Calcio 2000 n.205

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Mensile | GENNAIO 2015 | N. 205 | Italia | Euro 3,90

Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

foto Daniele Buffa/Image Sport

ESCLUSIVA

PAZZINI

“HO UN SOGNO NEL CASSETTO”

ESCLUSIVA

SPECIALE

A CASA DI

20

42

58

“AL CHIEVO STO DA RE”

VOGLIA DI RINASCITA

I RE DEL MERCATO

MAXI LOPEZ

SIENA

PASQUALIN


EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

www.calcio2000.it

direttore@calcio2000.it

N. 205 - GENNAIO 2015

Mensile | GENNAIO 2015 | N. 205 | Italia | Euro 3,90

Calcio 2OOO

Calcio

2OOO

ESCLUSIVA

foto Daniele Buffa/Image Sport

GIAMPAOLO PAZZINI

il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

PAZZINI

“HO UN SOGNO NEL CASSETTO”

ESCLUSIVA

SPECIALE

A CASA DI

20

42

58

“AL CHIEVO STO DA RE”

VOGLIA DI RINASCITA

I RE DEL MERCATO

MAXI LOPEZ

SIENA

PASQUALIN

DA PICCOLO VOLEVO FARE…

A

mmettiamolo, senza il gol il calcio non avrebbe senso. L’attimo in cui la palla varca la linea di porta è il nostro Nirvana… Alzi la mano chi, tra tutti voi, da piccolo non voleva fare l’attaccante. Immagino pochi, pochissimi. Forse sarà per questo che, ancora oggi, il ruolo più ambito è sempre e solo quello del bomber. Peccato che, come tante specie animali, il vero centravanti sia in via d’estinzione. Lo confesso: sono altamente preoccupato. Che farò quando i vari Totti, Di Natale, Toni, Klose diranno basta? Ancora non mi sono ripreso del tutto dall’addio di Del Piero (sì, gioca in India ma non è la stessa cosa, lo sa lui e lo sappiamo noi). Vero, i nuovi cresceranno e ci esalteranno come chi li ha preceduti. Ne siamo certi? Non so voi, ma ho la netta impressione che la nostra generazione (quella dei 30/40enni di oggi) avesse qualcosa in più. Probabilmente la stessa cosa avranno detto i nostri padri di noi, quindi magari è solo una suggestione. Eppure vengo invaso da un gran senso di tristezza se penso al giorno in cui i “grandi vecchi” usciranno, per l’ultima volta, dal campo verde. Per questo cerco di godermeli il più possibile e mi auguro che gente come Pazzini e Maxi Lopez (30enni ancora con tanto da dire) facciano benissimo (nomi non a caso, sono le interviste del mese). Purtroppo non abbiamo più

la forza di portarci a casa i Messi e i CR7, quindi dobbiamo valorizzare quello che abbiano che, comunque, non è poco… A proposito di valorizzare, ci tengo a soffermarmi anche sul CT Conte. Indubbiamente non avrà i modi di un gentleman inglese ma, signori, finalmente qualcuno che alza la voce e dice quello che pensa. Che la Nazionale sia un fastidio lo sanno tutti, che si possano cambiare le regole la vedo improbabile, ma onore a Conte che non sta mai zitto… Regole e mi viene in mente Tavecchio. Sbaglio o qualcosa sta provando a fare? Le nuove regole sulle rose, con tanto spazio a giovani e vivai non mi paiono tanto assurde, no? Non è una rivoluzione? Sì ma almeno è qualcosa… Lamentarsi seduti su una sedia è semplice, lo faccio anche io tutti i giorni, realizzare qualcosa di concreto è più complicato. Diamo fiducia a Tavecchio, chissà che non sia lui il condottiero che davvero serviva al nostro calcio. Ultima considerazione, così rispondo a diversi di voi, sulle italiane in Europa. Spazzo via ogni dubbio: con l’atteggiamento avuto dalla Roma a Mosca non andremo da nessuna parte. Siamo inferiori, sia come uomini di qualità che come giro d’affari, ma l’approccio deve essere diverso. Gli altri sono più forti? Hanno più soldi? E allora? Il calcio non è mica una scienza esatta, non vince sempre chi è più grande e grosso, vince chi segna di più e qui torniamo alla magia del gol… Buona lettura!!!

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sommario n.205

Anno 19 n. 1 GENNAIO 2015

6 La bocca del leone

Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246

di Fabrizio Ponciroli

8 INTERVISTA ESCLUSIVA

GIAMPAOLO PAZZINI

di Fabrizio Ponciroli

20 INTERVISTA ESCLUSIVA

MAXI LOPEZ

8

30 SPECIALE

GOL, arte senza tempo

di Fabrizio Ponciroli

DIRETTORE RESPONSABILE

34 INTERVISTA ESCLUSIVA

MAURIZIO SARRI

di Lorenzo Marucci

Michele Criscitiello

20

42 SPECIALE

ROBUR SIENA

Marco Conterio, Luca Bargellini, Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Tommaso Maschio, Lorenzo Marucci

52 SERIE B - CARPI

di Tommaso Maschio

54 LEGA PRO - Bassano Virtus

di Sergio Stanco

56 Serie D - SEREGNO

30

di Simone Toninato

58 I Re del Mercato

di Marco Conterio

68 I Giganti del Calcio

CHRISTIAN PANUCCI

di Fabrizio Ponciroli

34

di Gabriele Porri

Statistiche

Redazione Calcio2000

82 ACCADDE A... GENNAIO

di Gabriele Porri

84 DOVE SONO FINITI?

PAOLO MONELLI

di Stefano Borgi

CAMPIONATI STRANIERI 86 SPAGNA di Sergio Stanco 88 INGHILTERRA di Luca Manes 90 GERMANIA di Flavio Sirna 92 FRANCIA di Renato Maisani

Contatti per la pubblicità:

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e-mail: media@calcio2000.it

Stampa

Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 - 25124 Brescia (Italy) Tel. 030 3543439 Fax. 030349805

Distribuzione

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94 IL TIFO RACCONTA

Image Photo Agency (imagephotoagency.it), Ag. Liverani, Federico De Luca, Ag. Photoview, Davide Casentini, Daniele Mascolo/Photoviews TC&C S.r.l.

League 1971/72

Sergio Stanco, Gabriele Porri, Simone Toninato, Stefano Borgi, Luca Manes, Flavio Sirna, Renato Maisani, Thomas Saccani

Realizzazione Grafica

78 Storia Champions

Hanno collaborato

Fotografie

CLAUDIO PASQUALIN

Diretto da

Fabrizio Ponciroli

Redazione

di Simone Bernabei

EDITORE

TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872

di Lorenzo Marucci

Calcio2OOO

Pieroni S.r.l. via Carlo Cazzaniga, 19 20132 Milano Tel 02 25823176 Fax 02 25823324

www.calcio2000.it

di Thomas Saccani

98 SCOVATE da CARLETTO RTL Calcio2000 è parte del Network

NUMERO CHIUSO IL 30 NOVEMBRE 2014

IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il

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LA BOCCA DEL LEONE

PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it

di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport

MILAN, MAI TERZO POSTO

sia venuto fuori che non è certo la Juve la squadra colpevole e che non sono certo Moggi e Giraudo i colpevoli principali. Anzi come ben sapete, i veri colpevoli sono i presunti onesti, che si fregiano di scudetti altrui. Certo di una vostra cortese e specifica risposta, porgo cordiali saluti. Davide, mail firmata Ciao Davide, purtroppo per policy aziendale siamo stati costretti a pubblicare solo una parte della rivista, ma non escludo che, una volta all’anno, si possa pensare di pubblicare i vecchi numeri. Ci stiamo lavorando. Non ti anticipo nulla, ma ci stiamo muovendo in tal senso. Come sempre per un’analisi obiettiva…

Caro Direttore, leggo sempre con piacere il suo editoriale su TMW. Mi piace come affronta temi scottanti e come non abbia peli sulla lingua. E allora le chiedo del mio Milan: crede davvero che questa squadra possa arrivare al terzo posto? Inzaghi è già pronto per un risultato tanto importante e difficile? Certo di una sua risposta, attendo… Luca, mail firmata

ABBONAMENTO ANNUALE

in Italia. I peggiori dalla riapertura delle frontiere ad oggi. Sono curioso di vedere che nomi mi tira fuori… Per il resto, bella l’intervista a Zeman. Finalmente un personaggio non di Inter, Milan o Juve. Era ora... Luciano, mail firmata Mamma mia, che domanda impegnativa… Ma stimolante, hai ragione ho un debole per i cosiddetti bidoni. Allora, ci provo: in porta ci piazzo Lehmann, imbarazzante nei pochi mesi al Milan. Difesa di spessore con Elliott, Gresko, Gutierrez (Lazio e Verona) e Hatz (Reggina e Lecce). A centrocampo vado con Andrade (il super lento della Roma), Calderon (Napoli) e Maradona (Hugo, quello visto ad Ascoli). In avanti terzetto da brividi con Aaltonen, Jardel e Pancev. Ce ne sarebbero tanti altri… MA LE STATISTICHE?

Ciao Antonello, toccato tasto a me caro, come sai… Sto cercando una soluzione e sono sicuro che, prima o poi, la troverò. Le statistiche le adoro ma anche le foto (guarda quelle di Zeman o quelle di Giuffrida) hanno un suo perché, soprattutto quando sono originali. Ma ci sto lavorando…

Grazie per i complimenti… No, non credo che questo Milan possa puntare al terzo posto. Inzaghi è un tecnico promettente e, con il passare degli anni, diventerà ancor più abile ed esperto. Mi sembra che la rosa dei rossoneri non sia all’altezza per ipotizzare un terzo posto finale. Più facile l’Europa League… CALCIO2000 ONLINE

EL SHAARAWY NON E’ UN CAMPIONE Direttore, esiste un abbonamento annuale della rivista con spedizione a casa? E se esiste quanto costa e come fare ? Grazie Stefano, mail firmata Per ora non è previsto ma stiamo raccogliendo nominativi di chi sarebbe interessato. Quindi, se siete interessati, scrivetemi… CLASSIFICA BIDONI

Buonasera Direttore, sono un vostro appassionato e fedele lettore. Volevo chiedervi se è possibile ancora leggere on line la nostra rivista preferita. Chiedo questo, perché dal n. 202 con in copertina Llorente, non sono più riuscito a scaricarlo sul pc per leggerlo integralmente con calma. Mi risulta che sul sito Tuttomercatoweb ci sia solo una sintesi del numero. Colgo anche l’occasione per chiedere se è previsto un servizio su Calciopoli, fatto in maniera obiettiva, come d’altronde voi fate sempre gli articoli. Dagli ultimi sviluppi, materiale e testimonianze, mi sembra

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poi alla fine 4 pagine con sole foto del tifo mentre ci sono 4 pagine di pubblicità (2 5 99 100). Caro direttore, se non ho fatto male i calcoli, 1/5 del giornale è dedicato solamente a foto. Non manca giustamente a te, da esperto navigato, prendere accurate decisioni o aggiustamenti (chiamali come vuoi) in modo tale che si recuperi anche quella fiducia che ho sempre dato a questo splendido mensile. Spero mi perdonerai la crudezza e schiettezza di questa mail, ma in fondo, a volte, anche le critiche aiutano a crescere perché un giornale non è fatto solo di complimenti; quelli te li ho fatti, se ricordi, parecchie volte ed erano tutti meritati; questa volta invece è il tempo dei... suggerimenti (spero mi permetti di chiamarli così). Aspettando, si spera quanto prima, le “agognate” statistiche, Ti ringrazio del tempo prestatomi e mi auguro di cuore che questa mia mail trovi spazio nella rubrica “La bocca del leone”. Un caro saluto. Antonello, mail firmata

Egregio Ponciroli, so che l’argomento le è caro: bidoni del calcio. Mi piacerebbe avere la sua personalissima formazione tipo di “bidoni” visti

Gent.mo Direttore Ponciroli, così non va proprio. Oggi sono corso in edicola ad acquistare il numero di dicembre del nostro/tuo mensile, e con estremo rammarico mi sono accorto che (ancora una volta! sic!) mancavano le statistiche. Forse ci avevi abituato ormai a rifarci l’occhio con i resoconti mensili dalla A alla D ed anche quelli esteri, ma da qualche numero a questa parte sono completamente spariti impoverendo, a mio avviso, un giornale che non ti stanchi mai di leggere ed apprezzare. Come hai potuto capire (a proposito nelle altre mail ci siamo sempre dati del “tu”, mi fa sentire più ... vicino a te ) io sono un amante delle statistiche e per me non vederle pubblicate ogni mese e come una ferita profonda. Mi sembra che il nostro mensile diventi sempre più un album fotografico. Capisco che, forse, per ragioni di spazio non puoi pubblicarle ma circa 7/8 pagine penso che si possano recuperare anche su una foliazione guida. Ho in mano il numero di dicembre (100 pagine comprese le 4 di copertina ) e ho notato parecchie “gigantografie” (pagine intere con foto). Per esempio Zeman ne ha avute dedicate 4 (pag. 9 10 14 15), Bernardeschi, Gervinho, Immobile e Messi una a testa (pag. 22 27 29 30), il Milan 2 (34 35), Giuffrida 4 (51 52 55 58), Di Canio ha battuto il record con 5 (61 63 64 67 68), Del Piero 1 (pag. 74 guarda caso il suo anno di nascita...), Bodini 1 (76), e

Direttore, io non capisco, anche se seguo il calcio da 30 anni. Come si fa a pensare che El Shaarawy sia un campione. Si impegna, non ho dubbi ma non vede mai la porta. L’errore del derby è incredibile. Ha segnato un gol in due anni, come si può continuare a dire che ha la stoffa del campione. E’ un giocatore medio… Aspetto una sua risposta Massimo, mail firmata Caro Massimo, forse stai esagerando… El Shaarawy è reduce anche da diversi problemi fisici, quindi va anche aspettato da quel punto di vista. L’errore nel derby? Anche i campioni sbagliano. Solo su un aspetto concordo con te: basta pensare che sia troppo giovane per certe responsabilità.

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INTERVISTA GIAMPAOLO PAZZINI

INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

VOGLIA DI VOLARE Pazzini non vede l’ora di tornare a segnare con continuità...

PAZZO DI CALCIO

foto Agenzia Liverani

Bomber d’altri tempi, con una passione unica… Semplicemente Giampaolo Pazzini

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di Fabrizio PONCIROLI Calcio 2OOO

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Bomber d’aria di rigore, una specie in via d’estinzione...

L

o ammetto, ho sempre avuto un debole per Pazzini. Personalmente lo considero uno dei pochi N.9, veri, non fasulli, ancora in circolazione. Bravo nel gestire la palla, abile nel dribbling, mortifero sotto porta e celestiale di testa. Un bomber completo di quelli che fanno sempre comodo. Dal 2003, primo anno da vero professionista, in Serie B con l’Atalanta (nove gol totali), il buon Pazzini ne ha fatta di strada. Dopo aver incantato tutti a Bergamo, ha regalato emozioni prima a Firenze e poi a Genova, sponda blucerchiata. Dal gennaio del 2011 vive il frenetico caos della città meneghina, pronto a tagliare un traguardo che, per un attaccante, è l’emblema del successo: 100 gol in Serie A. L’ho intervistato, sicuro di trovare una persona vera, di quelle che non si nascondono dietro le classiche frasi fatte. Avevo ragione… Ciao Giampaolo, partiamo dalla tua famiglia… Tutti calciatori, normale che finissi anche tu a tirar calci ad un pallone, no? “Sì, mio padre giocava e mio fratello, più grande di me, pure, tanto che è arrivato a giocare in Serie C. Direi che sono cresciuto con l’idea del calcio, anche se nessuno mi ha mai spinto a diventare calciatore. Mi divertivo tanto, avevo una passione spasmodica per il pallone e, quindi, è stato un amore naturale”.

A MILANO PER VINCERE

Dopo l’Inter, al Milan con un sogno: vincere il più possibile

foto Lingria/PhotoViews

CENTRAVANTI D’ALTRI TEMPI

INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

foto Buffa/Image Sport

INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

foto Agenzia Liverani

Raccontami il momento in cui hai capito che potevi diventare un giocatore professionista… “Forse l’ultimo anno di Primavera. Per tanti ragazzi, quell’anno, l’ultimo alla Primavera, è una sorta di bivio. È quell’anno in cui capisci se potrai o meno giocare in Prima Squadra. Io, in quel periodo, sono stato convocato in Prima Squadra e ho vinto tanto, compreso l’Europeo Under 19. Direi che è stato quello il momento in cui ho capito che potevo farcela”.

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foto Mascolo/PhotoViews

Sempre stato bomber immagino… “Quando ero più piccolo, ero, come si diceva a quei tempi, un giocatore a tutto campo. Mi piaceva partire anche da dietro. Poi, quando sono andato all’Atalanta, nei Giovanissimi, mi hanno spostato a giocare da punta centrale. Avevo 14 anni”.

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INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

“” Quando ero più

ALLA CACCIA DEI 100 Manca poco per entrare nel club dei centenari del gol...

COME FREDDY…

Anni indimenticabili, quasi magici… “Bravo, dici bene, è proprio così. In quei momenti, tutto è magico. Passi dall’essere stato un ragazzino che guardava i campioni giocare allo stadio, a vivere il tutto in prima persona. Sali sul pullman, vedi i tifosi che ti acclamano, arrivi allo stadio, tutto è magico. Hai un sacco di entusiasmo, non senti nessun tipo di pressione. È fantastico, anche se non dura. Con il passare degli anni, la gente, giustamente, pretende qualcosa di più da te e devi crescere, cambiare… Quella spensieratezza che avevi da giovane scompare, devi maturare in fretta”.

Classifica All Time cannonieri Serie A in attività

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ti consigli da Pala e Favini. In generale, direi che quasi tutti gli allenatori che ho avuto mi hanno lasciato qualcosa. Ad esempio penso a Mandorlini, che ha avuto un grande coraggio a buttarmi dentro, a prescindere dalla mia carta d’identità”. foto Gribaudi/Image Sport

E chi ti ha aiutato maggiormente a renderti il grande attaccante che sei oggi? “A 14 anni, quando ho iniziato a giocare come attaccante, ho ricevuto importan-

Mi collego a questa tua risposta per chiederti se è più difficile oggi, per un giovane bomber, come eri tu ai tempi dell’Atalanta, trovare spazio nella nostra Serie A… “Penso che, alla fine, chi ha talento riesce sempre a trovare il suo spazio. Magari

* Statistiche aggiornate al 30/11/2014

non subito ma, alla fine, ce la fa. Bisogna essere fortunati a trovare l’allenatore giusto al momento giusto. Per un tecnico tu sei fondamentale, per un altro magari no… Va molto a fortuna”. È anche vero, pensando al tuo ruolo, che oggi la punta centrale è un po’ in disuso, no? “Il calcio, parlo del ruolo di attaccante, è cambiato tantissimo. Quando avevo 15/16 anni, tutte le squadre giocavano con una punta grossa, di peso, e una piccolina, di movimento. Era la regola, tan-

foto Gribaudi/Image Sport

Torniamo al tuo essere goleador. Mi scegli tre dei tuoi gol che manderesti nello spazio come testimonianza del tuo essere un attaccante… “Domanda difficile, come bellezza direi che quello a cui sono più legato, è il gol che ho segnato nel preliminare di Champions con la Sampdoria. Poi dico il mio secondo gol in Milan-Bologna e il terzo, sempre a livello estetico, direi uno di testa, magari quello di Fiorentina-Reggina”.

Ovunque è stato, Pazzini ha sempre convinto tutti: a suon di gol… Un killer vero

foto Buffa/Image Sport

Pos. Nome Reti Pres. Media Gol 1 Francesco Totti 237 570 0,42 2 Antonio Di Natale 200 401 0,49 3 Luca Toni 132 296 0,45 4 Antonio Cassano 111 369 0,3 5 Giampaolo Pazzini 97 299 0,32 6 Sergio Pellissier 88 351 0,25 7 Amauri 84 323 0,26 8 Fabio Quagliarella 79 277 0,29 9 Alessandro Matri 74 236 0,31 10 Marco Borriello 71 257 0,28 11 Marek Hamsik 70 257 0,27 12 Rodrigo Palacio 64 165 0,39 13 Germán Denis 62 207 0,3 14 Sergio Floccari 61 258 0,24 15 Andrea Pirlo 56 479 0,12

E poi che accade? “Che continui a crescere e ti confronti con realtà sempre diverse. Cambia il rapporto con il pallone. Cominciano a contare punti e trofei, si modifica tutto, come è normale che sia. Credo capiti in qualsiasi mestiere”.

Argomento allenatori. Partiamo dal più simpatico tra tutti quelli che hai avuto… “Allegri, non ci sono dubbi”.

foto Buffa/Image Sport

piccolo, ero, come si diceva a quei tempi, un giocatore a tutto campo. Mi piaceva partire anche da dietro

Giampaolo Pazzini è nato il 2 agosto 1984. Giorno e anno particolari. Nello stesso giorno, nel lontano 1939, è venuto alla luce Wes Craven, regista statunitense diventato famoso in tutto il globo per aver diretto Nightmare, guarda caso uscito, per la prima volta al cinema, proprio nel lontano 1984. E il nostro Pazzini, proprio come il terrificante Freddy Krueger, è uno di quegli attaccanti che, sotto porta, non lasciano scampo a nessun portiere. Basta sfogliare il libro delle statistiche del Pazzo per rendersi conto delle doti del ragazzo. A cavallo dei 20 anni, con la casacca dell’Atalanta, segna 15 gol in una stagione e mezza. A Firenze, in quattro anni, arriva a quota 33 centri, 12 in una sola stagione (2007/08). Pazzesco il rendimento alla Sampdoria, con 48 reti in 87 gare. Non delude neppure all’Inter dove, in una stagione e mezza, ne mette altri 19. Il primo anno al Milan è da applausi (16 reti, 15 dei quali in campionato). Male lo scorso anno (tre soli gol) ma, quando nasci con l’istinto del killer, alla Freddy Krueger, tutto diventa possibile…

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INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

foto Lingria/PhotoViews

foto Arcaini/Image Sport

foto Federico De Luca

Ovunque è stato, Pazzini ha saputo accontentare tutti a suon di reti

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“” Nel calcio

GLI INIZI ALL’ATALANTA A Bergamo ha imparato tanto, soprattutto come diventare un bomber vero...

odierno, Purtroppo, sono sempre meno le squadre che giocano con una punta di ruolo to che i trequartisti faticavano a trovare spazio, si pensi a Roby Baggio. Oggi è tutto il contrario. Si gioca con tantissimi trequartisti, per non dare punti di riferimento alle difese. Nel calcio odierno, sono sempre meno le squadre che giocano con una punta vera di ruolo. Purtroppo (ride ndr)”. Giampaolo, l’avverti la crisi del calcio italiano? “Certamente, la noto e la vivo. Mi ricordo che, quando ero piccolo, si parlava delle Sette Sorelle come possibili vincitrici dello Scudetto. Oggi non è più così. Allora c’erano giocatori pazzeschi, con ingaggi e soldi importanti. Adesso il movimento è calato, tanto che di veri campioni, in Italia, ne arrivano pochi”. Meglio adesso o allora? “Da tifoso dico meglio prima. C’erano tantissimi campioni. Anche le piccole squadre avevano disponibilità e rose di grandissimo livello. Al mio ultimo anno all’Atalanta, ad esempio, si viaggiava sui 30 miliardi per Comandini o i 20 per Saudati, tanto per fare un esempio. Prima era un calcio più divertente”. Parliamo di ex compagni di squadra. Con chi hai legato maggiormente in campo? Con chi si è creato un feeling particolare? “Se uno ti sta antipatico fuori dal campo, fai fatica anche in campo, almeno io la penso così. Con Toni, ad esempio, è andata benissimo. Ovviamente giocare con Cassano, che giocava per l’assist, è stato fantastico”. Che fai prima della partita? “Io mi preparo più durante la settimana. So come e cosa devo fare per arrivare

I CENTENARI DEL GOL

Sono ben 77 i giocatori che hanno segnato almeno 100 gol in A, il Pazzo spera di essere il 78esimo… 77. Questo il numero esatto di giocatori che fanno parte di quel ristretto gruppo di giocatori che hanno messo a segno almeno 100 reti nel massimo campionato italiano. Se restringiamo il numero a calciatori ancora in attività, il numero si restringe drasticamente, con solo quattro giocatori nel gotha del calcio, ovvero Totti (237), Di Natale (199), Toni (132) e Cassano (111). Pazzini, al momento, è fermo a quota 97, ovvero a tre centri dal grande traguardo. Il più vicino a centrare l’obiettivo visto che, alle sue spalle, ci sono Pellissier (88) ed Amauri (84). Il Pazzo, ad oggi, ha segnato tre reti con l’Atalanta, 25 in maglia Fiorentina, 36 con la Sampdoria, 16 con l’Inter e 17 con il Milan…

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foto Agenzia Liverani

SEMPRE PROTAGONISTA

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INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

BASTA VIDEOGAMES Da quando è papà, il tempo è dedicato tutto alla famiglia...

INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

IL PROBLEMA DEL FALSO NUEVE Il calcio è cambiato, ora le vere punte faticano a trovare spazio…

TRA LE GEMME...

Nella lista dei gol più belli, anche qualche magia in maglia rossonera...

foto Celeste/Image Sport

Sia dannato chi ha inventato il concetto del Falso Nueve. Si dice che la colpa sia del Barcellona anche se, già negli anni ’70, diverse squadre, soprattutto olandesi, adottavano soluzioni tattiche in cui la presenza di un bomber centrale era, diciamo così, superflua e superata. Dopo essere stato, per anni, elemento vitale per le sue doti di attaccante d’area di rigore con grande istinto per il gol, Pazzini, al pari di altri centravanti puri, sta soffrendo questa nuova moda di giocare senza punte di ruolo. “Il calcio è ciclico.

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foto Buffa/Image Sport

foto Federico De Luca

Una volta dovevi avere la punta centrale per forza, ora non è così importante ma credo che, un giorno, tornerà d’attualità”. Vero e forse prima di quanto ci si possa immaginare. Si pensi alla Juventus che non prescinde da un bomber di razza, vecchio stile, come Llorente. L’Atletico Madrid ha Madzukic, il Chelsea un certo Diego Costa. Insomma, qualcosa sta già cambiando o, forse, non è mai cambiato realmente. Certo, il fascino del Falso Nueve è ancora forte ma, alla fine, avere uno che, in area di rigore, sgomita e lotta, trovando alla fine il modo di beffare i difensori diretti, fa sempre comodo. Quindi, attenzione a Pazzini. Lui è una punta centrale vera e, prima o poi, tornerà a fare la differenza, sempre là, nell’amata area di rigore…

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INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

alla partita. Personalmente, quando devo affrontare grandi match, a ridosso della gara preferisco non pensarci molto”. Ma fai differenza tra partita e partita? “Sicuramente un Milan-Barcellona di Champions ha un peso specifico maggiore. Ci pensi talmente da così tanti giorni, che cerchi di estraniarti quando si avvicina il momento”. Come gestisci una sconfitta pesante, in cui hai giocato male? “Male, io porto tutto a casa, infatti mia moglie mi sopporta fin troppo. Diciamo che, con il passare degli anni, ho imparato a gestire meglio la sconfitta, anche se mi pesa sempre”. E i giudizi di giornali e TV? Come va il rapporto con i media? “No, non mi interessano. Non li guardo sia in caso di mia brutta prestazione, sia in caso di grande partita. Quando ero giovane ci facevo più caso, ora non più”. Magari non ci pensi giocando alla play? “Vorrei ,ma con il bambino piccolo, pensare di giocare a qualsiasi videogame è impossibile. La TV è già sua, tutto il tempo libero è per lui”.

“” Compagni ideali? Con Toni è andata benissimo. Ovviamente giocare con Cassano, che giocava per l’assist, è stato fantastico non ci pensi? “Fino a qualche anno fa l’estero non mi intrigava. Da bambino volevo giocare in A, ora la situazione è diversa. Chiunque è stato a giocare fuori dall’Italia me ne ha parlato bene. Stadi, cultura sportiva, tifosi, insomma c’è tanto da scoprire e da vivere. Si respira un calcio diverso. Per questo ora mi affascina come idea”. Parliamo dei tuoi prossimi obiettivi… “Da bambino sognavo di giocare in Serie A, poi ho voluto fortemente la Nazionale, poi la Champions League, tutti obiettivi raggiunti. Avendo vinto solo una Coppa Italia, mi piacerebbe ora vincere qualcosa di importante. Vivere quei momenti al meglio. Mentre, a livello personale, voglio arrivare a 100 gol in Serie A (al momento siamo a 97 ndr). Peccato che, da quando ho iniziato a pensarci, non ho più segnato (ride, ndr). Anche le 300 in A non sarebbero male”. Tutto chiarito sul fronte calciatore. A livello extracalcistico come andiamo? Cinema, cibo? “Pochissimo il cinema, mi annoia. È un problema perché a mia moglie piace molto… Io sono un grande amante della cucina. Adoro la pasta, pizza, focacce,

ovviamente la carne. Io mangerei in continuazione, quindi devo stare attento”. Non possiamo non parlare del nuovo Milan di Inzaghi. Sembra proprio che ci sia un entusiasmo contagioso… “Quando arrivano i risultati, è normale che l’atmosfera sia buona. Dobbiamo essere bravi a portare avanti l’entusiasmo che si respira in questo momento. Vincere aiuta a vincere e anche il rapporto con i tifosi diventa migliore”.

C’E’ ALTRO NELLA VITA Pazzini non ha dubbi: non giocare mai fino a 40 anni come “il cugino” Zanetti

Intanto però, a livello europeo, il gap con le grandi squadre estere sembra diventare sempre più evidente, no? “Dalle due o tre potenze europee, direi che siamo decisamente lontani. Hanno budget e campioni che noi non abbiamo più. Comunque l’Italia ha una tradizione talmente forte che credo si difenderà sempre bene”. Ultima domanda: che farai una volta appese le scarpe al chiodo? “Non giocherò fino ai 40 anni come Zanetti, questo è sicuro (ride, ndr). Vorrei decidere io quando smettere, non che siano gli altri ad impormelo. Mi piacerebbe restare nel calcio. Allenatore non mi ci vedo, forse con i giovani. Poi non si sa mai…”. Prima c’è altro da conquistare. C’è da entrare nel club dei centenari del gol in Serie A e, se possibile, provare a vincere qualche altro trofeo. Nel salutarlo a fine intervista, noto che la sua voglia di pallone è la stessa che avevo riscontrato, anni fa, quando militava nella Fiorentina. Anche allora l’intervista fu piacevole, a conferma che si cresce, si matura ma il dna è sempre lo stesso. Giampaolo è un bomber di quelli che sanno mettere la palla in fondo alla rete, su questo non ci sono mai stati dubbi… Quindi, auguri Pazzini.

foto Buffa/Image Sport - 3

foto Gambuti/Image Sport

Sei stato in grandi città, come ti sei trovato nelle varie tappe della tua vita? “Onestamente ho fatto delle belle città. Bergamo è carina, mi sono trovato bene, lì sono diventato ragazzo. Splendida Firenze, quattro anni fantastici. Bellissimi anche i due anni di Genova, dove anche a livello sportivo è andato tutto per il meglio. Ora sono a Milano. All’inizio ti disorienta, ma poi prendi confidenza con la città e inizi ad apprezzarla. Ti offre tantissimo e, anche se io non sono uno che esce molto, ti stuzzica molto, anche a livello lavorativo”. Tante belle città italiane ma all’estero

INTERVISTa / GIAMPAOLO PAZZINI

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L’INTERVISTA maxi lopez

INTERVISTa / MAXI LOPEZ

BOMBER VERO

Dove ha giocato, Maxi Lopez ha sempre segnato gol pesanti...

VADO “ANCORA” AL MAXI Faccia a faccia con Maxi Lopez, attaccante del Chievo con una dote unica: mai arrendersi… di Lorenzo MARUCCI foto Davide CASENTINI

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rgentina, Brasile, Spagna, Russia, Italia. Anche se ormai da quattro anni gioca nel nostro Paese, potremmo a buon diritto proprio definirlo l’attaccante con la valigia in mano. Ma chi pensa che lo sia stato per volontà degli altri, si sbaglia. Dove è andato, Maxi Lopez, l’attaccante argentino del Chievo, ha lasciato sempre un buon ricordo di sé, a suon di gol spesso pesanti. Il suo mestiere del resto è stato ed è quello: segnare, gioire e dare soddisfazione alla tifoseria. Se, in particolare, fino a qualche anno fa ha cambiato varie volte Paese e maglia, questo è dipeso essenzialmente da ragioni di mercato (non di rado magari un prestito non riusciva a trasformarsi in un acquisto a titolo definitivo). Ora però pare proprio aver messo le radici in Italia, a tutti gli effetti la sua seconda casa. Per la maggior parte de-

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gli argentini, del resto, ambientarsi e poi vivere nel Bel Paese è facile e al tempo stesso piacevole. Sereno, rilassato, sorridente, lo incontriamo in una giornata di sole in Piazza Bra, nel centro storico di Verona. Intorno a lui tanti ragazzi lo riconoscono e gli chiedono una foto o un autografo. Ma c’è anche qualche mamma che, capito di chi si tratta, si fa avanti. “Me la faresti una dedica per mio figlio?”. E Maxi Lopez paziente e felice, prende la penna in mano e firma. “La città mi sta piacendo, voglio fare qualcosa d’importante per la squadra e ce la sto mettendo tutta”. Sguardo puntato sull’Arena e davanti ad un caffè e biscotti la chiacchierata spazia su tutto, dai suoi sogni di bambino fino al presente di giocatore affermato e ancora desideroso di lasciare il segno. Dall’asado fino alla passione per Ferrari e Lamborghini. Maxi, accennavamo alla tua carriera

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INTERVISTa / MAXI LOPEZ

IDOLO A VERONA

Al Chievo ha trovato tanto amore e la voglia di stupire ancora...

INTERVISTa / MAXI LOPEZ

“”

Inghilterra? Ci ho fatto un pensierino, ma poi il calcio inglese è rimasto solo un sogno. Magari però chissà, un giorno di giramondo. A questo punto ti manca solo l’Inghilterra... “In effetti è vero, non sono mai stato a giocare in Premier League anche se non nego che l’ipotesi è interessante e affascinante. E se mi guardo indietro ho anche avuto qualche opportunità per andare a giocare in quel campionato, ma al momento di scegliere ho deciso di andare prima al Barcellona e poi al Milan”. In quali squadre avresti potuto giocare? “Mi avevano cercato l’Arsenal e il Fulham. Ci ho fatto un pensierino, ma poi il calcio inglese è rimasto solo un sogno. Magari però chissà, un giorno...”. In fondo, comunque, non puoi lamentarsi per la tua carriera… “Sì, a partire dal Barcellona ho potuto giocare in grandi squadre e con giocatori straordinari. Sono state tutte esperienze coinvolgenti e divertenti, che mi hanno trasmesso emozioni”. A proposito del Barcellona, è vero che in quel periodo - il 2005 - trascorrevi del tempo con il giovanissimo Messi? “Leo era piccolo a quell’epoca e non lo lasciavano uscire facilmente. D’altra parte quando si parla di un giocatore giovane, oltretutto di grandissimo talento, è giusto avere mille attenzioni, proteggerlo dai pericoli della vita di tutti i giorni. Però quando organizzavo a casa mia alcune serate argentine a base di asado e barbecue, lo andavo a prendere in macchina e, in accordo con suo papà, ci divertivamo insieme ad altri compagni di squadra. Giocavamo anche alla playstation. Con Messi poi col passare del tempo siamo rimasti buoni amici, tanto che ancor oggi ci sentiamo, ci scambia-

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mo opinioni e messaggi e quando posso vado pure a trovarlo”.

giamenti della gente sono stati speciali, coinvolgenti”.

Avevi capito subito che sarebbe diventato Messi, probabilmente, il migliore al mondo? “Si vedeva ad occhio nudo che era diverso dagli altri, classe vera, movimenti e giocate che gli riuscivano con una naturalezza incredibile. Certo, era difficile immaginare e pronosticare dove sarebbe arrivato. Del resto, agli inizi, in una squadra dove tutto girava alla perfezione, doveva trovare spazio, cosa non semplice pure per un calciatore di classe come Leo. Pian piano, con le sue enormi qualità, si è imposto al mondo intero, non solo al Barça”.

Come ti sei trovato a Barcellona? Ti sei ambientato facilmente? “Ero giovane, alla mia prima esperienza in Europa. Ma tutti mi hanno fatto sentire come fossi a casa mia, in particolare i più esperti come Ronaldinho, Deco, Rafa Marquez (che ora ha ritrovato da avversario al Verona, ndr), Pujol e Xavi”.

Il Barcellona è stata la squadra più importante in cui hai giocato? “Direi di sì, in effetti con la maglia blaugrana in due anni ho vinto quasi tutto: il Barça (allenatore Rijkaard) non vinceva da qualche anno e tornare al successo è stato pazzesco. I festeg-

Dopo l’esperienza al Maiorca ti sei ritrovato all’FK Mosca: ti sei sentito in un mondo nuovo, quasi sconosciuto, immagino… “Ho sempre avuto una certa attenzione per la cultura russa, non mi è mai mancata la curiosità di conoscere quel Paese. Potevo andare a giocare in Francia o in Portogallo, ma il mio procuratore aveva già portato in quella squadra anche Maxi Moralez e si era quindi aperta un’opportunità che ho deciso di cogliere al volo. In Spagna naturalmente ci sono abitudini di vita diverse, però sincera-

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INTERVISTa / MAXI LOPEZ

INTERVISTa / MAXI LOPEZ

“” Non posso

ANCHE A BARCELLONA Nel suo passato anni importanti in blaugrana...

dimenticare il gol realizzato in Champions League in Barcellona-Chelsea mente nei due anni in Russia mi sono trovato molto bene”. La squadra era forte? “Sì, e poi c’era un gruppo spettacolare di argentini con cui ogni mercoledì sera ci riunivamo per le nostre serate di asado, poker e playstation. Eravamo sempre in venticinque-trenta persone: c’erano anche Maxi Moralez, Barrientos, Leandro Fernandez. Il primo anno fu duro soprattutto per la lingua, anche in considerazione del fatto che non tutti parlano l’inglese. Così giravo sempre con l’interprete che alla fine era praticamente diventato mio fratello...”.

foto Daniele Buffa/Image Sport

E invece dicci la verità: vista la rivalità, com’è per un argentino andare a giocare in Brasile? Tu hai vestito anche la maglia del Gremio... “Ve lo devo dire? All’inizio mi sono... cagato sotto (ride ndr). Era una bella sfida, un po’ mi faceva paura, non sapevo come sarei stato accolto. Il rischio di un difficile ambientamento poteva esserci, dato che in effetti brasiliani e argentini non si amano. In realtà si rivelò una scelta intelligente e azzeccata sotto tutti i punti di vista: nessuno mi mise pressioni, né mi creò problemi e inoltre sfruttai bene le mie occasioni. Dovevo giocare con continuità e mi ritrovai in una squadra eccezionale, andammo alla grande. Fu davvero un piacere giocare con quel gruppo. E tra i giocatori in quel momento in ascesa c’era pure Douglas Costa (ora allo Shaktar Donetsk, ndr)”.

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Dunque, sei stato accolto bene? “Benissimo. Al Gremio per fortuna ci sono tanti argentini, e anche i brasiliani hanno una cultura abbastanza simile alla nostra. Mi sono trovato velocemente in sintonia con la tifoseria, anche perché fui bravo ad andare immediatamente in rete, alla prima partita (alla fine in tota-

le saranno 17 i suoi gol, ndr). Tra l’altro non dimenticherò mai un particolare veramente curioso: in quel periodo avevo i capelli lunghi e col passare delle partite ero entrato così tanto nel cuore della gente, che moltissimi arrivavano allo stadio con una parrucca bionda, proprio come la mia capigliatura... Faceva un bell’effetto, mi volevano bene”.

SEMPRE AL MASSIMO

Dentro e fuori dal campo, Maxi Lopez non teme nessuno...

Avresti voluto restare ancora lì? “C’era l’opportunità, ma ero in prestito e quando si doveva definire tutto per il passaggio a titolo definitivo, ero in vacanza in Italia, a Roma. Stavo parlando con un club italiano della capitale (ma preferisce non specificare quale dei due, ndr) ma dopo una serie di contatti non se ne fece di niente”. L’Italia però era nel tuo destino... “Sì perché all’improvviso apparve Pietro Lo Monaco, ad del Catania, che mi disse: “Vieni da noi”. Era il gennaio del 2010 e la squadra era messa male in classifica. C’era da risalire e occorreva dare una sterzata, velocemente. Per me era una nuova sfida”. In Sicilia hai ritrovato, nuovamente, un gran bell’ambiente, pieno zeppo di argentini… “Eravamo una squadra argentina. A volte, quando Capuano non era in condizione, potevano esserci addirittura undici argentini in campo. Quell’anno era realmente difficile, ma ci siamo salvati compiendo una grande impresa. Così come quella dell’anno successivo quando siamo rimasti in Serie A con Simeone in panchina (un altro argentino), stabilendo anche il record di punti del Catania in A, quarantasei”. Il momento più bello al Catania? “Il mio primo derby, contro il Palermo, il 3 aprile 2010. Era il giorno del mio ventiseiesimo compleanno e segnai una doppietta: fu una partita indimenticabile, meravigliosa. La gente era impazzita di gioia e la sera mi ritrovai una marea di persone sotto casa per ringraziarmi. Fui piacevolmente sorpreso, in Argentina si vivono situazioni simili, ma Catania è una città abbastanza piccola e non immaginavo che potesse esserci una manifestazione di quel genere. Mi portarono regali in gran quantità, dolci e prelibatezze varie. Roba da ingrassare almeno un chilo (ride, ndr)”.

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INTERVISTa / MAXI LOPEZ

INTERVISTa / MAXI LOPEZ

UNA CARRIERA DI CORSA…

INNAMORATO DELL’ITALIA

Argentino, gioca nel nostro Paese dal gennaio del 2010...

Dal River al Chievo, passando da grandi squadre come Barcellona e Milan, Maxi non si è mai fermato… Un palmares ricco e invidiabile. Maxi Lopez, argentino di Buenos Aires dove è nato il tre aprile del 1984, è riuscito a togliersi parecchie soddisfazioni: prima di approdare in Europa, al River Plate - la squadra di cui è tifoso e nella quale è cresciuto - ha vinto ben tre campionati, tutti di Clausura, nel 2002, nel 2003 e nel 2004. Acquistato nel gennaio 2005 dal Barcellona per sei milioni e mezzo di euro, ha segnato all’esordio in Champions League contro il Chelsea (2-1 per gli spagnoli): alcuni infortuni non gli hanno consentito di giocare con continuità, ma Maxi ha partecipato comunque alla conquista dello scudetto del 2005 e del 2006 del Barça. E con i blaugrana ha vinto pure la Supercoppa del 2005 e la Champions del 2006. Dopo l’esperienza al Malaga (tre reti in 29 gare) è poi passato a titolo definitivo all’FK Mosca, dove si è rivelato uno dei giocatori più importanti segnando in campionato 9 reti in 22 partite. Felice anche l’esperienza successiva al Gremio, mentre nel gennaio del 2010 ha iniziato la sua avventura al Catania, uno dei suoi migliori periodi: ha segnato infatti undici reti in 17 partite ed è risultato fondamentale per la salvezza della squadra siciliana. L’anno successivo ha realizzato otto reti, ma nel gennaio 2012 il Catania ha deciso di cederlo in prestito al Milan, dove però ha messo a segno solo un gol in otto partite. Nella stagione 2012-13 è passato alla Samp dove alla fine del campionato le reti sono state quattro. Tornato al Catania, qui è rimasto fino a gennaio, perché durante il mercato invernale ha fatto ritorno alla Sampdoria dove ha realizzato l’unico gol, pesantissimo, nel derby contro il Genoa. Una rete decisiva che ha consegnato la vittoria ai blucerchiati. Quest’estate è passato a titolo definitivo al Chievo.

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INTERVISTa / MAXI LOPEZ

L’addio al Catania un anno e mezzo è stato duro? “Sì perché le cose potevano anche andare diversamente. Fa parte del calcio, ma in quel periodo il club rifiutò varie proposte pure dall’estero. Passai al Milan, un salto di qualità, ma la gente non la prese bene, perché si era legata profondamente a me”. Pensavi che l’esperienza in rossonero potesse darti maggiori soddisfazioni? “Se fossi rimasto di più, come mi avevano detto, magari le cose potevano andare anche diversamente, però avevo pure voglia di giocare con continuità e allora ho detto subito sì alla proposta della Sampdoria. Marassi è uno stadio pazzesco che ti trasmette emozioni speciali e l’ho vissuto con piacere sulla mia pelle. La tifoseria è davvero stupenda. Lì mi sono sentito come in Argentina, con un pubblico che ti spinge e ti mette le ali. Anche alla Samp ho avuto la fortuna e l’onore di segnare nel derby, un altro giorno impossibile da scordare, il 3 febbraio di quest’anno. È stato un gol frutto di un lancio in verticale di Mustafi, ho controllato il pallone per poi fare un triangolo con Eder e con un diagonale di destro ho battuto Perin”. Ora che sei al Chievo quali sono i tuoi

INTERVISTa / MAXI LOPEZ

“” Messi? Quando organizzavo a casa mia alcune serate argentine a base di asado e barbecue, ci divertivamo insieme obiettivi? “L’importante è ovviamente raggiungere l’obiettivo, dobbiamo arrivare alla salvezza il prima possibile, magari anche grazie ai miei gol. Stiamo dando fondo a tutte le nostre energie”. Hai 30 anni e varie stagioni davanti a te, ma hai già un’idea di quanto giocherai ancora? “Lo farò finché il calcio mi darà la sensazione di trovare nuove sfide, anche negli allenamenti di tutti i giorni. Servono sempre gli stimoli giusti. Quando mentalmente sei carico, puoi andare avanti senza problemi, se invece diventa dura e ti sembra un problema, allora capisci che probabilmente è arrivato il momento

di smettere”.

Il gol più importante a chi lo hai segnato? “Ce sono parecchi, non posso citarne soltanto uno: sicuramente nella galleria dei miei gol preferiti c’è il mio primo da professionista, in un derby River-San Lorenzo. Ma non solo: la doppietta contro il Palermo, e poi un gol nel derby brasiliano tra Gremio e Internacional. Però non dimenticherò mai quello realizzato in Champions League in Barcellona-Chelsea (2-1 finale per gli spagnoli, ndr). Quello fu un bel gol davvero: in mezzo all’area di rigore, superai un avversario con una finta e calciai forte in porta per poi esultare sotto la curva”.

LE SCARPE DI MAXI… Quando sei un attaccante che fa la differenza, servono strumenti all’altezza… Per ogni punta che si rispetti, servono scarpe di qualità. Testimonial adidas, Maxi Lopez indossa le straordinarie adizero F50. Da una parte all’altra del campo, dentro l’area di rigore avversaria e fuori dalla tua, queste scarpe da calcio sono realizzate per offrire la velocità necessaria a vincere le partite. Caratterizzate da una tomaia HYBRIDTOUCH in pelle sintetica, sono dotate di motivo in rilievo DRIBBLETEX che garantisce un maggiore contatto con la palla a ogni tocco. La suola TRAXION™ FG con allineamento dei tacchetti SPEEDTRAXION assicura un grip e una spinta ottimali. • Morbida pelle sintetica HYBRIDTOUCH che offre leggerezza e prestazioni eccellenti • Motivo DRIBBLETEX 3D in rilievo che offre un grip migliore durante i dribbling ad alta velocità anche quando piove • Tomaia SPEEDFOIL leggera e resistente per una maggiore flessibilità e una calzata ottimale intorno al tallone • Confortevole fodera in tessuto

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UN NUOVO AMORE Maxi Lopez ha ripreso a correre anche con il cuore...

Nel corso della tua carriera hai avuto tanti allenatori importanti e prestigiosi: quale è stato quello che ti ha trasmesso qualcosa in più? “Sicuramente Ramon Diaz, al River Plate (il ‘puntero triste’ che giocò con Fiorentina e Inter, ndr): mi ha dato la possibilità di fare ciò che ho fatto. Ha avuto fiducia in me e mi ha lanciato nel calcio che conta e dunque mi sento molto legato a lui. Da giocatore è ricordato da tutti anche per i suoi trascorsi in nazionale, ma pure come allenatore è riuscito a ottenere buonissimi risultati”.

È vero che sei sempre stato tifoso del River Plate? “Sì, e il mio idolo era Enzo Francescoli (giocò anche nel Cagliari) un centravanti vecchio stile che giocava benissimo, con eleganza. Poi, tra i giocatori che ho apprezzato più di tutti, c’è il grande Gabriel Batistuta: per noi argentini è un mito per quello che ha fatto nel corso della sua carriera. Io ho avuto il piacere di conoscerlo e prima di arrivare in Italia ho parlato con lui. Mi ha dato una serie di consigli molto utili sulla base della sua esperienza in Serie A”. A proposito del River Plate, sarai contento del nuovo corso della squadra… Quest’anno si è ripreso alla grandissima? “Sì, finalmente dopo anni bui stiamo tornando ai livelli che ci competono. E ovviamente, da attaccante, mi piace molto Teofilo Gutierrez che sta contribuendo alle fortune del River”.

