto reduce da una distorsione alla caviglia, ma fui chiama-to in extremis e così, nonostante l’infortunio, feci il mio esordio in Serie A, a soli 19 anni. Per un ragazzo di quell’età,

all’epoca, debuttare nel massimo campionato era un traguardo eccezionale”. In quella Juventus c’è un certo Causio, il Barone, che gioca con il numero 7 sulle spalle e per lei non è semplice trovare spazio, ma ciò non le impedisce di contribuire alla conquista dello scudetto 1978… “Per un ragazzino com’ero io allora conquistare uno scudetto al fianco di Scirea, Causio, Bettega, riuscendo anche a contribuire in prima persona con un gol a Bergamo, rappresentò qualcosa di straordinario”.

“”

Nel Verza calciatore avrei voluto trasfonderE l’esperienza dell’uomo che sono oggi, mentre nel Verza commerciante è rimasto qualcosa del calciatore di trent’anni fa Nella stagione successiva, Verza mette a segno il gol più bello della Serie A 1978/79 al Comunale contro la Fiorentina... “Lancio di Causio dalla destra, stoppai il pallone di petto, saltai Galbiati con un sombrero e senza che la palla toccasse terra, la calciai al volo all’incrocio dei pali. Fu una prodezza straordinaria, premiata alla ‘Domenica Sportiva’ come miglior gol di quella stagione”. Poi lo scudetto 1980/81, con la magia contro il Napoli... Il più importante di sempre? “Direi che quel gol fu piuttosto il mio regalo d’addio alla Juventus. Regalo che la Juventus ricambiò cedendomi al Cesena. Quella rete valse lo scudetto e segnò al tempo stesso la fine della mia avventura in bianconero”. Nell’estate dell’81 passa al Cesena…

Salvezza e Milan in B… Poi proprio al Diavolo in Paradiso dopo averlo mandato all’Inferno? “Fu un’emozione indescrivibile, anche perché esser stato richiamato da Farina per me significò tanto, fu un’enorme gratificazione la sua stima nei miei confronti. Stima che poi, però, venne meno al termine della mia ultima stagione in rossonero. Quella di trasferirmi al Milan fu una scelta soffer-ta, perché avrei potuto continuare a giocare in Serie A con il Cesena, ma non mi sono mai pentito, poiché fu una soddisfazione essere tra i principali artefici della risalita del Diavolo”. Ha lasciato a soli 30 anni, perchè? Stanco del calcio… “A trent’anni per il calcio dell’epoca ero ritenuto vecchio, mentre oggi si gioca fino a quarant’anni. Quando arrivai a Como, mi scontrai con l’amara realtà di una società che mi mise da parte per da-re spazio ai giovani che dovevano essere valorizzati per poi essere venduti bene. La delusione fu talmente grande che mi portò alla decisione di smettere di giocare. Non rimpiango nulla, anzi, ag-giungo che sono felicissimo della scelta che ho fatto, anche perché ho avuto la possibilità di stare più vicino alla mia famiglia, che, per forza di cose, durante la mia carriera da calciatore avevo un po’ trascurato. Quella di dedicarmi al commercio è stata una decisione dettata dalla mia voglia di mettermi ancora una volta in gioco e devo ammettere che si è rivelata una decisione giusta, non tanto dal punto di vista economico, quanto da quello personale. Oggi al pallone non penso più, guardo il calcio in TV quando capita, ma per me non rappresenta un’ossessione. Da quando ho appeso le scarpette al chiodo comunque non sono più entrato in uno stadio, nemmeno a San Siro”. Cosa del Verza calciatore c’è oggi nel Verza commerciante e cosa di questo Verza avrebbe voluto trasfondere in quello di trent’anni fa? “Nel Verza calciatore avrei voluto trasfondere l’esperienza dell’uomo che sono oggi, mentre nel Verza commerciante è rimasto qualcosa del calciatore di trent’anni fa, perché anche nella vita di tutti i giorni non accetto compromessi e poi perché nel mio lavoro attuale cerco di mettere un po’ dell’estro che mi contraddistingueva sul campo, quella fantasia che caratterizzava le mie giocate”.