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Contento anche che il Papa sia un argentino? “Sì, certamente. Ancora non ho avuta la fortuna di incontrarlo, ma mi piacerebbe parecchio. Esprime concetti bellissimi. Secondo me è un Papa che... spacca di brutto”.

Parliamo del tuo tempo libero, come lo spendi? “Con le persone che mi rendono felice e con cui trascorrere parte delle giornate è leggero e piacevole”. Quali sono le tue passioni extracalcistiche? “Mi piacciono molto le auto: Ferrari, Lamborghini, Porsche, McLaren, Mercedes sono le mie preferite. Seguo la Formula Uno e faccio il tifo per la Ferrari, i migliori piloti a mio parere sono proprio quelli della Rossa. Una volta sono andato anche a Montecarlo a seguire dal vivo un Gran Premio. Non sono invece ancora riuscito ad andare a vedere quello a Monza, ma prima o poi ce la farò”.

qui, senza girarci troppo attorno: che cosa le ha insegnato l’esperienza del matrimonio che è andato male? “Beh, comunque voglio sottolineare un aspetto bellissimo: mi ha dato tre figli che rappresentano la mia vita. Dagli errori poi si impara sempre e io sono ripartito alla grande. La vita, come il calcio, ti regala momenti belli e brutti, ma l’importante è saper ricominciare”. E Maxi Lopez è ripartito davvero alla grande. Al Chievo, come ovunque è stato, la gente ne apprezza la dedizione e la grande passione che mette ogni volta che entra in campo. L’uomo dai gol pesanti ha ancora tanto da dire, tutti avvisati…

Passiamo ai piatti preferiti... “Da argentino, naturalmente l’asado. Per chi non lo sapesse è carne di manzo cotta alla brace. Una nostra specialità. Ma pure la cucina italiana è eccellente, ormai ho avuto la possibilità di conoscerla e apprezzarla a fondo. La pasta è fantastica, gli spaghetti in particolare. Ma mi piacciono tutti i primi in generale”. Maxi, dopo che abbiamo parlato a lungo di calcio questa domanda in fondo se l’aspetterà e allora eccola

Intervista di Lorenzo Marucci

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GOL, ARTE SENZA TEMPO

DI NATALE, MISTER 200

Totò è entrato a far parte di una lista ristretta di super bomber

Segnare è un mestiere difficile. Chi lo sa fare, lo fa per sempre, a prescindere dalla carta d’identità…

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foto Nicolo’ Zangirolami/Image Sport

foto Daniele Buffa/Image Sport

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argo ai giovani, si continua a ripetere da più parti. Le nuove stelle premono con forza per avere il favore delle luci della ribalta, eppure c’è chi proprio non ha intenzione di lasciare il proscenio. Avete presente Cocoon? Geniale film diretto da Ron Howard nel lontano 1985, raccontava di anziani che, banalizzando, tornavano in grandissime condizioni fisiche e mentali immergendosi in una piscina magica. Non sappiamo se i vari Toni, Di Natale, Totti, Klose e tutti i restanti ultratrentenni del nostro calcio abbiano un elisir magico che li rende vitali come non mai (in effetti, a pensarci, il bomber della Lazio si fa bagni di acqua gelata prima di scendere in campo, ma questa è un’altra storia) ma i risultati sono comunque sbalorditivi. Si prenda, ad esempio, l’immarcescibile Totò. Con la baldanza e l’arroganza di un ragazzino, ha spento le 200 candeline (ognuna equivalente ad un gol) in Serie A e, soprattutto, è ancora il terminale offensivo principe di un’Udinese zeppa di giovani. Di Totti si è già detto tutto, meglio soffermarsi su Toni. Nel 1999 sembrava finito, lo scorso anno ha sfiorato il titolo di capocannoniere e quest’anno, sempre a Verona, lo venerano come fosse la Gioconda. Anche il buon Klose non si è fatto da parte. L’esplosione di Djordjevic, uno di quei giovinastri che vogliono brillare di luce propria, sembrava averlo condannato all’esilio. No, niente da fare, Klose è ancora lì, a fare il lavoro che gli riesce meglio: il gol! E proprio qui sta il trucco. Al di là di una condizione fisica impeccabile, il segreto di cotanta resistenza è l’innata capacità di andare in rete. Parliamo di giocatori che, davanti ad un portiere, chiunque esso sia, difficilmente sbagliano. Affidabi-

di Fabrizio PONCIROLI

li, sicuri, veri e propri cecchini. E, in un calcio, soprattutto quello italiano, in cui le occasioni da gol, in una partita, si contano sulle dita di una mano, avere bomber che non tradiscono è essenziale. Quindi, chi se ne frega della carta d’identità, l’importante è che sappiamo mettere la palla in fondo alla rete e, in questo, lor signori non hanno mai avuto problemi. M a non pensate che la moda del bomber attempato sia di recente creazione. Basta sfogliare, con attenzione, il libro maestro della nostra Serie A per scoprire tanti casi simili. Il più emblematico porta ad un nome epico come quello di Nordahl. Forte di già quattro titoli di capocannoniere della massima serie vinti, lo sfavillante svedese, nel campionato 1954/55, compie l’inimmaginabile. All’età, non più freschissima (soprattutto in quel calcio), di 34 anni e otto mesi, il rossonero Nordahl si laurea nuovamente miglior marcatore del nostro campionato, con ben 27 reti all’attivo (compresa una quaterna rifilata alla Spal) e, badate bene, solo una su calcio di rigore. Nessuno lo infastidisce, tanto che Bettini, attaccante dell’Udinese, chiuderà secondo a “sole” 20 reti. Non aggiungiamo altro…

SPECIALE/ VECCHI BOMBER

DARIO Hübner

a 35 anni, è il capocannoniere più anziano della Serie A, Toni, lo scorso anno, gli ha quasi soffiato il record…

IL MIRACOLO DI Hübner Capocannoniere a 35 anni suonati in Serie A. Un’impresa titanica, degna di un Bisonte… Nella stagione 2001/02 accade qualcosa di speciale in Serie A. I noti fatti del “5 maggio” sono ancora vivi nella mente di interisti e bianconeri ma, in quel giorno, succede ben altro. Il Piacenza ospita il Verona. In gioco la permanenza nella massima serie. I biancorossi di mister Novellino non tradiscono e si impongono con un secco 3-0, conquistando il diritto di restare in Serie A. In cadetteria ci va l’Hellas. In quella splendida giornata, Hübner è protagonista assoluto. Due delle tre reti dei Lupi portano la sua firma. Una doppietta importantissima che, di fatto, consegna al Bisonte (questo il soprannome di Hübner) il titolo di capocannoniere della Serie A al pari di Trezeguet (24 reti). La “prima” in assoluto per un giocatore del Piacenza ma, soprattutto, un record storico per Hübner che, a 35 anni suonati, diventa il capocannoniere più attempato nella storia del nostro calcio. Un’impresa pazzesca, difficilmente eguagliabile (anche se Toni, lo scorso anno, ci è andato vicino). Non proprio una casualità. Godeas, a 33 anni suonati, nella stagione 2007/08, conquistava il titolo di capocannoniere di Serie B con il Mantova. Ancora meglio il colpo di Protti. Nella stagione 2002/03, con la casacca del Livorno, il bomber, allora 35enne, diviene il marcatore assoluto del campionato con 23 centri. Pochi esempi per ribadire il concetto di partenza: non si disimpara mai di segnare…

foto Daniele Buffa/Image Sport

SPECIALE VECCHI BOMBER

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SPECIALE/ VECCHI BOMBER

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LEGGENDE DEL GOL

TOTTI, LA VERA BANDIERA

Per ben cinque volte Top Scorer in Ligue 1, l’ultima a 36 anni suonati. Una leggenda…

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foto Carlo Lorenzini/ Liverani

Prima il Manchester City, poi il CSKA, la leggenda continua…

foto Daniele Buffa/Image Sport

Di cannonieri senza età ce ne sono stati a bizzeffe e ancora ne verranno. La lista è lunga ma, tra tanti nomi, andiamo a pescare la pazzesca favola di Delio Onnis. Nato in Italia, dalle parti di Frosinone, nel lontano 24 marzo 1948, muove i primi passi nel calcio professionistico in Argentina. Nel 1971 emigra in Francia dove, di fatto, diventerà una leggenda. Al suo primo anno in Ligue 1 segna 22 reti, lasciando tutti a bocca aperta. Il Monaco mette gli occhi su “El Tano”, il soprannome con cui è noto. Con i monegaschi continua a segnare, conquistando anche due titoli di capocannoniere (tre se si considera anche il titolo di Division 2 nella stagione 1976/77). A 32 anni passa al Tours. Lo danno per bollito, ma Onnis vince altre due volte la classifica dei marcatori della Ligue 1, zittendo tutti. Nel 1983 il Toulon gli propone l’ultimo contratto della sua carriera. Ormai 35enne pare ormai non aver più nulla da offrire. Non è così. La stagione 1983/84 lo vede, per la quinta volta in carriera, trionfare nella classifica dei marcatori della Ligue 1 con 21 centri (al pari di Garande dell’Auxerre, di 12 anni più giovane di lui, tanto per darvi un’informazione anagrafica in più). Ancora oggi è il più prolifico marcatore nella storia del calcio francese, con ben 299 gol segnati e cinque titoli di capocannoniere, l’ultimo con brindisi a 36 anni suonati…

TOTTI, IL VECCHIO DELLA CHAMPIONS Non contento di essere il più prolifico marcatore del massimo campionato italiano in attività, il 10 della Roma ha voluto fare le cose in grande anche in Europa. A conferma della sua innata capacità di trovare la via del gol, il giallorosso, proprio per dimostrare che si è bomber per tutta la vita, lo scorso 30 settembre ha riscritto una delle pagine dei record della Champions League. Contro il Manchester City, Totti ha segnato un gol da applausi. Bello e importante, visto che gli ha permesso di diventare il cannoniere più anziano nella storia della Champions. Ha gonfiato la rete a 38 anni e 3 giorni, facendo meglio di un certo Giggs che, circa tre anni prima (esattamente il 14 settembre 2011), contro il Benfica, aveva segnato a 37 anni e 290 giorni. Ma con Totti non c’è mai da sorprendersi. Ed ecco che, circa due mesi più tardi, esattamente il 25 novembre, arriva un’altra perla in Champions, a Mosca, contro il CSKA per aggiornare record e dati. La leggenda continua… Per chi ama le statistiche, il terzo nella specialissima classifica è un certo Inzaghi: gol al Real Madrid a 37 anni e 87 giorni. Un rossonero davanti ad un nerazzurro, ossia Zanetti, in rete (contro il Tottenham, il 20 ottobre 2010) a 37 anni e 72 giorni… Anche in Europa, il bomber “di scuola italiana” funziona…

foto Insidefoto/Image Sport

LA FAVOLA DI “EL TANO”

Sempre protagonista con l’amata maglia della Roma, l’uomo dei record

foto Federico De Luca

Da Baggio a Nordahl, passando per Toni, tutti attaccanti con il vizio del gol

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IL PERSONAGGIO Maurizio Sarri

IL PERSONAGGIO / MAURIZIO SARRI

SEMPRE IN TRINCEA La carriera da allenatore di Sarri è iniziata nel lontano 1990

SARRI, UN LIBRO APERTO…

Legge tanto, è amato dai tifosi dell’Empoli e non è affatto un tecnico convenzionale…

di Lorenzo MARUCCI foto Federico De Luca

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IL PERSONAGGIO / MAURIZIO SARRI

ALLENATORE ATIPICO Amante della lettura, Sarri è alla guida dell’Empoli dal 2012

IL PERSONAGGIO / MAURIZIO SARRI

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n uomo di calcio con cui parlare di qualsiasi argomento. “Metterei l’obbligo di un libro da leggere ogni settimana. Per tutti”. Un’idea non male quella lanciata da Maurizio Sarri, il tecnico dell’Empoli quest’anno alla prima esperienza in Serie A. Sigaretta quasi inseparabile tra le dita, il tecnico toscano rifugge le banalità o le frasi che fanno parte del repertorio abusato del calcio. Bastano queste parole del resto per capire lo spessore del personaggio, che non si ferma solo a studiare gli avversari ma si ritaglia uno spazio da dedicare anche ai grandi scrittori. Non solo insomma 4-4-2 o 3-5-2, ma anche un po’ di cultura, con Mario Vargas Llosa a farla da padrone tra i suoi scrittori preferiti. Una chiacchierata a tutto tondo quella con Sarri, in uno scenario che trasmette un senso di pace e tranquillità assoluta. Pieve di Gropina, nel comune di Loro Ciuffenna, in provincia di Arezzo, è uno degli esempi più belli e significativi dell’architettura romanica in Toscana. Qui, all’inizio degli anni Ottanta, Sarri decise di sposarsi: “Ci piacque la località e anche la chiesa, mia moglie tra l’altro abitava qui vicino, così la scelta fu abbastanza rapida”. Sono passati più di trent’anni da quel giorno e Sarri ha progressivamente raggiunto una serie di traguardi ambiziosi. Sarri, la Serie A è un sogno che si realizza? “Ho iniziato a livelli bassi, il mio obiettivo era fare l’allenatore professionista ma mi sembrava impensabile poter raggiungere un giorno la Serie A. Il percorso è stato lungo e tortuoso e ora sono felice di esserci”. Quando è scattata la molla che ti ha fatto capire che questo sarebbe stato il tuo mestiere? “Ero a Stia, in provincia di Arezzo, dove stavo chiudendo la mia carriera di giocatore e il presidente un giorno mi chiamò, durante la stagione, chiedendomi di sostituire l’allenatore. Gli dissi che avrei tenuto la squadra per una settimana in attesa di un tecnico vero e proprio. Pensavo insomma, che sarebbe stata una soluzione transitoria, ma poi arrivarono

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“” Mi fa rabbia sentir dire che sono l’allenatore dei 33 schemi da palla inattiva. Non mi piace perché non è vero

BASTA CON L’ETICHETTA DEL PASSATO Riduttivo ricordalo ancora come l’ex impiegato

una serie di buoni risultati che mi fecero appassionare alla nuova professione e a quel punto volevo solo allenare”. Adesso che hai conosciuto la Serie A te la immaginavi proprio così? “Devo dire che non vedo un livello di organizzazione superiore alla B. Ovviamente le qualità tecniche e fisiche dei singoli sono più elevate. I grandi giocatori, quelli di spessore, possono decidere le partite: a volte hai la sensazione di avere la gara in mano, ma poi alla fine ti ritrovi con una sconfitta. A mio parere, tra l’altro, l’allenatore di una grande squadra non tende a fare un’organizzazione difensiva straordinaria, pur avendone ovviamente le possibilità e le capacità: ti attacca con tanti giocatori e in difesa si affida principalmente ad un due contro due”. Nel tuo percorso di allenatore quali sono stati i tuoi modelli? “Non ho un vero e proprio maestro. Ho seguito certamente Sacchi, ma ho avuto modo di vedere con attenzione gli allenamenti di Delneri, Spalletti e Giampaolo, quest’ultimo dal punto di vista teorico un grande allenatore. Ho preso un po’ di idee da tutti”. Quali sono le caratteristiche fondamentali che un allenatore deve assolutamente avere? “Una personalità forte e positiva, grande capacità di linguaggio, e conoscenza”. Ti danno fastidio alcune etichette che ti sono state appiccicate addosso? “Mi fa rabbia sentir dire che sono l’allenatore dei 33 schemi da palla inattiva. Non mi piace perché non è vero e perché poi ti esponi anche alle critiche:

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IL PERSONAGGIO / MAURIZIO SARRI

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LA FIDUCIA DI CORSI

MAI BANALE

Dopo la promozione in A della passata stagione, il patron lo ha confermato senza dubbi...

Considerato fuori dagli schemi, in realtà dice sempre quello che pensa...

nel calcio se vinci sei un grande, se perdi sei un cretino. Quando si parla di me si fa anche riferimento al fatto che facevo l’impiegato in banca (alla MontePaschi, ndr) e mi si chiama a volte ancora l’ex impiegato, ma mi sembra riduttivo, anche perché c’è stato poi un bel percorso da allenatore”. Tra i luoghi comuni c’è anche quello che vesti spesso in nero... “Alla Sansovino quando andavo in panchina indossavo una divisa nera. La squadra vinceva tutto e la feci rifare varie volte negli anni successivi. Ma erano anche i colori sociali del club”. Prima di allenare, in che ruolo giocavi? “Ero un difensore... alla Tonelli, per citare un mio giocatore. Anche se uno dei modelli dell’epoca era Vierchowod, difensore roccioso e implacabile. Marcavo l’attaccante più forte. Cercavo di seguire i consigli dei miei tecnici: fra l’altro tra gli allenatori ho avuto anche il mitico Kurt Hamrin, storico attaccante di Fiorentina, Milan e Juventus. A fine allenamento si metteva a calciare con noi e indirizzava la palla sempre al sette. Ci chiedeva di farlo anche a noi, ma… i nostri piedi erano diversi”. Dicevi di Stia e dei tuoi primi anni da allenatore: che cosa le hanno lasciato? “C’era un gruppo di ragazzi eccezionali con cui ancor oggi mi vedo. Sono legato anche all’esperienza della Faellese in una cittadina, Faella, dove il campo era vicino a casa mia. Così come non dimentico

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Maccarone è un calciatore di un’importanza mostruosa. Valdifiori, ha una velocità di pensiero che hanno in pochi i tempi dell’Antella, nella zona di Firenze sud: ricordo un episodio curioso che vide coinvolto in una partita il nostro centravanti Gelli. Aveva i crampi, chiese il cambio e si tolse i parastinchi nell’attesa di essere sostituito. Nel frattempo, però la nostra squadra partì in contropiede e lui segnò con i parastinchi in mano...”. Uno dei tuoi fiori all’occhiello però è stata l’esperienza alla Sansovino: in tre anni dall’Eccellenza ai professionisti... “Tre anni stupendi che ci portarono anche a vincere la Coppa Italia di Serie D, straordinaria per un paese come Monte San Savino. Tanti traguardi che furono possibili anche grazie ad una serie di giocatori che avevo voluto: tra questi Vespignani e Bongiorni, che forse ha fatto una carriera inferiore alle sue possibilità”. La prima panchina tra i professionisti però è stata con la Sangiovannese.

Come la ricordi? “Quella è una piazza ambiziosa, che ha visto passare allenatori del calibro di Acori, Braglia e Sannino. Ho fatto una scelta di cuore, perché mi sento valdagnese ed è stato bello poter incontrare e lavorare con un presidente come Casprini: abbiamo vinto il campionato di C2 e poi in C1 eravamo al terzo posto quando arrivò la terribile notizia della morte del presidente. La situazione cambiò immediatamente, il ciclo si avviava a chiudersi”. Il tuo approdo in B come è stato? “Arrivai al Pescara che era stato appena ripescato, ma la squadra era solida e giocammo un bel campionato, salvandoci. Con i giocatori avevo un atteggiamento più rigido di adesso, ma trovai un ambiente che proveniva dalla retrocessione ed era facile farsi seguire”. Ad Arezzo invece sono legati ricordi agro-dolci? “Il presidente Mancini è una persona particolare e fu per me molto difficile digerire la notizia dell’esonero che avvenne il tredici marzo del 2007. Lo seppi mentre ero in autogrill, vedendo scorrere le notizie sui monitor. Ebbi quindi una forte discussione con Mancini, mi aveva dato fastidio il modo in cui fui sollevato dall’incarico”. Passiamo ai momenti più piacevoli. “Tra i dieci risultati più importanti della storia dell’Arezzo, tre sono accaduti sotto la mia gestione: il 2-2 con la Juve dopo

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TANTI CAMPIONI

Sarri ha allenato tanti campioni, da Baiano a Floro Flores, passando per Tavano e Maccarone...

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che eravamo sotto 2-0, il 2-2 con il Napoli e poi in Coppa Italia la vittoria con il Milan uno a zero con il gol di Floro Flores: quel successo fu prestigioso anche se poi non riuscimmo a superare il turno perché a San Siro fummo sconfitti due a zero”. Perché nel Verona nel 2007-08 le cose non funzionarono? “Feci una scelta di piazza e non di programma. L’Hellas in quel momento aveva solo il nome e pagai la scelta sbagliata, così come non feci una scelta giusta accettando Perugia, che non a caso poi fallì”. Come è stato invece lavorare al Grosseto con il presidente Camilli? “Sono stato per due mesi con lui, per le ultime dieci di campionato. Francamente è una delle persone più intelligenti che ho conosciuto. È anche un presidente che ha però una gestione deleteria del post partita. Dal lunedì al venerdì è un buon presidente...”. Alessandria le è rimasta nel cuore? “Esperienza bellissima, la città è innamorata dei grigi. La società era in difficoltà, ma l’attaccamento alla maglia è sempre stato forte e siamo arrivati ai play off. Quella maglia dell’Alessandria mi è entrata nella pelle”. Dopo il Sorrento, ecco l’Empoli. Come si manifestò l’ipotesi di guidare gli azzurri? “Fu una soluzione che spuntò all’improvviso. Il club voleva ripartire dai giovani. I dirigenti mi avevano seguito molto ai tempi di Pescara e in quel momento probabilmente tirarono fuori nuovamente il mio nome. La fortuna è stata che questa squadra, rigenerata, aveva ed ha buoni valori. Al primo anno abbiamo perso la finale play off, al secondo è arrivata la Serie A: una storia impensabile per me”. Quali sono i giocatori più importanti che hai allenato? “Uno è Ciccio Baiano, che ho avuto alla Sangiovannese. Era un fenomeno. Poi Floro Flores, che ha fatto una carriera inferiore viste le sue grandi potenzialità. Cito anche Tavano e Maccarone, sono due giocatori di grande livello. Qualche limite caratteriale ha precluso a Tavano di giocare decine di gare in Nazionale. Maccarone è un calciatore di un’importanza mostruosa. Mi ha sorpreso Valdi-

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Da giovane mi piaceva Bukowski mentre ora sto leggendo molto Vargas Llosa, scrittore entusiasmante fiori, ha una velocità di pensiero che hanno in pochi. Poi ho avuto Ranocchia da giovane, Regini e sto allenando Rugani. Ma ho un ottimo ricordo di Scugugia, un giocatore vero che avrebbe potuto giocare in A per dieci anni”. A proposito di giocatori quale era il suo idolo da ragazzino? “Ho avuto la possibilità di vedere dal vivo Maradona, in ritiro con il Napoli a Reggello. Tutti i giorni ero al campo, anche solo per guardarlo mentre palleggiava. Uno spettacolo. Un grandissimo davvero. Van Basten è stato un fuoriclasse, ma vedo che non viene mai inserito nei primi cinque giocatori più forti di tutti i tempi. Poi secondo me non vanno dimenticati quei giocatori come Henry e Boksic che però hanno fatto meno di ciò che potevano”. Tu per quale squadra tifavi? “Alle elementari tutti tifavano Inter o Milan, ma io avevo la fissa di essere per la squadra della città in cui ero nato, Napoli (ma in realtà è cresciuto a Figline Valdarno)”.

viva e si è tramandata nel tempo. A casa mia sono cresciuto anche a pane e bici. Mio padre è stato pure professionista, un anno in Italia e un altro in Belgio, ma il ciclismo all’epoca non garantiva grandi guadagni e allora alla fine ha preferito lasciar perdere. Io? Ho una mountain bike ma alla bici devi dedicare tempo”. Torniamo al calcio. Sogni di allenare anche una grande un giorno? “Fare questo mestiere per qualche anno sarebbe già importante. Di una passione ho fatto una professione e sono molto contento. E non sono uno che, se torna in B, vede il campo diverso da quello che è realmente”. Chiudiamo allora con un fioretto che saresti disposto a fare per la salvezza dell’Empoli. “Sono disposto a lavorare 24 ore sul campo. Ripeto: faccio un lavoro che farei la sera dopo cena gratis”. Rinunceresti anche alle sigarette? “Alt. A quelle no...”. Inutile aggiungere altro…

Lasciamo per un attimo il campo per la tua passione per i libri. Quanti ne leggi? “Uno alla settimana. E ne metterei uno obbligatorio per tutti ogni sette giorni. Da giovane mi piaceva Bukowski mentre ora sto leggendo molto Vargas Llosa, scrittore entusiasmante: il suo ‘Elogio della matrigna’ è davvero affascinante, per le situazioni e l’atmosfera che riesce a creare”. Tra gli sport preferiti non c’è solo il calcio, vero? “Mi piace il ciclismo, vengo da una famiglia in cui questa passione è sempre stata

Intervista di Lorenzo Marucci

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SPECIALE ROBUR SIENA

SPECIALE / ROBUR SIENA

VOGLIA DI STUPIRE Il patron Ponte vuole riportare il Siena dove merita...