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LIGA SPAGNA

EL DEVOLVER DEL DEPOR

C

hissà quante volte, nei quasi 2000 anni di veglia ininterrotta sul porto di La Coruña, l’antico faro della Torre di Ercole avrà visto la città ribollire d’amore e di passione per il suo Deportivo. Dai fasti del grande Depor, che a fine anni ’90 metteva in fila tutte le grandi di Spagna, fino ai giorni nostri e ai continui viaggi di andata e ritorno verso l’inferno della Segunda Division. Il viaggio della formazione biancazzurra riparte da qui: da una promozione, conquistata dopo un solo anno di purgatorio, che ha chiuso

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un triennio di continuo ping-pong tra le due serie. Scordiamoci però il 4-5-1 ‘da rimonta’ di Irureta, i gol di Tristan e lo giocate sopraffine di Djalaminha: il nuovo Depor è il classico ‘non finito’ scultoreo, un blocco di marmo grezzo ancora da smussare e raffinare con cesello e pazienza. Scultore d’occasione sarà Victor Fernandez, scelto dalla dirigenza per proseguire il lavoro di Vazquez Pena, esonerato per dissidi con la società poche settimane dopo la conquista della promozione. FATTORE FERNANDEZ- Si riparte

Isaac Cuenca

foto Liverani

A Fernandez viene chiesto di riportare entusiasmo in un club che ha vissuto momenti di pura gloria…


di Carlo TAGLIAGAMBE

foto Imago/Image Sport

C’è anche l’ex Lazio Postiga a La Coruna...

dunque dal tecnico che fece grande l’altra squadra di Galizia (il Celta) intuendo per primo - sul finire degli anni ’90- le potenzialità del modulo 4-23-1, vero caposaldo del suo sistema calcistico, che ha poi fatto le fortune di molti colleghi negli anni a venire. Su tutti, quel Josè Mourinho che al Porto lo ha preceduto e gli ha lasciato ‘in dote’ - forse per sdebitarsi - una Coppa Intercontinentale facile facile da mettere in bacheca. E che oggi rappresenta il picco della sua carriera da allenatore: riportare a vincere il Depor, però, sarebbe tutta un’altra storia… RICOMINCIO DA TRE- Helder Postiga, Josè Rodriguez e Cuenca: sono questi i giocatori scelti per la rinascita del Depor. Il bomber portoghese è un pupillo del tecnico, che lo ha già allenato ai tempi del Porto rilanciandolo nel grande calcio dopo il flop al Tottenham. Ora come allora, Postiga -reduce dalla fallimentare esperienza laziale- è

in cerca di riscatto: e nessuno meglio di Fernandez sa come valorizzarlo. Josè Rodriguez invece, su raccomandazione di Carletto Ancelotti, ha scelto la Galizia per l’anno della consacrazione dopo aver fatto intravedere giocate alla Xabi Alonso sia nel Real che nelle nazionali giovanili spagnole. Qui, oltre ad aver vinto il titolo di miglior giocatore dell’Europeo 2013, ha già avuto modo di conoscere un altro ‘baby-fenomeno’ con cui dividerà campo e spogliatoio. Stiamo parlando di Isaac Cuenca, jolly offensivo che ha studiato all’ombra di Messi e Iniesta, ma che sembra aver dimenticato il talento nella Masia blaugrana. Oggi, lasciato il Barça, il catalano ha preso in mano il suo cartellino per intraprendere il cammino di Santiago in direzione La Coruña, dove cercherà di raggiungere il pieno compimento del suo pellegrinaggio calcistico. EL SUPER DEPOR - D’altronde, la storia ci insegna che il Deportivo è la squadra giusta per sognare: ambiente tranquillo, pochi soldi e tante idee. Così è nato il Super Depor, la squadra che - negli anni 2000 - rappresentava l’altra Spagna, quella sana provincia lontana anni luce dall’altera nobiltà di Barcellona e Real, capace di conquistarsi la promozione sociale sul campo. E a suon di vittorie, avendo sollevato in pochi anni una Liga, due Coppe del Re e 3 Supercoppe di Spagna. Un fuoco di paglia che ha rischiato di incendiare anche l’Europa: nel 2004 gli Herculinos furono domati solo in semifinale dal Porto dopo aver eliminato in serie Juventus e Milan (clamoroso il 4-0 subito dai rossoneri al Riazor) ed essersi guadagnati - entro i confini del Belpaese - il soprannome di ‘Deportivo La Carogna’. Nomignolo poco onorevole per una squadra che, tra i suoi ranghi, annoverava i vari Djalaminha, Mauro Silva, Naybet, Pandiani, Tristan e Maakay: una babele calcistica che però in campo parlava la stessa lingua, caratterizzata da un possesso palla incessante, precursore dell’odierno Tiki-taka. IDENTITA’ GALEGA - Oggi come allora, il Depor fa dell’orgoglio galego il proprio segnale d’identità, oltre che la propria divisa. Pochi sanno infatti

EIBAR:UNA BASCA BASTIANCONTRARIA! Una matricola spavalda che punta a lasciare il segno nella Liga…

foto Zangirolami/Image Sport

ARIA NUOVA AL DEPOR

Federico Piovaccari Athletic Bilbao e Real Sociedad, ma non solo. Quest’anno, per la prima volta nella storia, c’è anche l’Eibar a rappresentare i Paesi Baschi nella Liga. Fondata nel 1940, la matricola rossoblu ha festeggiato per ben due volte la promozione in massima serie. La prima sul campo, dopo aver battuto nel derby il Deportivo Alaves lo scorso 25 maggio. La seconda in tribunale: l’iscrizione al campionato è infatti stata possibile solo grazie ad una sottoscrizione, da parte dei circa 27mila abitanti di Eibar, che ha consentito di raccogliere i 2 milioni di euro necessari per la tasse arretrate col fisco. “L’ultima cosa che volevamo – dice il presidente Aranzabal – era l’ingresso di un uomo d’affari che trasformasse la nostra creatura”. Fierezza tipicamente basca, unita ad una mentalità aperta: qui i calciatori non sono solo ‘indigeni’ , ma anche spagnoli e (in qualche raro caso) stranieri. Tra questi, anche il nostro Federico Piovaccari, partito alla conquista della Spagna. Buena suerte! che la maglia Deportivistas altro non è che la trasposizione calcistica della bandiera galiziana, antica vestigia di un’identità celtica sopravvissuta al corso impassibile della storia. Esattamente come la leggenda del Super Depor.

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PREMIER LEAGUE INGHILTERRA

PREMIER, DI NOME E DI FATTO

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iritti televisivi che fruttano oltre un miliardo di euro l’anno, stadi quasi sempre tutti esauriti, 4 club tra le 50 società sportive più ricche al mondo (Forbes), tifosi in crescita esponenziale nei ricchi mercati asiatici. Signori, benvenuti in Premier League. Il campionato inglese si gioca, con la Liga spagnola e la Bundesliga tedesca, il titolo di competizione più bella del pianeta, ma senza dubbio è la più seguita – e “produttiva” – in circolazione. Non è un caso che sempre più imprenditori stranieri abbiano fiutato l’affare

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a stiano acquisendo squadre di calcio d’oltre Manica. Si badi bene, non solo della massima divisione. E il business interessa ormai da vicino anche gli italiani, sebbene gli imprenditori connazionali, per ora si debbano accontentare di acquisire “realtà minori”. Da due anni il Watford, il club del cuore del cantante Elton John, è della famiglia Pozzo, intenzionata a metter su una sorta di multinazionale del football (oltre all’Udinese, infatti, possiede la spagnola Granada). Nel 2014, dopo un lungo tira e molla, l’ex patron del Cagliari Massimo Cellino è riuscito a mettere le mani sul glorioso,