UN GRANDE FUTURO IN PALIO Viaggio nella realtà del Siena calcio tra fasti mai dimenticati e un futuro tutto da scrivere…

di Simone BERNABEI foto Federico De Luca

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rroccato in mezzo agli edifici storici del centro città, lo stadio Artemio Franchi di Siena, negli ultimi anni, si era abituato a ricevere le festanti carovane delle squadre di Serie A e Serie B. Logico quindi che il vestito della Serie D, per quanto nobile, non si adatti così bene alle pareti dell’impianto toscano. Da questa considerazione inizia il viaggio che ci ha portato fin dentro il ventre dello stadio senese, teatro del nuovo progetto firmato dall’imprenditore svizzero Antonio Ponte. DALLE CENERI ALLA RINASCITA La Robur Siena SSD è società ambiziosa, storica per il blasone e amata per il pathos che si porta dietro la squadra della città del Palio. Ma non ancora professionistica. Nata dalle ceneri della defunta AC Siena, il nuovissimo progetto del presidente Ponte, fonda i propri principi su basi romantiche, a suo modo innovative per il mondo del calcio: Siena come emblema della sua squadra. “È un’opportunità per tutti, per la città e per gli imprenditori che la costituiscono”, esordisce fiero Ponte. Che continua: “abbiamo cercato di coinvolgere i soggetti cittadini con un contributo, da qui l’idea di Siena come sponsor”. Sponsor sulle maglie, ma anche e soprattutto sponsor di un progetto triennale volto a riportare il Siena sui palcoscenici frequentati negli ultimi anni, ovvero quelli del grande calcio: “Dopo la rinascita, ora vogliamo il risveglio. Ci siamo dati tre anni di tempo per tornare fra i professionisti… per ora, in termini di risposte, abbiamo superato ogni possibile previsione”. Si perché non inganni la categoria, Siena ed i senesi hanno il palato fino e per il futuro puntano in alto, come del resto il proprio presidente, che per il primo step, ha scelto un’istituzione del calcio come Luigi Agnolin: “Quella di Siena come sponsor della squadra è stata un’intuizione semplicemente geniale. Il dinamismo di Ponte è inimmaginabile, si interessa al 100% di ogni aspetto riguardante la società”. PASSIONE DA SERIE A “Quando siamo arrivati c’era il niente. Le zanzare nidificavano, l’erba del campo era inesistente e tutto era lasciato a se

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“” Il dinamismo di Ponte è inimmaginabile, si interessa al 100% di ogni aspetto che riguarda la società stesso”, è l’amara ricostruzione di Agnolin. Uno che si è trovato a dover fare mercato con pochi euro e ancor meno tempo. Ma i risultati, quelli sì, sono ben valsi una fatica: “Abbiamo costruito tutto in dieci giorni. Il 12 sono arrivate le firme, il 23 avevamo la prima partita di Coppa Italia… Costruire la squadra è stato stimolante, ma anche tremendamente difficile”. Confessione di uno che è nel mondo del calcio da decenni. Da prendere in parola, insomma. Cosa che certamente hanno fatto i tifosi, accorsi a migliaia al botteghino per sottoscrivere i primi storici abbonamenti, quasi a voler unire una città che per definizione è frammentata dalle fedi di contrada, quelle che guidano lo spirito del Palio. “L’aria contradaiola effettivamente si respira un po’ ovunque, e forse è proprio questo che mi ha portato a dire sì al presidente Ponte”, è stata l’informale confessione del tecnico Morgia. Un uomo di calcio, ma che agli aspetti tecnici ha preferito quelli umani e ambientali, perché “una cosa come il Palio non si vede tutti i giorni. Lì nessuno ha paura di esternare le proprie emozioni, e questa sensibilità l’ho riscontrata anche allo stadio”. IL CAMPO Se da una parte c’è una macchina organizzativa che sogna in grande, dall’altra c’è la squadra, quella allenata e protetta appunto da mister Massimo Morgia. Allenatore di professione, scrittore per passione, mister Morgia in passato ha firmato un volume intitolato “Ricominciare a giocare a pallone”, una bella metafora della missione che sta guidando proprio a Siena. Il Morgia allenatore si presenta carico, conscio delle difficoltà, ma stregato in tutto e per tutto dalla passione della città e

quindi ancora più motivato a far bene sul campo. “Mi stavo allontanando dal calcio, non vedevo più bambini e famiglie negli stadi, ma solo tornelli. Qua invece tutto è diverso: sento entusiasmo, passione in ogni strada. E la gente è meravigliosa. Sembra quasi di essere all’estero”, confida il mister dopo un allenamento. Quindi i metodi di lavoro, per forza di cose diversi da quelli presi ad esempio solitamente. Nel corso della sua lunga esperienza, Morgia ha imparato ad essere “principalmente un educatore”, perché a lui “i Balotelli non sono mai piaciuti”. “Ai talenti scapestrati preferisco il gruppo, l’amicizia e la coesione”, è l’indicazione finale del tecnico, giusto per non allontanarsi troppo dai valori incarnati, guarda caso, proprio da quelle contrade tanto care ai volti nuovi del calcio senese. “È singolare come nel conflitto delle Contrade vi sia l’unione di una città intera”, raccontava il maestro Fellini. Quasi a dire: attenzione perché a Siena ognuno appartiene alla propria contrada, ma nel momento del bisogno son tutti pronti a dare e soprattutto a darsi una mano.

TUTTO SOTTO CONTROLLO

Ponte controlla ogni aspetto della società, per un Siena vincente

RITORNO AL FUTURO Lo stadio Franchi, come detto sopra, è una chicca nel suo genere. Incastonato fra gli edifici, a due passi dal centro storico e a tre da piazza del Campo, l’impianto senese potrebbe subire presto una radicale metamorfosi. “Le carte sono in fase embrionale, ma entro maggio vorremmo partire con il progetto del nuovo stadio”, confessa il presidente Ponte con gli occhi lucidi di chi sa di poter fare la storia. A Siena, che di storia ne è colma in ogni angolo: “Entro tre anni vorrei costruire il nuovo impianto, che idealmente sorgerà sulle fondamenta di quello vecchio”, continua il numero uno bianconero. Uno stadio, ma non solo: fra gli ambiziosi pensieri della società, c’è quello di dare ampio respiro alla Robur e alla sua nuova casa, “costruendo uno stadio polivalente che possa essere attivo sempre, 365 giorni all’anno”. Progetti, carte e piani strutturali, però sono solo la punta dell’iceberg, sott’acqua c’è poi il rilancio sportivo. “Per l’entusiasmo e la gioia che c’è attorno alla squadra, ci meriteremmo di vincere subito il campionato e tornare fra i professionisti”, racconta Morgia, il cui pensiero fa eco a quello di Ponte: “Vincere al primo anno

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TORNARE GRANDE IN FRETTA

SEMPRE IN PRIMA LINEA

Poca pazienza, solo il desiderio di dimenticare il recente passato

Metterci sempre la faccia, il primo comandamento di Ponte

sarebbe un miracolo, ma certamente porterebbe un’accelerata non indifferente al nostro piano triennale”. LA BANDIERA Chi può certamente dare una grossa mano a colmare il vuoto di grande calcio è Simone Vergassola, vuoi per il nome vuoi per la storia personale di un campione che si è rimesso in gioco ripartendo dalla Serie D: “Ho pensato subito a lui quando ho acquistato il club – ricorda Ponte-. Sono andato a Coverciano, Simone si allenava con gli svincolati e gli ho proposto la nostra idea. Così

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Il capitano Vergassola? Ha un tasso di personalità incredibile, sembra di avere con noi Buffon o Totti

la bandiera del Siena è tornata e ora tutti i ragazzi dovranno approfittare della sua esperienza”. Storia davvero particolare, quella di Vergassola. Una vita passata sui principali campi italiani, prima di scendere fra i dilettanti, quasi a chiudere un cerchio. E ovviamente, il tecnico Morgia non può che esserne entusiasta: “Ha un tasso di personalità incredibile, sembra di avere con noi Buffon o Totti. Simone ha fatto una scelta di vita ed è il naturale legame fra il glorioso passato di questo club ed il suo ambizioso futuro”. E, visti i presupposti, non possiamo far altro che crederci…

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UN MANCINO PER LA GLORIA

Redi ha i numeri per fare la differenza in maglia Siena

LA VOGLIA DI REDI Esterno mancino, sogna di crescere insieme alla Robur, la squadra che ha nel cuore… Mica facile fare il profeta in patria. Specialmente a 20 anni ed in una città passionale come Siena. La storia di Nicholas Redi è particolare e merita di essere raccontata. Attaccante esterno mancino originario di Asciano, paesino a pochissimi chilometri da Siena, è cresciuto professionalmente e umanamente nel settore giovanile dell’AC Siena, la vecchia società fallita la scorsa estate. L’ultimo anno è stato protagonista al Castel Rigone, quindi il ritorno a Siena, da svincolato, ed il nuovo inizio. Con il nuovo Siena del presidente Ponte, appunto: “Che bella soddisfazione, quan-

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do me l’hanno detto non ci credevo, ero davvero felice”, ci racconta Redi. Cosa ricorda di quei giorni così particolari della scorsa estate, quando il suo futuro era in bilico dopo le vicende societarie che stavano colpendo il club bianconero? “La vecchia società era fallita, c’erano delle voci su di me ma quando la nuova proprietà è venuta per dirmi che volevano puntare sulle mie qualità onestamente non me l’aspettavo. Ora spero di far parte di questo nuovo progetto in crescita anche in futuro”. Da senese che gioca nel Siena: si sente il peso della maglia della propria città? “Ovviamente sento la responsabilità di difendere la maglia della squadra del mio cuore, ma le pressioni non sono ne-

ISTITUZIONE NEL CALCIO Agnolin ha deciso di mettere la sua grande esperienza al servizio della Robur

gative, anzi... A questa maglia ci tengo davvero, quindi mi fa piacere respirare il calore dei tifosi per strada o nei bar. Si sente la pressione, ma io cerco di viverlo bene e di fare il massimo per la Robur”. Quali sono i suoi piani e gli obiettivi futuri? “Ora voglio crescere e penso solo a star bene con la squadra, col gruppo. Nel nostro percorso di crescita ci possono essere tantissimi ostacoli”. Ostacoli che possono essere superati anche grazie all’aiuto di uno come Vergassola... “Quando l’ho conosciuto ho provato soddisfazione, è davvero un grande capitano. Grazie alle sue qualità tecniche e soprattutto morali riesce sempre ad aiutarci, è un elemento importantissimo per tutto lo spogliatoio”.

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ALLENATORE SCRITTORE Morgia è un tecnico con una notevole passione per la scrittura

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Un Ponte per il futuro Un presidente nuovo per tornare grandi, magari in un impianto pensato appositamente per la Robur… Era il 30 luglio, il calciomercato avanzava inesorabilmente e a Siena c’era grande fermento per capire le sorti del club bianconero. L’ufficialità dell’arrivo di Antonio Ponte fu data dal sindaco Bruno Valentini, che in un’affollata sala stampa rese nota la scelta ricaduta sull’imprenditore svizzero. “E’ un progetto convincente, il migliore di quelli che ci sono stati esposti. Finalmente nel calcio a Siena nasce qualcosa che non dipende dalla Banca Monte dei Paschi”, furono le parole del primo cittadino senese. Quello di Antonio Ponte però non è un nome nuovo per i tifosi della Robur, visto che già nel 1999 l’attuale proprietario era presente nell’organigramma bianconero. Quella con l’AC Siena però non è stata l’unica esperienza nel mondo del calcio di Ponte, visto che successivamente, nei primi anni 2000, era uno dei soci proprietari dell’Hellas Verona con il 40% delle quote. E proprio da quel Verona Ponte ha voluto attingere per rafforzare la nuova Robur Siena. Durante l’esperienza nel club scaligero infatti conobbe Luigi Agnolin, ex arbitro a quei tempi amministratore delegato della società veneta e oggi direttore tecnico dei bianconeri toscani. “La mia scesa in campo è dettata proprio da questa conoscenza. Mi ha contattato e gli ho dato subito la mia disponibilità. Voglio dare una mano a questa società, anche se a volte mi sento quasi di troppo visto il grande dinamismo che ci sta mettendo il presidente in ogni aspetto riguardante squadra e club”, ci ha raccontato lo stesso Agnolin sul terreno di gioco del Franchi. E ora via con le ambizioni per il futuro: Ponte e Agnolin infatti stanno studiando la maniera per far partire i lavori per il nuovo stadio, che idealmente dovrebbe sorgere dove oggi c’è l’Artemio Franchi. Tre anni il tempo stimato, guarda caso pari a quello necessario per il rilancio sportivo della Robur Siena sui palcoscenici del grande calcio.

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Le carte sono in fase embrionale, ma entro maggio vorremmo partire con il progetto del nuovo stadio

Intervista di Simone Bernabei

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SERIE B CARPI

di Tommaso MASCHIO

SERIE B/ CARPI

CARPI, LA VERA SORPRESA Piccola città ma ambizione da grande squadra...

MAI ACCONTENTARSI

Una carriera in ascesa, con due promozioni già conquistate, con un sogno in fondo al cuore: “La Serie A e la Nazionale. Magari con la maglia del Carpi”.

Dopo le giovanili nello Spezia nel 2008 passi alla Fiorentina. Avventura che dura solo un anno. “Andai alla Fiorentina dopo il fallimento

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dello Spezia. Dopo un’estate di chiamate scelsi Firenze, ma non fu un anno positivo per me perché trovai poco spazio e giocai poco. Conservo comunque un bel ricordo dei compagni che incontrai allora”.

Consapevoli della nostra forza, vogliamo migliorare il cammino dello scorso anno

L’anno dopo il ritorno a casa allo Spezia. E l’inizio della scalata verso la B. “Arrivai che dovevamo giocare in Serie D, ma poi fummo ripescati e ci trovammo sbalzati in C2. Fu un’annata bella dove inizialmente trovai poco spazio, ma poi collezionai 11 presenze e presi parte alla promozione in C1 tramite i play-off”.

foto Buffa/Image Sport

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pezia la squadra in cui è cresciuto e si è messo in evidenza, Firenze una breve, ma formativa tappa, e infine Carpi la piazza dove affermarsi e sognare la Serie A. Queste le tappe della carriera di Lorenzo Lollo, centrocampista in forza al Carpi che sogna in grande e punta alla terza promozione in carriera, dopo quelle conquistate con lo Spezia. Un Triplete minore – Campionato, Coppa Italia di Lega Pro e Supercoppa di Lega Pro – a impreziosire la bacheca dei trofei. A 24 anni c’è ancora una carriera intera davanti per raggiungere i massimi livelli del calcio professionistico e puntare magari a una maglia azzurra. Chiaro che, grazie all’eccellente stagione che sta offrendo il sorprendente Carpi, ora ci sono davvero tutti i presupposti per fare l’ultimo salto di qualità. Lo abbiamo incontrato per saperne di più su questo ragazzo con la testa ben salda sulle spalle…

A Spezia l’anno indimenticabile fu il 2011-12 con le vittorie in Lega Pro, Coppa Italia e Supercoppa di categoria. “Il famoso Triplete. In quell’anno c’era con me anche Bianco, che ho poi ritrovato qui a Carpi, e ricordo che eravamo partiti male con l’esonero del tecnico Gustinetti dopo poche gare. Arrivò Serena e iniziammo a fare gioco e punti. D’un tratto ci trovammo a -11 dal Trapani capolista e onestamente pensammo di arrivare ai play-off per giocarci la promozione. Invece recuperammo tutto lo svantaggio e vincemmo la serie venendo promossi in B”.

A Spezia hai avuto tanti allenatori. Ce n’è uno in particolare che ricordi con maggior piacere? “Tutti sono stati importanti e mi hanno insegnato qualcosa e non voglio fare torti a nessuno, ma se devo dire un nome dico Serena. È il tecnico che mi ha dato fiducia e mi ha fatto esordire in Serie B e quindi lo ricordo con grande piacere”. Lo scorso anno lo sbarco al Carpi. Una realtà molto diversa da Spezia. “Si, ma mi sono trovato subito molto bene. Qui ho incontrato tanti calciatori che avevo incrociato negli anni a Spezia oltre che a Pasciuti, una delle colonne della squadra, che è delle mie parti e giocava da ragazzo con mio fratello. La loro presenza mi ha facilitato nell’inserimento e mi ha aiutato a integrarmi subito con il resto del gruppo”. A Carpi hai trovato anche la continuità e hai guadagnato la permanenza in Emilia. “Era quello che volevo. A Spezia in B avevo giocato solo 18 volte e cercavo una squadra che mi permettesse di crescere e giocare con continuità. Arrivai al Carpi e trovai lo spazio che volevo giocando quasi tutte le gare in una stagione positiva dove raccogliemmo 30 punti nel girone d’andata e ci salvammo con un certo anticipo”. Quest’anno l’inizio è stato ancora migliore. Ve lo aspettavate? “No, nessuno si aspettava una partenza del genere, ma eravamo consapevoli di poter far bene e migliorarci rispetto all’anno passato. Ovviamente gli obiettivi per noi non cambiano e per prima cosa vogliamo raggiungere quota 50 punti e salvarci. Poi quello che verrà sarà tutto

foto Buffa/Image Sport

PROFESSIONISTA IN PROMOZIONI

foto Matteo Papini/Image Sport

FABRIZIO CASTORI

foto Matteo Papini/Image Sport

Tutti al Carpi credono che possa essere la stagione giusta per decollare

di guadagnato”. A livello personale che obiettivi ti poni? “Ovviamente spero di giocare il più possibile e migliorarmi per raggiungere i livelli a cui tutti i calciatori ambiscono. La Serie A e magari la Nazionale. La prima è l’obiettivo principale perché è il palcoscenico più importante”. La Serie A, magari con il Carpi? “Magari, sarebbe davvero bello. Ma non ci penso troppo”. Mister Castori cosa ha portato al Carpi in questa stagione? “Ha portato il suo grande entusiasmo e

la sua voglia di vincere. Prepara in maniera minuziosa ogni gara durante la settimana e i risultati si vedono in campo. Questi sono i suoi segreti”. Fuori dal campo chi è Lorenzo Lollo? “Lo confesso, quando non gioco non seguo molto il calcio. Non mi piace guardare le partite alla televisione, preferisco un film o qualche altro programma. Per il resto non ho passioni o hobby particolari”. Semplicemente grande, proprio quello che serve per diventare un giocatore importante. Lollo si sta divertendo e non ha nessuna intenzione di fermarsi sul più bello…

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LEGA PRO BASSANO VIRTUS

di Sergio STANCO

LEGA PRO/ BASSANO VIRTUS

SI ALZA L’ASTICELLA

ALTRI TRIONFI?

Signor Gavetta

Intervista Esclusiva ad Antonino Asta, ex Capitano del Toro e oggi allenatore del Bassano Virtus, sorpresa del Girone A della Lega Pro

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ntonino Asta è uno che per arrivare in Serie A ha dovuto lottare. Uno che quando ha cominciato a giocare seriamente a calcio, ha comunque continuato a fare il barista, perché a casa bisognava portare la pagnotta. Uno che si è “sparato” tutte le categorie, ma non ha mai mollato, fino ad arrivare a vestire la maglia prestigiosa e magica del Toro. Portando con onore la fascia al braccio. Per i tifosi granata è ancora “Il Capitano”. Oggi, da allenatore, Asta sta percorrendo le stesse tappe. Tutte. Ma senza rimorsi: “Tornassi indietro – ci ha raccontato in esclusiva – potessi salterei qualche passaggio per arrivare prima in Serie A da calciatore, ma da allenatore no. Credo che tutta questa esperienza sia fondamentale, anche se hai giocato a calcio per tanti anni, perché fare il mister è diverso. Io lo dico sempre ai miei ex compagni, fate il vostro percorso da allenatori, anche se è più lungo, vi servirà in futuro”. Mister, ma racconta mai ai suoi ragazzi di quando di giorno lavorava al bar e di sera si allenava? Non la

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A Camolese devo tanto,anche il fatto di avermi consegnato la fascia da capitano nel Toro. Un orgoglio guardano come fosse un marziano? “No, evito perché non voglio essere patetico. Poi i ragazzi di oggi sono molto diversi da come eravamo noi ai nostri tempi, non capirebbero. A volte mi è capitato di raccontare questo aneddoto quando vedo qualcuno giù, perché non riesce ad “arrivare” e allora gli spiego che non sempre la strada dritta è la migliore. Magari è la più veloce, ma anche quella più tortuosa ti porta a destinazione. Ecco, io l’ho presa un po’ alla larga (ride, ndr)”. E da allenatore sta facendo lo stesso percorso: una scelta?

“Mah, ovvio che se fosse arrivata un’offerta per la A, come si fa a rifiutare. Ad altri è capitato ed è chiaro che in quel caso non dici certo “no grazie”. Però devo dire che non mi pento della mia esperienza e sono assolutamente convinto che è fondamentale per il bagaglio di un allenatore”. Quando ha capito di voler fare questo mestiere? “Già quando giocavo ero uno che si interessava, registrava tutto, chiedevo spiegazioni e sul finire della mia carriera c’era già l’idea di fare l’allenatore, anche se pensavo di lavorare nei settori giovanili. Poi, a Palermo ho subito un grave infortunio che metteva a rischio la mia carriera e, contemporaneamente, è arrivata la proposta del Toro di lavorare nel vivaio. A quel punto ho realizzato che era quello che avrei voluto fare e ho lasciato il calcio giocato per sedermi in panchina”. Lei è stato anche Capitano del Toro: qualcuno dice che un Capitano è un vice-allenatore in campo, è così? “Assolutamente sì, per me è stato così e dal mio capitano mi aspetto che dia l’esempio in campo e fuori e che faccia da

foto gentilmente concesse dal Bassano Virtus

Quando si inizia a vincere si punta a non smettere mai...

foto gentilmente concesse dal Bassano Virtus

Il Bassano di Asta si sente pronto a lasciare il segno

guida ai compagni”. Nella sua carriera ha avuto tanti maestri della panchina: Radice, Mondonico, Sonetti, Camolese, Simoni, Reja. Chi l’ha in qualche modo illuminata più di tutti? “Devo dire che ho sempre cercato di rubare qualcosa ad ognuno di loro, ma quello che più di tutti mi ha segnato credo che sia Camolese, oltre che per la tattica anche per i rapporti, per la gestione dello spogliatoio. A lui devo tanto, anche il fatto di avermi consegnato la fascia da capitano nel Toro. Un orgoglio”. Dopo il settore giovanile del Toro, due anni a Monza e ora a Bassano: cosa l’ha convinta ad accettare il trasferimento in Veneto? “Ho semplicemente sentito il bisogno di cambiare, di provare una nuova esperienza, perché cambiare ti mette di fronte a nuove difficoltà e questo ti insegna e ti fa crescere dal punto di vista professionale”. E a Bassano cosa ha trovato? “Innanzitutto un ambiente sereno e una società organizzata, la situazione ideale per un allenatore, perché c’è ambizione

ma non pressione, perché la proprietà capisce di calcio, si confronta ma non si intromette nelle questioni tecniche, come è giusto che sia. E ti giudica per il lavoro che fai, cosa che nel calcio non è così scontato, anzi...”. Una proprietà dall’immagine ingombrante, tra l’altro... “I Rosso (proprietari della Diesel, ndr) qui sono un’istituzione e credo che sia il minimo. Chi non è mai stato a Bassano non può capire quello che questa famiglia ha creato da queste parti e il legame che hanno con la città. È qualcosa di eccezionale. E lo stesso è con la squadra, ci tengono davvero tanto: patron Renzo appena può è sugli spalti e ci segue, il figlio Stefano, che è stato giocatore del Bassano fino alla Beretti, ora è presidente. Sono una presenza importante, ma discreta”. Renzo Rosso è considerato un illuminato del business, cosa ha portato di diverso nel calcio? “La cosa che mi piace di più è l’approccio: in un mondo in cui il risultato è un obbligo, loro guardano al lavoro che fai, alla prestazione e se per qualsiasi motivo non arriva, non buttano via tutto...”.

In ogni caso, non hanno di che lamentarsi visto che stanno arrivando sia prestazioni che risultati. Ora che siete lassù, qual è l’obiettivo? “Quando sono arrivato la società mi ha chiesto una salvezza senza passare dai play-out. Ovvio che ora la situazione è cambiata, ma sappiamo benissimo che non ci si può esaltare e che ci sono squadre più attrezzate di noi che torneranno su. Il Novara, ad esempio, è una corazzata per questa categoria e anche l’Alessandria, il Como, il Venezia, ma sappiamo anche che i budget non vanno in campo”. Guai a non sognare giusto? E il suo sogno qual è? “Sono ambizioso, come tutti, e spero prima o poi di meritarmi una panchina in Serie A”. Magari quella del Toro? “Magari (ride, ndr), ma prima di arrivarci ne devo ancora fare di strada...”. Come da calciatore, d’altronde. Forse prenderà ancora una volta la più tortuosa, ma scommettiamo che, anche questa volta, arriverà a destinazione?

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SERIE D SEREGNO

di Simone TONINATO

SERIE D/ SEREGNO

PRONTO A TUTTO

SEREGNO, SQUADRA TOSTA

Uniti e convinti, il tecnico Sassarini ha creato un gruppo decisamente coeso...

foto ufficiostampa@seregnocalcio.it

SEREGNO… AVANTI TUTTA I brianzoli vogliono tornare tra i pro, da cui mancano dall’81/’82. Per riuscirvi si affidano al tecnico Sassarini…

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l gioco del football (così chiamato ad inizio ‘900) raggiunge Seregno, comune brianzolo a mezza strada tra Como e Milano, nel 1913. Si tratta di un calcio provinciale, nel senso buono del termine, trascorso perlopiù all’ombra dei successi delle vicine – ma non troppo più anziane – Milan e Inter. Il quarto posto in cadetteria del ‘47/‘48 è il miglior risultato di sempre e rappresenta il punto più alto raggiunto dalla compagine seregnese negli otto campionati di serie B complessivamente disputati. Prima e dopo tanta C, ma anche tanto “calcio minore”. Oggi il destino del Seregno è nelle mani di David Sassarini, confermato sulla panchina azzurra dopo aver condotto la squadra fino alla quarta posizione nella stagione scorsa. A lui è affidato il compito di ritornare tra i professionisti dopo oltre trent’anni di assenza. Mister, quando è arrivato qui e si è seduto sulla panchina del Seregno la squadra arrancava. Oggi, a distanza di poco più di un anno, i suoi ragazzi sembrano volare. Qual è il segreto di

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questa metamorfosi? “I segreti sono il lavoro e l’umiltà. La disponibilità e l’apertura mentale dei miei ragazzi è straordinaria, rimaniamo ogni giorno a studiare e rivedere i nostri errori. Ci capita spesso di rimanere ad allenarci e ad analizzare tutti i nostri sbagli, della partita precedente o anche dei nostri allenamenti, dalle tre fino alle sette. Questo è quello che facciamo quotidianamente, cercando di mettere un tassello in più ogni giorno che passa”. Per quanto riguarda le metodologie di lavoro e gli allenamenti, c’è un tecnico o più di uno a cui il quarantaduenne David Sassarini si ispira? “Direi che non mi ispiro a nessuno. Mi hanno insegnato in tanti, ho imparato da tante persone, ho guardato moltissimi allenamenti, ma non ho un modello di allenatore a cui ispirarmi. Credo di poter camminare sulle mie gambe, anche se devo dire che il confronto con tanti tecnici mi ha migliorato molto, soprattutto il poter andare a visionare le sedute di allenamento”. Tra giocatori confermati dalla scorsa stagione e nuovi innesti sembra che

abbiate trovato il giusto mix. Si tratta di una miscela complessa? “Abbiamo tenuto un buon 70-80% del gruppo della passata stagione, diciamo tutti quelli che hanno giocato di più. A questi sono stati aggiunti alcuni ragazzi di prospettiva e ne abbiamo pescati altri che magari non erano andati benissimo l’anno scorso, anche da categorie inferiori”.

sposata, dal presidente Di Nunno, ai ragazzi che la applicano”.

foto ufficiostampa@seregnocalcio.it

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Sassarini conosce il valore dei suoi, la sfida è appena cominciata

Tatticamente, invece, ci stiamo abituando a vedere di tutto. Il suo 4-2-31 è un modulo fisso o possiamo definirlo flessibile e dinamico? “In realtà il modulo cambia a seconda delle situazioni di campo. Sinceramente è un po’ riduttivo parlare di un modulo tattico unico, perché in possesso e in non possesso facciamo cose differenti, così come facciamo cose differenti in base alla zona del campo in cui agiamo. Lavoriamo molto più sui principi che sulle posizioni”.

monesi hanno anche annullato altri due gol regolari. Ma tutti possono segnare e anche chi ha giocato meno ha avuto modo di firmare il tabellino marcatori. Lillo, ad esempio, ha già fatto due gol e anche Cavalcante ha segnato”.

In avanti, tra: Marzeglia, Comi, Battaglino e Cremonesi siete una cooperativa del gol. Ce ne parla? “Al momento loro quattro sono andati in rete con più facilità e si sono divisi i gol abbastanza equamente. Peraltro a Cre-

Il vostro rendimento è molto simile in casa e fuori. Oltretutto avete contemporaneamente il miglior attacco e la miglior difesa. Dove sta il trucco? “Il fatto è che non ci interessa né l’avversario con cui andiamo a giocare, né

il campo. Cerchiamo di imporre il nostro gioco e il nostro modo di pensare, sempre, comunque, indipendentemente dalla squadra che ci troviamo ad affrontare. Giochiamo sempre per vincere”. E’ possibile descrivere il Seregno attraverso un solo aggettivo? “Non credo. Non è facile trovare un aggettivo adeguato, perché qui in realtà più che di aggettivi si deve parlare di meriti. E qui tutti ne hanno, perché io posso aver messo l’idea, ma poi tutti l’hanno

Avete fatto una partenza lanciata. Parlando già in ottica promozione, c’è una squadra che lei teme più di altre nella scalata alla Lega Pro? “Non faccio calcoli e non mi interessano le altre squadre. Noi dobbiamo pensare a giocare ogni partita esprimendo il nostro gioco. Mi interessa poco quale squadra sia dietro, dobbiamo rimanere concentrati su noi stessi, perché il campionato è lungo. Non mi piace pensare alle avversarie o ai punti che abbiamo di vantaggio o di svantaggio rispetto ad altri”. Abbiamo parlato di moduli tattici, di gol fatti e subiti e di rendimento. Ci dice due parole sul rapporto tra la squadra ed i tifosi? “Il rapporto è ottimo, lo dimostra lo stadio, che si riempie sempre di più domenica dopo domenica. Ma quando sono arrivato qui lo scorso anno era diverso, c’era un clima depresso. Ora invece è bello vedere la tribuna gremita. Oltre a far piacere, poi, fa aumentare in tutti noi gli stimoli per fare bene. Questo vale per tutti: società, gruppo, sottoscritto e staff”.

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I RE DEL MERCATO CLAUDIO PASQUALIN

I RE DEL MERCATO / claudio PASQUALIN

TUTTI GLI UOMINI DELL’AVVOCATO

Nomi e colori: un ‘assaggio’ degli assistiti di Pasqualin

“HO VOLUTO LA BICICLETTA” Cantante. Avvocato. Procuratore. Amante del vino. Ciclista. Collezionista. Poeta. Claudio Pasqualin si racconta, da Del Piero allo Zico delle Piramidi.

di Marco CONTERIO foto Federico DE LUCA

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I RE DEL MERCATO / claudio PASQUALIN

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mpatia. Ecco. Empatia è una parola che va tanto di moda, fa molto trendy e giusto per questo è altrettanto abusata. Però è l’universo dell’Avvocato Claudio Pasqualin che si racchiude in sette lettere. E-m-p-a-t-i-a. Il discorso è già a buon punto e verte su Artemio Franchi. Che è stato tante cose, nella sua splendida storia: presidente della FIGC, presidente della Uefa, ma anche capitano della Contrada della Torre della sua Siena. ‘Anche io sono della Torre’, sussurro. “Della Torre? Anche io e mio figlio Luca!”. Così partono i canti. ‘La Torre sta nel cuore, la forza nel cazzotto’, eccetera eccetera. “È un impegno che ci siamo presi dopo la scomparsa di Franchi, per omaggiarlo. È stato il mio nume tutelare. Ogni anno andiamo al Palio del 2 luglio ed a quello dell’Assunta”. Mentre canta, Pasqualin, penso pure al timbro vocale. Che è pulito, forte, intenso. Ma la spiegazione è presto data. “Con Paolo Rossi, Luca Barbarossa e Don Backy, ho realizzato anche un cd, Voci dal cuore. Tre, in tutto. Quando ci siamo esibiti a Marostica, il giornale locale scriveva, testuale. ‘All’Avvocato Claudio Pasqualin riconosciamo inattese doti di crooner’. Un po’ alla Michael Bublè, per intendersi”. Ecco spiegato l’arcano. È così, l’Avvocato. Ti accoglie con un sorriso, lui che ha gestito calciatori di spessore internazionale come Alessandro Del Piero e Gianluca Vialli. Poco dopo arriva il figlio Luca, con una giacca molto british ed il solito sorriso come accessorio non richiesto ma ben gradito. Ci presenta pure Milady, beagle di dodici anni, anche lei con echi inglesi ben svelati dal nome. “Quello della zitella britannica”, sorride. E così la chiacchierata scivola via leggera. Arriviamo che c’è il sole, eccezione rara in un autunno di burrasca, salutiamo e ci stringiamo la mano, con l’ennesimo sorriso, che il buio avvolge una silenziosa Vicenza. Tutto parte però da lontano. Così riavvolgiamo il nastro e mettiamoci comodi. Da dove partiamo? “Dalla tesi di laurea sulla trasformazione di associazioni calcistiche in società per azioni”. Per farla più semplice? “C’era un dibattito se fosse lecito o no:

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“” Ho inciso tre cd: mi riconoscono una voce alla Michael Bublè per disposizione del Coni, era il ‘70, le società erano diventate SPA. Alcuni tribunali omologarono, altri no, io mi laureai con tesi sul tema. È così che incontrai l’Avvocato Sergio Campana, poi guida dell’Assocalciatori dalla metà degli anni sessanta fino al 2011. Iniziai a seguire le vicende pallonare ed il Segretario Generale, Mupo, passò al Milan”. Così il posto restò vacante. “Già: mi candidai, pur senza pedigree calcistico. Andai da Massimo Giacomini, a Udine: i suoi avevano un negozio di tessuti in Piazza San Giacomo...”. La prende larga. “Questo perché ricordo ogni dettaglio: ero sposato da quattro mesi con mia moglie Grazia e le dissi. ‘Oggi all’AIC scelgono il nuovo segretario’. ‘Ma va ‘, mi rispose... Eppure...”. Eppure la elessero. “La riunione si tenne al Panzer Club, dedicato ad Haller, il grande ex del Bologna. C’era il gotha del calcio, da Rivera a Mazzola. Io chiamai il centralino del quotidiano Stadio per saperne di più e mi risposero ‘hanno eletto un certo Pasqualin’. Non per mancanza di fiducia, ma me lo feci confermare anche dalla Gazzetta. Era il febbraio 1972”. Senza voler essere didascalici: ci racconta com’era per lei, allora, quell’universo? “Era una favola e posso dire, senza falsa modestia, che Campana non aveva visto male... Ricordo i rientri a Udine: gli amici mi aspettavano al casello, io in fondo ero

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Artemio Franchi è stato il mio nume tutelare

sempre il compagno d’osteria e mi chiedevano come fossero i grandi del calcio come Rivera e gli altri. Ero anche collaboratore giornalista del Messaggero Veneto e ricordo che scrissero, in prima, ‘il nostro collaboratore diventa Segretario dell’AIC’. E pensare che facevo le partite aziendali SFE-ATAC e mi siglavano pure...”.

PORTA APERTA AL MERCATO

L’Avvocato Pasqualin ci apre le porte della sua casa di Vicenza

Come immaginerete, è un ampio sunto di una lunga chiacchierata. Che appunto scivola via leggera, mentre giù, al piano inferiore, Luca Pasqualin osserva con orgoglio le maglie dei tanti assistiti dell’agenzia Pasqualin-D’Amico. Luci e colori. “Una malattia”, confessa. Tant’è, non si finisce mai d’esser bambini. Figuriamoci Claudio Pasqualin, che a settant’anni (“certo che lo può dire”), ha l’entusiasmo di un novizio. In tutto. “Sono uno che pedala. Non solo come metafora: sono campione italiano over 70 di ciclismo sia nella categoria avvocati che in quella dei giornalisti. Ora sono Presidente del Comitato per i Mondiali 2020 a Vicenza e credo che ce la faremo... L’uomo non vive di solo calcio, c’è anche altro oltre a quello. Ho pure fatto due maratone di New York e quella di Honolulu”. Tac. Colto nel segno. Così disquisiamo pure di ciclismo e di biciclette, dell’ultima ruota in fibra di carbonio e di quanto sia monumentale l’infinita via dello Zoncolan. Da lì, Pasqualin, indossa un altro suo abito: quello di poeta. Perché nella trasmissione Si Gira, sulla Rai, ogni giorno recita versi di una poesia di suo pugno su montagne, alture, bellezze e paesi, ciclisti e gregari, fatiche e dolori, gioie e successi. ‘Se si guarda lo sguardo di Ivan, è lo stesso dello Zoncolan’. E così via, da Tiralongo, nomen omen, fino alle scalate sul Monte Grappa. Prende nelle vene, la malattia delle due ruote. “Io sono partito per la tangente a cinquant’anni. Ho sempre giocato a calcio, poi i miei amici mi hanno fatto questo splendido regalo. E non posso più farne a meno”. Ha mille passioni, deve ammetterlo. “Una è il collezionismo. L’ottanta per cento degli oggetti presenti nella Basilica a Vicenza per la mostra Gli Eroi del Calcio, della quale si è parlato in tutto il

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I RE DEL MERCATO / claudio PASQUALIN

AL FIANCO DI CAMPANA

COLLEZIONE D’AUTORE

Tutto ebbe inizio dopo l’incontro con lo storico Presidente dell’AIC

mondo, sono miei. Ho girato il globo ed ho collezionato di tutto, visitando antiquari incredibili. Ho partecipato ad aste da Sotherby, da Christie, e la mia collezione è confluita in quella di Umberto Paolucci. Abbiamo dato vita alla World Football Collection. E c’è di tutto: da maglie di Maradona, Yashin, Kopa, Eusebio, Pelè, le scarpe di Meazza, la Rimet del Maracanazo...”. Salute. Questo è forse L’Oggetto, maiuscolo, per eccellenza del calcio. “È la più grande collezione del mondo. Io, personalmente, ho anche la Coppa Italia vinta dal Torino nel 1943”. Roba da girarci un film. “Ma sa che ad un film ho pure partecipato? Certo, ho fatto il barista, all’Harry’s Bar, ma ho una parte in My Name is Ernest, un film su Hemignway”. Cinema, musica. Pure tv. “Da Quelli che il Calcio, con Fazio prima e Ventura poi, sino a Dieci, con Dario Vergassola e Pasquale Bruno. Lì ho legato il calcio ad un’altra mia grande passione come il vino: sono ministro del

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Dalla Rimet del Maracanazo alle maglie di Kopa e Pelè

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Scrivo poesie, ogni giorno, sul Giro d’Italia, per le trasmissioni Rai vino, dei sapori e della poesia, anche con Marino Bartoletti a Si Gira, come prima accennavo”. Il football, Pasqualin. La nobile arte giocata da barbari, non perdiamo il filo conduttore. “Una tappa per me importante è la vertenza della Roma contro Paulo Roberto Falcao. Aveva due anni di contratto, per il presidente Viola ‘estorti’, per le cronache ‘sottoscritti’. Viola si rivolse a me, per farla breve vinsi la causa ed il giornalista Rai, Dalla Noce, aprì con le mie parole l’edizione del TG1 subito dopo la sigla. Contenni l’entusiasmo...”.

Tra le cause che ha seguito, quella dell’Heysel. “Si rivolsero a me, come Avvocato, famiglie di vittime friulane e di Bassano. Seguii il processo, più di un mese a Bruxelles. Ricordo le facce vuote degli hooligans. Quei momenti. Quel dolore. Quei ricordi”. Siamo negli anni ‘80, oramai. Da Segretario dell’AIC, diventa procuratore. “Alt, alt. C’è un passaggio importante, prima: un giornalista mi preannuncia la chiamata di Colombo, allora presidente del Milan. Dopo tre ore di colloquio, ero l’amministratore delegato del club rossonero. Colombo era squalificato, aveva bisogno di un uomo che ne facesse le veci. Ci raggiunse Rivera, tornando da Monza, era sabato, ero felice perché il lunedì avrei firmato”. Però? “Però il giorno dopo il Giornale titolò, a nove colonne, la notizia. Si scatenò l’inferno, Colombo mi disse di rimandare, ma i tifosi non accettarono perché questo avrebbe tolto di fatto potere a Rivera. E non se ne fece di niente. Così diventai

procuratore”. Grazie ad un nome. “Eligio Nicolini”. Non ci crederete, ma la chiacchierata è a metà. E mica la vanità dev’esser considerata vizio, anzi. L’Avvocato Pasqualin s’immerge, sulla scalinata in marmo al centro della sua casa, nel mezzo della sua passione. I suoi ragazzi, nomi e colori. Poi, dopo i sorrisi, riprendiamo da lì. Da Eligio Nicolini. “Mi suonò il campanello, chiedendomi se potessi prenderlo in procura. Andai in sede al Vicenza, trovammo subito l’accordo. Così mi chiese, Nicolini, ‘quanto ti devo?’. Non avevo idea, gli dissi che poteva decidere e, con imbarazzo, incassai un assegno decisamente alto per il lavoro svolto. Fu la molla, così come quella che arrivò il giorno dopo quando, allo svincolo tra il tribunale ed il ritiro di una nazionale giovanile, scelsi quest’ultima e girai il volante”. Tra chi l’ha segnata, fortemente, impossibile non fare il nome di Gianluigi Lentini.

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Ho una parte nel film su Hemingway, My Name is Ernest: faccio il barista “Era un calciatore assistito da Moreno Roggi, che diventò il general manager della Fiorentina. Che ricordi: l’elicottero di Berlusconi che ci portò ad Arcore. I tifosi del Torino che ci rincorsero, poi: ci nascondemmo in un negozio, Lentini uscì da un’entrata secondaria. Duemila tifosi inviperiti per l’addio del ragazzo al Toro, poi ad un angolo lo feci risalire in macchina ma...”. Ma? “Indovini? Ci videro. Così partimmo rapidi, e ringrazio ancora quel semaforo, all’incrocio, per non esser diventato rosso... Tutto andava per il verso giusto, finché una vecchietta non gli dette un’ombrellata. Così partirono i cori, ‘Lentini...

l’hai fatto per la grana’. Sa quali mi ricordano? Quelli che ho sentito in Egitto”. Voliamo all’ombra delle Piramidi, allora. “Per Hazem Emam, lo Zico delle Piramidi, il Maradona d’Egitto, poi portato all’Udinese. Me ne invaghii sportivamente quando lo vidi alla Coppa d’Africa in Sudafrica, così andai con il presidente Pozzo nella sede dello Zamalek. I tifosi, fuori, intonavano cori, continuamente. Dentro sembrava un bazar e ricordo ancora quell’egiziano...”. Era al Cairo... “Sì, ma lui lo ricordo bene. Presi un dolcetto dal tavolo, quello mi si fece incontro e, in perfetto friulano, dopo esser stato in silenzio per ore, disse ‘ci vorrebbe un Picolit’. Era di Manzano, lo Zamalek prese informazioni su di noi con la comunità egiziana in Friuli e fece venire questo signore per assistere alla trattativa”. Viaggiamo così. Per racconti. “Allora passo a Paolo Montero. Però prima ci tengo a dire che questa, come altre trattative, le ho e le abbiamo sempre

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I RE DEL MERCATO / claudio PASQUALIN

IL CONTRATTO DEL MILLENNIO Del Piero firmò, con Pasqualin, lo storico contratto con la Juventus

I RE DEL MERCATO / claudio PASQUALIN

“” Stavo per diventare amministratore delegato del Milan condotte con Andrea D’Amico. Che per noi è una figura fondamentale, che ho cresciuto e con la quale c’è stata sempre grande sintonia. Ed ero proprio con Andrea, in sede all’Inter, per chiudere il passaggio di Paolo in nerazzurro. Luciano Moggi, allora dirigente della Juventus, giocava intanto al gatto col topo. Era tutto fatto, tutto scritto, però non facemmo venire Montero in sede all’Inter. Da lontano vedemmo la dirigenza al completo ma, proprio in quell’istante, arrivò la chiamata di Moggi. La Juventus voleva chiudere. Così salimmo, imbarazzati, e ci mettemmo a parlar male della reputazione di Montero”. Il vostro Montero? “Già, ma con l’Inter, per farli desistere. Mazzola capì l’antifona ma poi Paolo voleva Lippi...”. Alla Juventus ha portato anche un certo Alessandro Del Piero. “Lo presi in procura dopo aver parlato con la signora Bruna, chiaramente. Inutile riparlare del contratto del millennio, ma ogni volta che la palla finiva nel sette, nelle orecchie sentivo la cascata delle monete... Ricordo ancora il Colorado, l’operazione, l’incontro con un gigante del football americano in ospedale. Fece amicizia con Alessandro, ma questi non sapeva cosa fosse il calcio e quando gli regalò la 10 della Juventus, lo guardò un po’ stranito, paragonandola con quelle della NFL. ‘Ma come? Così, senza imbottiture?’”. Scorrendo i nomi, finiamo tra un anno, Pasqualin. Andiamo secchi: Gianluca Vialli? “Che emozioni, vissute insieme. Ricordo bene quella notte, all’una, quando a casa sua c’era lo champagne. E i dirigenti del Chelsea... Ho portato tanti giocatori in Inghilterra, ma anche in Scozia come Amoruso e Porrini, ma anche Donati, per esempio, tra Rangers e Celtic. Mi hanno dato l’oc-

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Luca PASQUALIN

“Il mio sogno è realtà”.

MERCATO DA TRE PUNTI Legato a Inghilterra e States, Luca Pasqualin è anche appassionato di NBA

“Sono sincero: il cognome ha portato grandi vantaggi, ma poi chiaramente devi camminare sulle tue gambe. Ed è un vero privilegio farlo in questo mondo”. Luca Pasqualin si racconta, tra uno shooting fotografico e l’altro. Racconta il suo percorso di vita e spiega, a chiare lettere, di aver vissuto momenti indimenticabili nella sua vita. “Il calcio è uno sport nazional popolare ed è bello, nonché emozionante, essere a confronto continuamente con personaggi di spessore internazionale”. Ne cita uno in particolare? “Due: il primo è il rinnovo di Giovinco, con Blanc e Cobolli Gigli. Una vera emozione. Poi, a ventisette anni, quel pomeriggio con Wenger: mi ha colpito la sua umiltà, mentre mi accompagnava a vedere il centro d’allenamento dell’Arsenal”. È molto legato all’Inghilterra. “Ho vissuto per sei mesi a Londra, mentre negli Stati Uniti ho passato le mie estati. Per studiare e per migliorare il mio inglese, la prima volta a Malibù è stata a diciotto anni. Adesso seguo sempre con grande passione la NBA e, pur essendo malato di Michael Jordan, e dunque a suo tempo dei Chicago Bulls, ora nel mio cuore c’è San Antonio dell’italiano Belinelli”. Il posto più strano dove l’ha portata il calcio? “In Georgia, negli Stati Uniti. Volevo a tutti i costi vedere il Ronaldo ventenne, alle Olimpiadi. La gara contro il Giappone. E poi ricordo con affetto UnitedArsenal, vista nella curva dei Gunners ad Old Trafford”. Lavoro e famiglia. “Con mia moglie Alessandra ho uno splendido figlio, Francesco. Lei è Avvocato, non è appassionata di calcio e per questo non ne parliamo in casa, mi dà modo di staccare del tutto. E poi sul lavoro ho un obiettivo: essere mediatore di trasferimenti internazionali. Il nostro mestiere sta prendendo quella direzione là”.

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I RE DEL MERCATO / claudio PASQUALIN

I RE DEL MERCATO / claudio PASQUALIN

DI PADRE IN FIGLIO

La dinastia prosegue. Anche grazie alla splendida partnership con i fratelli D’Amico

casione di stare nella sala trofei dell’Old Firm, lo storico derby di Glasgow”. Ed il rimpianto? “Definirlo così è riduttivo. Ho, ed avrò per sempre, nel cuore Chicco Pisani. Un ragazzo d’oro, che se ne andò prematuramente per un incidente. Mesi dopo andai in Lunigiana, ad omaggiarlo al cimitero, e lì davanti alla tomba c’erano un papà con un bimbo, con la maglia dell’Atalanta. Erano lì per lui”. Ci parli di Oliver Bierhoff. “Quando era all’Ascoli, lo portai al calciomercato a Milano. ‘Devi farti vedere’, gli dissi. Dopo un po’, sbottò, e mi disse ‘questo essere mercato di vacche’. In effetti...”. Ha incrociato vite straordinarie, nel suo percorso. Ce n’è una che l’ha colpita, più di ogni altra? “Suor Pura. È in corso il processo di beatificazione, adesso, me la presentò Andrea D’Amico. Mandava avanti l’asilo di Mozzecanne e ricordo che ci parlammo anche della situazione di Lentini. Le dicemmo ‘se le cose vanno come devono andare, il tetto dell’asilo verrà rifatto’.