MASSIMO CELLINO

foto Ninni

Il campionato inglese è l’eccellenza nel calcio europeo. Soldi in abbondanza per un prodotto che funziona a dovere...


di Luca Manes

foto Giuseppe Celeste/Image Sport

Il Chelsea è diventato un top club grazie al suo potere economico

ma un po’ decaduto (manca dalla Premier dal 2004) Leeds United. Nell’estate appena conclusasi è stato il turno del Leyton Orient, team di terza serie del quartiere dell’East End londinese, famoso soprattutto per aver dato i natali ad Alfred Hitchcock e David Beckham. A rilevare la compagine un altro italiano, l’imprenditore Francesco Becchetti, in passato già accostato al Bologna. Secondo l’ormai ex proprietario del Leyton Barry Hearn “fra qualche anno tutte le squadre professionistiche inglesi saranno in mani straniere”. Forse non sbaglia. Già adesso gruppi o imprenditori stranieri detengono la maggioranza delle azioni di 11 società su 20 della Premier, nella serie cadetta siamo a 13 su 24. Uno dei precursori è stato il magnate russo Roman Abramovich, il quale nel 2003 ha salvato il Chelsea dai debiti. Se i tifosi dei Blues accolsero la notizia con un gigantesco sospiro di sollievo, una buona fetta dell’opinione pubblica inglese storse il naso. Come nel caso

dei calciatori non britannici (in Premier circa il 70 per cento di quelli disponibili in rosa), alla fine si sono giudicate le azioni più che il passaporto di appartenenza. La tifoseria del Chelsea per decenni è stata caratterizzata da una forte impronta nazionalista, ma nessuno ha osato sindacare le origini di Abramovich, soprattutto dopo le vittorie in campionato e in Champions League. Quelli del Manchester City adorano lo sceicco al Mansour (e il fondo sovrano di Abu Dhabi), che come per magia ha cancellato l’etichetta di squadra perdente, da tempo sulle maglie dei Light Blues. Altre grandi del football inglese hanno invece sperimentato – o stanno ancora sperimentando – i pericoli legati alle manovre finanziarie di imprenditori senza scrupoli. Il Liverpool ha faticato non poco a liberarsi del duo a stelle e strisce Hicks & Gillett, fonte di debiti e di mediocri risultati sportivi. Il Manchester United è terzo nella classifica stilata da Forbes – valore stimato in 2,81 miliardi di dollari – ma ha sul groppone un fardello di quasi 400 milioni di sterline di debiti, regalo della famiglia americana dei Glazer, abile solo a “traslare” il costo dell’operazione sul bilancio societario. Dal loro contestatissimo take over nel 2005, i Glazer hanno speso di più per ripagare il debito (696 milioni di sterline), che per acquistare giocatori (poco più di 400 milioni). Di esempi poco “virtuosi” ce ne sono anche di peggiori. Al Birmingham City si sono ritrovati un proprietario, il cinese di Hong Kong Carson Yeung, condannato a sei anni di galera in patria per riciclaggio di denaro. L’ex patron del West Ham, Björgólfur Guðmundsson, è stato addirittura uno degli “artefici” del flop delle banche islandesi, mentre varie proprietà straniere – alcune molto “dubbie” – hanno portato il Portsmouth dalla gloria della vittoria in Coppa d’Inghilterra (2008) a scomparire dai radar… Cose che capitano nel calcio moderno, e non solo per “colpe straniere”. Tanto per citare un esempio recente, il Blackpool ha una situazione societaria talmente dissestata, che a una settimana dall’inizio del campionato cadetto poteva contare solo 12 giocatori professionisti sotto contratto. Il 20 per cento delle azioni fa sì capo al lettone Valeri Belakon, ma il restante 80 per cento è dell’inglesissimo Owen Oyston...

Gol Lampard, civiltà inglese L’ex Blues segna alla sua ex squadra, condannandola al pari, eppure i cori sono tutti per lui... foto Imago/Image Sport

ABRAMOVIC IL RIVOLUZIONARIO

Solo in Inghilterra… Lampard, bandiera del Chelsea (13 anni con i Blues, per un totale di 211 gol in 648 gare), a pochi minuti dalla fine, entra in campo. Ora indossa la casacca del City. Il Manchester è sotto di un gol e di un uomo ma Frankie, con una magia delle sue, trova il gol del pareggio che condanna l’armata di Mou. Ovviamente i tifosi dei Citizens gioiscono come pazzi ma, qui sta la notizia, i tifosi del Chelsea, a fine gara, riempiono di applausi il loro vecchio condottiero. A nessuno importa che, pe colpa di Frankie, il Chelsea non ha portato a casa i tre punti, meglio osannare l’uomo, il campione. Un gol non può cancellare 13 anni di magie (e successi). “E’ stata una grande emozione”, dirà Lampard nel dopo partita. Lo è stato anche per chi ha assistito a quei cori. La dimostrazione che, in Inghilterra, la cultura sportiva è una realtà ben radicata. A voi immaginare cosa sarebbe accaduto in Italia…

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BUNDESLIGA GERMANIA

PROVA DI MATURITà Kagawa, Bendtner, Boateng ed Herrmann, quattro pseudo campioni alla classica prova del nove…

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ster United decide di sborsare 16 milioni di euro per strapparlo ai gialloneri, ma in maglia Red Devils il ragazzo, complice anche la fine dell’era Ferguson ed una mancata adattabilità al calcio inglese, cade nel dimenticatoio. Klopp però crede ancora in lui (anche perchè parliamo di un 25enne) e così questa estate decide di mettere mano al portafoglio e riportarlo in Germania per 8 milioni di euro. Di sicuro non sarà facile per lui riprendersi una maglia da titolare, visto che Reus, Mkhitaryan e Grosskreutz non sembrano intenzionati a fargli spazio. NICKLAS BENDTNER (WOLSFBURG)

Kevin-Prince Boateng

foto Imago/Image Sport

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HINJI KAGAWA (BORUSSIA DORTMUND) La Bundesliga edizione 2014-2015, che vedrà, presumibilmente combattere Bayern Monaco e Borussia Dortmund per il titolo, è caratterizzata da alcune storie che meritano di essere raccontate prima di passare ad analizzare quanto accadrà sul campo. Partiamo con l’insolita avventura del giapponese Shinji Kagawa: comprato nel lontano 2010 dal Cerezo Osaka, con la maglia del Borussia Dortmund si è imposto come uno dei migliori centrocampisti del panorama europeo. Nel luglio del 2012 il Manche-


di Flavio SIRNA

foto Imago/Image Sport

Tanti i giocatori in cerca di conferme in Bundes

Sono molto lontani i tempi nei quali, con la maglia dell’Arsenal (che lo aveva acquistato dal Birmingham), sembrava destinato ad una carriera sfavillante. Nel corso degli anni Nicklas, tra infortuni ed uno stile di vita non proprio consono ad un professionista del calcio (è stato beccato più volte ubriaco al volante e qualche mese fa ha anche molestato ed aggredito un tassista), si è trasformato in un giocatore scomodo (tante maglie indossate in poco tempo)… Adesso, a 26 anni, con molti anni di carriera ancora alle spalle, Bendtner ha la possibilità di far ricredere tutti con la maglia del Wolfsburg. L’ambiente sembra adatto, visto che nessuno di sicuro gli metterà particolari pressioni. È chiaro, però, che dopo aver fallito per la seconda volta con la maglia dell’Arsenal e dopo non avere lasciato praticamente tracce del suo passaggio con la maglia della Juventus, il lungagnone danese ha l’ultima chance per dimostrare di non essere solamente un amante della bella vita.