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BIERHOFF venne a Milano al calciomercato e mi disse: ‘questo essere mercato di vacche’

re. Però l’Avvocato Claudio Pasqualin, superati i settanta, sorride ancora. Ed ha l’entusiasmo di un giovane. “Lo vede questo austriaco qui - mentre ci porge lo smartphone? Settanacinque anni. All’ultimo mondiale over 70 ho preso un bronzo. Puntavo al massimo alloro, lui non lo conoscevo neanche ma ci ha sorpresi tutti”. Ma la rivincita è dietro l’angolo. Ha voluto la bicicletta, Pasqualin. E pedala che è una meraviglia, nelle salite e nelle discese della vita.

Oggi, c’è una targa: ‘Andrea e Claudio facerunt’”. Ed il rammarico? “Ne hai sempre nella vita. Uno, magari, è Pagliuca. Avevo due ragazzi, alla Samp, Ganz e Zanutta. Dormivano in stanza in tre, mi rispondeva sempre Gianluca ed al telefono, quasi in modo subliminale, diceva ‘no, Ganz e Zanutta non ci sono. Ma ci sono io, Pagliuca. Capito? Sono Pagliuca’. Ed ingenuamente, rispondevo ‘ok, grazie, richiamo’”. Perché la vita è così. Prendere o lascia-

Intervista di Marco Conterio

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I GIGANTI DEL CALCIO CHRISTIAN PANUCCI

I GIGANTI DEL CALCIO / CHRISTIAN PANUCCI

PANUCCI OGGI

Christian fa il commentatore per Fox Sports ma sogna una panchina

CHIAMATELO DON CHRISTIAN

Vice di Capello, Panucci sta bruciando le tappe del tour che porta a diventare un grande allenatore‌

di Sergio STANCO foto Image SPORT

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I GIGANTI DEL CALCIO / CHRISTIAN PANUCCI

Hai giocato in Premier, Liga e Ligue 1, ora le commenti per FOX Sports: come sono cambiati questi tornei rispetto ai tuoi tempi? “Sono molto cambiati, soprattutto la Premier: una volta si buttava la palla avanti, “in the box” come dicono loro, e basta. Ora, invece, c’è molta più qualità, anche nelle piccole squadre e ci sono tanti allenatori che provano a far giocare bene le loro squadre, c’è molta più tecnica rispetto al passato. In Liga o in Ligue 1 ce n’era già quando ci giocavo io e ce n’è anche di più ora, ma in Inghilterra il calcio è cambiato radicalmente negli ultimi anni”. A proposito di Spagna, ti ha sorpreso l’Atletico Madrid? “Un po’ sì, perché negli ultimi anni c’erano solo Real Madrid e Barcellona. Ai miei tempi, quando giocavo al Real, c’erano un sacco di squadre toste, oggi sono solo tre. Tornando all’Atletico, comunque, mi

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SHOW MAN

Panucci è un opinionista TV molto apprezzato dagli spettatori

“” Il rimpianto? Credo proprio quello di aver lasciato il Real per andare all’Inter: il presidente mi aveva offerto quattro anni di contratto…

MENTALITA’ VINCENTE

Due anni (1997-99) e una Liga e una Champions con il Real Madrid (’98)

ha sorpreso fino ad un certo punto, perché conosco il valore del suo allenatore e la squadra è fatta a sua immagine e somiglianza. Ha una grande mentalità che le ha dato il suo tecnico, è una squadra difficile da superare. E poi tutti dicono che l’Atletico non abbia campioni in squadra, ma guarda caso poi vende tutti i giocatori al Chelsea a peso d’oro. Se è così, significa che poi tanto male non sono... (ride, ndr)”. Tante italiane dicono di ispirarsi all’Atletico, ma secondo te è replicabile qui da noi un modello del genere? “Se c’è una squadra che possiamo imitare è proprio l’Atletico Madrid, perché gioca proprio come fosse una squadra italiana, grande difesa e contropiede (ride, ndr). Sento dire che fanno possesso palla, tiki taka e cose del genere, ma sono tutte fantasie (ride, ndr)”. Un altro esempio che spesso si cita è quello del Borussia Dortmund… “Sì, l’ho sentito spesso anche io, ma non scherziamo… Tra le nostre squadre e le big dei campionati stranieri c’è un baratro. Il Borussia ha dei campioni del Mondo in rosa, si è permesso di spendere 20 milioni di euro per Immobile quest’estate, quale altra squadra italiana avrebbe potuto fare altrettanto? Te lo dico io, nessuna. Per cui il Borussia è un altro esempio inarrivabile per noi…”.

foto Agenzia Liverani

I

ntervista a Panucci, attuale secondo di Fabio Capello sulla panchina della Russia, con il quale è nata una grande amicizia che va oltre il lato professionale. E Capello è l’esempio da seguire per uno che sogna di fare l’allenatore… Cristian Panucci può essere considerato l’antesignano dei calciatori “emigranti di successo”. È partito nel Genoa, è passato al Milan prima di andare al Real Madrid e poi tornare all’Inter e riprendere il suo tour d’Europa a Londra col Chelsea e a Motecarlo col Monaco e infine chiudere a Roma e Parma. Ovunque sia andato, ha vinto: tre campionati (due col Milan, uno col Real), due Champions League (Milan e Real), due campionati europei (Under21), due coppe Italia (Roma). Con qualsiasi allenatore, ha avuto confronti diretti (diciamo così). Con tutti si è chiarito, tranne uno. Di Capello – non uno qualsiasi - è diventato amico, consigliere, secondo. Ora è vice-allenatore (proprio con Don Fabio) della nazionale russa, commenta i campionati stranieri per FOX Sports, ha fatto anche il ballerino a “Ballando con le Stelle” e provato a fare il Direttore Sportivo del Palermo di Zamparini, ma adesso ha finalmente deciso cosa farà da grande…

I GIGANTI DEL CALCIO / CHRISTIAN PANUCCI

Ma come si fa a colmare il gap? “Facile, ci vogliono i campioni e, quindi, i soldi. Senza non andiamo da nessuna parte. Ma per riuscirci bisognerebbe cambiare tante cose del nostro calcio e

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Tornando alla Premier, il Manchester United con Van Gaal, Falcao e Di Maria, tornerà ai suoi livelli? “Ci vorrà tempo secondo me. Quest’anno offrirà prestazioni altalenanti, senza continuità, perché ha tanta qualità davanti, ma non altrettanta dietro. Diventerà una buona squadra nei prossimi anni, ma questa stagione sarà ancora di sofferenza”. Restando agli allenatori e passando a Wenger: pro o contro? Genio o perdente? “Per me è un ottimo allenatore, perché ha migliorato e reso grandi tanti giocatori, fa giocare bene le sue squadre. Sa lavorare con i giovani, anche se ha metodi particolari: ho avuto la fortuna di vedere alcune sue sedute, sono molto brevi, fa tipo un’ora e mezza di allenamento e basta. Però, ripeto, sono tanti i calciatori che dovrebbero dirgli grazie. Chiaro che l’Arsenal non è un club che investe molto, almeno non come le concorrenti, quindi bisogna capire quali sono gli obiettivi. E gli obiettivi sono quelli di fare bene in campionato e andare sempre in Champions, dunque finora li sta raggiungendo”. Cosa pensi, invece, di Mourinho? “Tutto il bene possibile, sarò un mourinhano tutta la vita (ride, ndr). Perché? Perché mi piace tutto di lui, come si pone coi giocatori, con la stampa, come prende le cose di petto, non è un ruffiano. È uno spettacolo. E poi è un vincente, perché i risultati li ha fatti dappertutto”.

“” Non esiste un modulo perfetto per qualsiasi squadra, un bravo allenatore è quello che usa il modulo giusto in base ai calciatori che ha in rosa più legato? “Credo la Champions vinta contro la Juve (1998, ndr). Era una partita fondamentale per noi, perché se non avessimo vinto la finale, non avremmo disputato la Champions l’anno successivo, perché non ci eravamo qualificati. E la squadra sarebbe stata smembrata. Invece... Invece siamo riusciti a riportare la Coppa a Madrid dopo 32 anni, una gioia incredibile per noi ma soprattutto per i tifosi del Real. Tuttora quando vado a Madrid la gente mi riconosce e mi fa la festa, questo significa che è stato veramente un momento eccezionale”.

che è successo dopo (ride, ndr). Ricordo ancora la festa tutta la notte per le vie di Amsterdam con i tifosi e poi quella al rientro a Madrid, dove ci aspettavano milioni di persone per le celebrazioni. Siamo andati avanti giorni a fare festa. In 4 giorni avrò dormito un’ora (ride, ndr)”.

L’amico per eccellenza nel mondo del calcio? “Devo dire che ho avuto la fortuna di averne tanti, Costacurta e Seedorf, De Rossi, ad esempio, ma forse il legame più intenso è quello con Fernando Hierro: a Madrid è nata un’amicizia vera che dura ancora oggi”. Ti ha sorpreso la vicenda SeedorfMilan dello scorso anno? “Si, un po’ sì, perché credo che Clarence a livello di punti abbia fatto un buon lavoro. Ma poi, sai, non essendo dentro non puoi giudicare. Se ne sono sentite talmente tante…”. Il nemico… “Dai, questa domanda potevi anche risparmiartela (ride, ndr). Dimmelo tu...”.

Non è mai uscito, però, quello che è successo tra di voi... “Perché è giusto così, quello che succede nello spogliatoio deve restare lì”.

Visto che abbiamo parlato di Chelsea e Real: la tua favorita per la Champions? “Il Chelsea, ovviamente (ride, ndr)”.

A parte Capello, che merita un capitolo a parte che affronteremo in seguito, l’allenatore con cui hai legato di più? “Nonostante quello che si dice in giro, io sono andato d’accordo con tutti i miei allenatori. Diciamo quasi tutti (ride, ndr). Forse quello con cui ho legato di più è stato Heynckes a Madrid: si è creata un’ottima intesa tra noi, lui si fidava di me anche perché io l’avevo aiutato in un periodo difficile per lui, quando sembrava che lo stessero per cacciare. Sì, devo dire che di lui ho solo bei ricordi”.

Apriamo l’album dei ricordi: il momento della tua carriera al quale sei

“LA” partita della vita? “La finale contro la Juve e tutto quello

L’avversario che ti ha fatto soffrire di più?

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E’ la Roma la squadra del cuore di Panucci: “Tifosi eccezionali”

Il rimpianto più grande? “Credo proprio quello di aver lasciato il Real per andare all’Inter: il presidente mi aveva offerto quattro anni di contratto, ma penso di essere stato l’unico pazzo ad andarsene da Madrid con ancora quattro anni di contratto (ride, ndr). Col senno di poi è stata una vera follia (ride, ndr)”.

La squadra che ti è rimasta nel cuore? “Madrid è stata una tappa fondamentale per la mia carriera, ma il legame che ho con Roma e con la Roma va oltre. Il mio rapporto con la città, con quei colori, con quegli splendidi tifosi è qualcosa di unico che porterò per sempre dentro”.

Invece Ancelotti, che è l’esatto contrario di Mourinho, fa faville, a dimostrazione che nel calcio non c’è solo una ricetta vincente… “No, è la dimostrazione che nel calcio vincono i giocatori (ride, ndr), tutti invece parliamo di schemi, allenatori e ca… volate varie. Chiaro che, poi, quando hai grandi giocatori, devi saperli gestire e in questo Carlo è un maestro. Però quando li hai sei già a metà dell’opera”.

ROMA CAPUT MUNDI

Lippi? “Vedi che lo sai? Allora cosa me lo hai chiesto a fare? (ride, ndr)”.

Ma avete mai avuto modo di incontrarvi, chiarire... “Incontrarci sì, ma ciao ciao e finisce lì. Chiarire no, perché non c’è niente da chiarire. Comunque ci tengo a precisare che non è un nemico, semplicemente una persona con la quale non mi sono trovato, uno con cui non voglio avere alcun rapporto. Beh, forse sì, è un nemico... (ride, ndr)”.

foto Agenzia Liverani

diciamo che non sono così ottimista (sorride, ndr)”.

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“” Ogni volta

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LA PRIMA CHAMPIONS… Non si scorda mai: col Milan nel 1994 a soli 21 anni

che incontravo Overmars per me era un incubo. Lo soffrivo tantissimo, la vigilia era un vero e proprio supplizio

EUROPA CHE PASSIONE

NATALE CON PANUCCI

Panucci ha giocato in Spagna, Inghilterra e Francia, oggi commenta tutti questi campionati grazie a Fox Sports

“Ogni volta che incontravo Overmars per me era un incubo. Lo soffrivo tantissimo, la vigilia era un supplizio (ride, ndr). Stranamente, però, quando ci scontrammo in finale, io nel Milan e lui nell’Ajax, abbiamo vinto noi e io feci una grande partita”. Quello più insopportabile? “Voglio un bene dell’anima a tutte e due, ma i gemelli Filippini erano due veri rompi..., due sanguisughe. Ogni volta che l’arbitro fischiava un fallo arrivavano tutte e due a strepitare. Li avrei ammazzati (ride, ndr)”. Il compagno più “pazzo”… “Non ho dubbi, Dennis Wise. Abbiamo giocato insieme al Chelsea (2000-2001, ndr), ma era completamente folle. Ricordo che prima degli allenamenti e prima delle partite faceva docce gelate per caricarsi (ride, ndr)”.

non darebbero mai al proprio secondo. E questo non significa che si vada sempre d’amore e d’accordo, noi discutiamo spesso, anche a cena davanti ad un buon bicchiere di vino, perché comunque ci sta di avere idee differenti. Però, alla fine, è il rispetto reciproco che fa la differenza”.

Visto che ne hai accennato tu, quali sono i difetti di Capello? “Il mister devi saperlo prendere: come tutti, anche lui ha il suo carattere, ma ci conosciamo da talmente tanto tempo che io so quando posso parlare, cosa posso dirgli e come. E la cosa che mi inorgoglisce è che lui mi ascolta, si fida di me, mi dà responsabilità che molti allenatori

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foto Agenzia Liverani

Apriamo il capitolo Capello: definiamole affinità elettive, ma ti sei mai spiegato com’è nato il vostro rapporto? “Facciamo un po’ di filosofia: si dice che è amore se si rispettano i difetti dell’altro. Lui mi ha capito, mi rispetta e io ho capito lui e lo rispetto. Per questo andiamo d’accordo, a tal punto che posso dire che siamo diventati amici”.

Già, raccontaci l’esperienza in Russia: come va, di cosa ti occupi, Capello è uno che delega o è geloso? “Come dicevo prima, con me delega molto, perché si fida. Io sviluppo tutti gli allenamenti e quando dividiamo la squadra in gruppi mi occupo di curare la fase difensiva. Quando non siamo in ritiro, invece, è soprattutto Fabio che segue le partite di campionato, perché abita a Mosca e le squadre son tutte concentrate lì, io seguo le gare dalla tv e ci sentiamo spesso per condividere le impressioni. Poi, quando in Russia le squadre fanno la sosta e vanno al caldo a fare la pre-

parazione, io le raggiungo e seguo gli allenamenti, per visionare i giocatori ma anche per far vedere che la federazione c’è ed è presente. C’è sempre una grande organizzazione dietro un allenatore come Capello, nulla è lasciato al caso”. Prima i Mondiali e ora le qualificazioni non stanno andando benissimo... “La situazione in Russia non è facilissima, giocatori russi che giocano in patria ce ne saranno quattro e sono quasi tutti portieri (sorride, ndr). Già essere riusciti a qualificarci per il Brasile secondo me è stato un gran risultato...”. Dopo la carriera, sei stato commentatore, direttore sportivo, ora vice allenatore: hai deciso cosa fare da grande? “Certo che sì, adesso che ho provato a fare l’allenatore mi sento il sacro fuoco dentro. Aspetto la mia occasione per se-

Durante le Feste, spettacolo in Premier League, con tutti i campioni in mostra… Panucci lo sa bene, mentre la Serie A si ferma per le festività natalizie, i campionati stranieri e di conseguenza i commentatori sportivi, durante le Feste, non godranno di nessuna vacanza, anzi... Tra le maratone in programma su Fox Sports da non perdere Boxing Day, venerdì 26 dicembre, che si apre alle 13.00 per concludersi a mezzanotte. Spiccano i derby londinesi tra Chelsea e West Ham (in diretta alle ore 13,45) e tra Arsenal e Queens Park Rangers (live alle ore 18.30). Il Liverpool di Mario Balotelli è invece di scena sul campo del neopromosso Burnley (in diretta alle ore 16.00). Neanche il tempo di un brindisi in famiglia che si riparte il 28 dicembre con la super sfida del St. Mary’s Stadium tra Southmpton e Chelsea (in diretta alle ore 15.05), l’incontro di cartello della 19a e ultima giornata del girone d’andata della Premier League. Mentre nel posticipo serale il Liverpool di Brendan Rodgers ospita ad Anfield Road i gallesi dello Swansea, una delle squadre rivelazione di inizio stagione. Questi solo alcuni dei tanti appuntamenti che allieteranno le festività degli amanti del calcio internazionale. Ovviamente Panucci sarà in prima fila…

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I GIGANTI DEL CALCIO / CHRISTIAN PANUCCI

I GIGANTI DEL CALCIO / CHRISTIAN PANUCCI

dermi in panchina e mettermi alla prova...”. Tornando alla tua esperienza da DS al Palermo, tutti – a posteriori – si chiedono: ma perché c’è andato? Non sapeva come andava a finire? “Io ero pronto a rapporti intensi, diciamo così, anche a scontrarmi eventualmente e pure che al fatto che l’ultima parola fosse la sua, visto che era lui il presidente, ma se c’è una cosa che assolutamente non sopporto è la maleducazione. Un conto è comandare, un altro è farlo in modo maleducato”.

INSIEME A CAPELLO Panucci e Don Fabio, due personalità decisamente forti...

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Immaginiamo che domani ti chiami un presidente per affidarti la sua squadra: da dove partiresti? Come la faresti giocare? “E come faccio a dirlo? Devo vedere che giocatori ho a disposizione. Non esiste un modulo perfetto per qualsiasi squadra, un bravo allenatore è quello che usa il modulo giusto in base ai calciatori che ha in rosa”. E se potessi chiedere un giocatore qualsiasi?

“Mah, ce ne sono tanti, ma anche in questo caso dipende chi ti serve. Non è detto che prenderei il campione assoluto o quello più costoso, cercherei di prendere quello più funzionale all’idea di squadra che ho in testa”. E da difensore, gli scudetti o le coppe si vincono in difesa o in attacco? “Si vincono cercando di prendere meno gol possibili e avendo tanta qualità davanti, ci vogliono tutte e due le cose (ride, ndr)”. Nella tua carriera hai avuto episodi burrascosi con gli allenatori: ora che sei dall’altra parte, li capisci di più? Cosa faresti ora ad un tuo giocatore che si rifiuta di sedersi in panchina? “Non voglio essere presuntuoso, ma dopo tanti anni di carriera e di spogliatoio credo di riuscire a capire i sentimenti e le emozioni dei calciatori, so quello che provano e penso di sapere come rapportarmi con loro. Se dovesse capitare, basterebbe affrontare la cosa da uomini: si chiede scusa, ci si mette una pietra sopra e si ricomincia da capo. Come è acca-

duto a me con Capello: il giorno dopo il “caso” di Reggio Calabria (nel 2004 Panucci si rifiutò di entrare in campo contro la Reggina, ndr), mentre i giornali facevano un gran romanzo della vicenda, io e Fabio eravamo a giocare insieme a golf. Anche questo significa essere grandi allenatori...”. E quando si parla di grandi allenatori, non si può non fare riferimento a Fabio Capello. Un modello da seguire, un esempio da cui imparare. E chissà che, fra qualche anno, Panucci non sia diventato Don Christian…

Intervista di Sergio Stanco

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SPECIALE STORIA COPPA DEI CAMPIONI

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1971-1972

INTER AL PALO

Nonostante un grande Bordon, i nerazzurri si arrendono all’Ajax...

INTER, NIENTE MIRACOLO La Grande Inter, ormai logora, cede al passo al terrificante gioco dell’Ajax del maestro Cruyff

foto Agenzia Liverani

di Gabriele PORRI

L’

Ajax ha conquistato il titolo europeo succedendo ai rivali del Feyenoord, ma entrambe si presentano ai nastri di partenza dell’edizione 197172, poiché la squadra di Rotterdam ha conquistato il suo decimo titolo olandese. Il Feyenoord è sempre guidato da

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Happel, l’Ajax ha invece perso Rinus Michels, attratto dalle pesetas del Barça. Nello scetticismo generale ad Amsterdam, arriva il rumeno di etnia ungherese Stefan Kovacs, ex Steaua. Lascia il club Vasovic, esordisce al centro della difesa il giovane Ruud Krol, ma tutti devono saper coprire ogni posizione in campo. Nella nuova stagione il ricorso ai rigori come “tie-breaker” viene estesa a tutta

la competizione, confermati i cartellini per ammonizioni ed espulsioni. Torna in corsa dopo quattro anni l’Inter, protagonista di una grande rimonta in campionato, fa il suo esordio nella principale competizione il Valencia, vincitore della Coppa delle Fiere nel 1962 e 1963. Gli spagnoli devono affrontare il preliminare contro l’Union Luxembourg, che a sorpresa si porta in vantaggio nella gara di

andata. Il Valencia recupera e passa il turno con un 4-1 complessivo. Esordiente è anche l’Arsenal di Bertie Mee, vincitore sul filo di lana davanti al Leeds, grazie ai gol di Ray Kennedy e John Radford. Come sempre, il primo turno riserva punteggi roboanti e partite equilibrate. Il record va al Feyenoord che rifila 17 gol a zero al malcapitato Olympiakos di Nicosia. Goleada anche per Grasshoppers, Benfica e Borussia Mönchengladbach. L’Inter, che mette in campo a distanza di anni gli eroi della Grande Inter, ora trentenni, insieme a giocatori validi, ma logorati dalla rincorsa scudetto, supera il primo turno a spese dell’AEK Atene. A San Siro, l’Inter va sotto per un diagonale di sinistro di Pomonis. La reazione è immediata e il primo tempo si chiude sul 3-1, nella ripresa un rigore di Boninsegna chiude i conti e la sconfitta di Atene di misura non fa male. Ma il cammino dell’Inter si sta per rivelare accidentato e il suo futuro nella competizione si deciderà non solo sul campo, ma anche nelle aule dei tribunali UEFA. Il Valencia soffre e passa solo per i gol in trasferta con l’Hajduk, mentre i campioni dell’Ajax ottengono il massimo senza strafare, vincendo 2-0 in casa con la Dinamo Dresda per poi bloccare i tedeschi orientali sullo 0-0. Quella che è passata alla storia come “la partita della lattina”, meriterebbe un articolo a parte, tanto l’episodio è ormai entrato a far parte dell’epopea calcistica. A Mönchengladbach c’è Borussia-Inter. I tedeschi, giovani e poco conosciuti, vincono in patria da due anni, ma non sono considerati dei top europei. L’Inter li snobba un po’ e si reca nella cittadina della Renania solo il giorno prima, trovandosi di fronte a uno stadio piccolo, con tribune in legno. Sul campo poi le cose si mettono male: segna Heynckes, risponde Boninsegna, Le Fevre fa il 2-1. Al 29’, Boninsegna sta battendo una rimessa laterale, ma stramazza a terra, colpito da un oggetto. Sembra sia una lattina di Coca Cola, Mazzola la vede, ma i poliziotti a bordo campo la calciano via, la prende un tifoso che la nasconde. Allora il “Baffo” si fa consegnare un’altra lattina da due italiani, vuota. Boninsegna lascia il campo e l’Inter, scossa dagli eventi in campo, perde 7-1. Non esiste ancora, a livello UEFA, il concetto di responsabilità oggettiva, tanto meno il 3-0 a tavolino. Tuttavia, il Panionios è stato appena