KEVIN PRINCE BOATENG (SCHALKE 04) Acquistato dal Milan per 10 milioni di euro nell’estate del 2013, la prima stagione del ghanese con la maglia della compagine di Gelsenkirchen non è stata come molti ci si aspettavano, nonostante abbia collezionato in Bundesliga 27 presenze e 6 goal. Per gran parte dell’annata Kevin ha sofferto di non avere da parte del tecnico Jens Keller una collocazione precisa in campo, essendo stato utilizzato a volte come seconda punta ed a volte come centrocampista centrale (ruolo, quest’ultimo, che ha sempre apertamente dichiarato di non volere interpretare). Quest’anno, finalmente, avrà la possibilità di essere uno dei tre trequartisti dietro Huntelaar (in questo ruolo si è messo in mostra con la maglia rossonera). E, visti anche i compagni di reparto che si troverà a disposizione, ossia il giovane Draxler e l’esperto ex-Bayer Leverkusen Sam, Kevin non avrà possibilità di sbagliare, ma dovrà finalmente dimostrare, sia in campionato che in Champions, di essere un valore aggiunto. PATRICK HERRMANN (BORUSSIA MONCHENGLADBACH) 34 presenze, 6 goal e 9 assist nella scorsa stagione, che sono valsi il sesto posto in classifica e l’approdo in Europa League del Borussia Monchengladbach, non gli sono bastati per poter attirare l’attenzione di una delle big del calcio europeo o tedesco (si sono interessati a lui nel corso del tempo Juventus, Inter, Napoli, Chelsea e Real Madrid) né del commissario tecnico della nazionale tedesca Joachim Low (non ha ancora esordito). Patrick così, dovrà accontentarsi di restare ancora nel ‘secondo’ Borussia e di aumentare ulteriormente il livello delle sue prestazioni per poter sperare di fare il salto di qualità, come già capitato al suo ex-gemello Marco Reus, insieme al quale ha fatto faville sino a due stagioni fa. Herrmann, per chi non lo conoscesse, è un centrocampista centrale, in grado di poter giocare sia come esterno che anche come trequartista, che col suo piede destro è in grado sia di andare a rete che di servire i compagni d’attacco. La sua attuale valutazione di mercato si aggira intorno ai 10 milioni di euro. Chissà se nell’estate del 2014 qualcuno vorrà investire in questo ragazzo, che sembra proprio avere le carte in regola per poter essere un Top player europeo.

BENATIA NON CI STA… Il marocchino difende la sua professionalità e risponde agli insulti…

foto Imago/Image Sport

KAGAWA E GLI ALTRI

“Ho ricevuto tanti insulti da quando sono andato via ma, per la maglia della Roma, ho sempre dato il massimo e ho continuato a sentire metà squadra al telefono, per cui forse non sono la persona brutta che dicono tutti”, firmato Benatia. Non è la prima volta che un giocatore, dopo aver lasciato l’Italia, decida di rimproverare i tifosi italiani. A conti fatti, la cessione del marocchino è stato un affare per tutti. Contento il giocatore, felice Sabatini (28 milioni di euro) e pure Manolas, arrivato in sostituzione di Benatia. Eppure al tifoso giallorosso l’addio non è piaciuto. Colpa di una mentalità, prettamente italiana, che ancora vive nell’illusione di poter trattenere un campione solo con le belle parole e il prestigio della maglia. Davanti a 28 milioni (e, lato Benatia, la chance di giocare con la casacca del Bayern Monaco), è difficile essere romantici. Curiosità per vedere come l’Olimpico accoglierà Benatia nella sfida di Champions con il Bayern…

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LIGUE 1 FRANCIA

PARIGI A FESTA

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taliano? Oh, Verratti...”. È insolito e quanto mai piacevole rendersi conto del fatto che, in qualche parte del globo, la propria nazionalità venga associata a quella di un brillante atleta piuttosto che ritrovarsi ad abbozzare un sorriso forzato di fronte al classico ritornello “Italia? Pizza, spaghetti...”, o ad imbarazzarsi di fronte ad accostamenti sicuramente più spiacevoli. Girando per Parigi, infatti, ci si rende piacevolmente conto di come l’Italia sia facilmente associata a Marco Verratti e Salvatore Sirigu,

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due dei punti di forza del Paris SaintGermain, club per il quale a Parigi fanno il tifo pressoché tutti gli appassionati di calcio. Maglie blu griffate PSG ovunque, dalla metro ai ristoranti di lusso. Perché a Parigi, come racconta sorridente un edicolante italiano trapiantato nella Capitale francese, “quella maglia ormai vale più di uno frac”. Vale, in termini di valore affettivo. Ma anche di costi, tenuto conto dell’eloquente gesto che accompagna la frase. Strano ma vero, però, in casa PSG l’entusiasmo legato all’avvento di Al-Khelaifi sta un po’ sceman-

foto Buffa/ImageSport

Dopo Ibra, ci sono Verratti e Sirigu, emblemi del nostro calcio, tra i più amanti del popolo PSG…

SALVATORE SIRIGU


di Renato MAISANI

MARCO IL FRANCESE

foto Buffa/Image Sport

A Parigi sono tutti pazzi per il talento azzurro

do e i motivi vengano sintetizzati dalla semplice spiegazione che ci viene data da Florent, simpatico giovanotto con addosso, chiaramente, la maglia del PSG: “Riuscire a vincere in Francia, dopo tanti anni, è bello. E anche fare bella figura in Champions non è male, però in molti abbiamo paura che quello del PSG sia un fenomeno passeggero. Avete visto cosa sta succedendo a Montecarlo?” Già, strano ma vero, il ridimensionamento del Monaco – principale rivale del PSG in Ligue 1 – non ha alimentato le gioie dei tifosi del club parigino, bensì innescato in loro un dubbio: “E se succedesse anche a noi?”. La paura di dipendere dalle volontà di un singolo uomo, sceicco o magnate del petrolio che sia, fanno infatti vivere tutti sul filo del rasoio. Le cessioni di Falcao e James Rodriguez hanno inevitabilmente ridotto il valore del Monaco e in casa PSG, sebbene il progetto vada avanti da più tempo e l’organico sia decisamente più ricco di stelle, il timore non viene meno.

Adesso, ovviamente, si accompagna però l’entusiasmo. E, non senza sorprenderci, ci accorgiamo che gli uomini più osannati sono tre: Zlatan Ibrahimovic, Salvatore Sirigu e Marco Verratti. “E il Pocho?”, vien da chiedere. Né lui né Cavani nella Top 3 dei più amati dai parigini, letteralmente fuori di testa per Zlatan Ibrahimovic. “Il PSG è lui”, “Appena smetterà di giocare, non so come faremo”, “Mio figlio tifava per il Lione, sono riuscito a convincerlo a passare al PSG soltanto mostrandogli i goal di Ibrahimovic su YouTube”, alcuni dei commenti più eloquenti. E come dar loro torto ripensando ai 76 goal messi a segno dallo svedese in appena 92 partite disputate con il PSG nel corso delle prime due stagioni? Una volta superati gli elogi nei confronti di Ibra, ecco sgorgare tutto il nostro orgoglio italiano. La stima e la fiducia in Marco Verratti (“Il est meilleur que Ronaldinho”, urla con entusiasmo un uomo sulla cinquantina, non certo nostalgico del ‘Dentone’), ma soprattutto in Salvatore Sirigu, riconosciuto come l’autentico eroe del primo titolo dell’era El-Khelaifi. “Sirigu parava e Zlatan segnava”, è il suo riassunto di quella stagione. Anzi, Zlatàn, per dirla come loro. Ma il confine che separa l’entusiasmo per i trionfi arrivati dopo anni di digiuno e la paura del declino è davvero labile: il timore del Fair Play Finanziario, le paure in merito ad una gestione economica forse troppo poco oculata per poter essere sostenuta a lungo e, soprattutto, l’assenza di figure di riferimento, spaventano i fan del PSG. In molti rimpiangono Leonardo, ricordato come il perfetto elemento di raccordo tra società e tifosi, in tanti non apprezzano Laurent Blanc, ritenuto l’uomo meno adatto a spingere il PSG verso il salto di qualità. E tutti, all’unanimità, sperano che Al Khelaifi si limiti a “sganciare”, affidando a qualcun altro i compiti di rappresentanza e di operatività. Intanto, però, nei celebri negozi di souvenir, tra una Tour Eiffel fosforescente, un ‘gargoyle’ e una riproduzione di Nôtre Dame, è facile scorgere le statuette degli eroi del PSG. E tra un Ibra e un Pastore, tra un Lucas e un Thiago Silva, non è difficile individuare Sirigu e Verratti. Perché adesso l’immagine dell’Italia, per una buona fetta di Parigi, sono proprio loro due.