escluso dalla Coppa UEFA per violenze sul campo e l’organismo europeo non prende sotto gamba gli eventi tedeschi. Il lavoro dell’avvocato Prisco, vicepresidente interista, paga, in quanto l’UEFA decide di far ripetere la partita in campo neutro, a Berna (in appello si opta per Berlino Ovest). Il successo del ricorso interista è anche dovuto all’arresto del colpevole, un olandese naturalizzato tedesco tifoso del Borussia. Nel frattempo, si gioca il ritorno a Milano in un clima poliziesco, con 1200 agenti a impedire l’entrata di bibite in bottiglia o lattina e altri oggetti. L’Inter vince 4-2 e al ritorno, complice la grande prestazione dell’esordiente Bordon, trova il pari 0-0, con Ludwig Müller che si frattura una gamba scontrandosi con Bonimba e Bordon che para un rigore a Sieloff. Gli ottavi di finale non riservano grosse sorprese e tra le otto superstiti ci sono ben cinque precedenti vincitrici della coppa: l’Inter, appunto, l’Ajax che supera il Marsiglia con autorità, il Benfica che ha aggiunto a Eusebio le giovani ali Nené e Rui Jordão, il Celtic (fortunato a trovare i maltesi dello Sliema) e il Feyenoord. Il bomber Antal Dunai con tre reti elimina da solo il Valencia, portando per la prima volta l’Ujpest ai quarti e completano il quadro delle magnifiche otto lo Standard Liegi e l’Arsenal. L’Ajax trova proprio l’Arsenal, gli ultimi ad avere eliminato i Lancieri nella semifinale di Coppa delle Fiere 1969-70. Il copione sembra rispettato, quando Kennedy porta avanti i suoi ad Amsterdam, ma la doppietta di Muhren chiude il primo atto sul 2-1. Il ritorno a Highbury si profila incerto, ma dopo un solo quarto d’ora George Graham effettua un retropassaggio di testa, Wilson è fuori dai pali e la palla lentamente si deposita in rete e l’Ajax passa. L’equilibrio regna sovrano, anche la sfida con lo scarto maggiore si risolve negli ultimi 10’. Il Feyenoord dopo la vittoria 1-0 dell’andata è sotto 2-1 al Da Luz, quando il Benfica prende il controllo e va a segno tre volte, con Nené (due volte) e Rui Jordão. La vittoria del Megyeri út è cruciale per il passaggio del turno del Celtic a spese dell’Ujpest, che a Glasgow si porta avanti con Antal, ma viene raggiunta da Luigi “Lou” Macari, italiano di Scozia, mentre sono i gol in trasferta a far prevalere l’Inter sullo Standard Liegi. I nerazzurri ottengono a San Siro una vit-

toria striminzita, con un gol di Jair a dieci minuti dalla fine, su assist di Pellizzaro. Fuori dalla lotta scudetto, l’Inter si butta sulla coppa. I risultati non sono granché ma, con le unghie e con i denti, riesce a portare a casa una sconfitta, anch’essa su misura ma stavolta con gol. Segna a inizio ripresa lo slavo Takac, pareggia Mazzola all’80’ in contropiede battendo Piot in uscita. Lo Standard dovrebbe segnare due gol, il rigore trasformato da Takac non basta. L’Inter è in semifinale, l’urna di Zurigo le assegna il Celtic, mentre l’altro confronto è tra Benfica e Ajax. La Coppa dei Campioni dei primi anni ha portato gol a grappoli ed è insolito che in 390 minuti di semifinali si segni un solo gol, a opera di Sjaak Swart, bandiera dell’Ajax, ormai sulla soglia dei 34 anni. È il 64’ della sfida d’andata ad Amsterdam quando il buon vecchio Sjaak di testa batte José Henrique. Poi, il nulla. L’Inter fa 0-0 a Milano e la critica si scatena contro Invernizzi e il suo gioco utilitaristico e prevede una disfatta in terra scozzese, dove mancano lo squalificato Corso e l’acciaccato Boninsegna. Al Celtic Park Jock Stein è convinto di vincerla, ma Vieri devia sulla traversa l’unico tiro davvero pericoloso di Craig. Si va ai rigori: Mazzola segna, sbaglia invece Deans, poi più nessun errore. Sul penalty trasformato da Jair l’Inter è in finale, ma per regolamento Murdoch deve comunque tirare, fissando il risultato sul 5-4. L’Inter va a Rotterdam ad affrontare l’Ajax del calcio totale e, anche se Invernizzi promette che non ci sarà un atteggiamento solo difensivo dei suoi, è chiaro che l’Inter voglia aspettare gli avversari e agire in contropiede, cercando di tenere il risultato in bilico fino alle fasi conclusive. Il primo tempo, in effetti, è dominato dai biancorossi, che però non vanno oltre un gol di mano annullato a Swart. Boninsegna va vicino al gol, ma si va al riposo sullo 0-0. A inizio ripresa Bertini perde palla, Swart crossa, Bordon si scontra con un compagno e Cruyff insacca. Il numero 14 aiacide (l’Ajax ha ottenuto di non avere la numerazione tradizionale), dopo un paio di tentativi interisti, segna il raddoppio di testa, servito dalla punizione di Keizer. Resta solo il tempo per alcune belle parate di Bordon, la coppa va nuovamente all’Ajax e l’Inter, che si è trovata senza grossi meriti in finale, sta per iniziare un periodo nero della sua pur gloriosa storia.

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SEMIFINALE 1

SEMIFINALE 2

FINALE

AJAX-BENFICA 1-0 (0-0)

INTER-CELTIC GLASGOW 0-0

AJAX-INTER 2-0 (0-0)

Mercoledì 5 aprile 1972, ore 20:15 AMSTERDAM (Stadio “Olympisch”) Arbitro: Karlo KRUASHVILI (URS) Spettatori: 53.921

Mercoledì 5 aprile 1972, ore 21 MILANO (Stadio “San Siro”) Arbitro: Erich LINEMAYR (AUT) Spettatori: 69.836

Mercoledì 31 maggio 1972, ore 20:30 ROTTERDAM (Stadio “Feyenoord”) Arbitro: Robert HELIES (FRA) Spettatori: 61.354

AJAX: Heinz STUY, Wilhelmus SUURBIER, Horst BLANKENBURG, Bernardus HULSHOFF, Rudolf KROL, Arend HAAN [55’ Dick VAN DIJK], Johannes NEESKENS, Jesaia SWART, Gerardus MÜHREN, Johannes CRUYFF, Petrus KEIZER (cap.) Commissario tecnico: Stefan KOVACS.

INTER: Lido VIERI, Mauro BELLUGI, Giacinto FACCHETTI, Mario BERTINI, Gabriele ORIALI, Tarcisio BURGNICH, JAIR, Sergio PELLIZZARO [71’ Gian Piero GHIO], Roberto BONINSEGNA, Alessandro MAZZOLA (cap.), Mario FRUSTALUPI Commissario tecnico: Giovanni INVERNIZZI.

AJAX: Heinz STUY, Horst BLANKENBURG, Wilhelmus SUURBIER, Bernardus HULSHOFF, Rudolf KROL, Arend HAAN, Johannes NEESKENS, Jesaia SWART, Gerardus MÜHREN, Johannes CRUYFF, Petrus KEIZER (cap.) Commissario tecnico: Stefan KOVACS.

CELTIC GLASGOW: Evan WILLIAMS, James CRAIG, James BROGAN [63’ Patrick MC CLUSKEY], Robert MURDOCH, William MC NEILL (cap.), George CONNELLY, James JOHNSTONE, Kenneth DALGLISH, Lou MACARI, Thomas CALLAGHAN, Robert LENNOX Commissario tecnico: John STEIN.

INTER: Ivano BORDON, Mauro BELLUGI, Giacinto FACCHETTI, Gabriele ORIALI, Mario GIUBERTONI [20’ Mario BERTINI], Tarcisio BURGNICH, JAIR [59’ Sergio PELLIZZARO], Gianfranco BEDIN, Roberto BONINSEGNA, Alessandro MAZZOLA (cap.), Mario FRUSTALUPI Commissario tecnico: Giovanni INVERNIZZI.

Ammonito: Robert MURDOCH.

Reti: 48’ e 77’ Johannes CRUYFF.

BENFICA: JOSÉ HENRIQUE, ARTUR CORREIA, HUMBERTO COELHO, Julio TIMULA MESSIAS, Adolfo CALISTO, JAIME GRAÇA (cap.), NENÉ, TONI, ARTUR JORGE, EUSEBIO, Rui JORDÃO [66’ VITOR BAPTISTA] Commissario tecnico: James HAGAN.

ANDATA

ANDATA

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1971-1972

Rete: 64’ Jesaia SWART.

Ammonito: 79’ Roberto BONINSEGNA. CELTIC GLASGOW-INTER 0-0 d.t.s., 4-5 ai rigori

BENFICA: JOSÉ HENRIQUE, ARTUR CORREIA, HUMBERTO COELHO, Julio TIMULA MESSIAS, Adolfo CALISTO, JAIME GRAÇA (cap.), NENÉ, TONI [82’ DIAMANTINO], ARTUR JORGE [78’ VITOR BAPTISTA], EUSEBIO, Rui JORDÃO Commissario tecnico: James HAGAN. AJAX: Heinz STUY, Horst BLANKENBURG, Wilhelmus SUURBIER, Bernardus HULSHOFF, Rudolf KROL, Arend HAAN [90’ Heinz SCHILCHER], Johannes NEESKENS, Jesaia SWART, Gerardus MÜHREN, Johannes CRUYFF, Petrus KEIZER (cap.) Commissario tecnico: Stefan KOVACS. Ammonito: 53’ Petrus KEIZER.

Mercoledì 19 aprile 1972, ore 20 GLASGOW (Stadio “Celtic Park”) Arbitro: Rudolf GLÖCKNER (GDR) Spettatori: 73.724 CELTIC GLASGOW: Evan WILLIAMS, James CRAIG, Patrick MC CLUSKEY, Robert MURDOCH, William MC NEILL (cap.), George CONNELLY, James JOHNSTONE, Kenneth DALGLISH [61’ John DEANS], Lou MACARI, Thomas CALLAGHAN, Robert LENNOX Commissario tecnico: John STEIN. INTER: Lido VIERI, Mauro BELLUGI, Giacinto FACCHETTI, Gabriele ORIALI, Mario GIUBERTONI, Tarcisio BURGNICH, JAIR, Gianfranco BEDIN, Mario BERTINI [69’ Sergio PELLIZZARO], Alessandro MAZZOLA (cap.), Mario FRUSTALUPI Commissario tecnico: Giovanni INVERNIZZI. Sequenza RIGORI: MAZZOLA (gol), DEANS (alto), FACCHETTI (gol), CRAIG (gol), FRUSTALUPI (gol), JOHNSTONE (gol), PELLIZZARO (gol), MC CLUSKEY (gol), JAIR (gol), MURDOCH (gol). Ammoniti: 108’ Patrick MC CLUSKEY, 41’ Mauro BELLUGI, 69’ John DEANS.

ROBERTO BONINSEGNA

foto Agenzia Liverani

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Johan Cruijff

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RITORNO

RITORNO

Mercoledì 19 aprile 1972, ore 21:45 LISBONA (Stadio “da Luz”) Arbitro: Norman BURTENSHAW (ENG) Spettatori: 58.938

foto Agenzia Liverani

BENFICA-AJAX 0-0

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ACCADDE A GENNAIO

di Fabrizio PONCIROLI

ACCADDE A/ GENNAIO

LA PRIMA DI PATO

UN SUPER PAPERO

Pato, il ragazzo che sorprese il Diavolo

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13 gennaio 2008, San Siro conosce un ragazzino destinato a diventare un grande fuoriclasse…

foto Liverani

a storia di Pato è di quelle che assomigliano tanto alle favole (anche se non se ne conosce ancora il The End). Nato a Pato Branco, città dello Stato di Paranà, in Brasile, fa parlare subito di sé, tanto che, a soli 16 anni, viene definito dall’ex giallorosso Falcao “un sicuro campione”. Il Diavolo, nell’estate del 2007, decide di investire su questo giovanissimo brasiliano dallo scatto fulmineo. La concorrenza è enorme, ma i rossoneri la spuntano, sborsando la cifra record di 22 milioni di euro. Un esborso clamoroso, mai il Milan aveva speso tanto per un giocatore Under 18. In tanti pensano sia una follia. I vertici del Diavolo decidono di portarlo subito a Milanello, così da permettergli di integrarsi al meglio nella vita quotidiana dei rossoneri. Il ragazzo, timido e molto equilibrato, si allena con grande serietà, ma i dubbi sul suo reale valore non si smaterializzano. Un conto è giocare le amichevoli (dove, comunque, mostra buoni numeri), un altro è scendere in campo quando si gioca per i tre punti. Dopo aver depositato il contratto del ragazzo in Lega Calcio il 4 gennaio 2008 (prima, causa regolamento Fifa, non è stato possibile), il Milan si appresta a farlo esordire. La partita scelta dall’allora mister Ancelotti per mostrare il 18enne attaccante al grande pubblico è di quelle impegnative: Milan-Napoli. Il match è in programma a San Siro, il 13 gennaio, domenica post-feste. Il tecnico rossonero, qualche giorno prima della sfida con gli azzurri, alla Gazzetta dello Sport, rivela: “Pato, come movimenti e come senso del

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gol mi ricorda l’ex Napoli Careca”, confermando di credere ciecamente nelle doti dell’ex Internacional. Il Papero (soprannome del giovane campione), per complicarsi ulteriormente la vita, decide di indossare la casacca n.7 che, al popolo rossonero, riporta alla mente immediatamente le gesta di un tale Shevchenko, uno che, in maglia Milan, qualcosa di buono ha fatto. Il brasiliano ha, dalla sua, oltre all’incoscienza giovanile, un precedente incoraggiante: il IL TABELLINO MILAN-NAPOLI 5-2 (2-2) MILAN (4-3-1-2): Dida; Bonera, Nesta, Kaladze, Maldini (Favalli dal 1’ st); Seedorf, Pirlo (Gourcuff dal 35’ st), Ambrosini; Kakà; Pato, Ronaldo (Emerson dal 24’ st). (Kalac, Oddo, Brocchi, Gilardino). All. Ancelotti. NAPOLI (3-5-2): Iezzo; Cupi, Cannavaro, Domizzi; Garics, Hamsik (Dalla Bona dal 33’ st), Gargano, Bogliacino (Montervino dal 15’ st), Savini (Capparella dal 26’ st); Lavezzi, Sosa. (Gianello, Grava, Contini, Calaiò). All. Reja. ARBITRO: Rosetti di Torino. MARCATORI: Ronaldo (M)al 15’, Sosa (N) al 28’, Seedorf (M) al 31’, Domizzi (N) su rigore al 38’ pt; Ronaldo (M) al 1’, Kakà (M) al 23’, Pato (M) al 29’ st. AMMONITI: Pirlo e Domizzi per gioco scorretto. Angoli 4-1 per il Milan. ESPULSO: Gargano per doppia ammonizione. NOTE: spettatori 70.076 per un incasso di 1.247.703,37 euro. Recuperi 2’ pt, 1’ st.

gol, all’esordio, con la maglia dell’Internacional. Certo, il Napoli di Reja non è paragonabile a quello che, negli anni ’80, dava del filo da torcere al Milan di Sacchi, ma resta una squadra tosta. Ancelotti la spara grossa, mandando in campo, dal primo minuto, il Ka-PaRo, ovvero il tridente delle meraviglie formato da Kakà, Ronaldo e, appunto, Pato. Per il patron Berlusconi è il grande sogno che diventa realtà: un attacco tutto brasiliano (in attesa di avere Ronaldinho, impegnato, al momento, con la casacca blaugrana del Barcellona). Le presenze a San Siro sono molte, la curiosità di vedere in azione il Papero (oltre al Fenomeno) è tanta. Dopo 15’ ci pensa Ronaldo a mandare in estasi il popolo rossonero. Il Napoli non demorde e, per ben due volte, riacciuffa i rossoneri. Nella ripresa ci scatena, però, il Ka-Pa-Ro. Prima Ronaldo, poi Kaka e, infine, Pato, vanno a segno, regalando al Milan un successo netto e convincente (5-2 finale). Cannavaro, centrale difensivo degli azzurri insieme a Domizzi, a fine match spiega: “Il Milan ha un attacco davvero fortissimo, hanno tantissime soluzioni e non è facile fermarli”. Tutto vero. In particolare, brilla Pato. Il ragazzino, oltre al gol, regala sprazzi di classe purissima che la dicono lunga sul suo potenziale. In una sola partita, il Milan capisce di aver fatto un acquisto di valore assoluto (e il tempo gli darà ragione). Ancelotti, nel post match, ha parole importanti per lui: “È un ragazzo molto maturo per l’età che ha, freddo e spensierato”. Come accaduto con Kakà (spettacolare esordio, nel lontano settembre 2003, contro l’Ancona), anche la “prima” del Papero è di quelle da ricordare. Campioni si nasce…

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PAOLO MONELLI

di Stefano BORGI

CUORE VIOLA

Monelli ha incantato soprattutto con la maglia della Fiorentina

DOVE SONO FINITI/ PAOLO MONELLI

foto Agenzia Liverani

DOVE SONO FINITI

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randi squadre, Fiorentina e Lazio in primis. Grandi compagni di squadra: Antognoni, Passarella, Socrates. Buono anche il palmares: due promozioni dalla B alla A (Lazio e Bari), un secondo ed un terzo posto con la Fiorentina, una Mitropa Cup ancora col Bari di Salvemini. E poi 167 presenze e 30 gol nel “Campionato più bello del mondo”. Eh già perché, quando in Serie A ci giocavano Maradona, Platini e Zico, ci giocava anche Paolo Monelli. Eppure, a guardar bene manca qualcosa... “Iniziamo col dire che son contento di ciò che ho fatto - esordisce il bomber emiliano -. Certo, lo ammetto, la mia carriera poteva essere ancora migliore. E il rimpianto aumenta se ripenso agli infortuni che mi hanno condizionato nei momenti importanti. Però, ripeto, non mi lamento”. Neppure se ricordiamo che lei, al Monza, era l’enfant-prodige del calcio italiano? “È vero, infatti nel 1981 mi comprò la Fiorentina. Andai a giocarmela con Daniel Bertoni e Graziani, mica scherzi... Ma anche lì, nel precampionato, mi feci subito male e persi il primo treno. Evidentemente era destino”.

“EPPURE SON CONTENTO...” Enfant-prodige nel Monza, una carriera tra infortuni e gol impossibili. Ma lui non ha rimpianti. 84

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Andiamo con ordine. Dai monti dell’Emilia a Monza, il passo è lungo... “Ho cominciato nello Scandiano che stava a 70 km da Castelnuovo de’ Monti (il suo paese natale, Paolo è del gennaio ‘63, ndr) Poi arrivai in Brianza grazie al mio allenatore che era parente di Sacchero, allora direttore sportivo del Monza. Da lì cominciai con gli Allievi, la Primavera, e a 16 anni ero già in prima squadra. Quello era un gran bel Monza, sfiorammo la Serie A per tre volte”. Poi la Fiorentina dei Pontello, insieme ad un certo Massaro. Tra i due, però, quello più bravo era lei... “Diciamo che ero quello più quotato. Giocavo già in ‘Under 21’, in giro si parlava parecchio di me. Però, come dicevo, mi infortunai durante la preparazione e passai la stagione in panchina”. E invece Massaro andò ai mondiali. “Daniele fece una grande stagione, se

lo meritò. Ancora oggi, comunque, me la sento ripetere questa storia... io che dovevo spaccare il mondo e Massaro che mi passa avanti. Ma io non me la prendo, ormai ci ho fatto l’abitudine”. Tre fotografie dei suoi 5 anni in viola. “La prima è lo scudetto perso con la Juve nell’81-’82, un’ingiustizia colossale. La seconda, invece, la stagione ‘83’84 quando arrivammo terzi nonostante l’infortunio di Antognoni. Con “Antonio” in campo non so come sarebbe finita. La terza, il famoso gol da centrocampo contro il Napoli di Maradona. Era il 4 gennaio 1987, segnai il 3-1 da oltre metà campo. Posso assicurare che, da quella distanza, la porta sembra piccola piccola. Poi ce ne sarebbe un’altra...”

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Vorrei restare nel calcio, vorrei allenare. Magari una prima squadra, anche in serie D Prego... “La mia unica tripletta in Serie A, sempre al Napoli. Era la prima giornata di campionato (stagione ‘83-’84, ndr) segnai di testa, di destro e di sinistro. Quest’ultimo, addirittura, dopo aver fatto un tunnel al grande Ruud Krol... Il ricordo di quella giornata ce l’ho scolpito dentro di me”. Dopo Firenze c’è Roma... sponda Lazio. “L’altro mio grande rimpianto. L’ultimo anno con la Fiorentina feci bene, ma non benissimo. Con i biancocelesti, invece, feci subito una grande stagione, segnai 13 reti ed ottenemmo la promozione al primo colpo. Roma, sponda laziale, era una piazza importantissima, se fossi rimasto sono convinto che avremmo costruito un bel ciclo”. E perché se ne andò? “Perché fui venduto. Calleri con me voleva far cassa, Fascetti invece mi assicurò che sarei rimasto per far coppia con Ruben Sosa. Purtroppo al tempo, per noi giocatori, era difficile rifiutare un trasferimento. Non è come oggi. Fascetti,

infatti, per questo si dimise...” Ancora la Serie B, stavolta a Bari “Fu una serie B per modo di dire. Vincemmo il campionato in carrozza: capirai, avevo compagni come Di Gennaro, Maiellaro, Scarafoni, allenatore Salvemini... un trionfo. Un anno di A, e tanto per gradire mi infortunai al polpaccio. Poi un altro trasferimento in B, a Pescara. Lì mi faccio male sul serio, sto un anno fermo e praticamente finisce la mia carriera a grandi livelli”. Monelli e la Nazionale. “Feci un ottimo biennio con l’Under 21 di Vicini dall’82 all’84. In attacco c’eravamo io e Vialli titolari, più Mancini e Galderisi... ero davvero in rampa di lancio. Poi il biennio dopo calai di rendimento, e quando Vicini sostituì Bearzot dopo Messico ‘86, restai fuori per un pelo. Diciamo che la Nazionale maggiore l’ho solo sfiorata...” Com’è il Monelli allenatore? “Ho allenato il Monza dagli allievi alla Primavera, ed ho sempre cercato di dare un’impronta alla mie squadre. Soprattutto mi piace curare l’approccio alla professione, i ragazzi devono venire al campo felici di allenarsi”. Qual è il mister che le ha dato di più? “Dal punto di vista umano e di gestione del gruppo certamente Fascetti, ed anche il “primo” De Sisti. A livello tattico dico Mazzone. Già nel 1982, quando l’ho avuto ad Ascoli, lui era avanti nei metodi di allenamento”. Un pregio ed un difetto del Monelli calciatore. “Tecnicamente me la cavavo egregiamente, oltre ai gol facevo parecchi assist. Un difetto? A volte sono stato troppo buono”. Paolo Monelli, progetti per il futuro? “Vorrei restare nel calcio, vorrei allenare. Magari una prima squadra, anche in serie D. Del resto ho fatto il master a Coverciano, ho il patentino di Prima Categoria, spero proprio arrivi l’occasione giusta”. A proposito, ha più risentito Massaro? “No... (sorride ironico), non ho più avuto il piacere”.

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LIGA SPAGNA

di Sergio STANCO

foto Imago/Image Sport

La Pulce continua a riscrivere la storia del calcio a suon di primati...

Io sono il Messi(a)

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n tanti anni di carriera non ci era mai capitato di assistere ad una scena simile: un giocatore portato in trionfo in piena partita. La gara è quella tra Barcellona e Siviglia, il protagonista è Leo Messi, unanimemente riconosciuto come il miglior calciatore al Mondo almeno fino a quando Cristiano Ronaldo, bravo ma pure bello, il che non guasta in un mondo sempre più estetico e mediatico, gli ha rubato la scena e anche l’ultimo Pallone d’Oro. Al 72’ l’argentino appoggia in rete uno splendido assist di Neymar: ironia

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della sorte, il gol più storico della sua vita, è forse quello più semplice della sua carriera. Ma tant’è, i gol sono tutti belli, dicono i grandi bomber. E Messi dal 22 novembre scorso, è il più grande in assoluto, perché lo certificano le statistiche, con buona pace di Cristiano. Con quel facile appoggio in rete, Messi ha infatti superato Telmo Zarraonandia Montoya, che ai non topi di biblioteca calcistici è un nome che non dirà tantissimo, ma che è stato per 60 anni il bomber con la “B” maiuscola della Liga. Il suo record di 251 gol sembrava imbattibile, prima che un extraterrestre ar-

gentino scendesse sulla terra. E, guarda caso, non poteva essere un calciatore più diverso da Zarra a batterlo. Telmo, infatti, era il classico centravanti classico, fortissimo nel gioco aereo e, nello specifico, di testa, tanto che, all’epoca in cui faceva sfracelli sul campo, si parlava di lui come “La migliore testa dopo quella di Churchill”. Tutto il contrario di Messi, falso nueve, centravanti atipico che fa della tecnica e della rapidità nello stretto e della capacità di nascondere il pallone come un illusionista la sua arte. Ma come diceva Guardiola, “Quelli buoni devono giocare al centro”

foto Buffa/Image Sport

La Pulce batte il record di gol nella Liga. Anche il mito di una leggenda come Zarra è caduto…

ed entrambi, alla fine, lì, vicino alla porta, giocavano e giocano. Ma torniamo a noi: al 72’ di Barcellona-Siviglia Messi ha appena messo a segno la sua doppietta personale, il 252° gol in 289 partite, una statistica davvero fuori dal Mondo. E per non farsi mancare nulla, Leo – che aveva sbloccato la gara con una punizione deliziosa all’incrocio nel primo tempo, si toglie lo sfizio di firmare anche la tripletta nel finale. Al Camp Nou è l’apoteosi, pupillo in trionfo – appunto – stadio in visibilio, standing ovation del pubblico. E, a fine partita, scena strappalacrime, con tutti i compagni al centro del campo, e tutti i tifosi al proprio posto, mentre sul grande schermo passano tutti, ma proprio tutti, i gol realizzati dal “piccolo” Leo fin da quando, poco più che 17enne, si affacciava timidamente nel grande calcio con addosso quella scomoda etichetta di nuovo Maradona, che aveva bruciato almeno una ventina di suoi connazionali prima di lui. Curiosamente, poi, la gioia più grande arriva proprio nella settimana più difficile, quella in cui per la prima volta, proprio Messi aveva messo in discussione il suo futuro nel Barcellona: “Ho sempre detto che mi piacerebbe restare – aveva detto al quotidiano argentino Olé – Ma non sempre tutto va come si vorrebbe”, la frase incriminata che aveva fatto tremare i tifosi culé. Il 22 novembre, probabilmente, è stata anche la data della “riappacificazione”, quella della sentenza definitiva: Messi è il Barcellona e, oggi, il miglior giocatore che abbia mai giocato nella Liga. Perché ha segnato più di tutti, ma perché l’ha segnata per sempre: 253 reti in 289 partite – vale la pena ricordarlo – per un giocatore di soli 27 anni destinato a frantumare tutti i record esistenti. Il calcio non è il baseball, i numeri non fanno la storia, ma aiutano a raccontarla. Leo ha deciso di celebrare il record con un post particolare sul suo profilo facebook: il video della sua prima rete con il Barcellona. E’ il primo maggio del 2005, il Barcellona gioca contro l’Albacete e la Pulce è davvero piccola (17 anni e 10 mesi): “Quando ho segnato quel gol – ha scritto sul social network – non immaginavo di superare nessun record e meno che mai quello del grande Telmo Zarra. Oggi ci sono riuscito grazie all’appoggio di tantissime persone, che

La storia infinita Messi esulta per il record ma Cristiano Ronaldo continua a segnare senza sosta…

foto Imago/Image Sport

L’UOMO DEI RECORD

Nel giorno in cui Messi batte il record, il suo maggior antagonista, quello bravo ma pure belloccio, mette a segno una doppietta che lo catapulta in vetta alla classifica cannonieri con 20 reti in sole 12 partite giocate! Neymar, secondo, a quella data è a 9 reti di distacco. Messi è fermo a 10. Cristiano Ronaldo, ormai, sfiora le 200 reti nel campionato spagnolo, ma lui – rispetto a Leo - ci gioca solo dal 2009. La rivalità tra questi due grandissimi campioni è spinta all’eccesso, tanto da dividere i rispettivi tifosi come adepti di due sette dalle posizioni inconciliabili. Nel mezzo delle celebrazioni pro-Pulce, ad esempio, Real Madrid TV ha diffuso la classifica dei bomber più efficaci e Messi, con una media di 0,87 reti a partita, è solo terzo. Al secondo posto il mitico Telmo Zarra (0,91). Primo, neanche a dirlo, Cristiano Ronaldo, con la spaventosa media di 1,12 gol a partita. E non è finita qui. Per la gioia di tutti gli amanti del calcio... mi hanno aiutato durante questi anni. Il record lo dedico a tutti loro, grazie per essere stati sempre al mio fianco e anche a quelle che lo hanno fatto in passato e non sono più con noi. Siete sempre nel mio cuore. Grazie a tutti”. Ma, forse, siamo noi a dover ringraziare una Pulce che è diventata GRANDE...

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PREMIER LEAGUE INGHILTERRA

di Luca Manes

foto Gian Marco Pirozzi

Un tempo era un grande club ora sogna di riaccendersi...

Artefice di cotanta impresa, il già citato Brian Clough. Inizialmente per lui il City Ground rappresentò soprattutto un’oasi di salvezza, di tranquillità, dopo i travagliati e ormai celeberrimi 44 giorni alla guida del Leeds United. Nemmeno il fumantino Cloughie, però, si sarebbe immaginato che con il Forest avrebbe vinto così tanto e in un arco di tempo talmente breve. A Nottingham la sua statua fa bella mostra di sé in pieno centro. Ma un’altra si può trovare a qualche decina di chilometri di distanza, a Derby. Ovvero lì dove il buon Brian divenne famoso come manager verso la fine degli anni Sessanta, quando portò il Derby County dal purgatorio della Second Division, al titolo di campioni d’Inghilterra in sole tre stagioni. Dettaglio da non trascurare, i Rams rimangono i principali avversari del Nottingham.

NELLA CITTA’ DI ROBIN HOOD

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mosso Brentford, per la delusione degli oltre 20mila accorsi al City Ground. Purtroppo per loro, i fanatici dei rossi sono abituati a ingoiare bocconi amari. La discesa agli inferi del Forest è iniziata nel 1993, anno della retrocessione dalla Premier, dopo oltre tre lustri di successi accumulati grazie soprattutto all’abilità e alla sagacia del manager Brian Clough. Che proprio quel maledetto 1993 diede il più mesto degli addii al calcio. Vissuto un breve quanto insperato revival, sotto la guida di uno dei pupilli di Clough, Frank Clark, capace di ripor-

tare il team in Premier e fino ai quarti di finale di Coppa Uefa, poi il buio. Un filotto di delusioni da fiaccare anche il più fedele dei supporter. I buoni propositi di ogni inizio stagione si sono spesso scontrati con una realtà costellata di cocenti delusioni. Dopo aver fatto ancora per un po’ lo yoyo con la massima serie, il tracollo tecnico si è materializzato in maniera inesorabile. L’onta suprema, il nadir dei nadir, è stata rappresentata dalla retrocessione in League One. Un record negativo difficile da battere: piombando in terza serie il Nottingham è divenuta la prima compagine a

foto Gian Marco Pirozzi

Viaggio nella storia del Nottingham Forest, club che punta a tornare nell’elite del calcio britannico… na partita a dir poco paradigmatica, quella del Nottingham Forest a cui abbiamo assistito in una fredda e umidissima serata di inizio novembre (e al riguardo la vicinanza con il fiume Trent non ha certo aiutato). Una sorta di fotografia degli ultimi, tribolati anni del team della città di Robin Hood. Tanta voglia, tanta buona volontà nei primi minuti di gioco, pause inquietanti, goal subiti per sciocche disattenzioni difensive e un lodevole, quanto tardivo, assedio finale. Risultato al 90esimo minuto: 3-1 per il neopro-

essersi fregiata del titolo di campione d’Europa a scendere così in basso nella piramide calcistica nazionale. E sì, perché il Nottingham Forest detiene un altro record di quelli quasi impossibili da scalzare: è l’unico club europeo ad aver vinto più Coppe dei Campioni (due), che campionati (solo uno). Erano altri tempi, e nel calcio inglese una neopromossa si poteva prendere il lusso di sbaragliare il lotto degli avversari, perdendo solo tre gare su 42, schierando in totale unicamente 16 giocatori.

Ma torniamo a parlare del team che in epoca vittoriana, per i suoi colori prese ispirazione dalle camicie rosse di Giuseppe Garibaldi. In quel magico 197778 arrivò primo con ben sette punti di vantaggio sul grande Liverpool, che batté pure nella doppia finale di Coppa di Lega. Viv Anderson, Peter Shilton, Martin O’Neill, Tony Woodcock e la vecchia conoscenza del calcio italiano Trevor Francis, divennero un vero incubo per i Reds, sconfitti la stagione successiva nei sedicesimi di finale della Coppa dei Campioni che invece da due anni faceva bella mostra di sé nella sala dei trofei di Anfield Road. Per la verità Kenny Dalglish e compagni si presero la rivincita in campionato, relegando il Forest al secondo posto, ma intanto al City Ground rimase la Coppa di Lega e arrivò quella “dalle grandi orecchie”, vinta in finale con gli svedesi del Malmoe per 1-0. Il match non fu esattamente memora-

Voglia di rivincita Toccherà a Pearce, detto “Psyco” provare a far tornare grande il Nottingham foto Gian Marco Pirozzi

NOTTINGHAM, VOGLIA DI RINASCERE

Adesso si confida nella voglia di rivincita di talenti non del tutto sbocciati, come il centrale difensivo Michael Mancienne (ex Chelsea) e Henry Lansbury (non ritenuto all’altezza da Arsene Wenger quando era in forza all’Arsenal), nel mestiere di veterani quali Matthew Fryatt o di giocatori “di categoria” che rispondono al nome di Michael Antonio e Daniel Fox. A guidare le operazioni dalla panchina un beniamino del City Ground, l’inossidabile terzino sinistro dei tempi di Clough e già allenatore della nazionale Under 21 Stuart “Psyco” Pearce. I brillanti risultati di inizio stagione hanno però lasciato ben presto spazio a una crisi profonda, che ha fatto precipitare il Nottingham dal primo posto a metà classifica. Crisi di gioco e di fiducia, da quanto abbiamo potuto constatare di persona. Visto il livello molto alto della cadetteria inglese, c’è bisogno di un’immediata inversione di marcia. Per evitare un altro anno gramo e riportare il calcio che conta sulle rive del fiume Trent. bile e di alto livello tecnico, ma dalle parti di Nottingham non se ne fecero un cruccio, anzi. Il bis del 1980 vide l’identico risultato (questa volta contro l’Amburgo) e uno Shilton praticamente insuperabile per tutti i 90 minuti.

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BUNDESLIGA GERMANIA

di Flavio SIRNA

foto Imago/Image Sport

GIALLONERO SBIADITO

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a vittoria ottenuta lo scorso 13 agosto 2014 in Supercoppa di Germania sul Bayern (2-0 con reti di Mikhitaryan ed Aubameyang) aveva illuso i tifosi del Borussia Dortmund che la squadra di Guardiola avrebbe avuto filo da torcere per conquistare il titolo in Bundesliga. Le cose, però, non sono andate come previsto per la squadra di Klopp. E non tutto può sicuramente essere addebitato alla partenza, destinazione Monaco di Baviera, dell’attaccante polacco Lewandowski. Per prenderne il posto sono stati acquistati l’italiano Ciro Immobi-

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le e il colombiano Ramos. E per dare nuova qualità al centrocampo, ci sono stati i ritorni di Kagawa dallo United e di Sahin dal Real (costati nel complesso 15 milioni). Ciliegina sulla torta l’arrivo del giovane difensore centrale Ginter (10 milioni dal Friburgo), che ha portato il bilancio tra entrate ed uscite in rosso di quasi 52 milioni di euro. Sembrava, in sostanza, che il modulo tanto caro all’allenatore giallonero, il 4-2-3-1, non dovesse subire particolari modifiche e conseguenze dal punto di vista dei risultati, come già successo in passato quando c’è stato da sostituire Gotze. Invece tutti i piani sono andati

Shinji Kagawa

foto Imago/Image Sport

C’era una volta il grande Borussia Dortmund. Il giocattolo si è rotto, chi potrà mai aggiustarlo?

presto in fumo: sette sconfitte nelle prime 10 partite di campionato, attacco poco prolifico e soprattutto, elemento al quale erano abituati i sostenitori del Westfalen Stadion, zero spettacolo in campo. L’avvicendamento come prima punta di Aubameyang, Ramos e Immobile non ha giovato alla manovra, poco fluida ed eccessivamente lenta. Ciò che però sembra essere mancato di più è il furore agonistico: forse l’abitudine ai palcoscenici importanti ha portato Reus e compagni ad essere meno famelici tra le mura germaniche contro gli avversari. Analizzando sommariamente la situazione, il tutto potrebbe essere ascritto alla necessità di cambiare, oramai a partire dalla prossima stagione, gran parte degli interpreti, in modo da far ripartire il progetto con giocatori maggiormente motivati. O, al contrario, potrebbe decidersi di dare nuova linfa alla rosa attuale, ma pungolarla con l’addio dell’attuale manager. Ma c’è un elemento che fa pensare che

Adrián Ramos

ridimensionamento delle ambizioni della squadra e che potrebbe anche significare l’addio ad un altro big (uno a caso, Marco Reus, con destinazione ancora una volta Bayern Monaco). A parziale scusante ci sono, però da segnalare il ko di Sahin e l’assenza prolungata a centrocampo di Gundogan, che hanno fatto mancare quella qualità che né Bender né capitan Kehl possono assicurare. Sulle fasce l’assenza di Schmelzer e di Blaszczykowski, ha di certo reso gli attacchi meno ficcanti e continui, vista la grande spinta assicurata da questi ultimi. La vittoria, di misura, ottenuta contro il Monchengladbach in casa e la sconfitta, anch’essa di misura, subita nel big match contro il Bayern Monaco all’Allianz Arena (2-1 dopo essere stato in vantaggio sino a 20 minuti dal termine del match), hanno lasciato intravedere un timido miglioramento. Ma per poter risalire la china e sperare di trovare a fine stagione un piazzamento europeo, ci vorranno ben altre prestazioni.

Povero Ciro Immobile, un italiano (criticato) in Germania. L’acquisto non convince…

foto Imago/Image Sport

Periodo da dimenticare per i gialloneri, ora in zona retrocessione

foto Zangirolami/Image Sport

entrambe le soluzioni siano da scartare, ossia il rendimento della squadra in Champions League: così come nel 2013-2014 anche quest’anno, perlomeno nella fase a gironi, non c’è stato scampo per le avversarie. Quattro vittorie su altrettante partite giocate, qualificazione messa in cassaforte con due giornate di anticipo e spettacolo di goal e giocate. Ma se, come capitato nei quarti di finale della precedente annata contro il Real Madrid, la corsa europea dovesse arrestarsi (circostanza tutt’altro che impossibile vista la ancora maggiore forza di squadre come Real, Barcellona, Chelsea e lo stesso Bayern), Weidenfeller e compagni correranno il serio rischio di ritrovarsi senza competizioni europee nel 2015-2016. Situazione che comporterebbe un forte

BORUSSIA NEI GUAI

Lothar Mattheus, Oliver Khan, Cristophe Metzelder. Sono solamente alcuni degli esponenti del calcio tedesco, ora opinionisti di lusso, che hanno espresso giudizi negativi sull’acquisto di Ciro Immobile da parte del Borussia Dortmund. A differenza del suo predecessore Lewandowski, l’ex-Torino viene considerato un attaccante meno tecnico, con minore capacità di poter svariare su tutto il fronte d’attacco e ‘creare’ gioco per la squadra. Lo si apprezza solamente per la freddezza nel finalizzare sotto porta. I numeri, sino a questo momento, hanno dato ragione ai detrattori, ma solo in Bundesliga: 389 minuti giocati e 2 goal in Germania, 176 minuti giocati e 3 segnature in Champions League. Il ragazzo napoletano non si è scomposto più di tanto: “Devo solo fare più goal in Bundesliga, da quel momento in poi sono sicuro che le voci termineranno”. A proprio favore Immobile ha comunque la fiducia incondizionata di Klopp, che secondo gli addetti ai lavori lo sta utilizzando in maniera centellinata, non tanto perché ha cambiato idea nei suoi confronti, ma solamente perché vuole che il ragazzo si inserisca tra i titolari in pianta stabile quando la squadra avrà risolto i problemi di manovra e di gioco. A quel punto però non ci sarà altra scelta per Immobile di dimostrare coi goal i quasi 20 milioni di euro sborsati per farlo approdare nella zona della Ruhr.

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LIGUE 1 FRANCIA

di Renato MAISANI

foto Agenzia Liverani

Scandalo scommesse anche in Francia, la Ligue 1 trema...

CALCIOPOLI ALLA FRANCESE Ligue 1 investita da uno scandalo che potrebbe avere ripercussioni pesantissime su tutto il movimento…

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utto il mondo è Paese. E se il mondo in questione è quello del calcio, si tratta di un Paese dove scandali, inciuci e retroscena non mancano mai. Il terremoto che ha sconvolto il calcio italiano nel 2006 è soltanto uno dei tanti che, nel corso degli ultimi decenni, hanno scatenato polemiche e casi in mezza Europa. Lo scandalo legato al Marsiglia di Bernard Tapie, quello che ha visto coinvolti gli arbitri tedeschi nel 2005, le ipotesi di combine e le accuse di doping che hanno colpito a 360° il calcio spagnolo... e chi più ne ha più ne metta.

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Stavolta a finire nell’occhio del ciclone è il calcio francese, investito da uno scandalo destinato a lasciare pericolosi strascichi. Due scandali, a dire il vero. Ma andiamo con ordine. NIMES, UNA SALVEZZA COSTATA TANTO VINO Retrocedere non piace mai a nessuno. Né ai tifosi, né ai calciatori e tanto meno agli azionisti dei club. Da quando i diritti televisivi rappresentano la maggior parte degli introiti per le società di calcio, scendere di categoria può rappresentare un danno incalcolabile,

talvolta un cambiamento impossibile da fronteggiare in virtù di spese già affrontate o preventivate in relazione agli introiti attesi dai diritti tv. Insomma, la categoria va difesa con le unghia e con i denti. Sarebbe auspicabile farlo nel rispetto delle regole, però. A quanto pare non è andata così in Ligue 2 dove, lo scorso anno, il Nimes sembra aver letteralmente “comprato” la salvezza. A poche giornate dal termine, il club del presidente Jean Marc Conrad, era coinvolto nella bagarre per non retrocedere e, insieme con Auxerre, Laval e Chateauroux sgomitava per non termi-

Patrice Garande

nare nel Championnat National, la terza divisione. Tanti gli interessi in ballo, forse troppi. Al punto da spingere il Nimes fino all’illecito, almeno secondo quanto rivelato dall’azionista di maggioranza del club, Serge Kasparian. Sono proprio le sue rivelazioni a tenere col fiato sospeso i tifosi del Nimes, quelli del Caen e l’intero calcio francese. Al fine di non perdere i profitti legati ai diritti tv e la visibilità acquisita in Francia mediante il calcio e fondamentale per garantirgli dei buoni affari nelle attività personali condotte a Parigi, Kasparian avrebbe concordato con il presidente del Caen, Jean François Fortin, il risultato finale della gara tra i rispettivi club: un pareggio. Quando manca una sola giornata al termine del campionato, le due squadre si ritrovano a recuperare un match valido per la ventottesima giornata. Al Caen basta un pari per garantirsi la promozione in Ligue 1, per il Nimes il pareggio vale la salvezza. E pareggio sarà. Un 1-1 che diede il via a tante chiacchiere, inizialmente fine a se stesse. Il pari era un risultato che andava bene ad entrambe le compagini ed accontentarsi – a pochi minuti dal termine – poteva benissimo far parte del gioco. Non sarebbe stata la prima, né l’ultima volta. A rendere sicuramente più inquietanti i contorni della vicenda, però, sono 400 bottiglie di vino sospette e notate dall’arbitro e dai delegati della Federazione prima del calcio d’inizio della gara. Bottiglie che, direttamente dal pullman de Nimes sarebbero state trasferite nello spogliatoio del Caen. Una combine pagata in vino? Inedita, sicuramente. Ma confermata dalle parole dello stesso Kasparian, che hanno fatto piombare nel caos l’intero calcio francese. Perché quando c’è una combine, servono dei giocatori accondiscendenti, perché 400 bottiglie di vino su un pullman o dentro uno spogliatoio è impossibile non notarle, perché – secondo la stampa francese – Kasparian aveva già provato il giochetto prima con il Bastia e poi col Digione, senza mai riuscirci. E come spesso succede in questi casi, l’effetto domino è pressoché immediato. Nuovi sospetti, ulteriori dichiarazioni, altre partite indagate e un vaso di Pandora che, giorno dopo giorno, lascia uscire dei venti sempre più inquietanti. Venti che rischiano di danneggiare in maniera

E MARSIGLIA TREMA DI NUOVO... L’OM è finito nuovamente nel ciclone, tornano i fantasmi del buio periodo della presidenza Tapie…

Bernard Tapie

foto Liverani

UN BEL PROBLEMA

Due scandali, dicevamo. Già, perché oltre a quello legato alla combine tra Caen e Nimes, già da qualche tempo in Francia è esploso lo scandalo “Marsiglia-bis”. La squadra di Bielsa, che sta impressionando tutti candidandosi con convinzione alla conquista del titolo, deve fare i conti infatti anche con delle vecchie storie, non certo edificanti. Il presidente ed il dg del club, infatti, sono stati prima incarcerati e poi rilasciati in seguito all’indagine relativa ai trasferimenti di giocatori del calibro di Nasri, Drogba e Gignac. Commissioni pagate in nero e promesse di trasferimenti sui quali poter speculare sono gli aspetti che l’inchiesta sta cercando di chiarire. C’è qualcosa di poco limpido, secondo gli inquirenti. E a Marsiglia, intanto, dove l’Affaire VA-OM portato avanti dal presidente Tapie nel 1994 sconvolse la storia dell’Olympique più forte di tutti i tempi, sperano sia soltanto un brutto sogno. Vedere crollare tutto nuovamente, e sempre nel momento migliore, sarebbe un boccone davvero amaro da digerire per tutti i tifosi dell’OM. E, anche in questo caso, per l’intero movimento calcistico francese. irreparabile il Nimes, forse il Caen e che sicuramente rovinano l’immagine del calcio francese, non certo immacolata, ma che avrebbe volentieri fatto a meno di questa nuova pagina nera.

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PHOTOGALLERY IL TIFO RACCONTA

PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

IL CALCIO DEI TIFOSI di Thomas SACCANI

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l bello del calcio è spesso raccolto in pochi attimi. Riuscire a fotografarli è un’arte e, soprattutto, il modo migliore per raccontare ciò che accade. Nulla avrebbe senso senza la presenza del pubblico. I tifosi sono l’essenza stessa del mondo del pallone, doveroso un tributo per raccontarne la vera passione…

CURVA NORD Milan-INTER 23.11.14 Serie A 12a giornata

Amichevole Italia-ALBANIA 18.11.14 Genova

CURVA NORD LAZIO-Juventus 23.11.14 Serie A 12a giornata

CURVA NORD LAZIO-Juventus 23.11.14 Serie A 12a giornata

CURVA SUD MILAN-Inter 23.11.14 Serie A 12a giornata

CURVA SUD MILAN-Inter 23.11.14 Serie A 12a giornata

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PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

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CURVA NORD Milan-INTER 23.11.14 Serie A 12a giornata

CURVA NORD ATALANTA-Roma 23.11.14 Serie A 12a giornata

CURVA SUD MILAN-Inter 23.11.14 Serie A 12a giornata

Amichevole Italia-ALBANIA 18.11.14 Genova

CURVA NORD Milan-INTER 23.11.14 Serie A 12a giornata

Amichevole Italia-ALBANIA 18.11.14 Genova

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scovate da CARLETT CRISCITO Ha lasciato l’Italia ormai da qualche anno. Spesso viene accostato a qualche squadra italiana, ma lui si trova benissimo a San Pietroburgo, eccolo con la moglie!

In questa foto Llorente è riconoscibilissimo, Pogba molto meno... Forse anche a causa dell’improbabile montatura dei suoi occhiali da vista?

DE SILVESTRI

MATERAZZI

Nello spogliatoio della Sampdoria si respira un bel clima, come riprova ecco una foto divertente dal profilo Instagram di De Silvestri mascherato con l’attaccante Eder.

DIAMANTI Bel regalo di Alino Diamanti al giornalista Di Marzio. Un selfie direttamente dalla spogliatoio dopo aver vinto il campionato cinese con il compagno Gilardino e in panchina mister Lippi!

GHEZZAL Nonostante la brutta partenza in campionato, in casa Parma non si è perso il sorriso. Buon segno per ripartire, un ottimo sorriso con Cassano e Ghezzal e tutto passa.

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LLORENTE

E’ stato chiamato in India nella nuova lega da lanciare in qualità di allenatore/giocatore... Per adesso più allenatore che giocatore...

NEYMAR I brasiliani del Barcellona sull’aereo per Amsterdam.

SIRIGU In occasione del lancio di un nuovo videogioco sul calcio ecco una bella immagine dal profilo dell’ex giocatore della Roma Marquinhos, con il portiere italiano Sirigu e il difensore brasiliano David Luiz.

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb

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