VE BENE ANCHE LO STEMMA L’entusiasmo per i risultati conseguiti sul campo ha spento anche le contestazioni per il nuovo logo…

Primeggiare sulle altre città francesi è la prerogativa che contraddistingue Parigi, in toto. La Capitale è il centro del Paese e tutto – o quasi – passa sotto la Torre. Non riuscire a primeggiare nel calcio ha dunque rappresentato, per anni, il cruccio di un’intera città. Per questa ragione, probabilmente, nessuno fa cenno alla ‘noia’ di un campionato a larghi tratti dominato. Anzi, a quanto pare, il sogno del parigino perfetto sarebbe quello di Ludovic che, su un treno interno, racconta: “Prima, quando noi parigini ci vantavamo di qualcosa, tutti ci rispondevano dicendo che nel calcio non contavamo nulla. Adesso, non possono risponderci più nemmeno quello”. Riconoscenza verso AlKhelaifi, dunque, senza perdersi in eccessivi romanticismi. La storia del cambio dello stemma, ad esempio, non dà più fastidio a nessuno, sebbene all’epoca in molti avevano espresso le proprie perplessità sulla volontà da parte della società di ‘ridimensionare’ il riferimento al quartiere periferico di Saint-Germain-en-laye e di eliminare persino l’anno di nascita del club, dando così un taglio netto con il passato, come a voler dire “la storia del PSG inizia qui, oggi”. Lo stemma campeggia sulle tantissime magliette che si vedono in tutte le zone della città ed è possibile anche tatuarselo addosso, in maniera provvisoria o permanente, persino in strada.

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scovate da CARLETT BALE Guardate cosa ha riesumato Bale per l’occasione... Una foto della Decima insieme a Modric subito dopo la finalissima contro l’Atletico Madrid…

BOATENG

Prima con Boateng e adesso con un pallone di pallacanestro, passione di molti calciatori.

JAMES

Pronti a tornare a Monaco. Boateng e colui che ha deciso l’ultima finale dei Mondiali in Brasile: Mario Goetze.

Sta segnando tanti goal al Real Madrid, qui ci regala una panoramica di Miami.

david luiz

NEYMAR JR.

Il difensore brasiliano ci regala sempre foto particolari. Eccolo con Marcelo e Robinho.

Lo sappiamo, i calciatori viaggiano tanto, tante trasferte e molte delle foto più simpatiche vengono scattate proprio in aereo, qui Neymar con alcuni suoi compagni di squadra.

FALCAO Appena arrivato a Manchester, il colombiano con il suo nuovo compagno Van Persie e l’ex stella olandese e del Milan, adesso vice di Van Gaal, Kluivert.

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PATO Una vecchia conoscenza del calcio italiano, Pato, adesso al San Paolo, si rilassa con un massaggio decisamente particolare...

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb


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